Coolclub.it n.4 (Maggio 2004)

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Alcune ricette capitali Ricette accidiose

Direttore responsabile Dario Quarta Collettivo redazionale Osvaldo Piliego, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala Collaboratori: Valentina Cataldo, Gianpiero Chionna, Cesare Liaci, Sergio Chiari, Maurizia Calò, Marcello Zappatore, Davide Castrignanò, Amedeo Savino, Patrizio Longo, Augusto Maiorano, Antonio Iovane, Rossano Astremo, Rita Miglietta, Marta Vignola, Daniele Lala, Elisa De Portu, Daniele Rollo, Marco Daretti, Marco Leone, Fulvio Totaro, Stefano Toma, Federico Vaglio, Michele Pierri, Lorenzo Coppola Per le foto si ringrazia Alice Pedroletti Progetto grafico fuoridaltunnel Impaginazione Cesare Liaci Lupo Editore Soc. Coop. CoolClub Redazione Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Stampa Poligrafica Desa Srl Copertino Per inserzioni pubblicitarie: ufficiostampa@coolclub.it

Ricette lussuriose Sai, dicono che i cibi afrodisiaci non esistano. Io invece credo che esistano eccome. Ci sono delle cose alle quali non si può proprio resistere. Io, per esempio, dopo che mangio i frutti di mare crudi mi viene una voglia che non riesco a trattenerla. Sai, l'idea di succhiare una cosa ancora viva, di sentirne i succhi e gli umori che ti riempiono la bocca, la consistenza un po' viscida fra i denti. Mi vengono i brividi solo a pensarci. Non ne vuoi degli altri? No? Va bene allora passiamo alla pasta. Come dici ho esagerato con il peperoncino? Ma pensa anche solo alla sua forma e dimmi come si può fare senza questo meraviglioso prodotto della natura. Sembra fatto apposta per eccitare le menti e i corpi. Il suo colore rosso come la passione, la sua forma allungata ed esplicitamente fallica, il suo sapore forte e amaro che accende il sangue nelle vene. Mi piace sentire il fuoco che si sprigiona dentro di me, che scalda ogni parte del mio corpo, che giunge in tutti i suoi recessi e anfratti. Le membra che si scaldano e quando ci bevi su vino rosso, il nettare della passione, che ti aiuta a sbarazzarti di fastidiose inibizioni, senti il torpore che afferra le tue membra, la mente che si rilassa pian piano, come dopo un orgasmo. Adoro la sensazione di libertà che mi dà il vino. Ti dà alla testa? Ma è proprio quello il bello. Bisogna lasciarsi andare, bisogna sentirsi liberi, vincere la timidezza, avere il coraggio di affrontare con naturalezza la nostra anima selvatica, abbattere i codici morali che ci vogliono perennemente vestiti. Sai che ti dico? Spogliamoci. mangiamo nudi, Cibiamoci senza l'uso delle posate. Recuperiamo la nostra animalità profonda. Lasciati andare con me. Come dici? Ti agito? Ma no, rilassati, bevi dell'altro vino, il succo della terra, che fa ragionare i filosofi, che dà ispirazione ai poeti, che dà il fuoco agli amanti. Non ce la fai più? Ti prego, sorprenditi di fronte all'alchimia che riesce a riportare in vita i cadaveri e dona a ciò che sembrava aver fatto il suo corso sulla terra nuovi compiti e ne fa beneficio per chi se ne nutre. Ma dove vai? Vai già via? Ma come, la sinfonia di sapori, odori, e sensazioni tattili e visive che avevo preparato per te non è ancora finita, ancora molte sono le corde della mia chitarra culinaria.

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Ricette superbe Scommetto che non hai mai mangiato niente di simile, vero? Lo so sono il cuoco migliore del mondo. Non c'è nessuno che sappia trattare il cibo come me. Senti senti come sono dolci queste verdurine. Ah! Ma non è mica merito del fruttivendolo, sai? Quello lì è un imbroglione. Se non stai attento è capace di rifilarti un sacco di schifezze. Ma io non mi faccio mica fregare eh? Io sto attento. È merito mio se queste verdure sono venute così buone. Sai come faccio? Le faccio cuocere a fuoco lentissimo, con calma. Tanto io so aspettare con pazienza. Hai mai conosciuto qualcuno più paziente di me? No, ne sono certo. Il fatto è che una cosa se va fatta va fatta bene. E io modestamente so cucinare davvero bene. Me lo dicono tutti. Non sei d'accordo anche tu? Ne ero certo. Tutti quelli che hanno il privilegio di essere miei ospiti a cena perché di un privilegio si tratta rimangono a dir poco estasiati dalla mia cucina insuperabile. E questa carne? Senti come si scioglie in bocca? Questo è veramente merito mio. Il macellaio è un ignorante. Non sa niente di come va tagliata la carne. Se la cucinasse uno che non sa verrebbe durissima questa carne. Ma io no, io so come fare. La tengo a marinare per un sacco di ore e così quando la metto a cuocere è tenerissima e ha un sapore indimenticabile. Per il dolce invece non mi fido proprio di nessuno. Preparo tutto io con le mie mani. Oggigiorno non esiste un pasticciere di cui ci si possa fidare. Quello usa olio scadente, quello ingredienti non freschi, quell'altro brucia tutto e quell'altro ancora lascia tutto crudo. Non c'è nessuno che mi possa battere sui dolci sai? Nemmeno la mia mamma è in grado di fare una torta come si deve. E la mia crema? Mi fa letteralmente impazzire, non sei d'accordo? dario goffredo

Foto Alice Pedroletti

CoolClub.it Anno 1 Numero 4 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844

Allora ti piace? Guarda, io non ho molta voglia di mangiare. No, non c'è nulla di strano in realtà sono rare le volte che mi va di mangiare. Non ho quasi mai voglia di mangiare. Quindi dimmi tu se è venuto bene. Che avrei voluto cucinare qualcosa di più elaborato, credimi, ma non ho proprio avuto tempo oggi e poi quando sono tornato a casa non mi sentivo molto bene, ero stanco, mi sono dovuto per forza stendere dieci minuti sul letto. Che poi sono diventati un po' più di dieci i minuti è un altro discorso, ma davvero ero a pezzi guarda devi credermi ero davvero a pezzi. Non so se ti capita mai ma ci sono certi giorni che proprio non mi alzerei dal letto. Ti giuro rimarrei steso tutto il giorno. non è per pigrizia, per carità, io sono una persona attivissima, davvero, ma è proprio che ci sono certi giorni che non va, non ingrano. Devo essere metereopatico. Comunque, credimi, per te ho cucinato davvero con piacere. No, davvero, non mi va, non ho proprio fame oggi, non so che c'ho. Ti chiedo scusa per i piatti di carta, ma è che dopo cena devo fare una cosa importante e non ho il tempo per mettermi a lavare, poi c'ho la lavastoviglie rotta, che mi devo ricordare di chiamare il tecnico. Ma sai con tutte le cose che ho da fare non riesco a pensare a tutto. Comunque, secondo me le paste pronte che si comprano al supermercato non sono male. E poi le prepari subito in cinque minuti sono pronte e saporite. E la mozzarella della latteria all'angolo è eccezionale davvero. La migliore della città. Sono contento che ti piaccia la cenetta che ti ho preparato. Ma cosa fai? No, lascia stare, adesso ci penso io a sparecchiare, davvero. Finisco la sigaretta e faccio io, stai comodo. Va bene se proprio insisti, allora grazie, il secchio della spazzatura è sotto il lavandino in cucina.

Il lavoro nobilita il suono Arriva in differita come la diretta del primo maggio anche questo numero di Coolclub.it e arriva a parlare di lavoro perché prima o poi bisogna farci i conti. E a conti fatti mi accorgo di fare un lavoro che molto si avvicina al non lavoro, che tanto piace a Dario, ma che in fondo sempre un lavoro è. Ed è strano il rapporto tra musica e lavoro. La musica come lavoro e la musica per il lavoro. C'è chi fa la musica per mestiere e non parlo delle rock star dai contratti milionari, limousine e flirt da copertina. Parlo degli operai della musica, i musicanti, i nuovi girovaghi, nomadi in furgone che per pochi soldi macinano i chilometri per far sentire un'idea. Sono le vittime di un mercato in crisi, i nuovi anarchici della rete che condividono un bene che non dovrebbe essere monopolio delle multinazionali. Sono anche quelli che fanno l'alba per mettere in scena uno spettacolo, quelli che comunque credono che lo show debba continuare e lavorano per far divertire gli altri. Artisti e manovali, pazzi e sognatori che scendono nelle piazze, che affollano i locali e gli stadi non per gridare ma semplicemente per cantare. È con l'idea di recuperare la canzone politica e introdurre canzoni nuove che non parlassero solo d'amore ma anche della realtà che nasce la musica folk legata al lavoro e alle manifestazioni, ai cortei e alla protesta. L' esperienza in Italia di movimenti come il Cantacronache sono stati il primo controfestival, la prima cellula di un mercato indipendente e lontano dalla politica delle discografiche. Dal Cantacronache al Nuovo canzoniere italiano, dalla fine degli anni 50 agli anni 60 in un legame strettissimo tra cultura di sinistra, tradizione popolare e proletariato. Per opporsi a una borghesia dominate alla cattiva e ingannevole rappresentazione del mondo a opera dei media (negli anni '70 il Gruppo Operaio 'E Zezi di Pomigliano d'Arco) per rivendicare la libertà. Erano e sono anni di crisi e oggi come ieri è importante manifestare ognuno con i propri mezzi il dissenso. E che sia una bandiera, uno slogan o una canzone poco importa. E che questa canzone sia folk, rock, punk, hip hop poco importa. È bello non pensare, non lavorare, oziare con una chitarra in mano ma è bello poter ascoltare e riflettere sul mondo, ricordare persone e canzoni che hanno provato a cambiare il mondo e che un po' ce l'hanno fatta. Anche in questo numero di Coolclub.it troverete dei piccoli cambiamenti, stiamo lavorando a un giornale nuovo, un giornale con più contenuti, più interviste, più articoli e speriamo a breve con più pagine. Un lavoro, quello di tutti noi, assolutamente volontario, di quelli senza soldi ma con tante soddisfazioni. Nelle nostre pagine troverete le interviste a Daniele Sepe, Emidio Clementi, Riccardo Sinigallia, le anticipazioni degli eventi che animeranno il Salento nelle prossime settimane, il solito sguardo ai nuovi suoni, la nostra guida alla lettura, il cinema con le recensioni e una retrospettiva sugli Psycho Cannibali. Buona lettura e buon lavoro. Osvaldo

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Tre canzoni Se di lavoro devo parlare, io che credo che il lavoro nuoccia gravemente alla salute, io che vorrei tanto andare in pensione a trent'anni, io che sono ideologicamente contrario al lavoro, io che credo che il lavoro serva a tenerci legati alle catene, io che credo che molto meglio che passare otto ore in ufficio sarebbe leggere su una panchina nel parco, o andarsene al cinema, o al mare, o semplicemente stare stesi sul divano a non fare niente, se devo parlare di lavoro, io che al lavoro sono profondamente allergico, mi prende male. Mi dispiace ma mi prende male. Ci sono delle canzoni alcune belle altre meno, che per gioco ho riunito con Paola in un'antologia che abbiamo intitolato “l'antologia del lavoratore d'agosto”. Altro che ferie d'agosto, altro che agosto moglie mia non ti conosco, c'è chi ad agosto è costretto a lavorare e allora si arrangia come può. Le canzoni di questa antologia non erano canzoni di protesta, non c'era lo splendido canto delle mondine, né quello delle tabacchine, non c'erano gli incitamenti allo sciopero degli anni settanta. C'erano canzoncine stupide di persone che preferirebbero passare la loro giornata stese al sole o nascoste sotto le coperte. C'erano canzoni italiane, francesi, spagnole, napoletane. Era un cd carino, leggero, come può esserlo lavorare il 13 agosto. Je ne veux pas travailler, un semplicissimo “non ho voglia di lavorare”, era il ritornello di una delle nostre canzoni preferite del cd: C'est simpatique, firmata Pink Martini, la storia di una donna che dice di non avere voglia di nulla, se non dell'oblio, e rimane stesa nel letto con le imposte chiuse per difendersi dai raggi del sole. Perfetta per il 13 agosto. Poi c'erano un paio di gruppi reggae, con atmosfere solari ed esotiche, ritmi lenti e morbidi, che ti facevano venire veramente voglia di mollare tutto, prendere la macchina e andare a fare un tuffo a Porto Cesareo, a Torre dell'Orso o anche a Torre Chianca che è più vicina. Il chiodo fisso di tutte le canzoni, il leit motiv, per dirla fica, era io odio il lavoro, il lavoro mi fa schifo e preferisco fare altre cose piuttosto che essere costretto a lavorare. C'erano dubbi amletici tipo: “fumare o lavorare?”. Oppure c'era la voglia di evasione del cantante napoletano: “Odio lavorare voglio riposare/con la mia morosa voglio andare al mare” e con un machiavellico “e campà coi soldi di papà”. Eccezionale. Poi c'erano due canzoni. Di una di queste ho già scritto su queste pagine e mi piace farlo ancora, perché Manifesto, la canzone in questione, della Banda Bardò, mi piace proprio, mi mette addosso uno stato d'animo piacevole e ricettivo, mi fa stare bene, mi fa venire voglia non solo di non lavorare e di oziare, ma di farlo in un modo attivo, propositivo e positivo. Non lavoro perché ho di meglio da fare che stare a stressarmi tutto il giorno. Ci sono le farfalle nel cielo, e ho bisogno di pensare a loro. Anche. Poi c'è un'altra canzone che avevamo inserito nel cd. Divertente, simpatica, scanzonata. Una canzone scanzonata. Di un altro cantante napoletano. Però non proprio della scuola dei mariomerola e dei ninodangelo preconversione intellettuale. Il cantante in questione è Daniele Sepe, e la canzone ha un titolo piuttosto emblematico: Tengo na voglia. Ovviamente la voglia in questione è la voglia di non fare niente. La canzone dura un minuto circa ed è caratterizzata da un suono pigrissimo e prolungato che esprime al meglio la condizione dello svogliato. Di quello che dice per favore lasciatemi in pace c'ho un sacco di cose da fare. La terza canzone che dà il titolo a questo pezzo, non era inserita in quel cd e non parla di lavoro in senso stretto anche se il lavoro viene nominato al suo interno e anche se, e soprattutto, dà una visione molto particolare del lavoro e di altre cose. Si tratta dell'Internazionale scritta da Franco Fortini in varie date, e che io posso ascoltare nella versione cantata da Ivan Della Mea. Si tratta di un testo diverso da quello dell'Internazionale classico. Nasce, come diceva lo stesso Fortini da quello che è successo, dagli avvenimenti che hanno segnato il nostro secolo, dall'esigenza, dal poeta sentita, di rinnovare le parole di un brano immortale e fondamentale per la nostra storia. Di rinnovare, non di cambiare, perché le parole dell'Internazionale sono e saranno sempre universali. Vi lascio con una parte del testo di Fortini. Senza aggiungere altri commenti.

