Coolclub.it n.61 (Febbraio 2010)

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anno VII numero 61 febbraio 2010

UN PO’ PUGLIA



UN PO’ PUGLIA Fermarsi e fare il punto. Va fatto almeno una volta all’anno. Così ci siamo detti nel 2007 pensando all’Adc (Annuario della Cultura) pubblicazione a cura di Coolclub - distribuita in edicola con quiSalento -, che raccontava un anno di musica, libri, cinema, teatro ed eventi nel Salento. Prendersi un po’ di tempo per ragionare è un po’ quello che cerchiamo di fare ogni mese quando scriviamo le pagine di questo giornale. Non perdere mai il senso di quello che ci circonda e di quello che facciamo è quello che dovremmo fare ogni giorno. E poi ci sono le date importanti. Ci sono i cicli, le stagioni dei luoghi e delle persone. Cinque anni fa dedicammo la copertina di Coolclub.it ai Negramaro, di lì a poco sarebbero esplosi come una supernova. Il numero si intitolava Puglia da asporto o da esportazione? Era un numero nel quale, per la prima volta, ci siamo fatti un po’ di domande sulla nostra terra, in cui le abbiamo fatte agli altri e siamo riusciti a trarre poche ma importanti conclusioni. Era l’inizio di un periodo importante per la nostra regione. Abbiamo maturato la convinzione di avere un ruolo importante nell’osservare e conservare la memoria di questa terra e abbiamo cercato di farlo al meglio. In questi anni molte cose sono cambiate, alcune migliorate. E noi, per quanto possibile, le abbiamo raccontate.

Oggi che abbiamo scelto di non pubblicare più l’Adc (dopo due edizioni), oggi che ci si prepara a una nuova stagione per la nostra regione, non potevamo non fermarci, ancora una volta a parlare di Puglia. Un numero di Coolclub.it non sarebbe bastato ed è per questo che abbiamo immaginato un viaggio a puntate, proprio come si usava un tempo. Tre numeri tematici in cui esamineremo lo stato dell’arte alla luce di questo quinquennio. Siamo partiti dalla nostra materia preferita: la musica. Proseguiremo con il cinema (e teatro insieme) per concludere con la letteratura. In queste operazioni la cosa più difficile è l’inizio. È un po’ come quando ci si tuffa. Una volta spiccato il salto siamo stati letteralmente sommersi da un mare di musica. E, come animato da moto centripeto, tutto è venuto a noi e si è offerto. Perché la Puglia è di moda, perché è un po’ dappertutto, perché contrariamente all’idea comune è una regione che va veloce. E sempre contro l’idea comune abbiamo tratteggiato i contorni di una Puglia musicale che si conosce meno: quella che suona il rock. Abbiamo intervistato alcuni protagonisti della scena pugliese, e come ogni mese, e come ormai da sei anni, conservato le nostre consuete rubriche. A tutti buona lettura… e alla prossima puntata. Osvaldo Piliego Editoriale 3



CoolClub.it Via Vecchia Frigole 34 c/o Manifatture Knos 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it sito: www.coolclub.it Anno 7 Numero 61 febbraio 2010 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Cesare Liaci, Antonietta Rosato, Dario Goffredo, Pierpaolo Lala Hanno collaborato a questo numero: Marco Chiffi, Lori Albanese, Tobia D’Onofrio, Camillo Fasulo, Rakelman, Nino G. D’Attis, Dino Amenduni, Rossano Astremo, Stefano Donno In copertina: Il Genio Ringraziamo Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Cooperativa Paz di Lecce e le redazioni di Blackmailmag. com, Radio Popolare Salento, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, quiSalento, Lecceprima, Salento WebTv, Radiodelcapo, Musicaround.net. Progetto grafico erik chilly Impaginazione dario

UN PO’ PUGLIA

Pugliese rock 6 Tarantamuffin 14 Take five 20 In cerca del dub 26

Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione mentre me sta llurdava lu giubbottu cu llu sucu de lu calzone e mo’ sta cercu nu prodottu cu llu llau alla perfezzione. Tocca cu llu llau, tocca cu llu llau Per inserzioni pubblicitarie e abbonamenti: pierpaolo@coolclub.it 3394313397

musica

Brunori SAS 28 Vinegar Socks 30 Recensioni 36 Salto nell’indie - Bagana Records 45 Libri

Giancarlo Susanna 46 Girolamo Grammatico 48 Recensioni 51 Cinema Teatro Arte

Danze di palloni e di coltelli 56 Avatar 58 Luigi Presicce 59 Eventi

Calendario 60 sommario 5


PUGLIESE ROCK

Viaggio sentimentale alla scoperta di una regione a marchio musicale garantito

In foto: Caparezza 6


Un’introduzione

Vivere in un luogo, scegliere di rimanerci, porta, delle volte, a non sentire il tempo che passa. Quando si conosce un paesaggio a memoria e lo si vede ogni giorno difficilmente se ne scorgeranno i cambiamenti. Come chi ci vive accanto sembra non invecchiare. È così che il ricordo rallenta e si vive di un presente lungo, in un’adolescenza che sembra destinata a non finire. E invece esiste, per le persone come per i luoghi, un’età della maturità, un momento in cui un processo di crescita si è compiuto. L’emancipazione della terra può richiedere decenni, è frutto di strane convergenze, è figlia della storia, aiutata dalla politica, spesso ignorata dalla gente, cresciuta all’ombra delle idee “comuni” che abbiamo dei luoghi. Ma esiste una fase in cui si spicca il volo verso l’altrove e si cerca l’affermazione nel mondo, la conquista di un’identità e di un riconoscimento al di fuori delle proprie mura. Un movimento di andata che porta, solo alcune volte, il riflusso, l’ondata di ritorno. Lo strumento che comunica meglio un territorio è da sempre la sua arte. In tempi in cui le culture e le identità culturali assottigliano i confini e le differenze, esaminare la produzione culturale di un luogo diventa un’operazione articolata. La geografia delle produzioni è una ricognizione valida solo in alcuni ambiti e gli elementi di contesto e ambientali sono una parte sempre meno influente per affrontare un’analisi. In questa direzione ha ancora senso parlare di Sud? Guardare a una regione come la Puglia e studiarne le evoluzioni? Forse ha senso parlare di sviluppo, inteso come crescita, come se un luogo fosse una persona. In questa direzione la Puglia che ci interessa raccontare è grande come una generazione, circa 25 anni, l’età che separa in media un padre da un figlio. La terra che vivo oggi è figlia degli anni ’70 e ’80, di esperienze che sono decollate da qui per poi tornare, di gente che è scappata per poi restituire conoscenza a un territorio che per anni sembrava intrappolato in una “controra” senza fine. E adesso è il tempo della raccolta, il contesto adatto per poter tirare le somme guardando il tragitto percorso fino a qui. La comunicazione dell’arte il suo spostarsi verso pubblici nuovi ha subito, come tutti sappiamo, un’accelerazione incredibile. L’artista stesso ha finito per duplicarsi, nell’essere uomo tra gli uomini e avatar tra i profili on line. Internet è una chiave di “svolta” globale che ha investito anche la più piccola provincia.

Questo ha offerto possibilità, ha sicuramente dato visibilità, ha azzerato alcune distanze ma non ha snaturato un senso del fare che mantiene tenacemente, e forse anche inconsapevolmente, una sorta di marchio Doc. I luoghi segnano ancora i propri figli e forse ancora per poco. Non parliamo di folklore e di tradizione, questi sono elementi di conservazione di un’identità. Parliamo invece del nuovo, di ciò che nasce oggi senza guardarsi alle spalle. Le puoi vedere ovunque queste germinazioni fino a pochi anni fa strane, oggi tratti distintivi del profilo culturale pugliese. Ci sono voluti anni, successi, lunghe gavette, ma da qualche anno a questa parte la cultura alternativa affianca e si sovrappone a quella istituzionale. Se fino a poco tempo fa l’immagine della Puglia era congelata in un quadretto d’altri tempi, oggi le sue frequenze sono sintonizzate con il mondo e le sue avanguardie. C’è da chiedersi il perché, o più semplicemente perché adesso. In parte, come abbiamo già detto, è frutto di un’evoluzione naturale. Per altri versi è frutto di condizioni ambientali che hanno posto questa regione alla ribalta nazionale. Il caso Puglia nasce dalla bellezza, bisogna dirlo. Le dinamiche di marketing territoriale, di politiche culturali avvedute, poco potrebbero se alla base non ci fosse la sostanza di un territorio ricco. E la dimenticanza, l’isolamento che per tanti anni questa parte di sud ha subito altro non ha fatto che proteggerla, regalarle il tempo e il modo di crescere bene. Se oggi qualcuno mi chiedesse che colore ha la mia terra mi basterebbe chiudere un attimo gli occhi per dirlo, se me ne chiedesse l’odore ci vorrebbe il tempo di un assaggio. Ma se qualcuno mi chiedesse che suono ha la mia terra non basterebbero le pagine che mi restano per descriverlo.

E un po’ di rock and roll

Sembra un minuto e invece sono cinque anni. Risale al 2005 la nostra ultima indagine sulla cultura in Puglia, coincisa, chissà come mai, a un grande cambiamento di prospettiva politica per la nostra regione. Anni bellissimi per me, quelli importanti, per i motivi che ti fanno pensare all’amore. E di amore parlerò, di uno di quelli che ancora mi danno il sorriso e che mi fanno pensare che tutto ha senso. Parlo, qui, del rock, della musica che mi riempie orecchie e giorni. Voglio parlare del rock che mi vive e cresce accanto, non di fughe dall’altra parUN PO’ PUGLIA 7


te del mondo a immaginare paesaggi che forse to per gli amanti di alcuni suoni) ed ha innumemai vedrò, ma dei miei amici, degli affetti, del revoli collaborazioni e pubblicazioni sparse per il mio senso di appartenenza e orgoglio. mondo. Il suo ultimo Drawn in basic è tra i dischi Da anni ormai, e non credo me ne stancherò, c’è più belli in assoluto del 2008. La versione live del musica che mi attraversa ogni giorno e lascia progetto Girl With the Gun vede insieme a Matraccia. Poi ti accorgi che un po’ ovunque c’è trac- tilde, Daniele De Matteis leader dei Thousand cia di essa e capisci che quello che “senti” è in Millions, band power pop che è approdata con qualche modo condiviil suo Here and back In foto: Superpartner (ph. G. Rosato) so, patrimonio di molagain alla genovese ti, o non pochi. Senti Winona records. Tra la che il personale sentimusica che parte dal re è all’improvviso coSalento per arrivare mune sentire e capisci lontano va sicuramenche qualcosa, da qui, te menzionato il pop funziona. orchestrale e dal sapore vintage di Giorgio Cercherò di essere Tuma arrivato al suo oggettivo, ma i sentiterzo album e al sementi e la vita sarancondo per la spagnola no la guida a questo Elefant. Sempre muomio piccolo sguardo vendoci nell’ambito sulla puglia rock che pop un’altra piccola ha segnato, in modi diversi, questi cinque anni. ma gustosa rivelazione sono i Superpartner Alcune cose non cambiamo. Altre sono sorprese. che, scoperti da Federico Fiumani (Diaframma), Altre ancora sono speranze. hanno pubblicato il loro sognante Love Hotel con Non si può parlare di Puglia e Salento senza Pippola Music. Ma la Puglia è da sempre patria parlare dei Negramaro, protagonisti della no- del rock, di quello estremo, con una scena semstra copertina di cinque anni fa. Sono il gruppo pre attiva e non solo in ambito locale. I Muffx, italiano per eccellenza, orgogliosi e orgoglio del autori di un granitico stoner rock, sono prodotti Salento. Amici tra di loro e di chi, come noi, è cree distribuiti in Italia e all’estero dall’etichetta sciuto nelle cantine tra l’acre odore di umidità e simbolo del genere, la Go down records e hanno le distorsioni che accarezzano le curve delle volrealizzato un video clip con il regista Edoardo te a stella. Ormai, nell’olimpo della musica pop, Winspeare. La scena brulica di gruppi esplosivi fanno numeri che mai una band ha registrato in e autoprodotti che macinano chilometri e date in Italia. Giuliano, voce e spirito guida della band, Italia e non solo. Cito solo gli inossidabili Shank ha ingaggiato un divertente gioco di video mes- e i potentissimi Cast thy eyes. saggi con quella che forse è la vera rivelazione Musicista sorprendente, assurdo quanto esidi questi ultimi anni: Il Genio. Il duo, composto larante è sicuramente Marcello Zappatore. da Gianluca De Rubertis e Alessandra Contini, è Quest’anno ha pubblicato per Note volanti il suo stato il caso mediatico di questo ultimo anno; ha La ciliegina sulla porta e presto uscirà nelle sale preso in giro il paese, il mercato, e anche chi ha un film a lui dedicato: Viva Zappatore. cercato di intervistarli. Non ci si può prendere La carica salentina degli Après la classe inseriamente se la gente ti conosce solo per una fiamma l’Italia da più di dieci anni. È del 2006 il canzone che recita Pop porno, ma provate a scoloro ultimo album Luna Park pubblicato da On vare tutti i rimandi e le citazioni colte del disco e the Road, una miscela di lingue e generi musicali scoprirete che dietro c’è ben altro. Ci sono musi- (reggae, rock, ska, pop). cisti e autori che fanno parte di una scena “famiSpostandoci verso il nord salento fino a Brindisi liare” che sembra fare capo a un luogo, lo studio e dintorni troviamo una terra dalla grande storia di registrazione Sud Est di Campi salentina. È lì musicale, luoghi e persone che sembravano doche sono nati dischi come il bellissimo esordio di ver cambiare le sorti della musica italiana, città Girl with gun, progetto che vede insieme Mache per alcuni sembrava il centro rock della Putilde De Rubertis (sorella di Gianluca e con lui glia. Sono almeno due gli artisti da citare, molto negli Studiodavoli) e Andrea Mangia (aka Podiversi tra di loro e per questo esemplificativi pulous), esempio calzante della Puglia da espordell’ecletticità del panorama musicale. Creme, tazione. Ne abbiamo parlato spesso sulle nostre al secolo Maurizio Vierucci, è un cantautore dal pagine, incide per la tedesca Morr (etichetta cultalento cristallino. Il suo album Sulla collina 8

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puoi seppellire ciò che non ami, pubblicato da Faier, vede come ospite anche Cristina Donà. Altra “colonna” della musica brindisina è sicuramente Amerigo Verardi che in coppia con Marco Ancona ha partecipato alla compilation Il Paese è reale voluta da Manuel Agnelli (Afterhours) per rappresentare il meglio della musica indipendente italiana. Restando nell’ambito dei cantautori torniamo per un attimo a Lecce, città natale di Alessio Lega. Dopo aver vinto il premio Tenco nel 2004 Alessio ha inciso in questi ultimi anni Sotto il pavé la spiaggia (2006), Zollette (2007), l’Ep E ti chiamaron matta (2008) e il libro cd Canta che non ti passa (2008). Un’altra giovane realtà brindisina da citare è la band dNa71, protagonista della sigla di una trasmissione in onda sulla Rai e ospite di Scalo76 su Rai2. Da Taranto arrivano invece i Leitmotiv. Il loro L’audace bianco sporca il resto uscito per La Fabbrica è un disco che unisce tradizione e art rock. In parte tarantini, in parte baresi sono i componenti della band CFF e il nomade venerabile. È del 2009 il loro album Lucidinervi (Otium records) a cui collaborano tra gli altri Paolo Benvegnù e Umberto Palazzo. E arriviamo a Bari, un città difficile da raccontare, forse la provincia pugliese più vicina, per alcuni versi, al mercato della musica nazionale, città pugliese storicamente più collegata al resto d’Italia. Oggi Bari conserva la sua vivacità confermando alcuni artisti da anni affermatisi a livello nazionale. Michele Salvemini, da tutti conosciuto come Caparezza, viene da Molfetta ed è forse il migliore esempio di musica pugliese che arriva al successo. Il suo crossover rap fa i grandi numeri rimanendo coerente a una certa indipendenza di temi e pensiero. La sua Vieni a ballare in Puglia tratta dall’album Le dimensioni del mio caos è stata la colonna sonora dell’estate 2008. Di altro genere musicale, artisti affermati nel panorama della musica d’autore nazionale, sono sicuramente i Radiodervish. Esce nel 2009 il settimo album della loro lunga carriera: Beyond the sea (Princigalli produzioni/ il Manifesto), mentre è nel 2007 L’immagine di te (Radio Fandango). Ci sono poi progetti musicali che partendo dall’indie e dal rock sono arrivati alle major discografiche. È il caso dei Modaxi, che dopo aver pubblicato un singolo nel 2007 con Emi, pubblicano per l’etichetta Tomobiki il loro album d’esordio Con le mani nel sacco. La fame di Camilla è stata invece la band indie pop rivelazione del Mei di Faenza del 2009. Parteciperanno a Sanremo quest’anno e hanno firmato un contratto disco-

