OK ARTE SPECIALE ESTATE 2012

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M A G A Z I N E G R AT U I T O D I A R T E E C U LT U R A

Per informazioni e pubblicità: 347 4300482 info@okarte.org www.okarte.net

Speciale Estate 2012

Marilyn Monroe

Gli ultimi scatti prima dell’immortalità. Nel cinquantesimo anniversario della scomparsa, una mostra fotografica, al Forte di Bard in Val d’Aosta, racconta l’icona per eccellenza del Novecento. La foto in copertina è di Bert Stern.

David LaChapelle

Il Center of Contemporary Art di Lucca celebra, fino al 4 novembre 2012, un mito della fotografia contemporanea: irriverente, eccentrico, sgargiante, surreale, geniale, felliniano, questo e tanto altro si potrebbe dire di questo artista.

Arena Museo Opera

Inaugurato a Palazzo Forti di Verona AMO il museo dedicato alla lirica. L’obiettivo di AMO è quello di valorizzare e divulgare la nostra cultura operistica che tutto il mondo ci invidia, utilizzando anche tecniche multimediali.


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C U LT U R A

Un prode cavaliere bazzica la zona, un certo Giorgio, che diverrà in seguito santo e martire, e che qualcosa deve pur fare per iniziare a meritarsi questi due titoli

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i sono due chiese, vicinissime l’una all’altra, che si contendono il primato per il possesso della costola di drago più grande! Avete capito benissimo, non c’è inganno! A Paladina (BG), se entriamo nel Santuario della Beata Vergine, ed alziamo gli occhi al soffitto, restiamo a bocca aperta vedendo un gigantesco osso, del tutto uguale ad una costola, che penzola dal soffitto, stessa stranezza presente nella chiesa di S. Giorgio, ad Almenno S. Salvatore. Ambedue le chiese sono adagiate in mezzo al verde, più severa la prima, con interni scarsamente adorni, più ricca la seconda che, tra gli innumerevoli affreschi, comprende anche quello che ci mostra S. Giorgio, a cavallo nell’atto di trafiggere il drago. Siamo nell’alto Medioevo e, in riva al Brembo, scorrazza un dragone classificato “ferocissimo” ma che, in realtà, risulta non abbia mai fatto male a nessuno. Gli abitanti del luogo,

Un grande mistero Costole di drago in chiesa!

non potendo lamentarsi per attacchi di un mostro forse ancora troppo cucciolo per mettersi a sputare fuoco ed artigliare bimbi e donne indifese, ma dovendo, a tutti i costi, auto infliggersi la tortura di notti insonni e timor panico da trascinarsi dietro per tutte le 24 ore, sostengono che il drago altri non sia che lo stesso Satana, venuto dall’inferno a rappresentare il “male”. Quel “male” di cui il “bene” si nutre e senza il quale non potrebbe esistere. C’è un prode cavaliere che bazzica la zona, un certo Giorgio, che diverrà in seguito santo e martire, e che qualcosa deve pur fare per iniziare a meritarsi questi due titoli. Un breve cenno alla storia di questo santo, ci descrive, lasciandoci allibiti, un carosello di cattiverie e perversioni che ci illustrano... un Giorgio, dichiaratosi cristiano, perseguitato da Diocleziano che lo tortura ed incarcera, ...un Dio che, apparendo in sogno al martire, e giusto per ripagarlo della sua dedizione, gli promette 7 anni di tormenti, alleggeriti, si fa per dire, da 3 morti e da 3 resurrezioni, ...sempre un Giorgio che battezza pulzelle e poi le fa sparire non si sa dove, arrivando poi a pregare il suo Signore, che tanti tormenti gli ha riservato, affinché incenerisca Diocleziano, ed i suoi 72 re, vili persecutori di cristiani. Un thriller in piena regola, una commedia dell’orrore, con la regia di un Dario Argento versione medioevo, che frulla buono e cattivo, bene e male, coraggio e viltà, e che finisce solo quando Gior-

gio, in Libia, salva la principessa Silene dalle grinfie di un drago, questa volta davvero sbuffante fuoco ed affamato, al quale viene staccata la testa con un solo colpo di spada. Ma siccome tagliare teste a mostri, per salvare principesse in pericolo, dà visibilità e notorietà, Giorgio decide di fare una ca-

ti esclusivamente a farsi i fatti loro. L’impresa riesce. La mala creatura muore trafitta. La carcassa disossata viene privata di 2 enormi costole, esposte nelle chiese dove sono perfettamente visibili a ricordarci che la Bestia è sempre in agguato, pronta a riapparire all’improvviso per alimentare le no-

Almenno San Salvatore (Bg) - Chiesa di San Giorgio Il cavaliere e la principessa, 1388, fotograsfia di Giorces patina anche in Padania dove, e qui torniamo nel vivo del nostro racconto originale, viene ingaggiato per la caccia al draghetto, anzi, al Diavolo che nella creatura alata si annida. Anche in questo caso si è reso necessario infiocchettare la storia col salvataggio di una nobildonna locale, giusto per non far apparire S. Giorgio come uno sterminatore di poveri draghi, impegna-

stre paure, povera, lurida Creatura, anche un pò dura di comprendonio, dovrebbe aver capito da lunga pezza che gli allori della vittoria non coroneranno mai il suo orrido capo. Il Bene avrà sempre la meglio, così è sempre stato e così sarà sempre. O forse è solo il nostro bisogno di certezze rasserenanti a farcelo credere? Milena Moriconi

San Giorgio al Palazzo La Cappella della Passione decorata da B. Luini S

ituata lungo via Torino, la Chiesa di San Giorgio al Palazzo ha una storia antichissima, che affonda le sue radici nella leggenda secondo cui sorgeva su quest’area un tempio di Mercurio o di Apollo. Una prima chiesa dedicata al Salvatore venne costruita già nel II secolo; solo successivamente nel 751 il vescovo Natale fondò la chiesa di San Giorgio, che prese la specificazione “al palazzo” perché edificata sulle vestigia del palazzo imperiale, costruito alla fine del III secolo da Diocleziano. La chiesa subì una ricostruzione in epoca romanica nel XII secolo e mantenne tali forme fino a tutto il Cinquecento. In seguito Federigo Borromeo affidò nel 1623 a Francesco Maria Richini i lavori di trasformazione della chiesa, che proseguirono negli anni, coinvolgendo la facciata, realizzata nel Settecento in sobrie forme barocche da Francesco Croce, e l’interno, dovuto agli interventi neoclassici di Luigi Cagnola nel primo Ottocento riguardanti pilastri e volte. Dell’antico corredo pittorico e scultoreo pochissimo sopravvive: si conservano alcuni capitelli figurati d’epoca 2

Foto di Giovanni Dall’Orto romanica con figure d’animali e decorazioni vegetali ed un bassorilievo in pietra datato 1308 raffigurante San Giorgio che uccide il drago, un tempo probabilmente posto

sulla facciata. Tra gli elementi di maggior interesse della chiesa è la Cappella della Passione, voluta dalla Confraternita del Santissimo Sa-

cramento nel 1516 e decorata nello stesso anno da Bernardino Luini. L’artista realizzò un pannello centrale con la Deposizione di Cristo, sormontato da una lunetta con l’Incoronazione di spine, e due laterali con la Flagellazione e l’Ecce homo; la volta fu invece affrescata con una drammatica Crocefissione sapientemente suddivisa in tre parti da lesene dipinte, con un senso illusionistico che rende lo spazio più profondo. La scena della Deposizione, dallo straordinario effetto luministico, è caratterizzata da personaggi che riempiono tutto lo spazio con una varietà di gesti, espressioni ed atteggiamenti realistici. In una vicina cappella, riccamente decorata di stucchi, è collocato un San Gerolamo (1530) di Gaudenzio Ferrari, dove, in un gioco di luci e ombre, il santo spicca per la posa elegante, mentre si volge al Crocefisso avvolto da un ampio manto rosso. Degna di interesse è anche una Deposizione del XVI secolo, conservata in sacrestia, di Marco Basaiti, ambientata in un dolce paesaggio campestre. Stefano Pariani


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MILANO

Palazzo del Senato

La conservazione della memoria

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uale persona riesce a non subire il fascino della storia? Chi di noi non si è mai interrogato sul passato della propria Nazione e dell’intera umanità? La conservazione della memoria storica è da tempo una delle caratteristiche peculiari della civiltà occidentale. Raccogliere, catalogare e conservare sono gli obiettivi dell’archivio, luogo principe della storia di ciascuna nazione. Chi avesse il desiderio di approfondire vari aspetti della nostro passato più o

meno recente e di capire come funziona un archivio – istituzione preziosa ma misconosciuta – non deve fare altro che recarsi in Via Senato, 10 dove, nel cinquecentesco Palazzo del Senato, ha sede l’Archivio di Stato dal 1872. Si tratta di uno dei più importanti archivi d’Italia e conserva numerosissimi documenti dall’alto medioevo fino ai giorni d’oggi, tra questi alcuni fondi documentari di grande importanza quali l’archivio ducale degli Sforza e gli

atti della dominazione spagnola e austriaca. Pesantemente danneggiato durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, oggi l’archivio è completamente funzionante e accessibile ed è collegato alla Scuola di Paleografia, Diplomatica e Archivistica che forma i futuri archivisti. Ma potrebbe mai un luogo di memoria storica come questo non avere alle spalle un percorso lungo e ricco di accadimenti? Ovviamente no! Il Palazzo del Senato na-