Noi siamo gli ultimi del mondo. - Ma questo mondo non ci avrà. Noi lo distruggeremo a fondo. - Spezzeremo la società. Nelle fabbriche il capitale - come macchine ci usò. Nelle sue scuole la morale di chi comanda ci insegnò. Questo pugno che sale questo canto che va è l'Internazionale, un'altra umanità. Questa lotta che eguale l'uomo all'uomo farà è l'Internazionale. Fu vinta e vincerà. Noi siamo gli ultimi di un tempo che nel suo male sparirà. Qui l'avvenire è già presente. Chi ha compagni non morirà. Al profitto e al suo volere tutto l'uomo si tradì. Ma la Comune avrà il potere. Dov'era il no faremo il sì. (Franco Fortini 1968, 1971, 1990, 1994) dario goffredo

7 e 14 maggio Istanbul Cafè / Squinzano Universound L'istanbul Cafè di Squinzano ospita le selezioni regionali di “Universound - Primo Festival dei Suoni Universitari" il cui obiettivo è quello di creare un Network artistico e culturale permanente, che sia un filo di collegamento tra le Università d'Italia e del mondo. Sul palco 8 band che si contenderanno la finale del 4 Giugno. Promotrice dell'evento l'associazione Salento Università.

15 maggio Zuma / Lecce On The Rocks

Se il lavoro è in offerta… Acquisto un bisettimanale di annunci gratuiti e dopo una rapida sfogliata mi accorgo con sorpresa che nella maggior parte dei casi si tratta di richieste di lavoro. Sinceri e sintetici curriculum iniziano con un maiuscolo grassetto che dovrebbe attirare l'attenzione del lettore. CUCITRICI con esperienza, e penso a tredicenni tailandesi specializzate in scarpe da tennis e palle. Nike, penso, referenze ottime. ALESSANDRO e Monia. Musica per le grandi occasioni! Matrimoni, feste, serate danzanti pianobar. AUTISTA. FRESATORE. DIPLOMATA. SIGNORA. Il punto è che normalmente questo bisettimanale lo compra chi cerca lavoro. Cucitrici. Autisti. Fresatori. Diplomate. Il circolo, come si dice in questi casi, è un po' vizioso, visto che si parla di annunci gratuiti, ma una copia mi è costata euro 1,60. Merda. Cazzo. Culo. Tette. (Scusate, mi sono lasciato prendere la mano). Allora, ipotizziamo, c'è questo CARPENTIERE saldatore con esperienza, che fino all'altro ieri per quattro soldi si prodigava, squagliando come un pollo arrosto, su legno e ferro, in ambienti insalubri dove respirava le scintille prodotte dalla saldatrice aziendale, al quale purtroppo tutto questo è stato tolto. Sapete cosa sente chi fissa troppo a lungo il bianco elettrico dello stagno o dello zinco che fonde e salda? Una specie di attrito negli occhi, come se ci fossero delle graffianti pietruzze tra la palpebra e la pupilla. Ma il nostro carpentiere tiene famiglia. Il concetto di famiglia tra l'altro implica che lui e sua moglie necessitano, pagato l'affitto, di stronzate come pane, carne e dentisti e oculisti e occhiali, e il bambino di omogeneizzati (plasmon, sono troppo cari? se volete assicurare a vostro figlio una sana e robusta costituzione vanno bene anche quelli di un hard discount) e checazzo è da una settimana che torna a casa e il cucciolo piange perché ha l'acidità di stomaco, e la moglie pure lei piange perché non riesce a decifrare per quale motivo il piccolo faccia tutto questo casino, anche se un sospetto ce l'ha, e il nostro eroe vorrebbe solo avere sotto mano una calibro 9, ma per fortuna non siamo nello Utah, U.S.A., almeno per ora. Aggiungiamo anche che nessuna delle sottopagate signorine delle agenzie interinali si è fatta viva, mentre gli avevano assicurato che lo avrebbero fatto. Tentar non nuoce, specialmente se il tentativo è gratuito, per cui, perché no?, fa pubblicare l'annuncio. Ora il nostro uomo ha ben due motivi per procurarsi una copia del bisettimanale. Controllare che abbiano stampato il suo annuncio di max. 20 parole, e se magari la Fortuna gli strizza l'occhio scoprire un annuncio simmetrico al suo, di qualcuno che ha bisogno di un saldatore. Ok. L'annuncio, ovviamente, c'è. Che dico? Ce ne sono decine, tutti simili al suo, cambia solo il numero di telefono. Una buona ragione per pensare che la dea bendata può anche strizzare l'occhio, ma la cosa è indifferente, dato che è bendata. Decine di persone identificate solo da un numero di cellulare che vogliono riprendere in mano la saldatrice. Il costo del bisettimanale ripeto è di euro 1.60. Una pubblicazione destinata alla diffusione di massa, stranamente priva di una grafica accattivante, o di foto di fighe abbronzate che ammiccano nei loro bikini calzedonia, ma le cui pagine emanano un odore di petrolio mille volte più acre di quello di un quotidiano. Non devono conquistare nessun pubblico perché il pubblico è l'autore. Il pubblico è gente che ha bisogno di poter credere che c'è ancora una via d'uscita. Salvezza autoprodotta. Medicinali. Urinoterapia. Un panino alla merda è più saporito se la merda è la tua? Daniele Rollo

Aperitivo e musica. Dal 15 Maggio ogni sabato allo Zuma Tob Lamare e Postman Ultrachic accarezzeranno le vostre orecchie con le loro selezioni musicali (Funky, boogaloo, indie, '80s, bossa, electrolounge…). A partire dalle 19:00 l'aperitivo più smart di Lecce vi accompagnerà nel vostro sabato sera. Ingresso libero.

13 maggio Tequila Pub / Gallipoli Bludinividia Concerto al Tequila Pub di Gallipoli con i Bludinvidia la band salentina che presenterà il suo nuovo lavoro in studio “Non è abbastanza ancora” uscito in questi giorni per l'etichetta StartreRecords. Il loro genere è una sorta di rockpop dalle forti venature psichedeliche. Gruppi ispiratori della band sono sicuramente i Beatles ma anche Jimi Hendrix. Brani in italiano figli dell'Inghilterra, canzoni dirette e coinvolgenti. Il live dei Bludinvidia colpisce per il grande affiatamento, la capacità di improvvisazione, la compattezza e la potenza. Il concerto si terrà all'aperto, ingresso gratuito.

15 maggio Palazzo Baronale / Novoli Tre allegri ragazzi morti Tornano nel Salento i Tre allegri ragazzi mort” che presenteranno i brani del loro ultimo cd. "Il sogno del gorilla bianco" contiene tredici pezzi inediti. Il live di Tarm, capitanati da Davide Toffolo, è coinvolgente: una miscela di rock e punk. L'appuntamento è nel cortile del palazzo Baronale di Novoli. Il concerto è organizzato da CoolClub e Arci Novoli. Ingresso 5 euro.

22 maggio Istanbul Cafè / Squinzano Nhn Festival 14 maggio Sternatia Giovanna Marini Sternatia ospita Giovanna Marini che presenterà il doppio cd “Il salento di Giovanna Marini” a cura di Roberto Raheli e Vincenzo Santoro (edizioni Aramirè). Parteciperanno il professore Alessandro Portelli, il sindaco Massimo Manera e Sergio Torsello. Il cd si divide in due sezioni la prima contenente documenti originali che includono registrazioni di voci di cantori anziani e la seconda con la riproposta musicale della Marini che esegue alcuni dei canti della tradizione salentina. Inizio ore 20.30

Nhn è un'etichetta indipendente di Genova Claudio Longo che vanta tra i suoiFoto gruppi i salentini Nitrojuice. All'istanbul Cafè di Squinzano presenterà i suoi gruppi in un vero e proprio mini festival. Sul palco Evolution so far da La Spezia, Dependent da Eindhoven, e Coffee shower da L'Aquila. Una serata da non perdere.

20/23 Maggio Ex Convento dei Teatini / Lecce Gran Bazar 2004 quarta edizione Una mostra mercato del libro tascabile e un banco dell'editoria e della poesia salentina. Gran Bazar a cura della Libreria Icaro e del Fondo Verri in collaborazione con Bigsur, CoolClub,Vertigine e Musicaos è arrivato alla sua quarta edizione. Gran Bazar dedica ampio spazio ad una riflessione sulla situazione attuale della letteratura italiana con la presentazione di numerosi libri e pubblicazioni. Si parte giovedì 20 maggio con Le lingue del Salento (ore 19.00) e con la Nuova scena letteraria del Salento (ore 20.30). Venerdì 21 in mattinata spazio alla relazione del prof. Mario Proto sull'Identità del Salento e il declino meridiano nell'era della mondializzazione mentre in serata, oltre ad alcune presentazioni di giovani autori salentini, si discuterà con Antonio Errico di “Dal disagio alla cura”. Sabato 22 alle 11 Luigi Chiriatti presenterà la riedizione del Morso d'amore. Alle 21,00 Wu Ming 2 presenterà il suo esordio da solista “Guerra agli Umani” uscito di recente per Einaudi Stile Libero. Domenica 23 in mattina spazio alla letteratura e all'arte “Al femminile”. Dalle 19 letture e omaggi a Carmelo Bene, Vittore Fiore, Antonio L. Verri. Gran Bazar si chiuderà con un reading letterario a cura di Vertigine e Musicaos. Info: Libreria Icaro tel. 0832.241559. Fondo Verri, tel.0832.304522 Foto Claudio Longo

13 maggio Teatro Paesello / Lecce Tributo a Joni Mitchell Nuovo appuntamento al teatro Paisiello per Jazle. Sul palco a ripercorrere la carriera della mitica Joni Mitchell, una delle muse ispiratrici della canzone nordamericana, ci sarà un trio d'eccezione: la cantante Maria Pia De Vito, il pianista Danilo Rea e il contrabbassista Enzo Pietropaoli.

18/20 maggio Ateneo / Lecce Giornate dell'arte L'Associazione Nuovi Ingranaggi presenta la prima edizione delle “Giornate dell'arte”. L'Ateneo sarà trasformato per tre giorni in una galleria d'arte con un lungo percorso dedicato alle arti visive e dello spettacolo che si dispiegherà lungo tutti i corridoi del Codacci Pisanelli e all'interno dell'aula De Maria. Ci saranno esposizioni di pittura, fotografia e tavole di fumetti, una rassegna di cortometraggi, l'esibizione di Capoeira e un festival musicale studentesco. Chiuderanno il concerto dell'Ecotekne i BlekAut e gli Après La Classe.

22 maggio Chlorò / Calimera Finale Festival Emergenza Si avvicinano le finali del concorso per band emergenti Emergenza festival che torna nel Salento per le semifinali. Emergenza è il più grande contest musicale europeo, un festival al quale possono partecipare gruppi di ogni genere e tendenza. A partire dalle 19:30 una maratona musicale, per contendersi la possibilità di accedere alle finali regionali, che vedrà sul palco Hic niger est, Charle's mum, Malaussene, Kaotica, Rh negativo, Anek Terital, gualeve, Joe di giugno, Revolver, Ashram e Climax.


Il cinema italiano nel segno della Puglia

Precario ma inflessibile. Mollo tutto e volo via…

Il cinema pugliese gode di ottima salute? A vedere i risultati degli ultimi anni si direbbe proprio di sì anche se non tutti sono d'accordo e soprattutto le polemiche politiche stanno impazzando dopo l'approvazione della giunta Fitto della nuova legge sullo spettacolo che prevede anche la nascita di una commissione e di un centro cinematografico nel Salento. Tutto questo, ovviamente, finanziamenti permettendo. Intanto le nuove leve di cineasti e videomakers pugliesi si fanno avanti. E se non sorprendono più i successi dei baresi (di nascita o d'adozione) Sergio Rubini e Alessandro Piva o del salentino Edoardo Winspeare, ha fatto sicuramente piacere la vittoria del David di Donatello del corto Zinanà di Pippo Mezzapesa (nella foto), scritto con la giornalista di Repubblica Bari Antonella Gaeta. La storia è molto delicata con il piccolo Arcangelo che vorrebbe suonare i piatti (Zinanà appunto) nella banda del paese e che da adulto finalmente riesce a coronare questo sogno. Il concetto del momento giusto in cui entrare con i piatti si rivela poi fondamentale nella vita sentimentale del protagonista che forse non sarà mai un grande suonatore di Zinanà. Il corto indaga rapidamente sulla preparazione della processione del venerdì santo, il momento più importante per coloro che imbracciano gli strumenti in queste occasioni. Il giovane regista (classe 1980) aveva anche partecipato alla realizzazione di uno dei corti della collettiva “A Levante”, finanziata dalla Provincia di Lecce nell'ambito del festival Negroamaro 2003, e prodotto da Winspeare. In questi giorni il film esce nelle sale italiane. La presentazione ufficiale della nuova versione (tagliata e rimontata) ha aperto il Festival del Cinema Europeo di Lecce. Seppur tra alti e bassi e con qualcuno dei 7 episodi che non convince pienamente, il film è un ottimo esperimento di palestra cinematografica. Tra personaggi e attori più o meno realistici colpiscono in particolare la ironica dolcezza del Nido di Carlo Michele Schirinzi e Mauro Marino e la scelta, quasi fuori dal tempo, di entrare in un convento di clausura di Eccomi di Alessandro Valenti e Roberto Vetrugno. Pierpaolo

