Coolclub.it n.6 (Luglio/Agosto 2004)

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Tango e tanga: una strana consonanza, una perfida concordanza mentale venuta a qualcuno dei nostri per questo nuovo numero di Coolclub.it. E allora prima tutti a ridere e poi ad arrovellarsi per scriverne qualcosa. Cercare un legame è difficile almeno in prima battuta, partire per la tangente, complice anche il caldo, molto più semplice. In questi giorni in cui l'unico desiderio del collettivo redazionale è quello di trasformarsi in piccoli pesciolini per trascorrere la giornata a guardare i culi delle bagnanti, il tanga aleggia nei pensieri e nelle voglie. La voglia di comunicare attraverso il codice dei sensi, attraverso una lingua, magari la danza e il tango, capace di fondere in sé i diversi linguaggi del corteggiamento, i suoi meccanismi e renderli rito, un rito senza un'origine e un'etimologia precisa ma con una carica rivoluzionaria che da più di due secoli rappresenta la coppia tradotta in musica. Quando termometro e ormoni vacanzieri impennano Copa Cabana e i suoi mini bikini sono la meta sognata per una meritata vacanza e nello zapping frenetico nella canicola pomeridiana il tanga impazza sulle ballerine scolpite che si muovono al ritmo di bachata mentre una combriccola di cugini ispanici di Raul Casadei ammiccano ingelatinati e con il bicipite in bella mostra. E questo è pornografico, più di usare filo interdentale al posto delle culotte, più del porno c'è la febbre del latino americano e che si tratti di Argentina, Brasile, Cuba poco importa. Per gli amanti della lingerie, i più progressisti intendo, il tanga è sempre una sorpresa gradita. Per gli amanti della musica e del tango, la scoperta della sua volgarizzazione un affronto da denunciare. Un vero tanga come il vero tango sono ormai merce rara e il motivo è comune. Sia il tanga che il tango soffrono dello stesso male: l'aumento vertiginoso dell'offerta. Due delle mie mete preferite quando esco a fare shopping sono i negozi di biancheria intima e quelli di dischi. Nei primi mi spaccio per un fidanzato alla ricerca di un regalo sfizioso, nei secondi per un distratto ascoltatore che si guarda in giro senza sapere cosa vuole. In uno e nell'altro caso mi documento perché mi piace tenermi aggiornato, e nell'uno e nell'altro caso il rischio di entrare in confusione è elevatissimo. Troppa roba, troppe offerte, troppa scelta. Provate per un attimo a pensare alle tipologie di mutande contenute nel vostro cassetto. Le mie sono tre: slip, boxer, boxer elasticizzato… ho anche un perizoma regalo di una mia ex ma non l'ho mai usato. Ora provate a pensare alle tipologie di mutandine che potrebbe possedere un ipotetica lei, la lista è infinita, fatta di impercettibili ma a quanto pare importantissime variazioni (altezza o bassezza della vita, quantità di tessuto, tipo di tessuto, taglio sulla coscia, sulla chiappa, davanti), un delirio. Lo stesso vale per la musica. Se si intraprende un viaggio tra tango e i suoi derivati o più in generale tra un genere e le sue variazioni la strada diventa impervia e piena, ahimè (e qui vale anche per la biancheria), di spiacevoli sorprese. Due le soluzioni possibili: la sperimentazione o il purismo. Nel primo caso bisogna provare e provare finché non si trova il nuovo che soddisfa. Per la biancheria trovo interessante il perizoma, non proprio quello drastico ma più quello accennato in un gioco di vedo, non vedo, per quanto riguarda il tango trovo non male il disco dei Gothan Project uscito qualche tempo fa. Nel secondo caso il risultato è rifugiarsi nelle poche ma radicate certezze. E allora cosa c'è di meglio di una sera al chiaro di luna con la tua donna vestita solo di un bicchiere di vino e una classica mutandina bianca con un bel disco di Astor Piazzolla come sottofondo… Buona estate e buona lettura. Osvaldo


TANGO DA MORIRE

TANGO DELL’ANSIA

Ogni volta che ci riuniamo per decidere l'argomento di CoolClub.it mi tremano le vene ai polsi. Perché ormai è una prassi consolidata che il pezzo curioso e (speriamo) divertente su qualsiasi tema debba spettare a me. Così quando Dario se ne è uscito con Tango e tanga subito mi è scappato da ridere pensando alle svariate possibilità che un uomo e una donna hanno di scrivere qualcosa su questi due temi apparentemente distanti ma indiscutibilmente legati se non altro dalla sensualità. Quando io penso al Tango penso immediatamente a Libertango e Astor Piazzolla e in maniera repentina a tutti i miei amici che quella canzone la suonavano e la suonano (uno su tutti il Pinca). Quando penso al tango penso anche a quell'ultimo lussurioso tango (che da queste parte si trasforma a Palmariggi) del compianto Marlon Brando. E quando penso al Tango penso all'Argentina e ad una ragazza che veniva da Lanus e che si chiamava Claudia e che al mare (a Torre Sant'Andrea, per la precisione estate 2001) indossava uno splendido Tanga. E quando penso a Claudia (e alla sua idea platonica di culo) penso a Lanus e penso ad un suo illustre concittadino (motivo per il quale, oltre al Tanga, attaccai un bottone enorme e poco fruttuoso). Si tratta di Diego Armando Maradona. Da quel piccolo centro arrivò palla al piede (forse proprio un tango, sogno di tutti gli aspiranti calciatori) in Europa e dopo essersi distrutto una gamba a Barcellona approdò a Napoli da re. È fuggito dall'Italia come i Savoia. Maradona, l'ho già scritto sul sito quando si sono aggravate le sue condizioni fisiche, non è stato solo un calciatore. È stato un profeta, un dio, una vera illuminazione per chi, seppur per scherzo, ha toccato un pallone da calcio. È stato un trascinatore che ha portato alla ribalta e alla riscossa sociale due popoli. Quello argentino e quello napoletano. Due popoli che in molte cose forse si assomigliano e sicuramente si sono tenuti per mano in alcuni anni terribili per motivi economici ma fantastici e strabilianti per motivi sportivi. Quella coppa del Mondo alzata in cielo mentre la crisi economica impazzava, quelli scudetti vinti nonostante gli omicidi di camorra. Maradona ha fatto impazzire la gente e si è come immolato sull'altare delle celebrità, coinvolto dalla sua stessa passione e passionalità. Ma vederlo giocare era come vedere danzare una coppia di tango. Le sue finte, il suo controllo di palla, le sue moine, i suoi salti nonostante la bassezza, la sua grazia nel non cadere mai. Tango, tango da morire, tango sul prato. E se penso a Maradona, al calcio e all'Argentina mi vengono alla mente le parole lette e ascoltate di uno scrittore sfortunato nel calcio come nella vita. Osvaldo Soriano mi ha insegnato a pensare coi piedi a vedere la parte poetica del calcio quella dei campetti di periferia dove per anni ho seguito mio cugino che ha realizzato il sogno della mia vita, quello di fare il calciatore. Soriano tratteggia nei suoi racconti sul calcio storie al limite dell'ilarità con allenatori picchiatori, difensori arcigni e vecchi con gli spilli in mano e portieri decaduti ricordati da tutti per un rigore. Quel rigore più lungo della storia del calcio che forse più di ogni altra storia racconta un popolo quello argentino che nella sua passione per il calcio (oltre che per i cognomi) ricorda tanto l'Italia. Pedro Pablo

Non saprai, non saprai mai, cos'è morire mille volte di ansietà; non potrai mai capire cos'è amare e impazzire. (Pasional Mario Soto, Jorge Caldara) Aspetto sempre qualcosa. Non più qualcuno. Aspetto un momento, una giornata, un saluto, uno sfioramento. Aspetto di pranzare. E dopo pranzato aspetto di cenare. Aspetto di iniziare un buon libro e poi aspetto di finirlo, per godermi la pausa fra due letture buone. Dicono di me che ho perso, che sono cambiato. Hanno sempre da parlare e sempre parleranno. Adesso dicono che sto esagerando e prima dicevano che stavo esagerando anche. Dicono sempre che esagero. Non sanno niente. Non sanno dove vado, né come ci vado, né con chi ci vado sanno. E a pranzo voglio pranzare in un posto e a cena voglio cenare in un altro posto. E domani di nuovo, ma sempre con la stessa persona. Adesso dicono che sto esagerando e prima dicevano che stavo esagerando anche. Aspetto sempre di trovare un lavoro. E dopo che l'ho trovato aspetto di lasciarlo per poi trovarne un altro. Aspetto che mi licenzino, ma se non lo fanno mi licenzio io. Aspetto che arrivino i soldi. Quelli tanti. Quando sto bene sono contento. Come tutti. Ma non aspetto di stare male per poi stare di nuovo bene. Sto bene e basta. Il gatto mi sveglia all'alba. Aspetto che gli altri si sveglino. Aspetto che si svegli la città. Il gatto vuole sempre giocare. Io non ho sempre voglia di giocare con il gatto. Amo una donna e solo una adesso ed è la mia donna. Adesso dicono che sto esagerando e prima dicevano che stavo esagerando anche. Mi piace cucinare e mi piace mangiare e bere anche, ma non mi piace che dopo che mangiato e bevuto ci siano i piatti e i bicchieri da lavare. Uso piatti e bicchieri di carta. Ma le pentole no. Il tango è una musica triste. Il tango parla di uomini innamorati che sono tristi perché sono innamorati e adesso gli altri dicono di loro che non sono più quelli di una volta. Dicono che hanno perso, che sono cambiati. Ma gli uomini del tango sono felici di essere tristi perché vuol dire che sono innamorati. Adesso dicono che stanno esagerando, gli uomini del tango, e prima dicevano che stavano esagerando anche. Non sanno niente. Non sanno i suoi occhi nella sua smorfia segreta, non sanno i suoi sospiri nella sua smorfia segreta, non sanno la sua voce da bambina. E non sanno che gli uomini del tango hanno lasciato il coltello per amore di lei. Adesso dicono che sto esagerando e prima dicevano che stavo esagerando anche. dario goffredo

Il tango è un pensiero triste che si balla (Enrique Santos Discépolo) Come spesso accade quando si parla di qualcosa, si rischia di darne un' idea distorta, approssimativa, insomma banale. È per questo che quando si parla di tango, non lo si può definire soltanto un ballo, perché rappresenta molto e molto di più, esso è vita o meglio ne è un aspetto. Nato dall' incontro tra gli indigeni (gauchos) e le svariate etnie che in Argentina si sono riversate, il tango non poteva non influenzare lo strumento comunicativo che più attinge da ciò che ci circonda: il cinema. Il rapporto tra queste due arti affonda le sue radici all' inizio del secolo scorso quando il muto lascia definitivamente il posto al sonoro e alle melodie che accompagnavano il tango. Memorabile è a questo proposito il ballo di Rodolfo Valentino con A. Terry nel film "I quattro cavalieri dell' Apocalisse" del lontano 1921. Come non ricordare poi "Ultimo tango a Parigi", il film di Bertolucci censurato per trent' anni e che ha cambiato un' epoca, nel quale il controverso rapporto con la vita che conduce inesorabilmente alla morte del protagonista Brando rappresenta l' anima più viva di questa danza. Non mancano tuttavia esempi recenti di registi che non hanno saputo resistere al fascino di portare questo ballo sul grande schermo. Si va dal passionale "The Tango Lesson" dell' inglese Sally Potter, interpretato da se stessa e dal grande "tangista" Pablo Veron al controverso "Assassination tango" di Robert Duvall (egli stesso interpreta un killer spedito in Argentina per un lavoro che si farà travolgere dall' amore per la danza), passando per il finissimo "Tango" di Carlos Saura, maestro del cinema. Insomma tango e cinema rappresentano un binomio perfetto. Cos' altro aggiungere a quello che, come in questo caso si commenta da solo...; forse che per comprendere davvero la poeticità e la malinconia che scaturiscono dal tango bisogna prima di tutto viverlo, per poi amarlo e comprenderlo, come tutte le cose all' apparenza solo tristi, ma che fanno in fondo parte della nostra vita. Michele