Una monumentale austerità dettata dal clima controriformistico che ne ha determinato le forme sce nel 1608 per volere di Carlo Borromeo come sede del Collegio degli Elvezi e dei Grigioni. Si tratta di un nuovo ordine, istituito dallo stesso cardinale milanese, destinato alla formazione del clero svizzero per scongiurare un’ulteriore espansione del già diffuso protestantesimo. Il progetto iniziale è dell’architetto Fabio Mangone al quale succede Francesco Maria Ricchino dopo la morte del primo durante la nota peste del 1630. A quest’ultimo si deve l’innovativa soluzione ellittica per la facciata che ancora oggi caratterizza profondamente il complesso. Dopo la soppressione del Collegio, il palazzo divenne nel 1787 sede del governo, poi nel 1796 sede del corpo legislativo della Repubblica cisalpina e in seguito palazzo del Senato fino al 1814, ruolo che ancora viene ricordato nel nome dello stabile. Oggi l’edificio si caratterizza per una monumentale austerità dettata dal clima controriformistico che ne ha determinato le forme e per gli interventi scenografici in stile barocco. Per gli amanti dell’arte contemporanea è interessante sapere che nel cortile del complesso è possibile ammirare una scultura in bronzo dell’artista spagnolo Jean Mirò. Francesca Gobbo

Palazzo dei Giureconsulti

L’edificio era destinato ad accogliere il collegio dei Nobili Dottori. Per quasi sei secoli divenne il centro di riferimento per gli scambi commerciali e le istituzioni comunali

Foto di Giovanni Dall’Orto

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imbolo di Milano, il Palazzo dei Giureconsulti rappresenta ancora il cuore storico ed economico della città. Affacciato sulla Piazza dei Mercanti, il Palazzo fu voluto e finanziato da Giovanni Angelo Medici di Marignano (Milano, 1499 – Roma, 1565), nobile di origini milanesi, salito al soglio pontificio con il nome di Papa Pio IV. L’edificio era destinato ad accogliere il collegio dei Nobili Dottori, istituto che formava le figure amministrative dello stato: senatori, giudici e capitani di giustizia. La costruzione del Palazzo dei Giureconsulti iniziò nel 1562, su progetto del noto architetto Vincenzo Seregni (Seregno, 1504/1509 – Milano, 1594). Il corpo dell’edificio si sviluppava attorno alla torre civica del Broletto: in origine il fronte in lunghezza del Palazzo, scandito dalle doppie colonne del porticato e con andamento orizzontale del primo ordine con loggia a colonne binate e del secondo ordine con finestre decorate da volute, chiudeva interamente uno dei quattro lati che formano la Piazza dei Mercanti. In questo quadrilatero per quasi sei secoli Milano ebbe il suo centro di riferimento per gli scambi commerciali e le istituzioni comunali. Inaugurato nel 1654, nel pieno della dominazione spagnola, l’edificio ospitò fino all’epoca napoleonica il Collegio dei

Nobili Dottori. La storia dell’antico collegio nobiliare si concluse l’8 luglio 1797 a seguito della rivoluzione francese ed alla calata delle truppe napoleoniche in Italia: la costituzione repubblicana decretava che tutte le istituzioni professionali e artigianali fossero sciolte e così la normativa fu applicata al collegio dei Giureconsulti, che venne soppresso. Nel 1809 la Camera dei Mercanti acquistò la sala situata a ovest e inaugurò la prima Borsa Valori di Milano, trasferita nel 1901nella sede di Piazza Cordusio. Nel 1911 la Camera di Commercio acquistò l’intero palazzo per farne la propria sede e l’anno successivo il Palazzo fu ristrutturato. Un bombardamento aereo durante la Seconda Guerra Mondiale danneggiò l’edificio, ma ben presto venne ricostruito e l’attività della Camera di Commercio continuò all’interno del palazzo fino al 1957 quando, per esigenze di spazi, si decise il trasferimento della sede nell’edificio di via Meravigli. Nel 1985 gli architetti Mezzanotte e Menghi iniziarono i lavori di restauro di Palazzo ai Giureconsulti che resero l’edificio una struttura attrezzata ad accogliere convegni, mostre e conferenze. Fu proprio al termine dei restauri che il palazzo prese definitivamente il nome “Palazzo Affari ai Giureconsulti”. Francesca Mariano

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Con acume ed intelligenza rielabora il disagio del vivere e le battaglie personali usando lo strumento dell’arte

IN EVIDENZA

M onica M arioni Il suo mondo estatico

Io sono, stampa digitale su carta cotone su alluminio 400 x 200 cm. 2012

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na tecnica di composizioni digitali delle immagini, un’artista profonda ed innovativa, l’antitesi del “glamour” fotografico e l’introspezione. Questa è la formula “chimica” che ci propone l’artista Monica Marioni quando ci troviamo di fronte ad una sua opera d’arte: forte, pervasiva e talvolta violenta, mai evasiva e sempre autoreferenziale. Un’autoreferenzialità che non è permeata dal proprio “ego”, bensì dalla voglia di conoscere meglio se stessa per anelare poi all’obiettivo molto più “sociale”, di sperare in uno strumento artistico che possa aiutare ognuno di noi a conoscersi più a fondo.

Conia immagini con forti valenze espressionistiche in modo attento e intimistico. Forgia armature scintillanti che servono come tramite auto-protettivo verso le angosce personali e le elucubrazioni di una società auto-distruttiva e basata solo sull’immagine mediatica. Ma al contempo si addentra nei meandri della psiche umana con l’intento di esorcizzarne i mostri reconditi per cercare una via d’uscita dalle nevrosi e dai conflitti interiori perenni. Come citato dal noto critico Oliver Orest Tschirky: “...una mente intrappolata tende all’auto-umiliazione e può gestire il problema solo attraverso la creazione e il mantenimento di fobie”. Monica Marioni mostra questi disagi dello spirito e della mente ma va oltre. Con acume ed intelligenza rielabora il disagio e le proprie battaglie personali usando lo strumento dell’arte e trasforma il lato “oscuro” dandogli un corpo, una fattezza, totalmente rielaborati. Dai precedenti lavori sulle “Ninfe” rappresentate in chiave molto personale: semidivinità benefiche, giovani eterne, che affiancando il Divino aiutavano l’essere Aria, stampa lambda su dibond 150 x 280 cm 2010 umano; si giun4

ra della Medusa” di Theodore Gericault, ge agli ultimi lavori titolati “Io sono”, dove notando come la chiave di lettura data l’assunto sta nel suo profondo interesnell’opera di Monica Marioni sia invece se rivolto all’”Io”. Come citato da Vittoambientata in epoca post-contemporario Sgarbi nel suo testo critico sull’artista: nea. Quasi a volerci allarmare sull’urgen“L’io è immensamente più interessanza di cambiamente dell’altro, ma sono to necessario alla gli altri a fare la stonostra umanità ria” (ndr. Citazione di per sopravvivere a P.P. Pasolini). Ed è apsé stessa. punto questo che MoDall’altro l’investinica Marioni evidengazione interiore, zia: individualismo ma psicologica e psiconfrontandosi con coanalitica. l’umanità circostanLa sua espressivite, sempre. Parte da se tà artistica non si stessa e dall’auto-coè risparmiata sotnoscenza, che è più to alcun fronte immediata in quandal punto di vista to riguarda il suo “estecnico: arte disere” in primis. L’arte gitale, fotografia, che alberga in Moniperformance, inca Marioni ha dunque stallazioni….e le due sfaccettature pa- Ego, stampa digitale su carta cotone su alluminio sperimentazioni lesate volutamente continuano e condall’artista: da un lato tinueranno, in quanto, per antonomail suo intendere l’arte in modo tradiziosia, questo è lo spirito di ricerca di questa nale, si pensi per esempio all’arte mediegrande artista contemporanea che ci travale e rinascimentale dove le rappresensmette emozioni crescenti, mai scontate tazioni dell’horror vacui e del cupio dissolvi o banali, sempre intense e che lasciano un erano frequenti. Si osservi anche il rimanricordo vivido nel fruitore. do con rivisitazione del tutto estemporanea del noto quadro del 1811 “La zatteMassimiliano Bisazza

Il male, stampa digitale su carta cotone su alluminio -150 x 103 cm. 2012


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MOSTRE A MILANO

ELAD LASSRY

La seduzione dell’ambiguità

Untitled (Passacaglia), 2010 (Film Still 2)

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on è un caso forse che Elad Lassry, protagonista della mostra al PAC (6 luglio – 16 settembre) sia nato a Tel Aviv, città attiva 24 ore al giorno, libertina, ricca di cultura e divertimento: le sue spiagge d’oro, i mercati esotici, la vita notturna famosa in tutto il mondo e gli esclu-

sivi centri commerciali. L’artista attualmente vive e lavora a Los Angeles patria indiscussa del cinema internazionale e del mondo della finzione di celluloide. All’inizio della sua carriera i principali mezzi espressivi erano la fotografia e il film in 16 mm. Recentemente la sua produzione si è

aperta alla scultura, all’architettura, al disegno e alla performance. Le opere dell’artista israeliano possono essere considerate il nuovo “Ready-made” di M. Duchamp. Il comune oggetto di uso quotidiano diventa opera d’arte una volta prelevato dall’artista e inserito così com’è in una situazione

Elisabeth Strigini contemporary tales Selected works 2004-2012 I

l Palazzo della Permanente ospita dal l’uso di una tavolozza cupa, nei toni della 13 luglio al 13 settembre una seleziopolvere e della nebbia, allude a riflessioni ne di opere (dal 2004 al 2012) di Elisainquiete sul destino dell’uomo, sui grandi beth Strigini. Artista eclettica di origini temi dell’identità e della solitudine. Il perfrancesi, lontana dai circuiti delle gallerie corso espositivo è suddiviso in tre grandi e della critica, comincia la sua attività nel aree: Fantasy, American Story, Portraits. 1999 quando frequenta un anno presso Le opere sono realizzate con tecnica miil Chelsea College of Art and Design di sta nei formati più disparati dal grandissiLondra. mo al molto piccolo. Fantasy ripercorre il Dalla capitale Britannica comincerà una vita itinerante che la condurrà dall’Europa all’Asia, dalla Nuova Zelanda a New York. Una “cittadina del mondo” insomma, che riversa nella sua personale ricerca artistica l’interpretazione della contemporaneità spaziando dall’arte aulica del Rinascimento, per il quale ha una fortissima attrazione, fino al Pop ed internet. Una miscela di elementi che indicano la natura viElisabeth Strigini Big Girl and White Marshmallow sionaria di una pittura colta e inoil on canvas, 135 cm x 170 cm, 2008 sieme underground, nella quale

labirinto della memoria e scava nel magico/mitico mondo dell’infanzia dove le fiabe, che hanno come riferimento iconografico Disney, prendono vita in atmosfere gotiche e cupe diventando metafora di personali sensazioni infantili filtrate attraverso l’esperienza dell’adulto. American Story, il contesto è il suo studio di Manatthan e il cessante e inarrestabile flusso di informazioni che via etere “assediano” lo scorrere della vita. In questo “frullatore” la prospettiva non ha più un unico punto di fuga, le immagini e i loro significati si sovrappongono, la guerra e i personaggi famosi del pop assumono la stessa valenza tanto che le tele si animano di visi inquietanti che popolano un mondo senza più riferimenti. L’artista è ispirata da ciò che la circonda, diventa come una spugna e l’universo di internet interagisce con il suo subconscio costruendo un filo ininterrotto tra l’immagina-