A/R Andata+Ritorno Marco Ponti Ultimamente non mi era capitato così spesso di essermi alzato dal mio posto senza aver rimpianto il costo (totale o parziale) del biglietto. Il secondo lavoro di Marco Ponti (quello del fortunato Santa Maradona) è fresco e divertente. Su una trama narrativa abbastanza debole il regista riesce a costruire un film spiritoso e ironico, citazionista al punto giusto, con la presenza di personaggi che per giorni ti ronzano in testa (stampella, il tassista, il mitico portiere mago). La storia narra di un incontro apparentemente impossibile tra Nina (quanto è bella Vanessa Incontrada), una hostess spagnola bloccata a Torino da uno sciopero, e Dante (Libero De Rienzo), un pony express in bicicletta che per scappare da un gruppo di aguzzini (simpatici anche loro) parte per quello che doveva essere un lungo viaggio. Uno scambio di valigia lo porta prima in carcere a Barcellona e poi a ritornare a casa con mezzi di fortuna il giorno dopo la partenza. Qui incontra nel suo letto la spagnola (quanto è bella Vanessa Incontrada) che è giunta nella casa del pony express grazie a un disponibile fattorino di albergo (Sandokan, Kabir Bedi). Tutti possono intuire come andrà a finire con l'amore sbocciato tra i due e con una rapina (qui sarebbe lunga la lista delle citazioni) per pagare i debiti del ragazzo. Nulla di eccezionale, nessun messaggio subliminale (o forse sì), e qualche bella battuta come quella sull'amore che non esiste “è per questo che lo facciamo”. Pierpaolo

26/28 Cortovisione San Cesario Sono più di 70 i cortometraggi giunti all'organizzazione che vaglierà e deciderà quali inserire nel programma di Cortovisione. Scorciasecara Short Movie e il circolo arci Zei di Lecce lanciano questa prima edizione del festival di cortometraggi che nasce “con l'intento di fare di questo evento una occasione di incontro per tutti i video-maker indipendenti e come occasione di confronto e sfogo sulle realtà sociali che più ci toccano”, come sottolinea il direttore artistico Gabriele Buscicchio. Il festival, che si terrà dal 26 al 28 maggio a San Cesario, prevede 4 sezioni competitive: “In clip" al quale sono ammessi cortometraggi della durata da uno a 3 minuti che trattino qualsiasi genere (documentari, animazioni, fiction, video clip); "Short-movie" aperto a cortometraggi della durata dai 3 ai 30 minuti di qualsiasi genere; “Refractory diseases” (malattie ribelli), sezione speciale dedicata ai corti che trattino tematiche sia sociologiche che psicologiche; "Backstage” aperta agli artisti che invieranno oltre al proprio corto, anche un book-fotografico contenente 15 foto selezionate tra le foto di scena. La giuria sarà presieduta da Citto Maselli e sarà composta da Sergio Spina, Gabriele Attanasio e dal sociologo dell'Università di Lecce Alessandro Taurino. Luigi Del Prete presenterà i due film documentario “Le tabacchine” (uscito da poco) e il precedente “Le Arneadi”, dedicato alle lotte contadine degli anni 50 in terra di Arneo. È prevista la proiezione di due film di Adriano Barbano, “Tramontana” e “Otranto 1480”. Fuori concorso anche la proiezione dei due documentari “Le bende del Giaguaro. Cile 1973-2003” di Corrado Punzi e Marta Vignola e “Dialogando con il cinema europeo” di Gianluca Camerino. Per informazioni contattare Gabriele Buscicchio 3295484468 oppure scorciasecara@hotmail.com

Negli ultimi anni l'unico motivo per il quale mi sono scontrato con mio padre è stato il lavoro. Non il mio lavoro in particolare ma il lavoro in generale. Forse le vecchie generazioni, quelle che tra un po' andranno in pensione, non comprendono una cosa di noi: il nostro approccio al mondo del lavoro. Si, perché per quelli come mio padre, che hanno lavorato tutta la vita con uno stipendio dignitoso e che hanno sacrificato anche parte della propria esistenza per la causa, non è concepibile un tipo di lavoro come il nostro o meglio questo essere precari da sempre e per sempre. Io rido quando mio padre mi chiede se ho fatto questo o quel concorso e atterrisco all'idea di dover compilare un modulo, mandare una raccomandata e sperare che sia letta, aspettare che sia stilata una prima graduatoria, attendere il mio turno per una prova orale e vedere se il mio nome è in cima ad una lista di almeno 3000 persone che concorrono per 4 posti utili dei quali due tre sono sicuramente assegnati e il quarto andrà al più bravo di tutti. Se io fossi uno di quei due tre non ci penserei su due volte. Sarei un raccomandato che lavora ma almeno lavora. E alla fine visto che non sono raccomandato (per il momento) e visto che non sono mai stato il più bravo tento di andare avanti con tanti piccoli lavori. Quello che i nostri padri non comprendono è questo senso perenne di precarietà. Questa sensazione che prima o poi tutto possa finire. Questa impossibilità di pensare a lunga scadenza. Sarebbe bello avere un contratto firmato per tutta la vita e a qualcuno ancora succede. Ma nella maggior parte dei casi siamo tutti lavoratori in nero, sottopagati o con ritenute d'acconto (almeno da queste parti). Bisogna prendere più lavori possibile con il rischio di tralasciarne qualcuno e di perdere la fiducia e il lavoro. Insomma è una tragedia, è una vera tragedia sociale di cui ancora non si parla. È come per le coppie di fatto, nessuno sembra porsi il problema che invece c'è. Se non hai una busta paga in tasca non hai diritti ma cento doveri in più. Una situazione che peggiorerà con il tempo - anche per la nuova legge sul lavoro - ma che è stata colpevolmente introdotta e non regolata dai governi amici dei sindacati e di molti di noi (me compreso). Non è una scelta sbagliata quella di rendere più “agili” questi rapporti di lavoro (purché il lavoro ci sia) ma è una scelta impossibile in zone come il sud in cui se perdi un lavoro trimestrale devi aspettare altri tre mesi perché passi una nuova occasione. E anche i pagamenti sono meravigliosi: ogni tre o sei mesi. Nell'attesa ci si può cibare di aria. Flessibili, più si è flessibili più si è ricattabili. Più si è ricattabili più si è politicamente gestibili. Gli Stati Uniti insegnano anche in questo campo. Ma esiste anche un'altra realtà. Con la protesta di Melfi le tute blu sono tornate d'attualità e all'improvviso una parte del paese ha scoperto che esiste ancora la fabbrica, il suo sudore, la sua fatica, la ripetitività dei gesti, il cartellino, i bus navetta. Così anche il lavoro è tornato d'attualità. Soprattutto quello mal pagato e quello flessibile, precario. Un tempo per denigrare il lavoro sporco si diceva “Lavoro come un negro” adesso si sussurra “Lavoro come uno in nero”. Salario basso, diritti inesistenti. Io sono un flessibile, precario ma inflessibile e penso che adesso non possiamo neanche lottare come a Melfi perché i precari sono i primi a saltare anche se hanno soltanto un raffreddore e non si presentano per tre giorni di fila in ufficio. E penso alle lotte dei sindacalisti che sono morti per la causa e penso anche al cortocircuito che ha portato alla morte di coloro che avevano l'intenzione di cambiare la disciplina del lavoro. E i nomi da fare sarebbero tanti (penso a Biagi e D'Antona) e soprattutto penso che questa mancanza di lavoro porta alla raccolta della manovalanza della criminalità. E come non ricordare Peppino Impastato che fu ucciso nello stesso giorno di Aldo Moro, il 9 maggio del 1978. E dopo tanti anni il suo aguzzino Tano Badalamenti è morto. Insomma io vorrei scappare da questa situazione lavorativa e cercare un posto altrove. Vorrei prendere un aereo e fuggire ma anche i lavoratori dell'Alitalia sono in sciopero. Che sfiga. Pierpaolo

Sportello degli inflessibili Nasce per iniziativa del Nidil-Cgil e della Mutua Studentesca, in collaborazione con lo Snur-Cgil per offrire assistenza e tutela sia alle nuove tipologie contrattuali (lavoratori interinali, a progetto, collaboratori) sia agli studenti che lavorano, che ai lavoratori che studiano. I servizi dello sportello sono: assistenza sui contratti e sulla propria condizione lavorativa, consulenza on-line, sito web (www.dirittialavoro.it) su cui trovare informazioni e offerte di lavoro, “36”, periodico di informazione e discussione, banca dati aggiornata su offerte di lavoro e di formazione di enti pubblici e privati, sia locali che nazionali ed europee, bandi Università ed Enti pubblici, mailing list di informazione, consultazione riviste, seminari e dibattiti di approfondimento e discussione. Lo Sportello è aperto presso l'ex Ateneo (Palazzo Codacci-Pisanelli) di Lecce nell'aula A5 dal lunedì al venerdì, dalle ore 11 alle 14 e dalle ore 17 alle 19, e a Ecotekne, presso l'aula degli studenti Plesso D, il martedì e il venerdì dalle ore 11 alle 14. E-mail, sportellodeglinflessibili@yahoo.it.

Daniele Sepe, artista e comunista! Lecce da molti punti di vista è una città pigra. Soprattutto Lecce è una città che in massima parte è governata da una borghesia piccola piccola poco attenta alle ricorrenze e poco avvezza alle celebrazioni della nostra storia. Così, ogni anno, la Festa della Liberazione è quasi dimenticata, ricordata e rammentata solo dall'Associazione Nazionale Partigiani Italiani che, nei pressi del monumento dei caduti, organizza una commemorazione. Nel 2004 Zei e Udu hanno voluto organizzare un concerto per utilizzare la musica, un linguaggio universale che fa stare unite generazioni differenti, popoli e culture differenti. La scelta è caduta sul comunista Daniele Sepe che negli anni '70 iniziò con gli ‘E Zezi di “Tammurriata dell'Alfasud”. Quale pensi debba essere il ruolo degli artisti? Gli artisti in generale se ne “fottono”! Io non mi sento un artista comunista io mi sento un comunista che fa l'artista ed è una cosa un po' diversa. Non me ne frega niente di essere un artista, se fossi stato un medico probabilmente avrei detto le stesse cose. Penso che Gino Strada è prima di tutto un comunista e poi un medico. È secondario essere un artista. Oggi ha ancora senso dunque essere comunisti e parlare di resistenza? Certo. Per quanto mi riguarda vuol dire fare controinformazione. Fare un disco su Victor Hara cinque anni fa come ho fatto io quando nessuno qui in Italia sapeva chi fosse vuol dire fare controinformazione. Realizzare un disco sul lavoro e sulla produttività vuol dire in qualche modo fare controinformazione. Non penso di cambiare il mondo quando faccio un disco ma almeno, avendo un mezzo a disposizione, non racconto la mia ultima avventura andata male con la ragazza e tutte le puttanate che puoi sentire nella musica di oggi. Cosa mi dici della situazione del lavoro in questo momento? Oggi è 25 aprile e mi sento particolarmente contento per quello che è successo alla Melfi. È un fatto molto importante che non deve passare in secondo piano. Ci terrorizzano con questa storia che non c'è lavoro e che dobbiamo essere legati al concetto di Prodotto Interno Lordo! È un po' quello che cerco di dire nel disco “Lavorare stanca” (premio Tenco 1998). Vincolano il nostro benessere e il nostro buonumore all'andamento dell'azienda e della borsa. Quand'ero piccolo al telegiornale non dicevano nulla sulla borsa perché nessuno se ne fotteva niente. Dall'epoca di Craxi in poi invece hanno cercato di convincere l'umanità e di convincere noi che se la borsa va bene anche noi stiamo bene! Come ti sei avvicinato ai testi e alla musica cilena e quindi alla politica degli anni '70 Sudamericana? Un po' come tutti quelli della mia generazione, quando ci fu il golpe in Cile del '73 io avevo 13 anni e allora si era abbastanza “precoce” rispetto alle questioni politiche. Al tempo si avvertiva oltretutto la preoccupazione di un golpe anche in Italia. In ogni caso all'epoca era un fatto normale interessarsi della questione sud-americana, era molto sentita come può essere oggi la questione Medio-orientale o come poteva essere il Vietnam. Inoltre quando avevo 14 anni andai ad un festival in Francia e sentì per la prima volta un gruppo colombiano e rimasi affascinato dalla loro musica e dai loro strumenti. Così formammo un gruppo che faceva musica andina e ricordo che giravamo per le feste dell'Unità ma nessuno ci cagava! Ti interessi ancora alle vicende dell'America-latina? Cerco di farlo anche se oggi mediaticamente è tutto monopolizzato, magari giustamente, per quello che sta succedendo in Iraq e in Mediooriente; per esempio nessuno parla del Venezuela e degli attacchi al governo democratico di Chavez che a me interessa particolarmente, anche perché tutto sommato non è che un altro aspetto della guerra al petrolio. Pensi che i giovani, qui come in America-Latina, abbiano oggi una coscienza politica? Quelli che hanno una coscienza politica spesso si rifiutano di votare perché hanno perfettamente chiara l'idea che, dopotutto, tra uno schieramento di centro-destra e uno schieramento di centro-sinistra le differenze non sono così notevoli. Prendi tutta la polemica del centro-sinistra sulla guerra in Iraq…è fatta da quelle stesse persone che hanno sponsorizzato solo qualche anno fa una guerra in Kossovo che aveva le medesime difficoltà di diritto internazionale che ha ora quella in Iraq. Poi ci sono i giovani che non hanno una coscienza politica perché sin dalle scuole si cerca di eliminarla per mantenerli ignoranti. È meglio avere un popolo di coglioni a disposizione piuttosto che un popolo pensante! Mantenere le persone nell'ignoranza dei propri diritti è sempre molto conveniente. Esistono ancora i sogni e i sognatori? Esistono ma sono molto nascosti. Chavez è un sognatore coraggioso e come tale deve essere rispettato come del resto tutti i pochi sognatori rimasti. Marta Vignola