RIFLESSIONI DI UN GIOVANE ORECCHIO In foto: Muffx

Qualche tempo fa avevo in mente di scrivere un reportage sulla ‘scena’ musicale salentina, sempre ammesso che esistesse. Ho cominciato a intervistare qualche band, qualche artista, a conoscere e parlare con persone interessantissime o terribili. Peccato sia rimasto un lavoro incompiuto, uno dei buoni propositi del 2009 che non ho rispettato. Tuttavia qualcosa di cui parlare c’è. Un rumore di sottofondo, groundnoise direbbe un mio caro amico, che si muove silenzioso per le stradine dei piccoli paesini del tacco. Ho comprato la mia prima batteria nel 2003, avevo 17 anni e vivevo (ci vivo tuttora) in un posto con trentamila abitanti ed un solo negozio di dischi. In quegli anni cominciammo a fare musica con qualche amico in un grande deposito di autobus ma la cosa più strana era che non avevamo né fratelli o amici che suonassero qualcosa. Eravamo totalmente autodidatti. Troppo piccoli per conoscere un certo giro musicale, che pure esisteva, e troppo grandi per farci influenzare da qualcuno. Quando poi negli ultimi anni ci sono entrato in quel certo giro ho capito tante cose. Non si trattava di un 9



In foto: Fitness Forever

grafico con Universal. Divisa tra Bari e Bologna è invece la band Jolaurlo che oltre ad essersi esibita su palchi importanti pubblica i suoi dischi per l’indipendente Tuberecords. Autori dell’irresistibile Anarchica Pugliese sono invece i Fitness Forever che incidono per la spagnola Elefant, come il cugino salentino Giorgio Tuma. Un’altra realtà interessante è sicuramente quella dei Vegetable G di Giorgio Spada fondatore dell’Olivia records, etichetta che produce tra gli altri il cantautore Paolo Zanardi. Autori di un pop elettronico e prodotti dalla milanese Godz sono poi i Fabrika. Se da qui cominciamo a travalicare i confini del rock, definizione usata per mettere un po’ insieme tutto quello che non è musica tradizionale e reggae, il nostro viaggio potrebbe ricominciare più e più volte. Un grande capitolo di questo nuovo racconto sarebbe occupato sicuramente dalla musica elettronica. Oltre al già citato Populous e agli Insintesi (trovate l’intervista in questo numero) non si può non parlare di un fenomeno come Congorock. Rocco Rampino incide per la newyorkese Fool’s good e fa girare i suoi dischi in tutto il mondo. Tantissimi sono gli artisti e producer di elettronica di fama nazionale e internazionale, tanti che servirebbe un altro numero del giornale, e probabilmente lo faremo. Ci limitiamo qui a citare alcuni dei nomi più interessanti degli ultimi anni: Pleo, Guido Nemola, Santorini, Dp, Promenade, Daniele De Rossi (Science force), Elastic society, Larssen, legNo, Luca Ferrari, Luciano Esse, Altered Beats, Scientist e Cinyc, Minimono. In questo neanche breve excursus mancheranno certamente molti nomi e i motivi sono diversi. Nel mio cercare e scegliere mi sono riferito in primo luogo al mio gusto personale, ho cercato poi un contraltare oggettivo e ho scelto il “fare”. Ogni artista doveva aver fatto qualcosa degna di nota negli ultimi cinque anni e doveva, in qualche modo, essere stato prodotto, selezionato da altri prima di me. La cosa più bella è proprio nell’imperfezione di questa indagine, nella mancanza. Perché significa che c’è talmente tanto che è impossibile citare tutto e perché tra chi ancora sta crescendo ci sono storie che un giorno avremo il piacere di raccontare. Osvaldo Piliego

testimone che si passava di generazione in generazione ma di un desiderio viscerale di fare musica. Tutti partiti dalle cantine, e qui da noi a volte erano ‘vere’ cantine, fino a qualche palco di piazza per il primo maggio o qualche festa di compleanno. A metà anni ’90 mio fratello e alcuni suoi amici organizzarono una grande festa a tema in un locale privato con qualche band e tanta musica (suonata bene o male poco importava). Dieci anni dopo io e i miei amici ci ritrovavamo nella stessa identica situazione: ci autofinanziammo il nostro primo concerto in un localino sistemato ad hoc per l’occasione da noi stessi. È vero però che tanto è cambiato nel frattempo, e soprattutto sul finire del decennio appena passato. Non parlo di internet e dei nuovi canali di diffusione e condivisione di musica che sono cresciuti negli ultimi anni, parlo invece di una dinamica che irrimediabilmente modifica le situazioni. Nella mia città ad esempio sono nati negli ultimi anni locali o associazio-ni che sono diventati luoghi di aggregazione. Si organizzano concerti, suonano gruppi di ragazzini e band avviate da tempo. Credo che le possibilità siano rimaste le stesse in fondo, anche se si presentano in modi diversi da cinque o dieci anni fa. Diciamo che qui nel tacco continuano a mancare le vetrine ai bordi delle strade ma le strade stesse sono piene di gente. C’è una varietà impressionante di progetti in corso di generi diversissimi. Non ho mai capito cosa serva a creare una ‘scena musicale’. Forse i contatti tra chi suona che portano a confronti e ad influenze? Bene, se è questo qui da noi allora una scena esiste. Le band sono legate tra loro non per il genere che fanno o per i luoghi che frequentano, o almeno non solo. Qui abbiamo un’attitudine da sud del mondo che si esprime nei legami familiari tra le band. Ci sono tre o quattro band che conosco bene che sono legate da rapporti familiari o da rapporti affettivi, tra di loro sono fratelli, sorelle, fidanzati e fidanzate, ex fidanzati o ex fidanzate. Forse è questa la particolarità del suonare in un posto che non è una metropoli. Hai qualcosa in meno a livello di quantità ma la vicinanza delle persone è innegabile. Il reportage non credo che alla fine lo scriverò mai, però continuerò a parlare con la gente e ad ascoltare tutto, dalla musica alle parole. Oppure scriverò una guida della serie ‘Dalla pizzica al post-rock in quattro semplici passaggi’. Marco Chiffi 11


LA MUSICA È UNA COSA SERIA Intervista a Marco Ancona e Amerigo Verardi, paladini dell’indie pugliese

È strano vedere come l’incastro di questi due artisti non sia solo un’alchimia musicale pressoché perfetta ma anche un incontro tra due modi di sentire e vedere le cose quasi complementare. Amerigo Verardi, non ci stancheremo mai di dirlo, è uno dei musicisti italiani più influenti degli ultimi vent’anni. Marco Ancona, prima di chiunque altro ha portato il rock made in Salento (con i suoi Bludinvidia) alla ribalta nazionale ed è tra i migliori chitarristi in circolazione. Abbiamo parlato con loro della musica pugliese e del nuovo progetto scelto anche da Manuel Agnelli per Il paese è reale, raccolta delle migliori produzioni indipendenti made in Italy, Da qualche anno la puglia è sotto i riflettori, molti artisti si sono affermati a livello nazionale. Secondo voi questa terra è cambiata? Com’è l’offerta musicale di oggi rispetto al passato? Amerigo: Penso che il livello qualitativo della proposta musicale sia cresciuto. Al di là dell’interesse che intorno alla Puglia sicuramente da un po’ di tempo c’è, avverto comunque una tendenza interna UN PO’ PUGLIA

a fare del proprio meglio. E questo mi sembra un buon momento per fare del proprio meglio. Marco: In realtà, secondo me, la scena musicale non è cresciuta. Da sempre, almeno da quando suono, ci sono musicisti di grande talento, magari per molto tempo hanno prodotto musica più in sordina. Oggi la Puglia è semplicemente più di moda ma il buon rock’n’roll c’è sempre stato. Mi riferisco a una crescita anche in altri ambiti, vedi il cinema, la letteratura… Amerigo: Mah, in questo senso la Apulia Film Commission credo stia alimentando una voglia generale di fare cinema nella nostra regione e di farlo anche con un linguaggio più personale e più forte. Sarebbe interessante avere un’organizzazione analoga anche in ambito musicale… Naturalmente è bello starsene qui a parlare di progetti che crescono o che hanno una possibilità di sviluppo. E contemporaneamente vediamo un sacco di persone che avevano un posto di lavoro, e ora non lo hanno più. Il rock tra i generi musicali è quello meno


toccato dalle politiche culturali. Secondo voi perché? Amerigo: ma è logico, e forse anche giusto, che sia così. Il rock è musica che nasce da radici socioculturali di natura deviante, almeno nelle sue forme più genuine ed ispirate. Perché nasce da un disagio. È la musica della gente che mal si adatta alle regole, la musica ribelle per eccellenza, e così sarà sempre, mi auguro. Però può anche darsi che semplicemente le “politiche culturali” a cui accennavi considerino i ragazzi con una chitarra elettrica in collo solo un branco di inutili e fastidiosi perditempo. Marco: Si, il rock è semplicemente scomodo per concetto da quando è nato. Se una canzone risulta “innocua” incontrando i gusti di un pubblico medio mainstream da Canale 5 - Italia 1 significa che non è rock anche se ha le chitarre distorte. E questo è un affare molto politico. Tra le produzioni pugliesi di questi ultimi cinque anni cosa vi è piaciuto? Amerigo: A me piace sentire la gente che ha idee e grande volontà di esprimersi. Direi che tra gli artisti più interessanti che ho ascoltato in questi ultimi tempi c’è sicuramente Creme (al secolo Maurizio Vierucci, ndr.). Poi mi piace molto il lavoro che sta portando avanti Alessandro Tommaselli (ex leader dei Senza Rancore Fran, ndr.), apprezzo molto quello che scrive. E i Leitmotiv, un gruppo che ho anche prodotto artisticamente, che rappresentano aspetti della nostra mediterraneità in modo del tutto originale e intrigante. Marco: Devo dire che purtroppo non ho avuto modo di ascoltare niente veramente di qualità, che mi abbia colpito particolarmente. Ovviamente mi riferisco alle nuove leve, non agli sviluppi artistici di gente della mia generazione. Mi dispiace comunque avere poco tempo a disposizione per ascoltare molti dischi nuovi. E invece cosa ne pensate di casi musicali come i Negramaro, il Genio o i Sud Sound System? Marco: Li vedo bene. Credo che, come per tutti gli artisti, il riflesso mediatico che ha la gente di loro esprima solo una piccolissima parte della ricchezza artistica intrinseca che posseggono. Conosco le persone che mi hai nominato e lo dico con cognizione di causa. Ad esempio: se la gente adora Gianluca per Pop Porno e non sa che sul piano fa i numeri, che dobbiamo farci? La musica è la forma d’arte più popolare tra tutte, di conseguenza non si può pretendere che 20.000 acquirenti di Pop Porno ne capiscano di pianoforte o sappiano cosa Gianluca suoni in altri suoi progetti meno famosi. Se piacciono alla gente, bene così. E se non piacciono, fa niente. Tu Amerigo, dopo aver fatto esperienze fuo-

ri sei tornato nella tua terra, come l’hai trovata? Amerigo: Tornando, avevo il desiderio, anzi la preoccupazione di trovare alcune condizioni per lavorare con la musica, condizioni che ti può dare solo l’essere più vicino ai centri nevralgici. In questo le nuove tecnologie aiutano molto. Accorciano le distanze. Certo qui al sud bisogna sbattersi di più, e prima ancora metabolizzare tempi e modi diversi di fare le cose. Ma penso che ci si possa riuscire, e con piacere. Passiamo a voi, al vostro progetto: due esperienze diverse che a un certo punto si incontrano. Com’è successo? Marco: In realtà ci siamo già trovati in passato a lavorare insieme, tra il 2003 ed il 2004. Amerigo mi chiamò nei suoi Lotus per prendere parte come chitarrista al tour promozionale dell’album Nessuno è Innocente. Poi, nel novembre 2008, mentre ero in studio alle prese con una nuova produzione, mi arrivò una proposta per un’esibizione da solista. La presi in considerazione e mi venne in mente di chiamare Amerigo per chiedergli se gli andava di fare questo concerto insieme, divertendoci ad alternare brani miei e suoi. L’idea gli piacque e ci accordammo per un paio di prove che ci presero tanto bene da farci pensare di mettere su anche del materiale inedito. Le prove diventarono una quindicina, i concerti da due a una sessantina. In più venne fuori l’idea di portare questo progetto anche in studio di registrazione quando, per puro caso, proprio in quei giorni, arrivò una chiamata di Manuel Agnelli per richiederci un brano per l’album Il Paese è Reale. È uscito da poco il vostro Oliando la macchina live 2009, un bootleg che contiene la vostra intensa attività live dell’ultimo anno. State lavorando a un disco di inediti, che disco sarà? Marco: Ogni volta che mi metto su un nuovo lavoro mi devo sentire al passo con i tempi o per lo meno con me stesso, come evoluzione del mio percorso. Ad esempio il fatto che sia un disco a due voci leader, che si stia utilizzando esclusivamente batteria elettronica e solo chitarre acustiche sono elementi nuovi rispetto ai miei precedenti lavori. Com’è lavorare insieme? Amerigo: Marco, oltre che un musicista vero, è un grande lavoratore. Non è una cosa da tutti. E dietro un importante obbiettivo raggiunto o da raggiungere in campo artistico, c’è sempre anche un grande lavoro. Marco: La musica è una cosa seria, o dentro o fuori. Per questo lavoro solo con i professionisti. Solo uno che vive nella musica può capire cosa sto provando in un tal momento. Osvaldo Piliego UN PO’ PUGLIA 13


TARANTAMUFFIN Pizzica e reggae, tamburelli e ritmi in levare sono la colonna sonora di una terra Se parliamo di musica in Puglia e nel Salento un posto d’onore deve essere riservato a reggae e musica popolare, due generi distanti e distinti, ma uniti da molti punti di contatto, grazie ai quali la musica si è legata indissolubilmente al turismo e al marketing territoriale. Negli ultimi venti anni (o giù di lì) il reggae, prima, e la musica popolare, subito dopo, hanno contribuito notevolmente alla conoscenza e alla riscoperta di un territorio, parlo soprattutto del Salento, fino ad allora emarginato e poco “battuto” dai turisti. Mentre le coste pugliesi erano prese d’assalto dai profughi albanesi e jugoslavi, nascevano e si consolidavano man mano due fenomeni, musicali e culturali: quello del reggae, capeggiato dai Sud Sound System e foraggiato dai pugliesi sparsi in giro per l’Italia, e quello della riscoperta delle tradizioni popolari guidato da un manipolo di giovani “pizzicati” e di ricercatori ed osteggiato da una certa fetta di politica. Entrambi i “movimenti” erano caratterizzati dalla riscoperta e dall’uso massiccio del dialetto salentino. 14 UN PO’ PUGLIA

La consacrazione della Taranta

Negli ultimi cinque anni questi due fenomeni si sono consolidati e sono ulteriormente cresciuti, facendo un salto di qualità. Un ruolo fondamentale è stato svolto dalla Notte della Taranta, che si è affermato come uno degli eventi dedicati alla musica popolare più importanti in Italia e non solo. L’idea, nata nel 1998 da alcuni studiosi e da giovani amministratori, primo su tutti Sergio Blasi, è cresciuta anno per anno fino a superare le 130 mila persone. Dopo un’entusiasmante edizione guidata da Stewart Copeland e Vittorio Cosma, dal 2004 ad oggi si sono succeduti due maestri concertatori: Ambrogio Sparagna e Mauro Pagani. Un triennio a testa per questi due musicisti molto diversi per stile, genere, personalità. I musicisti e le voci locali – di molti parleremo dopo – sono stati affiancati nelle ultime sei edizioni da nomi altisonanti della musica italiana e internazionale tra i quali Francesco De Gregori, Lucio Dalla, Carmen Consoli, Buena Vista Social Club, Morgan, Badarà Seck, Orchestra di Piazza Vittorio, Vinicio Capossela, Rokia


Traorè, Richard Galliano, Angelique Kidjo, Eugenio Finardi, Simone Cristicchi, Z-Star. Ma il concertone è stato anche la consacrazione per numerosi musicisti pugliesi saliti su quel palco per onorare, ognuno a suo modo, le nostre radici. Così nel 2008 è stata pensata una vera e propria sezione pugliese con Sud Sound System (già presenti nel 2005), Caparezza, Radiodervish (già sul palco nel 2003) e Après La Classe. Il leader dei Negramaro Giuliano Sangiorgi si è esibito al fianco del maestro Pagani nel 2007, mentre nell’ultima edizione, pur con qualche polemica, sul palco è salita Alessandra Amoroso, vincitrice del talent show Amici.