Le fotografie di Elad Lassry presentano soggetti familiari ma il modo di ritrarli produce un effetto ambiguo e straniante diversa da quella che gli sarebbe propria, acquistando, per il solo fatto di essere stato scelto, il valore di opere d’arte. Le fotografie di Elad Lassry presentano soggetti familiari ma il modo di ritrarli produce un effetto ambiguo e straniante. Le pose delle persone sono artefatte, cristallizzate, bisogna cercare dietro alla loro rappresentazione un significato simbolico. La perfezione formale e la loro elaborata costruzione fanno sì che i significati e la narrazione siano per il tempo della visione quasi sospese. La superficie delle fotografie si trasforma e riflette sensazioni ambigue e contrastanti: seduzione e repulsione, coinvolgimento e straniamento. Gli stratagemmi formali, usati dall’artista israeliano creano ulteriori forme di ambiguità a livello percettivo: tra il soggetto rappresentato e la sua cornice, infatti, le corrispondenze cromatiche rafforzano l’oscillazione tra bidimensionalità e tridimensionalità, trasformando l’immagine stessa in un oggetto che sembra prossimo alla scultura, mentre l’assenza di luce naturale produce un’intensità cromatica che acuisce la sensazione di tattilità. Gran parte del lavoro di Elad Lassry consiste in una riflessione sull’atto stesso del vedere, sulla costruzione della rappresentazione e su come noi stessi guardiamo le immagini, proiettando su di esse significati che sono loro estranei e che provengono dalla nostra stessa esperienza autobiografica e culturale. Mariantonia Ronchetti

PAC - Padiglione di Arte Contemporanea Via Palestro, 14 Milano. Lunedì ore 14.30 – 19.30 Da martedì a domenica ore 9.30‐19.30 giovedì ore 9.30‐22.30 Ingresso gratuito

zione e la realtà. Durante i suoi numerosi viaggi e spostamenti, Elisabeth ha realizzato ritratti e autoritratti (terza sezione della mostra), ricchi di citazioni classicorinascimentali: JanVan Eyck, Raffaello, Albrecht Dürer. L’immaginario collettivo della società occidentale contemporanea rivive attraverso “cattive ragazze” o Bond Girl trasfigurate in eroine o terroriste; gli autoritratti si spingono nella sfera del fantastico, nei quali l’artista ricrea personaggi sospesi fra attualità e forti suggestioni cinematografiche. Museo della Permanente - Via Turati, 34 Milano. Da martedì a domenica ore 1013 e 14.30-18.30; ingresso libero. Mariantonia Ronchetti

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MILANO

Un Castello per Bramantino

L’artista rinascimentale protagonista al Castello Sforzesco S

e l’estate milanese 2012 può essere ricordata per qualcosa, è forse per una scelta dell’amministrazione comunale che ha creato un precedente di tutto rispetto permettendo al pubblico di accedere a mostre e musei in maniera gratuita. Sulla scia del modello britannico, ecco un rimedio a tutti gli assetati di cultura. E soprattutto, uno spunto da cui partire, tratto dal ricco calendario di appuntamenti. Si tratta di Bramantino a Milano, una mostra allestita nella Sala del Tesoro e nella Sala della Balla del Castello Sforzesco, a cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi. I motivi per cui parlarne, e scri-

Tra gli spazi della Sala del Tesoro dove l’affresco di Argo acefalo si lega a lavori come il Trittico di San Michele Madonna con il Bambino tra i Santi Ambrogio e Michele arcangelo Trittico di San Michele 1505 Milano Pinacoteca Ambrosiana

Strada coperta della Ghirlanda F

orse non tutti sanno che sotto Milano non si snodano soltanto le tortuose gallerie della metropolitana, ma anche un antico e suggestivo percorso che passa sotto il livello del Parco Sempione. Si tratta della Strada Coperta della Ghirlanda, un cunicolo sotterraneo voltato lungo circa 500 metri, che corre parallelo alla parte esterna del fossato del Castello Sforzesco. Sopravvissuta alle demolizioni avvenute a fine Ottocento, quest’opera serviva alla difesa della porzione del Castello un tempo situata al di fuori della cinta urbana e permetteva ai militari di raggiungere i più esterni avamposti difensivi, oltre che garantire in momenti di pericolo una via di fuga attraverso tunnel che portavano fuori dalle mura della città. Attualmente l’accesso a questo percorso avviene da una porta sulla destra della strada in pendenza, che ha accesso dal cancello prospiciente piazza Castello sul lato di via Lanza. Il percorso prende luce da un centinaio di finestrelle a doppia strombatura, poste ad intervalli regolari, rivolte verso il fossato. Il percorso, quasi interamente realizzato in mattoni, presenta una forma a “ferro di cavallo” e dal corridoio principale si dipartono a raggiera otto gallerie; il pavimento un tempo era sia in terra battuta che in cotto. La realizzazione della Ghirlanda era parte integrante della costruzione 6

verne, sono molteplici: il Comune è riuscito a preparare e allestire un’esposizione che mira a ricostruire la carriera di un artista, Bartolomeo Suardi, troppo spesso rimasto fuori dalla scena, rimettendo in gioco le collezioni milanesi, civiche e non – alcuni dei prestiti provengono dalla Pinacoteca di Brera, dalla Pinacoteca Ambrosiana, ma anche da raccolte private. L’evento, che si è valso inoltre

del quadrato Sforzesco: si ritiene che la Strada Coperta sia stata voluta da Francesco Sforza dopo il 1454, negli anni in cui il Castello subì lavori di ricostruzione ad opera soprattutto del Filarete. L’intero complesso faceva parte del sistema di fortificazioni esterne del Castello, denominato “recinto della Ghirlanda”, costituito da un giro di mura munite di torri circolari e da un fossato, che permetteva di controllare il Castello e di accedere alle torri che difendevano il fossato esterno. Nel Cinquecento la Strada Coperta, probabilmente con l’intero recinto delAgosto

la Ghirlanda, fu inserita nel nuovo sistema difensivo costituito da baluardi e dalla fortificazione detta “Tenaglia”. Nei primi del Seicento, con la riorganizzazione di questa fortificazione e la creazione della cinta urbana bastionata, la Strada Coperta venne risistemata insieme ai fossati. Gli sviluppi successivi, caratterizzati dalle demolizioni e dai restauri di fine Ottocento hanno interessato l’intero Castello ed hanno coinvolto anche il percorso. Durante la seconda guerra mondiale la strada coperta fu dotata di un impianto di illuminazione e venne utilizzata come rifugio antiaereo. Mariantonia Ronchetti

di un budget limitato senza ricorrere all’aiuto di sponsor, è arricchito dalla presenza di iniziative parallele: oltre alle consuete visite guidate, è possibile seguire seminari di studio o lezioni e recarsi in visita al Castello di Voghera, luogo in cui si conserva un ciclo di affreschi del Suardi e che, per l’occasione, ha organizzato delle aperture straordinarie. Dunque, Bramantino a Milano è certamente una mostra, ma ancora di più e ancor prima un dialogo serrato e armonioso tra le opere e il luogo. Non è un caso che i lavori dell’artista bergamasco siano collocati in queste due sale del Castello. Allo spettatore il privilegio di aggirarsi tra gli spazi della Sala del Tesoro dove l’affresco di Argo acefalo – attribuito proprio a Bramantino – si lega a lavori come il Trittico di San Michele, dall’iconografia ancora in parte oscura. E ancora, di apprezzare il nuovo allestimento degli arazzi Trivulzio raffiguranti i Dodici mesi ed eseguiti su disegno dell’artista, disposti come su uno stage teatrale, sguardo dopo sguardo, movimento dopo movimento. Bramantino a Milano 16 maggio – 25 settembre 2012 Castello Sforzesco - Cortile della Rocchetta Silvia Colombo


D avid Lachapelle

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M O S T R E I N I TA L I A

Lucca, Center of Contemporary Art

Elton John: Egg on his Face, 1999 C-Print, 152,4 x 127 cm © David LaChapelle, Courtesy of Fred Torres Collaborations, New York

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rriverente, eccentrico, sgargiante, surreale, geniale, felliniano, questo e tanto altro si potrebbe dire di David LaChapelle. Arte, pubblicità, teatro, sono i campi nei quali ha sviluppato maggiormente il suo intuito fotografico. Nasce nel Connecticut a Fairfield nel 1963, esce con un primo libro di fotografia nel 1996 e con il secondo “Hotel LaChapelle” crea il libro fotografico più venduto al mondo. Scoperto da Andy Warhol dopo gli studi d’arte tra New York e Londra dove si sposa dopo aver fatto il marines, David incontra attori e cantanti, luoghi distrut-