Me falta el sur.... perciò ballo il tango senza tanga!!! Ovvero avventura turistico sessuale di un gay europeo in viaggio nel Salento. Eccomi qui, ultima settimana di giugno, mi lascio alle spalle il lavoro nel basso e triste Piemonte, i viaggi in Inghilterra e in Francia, le amicizie anglofone e i partner occasionali, e torno al “sur”, la culla del sole, per una vacanza al mare, carico di speranze, emozioni e ricordi. Recuperata la mia amica parigina appena atterrata a Milano, prendo un low cost flight prenotato un mese prima e mi dirigo in direzione dell'Africa, al caldo sole del 40° parallelo. Arrivato a Lecce, compio le mie obbligazioni familiari e saluto i miei amici di sempre, mi informo sull'attualità socio culturale e resto un po' deluso sapendo che non c'è molto da fare. Allora, per trascorrere “gaiamente” la vacanza, niente di meglio che fare il turista sessuale. Mi armo di tintarella, maglietta Prada, infradito con i fioroni e penso, come canta Bjork, i'm going hunting.... Le opportunità sono diverse: posso chiamare un vecchio amico “molto particolare” o andare alla scoperta di nuovi territori da esplorare in solitaria, o per non correre rischi, salvare capra e cavoli. Con la prudenza e con la punta di egoismo che mi contraddistinguono opto per l'ultima scelta. Chiamo l'amico molto particolare, e intanto mi informo sui punti di ritrovo gay della zona: anche per questa query i risultati scarseggiano: Corto Maltese, piazzetta Santa Chiara, una spiaggia a Gallipoli e una a S. Cataldo: in poche parole, i posti di sempre, almeno per quanto ne so... Il Corto Maltese è un simpaticissimo pub attaccato al centro di Lecce, preso d'assalto, non si sa bene per quale ragione, dalla gay community locale. All'interno praticamente non c'è mai nessuno, tranne qualcuno timido seduto ai tavoli, qualcuno in fila per il bagno (sempre sporco), e qualcun altro che prende pinte di ottima birra ambrata (un po' cara, ma veramente buona). Ma la cosa più strana è che tutti gli avventori del posto sono fuori dal pub, per strada, sui gradini, seduti sulle macchine tirate a lucido per l'avvenimento gay della serata (per lo più uguale a quello del giorno prima e del giorno dopo). Entrare nel locale, specie accompagnato da una donna e parlando con lei francese, significa attirare notevolmente l'attenzione della popolazione locale, un esame attento ai raggi X, grazie al quale si è subito classificati IN o OUT. L'ambiente è misto: molte dive, molte ragazze (veramente difficile distinguere il sesso originario tra le dive e alcune lesbiche), qualche orso, qualcuno a testa molto bassa, e anche qualcuno normale, che non si capisce se sia capitato lì per sbaglio o cos'altro. Unico denominatore comune: un abbagliamento modaiolo all'ultimo grido e pettinature scolpite dal migliore parrucchiere pochi minuti prima: sono tutti bellissimi, abbronzantissimi, magrissimi e/o muscolosissimi... più che un pub sembra una sfilata fashion!!! Inutile dire che una maglietta Prada e i miei fantastici infradito a fioroni non sono che una goccia in mezzo al mare di lustrini e paillettes, scarpe lucidissime con punte aguzze utili solo a schiacciare le formiche negli angoli e a deformare la normale anatomia del piede. Da qui, (dove ero chiaramente OUT, con le mie dita dei piedi all'aria) me ne vado, con un unico rammarico, non essere riuscito a parlare con Daniela, la proprietaria del locale, molto friendly, di una bellezza arabesca e uno charme unico... vabbhè, sarà per la prossima volta... Mi sposto in piazzetta Santa Chiara, dove incontro, tra una folla imbizzarrita che fa avanti e indietro senza nessuna ragione apparente, le stesse persone del Corto Maltese, che a velocità supersonica si spostano da un punto all'altro della città... forse c'era anche qualcun altro, mescolato alla folla di “normali”, ma c'è una tale confusione di sessi, macchine, capelli, volti, odori, che proprio non riesco a discernere tra il bene e il male, il bianco e il nero, il gay e l'etero. Anche perché, al sud, la terra dove non c'è lavoro, tutti sono sotto occupati, dove credi di vedere ancora uno stile più autentico nelle persone, mi sembra che tutti abbiano paura di sembrare poveri, e sono tutti tiratissimi, bellissimi, muscolosissimi, e soprattutto sembrano tutti froci... ma se per sbaglio ti avvicini ad uno che non lo è, vai incontro a morte sicura. Ultimo interrogativo: che cazzo ci fanno mille persone nella piazzetta antistante ad una chiesa diroccata per tutta la sera??? Se qualcuno mi dà una risposta, mi fa un piacere... Incompreso e sconsolato, visto che non posso essere accettato dalla societas notturna e modaiola, decido di ritornare alle mie radici, alle radici di uomo, di riallinearmi con l'universo e quindi di “battere” nudo come mamma mi ha fatto le spiagge dove è accettato il naturismo gay. A San Cataldo, per arrivare sulla spiaggia, devo superare, nell'ordine: un bosco pieno di cani randagi e affamati, pozzanghere di fango profonde un metro, dove potrebbe essere inghiottito un elefante, acquitrini puzzolenti, sentieri desertici assolati, e spazzatura di ogni genere e specie sulla spiaggia, evitando accuratamente le chiazze nerastre di catrame sciolto. Terminata l'impresa, conquisto il mio angolo di paradiso e mentre mi abbronzo le chiappe, osservo silenzioso una decina di vecchi libidinosi, qualcuno con la fede al dito, che mi guarda con sguardo mellifluo, fa strani gesti col capo invitandomi a seguirlo, o nel peggiore dei casi si masturba impudicamente di fronte a me. Tutto questo alla distanza di sicurezza di 400 metri (non si sa mai: potrei essere un divoratore di uomini)

e col felice sottofondo musicale di cannonate all'orizzonte di esercitazioni militari. L'unico essere degno di nota, con cui riesco a scambiare qualche inutile parola, è un fisicatissimo trentacinquenne dotato di un pene veramente enorme (fosse stato più intelligente l'avrebbe sfruttato per diventare famoso nel porno), che non mi dice per vergogna o per patologia mentale né il suo nome né la sua età, e che assolutamente infastidito dal mio tentativo di corteggiamento smonta baracca e burattini se ne va con la “coda” tra le gambe.... A questo punto non resta che provare la ionica spiaggia gallipolina, di rara bellezza, pulita, incontaminata, con un acqua caraibica, un sole sahariano e frequentata da una trentina di bellissimi, raccolti in circa un km di spiaggia, che, piuttosto che rivolgermi la parola si buttano in acqua. Forse sconvolti dalla disinvoltura della mia amica e dalla mia, nudi a cazzeggiare sulle rocce e fare del casino, lei urlante alla vista dei polpi e dei ricci, io che prendo foto di qualsiasi cosa si muova sotto il sole, forse impauriti, forse infastiditi, questi non mi hanno rivolto mai parola. Ho quasi deciso di andare, soprattutto a causa dell'insolazione che mi sta prendendo, che un timido, vestito da capo a piedi (pantaloni maglietta cappellino e scarpe da ginnastica sulla spiaggia, credo sempre per non tradire il suo credo modaiolo) mi attacca bottone e mi chiede il numero di telefono. Tutto felice della mia conquista torno a casa, mi doccio e mi faccio bello.... ma sto ancora attendendo la sua telefonata.... Tentativi sociali falliti, forse vi starete chiedendo che fine ha fatto il mio amico di sempre? Troppo impegnato nel “P.R.aggio” di una squallida discoteca che costringe i gay in un privè, mentre lascia a disposizione tutto il resto del locale agli etero, si è negato per un'intera settimana. E così, deluso e solitario, me ne ritorno alla mia vita nell'attivo nord che sembra più povero del sud, con le mie idee di dinamismo, orgoglio e libertà, avendo assistito alla rovina di un popolo che credevo libero da stereotipi e convenzioni, ma di cui mi ero fatto un'idea evidentemente sbagliata.... Vuelvo al sur

Le belle signorine e il must Tango-Tanga Come dice la Littizzetto nel suo libro "La principessa sul pisello", che le inventano tutte, anche il Tanga per ballare il Tango, sin dalla notte dei tempi la donna si è sempre ingegnata per inventarne di tutte e di più per conquistare il principe azzurro. Eppure, sono anche io come lei, una principessina che non ha più illusioni sul principe Azzurro, ma che non ha ancora smesso di sognarlo. A proposito di tecniche di seduzione, da piccola mi inculcavano una mentalità che nella mia testa non è mai riuscita a trovare spazio sufficiente per contenerla: "Quando diventi una bella signorina, per trovare il fidanzato devi saper ballare il Tango" e io "Chi se ne frega! Sono meglio i balli da discoteca!". Hanno provato l'impossibile per farmi imparare il ballo più sensuale del mondo, nonostante i miei educati tentativi di mandarli a quel paese. Non ci sono ancora riusciti. Sono cresciuta, adesso per trovare il ragazzo non serve più il Tango, bisogna imparare l'arte di saper indossare il Tanga, essendo molto sensuali senza scadere nel volgare. E così, la bella principessina non può vivere tranquillamente neppure adesso: niente vita calma, o indossi il tanga o rimani zitella! Ecco le regole della seduzione nel corso della storia: quando si metteva il sedere nelle mutande si ballava il tango, adesso che il tango nei locali non si balla più, si mettono le mutande nel sedere. Et voilà, le mutande fantastiche che hanno la metà della stoffa e che costano il doppio di quelle normali! Cambiamento di usi e costumi? Di costumi si, questo è poco ma sicuro! Alcuni esempi: erano i fantastici anni '70 e invece delle solite mutandine stile '800, nelle spiagge si cominciavano a vedere i primi Tanga (le cosiddette mutandine brasiliane), stessa quantità di tessuto davanti e dietro, legati da dei sottili cordoncini molto provocatori che parevano slacciarsi da un momento all'altro. Arrivarono gli anni '90 e si ridusse ancora di più la quantità di tessuto disponibile sul sedere fino a farla diventare una striscia, ecco il perizoma. Mi chiedo, nel 2010, cos'altro ridurremo? Il di dietro del costume da bagno degli uomini? A quanto pare neppure loro scherzano e quando lo vogliono sono capaci di superare le donne. Avete mai immaginato l'effetto psicologico che fa il Tanga su colei che lo indossa? Ti metti il Tanga e ti senti ancora più donna? Certo! Perché indossarlo è un'arte, ecco alcuni luoghi comuni: mai metterne uno scuro sotto indumenti trasparenti, evitare di farlo uscire da gonne o pantaloni troppo a vita bassa, perché il segreto della sensualità del Tanga è renderlo invisibile, l'uomo non deve assolutamente vederlo, deve immaginarlo sia nella forma, che nel colore, perché il Tanga deve creare mistero e taboo, che una volta persi lo fanno diventare un normalissimo indumento come tutti gli altri. Ma perché proprio il Tanga? Perché nel nuovo millennio l'arte della seduzione si è spostata dal petto al fondoschiena, lo testimoniano il calo dei siliconi e l'incremento delle liposuzioni. Laura Lamarina


Yellow Party . 18-19 Giugno 2004 Marina di Salve Il pretesto sono i festeggiamenti per il decimo anniversario di Meltin' pot, marchio leccese d'abbigliamento conosciuto in tutto il mondo. Sono ormai cinque anni che gli amici organizzano un festival musicale di tendenza prettamente elettronica, ma quest'anno hanno fatto veramente le cose in grande e che Dio li benedica. Perché per il sottoscritto è l'occasione più unica che rara di ammirare in un botto solo dj del calibro di Goldie, Andy Smith, Joe Claussel e via dicendo. In spiaggia, per giunta. Ma non è tutto, la festa di presentazione che si tiene al Gibò appena il giorno prima prevede il signor Darren Price e il signor Adriano Canzian ai piatti. Il primo è quello che molti conoscono come remixatore degli Underworld, pochi come l'autore di “Under the Flightpath” per Novamute; il secondo è quello che molti conoscono come il nuovo pupillo di Dj Hell, pochi come l'autore di “Macho Boy”, che nella rotation del piggy ha ruotato sovente da che è uscito sul mercato, e che detiene la residenza al Rocket milanese. 18 giugno: Ed eccomi sulla strada in compagnia del prode Natilbox e di pass coolclubbiani (che dovrebbero esserci consegnati all'entrata dopo un prodigo giro di telefonate) per raccontare l'evento a voi poveri mortali, sennò che ci sto a fare? Sull'autoradio gira il buon Fixmer del quale il Natile mi racconta vita-morte-miracoli (voi capirete, tenere la macchina a un certo punto mi tornerà difficoltoso). Ma ecco che come in un film di David Lynch la strada ci viene sbarrata da due simpatici gorilla. Misure di sicurezza. Scendiamo dalla macchina e dopo un po' di strada a piedi raggiungiamo il Gibò. Ed ecco che due simpatici gorilla, identici a quelli che avevamo incontrato dieci minuti prima ci sbarrano la via: “tranquilli, ho i pass. Devo solo fare una telefonata”. Come un Mastroianni del nuovo millennio mi attacco al telefono. Ovviamente il cellulare non prende, ma i due energumeni ci fanno passare sulla fiducia (capito come dovete fare la prossima volta?). Si entra e l'atmosfera è esattamente quella che ci aspettavamo. Giovani sbarbatelli fotomodelli con la faccia da tredicenne o poco più, giovani barbarelle fotomodelle con la faccia da tredicenne o poco più, attempati gaglioffi con la faccia e basta, tutti che si affollano ai tavoli ricolmi di dolci e prelibatezze assortite. È vero, sono un professionista e in servizio per di più, ma come non favorirne? Mentre io e il prode ci abboffiamo (sì, mi sta parlando ancora di Fixmer) buttiamo un ascolto al dj “spalla” e ci diciamo che non è male. A dire la verità sono in tre a smanettare e li vedremo fare lo stesso anche il giorno seguente sopra i dj set di Andy Smith e Goldie: “Djing! Alto livello!” declama il Natilbox e io annuisco. Giorni dopo verremo a sapere qualcosa in più di questo Citizen Smith, che spara bordate electro funk e qualche chincaglieria maranza per compiacere gli astanti. Gustoso, come il profiterol che divoro. Ma venne il tempo di Darren, e così ci avviciniamo alla consolle, visto che nessuno lo fa. Il signor Price prende quattro volte a settimana l'aereo per motivi lavorativi e mantiene quella seriosità e compostezza da superstar dj, unita ad una abbigliamento gigione da svezzato ex b-boy. Mixa con gusto dark house a sconfinare nel tribale, numeri techno melodici, electro funky a velocità raddoppiata,e con una marcata attitudine rave che per un attimo non mi sembra di essere al Gibò con i fotomodelli che ammiccano e ballonzolano come negri davanti alla stangona di turno; del resto la maggior parte della gente neanche si avvicina alle casse e i dj sono nascosti all'interno del locale, così l'unico posto agibile per le danze e al contempo osservare il nostro super eroe è una balconata. Ma gli altri balleranno sopra? Mah. Non vale neanche la pena di chiederselo. Perché quando Darren attacca “Born Slippy” siamo solamente in quattro a ballare, con il suono diffuso ormai all'interno del locale, dove si squaglia per altro. E non scherzo: a un certo punto la gente è svanita, scomparsa, dispersa in un lampo. E sono appena le tre. Surreale. Darren stacca e noi andiamo a stringergli la mano. Dopodichè si mette a chiacchierare di calcio con il Citizen. Arriva Canzian, camicia senza maniche, cravatta, trucco alla Kiss; lo andiamo a salutare e poi attacca il suo set di dura e scomposta EBM. Ha trentanove di febbre, si squaglia, ma suona lo stesso. Per chi? Per me e per la gioia del Natilbox. Siamo rimasti solamente noi, in pratica. Balliamo la danza dei robot e ci mettiamo a parlare con Adriano, gentilissimo, ci fa ascoltare qualche pezzo in anteprima del suo album che dovrebbe uscire prima della fine dell'anno (non vi svelerò il titolo), ci regala il promo del suo nuovo singolo “My boyfriend is sexy” e ci illumina sulle gesta di Dj Hell, Savas Pascalidis e innumerevoli altri. Un gran personaggio e un gran produttore. A un certo punto un signore alto due metri lo apostrofa con raffinatissimo accento salentino “Ou! Bascia! nnu biti ca nu ci stae nisciunu?”. Canzian lo fulmina con lo sguardo e io penso fra me e me che esiste ancora una meritocrazia professionale, ove ciascuno viene pagato in base a quello che