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“Da più di mezzo secolo il Salento è una delle “patrie culturali” dell’antropologia italiana dopo la celebre inchiesta demartiniana sul tarantismo i cui risultati confluirono nella Terra del rimorso, apparsa nel 1961. Questo importante patrimonio culturale caratterizzato dalla presenza di un peculiare repertorio coreutico/musicale legato al rituale (la pizzica tarantata, filiazione locale della più ampia famiglia della tarantella) è oggetto da più di quindici anni di iniziative di recupero, reinvenzione e valorizzazione”, sottolinea Sergio Torsello, giornalista e studioso, direttore artistico della Notte della Taranta. “Un fenomeno complesso che ha avuto il merito di accendere i riflettori sul Salento favorendone la scoperta da parte di un variegato pubblico di operatori culturali e addetti del settore, con un notevole incremento dei flussi turistici. La Notte della Taranta costituisce l’apice di questo fenomeno, un evento studiato in università italiane ed europee come uno degli esempi più significativi di intervento pubblico nel campo della valorizzazione dei patrimoni tradizionali. E oggi il turismo legato all’attrazione esercitata dal revival della pizzica è senza dubbio una delle voci più importanti dell’economia salentina. Ma ciò che è emerso in questi anni di dibattito anche acceso tra gli operatori locali è la vistosa difficoltà ad avviare una politica istituzionale complessiva di valorizzazione del patrimonio etnografico locale. Il recupero a scopo turistico delle culture popolari è infatti uno degli aspetti più controversi dei fenomeni di revival se non è collegato con una più ampia strategia di sviluppo e valorizzazione dei territori interessati”, precisa Torsello. “Alle istituzioni locali spetta ora un ruolo decisivo di connessione, di facilitazione, di sostegno e incentivo non solo alle eccellenze emerse in questi anni ma anche alla pluralità delle realtà presenti sul territorio. Da tempo, un composito movimento giovanile sorto in modo spontaneo negli anni ’90, attende politiche istituzionali di sostegno nel

campo della ricerca, della documentazione, della formazione, delle produzioni musicali e dell’infrastrutturazione culturale. Solo così, forse, la fertile primavera salentina (nella quale tanta parte ha avuto la riscoperta del patrimonio etnomusicale) non si risolverà in un’altra, bruciante, occasione mancata”. Un pensiero condiviso anche da Giancarlo Nostrini, giornalista milanese che da anni conduce la trasmissione La sacca del diavolo su Radio Popolare, dedicata alla musica etnica. “A questo punto diventa fondamentale il lavoro di catalogazione e raccolta di tutti i materiali originali. Sarebbe meglio che le istituzioni realizzassero un ufficio di cultura popolare che diventi catalizzatore di produzioni editoriali e musicali, e che si realizzi un archivio veramente fruibile”. Un Archivio sonoro pugliese è già nato, circa un anno fa (archiviosonoro.org/puglia), presso la Biblioteca Nazionale di Bari ed è coordinato da Domenico Ferraro e Vincenzo Santoro, già animatore del sito Pizzicata.it e autore del recente volume Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina (Squilibri) che racconta la nascita e la crescita di questo eclettico movimento. “Credo che il meccanismo effettivo di questa deflagrazione sia partito dalla danza e solo successivamente si sia esteso alle tecniche strumentali e alla musica”, prosegue Nostrini. “A Milano uno stage di danze francesi, bretoni, emiliane ha sicuramente meno iscritti e desta meno interesse rispetto ad un analogo corso di pizzica. Lo stesso discorso vale per i concerti: la pizzica propone elementi di nuova aggregazione, soprattutto giovanile, simili a quelli che spingono ad andare in discoteca”. In effetti la pizzica e la musica popolare hanno un grande appeal nella dimensione live ma poche “presenze” radiofoniche. “Secondo me in Puglia ci sono musicisti molto bravi che partendo dalla musica popolare, hanno una capacità di proposta tale da raggiungere livelli esecutivi o compositivi molto innovativi. Nel Salento i punti di riferimento più interessanti mi sembrano Kurumuny - e prima ancora Aramirè - per l’ambito di ricerca e studio, e l’etichetta Anima Mundi, dal punto di vista musicale. Oggi il panorama è estremamente ricco, oltre al consolidamento del movimento revivalistico, che ha luci e ombre, ci sono molti musicisti bravi che superano la tradizione. In Puglia il mondo musicale è molto vario e quindi può soddisfare il panorama e appagare i vari gusti”.

Una nuova scuola pugliese?

La scena musicale è fiorente e molto attiva ma rischia di esaurire la sua forza propulsiva se non sorretta da una ricerca forte e autorevole. Dal UN PO’ PUGLIA 15


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punto di vista musicale è difficile, se non impossibile, fare un censimento dei gruppi attivi in tutta la Puglia (solo nel Salento sono un centinaio) che si muovono lungo almeno tre direzioni. Mi scuso sin da ora per omissioni e intrusioni. La prima è quella che potremmo definire “tradizionale” con gruppi che propongono pizziche, stornelli, canti d’amore e di lavoro senza grande sforzo di riproposizione (e molti a dire il vero senza un grande lavoro di ricerca alle spalle). Su tutti in questa prima categoria bisogna citare i vecchi cantori come Uccio Aloisi, i Cantori di Carpino, i Cantori di Villa Castelli, Menamenamò, tutti molto attivi in questi anni. L’ostunese Tonino Zurlo nel 2007 ha pubblicato Nuzzole e pparolu (Anima Mundi). Da segnalare anche le esperienze di Arakne Mediterranea, Ghetonia (Terra e sale, 2005 e Riza - Live, 2008), Tamburellisti di Torrepaduli. Il secondo filone è quello della “contaminazione” nel quale rientrano: i Mascarimirì di Claudio Cavallo Giagnotti che negli ultimi anni hanno prodotto molti lavori discografici; il trombettista Cesare Dell’Anna che, con i suoi progetti Tarantavirus e Girodibanda, ha messo al servizio della musica tradizionale tutto il suo estro; l’organettista Claudio Prima che con Adria e Bandatriatica ha realizzato un incontro di culture e provenienze sotto il segno del Mar Adriatico. Longeva e consolidata l’attività di Alessandro Coppola e dei suoi Nidi D’Arac che, tra i primi, hanno messo insieme musica tradizionale ed elettronica. In quest’ambito di commistione segnaliamo anche il lavoro dei Kamafei (già Kumenei), dei Transalento, dei Crifiu (anche se il gruppo ha virato verso sonorità più rock), della Municipale Balcanica. La terza direzione coinvolge molti giovani ricercatori che in qualche modo sono vicini alla figura dei “colleghi” degli anni ’70 anche se con un approccio “politicamente” meno disinvolto che in

passato. Tra i nomi da segnalare Anna Cinzia Villani (che ha pubblicato Ninnamorella), Enza Pagliara (Frunte de luna), Massimiliano Morabito (Sende na rionette sunà), Dario Muci (con Mandatari e Salentorkestra), Malicanti (Tarantelle e canti tradizionali delle Puglie). E poi ci sono grandi musicisti e grandi interpreti come il violinista, tamburellista e percussionista Mauro Durante, che ha preso in mano le redini del Canzoniere Grecanico Salentino ed è ora impegnato in tour con Ludovico Einaudi; Alessia Tondo, che lanciata a 14 anni sul palco della Notte della Taranta è divenPh: C. E. Bevilacqua tata una delle voci più richieste; Antonio Castrignanò, che nel 2006 ha firmato la colonna sonora di Nuovomondo di Emanuele Crialese; la cantante Maria Mazzotta, il tamburellista Riccardo Laganà, l’eclettico Mimmo Epifani, che tramanda la tradizione della mandola di San Vito dei Normanni; Raffaella Aprile, che recentemente ha pubblicato il cd Papagna e ha firmato con Antongiulio Galeandro la sonorizzazione del documentario Radio Egnatia dei Flud Video Crew, Ninfa Giannuzzi, che nel 2007 ha pubblicato Tis Klèi. Come esempio di interessanti “rivisitazioni d’autore” segnaliamo anche il lavoro di Umberto Sangiovanni & Daunia Orchestra, Faraualla, Radicanto e Rosapaeda.

Pizzicati dal reggae

“Tutto è iniziato molti anni fa. Una storia che ormai ha assunto, nel corso del tempo, i colori acidi e visionari della leggenda lisergica. Lo scenario è ormai entrato nell’immaginario delle “subculture” italiane. I campi di tabacchi, le distese verdi, le masserie diroccate, due casse, un generatore e un mixer, qualche microfono per mettere in scena le prime dancehall del Sud Sound System, dialetto salentino e una “Giamaica interiore”; tradizione e modernità, il culto quasi ossessivo, maniacale, delle radici proiettate tra i suoni futuri della pista da ballo. La Notte della Taranta è nata qui, tra le casse devastate dai bassi profondi, tra i Technics traballanti e le rime di Gigi UN PO’ PUGLIA 17


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D., che cantava dello “spirito della Taranta” che lo possedeva”, scrive nel 2004 sul Manifesto il giornalista Pierfrancesco Pacoda. Considerati dei neo tarantati da Georges Lapassade (studioso scomparso nel 2008), i Sud Sound System sono diventati i portabandiera del Salento e sono una palestra di nuove generazioni di talenti. Nel 2007 è uscita la terza versione del loro Salento Show Case che racchiude alcune delle più talentuose voci della nuova scena pugliese. Come ogni storia che si rispetti anche quella dei Sud è stata costellata da una serie di cambi di formazione. L’uscita più recente ed eclatante è stata quella di Antonio Treble Petrachi detto Lu professore, che nel corso degli anni aveva scritto molti dei brani dei Sud. Treble non solo ha avviato una sua carriera solista ma ha anche dato il via ad un suo Studio (in collaborazione con Elianto) che, come per Salento Show Case, ospita nuovi giovani talenti, e ha pubblicato Più Amore (2007) e Il ritmo del Drago (2009). Da segnalare anche il lavoro di Dj War, che come WarSound e in coproduzione con Segnale Digitale, ha già pubblicato tre compilation.

Oltre la vecchia guardia

Ovviamente il movimento non passa solo da queste “collettive” ma da produzioni che si sono affermate anche in giro per l’Italia. È il caso dei brindisini Boom Da Bash considerati come uno dei migliori gruppi reggae italiani, che nel 2008 hanno pubblicato Uno. Sempre a Brindisi sono attivi Mauro Petri, che ha spiccato il Volo per la 11/8 records, e Mama roots, che nel 2008 sono usciti con Città di uomini. Dal sud Salento arrivano invece gli Steela che hanno esordito nel 2006 con l’album I Livello, prodotto dal leader degli Africa Unite Madaski, per l’etichetta Casasonica. La band ha anche accompagnato in un lungo tour Raiz, ex leader degli Almamegretta. Da Taranto, dove è attivo un movimento più legato all’aspetto sociale e politi-

co, arrivano invece Fido Guido, considerato il neomelodico del reggae, e DonCiccioman. Nel barese segnaliamo Rosapaeda Soundsystem (della quale abbiamo già parlato qualche rigo più su) e Suoni Mudù guidati da Nico Caldarulo. Nel foggiano spazio a Miki Soulijahr, che faceva parte della Dreed Inna Babylon. I nomi da fare sarebbero tantissimi, proviamo a citare: Mulinu, Sandrino e Strunizzu, Afro Bamba, Lu In foto: Steela Dottore, Kaya Killa, Hot Fire, RankinLele, PapaLeu, Marina, Italo, Terequeia, Ghetto Eden, Ghetto Child, RoozBand, Dani Silk, Big Matata, Lu Marra, Red Hot House, Lu Rudy, Heart On Fire, Ena Ghema, Pantu, Plata Smoka, Zona 45 e i sound system Black Star Line, Angel Dub Sound System, I Militant. Sempre attivi, anche se con attitudini e sfumature notevolmente diverse, Dj War (di cui abbiamo già parlato prima) e Gopher Wastasi che, lasciati i Sud nel 1998, ha prodotto alcuni cd e molte compilation. Dopo i due lavori come Unto Ke, (Jet Five, 2005 e Coco and dust, 2006) ha pubblicato come King Bleso i cd Dub Jazz e Eco of blue e per maggio uscirà come King Bleso and Woodo Soul Unlimited. Segnaliamo anche una scena hip hop molto ricca che comprende Trinketto, Puglia tribe, Amici d’Abbash, Sona Slè, Avatar, Platform, Skema, Aban. La scena reggae, raccontata da Tommaso Manfredi nel volume Dai Caraibi al Salento, nascita evoluzione e identità del Reggae in Puglia, uscito un paio di anni fa, è poi alimentata da numerosi concerti, dance hall e festival su tutto il territorio pugliese, anche e soprattutto grazie a festival che da molti anni a questa parte hanno condotto in Puglia e, nel Salento in particolare, il meglio del reggae mondiale come Gusto Dopa al Sole (con la direzione artistica di Dj Gruff), Salento Summer Festival, Puglia Reggae Festival e molti altri. Pierpaolo Lala UN PO’ PUGLIA 19


Ph: Loredana Cocola 20


TAKE FIVE

Cinque anni di jazz pugliese 21


Qualche anno fa, con il suo particolarissimo, del tutto inconsapevole estro naif, a un giornalista che gli domandava cosa pensasse dell’affermarsi nel panorama jazz di personaggi a suo dire formidabili come Nicola Conte, Enrico Rava reagì tagliando corto: “Nicola Conte chi? Col jazz non c’entra nulla!”. E più tardi, a un divertito Stefano Bollani, che chiedeva il perché di una risposta così secca e asciutta, il maestro ribatté: “Mai sentito, e se non l’ho mai sentito vuol dire che non fa jazz”. Che detto da lui, protagonista del jazz mondiale da varie decadi, tuona come un assunto inconfutabile. Epperò, oltre a una sospetta vicinanza di Conte agli ambienti del jazz internazionale, al trombettista torinese sfuggiva che proprio nelle sue formazioni hanno militato a lungo quei giovani jazzisti pugliesi che al dj e produttore barese, e al suo club Fez, vera e propria fucina culturale degli anni ’90, devono gran parte della loro formazione musicale. I nomi di punta del panorama, ormai affermati in Italia e all’estero, come quelli di Gianluca Petrella (spessissimo al fianco di Rava), Gaetano Partipilo, Fabio Accardi, Mirko Signorile, Mauro Gargano, gli stessi che negli ultimi anni hanno ricevuto riconoscimenti internazionali e occupato i primi posti del Top Jazz della rivista Musica Jazz, hanno tutti orbitato attorno a quel fervido laboratorio in cui confluivano, sotto la direzione artistica di Nicola Conte, i nuovi suoni del jazz d’oltremanica, sapientemente miscelati col sound Blue Note degli anni ’60. Comunque si voglia accogliere il loro reale apporto in termini strettamente musicali alla scena jazz del tacco d’Italia, Nicola Conte e il circolo Fez sono termini di paragone imprescindibili. Soprattutto considerando che, attualmente, pare non esserci più un luogo che abbia quella stessa funzione di cantiere culturale, avamposto della sperimentazione, catalizzatore di nuovi talenti attivo tutto l’anno e in grado di diramarsi in tutta la regione e oltre. Non solo, alcune delle realtà storiche pugliesi, quelle che hanno portato al sud molti dei musicisti tra i più innovatori della scena internazionale, senza mai propinare cartelloni scadenti e acchiapponi, hanno dovuto cedere ai tagli di fondi, all’ostracismo e all’incuria delle amministrazioni, forse alla distrazione del pubblico cui erano destinate: l’Europa Jazz Festival di Noci, fondato da Pino Minafra e Vittorino Curci, che ha visto la sua ultima edizione nel 2000, e un fiore all’occhiello come il Talos di Ruvo di Puglia. È vero che i luoghi attivi del jazz negli ultimi cin22 UN PO’ PUGLIA