Abram, 2007 C-Print, 152,4 x 127 cm © David LaChapelle, Courtesy of Fred Torres Collaborations, New York

ti e fantastici e crea i suoi impareggiabili set con una determinazione e una precisione che coniuga bravura, impegno, fatica e una vena di folle e cruda, oltre che terribilmente ironica, visione del mondo contemporaneo. Notissime e anche molto apprezzate le sue immagini di nudo maschile sempre presentato nel suo stile stupefacente. Surreale e divertente anche quando mostra luoghi distrutti, prostitute, personaggi con i volti deformati dagli interventi di chirurgia plastica. Tanti i temi toccati nel suo lavoro che lo vedono collaborare con le testate più importanti della moda quali: Vogue, Vanity Fair, GQ, e dell’arte, come “Interview” magazine fondato da Warhol, oltre che con la pubblicità come ad esempio Nokia, L’Orèal, Burger King, Diesel, tanto per ricordarne alcuni, e vari teatri nel mondo. A Las Vegas ha curato uno spettacolo al Caesar Palace per Elton John, che è stato il più visto nella storia della città e quello che ha fruttato i maggiori incassi. Hillary Clinton, Madonna, Pamela Anderson, Elisabeth Taylor, David Beckham e tanti altri sono i personaggi immortalati in modo imprevedibile dal suo obiettivo. Una raccolta di 53 sue opere sono esposte con la cura di Maurizio Vanni in una preziosa mostra prodotta da Arthemisia Group in collaborazione con Lu.C.C.A.. Le serie fotografiche proposte, nove per l’esattezza, sono davvero interessanti. Da Star System dove i personaggi sono presentati in modo imprevedibile come El-

ton John con le uova al tegamino al posto degli occhi, a Deluge che propone una nuova Apocalisse contemporanea, Plastic people che osserva con ironico cinismo le follie del tentativo chirurgico di mantenere l’eterna giovinezza. After the pop dove la distruzione è il risultato di luoghi comuni e trappole esistenziali che portano alla rovina il mondo e gli individui del nostro tempo. L’ironia pervade in modo strabiliante e coloratissimo i suoi scatti, anche quando s’ispira ai classici come nell’Estasi di Santa Teresa del Bernini o nella Nascita di Venere del Botticelli o alla Cappella Sistina di Michelangelo. Maurizio Vanni ha voluto creare un percorso, il percorso di creazione dell’artista che comunica ai suoi personaggi, come un regista, ciò che vuole emozionalmente rappresentare nella foto. Anche le ossessioni erotiche e gli eccessi sessuali hanno spazio nel suo mondo sempre caleidoscopico. Il centro della città, più esattamente Palazzo Boccella ove ha sede il Lu.C.C.A. è diventato il fulcro di un’intraprendente visione dell’arte che da tre anni attira turisti internazionali con le sue importanti mostre. Di grande rilevanza anche le precedenti manifestazioni che stimolano nuovi interessi nel mondo dell’arte e danno ulteriore lustro alla bellissima città. Tra queste: “I tesori nascosti” di Peggy Guggenheim, Minimal Art/Panza Collection, Jean Du-

In un nuovo e stimolante spazio espositivo a Palazzo Boccella, un mito della fotografia contemporanea buffet. La già preziosa Lucca, nelle sue intatte mura antiche che ancora la circondano e che si possono percorrere a piedi o in bicicletta, con questa nuova realtà si pone con sempre maggiore intelligenza

Paris Hilton: Eat the Rich, 2004 C-Print, 61 x 51 cm © David LaChapelle, Courtesy of Fred Torres Collaborations, New York nel percorso turistico- artistico, paesaggistico e gastronomico italiano. Dal 24 giugno al 4 novembre 2012, vale il viaggio. Clara Bartolini

Angelina Jolie: Lusty Spring, 2001 C–Print, 127 x 152,4 cm © David LaChapelle, Courtesy of Fred Torres Collaborations, New York

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I T I N E R A R I C U LT U R A L I

Wassily Kandinsky

non è un pittore per tutti C

hi in un quadro ama riconoscere con chiarezza gli elementi suggeriti dal titolo, qualora si trovi a gironzolare dalle parti di Aosta, si tenga alla larga dal Museo Archeologico Regionale. Fino al 21 ottobre vi sarà di scena Wassily Kandinsky. Tanto un boccone indigesto per gli amanti del figurativo, quanto una delizia per i cultori del genere e per chi giudica l’arte più con la pancia che con la testa. Questi ultimi, a differenza dei primi, al Mu-

Ad Aosta è in mostra il maestro dell’Astrattismo: opere da capire o da gustarsi senza preconcetti seo Archeologico Regionale dovranno recarcisi in massa. Per apprezzare a pieno l’opera del padre dell’Astrattismo – in mostra con una quarantina di suoi lavori affiancati da altrettante tele dipinte da quanti ne seguirono la scia – bisognerebbe presentarsi ad Aosta o con la preparazione culturale adatta o con la giusta apertura mentale, pronti a farsi colpire alle viscere. Per chi conosce il pensiero di Kandinsky (circa l’uso del colore, le sue teorie in merito agli equilibri di una raffigurazione grafica e la sua concezione del rapporto tra spiritualità e arte), quelli che ai profani possono apparire complicati minestroni riversi su tela assumono la propria vera dimensione: episodi unici nella continua rivoluzione che spinge l’arte a rigenerarsi e rinnovarsi.

Kandinsky Noir, bigarré, 1935 Anche quanti approcciano l’arte, spinti dalla curiosità e dalla sete di conoscenza, ma senza particolari conoscenze tecniche, né corazzati da alcun tipo di preconcetto, avranno di che gioire. Di fronte al “Noir bigarré” – uno dei capolavori in visione ad Aosta – lo spettatore privo di qualsiasi ausilio e barriera è in grado di andare oltre quello che vedrebbe nell’opera un amante del figurativo (né più né meno, una schermata gigante di una complicata partita di Pac Man). Lo squarcio di nero – screziato dai cerchi, dalle linee ondulate e dalle figure colorate – ha la capacità di creare stimoli ed emozioni che probabilmente non pos-

sono essere percepite da chi gli si piazza di fronte senza la volontà di coglierle. Accanto al Kandinsky, nelle sale della mostra, si alternano le opere dei suoi grandi “figliocci” italiani e francesi: Jean Arp, Sophie Taeuber-Arp, César Domela, Piero Dorazio, Gillo Dorfles, Florence Henri, Alberto Magnelli, Alessandro Mendini, Joan Miró, Gianni Monnet, Francis Picabia, Mauro Reggiani, Atanasio Soldati, Ettore Sottsass e Luigi Veronesi. In tutti loro si intuisce il “marchio di fabbrica” del maestro russo: una spiccata impronta cromatica appaiata a linee tortuose. Massimo Zanicchi

CACCIA AL TESORO

I sapori autunnali della tavola valdostana I

n Valle d’Aosta l’autunno è stagione in cui si raccolgono i frutti migliori, i frutti che hanno reso celebri le ricette della cucina savoiarda. Patate, porri, zucche, cavoli, bietole, mele, castagne, noci, ma anche fontina d’alpeggio, toma, miele, mirtilli, selvaggina, lardo e vino novello sono solo alcuni dei prodotti alla base di sfiziosi menù pensati per riscaldare le sere delle prime giornate rabbu-

Si inizia con la festa del Lardo di Arnad per poi proseguire con la Festa dell’uva di Chambave e finire con la Sagra del miele a Châtillon iate dall’ora solare. Per i novizi, i meno pratici o i più pigri ecco di seguito qualche suggerimento per iniziare al meglio questo viaggio nei sapori della tradizione: Da giovedì 23 a domenica 26 agosto, Arnad ospiterà la Festa del lardo. Quattro giorni per celebrare tra musiche e danze, laboratori del gusto e mercatini enogastronomici l’unico lardo europeo a denominazione di origine pro8

tetta. La festa si svolge in località la Keya, in una radura che ospita piccoli chalet in legno, decorati per l’evento con fiori e panni di canapa ricamati. Ampia scelta anche in tema di vini del territorio. Info: Ufficio del Turismo di Pont-Saint-Martin, tel. 0125.804843 - www.festalardo.it Da giovedì 23 a domenica 27 settembre a Chambave si svolgerà la Féta di Résen. La Festa dell’uva in questo paese della media valle rappresenta uno dei momenti enogastronomici più interessanti dell’intera regione. Fra gli altri “Crotte dou Bor”, l’appuntamento serale con le can-

tine private nel borgo di Chambave che per l’occasione si aprono ai visitatori in un percorso dei sapori locali. Info: Ufficio del Turismo di Saint-Vincent, tel. 0166.512239 Domenica 7 ottobre a Gressan e domenica 14 ottobre ad Antey-Saint-André si terrà la Festa della mela, il frutto più coltivato in Valle d’Aosta, dalle gelatine, alle marmellate, ai succhi di frutta, al sidro, alle torte e alle crostate. Info: Ufficio del Turismo di Aosta, tel. 0165.236627 Domenica 14 ottobre Bard ospita il Marché au Fort. Nella suggestiva cornice del Borgo medievale, sovrastato dall’imponente Forte, va in scena la vetrina enogastronomica dei prodotti della cultura alimentare valdostana; Info: Ufficio del Turismo di Pont-Saint-Martin, tel. 0125.804843 Sabato 27 e domenica 28 ottobre Châtillon ospita la IX Sagra del miele e dei suoi derivati e il XVIII Concorso mieli della Valle d’Aosta. La via centrale del borgo, invasa dalle bancarelle dei produttori locali di Miel du Val d’Aoste, diventa, per un giorno, il luogo prediletto dagli amanti di questo goloso alimento, i quali possono sfruttare l’occasione anche per degustare squisiti dolci a tema. Info: Ufficio del Turismo di Saint-Vincent, tel. 0166.512239. Maggiori informazioni: www.lovevda.it


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MOSTRE

FOTOGRAFIA Nel cinquantesimo anniversario della scomparsa, una mostra fotografica, al Forte di Bard in Val d’Aosta, racconta l’icona per eccellenza del Novecento.