vale. Poi mi guardo attorno. Nessuno. È il segnale chiarificatore che è ora di telare da questo posto. Si chiacchera un altro poco, si fa le scale assieme, il manager di Canzian ci regala una birra e due simpatici baristi avanzano ipotesi sulle nostre preferenze sessuali quando gli chiediamo di “aprirlaperfavore”. Che scempio. Mi ritrovo alle 6 di mattina con Natilbox, una bottiglia di birra vuota in mano, il promo di Canzian e i Two Lone Swordsmen che ho comprato il giorno prima nello stereo dell'auto. La mia riconciliazione definitiva con la new wave, insomma. Anche se a un certo punto ci si ferma a guardare il mare. 19 giugno: partiamo di sera alla volta di Marina Di Salve: il salamina, il dottore, il quarta, il bue, angelì, vampira etc,. Manca solo l'alter ego di Maurizio Merli, che “non me ne fotte un cazzo di quella marmaglia elettronica”. Un grande comunque. Il caldo ormai incalza in questo nostro bel Salento, patria di reggae e di noia. La sera è di quelle col botto: Joe Claussel, Alex Neri, Goldie, Andy Smith. Dopo interminabili giri in macchina, rallentamenti e goliardie da quattro soldi, arriviamo in paese guidati dalle luci dell'enorme struttura del palco, che prevede una gru con appeso il logo della Meltin Pot, modello gli U2 dello ZOO TOUR. Una volta nel parcheggio, scendiamo dall' auto compiaciuti di cotanta appiccicosa tamarria e affibbiamo qualche spicciolo ad un simpatico lavoratore. Il Natilbox stavolta ci aspetta in spiaggia. Ci siamo già persi, nell'ordine, Adrian Sherwood, Talvin Singh e mi ammoniscono anche Nicola Conte, ma non ci giurerei. E sì, perché su un lato del grande palco montato parte un dj, sul retro un altro ancora: come un costante dj “versus” dj. Così mi sorbisco una mezz'oretta di esotismi voluttuosamente offerti dalla ditta Barxino. Bravi e prevedibili, sicuramente coinvolgenti. Mi guardo attorno e il pubblico accorso risulta alquanto eterogeneo, dal freakettone mutante che aspetta Goldie al popolo della notte folgorato dall'house music, tutti sotto lo stesso cielo. Non accade quasi mai nel Salento e questo mi sembra un ottimo passo avanti. Ma il palco è un “versus” come ho avuto modo di sottolineare, e si divideranno. Poco male? Non saprei. A questo punto mi interessa incoronare il mio “reginetto” della serata e sbuffo all'idea di dover fare avanti e indietro da un lato del palco all'altro. Così mi appropinquo in trepidante attesa del signor Andy Smith, noto ai più come “quello che scratcha nei Portishead”. Un dj set super gigionazzo che vomita sulla gente neanche troppo festante classici funk-soul, hip hop old school. Mi ferisco ad un piede. Vado a farmi medicare e torno alla svelta. Andy si sta accaparrando le smancerie dei pallidi rockettari presenti quando sfodera il singolone dei Jet, che strapazza le mie palle di puro punk degenere da un po' di mesi a questa parte. Quando parte il riffone dell'ennesimo remix del brano dei White Stripes tutti, ma proprio tutti, scattano e cantano. Devo ancora decidere se mi piace oppure no: fra dieci anni ve lo dico. Di sicuro sa come accattivarsi il pubblico. Ma non c'è tempo: arriva Goldie. Sale sul palco dopo un crescendo di feedback, capello biondo platino, shirt e catenazza al collo. Parte durissimo, finirà anche più duro, con una tecnica affilatissima. Affianco ai piatti un nero dai modi neo-nazi scruta la folla: anche lui capello, biondo platino, catenazza al collo. Sembra stia lì per fare quello che non fa Goldie cioè scrutare l'audience: niente saluti, niente inchini, sembra non buttare mai l'occhio di sotto, per cogliere le vibrazioni. Comunque sia più di qualcuno caracolla sotto gli effetti della droga. Decido che mi sembra di stare in Germania piuttosto che a Londra e scappo a vedere Mastro Claussel. E mi rincuoro perché vedo gente ballare, sorridere e osservare deliziata Joe Bicipite smanettare con l'arte e la grazia di un jazzista. Piazza un brano, parte un lunghissimo assolo di sax e l'uomo apre e chiude come se fosse egli stesso a suonarlo. Classe, signori, e orecchio. Non solo infima tecnica, ma cuore. E per una sera decido di stare dalla parte dei “regolari”. Sale sul palco Alex Neri che verrà incoronato reginetto della serata, con mia somma meraviglia, da me medesimo. Perché? Perché ci ricorda da dove viene techno, da dove viene house, da dove viene il battito più influente degli ultimi 25 anni. Italo disco, signori. La via italiana alla dance. Ed è pura commozione: elettro funk, tastierone melodiche che si stagliano sulla splendida cornice marina, un set di bassi bassi superbassoni ultra deep, cooosì bassi che ti “psichedelicizzano”, e questa sera mi riconcilio per un attimo (ieri sera era la new wave, ricordate?) con lo speedomane maranza in shirt modello “evidenziatore” che mi balla affianco e che mi urla con la faccetta alla stregua di un punk. Strani giorni. Neri loopizza Tiga e i suoi piaceri da basso (ventre) e spara bordate electro funk in stile pezzettoni lego, apre il suono e ogni volta è un urlo della gente in festa. Mi raggiunge un elettrizzato Natile che mi dice “è il suo il miglior dj set di stasera!”. Basta la parola. Così Alex Neri, meglio conosciuto dai festanti come “il tipo dei Planet Funk” si ritaglia un posticino nel mio cuore. Faccio un salto dall'altra parte ove Agata sta correndo alla stregua dei giocattolosi Prodigy di “Voodoo People”, qualche finto-freak coi soldi, qualche sbronzo, qualche canna. Io me ne fotto e torno a ballare Italo Disco. Sergio


Archive Noise East West Records France

King of Convenience Riot on empty streets Virgin music

Ikara colt Modern apprentice Fantastic Plastic/Self

Corpi nudi femminili, donneaquila, scheletri, fiori dark e serpenti. Su uno sfondo nero, al centro, in bianco: ARCHIVE, Noise. Una cover inquietante, tra il sogno e la morte, per questo loro ultimo quarto album che comprende undici tracce audio e un bonus da scoprire su pc in un open disc ricco di video e tracce inedite. Uno schiaffo al grasso viso dell'industria discografica e il suo falso pop. Così hanno definito questo disco loro stessi: Danny Griffiths, Darius Keeler e Craig Walker, al secolo gli Archive. Un lavoro che si allontana dagli esordi trip-hop, e che piuttosto è una sintesi di psichedelia ed elettronica, senza mai tradire però quel certo spirito triste e malinconico, che accomuna tutti i precedenti album del gruppo. “A melting of synthesized, symphonic and organic sounds” scrivono sul sito ufficiale (www.archivemusic.net ndr), una fusione di suoni sintetizzati, sinfonici e organici. È il loro cupo malumore che riemerge, ribellandosi alla banalità di un panorama musicale troppo piatto. Le chitarre arrabbiate e il basso belligerante e la batteria, spesso sostituita da quella elettronica, si uniscono e fanno eco ai testi cantati. Spesso cattivi (vd FuckU), spesso nostalgici (vd Sleep). Azzardato ma pienamente riuscito l'accompagnamento di una sorprendente orchestra d'archi, diretta da Graham Preskett, “ un orecchio esperto per arrangiamenti di colonne sonore, tra cui quella di Thelma & Louise”. Orchestra d'archi che ci sta sempre, e ci sta bene, e fa la differenza in un disco, ne crea l'atmosfera, quella giusta, quella toccante, profonda. In questo lavoro rappresenta quel tocco in più, un tocco di musicalità che ammorbidisce l'elettronica e fa di Waste, ad esempio, una delle tracce più belle di quest'album. Si definiscono sognatori ad occhi aperti e visionari, e con Noise vogliono offrire un'attenta analisi dei nostri tempi in rovina. Sono un po' dolci questi Archive, un po' malinconici, un po' duri. Sono un po' cupi, e forse è proprio questo velo scuro che li nasconde e li copre è ciò che più piace di loro. Perché piacciono, e le vendite questo lo confermano. Valentina

Devo dire la verità: loro mi stanno sulle palle! La loro aria così carina, timidina e pura come i ghiacci della Norvegia da cui provengono mi fa venire voglia di vederli rinchiusi per almeno un'ora nella stessa cella del loro ex compagno di scuola Burzum. Ma il motivo maggiore per cui stavano sul mio glabro culetto era la loro musica; ballate folk-pop agrodolci e moscette, dalle storie così semplici da risultare quasi irritanti; carine magari prese singolarmente ma non sono mai riuscito a metterne tre di fila senza farmi cogliere da un attacco di diabete. Ma siccome l'obiettività è l'imperativo di ogni buon giornalista musicale (almeno questo millanto di essere per bullarmi con la gente) devo riconoscere che “Riot on empty streets” è davvero un buon album. I due ragazzini sono maturati, e più matura è anche la scrittura delle loro canzoni, più efficaci negli arrangiamenti arricchiti da contrabbasso, banjo, tromba (suonati dall'autodidatta Erlend Oye) che acquistano maggior spessore e si scrollano da dosso quell'alone da sfigato che le contraddistingueva. Sentire per credere “Misread”, hit assassina del disco, dal mood lievemente jazzato, lievi rintocchi di pianoforte, misurati contrappunti di violoncello e una melodia lieve e dolce. Continueranno a starmi sulle palle con la stessa coerenza con cui un giornalista sportivo si accanisce su Del Piero. Ma in segreto, quando nessuno mi vede, il loro disco ogni tanto gira nel mio lettore. Gianpiero Chionna

Addetti ai lavori, detrattori e appassionati attendevano al varco gli Ikara Colt dopo la curiosità e il fermento nati attorno al promettente esordio "Chat And Business". Per nulla intimoriti da tanto clamore, i quattro sfoderano un disco se possibile persino superiore al precedente. Se "Chat And Business" è un diamante grezzo, "Modern Apprentice" dimostra una maturità insospettata. Intendiamoci, l'attitudine resta punk ma il suono è più compatto, gli angoli smussati e la struttura dei brani è più varia e articolata, il tutto senza nulla perdere in energia e freschezza. L'avvicendamento tra Jon Ball e Tracy Bellaries non inficia il ruolo del basso, che resta preponderante, una sorta di marchio di fabbrica del suono Ikara Colt. E' proprio il basso a rompere gli indugi, a fare da apripista nel singolo “Wanna Be That Way". La chitarra è tagliente e abrasiva mentre la voce ricorda a tratti il Thurston Moore di "Experimental Jet Set, Trash And No Star". Una menzione particolare meritano l'adrenalinica "Automatic", "Modern Feeling" e soprattutto "Waste Ground", forse il momento più alto dell'intero album, in cui l'ipnotico intrecciarsi del basso con la batteria crea un morbido tappeto sonoro nel quale si inserisce una voce insolitamente melodica. Giacomo Rosato

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The Zutons Who Killed The Zutons? (Deltasonic)