que anni hanno registrato una crescita notevole: si pensi, tra i molti, al Festival Jazz di Orsara, in provincia di Foggia, e al suo corredo di ottimi workshop; al Moody Jazz Cafè, sempre in territorio foggiano, che ospita concerti con cadenza settimanale e ha una programmazione di qualità; ai club Ueffilo di Gioia del Colle e 1799 di Acquaviva delle Fonti; ai festival Beat Onto Jazz, Multiculturita di Capurso, e a quelli di Barletta, Fasano, Ceglie; al Bari in Jazz, diretto da quell’altro grande rappresentante del panorama musicale di Puglia che è Roberto Ottaviano, e al Locomotive di Sogliano Cavour, della brillante rising star Raffaele Casarano. Un festival che nell’ultima edizione, quella dell’agosto 2009, ha coniugato i viaggi bandistici su rotaie ispirati dal suo mentore Paolo Fresu alle sonorità londinesi di quel prodigioso talento di Soweto Kinch. Purtroppo, è altrettanto vero che certe mancanze incidono assai di più sulle ambizioni culturali di un territorio. La riflessione generalizzata è che manchino delle amministrazioni che investano in cultura prima che in spettacolo, puntando su una programmazione seria e continuata, piuttosto che su eventi sporadici. Restando nel Grande Salento, a fronte di un numero crescente di ottimi musicisti, e di un grande fermento culturale negli ambiti più diversi, il jazz pare avere uno spazio davvero troppo ridotto. Tra Brindisi e Taranto succede ben poco, e anche qui quel che c’era d’interessante, come la stagione dell’associazione Antiphonae di Martina Franca, ha subìto proprio lo scorso anno una battuta d’arresto, dopo essere stata costretta, nei tre anni precedenti, a spostarsi a Locorotondo a causa dei mancati finanziamenti. In provincia di Lecce, mentre il paesaggio estivo si arricchisce della prima edizione dell’Otranto Jazz Festival, la rassegna Jazz in Puglia, dopo un decennio di attività ininterrotta, registra nel 2009 il primo anno di fermo; l’attività del circolo T.S. Monk di Maglie, partita nel ’97, si è ridotta progressivamente fino quasi a sparire; nel capoluogo, la stagione invernale di Jazle, dopo circa dieci edizioni di gran pregio, chiude i battenti; e il Cagliostro resta l’unico club storicamente votato al jazz nella città barocca. In altri locali leccesi e della provincia, enoteche e caffè, continuano a proliferare eventi saltuari che fanno ben sperare, ma a cui manca un dettaglio fondamentale per fidelizzare il pubblico e appagare gli appassionati: la programmazione. Passando al lato strettamente musicale, im-


possibile pensare a un elenco, tanti e tali sono i talenti che la Puglia ha rivelato negli ultimi anni. Tra coloro che hanno tentato di riempire di senso la definizione di “jazz pugliese”, dando alla propria musica quell’elemento di specialità e distinzione attraverso una forma di sintesi tra ricerca e recupero delle radici musicali del sud, le personalità più rilevanti sono ancora quelle dei due colossi del jazz pugliese: il sassofonista barese Roberto Ottaviano, leader di progetti di grande levatura, e spesso al fianco del trombettista ruvese Pino Minafra, che oltre ad essere fondatore dell’Italian Instabile Orchestra, e di progetti come la Banda e la Minafrìc, è anche artefice di molte fondamentali formazioni come Meridiana Multijazz Orchestra, Canto General e Sud Ensemble (con il quale, nel 2005 ha licenziato per la tedesca Enja quel bellissimo disco che è Terronia). In tutte, Minafra ha avuto comprimari di prim’ordine, il più delle volte scelti tra le fila dei maggiori musicisti pugliesi, come il pianista Gianni Lenoci, il batterista Vincenzo Mazzone, la voce di Gianna Montecalvo, solo per citarne alcuni. Accanto a lui ha sviluppato il suo talento il figlio, Livio Minafra, pianista e compositore versatile e raffinato, anch’egli recente vincitore del Top Jazz, grazie anche a un disco pregevole come La fiamma e il cristallo (Enja, 2008). Referendum a parte, il panorama pugliese è costellato di musicisti di grande carattere. Dall’ormai noto sassofonista Raffaele Casarano - che ha già all’attivo buoni dischi, come l’ultimo Replay uscito per la Emarcy, e al cui fianco spiccano ottimi partner come Alberto Parmegiani, Marco Bardoscia, Ettore Carucci, Dario Muci - al modugnese Mirko Signorile, che già prima del suo ultimo, bel lavoro Clessidra aveva consolidato la sua fama a livello internazionale con The Magic Circle inciso con il Synerjazz Trio (con il batterista Vincenzo Bardaro e il fantasioso contrabbassista Giorgio Vendola, altra punta di diamante del jazz pugliese). In territorio foggiano sono emerse formazioni originali come il Nuevo Tango Ensemble; Trani ha dato i natali al pianista Davide Santorsola, molto apprezzato all’estero; mentre nel barese gli eccellenti jazzisti non si contano, merito anche del Conservatorio Piccinni, della scuola Il Pentagramma di Guido Di Leone e dell’Accademia Unika. Tra tutti, un “musician for musicians”, stimato e apprezzato da colleghi e operatori, e che a detta di molti non ha ancora avuto il riconoscimento che merita, è il bassista barese Pierluigi Balducci,

il cui ultimo disco Stupor Mundi è un piccolo gioiello di composizione e arrangiamento. E proseguendo in una scansione del territorio viene fuori tutta una nuova generazioni di musicisti creativi e versatili, dal contrabbassista di Monopoli (ma residente in Olanda) Francesco Angiuli, all’ostunese fisarmonicista Vince Abbracciante, dal sassofonista barese Fabrizio Savino al trombettista salentino Andrea Sabatino, i cui percorsi si sono spesso intrecciati con quelli di altri notevoli musicisti della zona, come Giuseppe Bassi, Mimmo Campanale, il pianista magliese Francesco Negro, e il brindisino Nicola Andrioli, talento purissimo, con tecnica cristallina, testa e progettualità, ma forse ancora solo parzialmente espresso. Tra i jazzisti pugliesi più “europei”, che hanno conservato solo i natali e l’accento pugliesi, uno dei più creativi è il bassista Danilo Gallo, foggiano di nascita e veneto d’adozione, co-fondatore di una delle etichette più visionarie e sperimentali apparse in Europa negli ultimi anni, la El Gallo Rojo, e membro stabile dell’omonimo collettivo. Il più noto oltreconfine è senz’altro Gianluca Petrella, il cui stile inconfondibile lo ha portato ai vertici del jazz ai quattro angoli del pianeta, e il cui ultimo disco con la Cosmic Band, Coming Tomorrow – Pt One (per la sua neonata label, la Spacebone Records), è tra i migliori album apparsi di recente. Restando su Petrella è doveroso ricordare che la sua primissima registrazione da leader fu pubblicata dall’ottima Auand di Marco Valente, biscegliese, che di talenti ne ha lanciati parecchi (dal grande Francesco Bearzatti all’ultima, in ordine di tempo, scoperta Erica Mou, che non fa jazz, ma è un’altra grande pugliese di cui sentiremo presto parlare) e che negli ultimi cinque anni ha sfornato alcune delle migliori produzioni italiane. Di tutt’altro respiro è invece un’altra etichetta discografica fondamentale per lo scenario pugliese e non solo, la salentina Dodicilune, del musicista e compositore Gabriele Rampino (nonché direttore artistico di Jazle), che, partita dal jazz, si è aperta alle altre musiche (im)possibili, e il cui catalogo si è di recente arricchito di una nuova collana, la Koiné, dedicata alle voci. Un’etichetta che non solo ha tenuto a battesimo moltissimi dei giovani talenti di casa nostra (da Casarano a Sabatino, Bardoscia, Andrioli e così via) ma ha anche prodotto album che possono essere presi come esempio di rigore, raffinatezza e stile. Lori Albanese UN PO’ PUGLIA 23


Ph: L. Scaraggi

LA MUSICA MILITANTE Intervista a Pino Minafra, ambasciatore del jazz pugliese È uno che non scende a patti, Pino Minafra. Ruvese, classe ’51, trombettista, compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra, didatta, e molto altro ancora. Totem del jazz pugliese, pilastro di quella colonia free votata alla sperimentazione e alla ricerca che è l’Italian Instabile Orchestra, è da sempre ideatore instancabile di progetti affascinanti come La Banda, Meridiana Multijazz Orchestra, Canto General, Minafric. Radicatissimo nella sua terra e nelle sue convinzioni musicali, politiche, di fede, Minafra è un uomo solido e un artista coerente come si può dirlo di pochi. Nel 2005 il suo Sud Ensemble è stato eletto formazione dell’anno dal referendum di Musica Jazz, e Terronia disco dell’anno. La sua è un’esperienza musicale che è sempre stata aperta a molteplici influenze, dall’avanguardia afroamericana al free europeo, dalla musica popolare e al jazz mediterraneo. Una babilonia di storie e anime diverse, che hanno poi trovato una dimensione, un’identità unica e originale, e che molto hanno a che fare con l’appartenenza a questa terra di sud, di cui Minafra dice: “è il ponte naturale verso l’Oriente, una terra in cui tutte le popolazioni di passaggio hanno lasciato dei segni profondi, e che ha conservato questa naturale attrazione verso la contaminazione, verso ciò che è altro. Una formidabile terra di 24 UN PO’ PUGLIA

sincretismi e di sintesi. Credo sia riconducibile a questo la concentrazione così elevata di eventi, idee e ottimi musicisti nel territorio”. In questa regione, Minafra, insieme alla sua famiglia (la moglie è la clavicembalista Margherita Porfido, e il figlio è il pianista Livio), ha investito molto, forse per una sorta di gratitudine legata al fatto che, come ci spiega, la sua musica, che poi è la sua storia, nasce proprio da qui. “Credo fermamente che ciascuno debba raccontare la propria storia. È quello che hanno fatto tutti i grandi, da Bach a Stravinskij, da Armstrong a Charlie Parker, hanno raccontato se stessi e fotografato quello che avevano attorno. L’idea di copiare un modello e restare tutta la vita su quello è fallimentare. E questa verità mi è stata chiara da subito, da quando ho cominciato a suonare. Ho sempre cercato di raccontare chi sono, fotografare la realtà che avevo intorno, anche nel caos e nella schizofrenia, perché non è facile mettere insieme tutte le proprie anime e le proprie visioni. Nella ricerca di un’identità, era inevitabile che venisse fuori il mio totale radicamento al sud, perché è quello che ho respirato e di cui mi sono nutrito”. Negli ultimi cinque anni il consenso per i progetti di Minafra all’estero, ospitati all’interno di festival jazz, ma anche come eventi speciali


nei cartelloni di classica, è sempre stato in crescendo. Germania, Francia, Portogallo, Gran Bretagna, Slovenia, l’Europa tutta, ma anche il Canada, hanno manifestato, come spesso accade, un’attenzione e un entusiasmo molto più profondi rispetto a quanto non abbia fatto il nostro paese. Un atteggiamento che Minafra analizza con la solita, inappuntabile, acutezza. E senza risparmiare giudizi taglienti. “Da noi è più facile che l’attenzione venga rivolta a prodotti più tranquillizzanti, legati allo svago e all’intrattenimento. È il segno ulteriore del profondo decadimento culturale, sociale, e politico in cui ci troviamo. La musica appare svuotata di tutti i suoi valori e significati creativi, di tutti i suoi ideali. Non viene più pensata come strumento di denuncia, attraverso cui esprimere il grido di dolore di un popolo che soffre, eppure, la sofferenza, nella vita dell’uomo, è tutt’altro che scomparsa, e non credo si possa viverla con nonchalance. In me non si è spostato nulla, per mia fortuna, ma col tempo sono venuti meno dei laboratori importanti come il Talos e il festival di Noci, perché le amministrazioni hanno fatto scelte diverse, preferendo dare spazio a situazioni più spettacolari, che catturano un’ampia attenzione popolare e danno maggiore visibilità, ma che non prevedono

riflessione, né approfondimento. La Notte della Taranta è una di queste, e - secondo il mio sentire - svilisce il pathos di quella che è una delle più tragiche e drammatiche zone della Puglia, il Salento. Il risultato è che a un certo punto non c’è più stato spazio per contenitori culturali che potessero ereditare quel che di buono avevano fatto i festival di Noci e Ruvo; forse l’unico che, con fatica, persegue ancora quella strada è Roberto Ottaviano con il suo Bari in Jazz”. Sui saluti, Minafra lancia un’ultima nota amara, pensando alla Meridiana Multijazz Orchestra. “È stato un tentativo estremo – e ambizioso - di mettere insieme alcune delle intelligenze musicali più rappresentative di questa regione, e far convergere le loro risorse, le loro energie, in quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere una sorta di orchestra stabile pugliese, ambasciatrice del jazz pugliese nel mondo. Un laboratorio vivo, in continuo movimento, in cui fare ricerca attorno alle varie ispirazioni musicali di questa terra. Purtoppo, ahimé, il progetto a un certo punto si è arenato, per l’incapacità dei nostri politici di sostenerlo e dargli continuità”. Peccato. Speriamo che corrano ai ripari. Lori Albanese

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ALLA RICERCA DEL DUB Intervista agli Insintesi, in viaggio tra elettronica, reggae e musica popolare Sono una delle band che ha seminato il germe dell’elettronica nella nostra terra. La loro storia appare come un ritorno. Caratterizzati, all’inizio, da un approccio musicale che guardava alla Bristol dei Massive Attack e al drum and bass gli Insintesi hanno poi deciso di sporcarsi le mani e i suoni, conquistando una dimensione più terrena. È così che la loro musica ha abbracciato il dub, il reaggae, si è arricchita delle sonorità del me26 UN PO’ PUGLIA

diterraneo esplorandone anche le lingue. Dopo Subterranea del 2007 e una serie di collaborazioni e remix anche internazionali la band fa i conti con le proprie origini, con la tradizione musicale. Questo Salento in dub, prodotto da Anima Mundi, è una sorta di ponte che unisce generi che ormai sono figli di questa terra. Il disco è anche un’occasione di incontro tra tanti artisti che si confrontano su un piano musicale nuovo.