MARILYN & BERT

Gli ultimi scatti prima dell’immortalità

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on era la più bella, né la più brava, ma era unica. Si chiamava Norma Jeane Baker e se è ne andata a soli 36 anni, mezzo secolo fa. Eppure, Marilyn Monroe la conoscono tutti. Perché lei è l’icona per eccellenza del Novecento. Una definizione, meglio di tante altre, ne coglie con precisione l’essenza: «È la prima dea creata dagli americani». A formularla, Bert Stern, fotografo che nel giugno 1962 la immortalò poche settimane prima della tragica scomparsa. Di quell’incontro rimangono 2571 foto distillate in tre intense giornate di lavoro in una suite dell’hotel Bel-Air di Los Angeles. Uno straordinario reportage in grado di trasfigurare la bellezza e le forme della diva in opera d’arte: da star di Hollywood a Venere del XX secolo. Sessanta di quegli scatti oggi sono esposti al Forte di Bard, polo culturale valdostano che fino al 4 novembre ospita la mostra “Marilyn, the last sitting. Bert Stern”. Nel 1962 Stern è un giovane (ma già noto) ritrattista specializzato nella caccia alle star del grande schermo. Tra le sue prede non può mancare la stella più scintillante dell’epoca. Propone, così, a Vogue di realizzare un servizio su Marilyn. La redazione, prima, e l’attrice, poi, credono nella bontà del progetto. A Stern non resta che impugnare la macchina fotografica e rimboccarsi le maniche. Il lavoro, come prevedibile, presenta qualche intoppo. Le sto-

The Last Sitting - Marilyn Monroe with Sheet, Elbows Up,1962, Archival Pigment Print,23 x 18 inches

The Last Sitting - Marilyn Monroe In Bed With Wine, 1962, Archival Pigment Print, 18 x 23 inches rie che si raccontano circa i capricci e gli eccentrici comportamenti della diva non sono favole. Tanto per cominciare si presenta con cinque ore di ritardo e come prima cosa chiede che le vengano servite tre bottiglie di Dom Perignon. Tra lei e il fotografo scatta un’armonia insperata, al punto che Marilyn accetta di posare nuda e senza trucco. Lavorano senza sosta per dodici ore in una luce minimale. Il risultato è ottimo, ma a Vogue non la pensano così. Gli scatti sono troppo spinti. Occorre rimettere in piedi il set. Questa volta si tratta di ritrarla, truccata e vestita, come si confà a una rivista di moda nei primi anni Sessanta. Marilyn accetta ancora di posare e dopo poche settimane, la notte tra il 4 e il 5 agosto, muore in circostanze misteriose (forse suicida, forse “suicidata”) per un’overdose di barbiturici. Il giorno successivo nelle edicole americane esce il numero di Vogue con otto pagine di suoi ritratti. Quelli più casti. Quelli più audaci rimasero negli archivi a prender polvere per altri vent’anni. Furono pubblicati solo nel 1982. Al Forte di Bard è in mostra una selezione di entrambe le tipologie. Accanto alle foto canonicamente di moda, vi sono alcune della serie più audace. Quelle che la mostrano nuda o mentre crea un effetto vedo-non-vedo giocando con un velo trasparente davanti al seno scoperto. Scatti maliziosi che stridono con il destino tragico che l’attendeva dietro l’angolo. Scatti che la biografia bruscamente interrotta hanno trasformato in un memento mori meno rumoroso e gridato delle immagini ultrapop che hanno reso Marilyn un’icona. Ritratta con lo sguardo rivolto a terra, fasciata in un elegante abito nero, i capelli raccolti, la mano destra a celarle parte del volto, assume la bellezza tragica di una Madonna caravaggesca. Quanto di più distante dal prototipo che scatta nel-

Massimo Zanicchi

The Last Sitting - Marilyn Monroe with Roses, Violet Tint, 1962, Archival Pigment Print, 18 x 23 inches la mente di ognuno di noi al solo sentirne evocare il nome. Marilyn è la diva fasciata di bianco che danza con i getti d’aria della metropolitana mentre le spediscono la gonna al cielo, la special guest che canta gli auguri di compleanno (con voce incerta e fare ammiccante) al presidente Kennedy, la fatalona che ammalia un selva di pretendenti spiegando loro che i diamanti sono i migliori amici di una donna.

Bert Stern ci offre uno sguardo su Marilyn differente. Le sue foto la rendono più umana, meno artefatta. La fanno sembrare più che un’icona una persona in carne e ossa. Una condizione, quest’ultima, di cui lo show business non si è mai preoccupato, non esitando per un solo istante a fagocitare Norma Jeane per avere una Marilyn da vendere al mondo. Massimo Zanicchi

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IN EVIDENZA

Mario Digennaro Pittore dell’immediatezza

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igennaro è pittore dell’immediatezza. Tralasciando la visione accademica avuta presso la Scuola d’Arte del Castello Sforzesco a Milano, diverge adesso verso l’esigenza di trasfondere sé stesso nel gesto pittorico che sfocia in una necessità in bilico tra l’urgenza e la rabbia. I colori violenti e le tonalità sgargianti sono il sintomo della natura di questo artista che fuoriesce dall’atto introverso, anzi si palesa con forza quasi “intonando” un’imposizione verso il fruitore che lo “obbliga” ad osservare le sue opere. Pennellate veloci e dense quasi scherniscono chi osserva la tela impastata di colore. Quasi infischiandosene della reazione altrui, Digennaro deve comunicare, raccontare storie altrui intraviste in scorci di quotidianità, ma soprattutto storie proprie vissute con afflato ed impulsività. L’artista ama gli impressionisti, guarda a Edgar Degas con ammirazione e stima Norman Rockwell e Lucien Freud ma in realtà non intende seguire uno

stilema, decide di crearlo nell’intento di dar voce ai pensieri dei suoi soggetti, con la convinzione di chi si sente libero solo durante l’atto pittorico. Libero dal giudizio altrui, libero dal giudizio inesorabile del tempo; quel tempo che solo mentre dipinge riesce a fermare, quel tempo che spaventa per il suo scorrere veloce ergendosi a giudice dell’operato di noi poveri mortali. E’ dunque la sua pittura che gli permette di evadere, elevarsi, non per fuggire dalle paure che incombono nella quotidianità ma per convincersi che anche lui ha un mezzo che può trasformare le ansie. E quel mezzo è composto dal proprio pennello, dalla tela schernita e dalla personale scelta dei colori. Digennaro riproduce fedelmente le copie dei capolavori dei grandi Maestri del passato (vedi foto Tamara de Lempicka). mariodigennaro@yahoo.it Massimiliano Bisazza

Pittori piuttosto pittoreschi

Tamara de Lempicka autista derubata S

i ritraeva al volante di una Bugatti verde ma guidava una Renault minuscola e giallastra. Quello tra Tamara Rosalia Gurwik-Górska, meglio nota come Tamara de Lempicka, e l’automobile fu un singolare rapporto. Per una donna nata alla fine dell’Ottocento – quando di

Si dipingeva algida, altera e strafottente, ma la sua non era una Bugatti verde bensì una macchina minuscola e giallastra preciso non si sa perché sull’argomento fu sempre particolarmente evasiva – l’accostamento ai motori rappresentava un’evidente affermazione della propria emancipazione.

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A guardarla ritratta a bordo del bolide verde c’è da pensare «questa è una tipa tosta». Guanti e casco di pelle, sciarpa allungata dal vento, una bellezza glaciale e uno sguardo che avrebbe fatto invidia a Medusa. Nulla lascia sospettare che le cose non fossero esattamente come lei le rappresentava. La perfetta armonia cristallizzata nel suo quadro più celebre – commissionatogli come copertina della rivista di moda “Die dame” – si squaglia, però, come un gelato in un forno, se si dà credito a un aneddoto documentato che vede la glaciale guidatrice trasformata in una goffa rivoluzionaria mancata. La scena si svolge nel cuore della “belle epoque”, in quel di Montparnasse. Per la precisione al “La Coupole”, ristorante e caffè dove gli artisti avrebbero potuto presentarsi in canotta e ciabatte, in quanto lì erano di casa. Al culmine di una notte di eccessi, F.T. Marinetti se ne salta fuori con la sua provocazione futurista: “Diamo fuoco al Louvre!”. Tra il clamore di chi propone di incenerire la Gioconda o di abbrustolire la Nike di Samotracia, si fa spazio l’offerta di Tamara, che più o meno risuona come la spacconata di Fantozzi al termine del mitico cenone di capodanno: «Chi è che viene nella mia macchina? Ho sette posti liberi». La comitiva scende in strada pronta a fare tabula rasa del simbolo per eccellenza del passatismo. Un proposito che – se andasse a buon fine – prive-

Tamara de Lempicka, Andromeda Incatenata rebbe l’umanità di un inestimabile patrimonio artistico. Il problema è che della decantata auto (con i fantomatici sette posti liberi) non c’è traccia. La comitiva di improvvisati rivoluzionari si trova spiazzata. Proprio come Fantozzi che, dopo aver invitato gli inquilini del condominio sovrastante la propria auto a liberarsi della roba vecchia, si ritrova con la Bianchina sfondata da una lavatrice, mormorando «beh, quasi quasi la lascio parcheggiata qui». La Lempicka pressata dai mancati complici piromani, deve aver perso il proprio “aplomb”. La sua non era una Bugatti, ma una macchina per quanto piccola e gialla, ieri come oggi, non è cosa di cui si possa incassare la sparizione con calma olimpica. Il tentativo d’innescare una rivoluzione culturale fallisce miseramente. Il Louvre può dormire placido con la pancia ricolma di prelibatezze artistiche. La serata del gruppo, invece, si conclude nei locali spogli di un commissariato parigino. Tamara si ritrova, come una tapina qualsiasi, a compilare le scartoffie per presentare la denuncia del furto. Un’immagine del tutto stridente con quella della guidatrice algida, eterea e strafottente. Massimo Zanicchi