Take me away One dimensional man Ghost Records Uno e trino verrebbe da dire. Un'unica dimensione musicale, un assetto monolitico per i tre One dimensional man che con questo “Take me away” tornano sugli scaffali e sui palchi con una manciata di nuovi brani. Definiti la migliore live band italiana i ODM convincono anche all'ascolto. La formula pur rimanendo fedele alle origini rock- blues con rapide incursioni nel noise devia leggermente percorso aggiungendo a tutta la rabbia del passato una nuova attenzione per la melodia. Ritmiche serrate, riff al vetriolo e una voce nervosa sono la linea portante di brani che spingono forte sull'accelleratore in una serie di stop and go, aperture soniche e impennate supersoniche. Tra le strade percorribili dal rock'n'roll i ODM hanno scelto sicuramente la più breve quella che in pochi secondi riesce a portarti via. Sempre diretti anche negli episodi più slow i tre veneti danno dimostrazione di una maturazione raggiunta dopo anni in giro per l'Europa e cambiamenti di formazione. Un disco che li inserisce a pieno titolo tra le band più interessanti del momento. “Take me away” riesce in 11 tracce a spazzare via ovvietà e standard ritriti. Trascinante, potente dolce e amaro allo stesso tempo. Osvaldo

Marta sui tubi Muscoli e dei Eclectic Circus Records È sempre colpa delle donne. I Marta sui tubi prendono il loro nome da una signorina che inavvertitamente f r e q u e n t a v a contemporaneamente i due a loro insaputa. Intrighi da soap ma alla fine, come si sa, l'amicizia prima di tutto e l'equivoco diventa il nome di questo progetto: Marta sui tubi appunto, Marta la ragazza, per i tubi le interpretazioni si sprecano. Sono Giovanni, Gulino e Carmelo Pipitone, siciliani trapiantati a Bologna che uniscono i loro progetti solisti in questo nuovo “gruppo” da poco uscito per Eclectic Circus Records. Due personalità musicali diverse unite dall'amore per il Low-fi e artisti come Nick Drake, Bugo, Gomez. E qualcosa degli ultimi effettivamente si sente in alcuni spunti di blues rauco e in certe aperture sbilenche, forse Bugo ha fatto scuola per quel senso di libertà nel confrontarsi con modelli stranieri. C'è tanta America ma anche tanta Italia nella loro musica. Ci sono i Diaframma nel brano Stitichezza Cronica che è anche un simpatico video inserito nel cd, addirittura un po' di Quintorigo, vabbhè di Area dai, in qualche gorgheggio. Si gioca e tanto con le chitarre, con la voce e con le parole, veramente bello ad esempio in Volè dove il tipico aargh da gesto atletico diventa una sorta di loop ritmico. Interessante in generale la convivenza e l'intersecarsi dei due. Ben suonato e ben prodotto fa Fabio Magistrali (già Bugo). Tranne alcuni sprazzi di schizzofrenia musicale il disco si mantiene semplice come è nato due chitarre, due voci. Una buona prova, un buon inizio, un 'ottima promessa per il futuro. Osvaldo

Bugo Golia & Melchiorre Universal Che Bugo non ci stia tanto dentro se ne accorge anche l'ascoltatore più distratto. Io ho avuto la fortuna di provarlo a mie spese e di persona più di una volta. Parafrasando il titolo di un suo album (dal lofai al cisei) si può affermare senza dubbi che Cristian Bugatti ci è. Questo suo ultimo disco esce per una major come la Universal, esce tra le polemiche sulla copertina che lo ritrae con la testa mozza (e in questo periodo a quanto pare ce n'erano già abbastanza), esce e sorprende per la sua generosità: un doppio e 21 canzoni a un prezzo decisamente abbordabile. Due dischi, due parti, due lati artistici di un musicista che senza paura sperimenta con incoscienza (bisognerebbe poi pesare quanta) e riesce a fotografare in pochi minuti paesaggi assolutamente naif di un mondo pressoché assurdo. “Arriva golia”, il primo dei due, è un saporitissimo fritto misto, gli anni ‘80 spatruneggiano in un imperversare di tastierone, di fraseggi in stile hip hop casalingo (giusto per rimanere in tema di citazioni), chitarre un po' indie, un po' funky, il tutto frullato con una lucida follia che rende il tutto digeribile e assolutamente sorprendente. A proposito poi di frullati e digeribilità il cibo sembra in qualche modo un tema ricorrente nei testi, da “Carla è Franca” ad “Altro conato” è tutta una carrellata musico culinaria tra toast, gelati all'amarena e caramelle. Estrema libertà anche nei testi poi sempre sul limite del surreale e del demenziale. Gioca Bugo e lo fa sul serio. Basta mettere il secondo cd per scoprire il suo lato più intimista, quello folk blues, in undici tracce registrate a casa in cui tutto è solo chitarra e voce. E qui di perle ce ne sono più di una, a partire dall'apertura di “Cosa fai stasera”. Si è sempre un po' indecisi su come prendere questo strano personaggio, alcuni pensano a una clamorosa bufala discografica, altri vedono in lui un piccolo genio, successore designato di gente come Battisti e Rino Gaetano. Io so che mi piace, mi fa sorridere ma anche capire che dietro la maschera di un clown c'è sempre un cuore, anche se Bugo ha deciso di metterselo nel culo ( “Con il cuore nel culo” Dal lofai al cisei) Osvaldo

Nuova band direttamente da Liverpool, sulla scia di quel revival degli anni ‘60 in cui sono inseriti i quasi coetanei Coral (giusto per fare un nome e un'etichetta…la stessa) sono anche loro poco più che ventenni ma sembrano essere nati con i suoni e i riff dei favolosi tempi che furono nel sangue. Il disco serba una serie di brani in bilico tra attitudine soul, uscite rock, piccoli intermezzi beat, relax in stile country e una propensione pop degna dei singoloni di Phil Spector. Da prendere con le pinze, ogni volta, queste schegge impazzite di un mercato, come quello inglese, brulicante di nuovi talenti. Ma il disco scorre non c'è che dire e non si piega a facili giochetti restando sempre elegantemente pulito nei suoni e nelle soluzioni mai eccessivamente scolastiche. E poi una voce bianca che ruggisce con attitudine blues, un sax qua e là, fa quasi pensare al Northern soul, o agli Zombies, oppure ancora ai Kinks, o giusto per ritornare ai nostri giorni gli Ocean color scene meno potenti. Gli Zutons fanno pensare a tante cose ma a una su tutte: canzoni come quelle dei tempi d'oro della stax non ne fanno proprio più. E forse questi dischi ci ricordano che vale la pena guardare al passato e trarne isprirazione dal passato e dai suoi mille tesori. Osvaldo

Lana Presenza Ep Jestrai Produzione Sembra proprio che la Jestrai, etichetta bergamasca della mamma di due dei quattro Verdena, abbia scelto una linea di rinnovamento del rock italiano. Muovendosi nell'alternative ha trovato e produce band che in un certo senso sembrano appartenere tutte a un'unica famiglia. Ed è bello che sia così perché dà, in un certo senso, un colore a un'etichetta che spinge verso una nuova direzione. Questo nuovo gruppo si chiama Lana, robusti e ruvidi, allineati con quel modo di rimaneggiare il rock americano, di attingere dal nu metal, di svecchiare il grunge ed esplorare il noise non rinunciando alla melodia magari graffiante e rauca di una voce che parla di sentimenti. I Lana sono così questo loro presenza ep, tre tracce , una cover. Una è una cover ancora Beatles come nel ep dei Karnea, quasi una tradizione per le band dell'etichetta. Tre brani sono un po' pochi ma dipingono comunque una band che si destreggia con maturità in un ambito musicale in cui è facile cadere rovinosamente nel già sentito. Aspettiamo l'album per vedere sulla lunga durata per ascoltare la loro musica in più episodi e sfaccettature. Osvaldo


After Forever Invisible Circles Trasmission/Frontiers

Morrissey You Are The Quarry Attack Records/Sanctuary “Non dimenticare le canzoni che ti hanno fatto piangere e quelle che ti hanno salvato la vita” cantavano gli Smiths nel pieno degli anni ottanta, all'apice del movimento New Wave. Il loro repertorio, oltre a costituire uno dei più lucidi e irriverenti ritratti delle problematiche e delle tensioni sociali che animavano l'Inghilterra di quegli anni, è ricco di brani difficili da dimenticare. Nel corso del breve periodo in cui ha calcato le scene (appena un quinquennio, tra l'83 e l'87), il quartetto di Manchester ha saputo come pochi altri indagare l'animo umano, conoscerne le sfaccettature e renderle musica e parole. Oggi, a distanza di oltre quindici anni, mi ritrovo per le mani il nuovo lavoro di Morrisey, voce del gruppo e, come spesso accade, unico ad aver perseguito una soddisfacente carriera da solista. Il mio approccio iniziale è un misto di curiosità e diffidenza; non può essere altrimenti, il ripresentarsi di vecchi amori obbliga alla cautela, ad una sorta di meccanismo di autodifesa che preserva da quelle delusioni cui gli entusiasti vanno inesorabilmente incontro. I miei dubbi risultano però infondati, "You are the quarry" mi smentisce fin dal primo ascolto. Dopo un inizio interlocutorio, la carica travolgente e la forza di impatto del singolo "Irish blood, english heart" riportano in linea di galleggiamento le quotazioni del disco. Quotazioni destinate da qui in avanti a lievitare; traccia dopo traccia si susseguono struggenti ballate ("I have forgiven Jesus", "Come back to Camden"), rabbiose recriminazioni ("How can anybody possibly know how I feel?"), suggestive reminiscenze di un ingombrante passato (emblematico il ritornello di "First of the gang to die" o l'arpeggio di "Let me kiss you"), mentre la chiusura è riservata alla splendida "You know I couldn't last". Una considerazione a parte meritano i testi, da sempre un aspetto fondamentale nella produzione di Morrisey, che ancora una volta pesca a piene mani tra le tematiche a lui più care: la solitudine, l'amore, la politica, l'emarginazione. Un romanticismo che sfocia quasi nel nichilismo pervade la già citata "I have forgiven Jesus", mentre la malcelata ironia di "America's not the world" riporta alla memoria "Sweet and tender hooligan". Molto curati gli arrangiamenti, la produzione e perfino il layout, con la bellissima foto di copertina che ritrae un Morrisey ingrigito dal tempo in versione Little Italy. Tirando le somme qualcuno potrebbe obiettare che la chitarra di Jhonny Marr è insostituibile, che "The Queen is dead" è un'altra storia, ma tali nostalgiche considerazioni sarebbero comunque ingenerose nei confronti di una voce ancora oggi tra le più espressive in circolazione e di un disco che, pur senza aggiungere nulla di particolarmente nuovo, costituisce uno dei più intensi episodi della carriera solista di Morrisey, indipendentemente da scomodi quanto inutili paragoni. Giacomo Rosato

Guy e gli Specialisti …quello che mi piace Storie di note Quello che mi piace è il primo lavoro in studio per Guy e gli Specialisti, una band italo americana che nella tradizione di gente come Ray Gelato, Fred Buscaglione o Nicola Arigliano riprende lo swing americano classico e lo colora con l'ironia e la simpatia italiana. Questo disco suonato magistralmente da una formazione insieme dal ‘98 entra a pieno titolo nel nuovo revival del genere che in questo ultimo periodo sta spopolando in radio e in tv (l'ultimo lavoro di Renzo Arbore o la riscoperta di Paolo Belli sono due esempi eclatanti). Senza dubbio non siamo di fronte a un lavoro originale, come del resto è normale con generi come questi, ma c'è nel disco di Guy e gli specialisti un attenzione a riprendere e rinfrescare standard che non cadono mai nella banalità. I testi sono pieni di bionde, alcool come nella tradizione del genere. Ci si sente gangster ma anche abitanti di questo tempo in un citazionismo e immaginario che li avvicina alla musica d'autore. Nel cd sono anche coverizzati Fred Buscaglione e Alberto Rabagliati. Facili da vedere live perché stanziati in Puglia Guy e gli Specialisti sono un piacevole disimpegno per chi ama la musica senza tanti problemi.