Salento in dub sembra quasi una terra dove la musica che si produce in Salento trova terreno per prendere aria e tempo, un luogo musicale comodo e congeniale a tutti i suoni del mondo. Cosa ne pensi? Direi di si, è quasi un modo per vedere le cose con occhio distaccato e con calma, potendo così avere chiara l’idea d’insieme. Il nostro ruolo di producer ci ha facilitato in questo perché buona parte dei brani sui quali abbiamo lavorato già esistevano, si trattava di metabolizzarli e capire che direzione dargli. Nel Salento poi le tradizioni del reggae e della musica popolare le respiri, le senti vive e per questo ci è sembrato naturale metterle sullo stesso piano. Operazioni come questa hanno un sapore un po’ retrò ma allo stesso tempo aprono spiragli per nuove frontiere musicali. Come vi siete approcciati a questo lavoro? La nostra è stata un’operazione che ha guardato sia al passato che al futuro; abbiamo utilizzato tecniche di missaggio della musica dub su brani della tradizione popolare e del reggae salentino, così come si usava fare nella musica giamaicana negli anni ‘70 , in più però abbiamo aggiunto anche tanta tecnologia che ha creato un suono vintage, ma anche contemporaneo. Gli ospiti sono frutto di scelte, incontri o entrambe le cose? Un elemento interessante del nostro lavoro è stato quello della ricerca su più fronti. Il punto di partenza è stato sperimentare su generi musicali differenti creando un suono comune. Da qui abbiamo individuato canzoni e voci che potessero fare al caso nostro ma è avvenuto tutto per gradi aggiungendo un tassello alla volta. Direi che a un certo punto per noi era chiaro l’obiettivo che volevamo raggiungere, ma tutto si è sviluppato lentamente. Vorrei ricordare tutti gli artisti che hanno preso parte alla realizzazione del disco: Salentorkestra, Sud Sound System, Apres la Classe, Nidi d’Arac, Treble, Opa Cupa, Raffaella Aprile, Anna Cinzia Villani, Alessia Tondo, ma anche Andrea Presa (Transalento), I-dren Marco (Black Star Line), Gianluca Milanese e ovviamente MissMykela. Il vostro percorso musicale sembra un continuo ritorno, un viaggio che parte da lontano per avvicinarsi sempre di più alle radici. Abbiamo avuto negli anni tante trasformazioni, siamo partiti dal trip hop per poi avvicinarci alla jungle e poi al reggae e alla musica popolare, ma

il tutto è avvenuto anche in parallelo e le scelte spesso si sono incrociate… direi comunque che il dub è sempre stato il nostro punto di riferimento l’abbiamo applicato in tutti i generi. La sperimentazione è stata alla base delle nostre scelte e credo sia uno degli aspetti più importanti della nostra musica. Cosa ne pensate, al di là di questa esperienza, della musica popolare e del suo recente rilancio? Ho ascoltato musica popolare molto interessante, tanto che avremmo potuto ampliare la nostra ricerca, il Salento è un vivaio di talenti. Il rilancio amplifica cose belle ed anche cose brutte ovviamente, ma solitamente le brutte durano di meno. Credo che Animamundi, etichetta che ha prodotto anche il nostro album, stia svolgendo un ruolo importante per quanto riguarda la qualità delle proposte musicali. Questo numero di Coolclub.it è dedicato alla musica in Puglia negli ultimi cinque anni. Cosa ne pensate? Quali sono le realtà più interessanti maturate in questi anni? Che cosa è cambiato da quando avete cominciato? Il Salento continua a sfornare artisti, gruppi e progetti veramente interessanti, tanto da dirti che per alcuni generi non conosco bene la scena. Per quanto riguarda il reggae molto bene si stanno comportando Boom da Bash, Fido Guido, MissMykela, ma la lista sarebbe veramente lunga. Poi ci sono cantanti come Alessia Tondo che sono cresciuti apprendendo sia dalla musica popolare che dal reggae ed è molto importante. Per quanto riguarda la musica etnica mi piace tantissimo l’ultimo disco della Salentorkestra (Centueuna) e cantanti come Anna Cinzia Villani e Raffaella Aprile. Vorrei anche parlarti di una prolifica stagione di video maker salentini, tra i quali Omar Eox. Salento in dub è anche live? Come sarà il vostro spettacolo? Un live set dub molto ballabile e con tantissime influenze di musica salentina. I bassi la faranno da padrone, ma sarà notevole anche la spinta dei cantanti e degli effetti. Ci sarà un volume 2? Ci stiamo pensando, c’è tanto da esplorare e abbiamo già un po’ di idee, vedremo… per ora ci godiamo il suono del vol. 1!!! Antonietta Rosato UN PO’ PUGLIA 27


MUSICA

BRUNORI SAS Il cantautore calabrese propone piccoli ironici quadretti musicali Il suo disco d’esordio Vol.1 è uscito, per Pippola Music, un po’ di mesi fa ma, sinceramente, me l’ero perso. Ho scoperto Brunori Sas in radio a dicembre e il suo cd è entrato nella lista dei miei dischi preferiti del momento. Musica semplice, che si muove nel solco della migliore tradizione della scena cantautorale italiana con testi ironici, melodie orecchiabili e tanta spensieratezza. Nove canzoni che sembrano piccoli quadri, dipinti con la giusta leggerezza. Il cosentino Dario Brunori ha trentadue anni e racconta quell’Italia, quella fanciullezza e quell’adolescenza che abbiamo vissuto noi, nati alla fine degli anni ’70. La giuria del Premio Ciampi lo ha considerato il miglior esordiente dell’anno. Il 13 febbraio Brunori Sas sarà a Bari, nell’ambito della rassegna Fuori Tempo al Teatro Kismet. Brunori Sas, perché questa definizione da imprenditore? Quando ho scritto i brani contenuti nell’album ero effettivamente alle prese con l’impresa di famiglia, la “vera” Brunori S.a.s., una piccola ditta che commercializza materiali da costruzione. Mi faceva sorridere e allo stesso tempo mi sembrava calzante l’accostamento fra un progetto musicale ed una società di persone. Per quanto un progetto possa essere “solista”, in realtà è sempre frutto 28 MUSICA

del lavoro di tanti soggetti. Poi, è ovvio, c’è l’amministratore che ci mette la faccia e che risponde con tutto il proprio patrimonio fatto di canzoni nostalgiche e palloni da spiaggia. Il bambino in copertina sei tu? Come mai questa scelta di ricordare l’infanzia non solo nei testi di molte canzoni ma anche nell’immagine di copertina? Si, il bambino urlante sono proprio io. Penso che l’album sia molto “fotografico”, nel senso che comunica per immagini e ha il medesimo sapore di quegli scatti. Tra l’altro almeno un paio di foto contenute nel booklet, hanno rappresentato una vera e propria fonte d’ispirazione per la stesura dei brani. Cosa ascolti di solito? Quali sono stati i musicisti italiani e stranieri che ti hanno influenzato maggiormente? Io ci vedo Dente e Bugo, soprattutto, ma anche il Rino Gaetano più scanzonato. Cosa ne pensi? Solo negli ultimi anni ho riscoperto la canzone italiana, sia d’autore che “leggera”. In passato ho ascoltato molta roba di matrice alternative rock ed elettronica, soprattutto straniera. I nomi che hai citato godono della mia stima e mi lusinga essere accostato ad artisti che rappresentano il


peggiore del mondo. Tasso fisso, con l’euribor c’è chi sta impazzendo da un anno”. Io ho appena comprato una piccola casa. Hai qualche consiglio da darmi? Non appena passeremo da Sas a Spa, quotandoci in borsa, compra un bel po’ di azioni Brunori: un investimento sicuro e garantito nel tempo. E se hai bisogno di mattoni e cemento, posso sempre metterti in contatto con i miei fratelli. I tuoi racconti sono molto diretti. Riesci a costruire canzoni facili da immaginare, come se fossero piccoli quadri musicali, quasi sceneggiature di cortometraggi. Hai un buon rapporto con il cinema? Sono arrivato ad un certo tipo di cinema molto in ritardo. Da una parte un po’ di pigrizia, dall’altra qualche assurdo pregiudizio che mi faceva immaginare come “pallose” alcune pellicole, senza averne neanche visto un fotogramma. Fortuna che ho amici appassionati e non appena compresa la vacuità di quella visione, son corso subito ai ripari. Mi piace molto Fellini, e in generale il cinema neorealista italiano, ma anche Von Trier, Wong Kar-wai, i fratelli Coen, Wes Anderson, e il mai domo Clint.

passato ed il presente della musica d’autore italiana. Spero solo che tali riferimenti siano un invito all’ascolto e non un modo per etichettare frettolosamente la mia proposta. Sono un invito all’ascolto. Qual è il rapporto con i tuoi colleghi di etichetta (ci sono anche i nostri amici Superpartner)? Come ti trovi con la Pippola? Ovviamente ci conosciamo tutti, seppur con gradi di profondità differente, dovuti più che altro al fatto che siamo geograficamente sparsi per la penisola. Con i Gonzo ho avuto modo di lavorare anche in un passato pre-Pippola diciamo, mentre con gli Annie Hall abbiamo condiviso musica e merende in più di un’occasione. I Superpartner li ho conosciuti in occasione di un “Sorpasso” organizzato a Roma dalla webzine rockit, e c’è stato subito feeling, anche se non abbiamo avuto troppo tempo a disposizione per conoscerci meglio. Con Pippola il rapporto è meraviglioso, anche perché con Matteo Zanobini ho lavorato in precedenza nell’esperienza Blume e ci lega una profonda e solida amicizia. Lavora in maniera molto professionale ed ha una linea così personale e fresca da rappresentare, a mio avviso, una delle realtà più interessanti e riuscite dell’attuale panorama indipendente italiano. In Come stai canti “è il mutuo il pensiero

Che tipo di live proponi? Molto più energico rispetto al disco, che si muove maggiormente su atmosfere da chitarra e voce. I miei “dipendenti” sono musicisti di grande spessore, provenienti dall’ambito jazzistico, che io ho, loro malgrado, piegato alla musica leggera. Il risultato è di grande impatto, stando almeno ai riscontri ricevuti in questi ultimi mesi, in cui abbiamo attraversato la penisola in lungo e in largo. La location del concerto di Bari è particolare. Il foyer di teatro. Qual è il tuo rapporto con il teatro? Da ragazzo ho recitato nel laboratorio teatrale scolastico, più per intercettare il pubblico femminile, che per reale e convinta passione. Devo ammettere di non essere un gran cultore e fruitore di spettacoli teatrali, sono un po’ allergico alle voci impostate, ma ripeto, è solo il misero parere di un ignorante in materia. Ultima domanda, scontata. Progetti per il futuro? Risposta altrettanto scontata: un nuovo disco agli inizi del prossimo anno e la possibilità di continuare a suonare in giro, spesso e volentieri. Infine un piccolo sogno un po’ provinciale e un po’ ambizioso, che è quello di promuovere e spingere, con il mio progetto e con il mio studio di produzione musicale, la scena artistica di Calabria e dintorni. Pierpaolo Lala MUSICA 29


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VINEGAR SOCKS

La coppia italo americana rivelazione dell’indie I Vinegar Socks sono formati dal cantautore americano Jordan De Maio e il violinista italiano Paolo Petrocelli. Nati a Roma nel 2008 hanno esordito con un album omonimo, interamente autoprodotto, che li ha rivelati subito come una delle produzioni più interessanti del momento. Propongono una musica che affonda le sue radici nel miglior folk per approdare a una originalità che non può essere racchiusa in una etichetta. Abbiamo incontrato Paolo Petrocelli che ci ha raccontato la storia del gruppo. A volte gli incontri creano alchimie speciali. È il vostro caso, siete due mondi che si incontrano. Ci racconti com’è nato tutto? Il progetto Vinegar Socks è nato agli inizi del 2008, con l’incontro a Roma tra me, violinista, e Jordan, cantante e chitarrista. Jordan è di Providence, una città vicino Boston, vive in Italia da quasi cinque anni. Proveniamo da due mondi diversi, ma certamente condividiamo idee artistiche e musicali molto vicine tra loro. La nostra musica è il risultato immediato di un processo compositivo spontaneo e naturale. Insomma tutto è cominciato con grande semplicità e sincerità. La vostra musica unisce generi musicali molto diversi creando paesaggi rurali e onirici allo stesso tempo, cosa vi ispira? L’ispirazione arriva dalla quotidiana esperienza del vivere e dai tanti interessi artistici che coltiviamo al fianco della musica. Spesso nel comporre ed arrangiare le nostre musiche ci facciamo guidare anche dagli stessi strumenti, divertendoci a combinare generi e tecniche strumentali diverse tra loro. Il vostro suono è caratterizzato da strumenti particolari (penso al mandolino), tra le tracce del disco si sente l’America ma anche il folk inglese. Ce ne parli? In questo primo disco alla voce e alla chitarra resofonica di Jordan e al mio violino, abbiamo affiancato il mandolino di Patrizio Petrucci e il contrabbasso di Marco Rossini. Il risultato è stato un suono composito, “geograficamente” poco definibile! Abbiamo combinato con estrema spontaneità e naturalezza una logica compositiva “classica” con quella “folk”, “indie”, “pop”.

Autoprodotti in Italia, ma distribuiti in America. Come mai queste scelte? Abbiamo ricevuto diverse proposte da etichette indipendenti italiane e straniere, ma nessuna di queste ci aveva davvero convinto. Volevamo legare il nostro nome ad un’etichetta “onesta”, che condividesse realmente lo stesso nostro approccio artistico. Grinding Tapes di Boston si è dimostrata per questo primo disco il “partner” ideale: gli artisti del loro roster sono sicuramente vicini al nostro mondo musicale. Fare ritorno in America era in qualche modo la conclusione naturale di questo nostro primo lavoro. Il vostro è un disco che nasce in Italia ma ha ben altri orizzonti. Cosa ne pensi? Non scriviamo musica per un paese in particolare! Siamo consapevoli del fatto che la nostra musica ha un carattere internazionale, essendo il cantato in lingua inglese. Con grande onestà vogliamo provare a portarla in giro e farla conoscere. Tra i blog e i siti gira la voce che siete tra le cose più interessanti del momento, secondo te attualmente cosa c’è di interessante in Italia? Sinceramente non siamo molto attenti alla scena musicale del momento! Conosciamo e stimiamo molti artisti che si stanno dando un gran da fare. Questo sicuramente è un gran bene per la cultura musicale indipendente del nostro paese. La vostra immagine sembra appartenere al passato, come in parte alcuni rimandi della vostra musica fino alla bellissima grafica dell’album. Che rapporto avete con il passato? È inevitabile fare i conti con il passato quando si crea qualcosa di nuovo. Questo certamente vale anche per noi, quando componiamo musica. Guardare al passato, non vuol dire però appartenerci! Il nostro sentire musicale è ispirato dal passato, ma è assolutamente legato al presente. Quello che ci proponiamo non è d’imitare o recuperare, ma di dar vita a qualcosa che appartiene a noi in questo momento. Osvaldo Piliego MUSICA 31


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IL PAN DEL DIAVOLO

Uno strano duo folk si aggira per i palchi italiani Il duo, composto da Pietro Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo, nasce in Sicilia nel 2006 e dopo tre anni di intensa attività live su palchi prestigiosi e al fianco di nomi enormi della scena mondiale, produce questo Sono all’osso uscito nei giorni scorsi con Tempesta dischi. Propongono un folk originale (suonano due chitarre acustiche e una grancassa) e irruento che pesca nella tradizione folkloristica italiana e nella canzone d’autore nostrana e d’oltreoceano. Ne abbiamo parlato con Pietro Alberto Alosi, ideatore del progetto. Perché Il pan del diavolo? “Il Pan del Diavolo è sempre avvelenato” è un proverbio che ho sentito dire per caso qualche anno fa e che ho deciso di utilizzare come nome della mia musica. Il Pan del diavolo mi sembrava qualcosa in più rispetto al semplice nome di un gruppo, inteso come etichetta di riconoscibilità in archivio. Il proverbio significa che le cose fatte dal male e nel male o in cattiva fede muoiono e fanno danni perché avvelenate. Quindi mi sembrava il giusto contenitore per l’immaginario della mia musica. Due chitarre e grancassa. Una formazione sicuramente non tradizionale. A chi vi ispirate? Come definireste la vostra musica? L’ispirazione musicale è vastissima, finora abbiamo lavorato sul folk di Neil Young o di Bob Dylan, sul rock n roll di Gene Vincent e per tutta la parte dei testi ho fatto una festa con Buscaglione, Agosti, Celentano e Gaetano. Ascolto con piacere il repertorio folkloristico italiano quindi il nostro vero folk, la musica che si suonava in Italia nelle occasioni di socialità come i canti di lavoro, tarante e ninna nanne salentine. Abbiamo un repertorio vastissimo dal quale qualsiasi artista potrebbe trarne ispirazione. Non ho una definizione precisa della mia musica di solito quando mi chiedono che

musica faccio rispondo semplicemente canzoni in italiano. La vostra irruenza ha qualcosa di epico, il vostro mondo di scrivere sembra proseguire per flash, affreschi veloci, quasi slogan. Il vostro processo creativo è istintivo come il risultato o è un’arma affilata a lungo? Si a volte prosegue per flash all’interno della canzone ma con lo scopo di costruire un significato o un immaginario unico nel brano. Questo richiede tempo e allora l’istinto si deve addomesticare con un lungo labor lime. C’è una tendenza nel nuovo indie, una sorta di riscoperta dell’attualità, si comincia a parlare di nuovo dell’Italia, della vita vera. Vi sentite parte di questo movimento? Se devo essere sincero non so se possiamo parlare di un movimento ma più come dici tu di una tendenza all’interno di un sottogruppo della musica italiana che è appunto l’indie. Comunque non saprei... al momento non ci sentiamo parte di un movimento. Alcune atmosfere (Blu Laguna) ricordano i Cramps e una sorta di rock and roll malato. Anche la scelta di non lasciare mai la voce “pulita” sembra parte di un immaginario garage acustico. Mi sbaglio? No non ti sbagli siamo appassionati anche di garage e low fi vedi le storiche raccolte dei nuggets. Uscite per la Tempesta che attualmente è una delle migliori etichette italiane. Cosa pensate dei vostri colleghi di scuderia? Non si può parlare male dei colleghi di lavoro ma anche se volessi non ne avrei proprio ragione visto che al momento rappresentano i capisaldi della musica in Italia. Dario Goffredo MUSICA 33