Gli Psycho-Cannibali nel Cinema: da H.G.Lewis a Evilenko Aires Tango…una innovativa riscoperta della tradizione Purtroppo nella maggior parte dei casi (e la terra di chi scrive è fervida di esempi) il recupero della cultura musicale tradizionale di una determinata zona geografica consiste in una mera e stantia rilettura di stornelletti di bassa lega, con il fine precipuo di far ballare uno stuolo di avvinazzati, fine a volte persino accompagnato da un elevatissimo autocompiacimento culturale; gli Aires Tango, al contrario, riescono a mio avviso nel difficile compito di ripescare l'autentico sentimento e il disperato lirismo del popolo argentino, impreziositi dalla classe cristallina dei suoi elementi (tutti affermati e validissimi jazzisti) e dalla compresenza, nelle splendide composizioni del quartetto, di forte originalità e notevoli legami con la tradizione argentina. È bizzarro constatare però che gli Aires Tango in realtà non sono esattamente argentini, dato che il bassista Marco Siniscalco e il percussionista Michele Rabbia sono italiani, e anche l'argentino Javier Girotto, principale autore dei brani della formazione, è da diversi anni trapiantato musicalmente in Italia, avendo collaborato con svariati giganti del jazz italiano come Enrico Rava, Roberto Gatto e Rita Marcotulli; completa il gruppo il tocco sublime del pianista Alex Gwis, che disegna trame passionali su cui si poggiano le scorribande al flauto, al sax baritono, al clarinetto e soprattutto al sax soprano dello straordinario Girotto, un musicista eccezionalmente dotato che riesce a dare all'ascoltatore una strana sensazione: appena esegue una nota, essa è così avvolgente, sensuale e struggente che si pensa che non sia più possibile sentire nient'altro di così meraviglioso e quando attacca con la nota successiva, si pensa di nuovo la medesima cosa. E così con tutte le sue note. A chi si stia (come è lecito) interrogando sulla mia sanità mentale (dato il clamore delle mie ultime affermazioni) consiglio l'ascolto in particolare di due dischi degli Aires Tango, ovvero “Cronologia del '900” e “Origenes”. Marcello Zappatore

Tasaday In attesa, nel labirinto cd Wallace records

Paul kalkbrenner Self Bpitch Control Uno dei pochi a rivoluzionare la trance (senza disdegnare la primissima, un nome su tutti: Dragonfly) con i santissimi crismi: due accordi di synth, tribali movenze post-acid, orgoglio techno. Torna con questo “Self” (CD o 2x12”), il suo nono per Bpitch. Page one: L'intro zigana schiude le fluorescenze di “Press On”, a seguire “Castanets” blade runneriana vibrazione tribal. “Queer Fellow” è un capolavoro, tanto che non sai più che pensarne: elettro? Trance? Techno? Un battito irregolare in uno stile asciutto e minimale che solamente questo piccolo genio…un vischioso, luminoso incubo. Dal quale ci salvano i languori celestiali di “Since 77”. Page two: una zigana intro. Devo continuare o le scoprite da soli? Piggy

A distanza di 5 anni dall'ultimo lavoro a nome de “L'Ultimo Tasaday”, con il solo Sandro Ripamonti, ritorna la storica formazione di avanguardia (nata dalla fusione di Die Form e Nulla Iperrele) che segnò la scena musicale degli anni '80 in Italia. Il fatto che nell'odierna line-up ci sia anche Xabier Irondo degli Afterhours non deve ingannare, anche se nelle intenzioni del gruppo “In attesa, nel labirinto” rappresenta il loro disco “rock”. Di rock sui generis si tratta, in quanto la matrice avanguardistica dell band è rimasta intatta. Le ritmiche tribal-industriali di stampo'80 (stile Einsturzende Neubaten) si innestano su momenti di musica concreta (ovvero musica ricavata da rumori da ambiente), alla maniera dei connazionali Ossatura, e su bordoni di rarefazione elettronica isolazionista. Non un disco di facile ascolto e di immediata comprensione, ma che abbisogna della rinuncia ad ogni esigenza di melodia e l'abbandono completo ai mondi inquietanti delineati dalla loro musica. Forse per alcuni non si può neanche parlare di musica. Forse per molti sarebbero una sonora presa per i culo. Per quanto mi riguarda sono un esempio di intelligenza sonora e la dimostrazione che l'avanguardia in Italia non è per nulla morta. Gianpiero Chionna

Tutto l'amore che mi manca Nada On The Road Music Factory 2004 È un peccato che molti ignorino il nuovo percorso intrapreso da Nada e continuino ad associarla ingiustamente ai suoi pezzi sanremesi degli anni 70. “Tutto l'amore che mi manca”, che dalla copertina pare un album brutal death, va ben oltre i precedenti "Dove sei sei" (Mercury,1999) e "L'amore è fortissimo e il corpo no" (Storie di Note, 2001), già forieri di un pop fuori dagli schemi con melodiche aperture rock. La voce sporca di sigaro della cantautrice livornese si cimenta per la prima volta con l'inglese (in "Classico", che vanta la firma prestigiosa di Howe Gelb), sale prepotente sulle chitarre di Lorenzo "Buzzino" Corti e Cesare Basile, si muove cadenzata sul basso di Giorgia Poli. Il discreto sguardo supervisore di John Parish, storico produttore di Pj Harvey, fa sì che nulla di superfluo intralci la scarna immediatezza che si respira tra le dieci tracce. Esempio lampante ne è proprio il singolo "Senza un perché", di una freschezza tale che sembra uno stornello dell'asilo. I testi? Semplici e inquieti. Si parla sì di un cuore ferito, ma finito sul pavimento e morso da un topo che lo sbatte contro la porta ("E ti aspettavo"). La dimostrazione che Nada ha molto di più di tante sopravvalutate cantautrici anglosassoni è la lunga, delirante ghost track "Le mie madri" (già presente nell'omonimo volume edito da Fazi lo scorso anno): su un incrocio tra il blues e il ritmo tribale la Signora Malanima declama, enfatica e stranita, fino a sfiorare le urla. Questi obliqui ritornelli, accattivanti come cantilene, e la sua voce sempre più rauca spingono Nada distante anni luce da "Il cuore è uno zingaro". E chi, preferendo tenersi cari i propri pregiudizi, stenta a volerlo riconoscere, davvero non sa cosa si perde. Lorenzo

La figura del serial killer ha sempre affascinato il cinema, specialmente il cinema low budget che poteva contare su storie dal forte impatto su cui poteva imbastire horror di cassetta. Il primo a tentare una simile operazione fu Herschell Gordon Lewis, papà e re dello splatter, con Blood Feast (1963) storia in cui un ristoratore egiziano tenta di riportare in vita una divinità smembrando giovani vittime e pasteggiando con esse. In realtà la pellicola di Lewis è un gioco meramente splatter (insieme ai posteriori Macellai 1970- del pioniere del trash fai-da-te Andy Milligan e A cena con la signora omicidi- 1972- di Bud Townsend), non puntando affatto sulla complessa psicologia deviata dei personaggi ma affidando tutto all'effetto macelleria. In realtà la maggior parte dei film in questione ha preferito puntare sull'aspetto prettamente visivo, tralasciando ulteriori approfondimenti, producendo un vero e proprio filone di film in cui il tema centrale è la gestione di un ristorante da parte di gente poco raccomandabile (Motel Hell, Cannibal Girls del “ghostbuster” Ivan Reitman). Immaginate voi. L'unico che pone maggior attenzione sul suo protagonista, un ristoratore che dopo aver massacrato la sua famiglia, ne ricicla i resti per il suo menù, è The Untold Story di Herman Yau, usando l'insana vicenda per sferrare una critica alla società. Ma è la famiglia il luogo dove più facilmente il male si annida coinvolgendo tutti i membri. E dove chi cerca di resistere è vinto, annullato dall'ineluttabile destino della follia. È quanto accade in Spider Baby di Jack Hill (1964) in cui due ragazze e il loro cugino sono affetti da una forma di regressione infantile aggravata da una propensione al cannibalismo. Confinati in una casa di campagna, nulla può il loro zio contro il loro male, nonostante i suoi sforzi, quando arriveranno gli ospiti. Hill coglie con questo film i primi cedimenti della famiglia, qui ben lontana dal sogno americano, che verrano in seguito sviluppati in maniera più incisiva da Hooper e Craven. Analoga vicenda è raccontata dall'inglese Pete Walker nel 1974 con “Nero Criminale” dove vediamo le gesta di una vecchia cartomante affetta da disturbi mentali che la portano a un'insana ossessione antropofagica, sedata dall'ormai guarito marito affetto in precedenza dallo stesso male, che le somministra carne animale spacciandola per umana. Ma il male è genetico e quando anche la figlia scoprirà la stessa tendenza della madre, opporsi sarà inutile. Un ambientazione urbana e grigia grava per tutto il film in cui un senso di resa e di ineluttabilità del proprio destino la fa da padrone, disegnando la famiglia come un luogo claustrofobico dove il sacrificio per gli altri membri uccide ogni libertà individuale. La famiglia, questa volta unita e compatta nell'orrore, è protagonista di due capolavori del genere. Non aprite quella porta di Tobe Hooper (1974), ispirato alle reali folli gesta del fattore Ed Gein e che ha visto recentemente anche un remake, è l'emblema dello sfascio dell'ambiente familiare, del crollo del sogno americano, del marcire della società. La campagna non è più un posto tranquillo, regno di onesti lavoratori, ma luogo desertico e desolato, trappola che inghiotte ignari passanti, polvere che si alza per le strade. I tramonti vedono Leatherface agitarsi all'orizzonte con la sua motosega, bestione che tortura animali e arreda la casa con ossa di cadaveri. Le strade vedono vagare il suo stravolto fratello hippie e le soffitte nascondono vecchi paralizzati e ammuffiti abbandonati a loro stessi. Un senso di macabro che rasenta quasi il grottesco avvolge la pellicola che è forse uno dei più ispirati attacchi all'ipocrisia americana. Fa coppia con essa uno dei capolavori di Wes Craven (il papà di Nightmare): “Le colline hanno gli occhi” (1977) altro apologo antifamilista in cui dei pellegrini accampati nel deserto vengono presi di mira da una tribù di pazzi sadici e cannibali. Due sistemi a confronto. Da un lato i pellegrini, ordinari, rispettosi delle regole; dall'altro gli abitanti delle colline, violenti organizzati secondo un ordine primordiale. I primi brutalmente attaccati dai secondi, crocifissi, bruciati vivi, mangiati. E quando le regole della sopravvivenza lo imporranno, anche i pellegrini dovranno regredire al livello primitivo e rendersi spietati come bestie. Sul fronte italiano è impossibile dimenticare di tre pellicole. L'una splendida diretta da Francesco Barilli nel 1974: “Il profumo della signora in nero”, raffinata vicenda carica di echi polanskiani e valorizzata da uno dei finali più cattivi che il nostro cinema ricordi. Le altre entrambe di Joe D'Amato e più attinenti al filone horror sono “Buio Omega” (1979) ottimo psicodramma alla Psycho che narra le gesta di un imbalsamatore ossessionato dall'amore della sua ragazza morta e “Antropophagus” (1980) in cui un naufrago diventa un implacabile antropofago dedito allo sterminio di un intera isola. Oggi una nuova pellicola del genere vede la luce: “Evilenko” (2004) di David Grieco che ripercorre la vita del mostro di Rostov Andrei Chikatilo interpretato da Malcom Mc Dowell. Probabilmente sarà una pellicola che farà discutere, o forse non avrà la visibilità che merita, in quanto (di questi tempi) sicuramente film scomodo. Si spera solo che non incappi nell'errore in cui spesso questi film cadono. Dimenticare l'uomo (reo e foriero di orrori), la sua caratterizzazione, per farlo assurgere a macchietta, bieco burattino da film horror. Gianpiero Chionna

Gli sguardi inquieti dei coraggiosi videomakers

Un dvd costituito da nove corti di giovani (e non) autori, accompagnato da appropriato libro in merito. Un “matrimonio” voluto da tempo, scandito dalla volontà sognante dei videomakers (o ritenuti tali), alcuni dei quali in carica ansiogena (o poetante; si può anche dire). La campionatura visiva scandaglia e perora la prassi visionaria dei realizzatori, il loro inconfondibile tratteggio affabulativo, l'oggettivo e odoroso coacervo dei desideri. Sguardi iconici e scritture narrative in un fertile abbraccio per “scalare il cielo” delle aspettative e per rendere più professionale (si spera) i fermenti sussultori dell'agire. Il “corto” grazie al perfezionamento elettronico, ovvero il digitale, per immergersi nei boulevards del racconto per immagini. Solerti guizzi e fermentati scatti consoni a produrre vincenti psicologie d'insieme. Il Festival del Cinema Europeo di Lecce dischiude il suo quinto appuntamento culturale con la presentazione al pubblico dell'esperienza “cortista” e di pianeggianti “fogli di poesia”. Sarà un incantevole pomeriggio a primavera iniziata? Forse. Certamente un dolce spazio per rivedere, rianimarsi, scambiare opinioni, affidarsi ai (s)montaggi dei partecipanti al “gran circo della vita”, a rimeditare dopo le avvenute intese o discordanze. Per dialogare apertamente e “criticamente” con il mondo presente. Qualche videomaker puntualizza: “ Sostanzialmente il nostro movie sta compiendo i primi passi nella storia del (suo) essere, sta mutando nella sua natura, si accosta da altre tecnologie, ad altri sistemi, a danzanti scatole magiche che con leggera trasportabilità e semplici mezzi si adeguano, si ribaltano, effettuano salti e cadute; tutto è più semplice, praticamente possibile; l'abbiamo già accennato, questa è la nuova era digitale. Rivoluzione del fattibile. Chiunque, per un giorno regista, potrà sperimentare il suo corredo creativo. Finalmente è l'uomo a dare l'azione o lo stop alle “attese” della propria esistenza. Come tutti affermano, in questo modo si è avviata una democratizzazione nei giardini del cinema, grazie all'abbattimento enorme dei costi, si produce una destrutturazione del modo di produzione tradizionale, un po' per incapacità energetica di parcellizzare il lavoro e un po' per ricerca di modalità produttive nuove, distanti dal mercato e dalle prospettive economico-distributive”. Come si può notare geometrie pensanti e inconsci in stato euforico, permeati di spontanee e progressive valutazioni. In conclusione il concreto dvd (e il relativo libro) per essere ispezionato nel suo complesso ideativo e nel (suo) caracollare tra “onirismi eretici” e diagrammi libertari. Anche perché si è convinti che esso (“corto” o “breve cristallo”) può palesarsi credibile approdo per il consueto disegno audiovisivo, palestra di preparazione, affinamento delle dovute trasfigurazioni, versione disciplinata dell'Io. Altresì quale singolare forma di creatività, compiutezza fictionale, terreno di cimento e di referenze percorsuali, trasalimento dell'estro, esigenza di narrare l'imponderabile e l'irraccontabile. La discussione è aperta. Le luci si stanno spegnendo. Il buio della sala avverte che non bisogna tradire “i sogni dell'infanzia”. Possono talvolta tacere (i bagliori del “concerto desiderante”), mai da cancellare. Vincenzo Camerino Docente di Storia e Critica del Cinema presso l'Università