Tornano con il loro terzo album, la gothicmetal band olandese degli After Forever. Dopo due anni travagliati, con continui cambi di line-up, la formazione, assestatasi con nuovi elementi, riesce a dare alle stampe un lavoro più maturo rispetto ai precedenti. Al primo ascolto il disco, non avendo melodie accattivanti e ritornelli memorizzabili, non viene immediatamente metabolizzato, ma è con gli ascolti successivi che si riesce ad apprezzare il passo avanti fatto dai sei olandesi. Invisible Circles, rispetto ai due album precedenti, è più dark e più omogeneo nelle sonorità, sorretto anche dal corposo suono metallico delle due chitarre. Le tastiere e i synth non sono mai invasivi, anzi riescono ad arricchire il suono quasi orchestrandolo. La voce della cantante-soprano, che dona un'atmosfera quasi operistica alle sonorità, si alterna con il cantato in “growls” ed in “clean” dei due chitarristi, contrasto che trasmette all'ascoltatore un'alternarsi di emozioni. Dunque il disco contiene delle composizioni mai scontate né monotone, ma al contrario esaltanti, fondendo parti estreme, melodiche e riflessive. L'ottima prova generale, ma anche quella dei singoli musicisti, fa sperare per il futuro della band, ma anche per tutto il movimento gothic-metal. Nicola Pace

Osvaldo

Velvet Score Youth Black Candy Records Vengono dalla toscana i quattro Velvet score con quest'album di debutto che si muove e molto bene nei paraggi dell'alt rock senza disdegnare capatine nel post. Mettendo da parte i generi e pensando alle canzoni colpiscono subito per maturità, intensità e un approccio personale alla materia in questione. Se pure l'accostamento con gruppi come My blody valentine o i Curee per una loro attitudine dark può sembrare immediato scopriamo che c'è di più, basta scavare per trovare spunti, nuovi elementi che confluiscono tra le trame dei loro brani. C'è addirittura un certo piglio psichedelico debitore dei Pink floyd e una base indie che batte percorsi vicini alla forma canzone classica. Il tutto è ben equilibrato in un alternarsi di forti e piano che fanno implodere ed esplodere canzoni che prima di essere avvicinabili a qualcuno o qualcosa sono belle. A chi cerca nuovi percorsi per fare indie in Italia ecco una buona risposta. A chi pensa alle cose buone guardando oltre il confine regalate questo disco. Voce sommersa da mari di feedback, melodia e rumore a seguire i crescendo emozionali che questo album Youth riesce a trasmettere. E in fondo questo disco è un po' come la giovinezza, piena di alti e bassi, di repentini cambi di umore e di tanto sentimento. Osvaldo

Hic niger est Hic niger est Pure rock 2004 La scena musicale salentina sembra non stancarsi mai di sfornare nuove cose. Con tutta l'umiltà che non mi compete c'è da ammettere che il livello, gusti a parte, è quasi sempre altissimo. Rientrano nel calderone della scena salentina anche i giovani Hic niger est. Dimenticate reggae e patchanka per un attimo, posate i tamburelli sul comodino perché qui si parla di rock. Più nello specifico di noise, o simil tale. Il progetto di questa band segue idealmente il percorso già intrapreso e ampiamente esplorato da gruppi come i Marlene Kuntz. Una strada che tra dissonanze e liriche strazianti ha segnato gran parte degli anni 90. Lo fanno con mestiere e con soluzioni a tratti interessanti i HNE. Bravi musicisti e buoni ascoltatori anche dei prodromi punk della scena noise italiana (vedi CCCP) i ragazzi sembrano sapere già bene quello che vogliono e ce lo spiegano a suon di distorsioni. Osvaldo


Madcap Records A quanto pare c'è un piccolo posto in Italia vicino Treviso, Crovato per la precisione, dove qualcuno non ha dimenticato le tradizioni del blues, quello che agitava le acque del delta del Mississipi, quello dei canti sofferenti di Blind Willie Johnson, Skip James e Charlie Patton. A questa tradizione si aggiungono le turbe straniate del neo folk di Devendra Banhart, la ruvidezza del rock e piccole dosi di elettronica sporca a condire i pezzi. L'artefice di questa opera di recupero è la Madcap records, un vero atto d'amore verso le tradizioni del Delta. Tre per ora gli artisti in catalogo (più un paio di compilations): Father Murphy, Littlebrown e gli Oswald. Il nome di Father Murphy già la dice lunga sull'ispirazione mistica di cui era portatore certo blues. Father Murphy/Federico è il titolare, assieme alla sorella Chiara Lee, del progetto che coniuga blues, folk rurale, suoni lo-fi, rumori, sonagli, basi elettroniche minimali e rozze, prediche e sussurri biascicati destrutturando la “materia” canzone, dovendo, in qualche modo, qualcosa a Captain Beefhart. Più folk è l'approccio di Paolo Moretti aka Littlebrown, con una chitarra che suona rurale e grezza ma senza disdegnare l'uso dosato dell'elettronica, qualche punta di pop sui generis e qualche “sozzura” elettrica alla maniera dei Sudden Ensemble con una scelta degli strumenti, in verità, sempre particolare: kazoo, scacciapensieri, carillon, simulatore di galline (wow!); una sorta di Banhart del triveneto. Gli Oswald rappresentano l'anima rock dell'etichetta, lasciandosi andare in un robusto rock-blues che si dipana tra parti più irose e ruvidezze assimilabili, anche in questo caso, al blues scartavetrato dei Sudden Ensemble, ma non disdegnando anche momenti di quiete chitarristica. Meriterebbe un plauso l'etichetta trevigiana: sia perché non dimentica le radici di un genere che ha segnato momenti importantissimi per la musica, sia perché tale recupero animato da turbe e ballate visionarie, si allontana da un mood abituale e alquanto borghesuccio di molte band italiane troppo lamentose la cui profondità sembra non andare oltre “la mia ragazza mi ha lasciato”. Fa simpatia invece pensare a Father Murphy e tutto il suo stuolo di predicatori intenti nella loro “missione” o Little Brown perso tra le campagne del nord est, intento a strimpellare la sua chitarra e a soffiare nella sua ocarina mentre “una mucca lo guarda” (“Liquid and Gaseos”). Giampiero Chionna

Carlos Vamos La mia inguaribile passione per artisti ignorati dai mezzi di comunicazione di massa, che si tramuta spesso, proprio su queste pagine, nell'esigenza morbosa e perversa di propinarli a terzi, si rinnova con un nuovo nome: Carlos Vamos. Trattasi di un artista di strada, residente (molto di rado) ad Amsterdam, da cui ho avuto la gioia di farmi soavemente incantare a Lecce in una calda sera del mese di giugno; egli suona la chitarra, ma in un modo decisamente inconsueto: è destro, ma suona una chitarra per mancini, in quanto questo approccio rovesciato gli facilita l'intervento sulla tastiera della chitarra con la percussione di entrambe le mani, come se si trattasse di un pianoforte. Infatti sembrano proprio uscire da un pianoforte le avvolgenti e poco ortodosse armonie che Vamos ricama abilmente intorno ai suoi brani - vibranti di malinconia - e a canzoni del repertorio tradizionale del jazz, di cui si appropria grazie ad un suono magico, ottenuto per mezzo di un tocco inconsueto ma sopraffino e di un sagace uso dell'effettistica, riconducibile alle Frippertronics del leggendario leader dei King Crimson; assistere all'esibizione di Carlos Vamos significa venire placidamente immersi in un turbinio di suoni mai ascoltati prima, senza contare il fatto che chi è chitarrista rimane sbalordito in modo supplementare dallo straordinario approccio virtuosistico di Carlos, che gli ha consentito di incidere al fianco di Stanley Jordan, pluriplatinato chitarrista molto in voga negli anni Ottanta. Ritengo che un musicista di questo talento meriti una popolarità più adeguata alla sua caratura artistica, e spero che sempre più persone possano essere fortunate come lo sono stato io nel bearsi della sua straordinaria musicalità, non etichettabile in nessuna maniera e non riconducibile a nessun genere, che va solo e semplicemente ascoltata per l'indubbio piacere che può suscitare in chiunque sia dotato di un minimo bagaglio di sensibilità. Marcello Zappatore

DEMO A cura di Gianpiero Chionna Sarà l'estate, sarà il caldo, ma noto con dispiacere che state diventando svogliati. Poca roba tra i nostri scaffali; e io a fare i salti mortali e inventare ardite teorie su particolari congiunzioni astrali per giustificare ai miei capi l'assenza della rubrica demo lo scorso mese. Certo, a volte questa inattività significa anche pace per le mie orecchie, ma poi vi ricordate che esistiamo e….. MUDLARKS R'n'r War Abbastanza anonimo il lavoro delle Mudloarks. Punk rock senza guizzi e incisività che scivola via alquanto inutile nel mio lettore cd. A volte ho la sensazione di ascoltare uno di quei gruppi che suonano nei locali dei telefilm. Inoltre la mia misoginia mi porta a censurare la voce femminile che fa la corte a Courtney Love. mudlarks@virgilio.it LACANFORA Spacco dischi di Beethoven sul water Non che sia un patito di musica classica, ma forse i dischi di Beethoven sarebbe meglio ascoltarli che romperli: magari si impara qualcosa. Detto questo i La canfora fanno un pop supportato da arrangiamenti elettronici che hanno un vago sapore di '80. Un mix tra il serio e il faceto che mescola R.U.N.I., Alberto Camerini, Cramp records e sentori di Caparezza. Peccato però che non abbiano l'ironia caustica dei R.U.N.I. , l'allegra genialità di Camerini (e di altri artisti Cramps) e, presumo, i soldi di Caparezza. Qualche spunto interessante ma c'è ancora strada da fare. Dino La canfora, Via Belisario 15 75012 Bernalda (MT) FIGLIA DI MADRE IGNOTA Tamboo Tamboo I F.D.M.I. recuperano un po' di sana tradizione popolare inserendosi nella scia tracciata dal Capossela nazionale. Chiaro quindi di cosa si sta parlando: ballate cantautorali che attingono alle tradizioni del sud. Qui in più vi sono anche echi di certo combat folk (Modena City Ramblers, Yo Yo Mundi ecc.). Nulla di nuovo o particolarmente originale ma il gruppo non sfigura affatto. Gli appassionati del genere avranno di che divertirsi. info@sapharydeluxe.it ALMANDINO QUITE DELUXE Absobloodylutely I dischi come quelli degli Almandino sono sempre benaccetti dalle nostre parti. Quattro brevi schegge di blues-core e ruvido rock'n'roll intermente strumentali, tranne nella prima traccia in cui una voce chioccia urla alla maniera dei Melt Banana facendo calare un velo di sana now wave sull'ep. Se poi aggiungiamo che il disco è stato prodotto da Fabio Magistrali, ovvero “IL” produttore in Italia (Afterhours, Bugo ecc. ma soprattutto A short apnea) la mia simpatia è totale. almandinodeluxe@virgilio.it


Francesco Lanzo I Lanzillotti Palomar 2004 Un giovane scrittore, appena ventiquattro anni, leccese, si chiama Francesco ed esce per Palomar con il suo primo romanzo. Ci si approccia sempre con una certa curiosità a un giovane scrittore, quando poi scopri che è un conterraneo, quasi coetaneo, interesse e aspettative crescono inevitabilmente. Poco serve a mandar giù questo agile volumetto che in poco più di cento pagine racconta una storia, autobiografica divertente e sentita. Si parla d'amore e questo unito all'io narrante potrebbe sembrare un deterrente. Ma non è così. Francesco Lanzo in questo suo I Lanzillotti, schiva con maestria sapiente il già detto e il già letto, lo fa con uno stile tutto suo che almeno apparentemente sembra attingere dalla scuola di Paolo Nori (ndr che per sua stessa ammissione non ha mai letto) ma che a ben scavare è frutto di una ricerca personale che deforma linguaggio, se ne frega della punteggiatura e gioca a coniare neologismi. Anche se a tratti la lettura è un po' appesantita da scarsi riferimenti ortografici I Lanzillotti è un libro che va letto tutto di un fiato, forse anche per questo le virgole poco contano. È una bella storia, una serie di aneddoti, di facce, posti e persone che un po' (noi salentini) riconosciamo. Osvaldo

Maria Vittoria Dell'Anna Pierpaolo Lala Mi consenta un girotondo Mario Congedo Editore Lo so certe cose non si fanno ma io me ne frego e le faccio. Lo so è brutto fare autopromozione ma io la faccio e nessuno mi può giudicare, nemmeno tu. Da poche settimane è uscito nelle librerie un mio libro, scritto con la collega Maria Vittoria Dell'Anna, che si chiama “Mi Consenta un Girotondo, Lingua e lessico nella Seconda Repubblica”, edito da Mario Congedo di Galatina. Lo so, è di cattivo gusto che l'autore presenti un suo libro sul suo giornale ma i poeti non fanno lo stesso arrivando con il libro sotto l'ascella nei teatrini televisivi? E non fanno lo stesso quelli scrittori che senza farsi notare quando parlano del proprio romanzo davanti alla telecamera mostrano con scientifica ossessività la copertina? Insomma il libro esiste, viene scritto per essere venduto. E poi approfitto del nostro giornale per ringraziare quelli che, per un motivo o per un altro, non sono finiti nelle dediche del volume. Perché poi è estate e siamo tutti più nervosi (se lavoriamo) o siamo tutti più tranquilli (se non lo facciamo). Quindi ringrazio gli amici di CoolClub e i coinquilini che mi sopportano, la mia famiglia e mio fratello (che mi sopportano da molto più tempo), le amiche dell'Università e tutti quelli che ho “incrociato” con le parole della politica. I saluti della mia tesi erano lunghi 3 pagine, questi molto di meno. Un grazie particolare a tutte le ragazze di cui mi sono innamorato e che non lo hanno mai saputo o se lo hanno saputo hanno fatto finta di niente. Con il prossimo libro, un romanzo d'amore, le conquisterò tutte. Il libro, comunque, è interessante e a tratti divertente. Lo consiglio soprattutto a tutti quegli incazzati sociali e politici che cercano sempre nuovi stimoli per essere più incazzati. Si, forse, il senso della mia parte di lavoro è proprio rivolto a loro. Pierpaolo (recensore impavido)