TOBIA LAMARE Da Frigole a Nashville e ritorno The Party è il cd d’esordio di Tobia Lamare & The Sellers che inaugura la Lobello Records. Un disco al quale siamo molto affezionati, sia perché la Lobello è anche un po’ Coolclub, sia perché tra i Sellers (alla batteria) c’è il direttore di questo giornale, Osvaldo Piliego. Tobia ha una lunga esperienza alle spalle come chitarrista e cantante punk, negli Psycho Sun, e come autore di colonne sonore per spettacoli teatrali. Dalla sua campagna vicino Lecce, la Lobello appunto, ha intrapreso questo viaggio musicale che sa di Mississipi e Tennessee più che di Salento. The Party è un concept album che racconta una festa dove le persone si scontrano, parlano, si incrociano, scappano, si innamorano, suonano. L’album si apre con Week end out, un brano dylaniano completo di armonica, ma gli stop & go sembrano quelli dei Pavement. Girl With Pills parte come una soffice ballata country-folk e si lancia in un ritornello degno di Head of the Door dei Cure. Rimbaud è una meditazione tinta di chanson anni ‘60, che accenna a gonfiarsi in un inno morriconiano. Ma non basta. C’è spazio per aperture jazz, per un valzer lisergico, persino per un tango, un pezzo funky alla Soul Coughin e una traccia electro-pop stradaiola e minimale (You are my radio). Oltre Tobia e Osvaldo questa avventura coinvolge anche Alfonso Cannoletta (chitarra), Marco Santoro (basso) ed An34 MUSICA

tonio Candido (armonica). Nel cd ci sono anche Gianluca de Rubertis (Il genio, Studio Davoli), Maurizio Vierucci (Creme) e Marco Ancona (Bludinvidia-Fonokit). Tobia ci racconta la nascita di questa nuova esperienza. Cominciamo con un po’ di storia. L’ambiente salentino nei primi anni ‘90 vantava una fertile scena musicale, ricca di band emergenti e di spazi sociali in cui organizzare concerti. La tua prima band, Psycho Sun, nasce proprio nel 1993. Hai dunque alle spalle 17 anni di esperienza come frontman, ma sei anche un navigato e richiestissimo dj che spazia dal rock al soul, passando per il divertentismo. Raccontaci il tuo punto di vista sull’esperienza degli anni ‘90. Gli anni ’90 sono stati gli anni d’oro della musica in Italia. Più che altro sono stati la speranza di un mercato che finalmente si apriva alla musica indipendente. In Italia le grandi etichette investivano soldi e le piccole label riuscivano a crearsi uno spazio. Questo grazie al fatto che si vendevano i cd e i vinili. Anche Lecce aveva la sua piccola etichetta (Magenta Rec) che produsse il primo lavoro degli Psycho Sun, i Miele June, i Lilly noiz, i C.O.D. e altri. Insomma si era creata una scena. Lecce, Brindisi e Taranto erano dei luoghi dove si faceva musica. Lo scambio e l’interesse verso


le band della tua stessa città e soprattutto verso quelle che venivano da fuori era notevole. Forse non tutti sanno che il nome del tuo progetto solista è una citazione nella citazione. Tutto parte da Peter Sellers, il mitico attore del Dottor Stranamore, La pantera Rosa e The Party, titolo che in Italia fu tradotto Hollywood Party. La prima citazione è quella di un misconosciuto gruppo indie-rock milanese di fine anni ’80 che scelse come nome della band “Peter Sellers and the Hollywood Party”. Io e Marco (il bassista della band) abbiamo sempre avuto un punto d’incontro: il cinema. Soprattutto quello americano. Cercavamo un nome che potesse andare bene con Tobia Lamare. Avevo proposto Tobia Lamare & The big chill (film della cui colonna sonora eseguiamo molti brani) ma non ci convinceva. Vista la mia passione agricola avevo pensato a Tobia Lamare & The tomatillos, ma suonava troppo come i Mescaleros di Joe Strummer. Sapevo che il cd si sarebbe chiamato The party e così l’associazione a Peter Sellers è stata immediata. Peter Sellers mi fa piegare in due, mi fa passare la febbre. Anche agli altri piaceva e allora. Io amo le citazioni stratificate, anche i miei testi ne sono sempre stati pieni. Anche il mio nome d’arte è una citazione del protagonista di Supervixen e Ultravixen di Russ Mayer. Lungi dall’essere un minestrone di stili, l’album è però incredibilmente compatto. Inoltre la riconoscibilità del gruppo non viene messa in pericolo dai cambi di stile e credo che la tua leadership abbia un ruolo fondamentale in questo senso. Ma raccontaci un po’ dell’evidente affiatamento con gli altri componenti dei Sellers. Le prove dei Sellers durano anche sette ore a volte, cinque di queste sono passate a parlare, cucinare, stare insieme, ascoltare dischi, vedere le puntate di I.T. Crowd. L’affiatamento per me dev’essere soprattutto personale, mentale, di amicizia. La musica è anima, è il tuo essere, è il tuo sfogo, la tua voce, la tua espressione, quindi per avere compattezza e omogeneità nel suono devi averla anche nei rapporti interpersonali. I Sellers hanno un suono, o meglio hanno un mood che è presente in tutti i brani. Il mio metodo di direzione delle prove è molto anarchico. Poche volte do indicazioni specifiche in fase di arrangiamento ai Sellers, perché i musicisti li ho scelti per il loro modo di suonare e per i loro gusti musicali, quindi preferisco che ognuno senta il pezzo a modo suo e che tutto sia estremamente naturale. Se dopo un po’ di tempo un brano non funziona, spesso, preferisco metterlo da parte.

In concerto siete formidabili, come dimostra Silver, registrata dal vivo. Spesso vi avventurate in jam session e suonate cover improbabili. Accanto a brani più classici come Creep dei Radiohead, la rilettura più riuscita è, a mio avviso, Wild Boys dei Duran Duran. Il pezzo è irriconoscibile finché non entra il ritornello e credo sia geniale per il modo in cui spiazza l’ascoltatore. Inoltre esprime la tua sensibilità onnivora e il tuo innato dono della sintesi. Grazie. Beh, quello delle cover stravolte e reinterpretate è stata sempre una chiave di lettura indispensabile per me. Nel 1993 con gli Psycho non riuscivamo nemmeno a trovare gli accordi dei brani e allora, in maniera abbastanza punk, dicevamo – ma chi se ne frega la facciamo in maggiore!. Poi ho imparato a suonare (spero!) e questo lavoro di reinterpretazione è diventato un metodo e soprattutto una palestra per farti uscire idee nuove, ed è molto divertente. Per Wild Boys ci siamo sbattuti un sacco, non è stato molto semplice anche se il brano poi esce abbastanza lineare e semplice. Quella è stata una di quelle poche volte in cui mi sono seduto e ho detto agli altri – parliamone! La masseria Lobello è casa tua, ma è anche il luogo in cui ti occupi di agricoltura biologica, la tua sala prove e la venue di feste e residenze artistiche. Adesso, dall’energia creativa di questo luogo incantevole, nasce la Lobello Records, label discografica che esordisce proprio con il concept album dei Sellers. Raccontaci come è partito il progetto e quale sarà il taglio dell’etichetta. Ho fatto un giro per etichette l’anno scorso e nessuna proposta mi soddisfaceva. Poi ho pensato che dovevano uscire i Sellers, gli Psycho Sun, che era il mio sogno fare una compilation di tutti i demo salentini degli anni ’90, e poi in quei giorni mi ha chiamato una stamperia che si occupa anche di compilation rock‘n’roll per inserire gli Psychosun su una di queste. Ho chiesto un preventivo, per dirla in maniera molto roots mi sono fatto il segno della croce, e ho pensato che era la cosa migliore da fare. Poi ho pensato anche che un’etichetta indie a Lecce mancava dagli anni ’90 e che è il momento di trasformare i nostri semi in alberi perché i loro frutti sono buonissimi. Quindi la Lobello per il 2010 prevede 5 uscite totali, ma gli altri album li stiamo ancora valutando. Il taglio sarà indie con ovviamente un occhio di riguardo per il folk (nel senso di Dylan e non di pizzica ovvio) e anche per artisti in residenza alla Lobello. Tobia D’Onofrio MUSICA 35


BUILT TO SPILL There’s No Enemy Virgin

tutti si aspettano e gli stupendi trip sempre e comunque conditi da ariose melodie da sogno. Lo stile è inconfondibile ma, per fortuna, mai troppo ripetitivo. Gran bel disco, davvero! Camillo Fasulo

LE LOUP Family Hardly Art

A SUNNY DAY IN GLASGOW Ashes grammar Mis Ojos Discos

In epoca di imbarazzanti lavori costruiti su sensazionalismi in bassa fedeltà, dove la ribellione è nient’altro che un giro sullo skate visto attraverso le patinatissime inquadrature di Mtv, la band di Boise, Idaho, conferma che per emozionare basta essere sinceri, rumorosi e soprattutto immuni alle sciocche regole di un mercato prossimo al collasso. L’aspro scetticismo condito con un pizzico di sacro furore ha lasciato il posto ad uno strano impasto di angoscia ed eccitazione. Su tutto, tra tappeti di chitarre elettriche e sezioni ritmiche vertiginose, si erge, incontrastata, l’ugola del barbuto Doug Martsch, gigante con la voce da fanciullo, che ammanta di meraviglia ed inchioda anche l’ascoltatore più smaliziato. Eppure, nonostante quella barba che inizia ad ingrigirsi, la sua maturazione non è ancora giunta al termine. È entrata, piuttosto, in una nuova fase più malinconica e più introspettiva se vogliamo, che riflette nei testi un’evidente disillusione. “La vita non è altro che un sogno”, cantano questi degni figli di Neil Young, giusto prima di un sorprendente inserto di tromba che tornerà poi verso la fine del disco, in un’ancor più disillusa Things Fall Apart. Nel mezzo, le famose bordate a tre chitarre che 36 MUSICA

Nuova line-up e secondo lp per questo gruppo di Philly-delphia (nonostante il nome sono americani) che declina atmosfere tipicamente shoegaze, ma le intinge in un efficace solvente elettronico e psichedelico, creando spessore cristallino in pezzi altrimenti fragili. È una miscela appiccicosa come miele di of Montreal e Cocteau Twins, batteria dritta e suoni d’organo fatato, echi di sirene e improvvise quanto sterili impennate, in una corsa senza meta. I sei minuti del singolo, Shy, sono puro dream pop tonico. Belli i clangori e il clapping di Evil, with Evil, against Evil e Nitetime rainbows. Da segnalare anche l’andamento carico e sognate di The white witch. Un collage dal quale emerge l’immagine bianchissima di un lago ghiacciato. Fate il vostro puzzle, lasciatevi stordire da Blood white e dalla title track: ma i pezzi sono 22, da sentire e risentire. Rakelman

Lunga vita al revival folk! Lunga vita ai pionieri degli anni ‘90 (Will Oldham, Smog, Cat Power)! Lunga vita alle nuove promesse (Joanna Newsom su tutte) del cosiddetto nu-folk o freak-folk! Ma finiamola, per favore, di intessere lodi sperticate per il “menestrello hippie” Davendra Banhart, che dopo due album degni di nota si è tuffato nella mediocrità, conservando l’aggettivo freak solo grazie alle pose strampalate. Il nuovo folk, infatti, è vivo e vegeto e i gruppi interessanti sono numerosi. Le Loup, che hanno debuttato nel 2007, suonano una musica immediata e suggestiva, una sorta di incrocio iper-vitaminico di FleetFoxes, Akron Family e SigurRos. Ritmiche ipnotiche e pressanti con suggestioni esotiche e tribali si uniscono a cantilene folk e a parti strumentali figlie di Pink Floyd e Mogway, creando atmosfere dall’intensità rituale che galoppano verso grandiose aperture melodiche. Un vero viaggio cinematografico. Beach Town è un frizzante etnowestern con cori angelici stile Twin Peaks. Grow si avvicina ai FleetFoxes, come Morning Song, aperta da un giro circolare di banjo. Forgive Me è un’irresistibile cavalcata corale, perfetta colonna sonora per lo splendido videoclip: una


famiglia di eschimesi torna a dormire nell’igloo dopo un’epica corsa fra i ghiacci a bordo di una slitta trainata da sette cani. Dicevamo, quindi? Lunga vita al folk! Tobia D’Onofrio

MUSÉE MÉCANIQUE Hold this ghost Souterrain transmissions

CHAOS/ORDER Significance of blood Rustblade/Audioglobe

In circolazione da diverso tempo, il marchio Chaos/Order ha finora prodotto solo tre album (più diversi mini-cd, nastri autoprodotti, apparizioni in compilation come il tributo ai Laibach uscito su Radio Luxor/ SPV nel 2000). Il trio romano composto da Riccardo Chiaretti, Tiberio D’Aquino e Andrea Capanna torna a cinque anni da The Monroe Transfer con un disco dalla lunga gestazione che certifica una volta di più l’impegno naturale a tenere una debita distanza dai binari del già detto/già sentito. Elettronica che coniuga ricerca (il furore industrial degli esordi) e battiti che fanno muovere le gambe e la testa lasciando libera la corsia dell’immaginazione. Musica in grado di incrociare i percorsi della psy e della dark-trance (il trip Pazzaglini Receiver, dedicato al neuropsichiatra Mario Pazzaglini, autore di un saggio sulle scritture aliene); dell’electro funk (in Groove Boyz, personalissima rivisitazione di un brano degli Inner Circle), quindi di una

Il brano d’apertura di questo esordio della band di Portland ci riporta alle sonorità di Moon Safari degli Air. Una malinconia tipicamente sixties finisce per gonfiarsi in un tripudio di melodie anni ’60, fra cascate di tastiere vintage, tocchi di violino, flauto, xilofono, handclaps e fisarmonica nel finale; è facile che si pensi anche ai pezzi pop dei Blonde Redhead. Dopo un secondo brano altalenante tra Andrew Bird e Belle & Sebastian, le coordinate non cambiano con l’aggiunta di pochi tocchi morriconiani tra le percussioni e di qualche coro beatlesiano. Un album, dunque, di docile psichedelia folk-pop, privo di velleità sperimentali, ricco di melodie crepuscolari, impreziosito da una produzione barocca non ingombrante e da una buona ispirazione cantautoriale. Sarebbe interessante capire come mai la cavalcata dell’incipit resti un episodio isolato. Ma quando parte Sleeping In Our Clothes, che fa rimpiangere i Belle & Sebastian e inneggia a Simon & Garfunkel, si perdona volentieri l’omogeneità di un disco tanto piacevole. Tobia D’Onofrio

acid house del futuro (provate a svegliarvi la mattina con Omega Woman a palla e il vostro lunedì più piovoso diventerà magicamente una meravigliosa vacanza a Ibiza dalle tinte piuttosto sexy). Ascoltato senza interruzioni, Significance of blood è un lavoro che suona come un lungo film per

le orecchie girato su un dancefloor da fine del mondo: synth d’ambiente, bleeps mutanti, inserti vocali dallo spazio profondo, tuffi nell’oscurità (Last Generation In Flesh), microfluttuazioni temporali. Carne e spirito, sangue e sciamanesimo nell’era delle macchine (Dynamic darkmoor). Chiude MUSICA 37


un’ideale trilogia dei colori cominciata nel 2000 con il nero del debutto Order/Chaos e proseguita con un secondo capitolo bianco, preparando la strada a nuove avventure sonore in parallelo a una ripresa dell’attività live. Particolarmente consigliata la versione dell’album a tiratura limitata che affianca un secondo cd dal titolo Flood con altre nove tracce, inclusa una cover di The Golden wedding of sorrow dei Death In June (in quella standard, la tracklist si chiude con Candle degli Skinny Puppy). N.G.D’A.