Dopo mezzanotte Davide Ferrario “Non c'è una TV qui?” “Solo film.” Questa l'idea che muove l'ultimo e il migliore film di Davide Ferrario, regista al suo sesto lavoro per il grande schermo, che ancora una volta riesce a sbalordire e a colpire. Dopo aver assistito ai 93 brevissimi minuti di grande cinema, si rimpiange di non vivere in un film, un film bello come questo, che racchiude la storia del cinema, e la storia della vita, in un turbine di immagini e passioni, silenzi e smorfie, suoni e musiche. Nel film tutto è perfetto, è simbolico, è divertente. E i personaggi, protagonisti di una vita verosimile, sono gemme incastonate in una struttura contemporanea e dinamica, bellezza architettonica e urbanistica. La trama del film è, forse volutamente, la stessa del cinema di sempre: una donna in fuga da una vita e da un amore insoddisfacenti, un incontro, una scintilla e la forza di cambiare le cose che non vanno. È il cinema, che trionfa, come mezzo comunicativo, come parole non dette, complice e galeotto, “un'idea pratica per migliorare la realtà quotidiana”, come suggerisce la voce narrante di Silvio Orlando, cioè come unica chiave di lettura per la settima arte, e tutta l'arte in assoluto. E ancora la musica, che scandisce i tempi chapliniani del film, in scene che hanno del grottesco, e per questo uniche e ricercate. Dopo l'amaro “Tutti giù per terra”, l'innovativo “Figli di Annibale” e il disturbante “Guardami”, Ferrario approda al cinema di qualità, esaltando la celebrazione della bellezza, dell'idea di cinema inteso come arte e poesia, realizzando cioè un fine capolavoro, certo non vuoto e fine a sé stesso, poiché critica socio politica, disagio, sentimenti, gli ingredienti veri del suo cinema, sono elegantemente velati dietro la bellezza artistica. Ferrario è un regista giovane, 48 anni, e in 15 anni di attività ha prodotto 6 film, in un crescendo esponenziale; una carriera brillante, che non deluderà, se, come ci ricorda, il destino è scritto nei numeri, che sembrano dare un senso al mondo... che non è poco! “Dopo mezzanotte” è il secondo film tributo al cinema della stagione italiana, dopo il meraviglioso “The Dreamers” di Bertolucci, che chi non ha apprezzato, non ha capito. E credo che anche “Dopo mezzanotte” corra il pericolo di non sfondare presso il grande pubblico. Non è grave, ma prima di giudicare, consiglio a tutti di fare una visita alla Mole Antonelliana e di visitare il museo del cinema al suo interno. Solo allora sarà permesso giudicare. Stefano Toma

Kill Bill - Vol. 2 Quentin Tarantino Romanticismo e sangue. Sorretta da questi due elementi, la storia di Black Mamba-Uma Thurman volge al termine non senza colpi di scena. Questo secondo capitolo fatto di tradimenti, capovolgimenti di ruolo e di un sentimentalismo degno del migliore sceneggiato, ci rende consapevoli di un'opera che nella sua interezza rappresenta sicuramente una pietra miliare del cinema contemporaneo. Tarantino con il suo sapiente racconto passa dalla Morte alla Vita, dalla Vendetta all'Amore in un film che vive soprattutto di contrasti. In questa seconda parte cambiano gli scenari e i generi che il regista distrugge per poi poterli rifondare e omaggiare a suo modo: dall’anime e il kung-fu movie si passa allo spaghetti-western e al più classico del cinema trash. Anche la colonna sonora è profondamente diversa e funzionale a questo capitolo, che appare differente sin dalle prime scene, ricco com'è di lunghi dialoghi e monologhi, molto più serioso e a tratti dotato di scarso ritmo. Montaggio e fotografia sono come al solito su livelli altissimi e con un'alta dose di sperimentazione (split screen, sgranature, cambi di formato, flashback, ecc.) e la sceneggiatura (alla quale ha collaborato anche la Thurman) non è mai banale. Per quanto riguarda la vicenda, La Sposa adesso si trasforma e svela il suo palpitante cuore di mamma, finora celato dalle spoglie di una perfetta e tutt'altro che indulgente macchina per uccidere. Nella sua lista sono rimasti tre nomi: il buon vecchio Budd (Michael Madsen), la splendida e fatale Elle Driver (Daryl Hannah) e ovviamente Bill (uno straordinario David Carradine). Apprendiamo finalmente il motivo della strage nella chiesa dei Due Pini, l'infanzia di Beatrix (il suo nome non è più coperto dal beep) ed altre cose essenziali per comprendere appieno il racconto, pieno di rimandi e riferimenti mescolati un unico e grande calderone. In attesa di un (im?)possibile Volume 3 ( ambientato 15 anni dopo con la figlia di Vernita Green a vendicare la morte della madre). In definitiva Kill Bill si propone come un'opera totale, da vedere e rivedere, caratterizzante di un cinema sofisticato e autocelebrativo che ha in Tarantino il suo migliore e geniale interprete. Se non vi sembra abbastanza. Cult. C. Michele Pierri

The passion of the Christ Mel Gibson A voler ripercorrere la strada tracciata da Gibson per il suo kolossal, la sintesi più appropriata sta nel termine "realismo". A partire dai dialoghi in latino e in aramaico il regista svela il suo intento, che è quello di dare alla luce il film più veritiero mai realizzato sulle ultime 12 ore di Cristo, frutto di un progetto nato 10 anni fa in un periodo di crisi mistica che lo stava portando al suicidio. Lontano anni luce dalle critiche antisemite che lo hanno pubblicizzato ad arte, il film è di grande impatto visivo, con scene ai limiti dello splatter, ma di straordinaria aderenza biblica e di pregevole fattura (e non poteva essere altrimenti con Caleb Deschanel alla fotografia!). Oltre all'ottimo protagonista Jim Caviezel ("La sottile linea rossa") brilla il nutrito cast italiano composto da nomi come Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini, Sergio Rubini, Mattia Sbragia e altri ancora. Detto questo e annunciandovi a priori che queste sono le opinioni distaccate di un anticlericale ritengo che The Passion non aggiunga né tolga niente alla già nutrita filmografia religiosa e che se gli va riconosciuto un merito, sia quello di aver sottolineato ancora una volta (se ce ne fosse bisogno) di cosa sia capace la follia umana, che in questo film trapela da ogni singola inquadratura. È da sottolineare inoltre la scelta di girare quasi interamente a Matera, il che rende inevitabile il paragone con un altro film girato in questa location, ossia "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini, recentemente restaurato e da poco di nuovo nelle sale. Se il film di Gibson tende a farci sentire complici di un massacro in cui Cristo si è offerto come agnello sacrificale, il poetico capolavoro di Pasolini ce lo presenta come un fustigatore che caccia a frustate i mercanti. Due modi diversi di presentare il Vangelo, due modi diversi di vivere la religione. Gibson in fondo dimostra di vivere la fede in maniera sincera e autocritica, il che rappresenta un grosso passo in avanti per un mondo spesso chiuso a ogni tipo di dibattito che lo metta in discussione. C. Michele Pierri

AA. VV. Split Series 9-16 Fat Cat - 2004

DEADBEAT

Secondo appuntamento con la raccolta per l'etichetta Fat Cat. L'idea è di mettere insieme singoli cd, rari vinili in 12 pollici usciti per la stessa label nel corso degli ultimi anni. Un appuntamento già culto per i "maniaci" dell'elettronica sperimentale che stavolta racchiude in un disco sedici artisti per diciassette tracce. Irreperibili sul mercato. Recuperati quindi i breakbeats di Duplo_Remote, sulla scia di Aphex Twin, il funk misto salsa con hip-hop dei francesi Dat Politics, le accelerazioni drill'n'bass ai limiti della detonazione del berlinese Jan Wolter nelle vesti di Christoph De Babalon, quelle di Com.a, tutta la carica dei Kid 606, l'eleganza compositiva delle produzioni a cui siamo abituati con i Process e Fennesz, le atmosfere cupe e visionarie di Main, quelle estranianti di Avey Tare, e ancora Matmos in con una struttura ritimica di ritmi spezzati, breaks e punteggiature analogiche, la musica innovativa dell'emergente Ultra-Red. Un totale 65 minuti di crossover tra sperimentazioni, atmosfere eteree e contenuto tecnologico. Un lavoro di culto per gli amanti del genere nella scena della musica elettronica. Patrizio Longo

Deadbeat ereditano egregiamente il suono attento e ricercato dei documentari della TV canadese. Deadbeat esponente di spicco della scena elettronica canadese di Montreal. Scott Montheit aka Deadbeat dal 1998 amano le radici del sound più ipnotico, che si materializzano nel dub music. Lunghi riverberi atmosfere tipicamente ampie della ambient. La musica di Deadbeat, con ritmiche downbeat piacevolmente ipnotiche e con atmosfere coinvolgenti in un gioco tra riverberi e inibiti loop sonori di tastiere. Il duo canadese evidenzia quanto forte risulti la vena ispiratrice del dub. Ci stupisce la straordinaria capacità di far interagire un tappeto sonoro fatto di glitchdub e fruscii con melodie avvolgenti e ripetitive mai esasperate e di incredibile effetto. Lavoro pubblicato sulla label berlinese ˜scape. La cui iniziale per il fondatore ha lo scopo di rappresentare le sonorità della dub minimale. Patrizio Longo

Something borrowed, something blue

scape 2004

World Wide: www.patriziolongo.com e-mail:info@patriziolongo.com

Hugo Race The Merola Matrix Desvelos records - 2004 The Merola Matrix è essenzialmente una rilettura post-moderna, ironica ma appassionante, della cultura popolare dell'Italia del sud nel periodo 1970-1984 con particolare attenzione alla Sicilia, a Napoli, e al re del melodramma e della sceneggiatura: Il cantante Mario Merola. Cultura di strada, archivi privati, cassette pirata, audio e video diventano materiale grezzo, fagocitato, metabolizzato ed amalgamato perfettamente nell'iconografia sonora visiva di The Merola Matrix. La voce di Mario Merola e gli echi di cori siciliani cuciti addosso alle trame oscure decadenti dell'ex "bad seed" Hugo Race, ad oggi titolare dei progetti Tru Spirit, Sepiatone e Transfargo. Ed è così che le registrazioni di processioni religiose, di canti e di ritmi tradizionali dell'entroterra siciliano, rievocano lo spirito del tempo e si mescolano a paesaggi sonori elettronici, a dialoghi cinematografici, a registrazioni dal vivo ed a frammenti d'orchestra catturati da vinile a 33 e 78 giri. Il risultato è un ideale colonna sonora di un film che non esiste, è un laboratorio, è un esperimento riuscito, è lounge, exotica e tanto ancora.... Buona Visione sonora Patrizio Longo

Telefon Tel Aviv Map Of What Is Effortless Hefty Il giovane duo di New Orleans Telefon Tel Aviv, attivo da soli cinque anni, può già vantare un curriculum di alto profilo che non si limita ad un paio di vistose collaborazioni con Danny Lohner di Nine Inch Nails (per alcuni remix di Bowie, A Perfect Circle ed Eminem) e con Sliker (la produzione dell'ultimo disco The Latest, sempre su Hefty), o alla realizzazione della colonna sonora di New Port South, lungometraggio dell'esordiente regista Kyle Cooper. I giovanissimi Joshua Eustis e Charles Cooper infatti hanno realizzato un album di esordio come Farenheit Fair Enough, che rappresenta a tuttora il cocktail perfetto tra un suono classico e moderno: un non-luogo dai contorni non chiari in cui calde melodie di piano s'insinuano dolcemente all'interno di confortevoli architetture elettroniche, in cui il confine tra rock, hip hop e laptop music è estremamente labile. L'eccezionale talento emerge in questo secondo lavoro sia in fase di composizione che di produzione. Map Of What Is Effortless allarga il già ampio spettro di sonorità del duo, contaminandolo con un'inedita sensibilità pop. Il risultato è una sorta di r&b destrutturato, un collage originale in cui convivono le più svariate soluzioni: che si tratti di asettica computer music, di una orchestra di trenta elementi o di calde ed avvolgenti soluzioni vocali (nel Foto: Alice Pedroletti precedente capitolo discografico completamente trascurate dalla band) ad opera di ospiti d'eccezione quali Damon Aaron (già con I-Wolf, Level) e Lindsay Anderson (L'Altra). La produzione limpida e la cura maniacale di ogni minimo dettaglio diventano dei tratti distintivi che aumentando esponenzialmente la qualità del prodotto finito lo fanno ergere una spanna al di sopra delle normali produzioni elettroniche in ambito indipendente. Patrizio Longo