LA CASA DELLE IDEE

CASAIDEA, riconosciuto punto di riferimento nel settore dell’architettura, dell’arredamento e dell’antiquariato, ha recentemente restaurato la“Chiesetta del Viandante” di Tavazzano (risalente al 1626), per trasformarla in uno spazio polivalente denominato la “CASA delle IDEE”. L’ambizioso progetto è stato illustrato dal titolare dell’azienda, il sig. Giuseppe Acerbi alla fine del 2011. Con il recupero dell’antica struttura, CASAIDEA è impegnata a promuovere un progetto di particolare significato per il rilancio dell’azienda, con l’ausilio di strette collaborazioni con ambienti pubblici e privati che permetteranno di concretizzare gli obiettivi culturali e informativi e favorire l’intera comunità ed il territorio. In questa “location” davvero suggestiva la famiglia Acerbi ha ideato un ricco calendario di eventi culturali, artistici, aziendali e convegni, patrocinati dal Plef (Planet Life Economy Foundation). Domenica 9 Settembre 2012 alle ore 17.00, si terrà un nuovo appuntamento del percorso dedicato al tema del “VIVERE” nel privato e nella comunità. Dopo i due incontri sul tema dell’Ospitalità e dell’Accoglienza con il Prof. Nuvolati dell’Università Bicocca di Milano e quello relativo alla Cucina e alle tradizioni culinarie del Lodigiano con la Prof.ssa Di Nallo dell’Università di Bologna, il nuovo tema che

verrà affrontato sarà: “Il verde, per un ambiente più sano e felice”. L’incontro sarà affidato alla competenza del Prof. Nelson Marmiroli, direttore del Dipartimento di Bio Scienze dell’Università degli Studi di Parma che, negli ultimi 20 anni, ha coordinato oltre 30 progetti di ricerca a livello nazionale e internazionale. Membro del Comitato Esecutivo della International Phytotechnology Society e autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche, affronterà il tema del Verde declinandolo sia nell’ambito del privato come presenza nelle case a favore della depurazione dell’aria e del disinquinamento interno, sia nell’ambito del pubblico come investimento nell’ambiente esterno del centro abitato. Il tema della salubrità negli ambienti in cui viviamo consentirà di presentare e far comprendere la valenza dell’approccio “ECOSYSTEM SERVICE” che il professore, insieme al suo team universitario ed in collaborazione con numerosi partner internazionali, sta portando avanti con veri e propri servizi a disposizione dell’utenza privata e pubblica. Durante l’incontro sarà dunque possibile osservare l’incidenza delle scelte di mobilità piuttosto che di costruzioni o di processi produttivi e comprendere le problematiche che tali scelte fanno sorgere, in modo da trarre indicazioni utili per azioni difensive che mirano a contrastarle o a compensarle a livello locale. L’incontro rappresenterà inoltre l’occasione per ricordare il progetto “Effetto Selva” curato da PLEF con la supervisione del network scientifico referente al Prof. Marmiroli. Il progetto vuole promuovere una riforestazione domestica e urbana per respirare aria sana e vivere il piacere del verde. In particolare intende valorizzare il ruolo di alcuni tipi di piante che hanno il naturale potere di eliminare i VOC (composti organici volatili: formaldeide, benzene, toluene, xilene, No2, ecc.). Diversi studi scientifici dimostrano infatti che gli agenti inquinanti presenti nell’aria, come i VOC, sono fattori di rischio per diverse malattie respiratorie e oncologiche.

Eventi d’Arte Roberta Musi e Maurizia D’Ippolito CASAIDEA ha ospitato dal 17 giugno al 29 luglio 2012, un’ampia retrospettiva dell’artista Roberta Musi. Sono state selezionate per l’esposizione una trentina di opere riguardanti i temi che l’artista ha trattato in maggior profondità e con grandi risultati: i cavalli, la corrida e il movimento. Roberta Musi, nel corso della sua carriera, è arrivata a toccare con la sua ispirazione diversi campi artistici: dalla pittura alla scenografia passando per la ceramica, le incisioni e la realizzazione di “trompe l’oeil” in sedi pubbliche e private. “La pittura rimane però il suo settore prediletto come mostrano anche i riconoscimenti ricevuti nel corso della sua carriera”, ha ricordato Ugo Perugini durante la presentazione dell’artista. E’ stata invitata a partecipare con un suo quadro, alla 54° edizione della Biennale di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi, presso il Padiglione Italia di Torino Esposizioni. Ha presentato la sua nuova opera ad “Arte e Moda Italiana nel Mondo” presso la Camera dei Deputati di Roma, dove tra gli altri sono intervenuti Gianfranco Fini e Santo Versace. Infine, è stata selezionata insieme ad altri stimati artisti per partecipare al concorso indetto da Roberto Formigoni al fine di ornare con l’opera “Il Crocifisso” le sale del nuovo palazzo della Regione Lombardia. Nella serata inaugurale del 17 giu- Maurizia D’Ippolito

Roberta Musi, Al tramonto nell’arena

gno la scrittrice Paola Metalli ha presentato il suo libro “5-Io scrivo col Cielo” insieme ad Alessandro Ghezzi, presidente dell’Associazione Culturale Ok Arte. L’autrice ha spiegato al pubblico presente che il libro nasce da anni di locuzioni interiori piene a tal punto di commozione, trepidazione, eccitazione da desiderare di condividerle ed offrire così la gioia di una lettura celestiale. Proseguono le mostre a CASAIDEA anche dopo la pausa estiva. Domenica 30 settembre alle ore 17:00, sarà inaugurata la mostra di Maurizia D’Ippolito, artista molto attenta alle tematiche dell’inquinamento e del consumo energetico. Le mostre presso Casaidea sono curate da Francesca Bellola. Maurizia D’Ippolito abita a Latisana dove crea le sue opere. La passione per i colori e il disegno trovano una felice realizzazione con svariate tecniche: collage, tempera, acquerello, incisione e tecniche miste. Negli anni, la necessità di esplorare nuove ricerche espressive e creative, porta l’artista a privilegiare il disegno geometrico e la luce cangiante delle stagnole policrome. Nascono così, scartando cioccolatini, caramelle o altro, delle vere e proprie opere d’arte. Attualmente, oltre ai lavori di “collage” con le stagnole, l’autrice prosegue la ricerca di materiali di recupero eterogenei da assemblare in modo da riuscire ad esprimere i propri stati d’animo con le proprie opere. Da diversi anni la pittrice espone in mostre personali e collettive con un buon successo di critica. La mostra si concluderà il 10 novembre 2012.


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I T I N E R A R I C U LT U R A L I

Itinerario alla scoperta del Divisionismo tra la Pinacoteca di Tortona e i luoghi pellizziani di Volpedo

Il Divisionismo

Da Segantini a Pellizza da Volpedo Previati

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oco distante da Milano, tra il borgo e la campagna piemontese, la Pinacoteca “Cassa di Risparmio di Tortona” è ideale punto di partenza per intraprendere un percorso alla scoperta del Divisionismo. Aperto nel 2001, ma inaugurato nella sua nuova veste solo alla fine dello scorso maggio, il museo tortonese si presenta come una “esposizione permanente” di alcuni dei lavori più significativi di Carlo Fornara, Pellizza da Volpedo, Plinio Nomellini, Angelo Morbelli… La scelta di una sede storica come il Palazzetto medievale, a sua volta sorto su resti romani (visibili, da dietro una teca trasparente, all’interno della struttura), cela la

Pinacoteca Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona Tortona, Palazzetto medievale Corso Leoniero 2, angolo piazza Duomo Ingresso gratuito maggio-settembre: sabato e domenica 15.30-19.00 ottobre-aprile: sabato e domenica 15.00-18.30

I musei di Pellizza 1) Lo studio del Pittore. Volpedo, via Rosano 1/a. 2) Museo didattico via del Torraglio, piazza Quarto Stato 1 Orari - maggio-settembre: sabato e festivi 16-19

volontà di creare una linea culturale continua, che parte dalle origini della città e arriva sino al limitare del XX secolo, quando l’industrializzazione, la crescita delle città e l’innovazione tecnologica sono tra i temi più scottanti e attuali. E volendo guardare, tale continuità prosegue ancora, giungendo sino a oggi e mostrandosi con questa iniziativa. Così anche un piccolo centro come Tortona riesce a diventare un polo di grande attrattiva, offrendo a turisti e visitatori una collezione cospicua ed estremamente coerente, giocata tra i tempi della Scapigliatura e quelli del periodo immediatamente antecedente al Futurismo. Un giro di anni che si conta sulle dita di una mano, ma che – soprattutto a Milano

– ha dato grandi frutti, intellettuali e pittorici. Ne dà conferma l’insieme di opere esposte, costituito da un primo nucleo di proprietà dell’istituto bancario, a cui si sono in seguito aggiunti lavori provenienti da un’oculata politica di acquisti, ma anche da comodati d’uso concessi da privati e altre istituzioni, come il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Allestita tematicamente all’interno di ambienti monocromi – unica pecca, forse troppo vicini a un superato museo d’ambientazione da salotto ottocentesco – questa stessa collezione regala dunque delle soprese, come La raccolta del fieno di Giovanni Segantini (1891), omaggio alle Spigolatrici di Millet e, di rimando, a Van Gogh, e Natura morta con frutta candita e caramelle, studio dal vero (1887) di Emilio Longoni, trionfo di una natura morta cromaticamente viva e da peccato di gola, con i brulicanti bon bon al centro della scena. A chiudere la triade di piccoli capolavori, Il sole (1907-1940) di Angelo Barabino, una traduzione pittorica del ‘credo’ divisionista basato sulla scomposizione della luce e dei colori che rievoca il soggetto omonimo trattato da Pellizza (in museo rappresentato da ben venticinque opere – ritratti, soggetti di genere e nature morte). E ricordando proprio lui, il visitatore non può lasciare questa terra senza fare visita al paese natale dell’artista, che l’ha consacrato ai posteri come Giuseppe Pellizza da

Staff

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Direttore responsabile Avv. Federico Balconi Direttore editoriale Francesca Bellola Assistente di Direzione Massimiliano Bisazza Marketing Consultant Antonio Negroni Progetto Grafico e impaginazione Kerr Lab 12

Stampato dalla Igep Via Castelleone 152 CR Testata OK Arte Reg. Tribunale di Milano del 6 maggio 2008 n. 283

Informazioni e pubblicità 3474300482 info@okarte.org OK ARTE sede in c.so Buenos Aires 45 presso agenzia Cattolica