SEABEAR We Built A Fire Morr Music

tutt’altro che banali impongono ripetuti ascolti lasciando lievitare la materia sonora. Fra scampagnate country, violini irlandesi e sontuosi coretti femminili (Wooden Teeth) riassaggiamo la leggerezza di Simon&Garfunkel ed il passo dei tardi Pink Floyd (Softship). We Fell Off The Roof è un magico limbo tra Deus e Flaming Lips. Ed è proprio in questo purgatorio, forse, che questo brutto anatroccolo dell’etichetta Morr Music finisce per collocarsi: abbastanza ispirato e creativo da lambire le lande della psichedelia, ma troppo poco sperimentale per sfuggire al formato-canzone. Un orso un po’ ibrido, dicevamo. Pimpante e melanconico (Warm Blood). Mistico e carnale (Wolfboy). Benvenuti nella terra di mezzo. Tobia D’Onofrio

VAMPIRE WEEKEND Contra XL

Provate a shakerare la visione artistica obliqua e nebbiosa dell’Islanda con certo revival folk (dai Belle&Sebastian ai Fleet Foxes). No, non otterrete i Sugur Ros, bensì un ibrido orso di mare che ama le melodie soavi e la spinta visionaria della psycho-wave. La proposta non è certo innovativa, ma le capacità compositive e la sobria propensione per un suono fluttuante regalano piccoli gioiellini “a due facce” (Fire Dies Down). Se viene da pensare ad Andrew Bird e Iron&Wine (Cold Summer), è anche vero che qui l’accorata scrittura nutre un’umore più viscerale e galoppante (Build You A Fire). Arrangiamenti 38 MUSICA

Tocca ai Vampire Weekend aprire il 2010 catalizzando le attenzioni della critica, allo stesso modo in cui a gennaio scorso era toccato agli Animal Collective. Lasciate perdere i muri di psichedelia del Collettivo Animale e preparatevi a un pimpante concentrato di melodie afro-pop in salsa piccante (ascoltate Horchata, un ibrido calypso che ricorda gli AC e la Bjork di Volta). Se i gorgheggi in falsetto di White Sky potreb-

bero uccidere l’ascoltatore diabetico, sfido chiunque a non cadere preda di questo irresistibile tormentone. I Talking Heads sono un’influenza indiscutibile, ma Holiday e Giving Up tradiscono l’amore per i Police. La propulsione elettronica è stemperata dall’approccio ludico e viene voglia di sgambettare il limbo e ogni sorta di ballo di gruppo. Run spinge il piede sull’acceleratore techno-trance: l’ascoltatore intravede la pista di una discoteca, ma poi ritorna ai Caraibi sulla sua nave da crociera. Cousins sfodera le fucilate dei primi Arctic Monkeys e le nevrosi degli Strokes. Diplomat’s Son zoppica un rocksteady fra i campionamenti della voce di M.I.A. Un album fresco, divertente e immediato, ma soprattutto la conferma di una grande band. Tobia D’Onofrio

I GOT A VIOLET Backwash New model label

Nessuno di noi dovrebbe dimenticare da dove viene. Né tantomeno ha il diritto di negare i primi amori. Per chi mastica rock and roll da più di un decennio l’incontro con il garage, il beat e la psichedelia sono esperienze totalizzanti. Un trip dal quale è difficile uscire. I malati dei due accordi sono quasi più gravi di quelli affetti da passione per il progressive. Il flanger


comincia a diventare un effetto che nessuna nuova tendenza, nonostante l’evidenza, potrà far passare di moda. L’essere grezzo sarà condizione indispensabile e necessaria per rendere un disco “vero”. Ecco perché quando si incontrano gruppi come questi I got a violet non si può fare a meno di apprezzare. Garage alla luce del nuovo millennio quello contenuto nelle tracce di questo Backwash, una “risacca” musicale in cui affiorano i Kinks ma anche i Sonic youth. Tre: numero perfetto dei componenti, sound essenziale quanto d’impatto per una band che esalta ancora una volta il lavoro della brava New model label. Osvaldo Piliego

ADAMA YALOMBA Kassa Makasound

Difficile dare un suono all’Africa di oggi, tanta musica arriva da lì, tanta ormai passa da lì e lascia il segno. È così che musicisti come Adama Yalomba riescono a conciliare un forte attaccamento alla tradizione con nuove vibrazioni e nuove lingue. Suonatore del “dan”, strumento ancestrale tipico dei cantastorie, in questo Kassa riesce a conciliare le sue esperienze più varie (Keziah Jones, Tinariwen, Ali Farka Tourè) in un melange di african pop veramente di altissimo livello.

Basta ascoltare Djamakojo in coppia con Piers Faccini per avere la conferma del grande valore internazionale di questo artista. Kassa vuol dire odore e in questo disco ci sono aromi lontani che portano l’energia di una terra sempre più vicina. Osvaldo Piliego

MAURO PETRI Volo 11/8 records

A diverse latitudini il reggae ha da sempre trovato terreno fertile dove mettere radici e crescere. Pensare che in Italia la fredda Torino ha visto nascere una tra le band italiane più importanti in questo senso: gli Africa Unite. Ma il reggae, si sa, cerca il sole e dove se non in Salento e in Puglia poteva trovare luogo migliore per attecchire. Molte “voci” animano questa scena, che arriva oggi a inaugurare la seconda e forse anche la terza generazione. Caratteristica di questo fronte di reggae è una certa tipicità, l’uso del dialetto e di temi legati alla terra. Ci sono poi prodotti che partono dal tacco ma hanno contorni musicali e visioni che “volano” altrove. È il caso di Mauro Petri. Già nel progetto 05 di contrabbando fino agli albori del 2000, il brindisino Mauro ha poi intrapreso una carriera solista e dopo l’esordio del 2006 con Equilibri

torna, prodotto dalla 11/8 records con questo Volo. Un disco che unisce alle sonorità reggae roots una scrittura intimista. La voce di Petri ha intuizioni melodiche suadenti e una timbrica chiara che piace subito. Osvaldo Piliego

KALWEIT AND THE SPOKES Around the edges Irma records

Se intraprendi tre strade musicali diverse, l’unico punto in cui potrai ritrovarti è quello di partenza. Lo sanno bene Kalweit and the Spokes, ovvero Georgeanne Kalweit, voce dei Delta V, Giovanni Leziero, batterista di La Crus e Amour Fou, e Giovanni Calella, già con DjPandaj, Les Mokò, Korinami. Hanno scelto una veste musicale essenziale (voce, chitarra, batteria) e una chiave musicale che richiama il blues, l’alt country e il post punk. Codici musicali sui quali le liriche evocano un immaginario contemporaneo, a tratti frutto di suggestioni, a tratti l’attualità americana e italiana. Il risultato è denso, fatto di colori intensi, elegante negli arrangiamenti e le melodie vocali. Around the edges, titolo dell’album e di un brano è anche un omaggio al Salento. Osvaldo Piliego MUSICA 39


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AVANTI POP

Cinque brani di successo che piacciono anche a Coolclub Marina and the Diamonds – Hollywood Marina Diamandis si candida al ruolo di nuova stella a corta conservazione della musica pop. Ne abbiamo viste tante, alternarsi, in questi mesi. Entusiasmo alle stelle della critica, forse assuefatta a musica di certo non eccelsa in questo periodo storico. Entusiasmo anche di chi vi scrive, ultimamente ben più attento alle evoluzioni antropologiche del pop che a quelle qualitative dell’indie. Ha una voce decisamente superiore alla media dei periodi, la presenza scenica invece la rende meno appetibile ai tabloid. Vedremo per quanto tempo splenderanno i diamanti, i “gioielli di famiglia” (parafrasando il titolo del suo album d’esordio). Il singolo spudoratamente commerciale lascia intendere che sarà l’ennesima mucca da mungere. Ellie Goulding – Under the sheets Come sopra. Presenza scenica ancora meno chiara, voce sicuramente peggiore. Ma i soliti ben informati sono già impazziti e lo dimostra il Brit Award della critica nell’anno entrante, Anche qui, singolo che cerca il colpaccio e nasconde qualità più apprezzate dai lettori di Coolclub.it. Il coraggio nelle scelte, prima di tutto. Dimostrato nelle sue esibizioni incerte dal vivo, o firmando una collaborazione con Frankmusic dopo uno scambio di messaggi via Myspace. Confermando cantando qua e là in remix poco autorizzati. Scegliendo un produttore che potrebbe offuscare il suo ego, Starsmith, e i suoi tappeti elettronici estremamente aggressivi. Chi manderà in pensione anticipata? Lily Allen – 22 La principale candidata è Lily. Le foto della sua cellulite durante un’esibizione a Sydney hanno fatto il giro del mondo con velocità decisamente superiore ai suoi singoli. La polemica sul download (il)legale di brani l’ha costretta a chiudere

il suo blog per gli insulti. Eppure finora era riuscita a difendersi egregiamente, anche grazie ad un album che, per quanto pop, era perlomeno onesto. Questo singolo è perfettamente centrato. Ma Lily non è più così tanto amata ed interessante come accadeva sino a pochi mesi fa, e questo esercito di giovinotte non la aiuterà di certo a passare la nottata. E lei, non a caso, dice di voler smettere di cantare, o di provare a farlo. Florence and the Machine – You got the love Di Florence si parla tanto e da tanto. In Italia non aveva mai sfondato. Sino a questa You got the love, forse il singolo meno rilevante dell’album d’esordio della rossa Fiorenza, Lungs, e forse proprio per questo capace di raggiungere il successo. Nel video un’inspiegabile forzatura di registi ed esperti di marketing porta la giunonica ma non bellissima cantante inglese a dimenarsi tra allestimenti a forma di luna, feste, baccanali e riti di vario genere. Speriamo che ora si prosegua con la scoperta di quest’ottimo progetto folk-pop, magari recuperando i primi singoli, belli quanto ignorati. Jamie Cullum – Don’t stop the music Azzardo, genio o entrambe le cose? Per quanto Jamie Cullum fosse un soulman abbastanza atipico, ancora troppo giovane per apparire credibile nel suo ruolo di crooner circondato dal fumo del tabacco, non ci aspettavamo una cover. Di Rihanna, poi. Una cover che conteneva un campionamento preso dal top della produzione di Michael Jackson. La distanza tra originale e riadattamento è tale da rendere l’esperienza di ascolto assai piacevole. Perché non la riconosci facilmente, e se la riconosci pensi “ma guarda questo!” Azzardo, genio e anche un bel po’ di classe per un tentativo difficilissimo di innovare e far divertire. Dino Amenduni 41


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DAMMI UNA SPINTA Cinque artisti che ascolteremo in radio. Forse... Joy Orbison - Hyph Mngo Pensavate che il dubstep fosse un genere che non potesse evolversi o, ancora peggio, pensavate che il dubstep non avesse cambiato di una virgola la storia della musica? Non ritengo di avere argomentazioni sufficienti a smentirvi, ma vi chiedo di dedicare quattro minuti all’ascolto di questo brano di Peter O’Grady, dj e produttore di South London, già proprietario di un’etichetta sua. Il ragazzo ci sa fare, eccome. E lo dimostra con questa Hyph Mngo, in cui prova una fusione a freddo: la dubstep col sole, l’oscurita con la dance Ibizenca, l’ipnosi da pioggia bristoliana e l’ipnosi da additivi sintetici. Notevolissima. Massive Attack – Paradise circus Gli zii di Joy Orbison. Sanno di essere unici e irripetibili, ma temono la vecchiaia. Ed ecco a voi la reazione d’orgoglio. I Massive Attack, tornati dopo 7 anni di attesa con questo singolo che non dice assolutamente niente di nuovo a chi li conosce già da tempo, e che proprio per questo va ascoltato, hanno fatto un solo, piccolissimo passo in avanti. Proprio verso i nipotini. Paradise Circus suona più dubstep che trip-hop, e questo dice molto sull’eredità che proprio gli zii si autoattribuiscono citando i nipoti. Tutto il loro nuovo album, Heligoland, sarà remixato da Burial, il dioscuro del genere. Sarà un 2010 ruvido. Nota: il video è la storia di una vecchia attrice porno. Local Natives – Airplanes La sorpresa di questo inizio di stagione. Una boccata d’aria per la musica a stelle e strisce (andate a guardarvi la classifica di Billboard, siamo in pieno oscurantismo). Il singolo è forse l’episodio più rilevante di un album, Gorilla Manor, buo-

no dall’inizio alla fine. Pieno di contemporaneo revival prog-folk (la somma delle due parole è invece del tutto innovativa, forse un neologismo), à la Vampire Weekend, Grizzly Bear, Fleet Foxes, Mumford and Sons e chi più ne ha, e allo stesso tempo di maniera e rispettoso dei giganti del passato. Colpiscono le percussioni, colpiscono loro. Ma ora è lecito aspettarsi qualcosa di veramente originale. Plan B – Stay too long Ben Drew, ovvero Plan B, fa sul serio. È cresciuto, e di tantissimo. Rapper acerbo con un buon singolo e un pessimo album, torna dopo 4 anni di silenzio con questo singolo potentissimo e assai lontano da ciò che in precedenza aveva fatto. Certo, di questi giovani genietti inglesi ne abbiam visti passare tanti, con la stessa velocità con cui abbiamo pesato e poi gettato le giovani solo-singers da una stagione (vedere la rubrica Avanti Pop per capire di cosa si parla). Ma lui sembra avere fatto 13. E adesso, occhi puntati su The defamation of Strickland Banks, in uscita a fine marzo, per scoprire dov’è la verità. Daniel Merriweather e Adele – Water and a flame Perché due prove cristalline dell’esistenza della musica pop hanno bisogno di una spinta? È abbastanza inspiegabile e addirittura ingiusto, ma è così. Due splendide voci tendenti al soul, due giovanissimi talenti, due che nei loro paesi (Australia per Daniele, UK per Adele) hanno già sfondato, si mettono insieme e scrivono un pezzo inattaccabile. Qui in Italia non ce li filiamo. E nel frattempo Lady-onomatopeauhlallà finisce anche negli spot della Serie A… Dino Amenduni

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SALTO NELL’INDIE

In foto: Xabier Iriondo

BAGANA RECORDS La lombarda Bagana records è la protagonista della nostra incursione mensile alla scoperta delle etichette discografiche che producono e promuovono la musica indipendente in Italia. Un catalogo molto vario e una predilezione per il rock. Quando nasce Begana records e quali sono le sue principali caratteristiche? Bagana nasce ufficialmente nel 2002, le principali caratteristiche sono sempre state la varietà delle produzioni e l’impegno dedicato ai progetti verso quali si aveva fiducia, anche con investimenti piuttosto importanti, se paragonati a quelli che di solito si fanno nella discografia indipendente. Nel 2008 è cambiata la direzione artistica e diciamo che pur mantenendo la propria duttilità ci siamo spostati più su progetti rock. Nello stesso tempo abbiamo creato Bagana rock agency, un’agenzia di booking e management che ci permette di supportare le nostre band a 360 gradi. Il vostro catalogo è molto vario, ha un impostazione rock ma non rinuncia alla canzone d’autore e ad altri generi. Ce ne parli? In realtà abbiamo sempre pensato che produrre solo gruppi rock poteva far diventare l’etichetta troppo settoriale. Se crediamo in un progetto e lo riteniamo valido il genere musicale proposto passa assolutamente in secondo piano, come del resto la commerciabilità del prodotto. Le etichette classiche di un tempo non esistono quasi più, quali servizi offre ai gruppi la vostra etichetta? Come dicevo, noi garantiamo una booking agen-

cy che funziona, un ufficio stampa, uno studio legale a disposizione delle band totalmente gratuito, la nostra serietà ed esperienza. Allo stesso tempo con gli artisti esordienti è bene parlare con sincerità e far capir loro che fare musica è una cosa molto seria, impegnativa e che purtroppo, spesso i risultati non pagano. Chi produce musica o lavora per la musica, ha un motivo ispiratore e una filosofia che lo porta ad andare sempre avanti, qual è il vostro? Ovviamente questo è un lavoro molto complesso e impegnativo. È anche una passione, quindi penso che la filosofia giusta sia pensare a tutto ciò come ad un bellissimo hobby che a volte da delle soddisfazioni importanti. Quali sono le vostre ultime uscite? Nell’ultimo anno abbiamo prodotto molto, sono usciti molti gruppi esordienti, ad esempio i Taster’s choice che sono appena tornati dal tour in Russia, i Devotion con un disco molto bello, e gli Ocean drive che stanno andando benissimo. A breve poi uscirà il nuovo Mellowtoy e No guru, band formata da alcuni elementi dei Ritmo tribale e Xabier, ex chitarrista degli Afterhours. Questo numero di Coolclub è dedicato alla musica pugliese, cosa ne pensate? Beh personalmente la ritengo molto valida e allo stesso tempo estremamente varia, negli ultimi anni poi penso che la Puglia abbia sfornato due tra gli artisti più intelligenti che abbiamo in Italia come Caparezza e i Negramaro. Antonietta Rosato MUSICA 45


LIBRI

GIANCARLO SUSANNA Dopo cinquant’anni ancora Fred Buscaglione Nell’immaginario collettivo Fred Buscaglione è il gangster buono, il bullo dal whiskey facile, una vita bruciata in fretta. Ma Fred era molto di più, era un musicista e un uomo che vale la pena riscoprire. In occasione del cinquantenario dalla sua morte esce per Arcana Niente popò di meno che Fred Buscaglione, libro a cura di Giancarlo Susanna. Giornalista musicale de L’Unita, Audio Review, Rockerilla e Rockstar, conduttore di programmi musicali di Radio Rai come Stereonotte è anche amico e collaboratore di Coolclub.it. Niente popò di meno che Fred Buscaglione. Un personaggio mitico della canzone italiana di cui conosciamo poco. Esiste un altro lato di Fred o meglio esistono tante cose da sapere di una vita incredibile. Ce ne accenni qualcuna? 46 LIBRI

Come accade sempre agli artisti che scompaiono da giovani, Fred Buscaglione è entrato nel mito. La morte tragica, così lontana dall’esuberanza della sua musica, ha finito quasi col cancellare tutto il resto. Era molto simpatico e gentile, un “duro” dal cuore tenero. Ed era un ottimo musicista, anche se le sue canzoni più famose non sempre lo fanno capire. Era torinese, per quanto questo possa apparire scontato, e quindi molto serio e riservato. Nell’ultimo scorcio della sua breve vita si stava un po’ allontanando dai clichés inevitabili del suo straordinario successo e chissà cosa avrebbe inventato ancora con il suo fraterno amico Leo Chiosso. Di una cosa sono sicuro, dopo aver scritto questo piccolo libro: senza il grande Fred la canzone italiana sarebbe diversa. Senz’altro più triste e più grigia.


pessimista? Forse sì, ma ho nostalgia di un paese più povero ma molto più affascinante, davvero “il più bello del mondo” Accanto a Fred ci sono due elementi fondamentali: Chiosso (il suo autore) e gli Asternovas (la sua Band)… Di Leo Chiosso nel libro si parla molto, perché lui era “la testa pensante” dietro ai fuochi d’artificio di Buscaglione. Nessuno dei due avrebbe potuto fare a meno dell’altro. E nonostante Chiosso abbia scritto tante altre canzoni dopo la morte di Fred – una su tutte Parole, parole, parole per Mina e Alberto Lupo – quel miracoloso connubio creativo è rimasto isolato. Gli Asternovas erano tutti molto bravi, ma – come dire – erano un po’ messi in ombra dal loro “capo”. Tra loro non c’era un personaggio mitico come Gegé Di Giacomo, il batterista/alter ego del leader della band di Renato Carosone.