Carnevali, l'ultimo dio di Clementi

Silver White Diary Bad afro records Vengono da Oslo, la città dei Turbonegro, e la loro musica in qualche modo gli si avvicina. Prendete il punk rock stradaiolo made in U.S.A. che mieteva vittime negli anni '70 (Heartbreakers, Dictators e via dicendo) e quello inglese della fine dello stesso decennio (Damned su tutti, ma anche Sex Pistols) e mischiatelo con tutto quel campionario di suggestioni glam che partono da Bowie per arrivare a Marc Bolan. Il gioco è fatto. E funziona. Biascicano la lingua del più seducente rock'n' roll, senza disdegnare virate degne dei Rolling Stones che preferiamo (Sticky Fingers e Gimme Shelter). “The Emptiness” è un plagio bello e buono di “I Wanna Be Your Dog”, ma è uno dei più riusciti; “Funeral Class One” piacerà ai punkettoni e agli street rockers; “The Dark Side Of The Light” piazza “Gimme Danger” e Morricone in un colpo solo; “Intimate Cussing”: Rolling Stones, dicevamo. E via peccando. Teneteli in auto, affianco a Toilet Boys e compagnia sexy. E alzate il volume. Piggy

V/A Powersalves an elektro tribute to Iron Maiden Angel Makers Records Uno dei miei sogni bagnati: avete presente? Fra di essi ci sono i Toilet Boys che coverizzano Belinda Carlisle (il che non sarebbe automaticamente assurdo visti i trascorsi di Belinda). Ma divago. Uno è tra noi oramai. Una compilation tributo agli Iron Maiden che invece di schierare le trite e ritrite realtà di seconda mano della scena metal schiera 14 masterpiece della scena electro. Riff, assoli, vocalizzi subiscono il trattamento elettronico e ammaliano nella loro capacità di mantenere intatte la malevola seduzione di alcuni fra i più corposi brani della notissima band: e così via di synth, vocoder, basi drum machine. Un sorriso ti spunta sulla faccia, ma non perché il tutto suoni ridicolo. Per l'esatto contrario. In questo disco, che molti potrebbero considerare un semplice divertissement, si realizza un puntuale incontro storico. Un nuovo ideale. Un ulteriore scardinamento dei confini musicali. neanche vent'anni fa, evidentemente. E questi signorini elettronici dimostrano di esserseli ascoltati per bene gli Iron. Ciascuna delle tracce funzionerebbe su un dancefloor, tanto per chiarirci; pur rimanendo quanto più fedele alle spire chitarristiche dell'originale. Alcune poi sono proprio tremendamente riuscite: gli Acid Junkies alle prese con “Wrathchild”; la più paracula, il rifacimento fra Kraftwerk e Gary Numan di “Flash Of The Blade” a opera di Captain Ahab (e come non poteva? Con quel riffone iniziale); i Rude 66 con “Killers”; Alek Stark su “Fear Of The Dark”, etc.etc. Figli degli '80 a spasso nel 2004. Che piacevole sorpresa. Piggy “Defender”

Filofobia Entree Du Port Desvelos Records - 2004 Disco d'esordio per il quartetto aretino che ha cominciato autoproducendosi nel 2001 con un singolo contenente due tracce. I Filofobia nel 2003 vengono selezionati per il progetto A.R.I.A. (Arezzo Rock Italian A c a d e m y ) associato alla manifestazione Arezzo Wave. Nello stesso anno cominciano a registrare il disco “Entrée du port” uscito (a fine marzo 2004) su Desvelos Records. Al primo ascolto il pop dei Filofobia dà subito l'impressione di essere accogliente ed elegante. Un pop “colto” traspare dalle nove tracce dell'album, forse qualcosa che da un po' non si sentiva in Italia. Nei Filofobia, nonostante le sonorità a tratti ricercate si rendano elementari, si intuisce l'influenza del vivere in una città che ospita un Festival. Oltre al rock italiano nella loro musica emerge uno spettro di ascolti che passa dal pop all'indie per approdare alla tradizione italiana. Questo mix è fuso in maniera eccellente, e per questo album si sono rivolti al clarinettista Enrico Gabrielli e al percussionista Pacho che vantano collaborazioni con artisti del calibro di Morgan. Nei testi si parla di situazioni di vita dei vari musicisti del gruppo, ma ascoltando bene più volte si intuisce che è qualcosa di più profondo del mero racconto. Augusto Maiorano

Cocorosie La maison de mon reve Touch & Go Di disarmante bellezza questo 'la maison de mon reve' dell'insolito duo a conduzione familiare, le Cocorosie, al secolo Sierra e Bianca Cassidy. Fuori dal mondo reale, fuori dai bagordi del rock biz, fuori dal tempo, soprattutto, sembra che le due vivano in una specie di eden tutto loro fatto di passato e futuro, di vecchi grammofoni che ci fanno venire la nostalgia dei già nostalgici Portishead, e strani orsacchiotti confezionati su commissione da Chris Cunningham. Semplici arpeggi di chitarre folk e strani versi elettronici ma dal sapore più analogico dell'analogico; di quando in quando basi ritmiche anch'esse elettroniche, ma di un'elettronica povera, lo-fi, domestica, quasi pigra, stanca, irregolare perché la regolarità è troppo faticosa. Le due voci ammalianti, una, la più bella, tra Bjork e Sinead o'Connor, l'altra dichiaratamente gospel. La traccia di esordio è puro incanto, e già varrebbe la pena; il resto del disco si perde un po' nel lirismo di una delle Cassidy (quella gospel), che guasta un po'. Ma va bene così, benissimo, anzi. Rigo

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Emidio Clementi, ex-leader dei Massimo Volume, continua la sua attività di scrittore e musicista. Dopo la Notte del Pratello, è di nuovo in libreria con il suo nuovo romanzo L'ultimo dio. In questo romanzo Emidio racconta le origini della sua crescita artistica, segnata da un'infanzia trascorsa a San Benedetto del Tronto, il successivo abbandono della famiglia, il girovagare per l'Europa, l'approdo a Bologna e infine l'incontro con il libro di Emanuel Carnevali, Il primo dio. È proprio conoscere questo autore che gli insegna a osservare con occhi nuovi la porzione di mondo che è stato il suo passato e lo conduce all'ispirazione che adesso segna la sua maturazione letteraria e musicale. Cominciamo dalla forte presenza della tua vita personale e artistica in questo libro. Leggere la tua autobiografia, mi ha creato quasi un senso di imbarazzo, il fatto di venire a contatto in modo così diretto con le vicende della tua famiglia. La prima domanda che mi viene voglia di farti è come ti senti adesso che hai vuotato il sacco? A dire il vero un po' di gente continua a dirmi “quando la finisci di parlare di te stesso?” Certo, questo libro a differenza de La notte del Pratello, dove c'era sempre un io narrante, ma i personaggi principali erano altri, è davvero il mio primo libro autobiografico. E' un libro che è diventato autobiografico partendo da altri presupposti. Io volevo scrivere una storia che avesse come personaggio principale Carnevali. E poi, a un certo punto, mi sono accorto che non stavo andando da nessuna parte. Mi stavo annoiando a scriverlo e soprattutto a rileggerlo. E lì ho un po' cambiato le carte in tavola e mi sono interrogato su cosa era stato veramente Carnevali per me, come c'ero arrivato e quali conseguenze la sua lettura aveva avuto. E lì si è trasformato in un libro autobiografico. Però poi è rientrata la tua famiglia. Il mondo della famiglia mi ha sempre affascinato. Potevo scrivere un libro unicamente incentrato sui rapporti famigliari. Lì c'è moltissimo materiale narrativo come in ogni famiglia. Dal tuo racconto sicuramente emerge fortemente il tema del senso di responsabilità nei confronti della famiglia e l'altro lato della medaglia che è il senso di colpa che si prova nel momento in cui ci si vuole affrancare da essa. Ne parli quando racconti che allontanandoti da casa in un certo senso hai lasciato solo tuo fratello a occuparsi di tutto, anche dei debiti. Questo è stato il nodo centrale della mia crescita. Al momento in cui sono andato via mi sono portato via il senso di colpa che però non è mai stato così grande da decidere di farmi tornare indietro. Come dico nel libro alla fine c'era una possibilità e io me la sono presa. Tornando indietro rifarei la stessa cosa, anche se so che questa scelta è stata pagata anche dal senso di responsabilità di mio fratello. Partire per me era una necessità estrema. E poi c'è Emanuel Carnevali, questo scrittore che ti ha cambiato la vita e che molti lettori impareranno a conoscere grazie al tuo libro. Io sarei molto contento se al di là della gente che apprezzerà l'ultimo Dio, se ci fosse un recupero della figura di Carnevali. Lui veramente è stato dimenticato. Quando dovevo fare le presentazioni ho chiesto diverse volte a docenti universitari se qualcuno di loro volesse parlare di Carnevali e quasi tutti mi rispondevano che non ne sapevano niente. C'è un unico studioso che si occupa di Carnevali, un argentino che vive a Roma, si chiama Gabriel Cacho Millet. Gli ha dedicato trent'anni della sua vita. I testi in corsivo e le lettere me li ha regalati. Ha un archivio con la rassegna stampa degli articoli pubblicati su Carnevali dal 1931. È l'unico.

Oltre che un romanzo un'operazione culturale la tua. A me faceva un po' paura che questo scambio di sguardi tra me e Carnevali risultasse un po' troppo letterario. Ci tenevo che lui ne uscisse come un personaggio vivo e per questo ci tenevo che entrasse in scena nel romanzo, proprio quando è entrato in scena nella mia vita. Volevo che avesse una vitalità. C'è un libro molto bello di Vassalli su Dino Campana, La notte delle comete. È la ricerca della figura di Campana attraverso i suoi luoghi. Un'operazione molto bella e purtroppo già fatta da lui. A me piaceva pensare che io e Carnevali un giorno ci eravamo presi per mano e avevamo percorso un tratto di strada assieme. C'è anche un altro personaggio che salta fuori: Rigoni. L'avevamo già incontrato nella Notte del Fratello e di nuovo lo incontriamo alla fine di questo libro. Perché? Non mi piaceva il finale, avevo bisogno di asciugare la storia che poteva risultare troppo retorica. Dovevo tirare le fila di tutto, ma volevo farlo riportando tutto a livello più terreno, anche critico. Rigoni era perfetto. Un po' come tirare una bomba a mano sul finale. Una nota sul titolo, come lo hai scelto? Sentivi di dover citare a tutti i costi Carnevali? A me piaceva che ci fosse un ritorno su Carnevali, ma non sapevo come. E' stata una tragedia trovare il titolo. Ho passato in rassegna 20-25 opzioni. All'inizio non mi piaceva tanto l'idea di questo titolo, erano usciti tanti libri con dio in mezzo, Il dio delle piccole cose, Il dio delle illusioni…poi ho pensato che se non ci fosse stato Il primo dio di Carnevali, non ci sarebbe stato L'ultimo dio di Clementi. In questo numero di coolclub si parla di lavoro, in occasione dell'1 maggio. Questo tema ricorre anche nel tuo libro: c'è il lavoro di fatica, l'esigenza di lavorare per vivere, la stessa fuga dal lavoro. A dire il vero io voglia di lavorare non ce l'ho mai avuta e poi per necessità sono finito a fare lavori umili nei ristoranti e a sgombrare cantine come si racconta ne La notte del Pratello. Ho fatto lavori più o meno brutti e sicuramente la fatica fisica mi ha temprato. Sono entrato in ambienti che diversamente non avrei mai conosciuto. Per esempio io leggo volentieri i libri le cui storie sono ambientate nel mondo del lavoro. Se c'è un retrocucina o una fabbrica, io rimango affascinato, per esempio il libro di Ferracuti sulla vita del postino Attenti al cane. È un bellissimo terreno per chi piace scrivere, è un modo per andare sul concreto. C'è una certa forma di poesia anche nel lavoro, anche se bisogna farlo entrare nella propria vita con un centro equilibrio e quando si può non farsene sopraffare. Un ultima domanda sui tuoi progetti musicali visto che, in contemporanea con la presentazione del tuo libro, stai anche promuovendo il tuo nuovo progetto musicale El Muniria e il primo disco del gruppo Stanza 218. Concerti, forse un videoclip. L'8 di maggio siamo a Verona, il 21 a Milano, il 22 a Cavriago in provincia di Reggio Emilia. Abbiamo fatto un live all'Auditorium di Radio Popolare. Sta andando bene e sono soprattutto molto contento del risultato dal vivo. Avevo paura, perché si tratta di un disco che abbiamo costruito un po' a strati. Invece, abbiamo un bel suono. C'è anche una bella risposta da parte del pubblico. Solo portare avanti le due cose insieme è alquanto faticoso. Pensavo fosse una buona idea per avere una certa visibilità in generale. Vedremo. Elisa De Portu


J.G. Ballard Millennium People Feltrinelli 2004 L'autore di Crash (1973) ci regala, con Millennuim People, un'altra storia dalle atmosfere fredde e inquiete e completa, insieme a Super-Cannes e Cocaine Nights, una trilogia dedicata all'osservazione delle classi medie e alla loro rivolta. Ballard è uno scrittore senza pudore, acuto osservatore della società, senza timore e veli tira la corda di alcune crepe dell'essere umano, e riesce a raccontarci ciò che è privo di senso, ciò che non ha motivazione, che è gratuito, che è vuoto allo stato puro, e per questo, se non altro, non ha enfasi. Chelsea Marina è un agiato ed efficiente quartiere londinese, “la discarica più nuova di Londra” come lo definiscono, ai giorni nostri, i suoi abitanti in rivolta. Qui vive millennium people: ottocento famiglie della classe dirigente, avvocati, broker assicurativi, chirurghi, architetti e professori universitari, sparsi in ville senz'altro belle. David Markham, psicologo aziendale, protagonista, e narratore delle azioni, in preda ad una crisi di identità, si trova immerso nella rivolta in cerca di risposte. La BBC e il Daily Mail annovera i rivoltosi come i “primi zingari borghesi” che incendiano le loro residenze, erigono per le strade di Chelsea barricate di Volvo, Nissan e Range Rover, (ma c'è anche una Fiat Uno), usano come armi simboliche, mazze da baseball, putter da golf, e bastoni da hockey. La violenta protesta, che turba il senso civico della città e lascia a bocca aperta i londinesi, mentre fanno colazione e guardano in tv le immagini della rivolta, è contro i sempre più elevati costi di manutenzione del quartiere, contro l'aumento dei parcheggi a pagamento, contro le costose rette delle scuole dei figli, contro la BBC, contro le agenzie di viaggio insomma contro tutto. Il ceto medio è in rivolta contro se stesso e i propri compromessi. “Siamo come bambini lasciati troppo a lungo in una stanza dei giochi, dopo un po' non possiamo fare a meno di rompere i giocattoli, anche quelli che ci piacciono di più”, dice uno dei registi della sommossa che si rivelerà inutile, perché gli stessi rivoltosi, dopo un giorno di guerra, misteriosamente, ritorneranno volontariamente alla loro normalità. “Un fallimento eroico si ridefiniva come un successo”. Rita Miglietta