Quei Meravigliosi anni '70 Nel panorama odierno della lettura italiana si assiste ad una profonda riscoperta degli anni '70. Riscoperta che il mondo editoriale attua attraverso una duplice politica: 1) pubblicando testi di autori viventi ambientati nei Settanta; 2) ripubblicando testi di autori non viventi scritte nei Settanta. Alla prima categoria appartengono romanzi quali Il paese delle meraviglie di Giuseppe Culicchia (Garzanti), Tornavamo da mare(Garzanti) di Luca Doninelli, Amici e nemici di Giampaolo Spicchia (Fazi) e Tuo figlio (Mondatori) di Gian Mario Villalta. Nella categoria di testi pubblicati nei Settanta e nuovamente nelle librerie vanno considerati Horcinus Orca (Rizzoli) di Stefano D'Arrigo e i Sillabari(Adelph) di Goffredo Parise. Impostato su una situazione epica - il ritorno, il nostos - Horcynus Orca descrive le vicissitudini di 'Ndrja Cambrìa, nocchiero semplice della fu regia Marina che, sbandato dopo I'8 settembre 1943, cerca di ritornare al suo paese sulla costa siciliana e dalla Calabria deve attraversare lo stretto, lo "scill'e cariddi". Le realtà che affronta si trasformano, nelle pagine di D'Arrigo, in una narrazione mitica e simbolica: le donne che esercitano il contrabbando del sale tra Sicilia e Calabria diventano "femminisse", "deisse”, divinità di natura ferina; la traversata dello stretto diventa un viaggio nella memoria dell'infanzia; il ritorno al paese la scoperta dì un mondo stravolto e deformato, specie per l'inquietante apparizione sulla riva della mostruosa Orca. 'Ndrja però non disarma, s'impegna per riportare quel mondo stravolto all'ordine antico, vuol costruire una barca da pesca come una volta, partecipa come capovogatore a una regata; ma durante gli allenamenti, la sua barca si avvicina troppo a una portaerei inglese al largo dei porto di Messina, e 'Ndrja, colpito in fronte da una pallottola, sprofonda «per sempre nelle tenebre». I Sillabari di Parise sono una serie di racconti brevi dedicati a sentimenti umani "essenziali" che, disposti in ordine alfabetico, compongono una sorta di dizionario. I primi racconti, da "amore" a "famiglia", uscirono sul "Corriere della sera" fra il 1971 e il 1972. Una seconda serie fu pubblicata fra il 1973 e il 1980 e nel 1984 i due Sillabari furono riuniti in un unico volume. Quei racconti controcorrente, frutto di una fulminante riduzione agli elementi primi della realtà, appaiono nitidi, assoluti, chiusi in una nervosa e brusca perfezione, capaci di evocare un intero mondo perduto. Come ha scritto Cesare Garboli, Parise "distilla la pietra filosofale del raccontare. Ma non racconta, fa qualcosa di più. Invoglia a pensare che il mondo sia raccontabile". Consigli d lettura per l'estate: leggete D'Arrigo e Parise e lasciate perdere le varie sessuofobie Melissa P o Alessandra C che riempiono di ormoni le nostre librerie. Rossano Astremo

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Quo Vadis Baby? Intervista a Grazia Verasani Grazia Verasani è una scrittrice e una musicista con all'attivo già due romanzi (L'amore è un bar sempre aperto e Fuck me mon amour), una raccolta di racconti (Tracce del tuo passaggio) e un Cd dal titolo Nata mai. Nota anche come sceneggiatrice e paroliere, ha pubblicato un nuovo romanzo, questa volta noir, dal titolo Quo Vadis Baby?. Con questo romanzo Grazia inaugura la nuova collana di gialli fondata da Gabriele Salvatores, “Colorado noir”. Si tratta di una costola di Mondadori che si propone di creare un dialogo tra cinema e letteratura attraverso l'angolazione del genere noir che, attualmente, secondo il regista, “è il genere più titolato a raccontare la realtà in cui viviamo anormale, ossessiva, illegale”. Grazia come ti è venuto in mente di scrivere un noir e soprattutto come è stato l'ingresso in questa nuova collana? Non mi è venuto in mente. È diventato un noir mentre lo scrivevo. Io avevo in mente questa storia che però ha subito nove versioni. Un lavoro molto duro che mi ha preso quasi un anno. L'impronta noir si è delineata via via, mi sono lasciata guidare dallo stato d'animo che cresceva insieme a questa storia. Per quello che riguarda Colorado è stato un po' buffo, nel senso che è tutto nato tramite Sandrone Dazieri, editore di Mondadori, che si occupa di gialli. Ci siamo incontrati senza conoscerci e io gli ho detto che avevo una storia che non sapevo se definire noir e lui dopo averla letta mi ha detto, “ma sì, è un noir metafisico”. La parola mi è piaciuta molto. Io credo che questo romanzo sia un pout-pourri di generi, nel senso che può essere anche letto come un romanzo d'amore o sull'assenza o sulla perdita o sul senso di colpa, insomma su vari argomenti che credo di avere toccato. Effettivamente il pregio di questo romanzo è quello di essere del tutto insolito: coniugare gli aspetti del noir, legati al dettaglio, alla ricerca delle prove, all'investigazione e poi il dialogo con una natura fortemente intimistica della protagonista. Che è una donna e per di più una investigatrice. L'idea è partita proprio pensando che potesse essere originale avere per protagonista un'investigatrice che finisse poi a investigare su se stessa e sul suicidio della sorella. Un atto molto privato, difficile da interpretare. Mi piaceva però anche descrivere una donna di oggi, con le sue durezze e il suo lato fragile, che si trova proiettata nel passato con una scatola da scarpe piena di lettere della sorella. Sullo sfondo ci sono tutti i casi delle persone che si rivolgono alla sua agenzia abbastanza sgangherata. C'è una storia portante e poi uno sguardo di attualità che si svolge dentro una città come Bologna. Bologna emerge molto da questo romanzo. Tutte le dinamiche di questi personaggi un po' perdenti si svolgono nelle sue strade. C'è stata forse un'influenza di tanti scrittori bolognesi che si occupano soprattutto di gialli? Ci sono scrittori di Bologna che conosco e che stimo, non solo di noir ovviamente. Però non sono stata condizionata da questo. Io quando scrivo un libro mi ritiro. Magari mi faccio condizionare dai libri che leggo. Non sono una lettrice sfegatata di noir. Ho letto molto Chandler, Simenon.

Mi piacciono gli antieroi e anche la mia protagonista è un'antieroina. Rispetto alla città, ho cercato di descrivere in maniera malinconica e forse un po' critica quello che Bologna ha perso in questi anni. E' vero che al momento con l'elezione di Cofferati c'è molta speranza per l'avvenire. Però è una città che si è inaridita molto culturalmente. Ho pensato di dire la mia perché credo che sia una sensazione che abbiamo un po' tutti. Anche Giorgia Cantini, la tua protagonista è molto ironica, un po' acida, critica nei confronti di ciò che le sta intorno eppure anche fragile e impacciata. Si barcamena un po' tra l'umorismo e la malinconia. Questi sono registri che io uso molto: la tristezza, ma anche l'ironia. Giorgia secondo me è una persona che vive in una trincea difensiva, cosa che le può far dire frasi che possono sembrare meccaniche. Però io spero molto che le donne si possano identificare in questo personaggio, perché lo trovo estremamente moderno. Si tratta di una vulnerabilità malcelata, mascherata da questa apparente freddezza, durezza. La vulnerabilità dei tuoi personaggi è un elemento chiave del tuo romanzo e questa complessità coinvolge anche i protagonisti più giovani. Tim e Gaia, gli adolescenti di questa storia, sono per me i personaggi più positivi del romanzo, quelli che danno una speranza. E' inevitabile raccontando la mia generazione, quella dei quarantenni, sottolineare questo disincanto, questa amarezza., questa paura di tutto: di innamorarsi di avere fallito. Sono i bilanci dell'età. Raccontare anche le nuove generazioni mi sembrava giusto. Scrivere mi è servito per liberarmi di certe ossessioni e in questo senso il noir mi ha aiutato molto. Ci sono giallisti che parlano della malvagità, a me interessava parlare dei misteri dell'umanità perché poi in questo libro non si parla certo di assassini, sangue e cose del genere. Un lettore che cerca questo rimane probabilmente deluso. Mi interessava fare un discorso sul senso di colpa che abbiamo noi occidentali e che è diventato quasi un argomento da salotto. Parlare dell'egocentrismo, di questa malattia moderna ha significato anche liberarsi da certe zavorre. E ci può fare bene. La ricerca del tempo passato e del tempo perduto può portare sì a trovare qualche luce, ma non ci porterà mai a delle certezze definitive, a delle risoluzioni chiare. Insomma alla fine bisogna andare avanti, un po' malandati, ma si va avanti. Elisa De Portu


Anchee Min L'Imperatrice Orchidea Corbaccio 2004 L'Imperatrice Orchidea, ultima Imperatrice della Cina, era forte e bella, come il fiore. Come solo un fiore riesce, ha saputo resistere a mille avversità, e come un fiore ad un certo punto è sbocciata, in tutto il suo splendore. La sua storia inizia da lontano, e Anchee Min ce la racconta in questo romanzo, in modo intenso e coinvolgente. Diciassettenne, di famiglia aristocratica ma povera, dinastia Qing, orfana di padre, per dare una svolta alla sua dura vita Orchidea decise di perseguire un sogno. Per la sua origine manciù era tra le papabili aspiranti concubine dell'Imperatore e grazie alla sua tenacia, e la sua bellezza, venne selezionata tra queste. All'improvviso si trovò a vivere quella che poteva rappresentare una favola, la sua favola. Le porte della Città Proibita si schiusero dinanzi a questa giovane ragazza. Quel mondo incantato, negato ai più, per lei divenne la sua casa. Il suo unico mondo. Quello che c'era fuori era cosa a lei ignota, la vita all'esterno da quelle mura invalicabili divenne un ricordo lontano, il degrado dell'Impero Cinese una volta potente e imbattibile non doveva rientrare tra i suoi interessi, pur essendone a capo. Tra il profumo dei giardini reali, nella vita di una corte immaginabile solo ad occhi chiusi, tra inservienti ed eunuchi al suo servizio, tra l'ozio e la noia, nella più completa solitudine, la dama Ye Henala, questo il suo nome ufficiale, trascorreva le sue giornate, sognando il suo primo incontro amoroso con l'Imperatore Xian Feng. Poi questo avvenne, e da allora cambiò tutto. Anchee Min, autrice cinese trapiantata negli USA, passa in rassegna i momenti della vita di questa Imperatrice su cui tanto si è detto e scritto. Lo fa in maniera delicata ma ricca di dettagli, senza tralasciare gli inganni, i tradimenti, le gelosie, nascosti dietro una facciata di apparente perfezione, di cui l'Imperatrice fu vittima e attrice. Scrive e descrive senza giudizi né critiche, ma con precisione e con uno sguardo sempre attento agli editti, i documenti, i decreti originali dell'epoca. Ritrae Orchidea non solo come donna, ma come Imperatrice di un vasto regno, la Cina. La Cina dalle mille tradizioni, dagli abiti tipici, dai quadri astrologici e dalle brevi poesie. La Cina dei santuari per Buddha e dei palazzi sontuosi ed eleganti. La grazia di questa civiltà si ritrova tutta nella sua Imperatrice, Orchidea, nella sua forza, nella sua caparbia, nella sua bellezza. È un bel libro, è un tuffo in un mondo così lontano dal nostro, nel tempo e nello spazio, che è estremamente difficile riuscire a immaginare. Ma che è bello sognare e sarebbe bello conoscere. Valentina

Michael Moore Fahrenheit 9/11 Da documentarista semi-sconosciuto a fenomeno mediatico il passo è breve. Ne sa qualcosa Michael Moore, nuova gallina dalle uova d' oro del cinema indipendente americano, uscito vittorioso da Cannes con "Fahrenheit 9/11"(il riferimento è a "Fahrenheit 451", celebre romanzo di fantascienza di Ray Bradbury nel quale un potere assoluto invia ovunque "pompieri" a incendiare case e libri per distruggere la capacità della gente di pensare in modo autonomo). L' autore, che sembra aver scoperto la strada che porta al successo e alla provocazione, dopo aver agguantato un premio Oscar ("Bowling for Columbine") e sfornato un best-seller ("Stupid white men"), centra ancora una volta il bersaglio con un film godibile e appassionato che ne fa un paladino della sponda liberal americana. Nella sua requisitoria il regista cerca di motivare l' entrata in guerra degli States e traccia un quadro sconcertante sui rapporti tra la famiglia del presidente e quella Bin Laden cominciati addirittura sotto l' amministrazione di Bush sr. e durati oltre un ventennio. Il film che ha già subito negli USA il divieto di visione ai minori di 17 anni senza accompagnatore (un provvedimento durissimo), non ha ancora esaurito l' onda d' urto causata dall' impressionante pubblicità creatagli attorno ed è attualmente programmato in 868 sale, un record assoluto per un documentario. Nonostante Moore si dichiari estraneo ad ogni coinvolgimento politico come non dimenticare il polverone causato dal suo triplice "Vergogna mr. Bush!", urlato in diretta mondiale alla consegna degli Oscar, che ha diviso gli Stati Uniti e gli ha definitivamente chiuso i cancelli delle grandi major. Per una nazione ancora scioccata dal crollo delle Torri e dai lutti iracheni si tratta di un vero pugno nello stomaco, che non mancherà di dare i suoi effetti il prossimo 2 novembre, data delle elezioni presidenziali. Uno schiaffo insomma a quella parte di America convinta ancora che l' imperialismo esista e che la forza sia l' unico modo per risolvere i conflitti senza che l' altra parte del cielo faccia sentire la sua voce. Se questa libertà esiste, questo film ne è la prova più evidente. Michele