Hanno Collaborato: Clara Bartolini Massimiliano Bisazza Silvia Colombo Alessandro Ghezzi Francesca Gobbo Luca Impellizzeri Francesca Mariano Milena Moriconi Stefano Pariani Antonio Purpura Mariantonia Ronchetti Massimo Zanicchi

Volpedo. La città fa spazio alla campagna e da ogni cosa trasuda la sua presenza, ogni luogo ricorda il suo nome, le sue opere e la sua fama. Poco lontano dal centro sorge lo studio, fatto costruire nelle adiacenze dell’abitazione di famiglia e poi donato dalle figlie alla città perché potesse essere aperto al pubblico. Ancora oggi, all’interno di questo spazio, affascinante come solo gli atelier d’artista sanno essere, sono conservati gli strumenti di Pellizza, i suoi

libri, alcuni modelli e degli schizzi preparatori. Nel cuore pulsante del paese, affacciato su Piazza Quarto Stato – dove l’artista ritrasse i concittadini per dare vita al suo più celebre capolavoro – si trova infine il Museo Didattico, a cura di Aurora Scotti, un interessante modello museale poiché incentrato sul fare tecnico divisionista e, più in particolare, sul tocco di Pellizza. Silvia Colombo


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IN EVIDENZA

Laura Vizzardi

e l’amore per l’Africa L

a pittura di Laura Vizzardi è fortemente intrisa dall’arte africana: si pensi alla sua ammirazione per il pittore Shafik. Lunghi periodi di vita trascorsi nel grande, sconfinato continente (nel quale partecipa alla Biennale di Malindi), hanno permesso all’artista di far emergere un profondo senso di spiritualità misto a quella religiosità sincretista che per accezione non ha una singola appartenenza ad un uni-

co credo, bensì è parte dell’universo col quale si sposa anche in senso materico grazie all’utilizzo che lei fa del colore. I colori maggiormente impiegati sono il rosso, simbolo di fecondità e della vita, il bianco ed il nero, rappresentanti della vita eterna e dell’oscurità. E’ col passare del tempo, in seguito ad una sua evoluzione pittorica del tutto personale, che l’artista trascende la coloritura che rimanda all’arte africana più conosciuta ed ancestrale, per utilizzare l’oro e lasciarsi cullare liberamente nell’uso del colore. Grandi artisti delle Avanguardie Storiche ci hanno insegnato l’ammirazione per questo stile. Ricordiamo la lezione dei Fauves come André Derain, Henri Matisse e Maurice Vlaminick che ne furono i primi ammiratori coesi ma inconsapevoli e determineranno nel corso

degli anni un vero e proprio rinnovamento plastico che influenzerà tutta l’arte del divenire. L’artista che alberga in Laura Vizzardi non disegna mai prima sulla tela, bensì è la scelta e la stesura del colore che permettono all’emozione che è in lei di manifestarsi attraverso il mero gesto pittorico. Libera da accademismi, vincoli di forma, stende un colore dopo l’altro con le mani fino al momento in cui l’emozione ha il suo termine e con essa il suo quadro. Permette che qualsiasi cambiamento radicale sia possibile e l’intento della sua poetica è di consentire allo spettatore di entrare in un mondo di percezioni, di scoprire nuove vibrazioni e nuove forme, nuovi materiali. Infine, non ama dare un significato ai propri lavori. Tutto dipende quindi dalla variabile personale emozionale, dal vissuto, dalla sensibilità di chi osserva la pittura segnica e gestuale di questa sensibile artista, tutta da scoprire. www.lauravizzardi.com - info@lauravizzardi.com Massimiliano Bisazza

Lo spirituale nell’arte parietale A

lessandra studia alla Scuola Superiore d’Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano e si specializza in tecniche murali e poi in pittura. Dopo una ricerca intensa nello studio di queste tecniche artistiche ed il conseguente approdo dunque alla tecnica del “fresco” (antica e complessa per via dell’utilizzo di calce, pigmenti naturali e di inerti che ne comporta una veloce esecuzione), prosegue la sua maturazione nei murales dipinti con

acrilici (street art). Quasi a voler fondere tutti gli insegnamenti appresi fino a quel momento, trovando il proprio metro e mezzo di espressione, permettendo in tal modo a sé stessa di lasciarsi librare dalla propria mente, dall’anima e dal cuore. I suoi murales attuali mostrano tematiche influenzate dai suoi frequenti viaggi in tutto il mondo e da sue profonde meditazioni. Quando disegna, dipinge, ama perdersi nell’esperienza che dona felicità e pienezza al suo

Irene Aversano S

cevra da ogni forma accademica e soprattutto pronta a liberare il proprio inconscio. Questa è la pittura di Irene Aversano che coniuga le proprie emozioni, anche quelle più inconsce e recondite, tramite la gestualità della pennellata che scaturisce in cromatismi lirici ed intensi al contempo. Innamorata della linea nera che sembra forgiare metaforicamente il contorno delle sue forme che, dopo una fase figurativa, spaziano sempre più verso una poetica astratta delicata e molto femminile. I suoi quadri sono ispirati non solo dall’inconscio e dal mondo onirico ma anche dall’universo infinito della psiche; dalle immagini e dalle sensazioni che catturano infiniti stati dell’anima. Ama definirsi una “decoratrice” e sotto questo aspetto si evince la sua forma-

zione nelle Arti Applicate: spontaneamente abbinata ad un profondo senso estetico permeato da un forte gusto personale nell’utilizzo di colori vibranti. A volte contrastanti, a volte affini tra loro e dipinti con una voluta lentezza quasi liturgica ed insita nel compimento del gesto pittorico. Si nota una chiara influenza derivante dall’arte decorativa bizantina, dall’Art Nouveau, dove toni ed accenti spaziano dalla Secessione Viennese al Simbolismo. L’uso del colore è ricco di campiture che sono presenti nei quadri di fine ‘800, da Gauguin ai Preraffaelliti. Tutto ciò, infine, viene sapientemente guarnito dalla lezione di colore e musica che Kandinsky ci ha insegnato all’inizio del secolo scorso. irene.aversano@gmail.com Massimiliano Bisazza

cuore e alla sua mente. Il non dualismo corpo-mente è tipico delle filosofie orientali ma questa fusione interessa Alessandra in un modo così spontaneo e trasparente da riconoscerla come “artista pura” e libera da altri intenti se non quelli dell’arte e della libera espressione delle proprie sensazioni. Spiritual within wall paintings Alessandra studied at the ‘Sforza Castle’ School of Arts where she specialized in fresco art and painting techniques. She continued her the studies by the use of acrylic colours on murales. She allowed herself the freedom of her mind, soul and heart. Her present day works show in their subjects how she has been positively influenced by her frequent journeys around the world, and by her meditations. She’s thanking the Divinity with gratefulness for letting her achieve the love of Arts and for her creativity, which is under an ever-changing process losing herself. Massimiliano Bisazza

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IN EVIDENZA

Rubrica del Prof. Purpura

Promossi e bocciati D

al titolo il pensiero corre immediatamente alle nostre esperienze scolastiche o a quelle dei nostri figli o nipoti. E’ vero, in questo periodo la scuola con i suoi verdetti impone le sue decisioni, a volte procurando grandi gratificazioni a volte amarezze, non solo per i ragazzi ma anche per le famiglie. Da questo possiamo dedurre che il successo o l’insuccesso scolastico si misura sulla base dell’apprendimento, la didattica diviene così lo strumento che determina la selezione dei ragazzi. In questa dinamica è però doveroso chiedersi quanto sia un fallimento del discente o quanto sia un fallimento del docente. Gli esseri umani, lo sappiamo, non sono tutti uguali. I ragazzi nascono, crescono e si sviluppano in contesti familiari diversi e le stesse variazioni culturali, di ceto sociale, di affettività e di stimoli, influiscono su di loro fin dalla più tenera età, sviluppando e predisponendo il loro cervello ai futuri apprendimenti che la scuola proporrà. Ognuno reagirà in modo personale ad una tecnica didattica, di solito sempre la stessa, indipendentemente dalla tipologia dei discenti che si ha di fronte. E’ difficile vedere docenti che riflettono su un cambiamento e adattamento della loro didattica e del loro metodo, ritenuto sempre oggettivamente valido, indipendentemente dalle caratteristiche soggettive del discente, unico responsabile del suo fallimento scolastico. Se ci fosse una costante verifica del processo formativo, un adattamento della didattica al discente, con una mediazione graduale secondo le sue necessità, con un corretto supporto psicopedagogico che valuta non solo il prodotto finito, ma soprattutto i procedimenti adottati per raggiungere l’obbiettivo, avremmo sicuramente meno insuccessi. Serve adattare il metodo al destinatario; esso non ha ragione di esistere se non si confronta con la soggettività di ognuno. Le risposte dei discenti, a questo punto, saranno diverse e personalizzate ma comunque tutte valide. La scuola dovrebbe essere una palestra dove ogni soggetto possa trovare gli stimoli a

lui adeguati, le opportunità secondo le capacità, metodologie e strategie idonee a sviluppare capacità cognitive in un clima di democrazia e pari opportunità. Solo così si potrà evitare il ripetersi dei fallimenti e delle carenze che possono condurre in un circolo involutivo, con il rischio di possibili emarginati e disadattati nella società del domani. La scuola dovrebbe investire tutte le sue risorse nella formazione dei futuri cittadini, nostri figli, che prenderanno le redini della società in un prossimo futuro e che si troveranno ad affrontare la vita del domani, resa non facile anche dai nostri errori ed egoismi. Riflettiamo sul loro futuro.