La poesia non è morta

Marco Bettini Color Sangue Rizzoli 2003 Il ritrovamento del cadavere, completamente sventrato, di un extracomunitario all'interno di una caverna abbandonata è il punto di partenza di questo sorprendente libro di un autore bolognese semiesordiente che, con questa pubblicazione, impone il suo nome all'attenzione del noir italiano. Sul terribile delitto indagano tre uomini, ognuno con una sua logica e spinto da personalissimi motivi: il pluridecorato capitano dei carabinieri Pietro Cau, sempre alla ricerca della verità, il capo della scientifica Paolo Mormino, stanco di vedere che il suo lavoro serve solo a far avere encomi ai colleghi investigatori, e il giornalista Marco Cambi, che si ritrova invischiato in una realtà a lui sconosciuta per un ricatto del suo direttore. L'abilità di Bettini consiste nell'organizzare una vicenda estremamente complessa, costituita da delitti a catena, dall'inchiesta giudiziaria, dal traffico di droga, dalla rivolta degli immigrati, dall'odio razziale dei naziskin, senza mai spezzare il filo conduttore che lega tutte le storie coinvolte, che, nel susseguirsi degli eventi, si intrecciano e sovrappongono continuamente. L'autore non trascura neanche l'aspetto psicologico dei personaggi da lui creati, ideando una parallela storia di sofferenza e malattia che coinvolge il giornalista Cambi, suo fratello e sua cognata, di cui è innamorato, che culmina in un finale imprevedibile e anche estremamente amaro. La trama corre sui ritmi veloci, non ci sono momenti di pausa ed è fitta di colpi di scena; la tensione rimane alta fino all'ultima pagina anche perché la parte finale è una rivelazione imprevedibile e spiazzante delle vicende narrate. Si può senz'altro parlare di romanzo rivelazione che ora attende un libro di pari valore. Bubu

Hans Ulrich Obrist Interviste. Volume I Charta 2003 Obrist è un curatore svizzero che girovagando, dai primi anni novanta fino al 2003, ha registrato conversazioni con alcuni personaggi della cultura contemporanea : scrittori, musicisti, filosofi, registi, artisti, architetti, sociologi. Interviste volume I è la prima tappa di questa lunghissima conversazione che dura circa 200 pagine e raccoglie le prime 66 interviste; Matthew Barney, Brian Eno, Marina Abramovic, Rem Koolhaas, Michelangelo Pistoletto, per citarne solo alcuni e a caso, tra i tanti che, dal microfono di Obrist, ci raccontano di loro, dei loro pensieri e dei loro lavori. Un libro un po' troppo costoso a dire il vero, ma sicuramente da annotare e magari recuperare nelle biblioteche per tutti quelli che vogliono sorvolare sul pensiero dell'oggi. La briga che Obrist si è preso, di archiviare le sue interviste mettendole insieme in un libro, è un'idea originale che pone al centro della riflessione del lettore, la creatività e l'importanza della conversazione in sé. È alquanto piacevole leggere un'intervista, perché la comunicazione è più diretta, i contenuti si articolano tra domande e risposte entro una conversazione libera perché vicendevolmente stimolata da chi domanda e chi risponde. Le domande che Obrist pone ai suoi interlocutori, infatti, non sono affatto improvvisate, ed ogni intervista è preceduta da una breve e selezionata biografia sull'intervistato, una sorta di bussola, utile al lettore, per l'uso molteplice che di questo tomo si può fare. Un libro che si può leggere in libertà di tempo e di ordine, dove si raccontano 66 storie, oltre a quelle che da ogni singola risposta possono nascere nella mente di chi legge. Un modo inedito e alternativo per tracciare, nel mentre di un parlare, analogie, rimandi temporali e spaziali, fatti e persone per una storia di una certa cultura contemporanea. Rita Miglietta

Ivano Ferrari “Macello” (Einaudi) Mario Benedetti “Umana Gloria” (Mondatori) Nel mare magnum delle uscite editoriali sembra acquisire sempre minore importanza la produzione poetica (questo potrebbe dar adito alle convinzioni di molti critici accademici convinti dell'avvenuta morte della poesia). Osservando con attenzione le pubblicazioni di questi primi mesi del 2004, però, non si può rimanere indifferenti nei confronti di due testi che, con tecniche stilistiche differenti, affrontano la realtà a pieni polmoni, costruendo un'allegoria dell'esistere che non lascia indifferenti. I testi presi in considerazione sono il “Macello” di Ivano Ferrari e “Umana Gloria” di Mario Benedetti. Ivano Ferrari è nato a Mantova ed ha lavorato nel mattatoio cittadino e per il Palazzo Te. Autore appartato e insofferente alle etichette ha anche presentato con "La franca sostanza del degrado" la sua raccolta più matura e organica risultato di un percorso poetico iniziato nella seconda metà degli anni '70. In “Macello” (Collezione Bianca, Einaudi), nello spazio chiuso di un mattatoio, «la grande sala dove si esibisce la morte», Ivano Ferrari mette in scena uno spietato e cruento interregno uomo-animale determinato da una schiacciante sopraffazione. Un "Macello" che rimanda ad altri macelli che continuano ad attraversare la nostra vita di specie e che è campo di battaglia, lager, laboratorio, chiesa, teatro e dove i macellatori sono carnefici, tecnici, sacerdoti, registi. In questa raccolta poetica intensa e perentoria, piena di accensioni, implorazioni, crudeltà, straziante sarcasmo e personaggi animali e umani difficili da dimenticare, ogni verso ha un suo ictus determinato da una provocazione lessicale, tonale e psichica che diventa immediatamente lacerazione visiva. La materia, la carne, come la poesia, vengono messe in totale sofferenza e la vita è registrata nel suo punto limite e anche oltre, nelle sue ulteriori degradazioni eppure non ancora al termine del suo percorso di profanazione e violenza. Ecco un assaggio: “Dalla vasca d'acqua bollente/emerge un enorme maiale/bianco come uno spettro/che oscilla impudico fino a quando/dal finestrone il sole/accende quintali di luce". L'esistere autentico è semplice e feriale, incerto e delicato "come una veglia", ci dice Mario Benedetti in “ Umana Gloria” (Lo Specchio, Mondatori), libro incantevole e sobrio, che lo impone come figura di limpida autonomia e valore nel panorama della nostra poesia. In Umana gloria il suo sguardo è vigile e calmo, si ferma su una "materia povera", quella delle nostre vite, che osserva nella loro opaca, eppure eroica dignità quotidiana. Benedetti sa esprimere la meraviglia del nostro essere nel tempo, del nostro essere uomini che passano e si disperdono miti, tra "le erbe, i mari, le città". Osserva persone e paesaggi, registra vicende e sentimenti, ma si accorge di allontanarsi poco a poco da se stesso, di essere divenuto suo malgrado "qualcos'altro: distanza dalla vita" e dalle cose, che pure voleva abbracciare. Chi invece ne è più intensamente parte, creature in naturale armonia con il tutto, sono gli esseri più fragili, i bambini e gli umili, che "hanno visto le cose, le fiabe, i miracoli, come un paradiso che non c'è più".Benedetti ha un tono più sommesso, lieve e turbato, rispetto l'azione feroce di Ferrari, predilige il verso lungo di un dire prosastico, scandito con originale sensibilità, contro il susseguirsi affannoso e rabbioso del verso frammentato di Ferrari. Due modi differenti di descrivere la stessa realtà, la nostra, quella delle stragi familiari e della guerra globale, quella della corsa al denaro e della ricerca spasmodica di un senso dell'esistere. Rossano Astremo

SPAZIO DEMO

Intervista a Riccardo Sinigallia

MUMBLE RUMBLE demo Le Mumble Rumble sono un gruppo tutto al femminile di Bologna e ci inviano un bel paginone pieno zeppo di stralci di recensioni entusiastiche delle maggiori riviste italiane. Io invece, povero fesso, sono la voce fuori dal coro in quanto non folgorato dal demo delle 4. Dignitoso rock sufficientemente potente ma l'agguato del solito cantato femminile dal gorgheggio facile è dietro l'angolo. Evitabili. Ma essendo ora distribuite dalla Sony del mio giudizio su codesto demo ne faranno un uso sicuramente igienicosanitario. contatti: atz.cri@libero.it

ROSKOS Most like the struggle of death Il cd dei Roskos si apre con una buona traccia simil industrial ma poi devia totalmente dall'incipit. Le restanti 5 tracce, infatti, sono un misto di power metal e hardcore (!). Insomma prendete le canzoni degli Iron Maiden (stessi assoli, stesse schitarrate) e suonatele con attitudine punk. Vi sembra un mix improbabile? Anche a me. Sono perplesso… contatti: roskos01@hotmail.com

RH Negativo demo Se gli Rh Negativo di Veglie avessero età adulta il loro cd di “nonsobenecosa” rock starebbe già sul lunotto posteriore della mia macchina a respingere i flash degli autovelox. Poi leggo che hanno 13 anni, ascolto la vocina che canta incazzosa, le chitarre elettriche che storpiano qualche assolo, gli urletti delle ragazzine che li incitano (la registrazione è live) e cambio atteggiamento. Avranno tempo per crescere, ascoltare tanti cd fondamentali, assorbire influenze e scrivere canzoni di tutto rispetto. Oggi, a 13 anni, giocano a fare le rockstar. Ed è giusto così.

NEED HER LIVER (empty:) Non è dato sapere di dove siano i Need her liver, tranne che il cd è stato prodotto nella Stanza (inquietante!). Giri stoner rock, un pizzico di blues, echi provenienti da Seattle (i Soundgarden nella traccia 3, un'attitudine alla Layne Staley nel cantato della 4). Un buon esercizio di tecnica ma dov'è quel quid pluris che dovrebbe fare la differenza? contatti: need_her_liver@libero.it

H.C.-B. demo I catanesi H.C.-B. sono autori di un progetto notevolissimo e questo “Sliding on Barents Sea” lo testimonia appieno. 14 tracce quasi tutte strumentali (una voce che si fa sempre più rabbiosa compare solo in un momento). Post rock di grande valore, rarefatto, notturno e ipnotico tra primi Cerberus Shoal e Tarentel. Solo in coda il disco ripiega su soluzioni più convenzionali (la 13 ricorda un po' i Mogwai) ma sempre di ottima fattura. Una prova di tutto rispetto che meriterebbe al più presto una firmetta su un contratto di qualche bella etichetta. Avercene demo così! Gianpiero Chionna

Giovane, bravo e simpatico. Capelli arruffati, pizzetto, felpa e cappuccio, un piercing sul sopracciglio e totalmente, intensamente, immerso nelle sue sonorità insieme ai compagni di palco, “amici e co-autori più che collaboratori”. Questo tiene a specificarlo subito Riccardo Sinigallia, musicista e giovane, acclamato, produttore romano, ospite, lo scorso sabato 24 aprile, della rassegna musicale organizzata dalla Saletta della Cultura di Novoli. Gran bel concerto, senza dubbio, un talento semplice il suo, senza fronzoli, assoluto. Personaggio carismatico ma genuino. È arrivato al suo “primo” (omonimo) disco dopo l'esperienza Tiromancino e, soprattutto, dopo una carriera da produttore che ha lasciato un'impronta sulla scena capitolina (Max Gazzè, Niccolò Fabi, Frankie hi nrg, La Comitiva...). Andando un po' in giro su internet, una delle citazioni che ti riguardano e che più compare è: “Se Sinigallia fosse nato a San Francisco, adesso sarebbe uno dei produttori più ricercati del mondo”. Ti dispiace non essere nato a San Francisco? No, per niente, sono contento di essere nato a Roma. Quella che hai citato è una frase, carina, di un giornalista che ha seguito il mio percorso da produttore. Magari era un po' una polemica nei confronti dell'immaginario tipico italiano che vuole il produttore come un personaggio con i soldi e col sigaro in bocca. All'estero è invece “riconosciuto” più come musicista. Ma poi... più che produttore, sono un musicista, uno che ha scritto delle canzoni che magari hanno cantato altri. Sei passato sul palco dopo esser diventato famoso già “dietro le quinte”, un percorso per certi aspetti anomalo il tuo. No, ma che famoso! Magari conosciuto da qualche addetto ai lavori. Questa nuova esperienza è diversa, con Francesco (Zampaglione), Laura (Arzilli) e gli altri siamo un gruppo affiatato di persone che fa artigianato musicale. È un progetto nato per necessità: volevamo salire sul palco e suonare, consapevoli di tutto ciò che ne consegue, con la responsabilità di tutto ciò che si dice e si fa! Una necessità sentita da tanti anni. ...stop alle produzioni quindi! Beh...se capita di avere dei rapporti umani e degli scambi di un certo tipo, la possibilità di collaborazioni la considero sempre aperta. …lo sai che in sala c'era qualcuno che pensava di vedere il concerto del Tiromancino? Sinceramente non me n'ero accorto. Comunque è una situazione che mi porterò dietro per un po' di tempo, è normale. E poi... è la prima volta, dopo tanti anni, che dal vivo propongo “La descrizione di un attimo” … Hai fatto la colonna sonora del film Paz, ci sarà spazio ancora per nuove esperienze del genere? Abbiamo appena ultimato la colonna sonora del nuovo film di Renato De Maria, il titolo è “Amatemi” e uscirà a settembre. Nel progetto ho lavorato con Antongiulio Frulio, un grande musicista napoletano, suona il pianoforte ed è un sound designer, un “intrippato di computer” molto bravo, un grande programmatore. E a proposito di computer, le immagini proiettate costantemente alle vostre spalle, è una idea sviluppata parallelamente al disco? Abbiamo sempre utilizzato proiezioni, anche ai tempi del Tiromancino, e quando è possibile le utilizziamo. Preferiamo le immagini all'utilizzo casuale delle luci. Aprono una ulteriore finestra interpretativa sui pezzi. ...Una domanda originale... programmi per il futuro? Per adesso suonare dal vivo. Perché sentiamo il nostro disco ancora come qualcosa da comunicare; quindi per il momento il nostro progetto è quello di andare a suonare in più posti possibili. A proposito di concerti, un rapporto così intenso con il moog sul palco, non ruba qualcosa alla tua presenza scenica? Sicuramente si, lo sappiamo, ma la presenza scenica è un aspetto che vivo in maniera abbastanza conflittuale; mi rendo perfettamente conto che il mio modo di presentarmi in scena non è “d'attacco”, da rockstar, da uno che deve affermare il proprio carisma in un modo scenico. Io salgo sul palco come musicista e...basta. Prima di andare a bere un bicchiere di vino una curiosità, hai chiuso con l'hip hop? L'hip hop.. è come il blues, è un bagaglio che uno si porta dietro. Siamo contenti quando esce fuori una cosa che ci coinvolge. Anche se ultimamente è difficile, molto difficile essere emozionati da un disco di rap. Sono molto legato ai testi e faccio molta fatica a star dietro all'hip hop americano. In Italia dopo Sangue Misto, Frankie Hi Nrg ha detto delle cose interessanti, ma poi... ...prosit! Salute. Dario Quarta