Rob Zombie La casa dei 1000 corpi Dusan Milic Jagoda: Fragole al Supermarket Jagoda è davvero il film perfetto per gli arcobalenisti più alla moda. La sua struttura ricicla quella di altri film, da “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, al moderno “Jhon Q”, mettendo al centro della vicenda le gesta del sequestratore di turno, riletta qui in chiave tragicomica e infarcita di scolastiche filippiche noglobal, disegnando una caratterizzazione dei protagonisti invero fin troppo schematica e sempliciotta. Da un lato il barricadero serbo, che tiene in ostaggio un intero supermarket di proprietà americana, l'eroe inconsapevole che diventa suo malgrado il predicatore-baluardo contro il solito Babau americano; dall'altro i poliziotti cattivi armati di tutto punto, con letali armi tecnologiche, talmente cattivi da mettere in crisi la loro stessa coscienza che a fine film, così, all'improvviso, farà mettere in discussione il loro operato; trent'anni di “onorata” carriera portata avanti a colpi di manganello, spazzata via in un lampo nella notte della redenzione che apre gli occhi e il cuore. Dubito però che siano stati i predicozzi di Marko ad addolcire l'animo dei militari, talmente ridicoli e “preconfezionati” da far venire più di una volta il sospetto, che il regista li abbia resi volutamente banali per prendersi gioco dello stereotipo del disobbediente di grana grossa. Invece Dusan Milic fa sul serio, sparando a zero su tutte le più scottanti problematiche odierne, dagli OGM, al fare colonialista dell'America, elencandole però pedissequamente con gli stessi toni che potrebbe usare un ragazzino neofita ammaliato dal fascino dei cortei, senza curarsi dell'attinenza dei dialoghi con il contesto della sceneggiatura. Eppure tirate le somme Jagoda non riesce ad essermi antipatico, merito di alcune gag che ogni tanto strappano qualche risata, ma soprattutto di un cast di attori efficace ed affiatato (specie Sdrjan Todorovic perfetto nel ruolo di Marko lo sfigato sequestratore), che sa come riuscire a divertire il pubblico. Dispiace però che il produttore dell'operazione, l'acclamato Emir Kusturica, non abbia saputo consigliare a dovere il suo allievo, perché con un po' di attenzione in più in fase di sceneggiatura, Jagoda sarebbe stato un buon esempio di commedia “impegnata”. Giampiero Chionna

L'attesa è durata un po' ma alla fine anche nei cinema nostrani vede la luce l'opera del chitarrista dei White Zombie. E ci sarebbe anche da essere allegri, in teoria, perché il film avrebbe tutti i numeri per essere un trashone revival dei b-movie datati seventies. La storia? Sempre la stessa: il solito gruppo di soliti ragazzi gira a bordo di un auto per le autostrade americane; si imbatte in un ameno tunnel dell'orrore sperduto nella provincia e dopo averci fatto un giro apprende l'esistenza del pluriomicida Dott. Satana. La curiosità uccise il gatto e così via, tutti alla ricerca dell'albero dove il simpatico dottore è stato impiccato. Da qui in poi il film si trasformerà in una sorta di omaggio-clone di Non aprite quella porta, con tanto di autostoppista sciroccata (questa volta una donna e pure figa!) che li farà imbattere nella sua famigliuola composta dal fratellone deforme, grosso e muto, la mamma avvenente maitresse che colleziona feti in salamoia, il nonno e il folle capogruppo che insieme alla ragazza fanno il verso a Platehead di Non aprite quella porta (ricordandone anche le fattezze). Ma per quanto si sforzi poverino, Rob Zombie non riesce proprio a ricreare l a t o r b i d a atmosfera del classico del '74 n o n o s t a n t e infarcisca la pellicola di spezzoni girati presumibilmente in super 8 per dare un tocco malsano al tutto; ma inutilmente. Nel film di Hooper la violenza esplodeva in tutta la sua cattiveria dopo un costante accumulo di tensione e di situazioni morbose lasciando ammutolito lo spettatore, turbandolo e shockandolo. Nel lavoro di Zombie la follia del gruppo è sguaiata e caciarona, dispensando violenza gratuita un po' ovunque, lasciandosi alle spalle ogni parallelismo sulla caduta del sogno americano. Eppure per i primi 40 minuti, se preso come colorato b-movie, il clone non dispiace. Solo che il buon Rob si lascia prendere la mano inserendo nel finale, senza logica alcuna, zombie, freaks, il motore della vicenda ovvero il redivivo Dott. Satana tenuto in vita da avveniristici macchinari e il vecchio pater familias del gruppo creduto morto con tanto di vestito da cyborg, in un turbinio di immagini e situazioni affastellate alla rinfusa, senza la minima preoccupazioni di renderle funzionali alla sceneggiatura o dare una qualche spiegazione allo spettatore di quanto stia accadendo trasformando il tutto in un enorme baraccone claudicante. Mancano Dracula e gli alieni e il circo è al completo. Maledetto metallaro, la prima parte era talmente stronza da risultare divertente; sarebbero bastati un po' di attenzione ed oculatezza in più per confezionare un prodotto diretto discendente delle amenità di Al Adamson, Russ Meyer e Jack Hill. Merce rara di questi tempi. Giampiero Chionna


Christophe Honorè Ma mère Il film dell' esordiente Christophe Honorè, che tanto ha fatto parlare di se per il rifiuto subito al Festival di Cannes, dopo aver trovato casa alla rassegna di Taormina, arriva finalmente nelle sale italiane e lascia per molti versi perplessi e con l'amaro in bocca. Per chi come me ha amato visceralmente quel grande genio che era Georges Bataille, autore dell' omonimo romanzo da cui è tratta l' opera, non può che esserci una profonda delusione una volta lasciata la sala. Intendiamoci, il regista sebbene alle prime armi, fa del suo meglio attualizzando una storia intricata e di difficile comprensione, che però andava analizzata ben oltre i reclamizzati rapporti incestuosi e pervesioni sessuali. Isabelle Huppert ("Otto donne", "La pianista") ormai a suo agio in ruoli estremi e fuori dalle righe, presta anima e corpo alla bella Helene la madre che inizia suo figlio Pierre (Louis Garrel, "The dreamers") al sesso e alla vita, in un film in cui il regista prende sapientemente le distanze da ogni giudizio morale, che non rappresenta assolutamente il fulcro della vicenda basata altrimenti sul rifiuto dell' omologazione e del comune pensare. <<Sono una puttana, una cagna. Nessuno mi rispetta, sono ripugnante, voglio che mi ami per questo, per la vergogna che ti ispiro>>: sono queste le parole che Helene grida al figlio e nelle quali è condensato il suo rifiuto per una società che non l'ha mai accettata per quella che è. Rimane quindi la delusione per un racconto che prometteva parecchio e che è stato trattato invece in maniera superficiale sebbene il prodotto sia di pregevole fattura, con una fotografia livida ed un finale forte e per alcuni versi geniale. D'altronde raramente si riesce a trasporre in maniera degna letteratura su celluloide, un po perchè c' è sempre grossa attesa, un po' perché in fondo sono due cose diverse. Non vi rimane che leggere il libro per rendervi conto che nonostante tutto, a volte le storie è molto meglio immaginarle e di come la parola scritta può toccare corde che lo schermo non può davvero neanche sfiorare. Michele

MUSICA BIRRA GASTRONOMIA BIKERS STANDS

30 - 31 Luglio 2004 Carpignano (LE) START ore 21 Ingresso gratuito

Frank Oz La donna perfetta Arrivare a casa stanchi dal lavoro, trovare pronta una cenetta coi fiocchi e poi uscire con gli amici mentre la tua mogliettina ti aspetta a casa in una mise sexy... Un sogno? No, semplicemente Stepford! Remake di un film del '75 di Bryan Forbes intitolato "La fabbrica delle mogli", l'ultima fatica di Frank Oz ("In &Out", "The score") è una commedia senza molte pretese con momenti brillanti seguiti da monotonia e cadute di stile. L'avvocato Walter Eberhart (un deludente Matthew Broderick) e sua moglie Joanna (Nicole Kidman) stanchi della stressante vita della metropoli, lasciano New York per trasferirsi in un lussuoso e tranquillo paesino di provincia dove tutto sembra filare liscio e dove le mogli degli abitanti sono tutte affabili, devote e per giunta bellissime, quasi fossero create in laboratorio. Questo non sfuggirà ai due sposi arrivati in città assieme a Bobbie (Bette Midler), una scrittrice eccentrica e a Roger (Roger Bart), un architetto gay. Tratto dal romanzo "La donna perfetta" di Ira Levin, l' opera tenta di dare una lettura diversa a differenza del primo lavoro di Forbes, girato negli anni in cui il femminismo era un fenomeno nuovo che si affacciava minaccioso sull'universo maschile; in questo caso si cerca di porre l' accento sul fatto che le donne di oggi, prese troppo spesso dalla carriera, tendono a dimenticare i valori più semplici della vita, come ad esempio la famiglia. Un cast d'eccezione, che comprende anche Glenn Close e Christopher Walken, rende più digeribile la pillola per un film che può anche essere appagante se si cercano solo un paio d' ore di svago. In definitiva "The Stepford wives" rimane una commediola simpatica che traccia un pò il segno dei tempi moderni dove, purtroppo per noi, mogli del genere saranno solo una vana speranza...Dedicato a tutti i nostalgici. Michele


appuntamenti 29 luglio Novoli Sonos Rock One Dimensional Man Grande appuntamento con il rock indipendente italiano firmato CoolClub e Arci Novoli. Il palazzo baronale di Novoli ospita infatti la seconda edizione di Sonos Rock con la carica esplosiva di One dimensional man e il rock dei salentini Shank e Violle. Il gruppo veneto nasce nei primi mesi del 1996 da un idea di Pierpaolo Capovilla, voce e basso del gruppo, Massimo Sartor, chitarra, e Dario Perissutti, batteria. L'album di debutto, omonimo, esce nel maggio '97 e contiene 13 tracce al vetriolo, caratterizzate da un sound molto rumoroso, violentemente ritmico, privo di compromessi. Nel 2000 e nel 2001 escono altri due cd “1000 doses of love!” e “You kill me”. Il loro impetuoso sound ha fatto il giro d'Europa con più di duecento concerti. Recentemente è uscito Take me away (vedi recensione). Ingresso 7 euro. Inizio ore 22.30. Info 0832303707

Lunedì 2 Agosto Cursi Giardini di Plastica Giardini di Plastica è un gioco semplice e molto divertente che gli attori (Cristina Mileti, Fabrizio Pugliese e Ippolito Chiarello) realizzano sulla scena manipolando tantissimo materiale di plastica. Koreja presenta questo spettacolo in Piazza Pio XII a Cursi. Sipario ore 21.30. Ingresso gratuito. Info 0832242000 Martedì 3 Agosto Cursi Via Fabrizio Saccomanno, con l'aiuto di Cristina Mileti, ti cattura con il suo racconto serrato e ironico. Via, della Compagnia Koreja, parte dai nomi delle strade di un qualsiasi paese salentino e si perde nei tanti percorsi che il raccontare stesso crea, fino a divenire la narrazione di una migrazione esemplare: l'Italia del dopoguerra, gli accordi tra la nascente Repubblica Italiana e il Belgio, le miniere di carbone e soprattutto Marcinelle. Appuntamento in Piazza Pio XII. Sipario ore 21.30. Ingresso gratuito. Info 0832242000.

30/31 luglio Carpignano Salento Beer Festival Carpignano raddoppia il tasso alcolico: dal vino alla birra. Nasce il Salento Beer Festival, due giorni di musica e luppolo. Sponsor unico della manifestazione la Heineken che farà giungere direttamente dai suoi stabilimenti birra appena fatta in lattine gigantesche da dieci quintali. La prima giornata si aprirà con la patchanka dei salentini BlekAut. A seguire una formazione storica dello ska reggae italiano i Fratelli di Soledad. Chiuderanno i Meganoidi. Autori di uno dei più grandi successi ska core degli ultimi anni “Supereroi Vs. Municipale”. Sabato 31 luglio spazio ai salentini Cucuwawa che si stanno facendo apprezzare per il loro reggae divertente e irriverente. Subito dopo suoni decisamente più rock per accogliere il raduno delle mitiche Harley Davidson con Tito and the Brainsucker. In chiusura largo alla tromba di Roy Paci accompagnato dagli Aretuska. Roy ha suonato in diversi gruppi tra i quali la Banda Ionica, i Mau Mau, i Persiana Jones, Blue Beaters. Le serate saranno chiuse dalle dance hall di Ghetto Eden, Thug Team e Shotta P. Un evento musicale organizzato dall'Associazione Salento e Musica, con il patrocinio del comune di Carpignano. Ingresso gratuito

Venerdì 6 Agosto Cursi Verdena Afterhours Questo è uno di quei concerti che andrebbero visti perché si mettono a confronto due generazioni di rock. Da una parte i Verdena, uno tra i gruppi rivelazione dell'anno con il loro album Il suicidio del Samurai, dall'altra una band che ha mutato profondamente il sound del rock indipendente. Gli Afterhours guidati da Manuel Agnelli hanno ben sette album alle spalle. Inizio fissato per le 21.00. Biglietto 13,50 euro

31 luglio/1 Agosto Leverano Tracce: Cortometraggi di Puglia Due serate di proiezioni di piccoli film per portare alla visione del pubblico le impronte che la nostra regione sta imprimendo sull'intero territorio nazionale. Il 31 luglio e il 1 Agosto Leverano ospita Tracce, cortometraggi di Puglia, una rassegna dedicata al giovane cinema pugliese e curata dal direttore artistico e regista Giovanni De Blasi e patrocinata dal Comune di Leverano nell'ambito della rassegna estiva. Le sezioni previste sono due: “Fotogramma” e “Pixel”. La prima comprende opere realizzate in pellicola, la seconda quelle in digitale. Gli autori presenti sono i tarantini Mauro Magazzino e Fabrizio Colucci, i salentini Corrado Punzi, Gianluca Camerino, Carlo Michele Schirinzi, il brindisino Simone Salvemini e i baresi Andrea Costantino, Pippo Mezzapesa, Vito Palmieri e Vito D'Attoma. Info: 3407804028.

Venerdì 6 Agosto Ruffano Assalti Frontali Dopo il concerto di Melpignano per Noadisalento e quello di Trepuzzi, gli Assalti Frontali tornano nel Salento. Appuntamento negli impianti sportivi di Ruffano.