Alessandro Brevi Intorno alla natura morta

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al 4 al 30 maggio Alessandro Brevi ha esposto le sue opere nella sala Biagi della Libreria Rizzoli in Galleria. Artista di rara sensibilità, riesce ad armonizzare forme e colori creando opere di raro equilibrio formale e cromatico. Riprende i suoi soggetti dalla realtà. Una melanzana, una vecchia teiera, una zucca, due

oche assumono connotazioni di rara eleganza visiva per il sapiente accostamento dei colori e delle materie usate. Le sue opere hanno dimensioni importanti sulle quali l’occhio dell’osservatore indugia curioso di carpire i segreti delle tecniche usate. Se volete saperne di più, cosa che caldamente consiglio, esplorate il suo sito: www.alessandrobrevi.it Vi sorprenderete nello scoprire, oltre alle opere, le attività di questo artista. Alessandro Ghezzi

Le cinque epoche del film italiano Sergio Leone: “C’era una volta l’Italia”

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968. La “giovine” Italia non ci sta più. Il sessantotto, in Italia come altrove l’anno della protesta, immediatamente ed istintivamente successiva alla presa di coscienza della storia che sta per cambiare e cambiarci tutti. La tenace dissidenza universitaria ingaggia violenti scontri con le istituzioni, e, come sempre accade, la tragedia è dietro l’angolo: il 31 dicembre uno dei clienti del locale versiliese “La Bussola” spara allo studente Soriano Ceccanti, reo d’aver interferito assieme ad altri col veglione di fine anno. Per chiudere in bellezza. Pare uno scherzo del fato che Leone esca proprio in quella famigerata annata con il memorabile “C’era una volta il west” (ma quale opera del regista romano in fin dei conti non lo sarebbe), opera cinematografica che sembra sbarazzarsi di tutto ciò che è morto. Questo polveroso ritratto color seppia della vecchia America, quella della frontiera, di indiani e cowboy e del western classico, antitetico a quello della solare Monument Valley (dove peraltro fu girato il film in questione) dei film di Ford, non rappresenta una fine alla fine, una fine cinematografica in divenire, bensì una fine sin dall’inizio. Il vecchio letteralmente spazzato via, lo era stato già 14

all’inizio del film probabilmente, e la prostituta Jill (Claudia Cardinale) arrivata da New Orleans in cerca di sistemazione ne diviene, man mano che avanza la storia (e la

Storia) il simbolo del nuovo che avanza, proprio come la corsa dell’inarrestabile ferrovia alla quale si fa riferimento, a cancellare i fantasmi del passato; poco importa che si

tratti di Armonica (Charles Bronson), Frank (Henry Fonda) o del loro bellissimo ed inutile duello, violento e ipnotico eco del vecchio West. Sentenza stata emessa. “C’era una volta il west” ha talmente una musica tutta sua che sembra quasi diviso in blocchi totalmente indipendenti tra loro; il suo ritmo cinematografico lentissimo, quasi come se ad ogni scena lo spettatore fosse catapultato nel bel mezzo di una marcia funebre e rimanesse intrappolato nel flusso di particolari visivi e sonori che si trova tutto attorno (anche Morricone, qui, in splendida forma); l’attesa del momento sempre estenuante, e il momento arriva fulmineo, come una coltellata che lascia nell’aria soltanto un balenare di lama e uno pennellata di sangue. Della lezione western italiana si ricorderanno bene i vari Peckinpah col suo sangunario mucchio, il McCarthy della frontiera e persino il talentuosissimo Anderson col suo burbero petroliere. Armonica-Bronson ha vinto, ma ha perso, e va a morire da qualche selvaggia parte, dove la modernità non era ancora arrivata con le sue diavolerie. Il mondo non è più un paese per vecchi. Luca Impelizzeri


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I T I N E R A R I C U LT U R A L I

Arena Museo Opera Inaugurato a Palazzo Forti di Verona L’obiettivo di AMO è quello di valorizzare e divulgare la nostra cultura operistica che tutto il mondo ci invidia

la fase iniziale fino alla rappresentazione dell’opera lirica. Per la prima volta vengono esposti tutti insieme lettere e autografi originali, appunti di Verdi, Bellini, Puccini, Donizetti, Bellini e Rossini. Ci sono libretti, partiture, bozzetti, scenografie, fotografie che provengono dagli Archivi della Fondazione Arena e dall’Archivio Storico Ricordi. Sarà come rivivere il palcoscenico; una sala è dedicata alla scenografia dell’Aida di Zeffirelli. La gente potrà sentire le opere in 3D, consultare la parte didattica e seguire un vero e proprio percorso multimediale. L’esposizione è permanente oppure vive ed è in continua fase di cambiamento? L’attuale allestimento resterà fino al 2014, ma le mostre

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el cuore di Verona, splendida città d’arte avvolta da millenni di storia, si scoprono resti romani molto ben conservati, vestigia medievali, testimonianze veneziane ed austriache nelle magnifiche chiese, nei palazzi, nei ponti e nelle piazze. Una città incantevole a misura d’uomo dove si respira il nostro passato e si assapora il presente nelle botteghe artigiane, nelle storiche osterie, negli eleganti bar che sono animati da migliaia di persone tutto l’anno. Da sempre meta turistica internazionale, la città è diventata magica per mano di William Shakespeare che l’ha resa immortale attraverso la tragedia dei due giovani amanti, Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti celebrandola con frasi come “Non esiste mondo fuori dalle mura di Verona; fuori c’è solo il purgatorio, il tormento l’inferno...”. Ogni estate, il numero dei melomani che assistono alle rappresentazioni liriche all’Arena è sempre maggiore. Lo scorso 23 giugno, in concomitanza con l’apertura del 90° Festival lirico con il “Don Giovanni” di Mozart per la superba regia di Franco Zeffirelli, è stato inaugurato a Palazzo Forti “AMO” (acronimo di Arena Museo Opera), primo museo al mondo dedicato alla lirica. Grazie a questo notevole ed ambizioso progetto la città vive di una nuova luce. Esistono, infatti, solo delle esposizioni di strumenti musicali o raccolte di oggetti di molte rappresentazioni, spesso nemmeno originali o provenienti da altri archivi. Finalmente l’Italia, patria dei più grandi autori come Verdi, Bellini, Rossini, solo per citarne alcuni, può vantarsi di possedere una sede adeguata per ricordarli. Palazzo For-

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ti, costruito nel Medioevo, fu ampliato da importanti architetti fino all’Ottocento quando divenne la residenza ufficiale di Napoleone Bonaparte. Nel 1937 l’edificio fu donato da Achille Forti alla città di Verona per diventare sede museale. L’obiettivo di AMO è quello di valorizzare e divulgare la nostra cultura operistica che tutto il mondo ci invidia, utilizzando tecniche multimediali per scoprire tutti gli aspetti meno conosciuti ma altamente specializzati che vanno dalle sartorie ai trucchi, dalla voce dei cantanti all’orchestra, al coro etc.. Un’operazione nata grazie alla sinergia tra l’amministrazione comunale e la Fondazione Cariverona. “Crediamo - ha affermato il sovrintendente della Fondazione Arena, Francesco Girondini - che dia valore aggiunto al polo museale veronese ed aggiunge un altro tassello importante in vista della stagione del Centenario, nel 2013”. Flavio Tosi, sindaco di Verona, ha ribadito: “Si tratta di una iniziativa importante per il mondo dell’arte e della cultura della nostra città”. Chiediamo a Kikka Ricchio, Direttrice del museo, nonché curatrice, com’è andata questa inaugurazione. Mi ritengo soddisfatta se penso che tutto il lavoro progettuale e di allestimento è stato fatto in soli 38 giorni. La mostra permanente a Palazzo Forti, ex sede della Galleria d’Arte Moderna, doveva predisporre di altri due locali. Questo non è stato possibile per un problema logistico. Inoltre, abbiamo lavorato senza intervenire sulla struttura, né sui pavimenti né sugli impianti, in pratica non abbiamo appeso nemmeno un chiodo alle pareti. Ci siamo sbizzarriti col nostro estro utilizzando 400 mq. di velluto, 1.600 metri di tessuto blu e cose similari. Il primo piano del Museo è diviso in 7 sezioni che occupano 15 sale. Cosa vi troverà il visitatore? Intanto diamo ampio spazio alla creatività partendo dal-

monografiche cambieranno con il passare degli anni. I costumi di scena saranno utilizzati per le rappresentazioni poi torneranno in mostra e, con l’ultimazione dei lavori nel 2013, in occasione del Centenario dell’Arena, il museo diventerà itinerante. Info: www.arenamuseopera.com Francesca Bellola

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Quadrifoglio Galleria d’Arte

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o scopo di questo catalogo è quello di riportare ordine nel mondo dell’arte di oggi, promuovendo gli artisti veri che sanno trasmettere emozione e personalità nelle opere. Il nostro progetto è basato sulla qualità delle opere, sulla costanza dell’artista e sulla fiducia dei clienti, cosa che purtroppo al giorno d’oggi non fanno più in molti. Il catalogo verrà presentato e promosso in concomitanza con una mostra collettiva realizzata, con un’opera a testa, degli artisti partecipanti; mostra che si svolgerà da sabato 6 a domenica 21 ottobre 2012, presso la Galleria d’arte Quadrifoglio a Rho (MI) che sarà presentata dalla critica Vera Agosti.

Orari apertura

della Galleria Lunedì: 10 - 12,30 Martedì: 16 - 19,30 Mercoledì: 10 - 12,30 / 16 - 19,30 Giovedì: 16 - 19,30 Venerdì: 16 - 19,30 Sabato: 10 - 12,30 / 16 - 19,30 Domenica: 10 - 12,30 / 16 - 19,30

www.galleriaquadrifoglio.net

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Elenco artisti partecipanti al catalogo AGRIMI Ivana ARZUFFI GianPietro CALIANDRO Costanza CASERTA Giuseppe CORSANINI Gino GARGIULO Sefora GEMELLI Fabio LACQUA Mauro LAMAZZA Rosario LO GIUDICE Paolo LOPEZ-PALAO Silvia MARINELLI Renzo MAZZEI Italo MELE Vito OLIVARES Matteo PANCERA Fiametta PEDOTTI Lucio PEDUZZI Caterina PIAZZOLLA Loretta PICCININI Gilberto RENOLDI Massimo RICCA Elvio ROTA BRUSADELLI Paola RUFFINENGO Arianna TRETYAKOVA Tatyana VIGNANDO Adriano WOLTER Yo-Xarek


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