Morgan Il suono della vanità Mescal 2004

Sophia 26 aprile@Rainbow Milano Uno dei miei amici, nonché collaboratore della zine, il caro piggy, mi ha aperto un mondo, mi ha fatto conoscere Sophia. Dietro questo progetto si nasconde il nome di Robert Proper-Sheppard (ex God Machine, una delle band fondamentali degli anni 90). Approfittando di una piccola scappatella fuori porta ho deviato per quel di Milano, giusto per una notte, per ascoltare dal vivo uno dei dischi che ha invaso con giusta prepotenza il mio 2004. Al Rainbow la gente in fila era un campionario di generazioni e generi. Un'età variabile dai 17 ai 45 e frangette e creste in attesa di un concerto per molti ma non per tutti. Ad aprire le danze una nuova band belga: Girls in Hawaii. Poco più che ragazzini intrattengono i trepidanti presenti con un indie pop a metà strada tra i connazionali Deus e sonorità più brith a cavallo tra Coldplay e compagnia bella. Convincenti nel finale in cui hanno dimostrato una certa attitudine rumorista e qualche inserto elettronico. Cambio palco ed eccolo comparire, birra in mano, sorriso per i pochi che lo acclamavano e una calma serafica nel sistemare chitarra e microfono. Scendono le luci ed è subito musica. Si parte con la veste più scarna dei Sophia, brani tratti da “People Are Like Seasons" e dai precedenti dischi ammutoliscono i presenti quasi in estasi davanti a uno spettacolo che è una lezione per tutti quelli che credono che la potenza della musica sia necessariamente una distorsione. Pianoforte in evidenza, la chitarra e la voce di Robert guidano una batteria che più minimal non si può, una Jazzmaster solista che a tratti sembra suonare per sei e un basso che punta dritto allo stomaco delle ultime file. C'è chi canta in coro le vecchie e le nuove canzoni, chi si abbraccia, chi balla (!!!). Tutto calmo finchè non arriva “Desert song n 2” e il Rainbow esplode. Un vero e proprio muro di violenza e rumore ci fona i capelli mentre in sottofondo piano e batteria ci ricordano che ancora di melodia stiamo parlando. Cambio di rotta e il concerto scivola verso la fine consumando il singolo “Oh my love” in un crescendo di entusiasmo e di intensità emotiva. Generoso Robert Proper-Sheppard anche nei bis che tirano in ballo le tracce più rock'n'roll dell'ultimo album. Un concerto da tatuare nella memoria, un bel viaggio non solo musicale. Osvaldo

La follia discografica della Psychotica Scegliere di portare avanti un'etichetta indipendente come lavoro, qui in Italia, è pura follia. La musica, a certi livelli, non ha mai fatto portare il pane a casa a nessuno. Ma scegliere di fondare un'etichetta per passione, è tutt'altro discorso, meritevole di grande rispetto soprattutto quando si sa di dover andare incontro a numerose difficoltà (burocratiche, economiche ecc.). La Psychotica di Taranto ne è un esempio e costituisce da qualche anno a questa parte una delle più belle realtà della Puglia, portando avanti con passione, un progetto mirato ad accrescere il panorama indie italiano. La Touch&Go delle Puglie? Abbiamo incontrato Michele, tra l'altro uno dei titolari del progetto Logan, per discuterne insieme. 1 La prima domanda è di rito: come è nata l'etichetta? L'etichetta è nata come idea quasi 10 anni fa, concretamente sono circa 2 anni che stanno uscendo dei dischi; ha iniziato con l'esordio di Logan (quasi un'autoproduzione, visto che ci suono anch'io) e poi ci sono stati tutti gli altri a seguire (la compilation Fragments, Lillayell, Edible Woman). L'idea è di collaborare con i gruppi, di instaurare dei rapporti, di creare un qualcosa intorno ad un territorio difficile come il nostro. Anche se tirare avanti è davvero difficile… 2 Ho notato, ascoltando le vostre uscite che avete una predilezione per il math rock di derivazione chicagoana. È, diciamo, la “politica” della vostra etichetta? Non temete che il genere possa forse risultare un po' inflazionato o comunque avete intenzione di produrre anche band di diversa estrazione musicale? L'etichetta non ha una linea distinta per quello che riguarda le musiche da produrre; l'intenzione è quella di produrre generi affini al mio gusto personale in fatto di musica e spesso mi trovo ad aiutare gruppi molto vicini al soprannominato “math-rock”, ma non per tutti i gruppi è così, se pensi ai Lillayell mi sembrerebbe davvero riduttivo parlare di math-rock o di experimental o di freerock, o di indie-rock; al momento sono l'unico gruppo dell'etichetta capace di sovvertire e stravolgere le regole di questi generi tirandone fuori una miscela del tutto personale che non ho mai sentito in nessun altra band!! Edible Woman invece potranno essere anche più etichettabili, ma sono uno tra quei dischi che appena lo ascolti ti colpiscono (nel bene o nel male). E personalmente mi hanno colpito subito dal primo ascolto (musica d'impatto, blues triturato, macinato e vomitato come solo loro sanno fare….). L'intenzione è di andare oltre queste attitudini musicali, ma ci vuole tempo dato che possiamo permetterci solo poche uscite all'anno e non possiamo fare tutto quello che vorremmo… 3 La vostra etichetta è distribuita in Italia dai più importanti distributori del settore e ha anche varie distribuzioni europee. Questo è sicuramente un segno di buona visibilità dei vostri prodotti ma ritenete che in Puglia la vostra sia solo un'eccezione o pensate che si possa iniziare a fare un certo discorso musicale anche qui da noi? Si abbiamo delle buone distribuzioni, sia in Italia che all'estero, ma nonostante questo penso che non abbiamo ancora la giusta e adeguata visibilità…. Certo, pian piano sta crescendo, ma credo che ci voglia ancora molto tempo e tanti altri sforzi. Fondamentalmente tutte le distribuzioni (sia in patria che all'estero) sono persone che credono nel tipo di musica che propongo e ti assicuro che non è facile riuscire a trovarle, ci vuole molto tempo e impegno! 4 Il vostro catalogo include uscite in formato normale e altre in cd-r. In base a cosa stabilite il supporto con cui deve uscire un gruppo. Credi, quindi, nel cd-r come nuovo mezzo di diffusione della musica? Non credo nei Cd-r! I Cd-r sono stati solo un modo di iniziare il discorso … non penso sia un formato con un futuro, non ha la durata in tempo che hanno i Cd, anche se in realtà mi piacerebbe molto poter stampare del vinile (sono un vinilista convinto!!) e lo faro al più presto con una serie di 7” che penso potrà veder luce nel 2005! L'unico disco in Cd-r uscito di recente è la prima registrazione dei Beirut, ma non è stata una mia scelta; hanno voluto fare il loro primo demo me l'hanno fatto ascoltare e secondo me poteva benissimo essere un Mini cd così dato che a loro piaceva l'idea abbiamo deciso insieme di marchiarlo Psychotica e gli ho fatto un po' di promozione tutto qua…(sono uscite solo 200 copie… questo è l'unico vantaggio che vedo nei Cd-r, cioè che non c'è un numero minimo di copie da stampare!) 5 Come giudichi la scena musicale pugliese? Credete che si possa parlare di scena? Non credo assolutamente che si possa parlare di scena, c'è un enorme calderone di gruppi che propongono musiche molto diverse tra loro, e che hanno attitudini completamente diverse… C'è qualche gruppo che propone buona musica (a prescindere dal genere), ma questo per me non vuol dire “scena”. Gianpiero Chionna

La prima colonna sonora per lungometraggio del leader della rock band Bluvertigo. Morgan afferma di aver impiegato esattamente un anno per la realizzazione della colonna sonora del film di Alex Infascelli. Il lavoro rappresenta musicalmente due zone, la prima un "sottosuolo" la seconda un "sopra-suolo". Per la realizzazione della prima area si è avvalso di un software di composizione grafica del suono. Un sistema che traduce le immagini in suoni, elaborate in un secondo momento con un piano elettrico "scordandolo" in altre parole viene fuori una "non-musica" chiamata drones. La seconda sezione è affidata ad una struttura classica, tematica, con l'eccezione che l'orchestra è simulata elettronicamente. Il disco risulta essere una sintesi della musica estesa del film e non rispetta la successione delle scene. I raccordi fra le scene, il vento ed altri effetti di sounddesign sono stati ottenuti suonando dal vivo i sintetizzatori monofonici e analogici, molto in voga tra gli anni 50e 70 ma ormai in disuso. In alcuni brani sono stati utilizzati dialoghi originali di Francesca Neri. Conclude l'album la canzone inedita "Una storia d'Amore e di Vanità" con riferimenti al mito di Eco e Narciso. La musica è stata interamente prodotta nello standard dolby sorround 5.1. oltre alla versione stereo de "il suono della vanità" uscirà in tiratura limitata con mille copie anche un super audio cd, in vendita sul sito della Mescal. Sito web www.mescal.it Patrizio Longo

Sondre lerche Two way monologue Virgin Joss stone The soul sessions S-Curve Records/Virgin Tortoise It's all around you Thrill Jockey, 2004 Questo mese qualche segnalazione flash per lasciare spazio a tutti i vecchi e nuovi amici di Coolclub.it. Il primo disco che segnalo è Two way monologue di Sondre Lerche, giovanissimo artista norvegese al suo secondo album, che suona con eleganza e romantica allegria un pop d'autore veramente godibilissimo. Le trame su cui si dirama questo nordico menestrello sono quelle del più classico songwriting, aiutato da una produzione asciutta ed efficace e da una naturale propensione all'allegretto andante, il suo disco si muove nell'acoustic in modo abbastanza personale senza grossi scivoloni nel già sentito ma con un fare e uno stile che diventa subito familiare. Forse un po' adolescenziale ma non quanto la mia seconda segnalazione. Ne parlano tutti, è il nuovo fenomeno inglese, e non poteva mancare all'appello dei miei ascolti un po' più commerciali. È Joss Stone, questa diciassettenne promessa del soul che in un disco tutto sommato raffazzonato per lanciare il fenomeno prima che diventasse maggiorenne dimostra una voce non indifferente. Forse un po' troppi gorgheggi di scuola arrenbi piuttosto che r'n'b, ma comunque un disco dignitoso per accompagnare le pulizie di primavera. Terzo disco e si cambia emisfero musicale, giusto per tirarmela un po'. È il nuovo album dei Tortoise che come i Blonderedhead il mese scorso sorprendono, anche per loro un cambio di rotta o forse un'evoluzione naturale. Questo It's all around you poco ha a che vedere con il precedente Standards, forse il definitivo allontanamento dalla classificazione post-rock, un disco quasi astratto, liquido e come tale scorrevole, gradito ritorno dello xilofono a marcare le suggestive melodie a tratti orientaleggianti. In questo clima di calma apparente c'è spazio poi per qualche bizza noise, la chitarra sembra seguire e sviluppare lo stesso tema in ogni brano per un disco che a tratti sembra ricordare i Royksopp. Osvaldo Foto: Alice Pedroletti/FotoWave

Foto Alice Pedroletti

Tre allegri ragazzi morti Il sogno del gorilla bianco La Tempesta (2004) Intorno e al di là della musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti c'è molto, c'è un mondo che è pura fantasia, a partire dalla contraddizione, in italiano si dice ossimoro, contenuto nel loro stesso nome fino alla scelta di avere un immagine non immagine, di essere prima personaggi di un fumetto e poi musicisti. Queste sono tutte cose che in un modo o nell'altro fanno parte e affluiscono nella loro musica. Geniale l'idea nata dalla mente e la matita di Davide Toffolo leader della band nonché affermato fumettista, sicuramente unico per l'Italia l'approccio di questa band dal punto di vista musicale. Il modo di fare punk-rock o rock'n'roll, come piace più a loro, è talmente semplice da diventare originale. Sarà per le liriche di Toffolo che tra slogan ad effetto e un timbro vocale accattivante rendono inconfondibile il marchio TARM, forse per quel citazionismo un po' anni 80, un po' figlio dei Ramones, forse perché alla fine bastano una chitarra, un basso e una batteria. Questo sogno del Gorilla bianco non deluderà i fan della band e non sorprenderà gli altri. È un disco che in un certo modo prosegue sulla strada tracciata dai precedenti con piccole e dovute variazioni. C'è ancora lo zampino di Giorgio Canali impegnato anche alle chitarre, c'è sempre uno sguardo adolescente sul mondo, ci sono le belle trovate di Toffolo, la provincia, un po' di sud america (reminescenze di un viaggio di due dei tre), tredici canzoni e un video. In attesa del loro concerto, dimensione ideale in cui ascoltare questa band, ci accontentiamo canticchiando “signorina primavolta dopo la primavolta la prima non è più”. Osvaldo

TARM Live 15/05/2004 Palazzo Baronale di Novoli ore 22.00 ingresso 5€


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