Domenica 1 Agosto Cotriero - Gallipoli Bisca Torna nel Salento, nello splendido scenario del Cotriero BISCA, la band partenopeache da oltre 10 anni fa ballare tutta l'Italia. Contaminazioni elettroniche e world music alla base del successo del gruppo.

Giovedì 5 Agosto Gallipoli Mascarimirì Ballati con Cavallo e i Mascarimirì al Cotriero di Gallipoli. Il gruppo, che ha saputo far incontrare tradizione e innovazione, presenterà i brani dell'ultimo cd Festa. Info 3406662833. Inizio ore 22.00, ingresso gratuito.

Venerdì 6 Agosto Lecce Via Il Museo Sigismondo Castromediano ospita Via del Teatro Stabile Koreja con Fabrizio Saccomanno e Cristina Mileti. Sipario ore 21.30 (vedi scheda 3 Agosto). Info 0832/242000 Venerdì 6 Agosto Cotriero - Gallipoli Granma La musica live sulla spiaggia del Cotriero di Gallipoli prosegue con i suoni elettronici e scatenati dei salentini Granma. Inizio ore 22.00. Info 3406662833.

Sabato 7 Agosto Cursi Ganjamama Après La Classe Africa Unite Non potevano mancare. Gli Africa Unite, piemontesi di Pinerolo, da queste parti sono a dir poco osannati. A Suoni nella Cava al loro fianco ci saranno i milanesi Ganjamama, incredibile cover band di Bob Marley e i salentini Après La Classe. Inizio ore 21.00 Biglietto 13,50 euro


Domenica 8 Agosto Cursi Nomadi Vedendo i manifesti del festival Suoni nella Cava molti si chiederanno perché una data riservata solo ai Nomadi. Forse perché nonostante i 40 anni di carriera sono seguitissimi da almeno tre generazioni di persone. Vedremo…Inizio alle ore 21.00. Biglietto 13,50 euro. Domenica 8 Agosto Cotriero - Gallipoli Sam Paglia Torna ancora nel Salento Sam Paglia, l'hammondista italiano più famoso nel mondo. Le sue prodezze sui tasti bianchi e neri, hanno siglato alcuni famosi spot per la tv, le atmosfere della sua musica attingono dagli anni ‘60 giocando con il lounge e i ritmi più latin e funky. L'appuntamento è al Cotriero di Gallipoli. Inizio ore 22.00. Ingresso gratuito. Info 3406662833 Lunedì 9 Agosto Cotriero - Gallipoli Dinamo Folk Vengono da Bergamo e suoano “Kombat-Folk” nello stile dei fratelli di Soledad e dei Modena City Ramblers. I Dinamo folk saranno di scena al Cotriero di Gallipoli. Con loro divertimento e impegno sociale. Inizio ore 22.00. Ingresso gratuito. Info 3406662833. Mercoledì 11 Agosto Cotriero - Gallipoli Pozzo di San Patrizio Musica live al Cotriero di Gallipoli con i Pozzo di San Patrizio. Dal rock progressivo al funky, dallo ska alle ballads, dal jazz al reggae, senza di-sdegnare le radici popolari campane, una miscela di suoni e generi per un concerto esplosivo. Da non perdere. Inizio ore 22.00. Ingresso gratuito. Info 3406662833 Giovedì 12 Agosto Cotriero - Cotriero - Gallipoli Krikka reggae Chitarre in levare, melodie senza filtro, ritmica a tamburello, dub sanguinante. Reggae senza mezzi termini, ancorato alla tradizione del genere, ma riproposto con la freschezza di chi sa aprirsi vie di fuga verso la contaminazione. La Krikka reggae sarà sul palco del Cotriero di Gallipoli. Inizio ore 22.00. Ingresso gratuito. Info 3406662833 Venerdì 13 Agosto Cotriero - Gallipoli Anima L'Anima della pizzica con questa formazione di musicisti professionisti provenienti da varie parte d'Italia capitanata dal grande musicologo Gianfranco Salvatore. Gli Anima si spingono oltre i confini del popolare per approdare alla sperimentazione. Una fusione tra passato, presente e generi creano una musica senza etichette e confini. Inizio ore 22.00. Ingresso gratuito. Info 3406662833 Venerdì 13 Agosto Cursi Salento Summer Festival Bujiu Banton, Sud Sound System, Chop Chop Band, Krikka reggae e H-Nito Fun: è questa la squadra della quarta edizione del Salento Summer Festival che torna anche quest'anno nelle Cave di Cursi. Nelle prime tre edizioni il festival organizzato dalla Sonoria Promotion ha ospitato tra gli altri Sepultura, Almamegretta, Afterhours, Cristina Donà, Marlene Kuntz, Capararezza, Meganoidi dando anche ampio spazio alle band salentine. Nel 2004 una serata dedicata al grande reggae con "the voice of Jamaica" Buju Banton e i Sud Sound System. Inizio ore 21.00. Biglietto 15 euro. Info: 3286177083

appuntamenti Lunedì 16/17 Agosto Cotriero - Gallipoli // Fico Ricco - Casalabate Zina & Sound Res Sound Res, il festival del Suono organizzato dalla Loop House, si sposta da San Cesario al mare per due concerti finali con Zina e i partecipanti alle residenza artistiche. Zina nasce dall'incontro tra Bachir Gareche (fondatore dei “Nura”), Ahmed Bembali (musicista gnawa) e Cesare Dell'Anna (fondatore di “Opa Cupa” e “Tax Free”) e vanta la collaborazione costante con musicisti come Don Rico dei Sud Sound Sistem, Stefano Valenzano, il trombettista Riccardo Pittau che si cimenta in un duo rap in sardo/algerino con Amed Bembali. Ingresso gratuito. Inizio ore 22.00. Info 3483114607 0832205583 Giovedì 19 Agosto Lungomare Capilungo (Marina di Alliste) Live Beach Contest Coolclub e Arci Novoli organizzano una One Night live sullo stupendo litorale della marina di Alliste. Si esibiranno oltre 5 band. Fra queste Spasulati Band, Cucuwawa, Cruska. Una serata da non perdere. Ingresso gratuito. Sabato 21 Agosto Melpignano Notte della Taranta Dopo i ritmi sfrenati dello scorso anno con Stewart Copeland, La notte della Taranta, che chiude Salento Negroamaro, si preannuncia più soft. Maestri concertatori Ambrogio Sparagna e Giovanni Lindo Ferretti con la partecipazione di Franco Battiato, Gianna Nannini e Francesco Di Giacomo. Si attende il solito delirio a Melpignano. Auguri a tutti gli automobilisti e ancora complimenti a chi ha inventato questa genialata pizzicarola. 4/6 settembre Salento Tre giorni di cinema all'aperto. La manifestazione itinerante ideata per promuovere la conoscenza e la promozione del cinema italiano, organizzata dalla società Merloni, tocca anche il Salento. Tre tappe di questo viaggio che coinvolge circa 20 città italiane. In programma i film di Edoardo Winspeare, che hanno raccontato il Salento da molti punti di vista, “Nostra signora dei turchi” di Carmelo Bene, “La taranta” e “Flavia la monaca musulmana” di Giancarlo Mingozzi. Info allo 0832303707 e sul nostro sito. Sino al 15 settembre Click Note fotografiche Cogliere l'attimo fuggente: imprimere in uno scatto quell'istante unico ed irripetibile in grado di comunicare al pubblico emozioni pure ed intense. E' questo lo spirito di "CLICK Note Fotografiche appunti visivi dal mondo musicale", il concorso organizzato dallo studio Alikè di Milano in collaborazione con il MEI e Rockol e sostenuto da All Music Magazine, K-Code Magazine e Midfinger. Live Performance/Pubblico, Backstage/On tour, Ritratti/Foto promozionali, Cd Cover/Interior Album, Festival/Manifestazioni musicali, Immagini digitali: queste sono le sei aree tematiche all'interno delle quali i partecipanti potranno far rientrare i propri lavori. Il materiale dovrà essere spedito in busta chiusa, entro e non oltre il 15 settembre 2004, presso Alikè Studio - via Heine 3 - 20141 Milano. Info www.alike.it


Se il mare della sabbia puzza

CoolClub.it Anno 1 Numero 6 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Dario Quarta Collettivo redazionale Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala Collaboratori: Valentina Cataldo, Gianpiero Chionna, Cesare Liaci, Sergio Chiari, Maurizia Calò, Marcello Zappatore, Davide Castrignanò, Amedeo Savino, Patrizio Longo, Augusto Maiorano, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Marta Vignola, Daniele Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo, Marco Daretti, Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano Toma, Federico Vaglio, Michele Pierri, Lorenzo Coppola, Paola Volante, Nicola Pace, Giacomo Rosato Per le foto si ringrazia Alice Pedroletti Claudio Longo per la copertina dello scorso numero (Raiz) Progetto grafico fuoridaltunnel Impaginazione Monsieur le President Lupo Editore Soc. Coop. CoolClub Redazione Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Stampa Poligrafica Desa Srl Copertino Per inserzioni pubblicitarie: ufficiostampa@coolclub.it

Estate: tempo di ferie, vacanze, mare, tette e culi in spiaggia. Estate: tempo di relax, lunghi bagni in acqua salata, pennichelle all'ombra dell'ultimo sole. Estate: tempo di gite in barca, di pomeriggi solitari passati a pescare, tempo di letture lunghe e impegnative. Estate: tempo di sole, mare e vento. Ma se il mare della sabbia puzza? Mi spiego meglio. Non sempre andare al mare è un esperienza rilassante e piacevole, e spesso può rivelarsi il peggiore incubo della stagione. Lo stesso ovviamente può accadere in montagna, o in campagna. Ma oggi ho deciso di parlare del mare, e non di un male qualunque, ma del mare della sabbia, che non va confuso con il mare degli scogli. Domenica, ore 13, un affollatissimo lido della costiera ionica accoglie me e i miei amici. Un simpatico gruppetto di vacanzieri illusi e ben speranti in una giornata di riposo e relax dopo una dura settimana di lavoro tra i quattro muri di un ufficio, che la tecnologia moderna ha ormai reso più freddi di una cella frigorifera ma non per questo accoglienti e piacevoli quando fuori ci sono più di trenta gradi e e ameno di trenta chilometri un mare azzurro che sembrano i Caraibi. E proprio quel mare azzurro io e i miei amici sprovveduti cercavamo quella domenica mattina di un luglio inoltrato. Il mare della sabbia puzza. In italiano vuol dire che l'acqua quando il fondale è sabbioso ha un cattivo odore. Tradotto in termini metaforici vuol dire che a volte è meglio andare a fare il bagno in posti un po' più impervi da raggiungere magari ma molto più piacevoli una volta raggiunti rispetto a spiagge affollate, rumorose e iperaffollate. Già perché il problema non è solo che la domenica mattina le spiagge sono affollate e popolate da famiglie con bambini al seguito. E quindi vai con lo squadrone di marmocchi capricciosi e viziatelli che urlano, strepitano, piangono pur di ottenere da mamme e papà ormai stremati il contentino del momento. Ma poi il capriccio cambia e le urla restano. Le mamme e i papà cedono, cedono, cedono, ma alla fine parte il ceffone e le urla e gli strepiti si raddoppiano, si triplicano a colpire i timpani sempre più provati e più deboli di poveri bagnanti che cercavano nel fruscio delle onde marine e nel suono delle cicale una dolce ninna nanna per il riposo settimanale. Ma questo non basta, perché il mare della sabbia puzza davvero e non poco, metaforicamente parlando. E quando il nostro sparuto gruppo di eroi decide di recarsi al bar dello stabilimento per mangiare un panino seduti all'ombra del pergolato di canne autoctone che tanto fanno Caraibi, ecco che un'ondata di decibel ben superiore colpisce i loro padiglioni auricolari (che nel caso di chi scrive sono di dimensioni straordinarie e molto sensibili). Un gruppo autoctono come le canne del pergolato percuote con rabbia furiosa tamburelli e chitarre a produrre il dolce suono della pizzica che alle due del pomeriggio sotto il sole cocente e con lo stomaco vuoto fa un effetto tutt'altro che terapeutico e rilassante. I nostri consumano velocemente il loro panino nell'angolo più lontano dalla band di pazzi scatenati e fanno ritorno in spiaggia. I bambini adesso ricordano tanto il suono delle cicale, dolci e silenziosi in confronto alla pizzica di pocanzi. Ma un'altra e più terribile sorpresa aspetta i nostri eroi. Dagli altoparlanti posizionati tanto bene da coprire ogni angolo della spiaggia si alza forte e chiara una musica dance sovrastata dalla voce dell'invasato di turno che invita tutti i bagnanti a prendere parte ai balli di gruppo e all'acqua gym con le ragazze dell'animazione, che, almeno loro, sono belle, ma comunque troppo rumorose e attive per le due e trenta del pomeriggio. I nostri resistono per un'ora circa e poi hanno un'illuminazione: se qui ci sono i balli di gruppo e la musica al bar in questo momento ci dovrebbe essere silenzio, un caffè in ghiaccio è proprio quello che ci vuole per riprendersi da questo incubo. Ma ovviamente il mare della sabbia puzza, e forte. Arrivati al bar i nostri scoprono con vero orrore che un altro gruppo, questa volta di rock nostrano e sudorifero, sta facendo il sound check. Ovviamente, l'unico tavolo libero è quello vicino alla batteria. Il mare della sabbia puzza, ma soprattutto è rumoroso davvero. dario


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