La vita di Fred attraversa un’Italia per certi versi magica, un clima musicale e culturale in pieno fermento. Ce ne parli un po’? Io sono nato del 1951 e sono quindi un figlio del secondo dopoguerra. Negli anni ‘50 l’Italia stava lentamente riprendendosi dopo le tragedie provocate dal fascismo e dal conflitto mondiale. Non ricordo di aver visto le tracce dei bombardamenti degli alleati su Roma da piccolo, perché San Lorenzo lo avrei conosciuto un po’ di tempo dopo, da adolescente, ma mi sono rimaste impresse le case segnate dalle bombe di Terracina, la cittadina del litorale laziale dove ho passato qualche estate da bambino. L’Italia comunque era molto più bella. Più povera e più provinciale, ma ancora non saccheggiata da palazzinari e speculatori. In questo aveva assolutamente ragione Pier Paolo Pasolini. Questo ai miei occhi è un elemento più importante del “boom economico” (consumistico) e di tanta musica leggera di quegli anni. Le canzoni di Fred Buscaglione e di Renato Carosone erano senz’altro un’eccezione. Sono un po’ troppo

Fred ha lasciato una grande eredità, quali sono gli artisti che gli devono molto e che a lui si sono ispirati? Tutti quelli che hanno tentato la strada difficile dell’ironia e del gioco. Da Paolo Conte al primo Capossela, da Rino Gaetano a Renzo Arbore, passando per Roberto “Freak” Antoni. Ma ce ne sono anche altri, cantanti e autori che magari Fred lo citano inconsapevolmente. Quelle canzoni sono nell’aria che ancora respiriamo, quella che ci fa sempre sognare un’Italia più bella e civile. Altri scrittori e giornalisti hanno raccontato Fred Buscaglione. Che punto di vista hai scelto per il tuo libro? Intanto approfitto di questa occasione per ricordare il libro su Fred Buscaglione di Leo Chiosso, che – accidenti! – scriveva proprio bene. Invidio le persone che hanno il grande dono della scrittura. Il punto di vista che ho usato è quello che uso sempre quando scrivo: trovare rimandi e assonanze tra cose vicine o lontane come se stessi preparando un programma radiofonico. Io in fondo sono soltanto questo: un dilettante della radio. Vivo grazie a quello che creano gli artisti e che talvolta ha bisogno di essere segnalato, scoperto o riscoperto. Mi piace citare e tirare in ballo tante cose. Non per fare sfoggio di erudizione, ma per creare cortocircuiti, per fare buona compagnia a chi mi legge o mi ascolta con la musica che amo. Osvaldo Piliego LIBRI 47


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GIROLAMO GRAMMATICO Intervista al curatore de In una sola notte, antologia senza fissa dimora In una sola notte, questo è il titolo dell’antologia edita da Ec Edizioni che raccoglie sei autori affermati del panorama letterario attuale, un esordiente e un operatore sociale, ed ha come scopo quello di sensibilizzare in merito ai senza dimora, denunciare la condizione di povertà di molti cittadini, coinvolgere i lettori in un percorso di presa di coscienza. Gli autori presenti nell’antologia sono il salentino Nino G. D’Attis, Guglielmo Pispisa, Paola Prosciuttini, Claudio Morici, Gianluca Morozzi, Maksim Cristan - l’autore del libro Fanculopensiero, racconto della sua esperienza consumatasi in strada, edito prima da Lupo e poi da Feltrinelli - Gaetano Messineo e Mauro Pettorruso. Ogni racconto narra una possibile notte in strada con i suoi deliri, le sue difficoltà, le sue paure e solitudini. Il curatore dell’antologia è Girolamo Grammatico, scrittore e operatore sociale, che da anni si batte per la difesa dei diritti dei senza dimora.

Anche qui la scelta è stata dettata da due motivi. Il primo, non me ne voglia nessuno, è la stima e l’amicizia che mi lega a queste persone unite alla sicurezza che avrebbero aderito ad un progetto sociale con pieno entusiasmo. Il secondo motivo è il loro percorso di scrittura. Ognuno di loro ha sondato l’animo umano con una sensibilità vicina a quella che cercavo per il progetto. Ognuno di loro, nei libri pubblicati, si è avvicinato alle marginalità della vita raccontando le ombre del singolo uomo e della società.

Quali sono gli obiettivi di una simile operazione editoriale? Il progetto ha due obiettivi chiari. Il primo è sostenere Shaker. Pensieri senza dimora, il trimestrale su cui scrivono i senza dimora, o meglio: quei senza dimora che partecipano al laboratorio di scrittura da me tenuto al centro diurno Binario 95, situato vicino la Stazione Termini. Infatti il ricavato del libro servirà a finanziare la rivista che non ha sostenitori, se non pochi affezionatissimi “abbonati”. Il secondo obiettivo è sensibilizzare sul tema. Purtroppo noi del terzo settore, noi addetti ai lavori non sempre siamo in grado di comunicare con efficacia i percorsi della solidarietà. Anzi, a volte, otteniamo l’effetto opposto. La letteratura e le storie che essa veicola invece parlano a tutti e raggiungono, in un modo o in un altro, l’abito mentale della collettività più di quanto si possa immaginare.

Sono anni che lavori come operatore sociale nell’ambito delle problematiche dei senza fissa dimora. Com’è cambiata, vista la tua esperienza, la percezione della gente nei confronti di questi uomini e queste donne meno fortunate? Onestamente, in questi anni, ho visto il radicarsi di numerosi luoghi comuni sostenuti dalla mancanza di un’informazione attenta e dalla ricorsività di piani d’intervento non funzionali alla risoluzione del problema. Sento ancora gente, poco più grande di me, leggo ancora titoli di giornale con la parola “barbone” sbandierata senza senso, dire che è una scelta la loro, mi confronto con amministrazioni preoccupate più per la loro poltrona che dei cittadini. Per fortuna, però, i cambiamenti veri hanno tempi lunghi, generazionali ed io lavoro sul campo da solo dieci anni. Posso dire che piccoli cambiamenti li ho visti, più nei senza dimora, che nei residenti! Rossano Astremo

Perché hai selezionato questi autori e non altri?

Se dovessi consigliare un unico racconto ai lettori quale sceglieresti? Ovviamente consiglierei Gaetano Messineo, l’unico esordiente del libro. Il motivo è semplice: non esiste, attualmente, alcuna occasione per leggerlo, siamo i primi a pubblicarlo e ne siamo fieri!

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FILIPPO LA PORTA È finita la controra Manni

Il bravo editore Manni ha da poco pubblicato È finita la controra, un’antologia curata dal critico Filippo La Porta che raccoglie brani dai romanzi di diciannove scrittori pugliesi nati tra il 1956 e il 1986. Secondo La Porta la Puglia sta vivendo un nuovo rinascimento letterario, o Nuovelle Vague. Il critico parte da una domanda: è possibile rintracciare una linea comune tra le diverse anime narrative della Puglia? La risposta è, naturalmente negativa, ma riesce, La Porta a descrivere una certa tendenza comune alla mutazione, una resistenza alla modernità, seppur inconsapevole. Fa molto piacere vedere raccolte in un unico volume alcune delle migliori pagine scritte da autori pugliesi negli ultimi anni. Leggere, come se fosse un unico grande racconto, le storie di Puglia. I diciannove autori raccolti nel libro sono diversissimi tra loro per genere e tematiche trattate: si va dal giallo-noir di De Cataldo, Carofiglio, Lomunno e, se vogliamo, De Michele, al western pugliese di Omar Di Monopoli, ai

reportage di Alessandro Leogrande, al blog trasferito su carta di Pulsatilla, alle invenzioni narrative e linguistiche di Livio Romano, Carlo D’Amicis, Mario Desiati e Cosimo Argentina, allo sguardo cinematografico di Andrea Piva, al romanzo di formazione di Nicola Lagioia. Chiudo dicendo che condivido appieno l’idea di La Porta e Manni di pubblicare questo libro che può essere l’occasione per rileggere o leggere alcuni validissimi autori pugliesi che ben rappresentano davvero questa Nuovelle Vague del tacco d’Italia. Insomma, come direbbe Francesco Facchinetti, sosteniamo e compriamo la buona narrativa pugliese. Dario Goffredo

MARIO PERROTTA Il paese dei diari Terre di mezzo

Nei suoi spettacoli teatrali l’attore leccese Mario Perrotta lavora sulla memoria. Dai racconti dei migranti che lasciavano la propria terra in cerca di lavoro sono nati alcuni spettacoli teatrali e una trasmissione radiofonica. Qui, passando dal ruolo di autore/attore a quello di scrittore, si cimenta con un

racconto in bilico tra finzione e realtà. Ne Il paese dei diari illustra l’esperienza di Pieve Santo Spirito, paesino toscano, dove nel 1984 il giornalista Saverio Tutino ha fondato un Archivio diaristico nel quale sono raccolti oltre seimila manoscritti. Ognuno può mandare il suo diario, o quello dei parenti scomparsi, e sperare nel giudizio della giuria (composta dall’intero paese) che decide cosa pubblicare ogni anno. Quello di Perrotta però non è un reportage su quanto accade a Pieve ma un racconto – guidato dal Virgilio Tutino - del mondo dei diari che nella notte si muovono, parlano. Ognuno racconta la propria storia e solo in questo mondo fantastico fascisti e partigiani possono stare l’uno accanto all’altro, solo così risorgimento e fine 900 diventano contemporanei. E poi ci sono storie incredibili come quella di Clelia Marchi che un giorno, affranta dall’assenza del defunto marito, inizia a scrivere su un lenzuolo bianco, conservato in una teca nella stanza principale dell’archivio. Un enorme foglio da compilare con la propria storia. “A Pieve Santo Stefano di diari ce ne stanno a migliaia e sono pieni di memorie transitorie, di incroci di frutta e colori, di esperienze utili per andare al mercato delle mele, migliaia di leve simili, ma differenti, memorie che messe tutti insieme non fanno un monumento”, sottolinea Ascanio Celestini nell’introduzione. “Storie effimere nelle quali Perrotta s’è fatto un giro tirando un po’ di leve e raccontandoci che senza i ricordi personali l’effimero della memoria non transita da nessuna parte”. Il volume è completato da alcune fotografie dei diari e da un capitolo di Loretta Veri, direttrice organizzativa della LIBRI 51


Fondazione, che spiega la genesi, la storia e il futuro di questa incredibile iniziativa di memoria personale e collettiva. Pierpaolo Lala

ANNA MARIA DE LUCA Divento Lupo Editore

La raccolta poetica di Anna Maria De Luca dal titolo Divento, uscita nella collana Ciribibi edita da Lupo editore, parla il linguaggio del desiderio e dell’assenza, della libertà e della separazione, di Amore e Morte, di solitudini sconfinate che sollecitano l’attesa. Certo questa poetessa lavora sulla costruzione del senso della pelle, poiein dermico per eccellenza, ma non piange, nel senso che la sua scrittura è amara, acidamente sarcastica, priva però della gestazione semantica del lamento. La sua voce, assorbe nuances dal mito, dall’ancestralità di una trance che soltanto il dionisiaco e il demonico della Poesia può dare; la sua voce è sintagma che cuce tessuti verbali eleganti e raffinatissimi come stoffa pregiata e rara che proviene da terre lontane; la 52 LIBRI

sua voce è scrittura e racconto che non cede alle lusinghe di fumose fantasticherie, anzi diviene centralità del percepire l’esistere con grande lucidità ed energia. Già perché anche se la poesia di Anna Maria De Luca è un canto che celebra un eterno sì alla vita, non per questo lo si deve ritenere un modulare fine a se stesso circa il ritmo e il gusto della parola: parliamo in questo caso di dialogo costruito su entità astratte dell’”Io/Tu” visto come desiderio di costruzione di rapporto comunicante con la vita, e che all’interno di essa si fa Forza sublime e sublimante. Ad ogni modo parliamo di una raccolta poetica da assaporare con tutti i sensi, che a mio avviso dovrebbe essere gustata dalle stesse labbra della poetessa… parliamo di poesia interattiva nel senso pieno del termine. Stefano Donno

GIUSEPPE GENNA Le teste Mondadori

Il genio assoluto di Giuseppe Genna torna a cimentarsi con il thriller (pseudo thriller, lo definisce lui) e lo fa, come al solito, spiazzando, stravolgendo

le regole del genere, uscendo dal seminato, tracciando nuove strade che difficilmente altri riusciranno a percorrere. Le teste segna il ritorno dell’ispettore Guido Lopez cinque anni dopo Grande Madre Rossa. Lo ritroviamo sempre più vuoto, sempre più cupo e sempre più Lopez. In questi cinque anni Giuseppe Genna è passato attraverso alcuni libri fondamentali, per lui (suppongo) e per i suoi lettori. E l’esperienza de L’anno luce, Dies Irae e Italia De profundis è forte e ben presente in questo ultimo lavoro di uno dei miei autori italiani preferiti (se non il preferito). La prosa è diversa da quella usata nell’ultimo noir, è meno rarefatta, più contorta, sia come costruzione delle frasi sia come vocabolario, ma il risultato è sempre lo stesso, ed è devastante: il senso di gelo si impossessa del lettore pagina dopo pagina e a poco serve l’intermezzo in corsivo del Digesto delle teste, sorta di metalibro a cui Genna ci aveva già abituati con il metaromanzo Dies Irae, non serve a stemperare la tensione, non serve a ripristinare una sorta di stato di calma dopo l’agitazione provocata dalle visioni lopeziane. I thriller di Giuseppe Genna mi fanno fare gli incubi, ed è questo che devono fare i thriller, devono tenerti sulle spine, ma non per un uso sapiente e costruito della suspense, ma per la capacità di mettere a nudo, scorticare, lasciare esposta al sole la carne viva del proprio malessere. Ecco, Genna riesce a fare questo: riesce a individuare il mio proprio, unico e personale malessere e stuzzicarlo fino a renderlo gonfio e purulento, insopportabile quasi. Ed è a quel punto che di solito il romanzo finisce lascian-


domi solo con i miei incubi e facendomi pensare che il genio esiste. Dario Goffredo

WU MING Altai Einaudi

Amo le belle storie raccontate bene. Le amo con tutto me stesso. Quando mi capita tra le mani un libro come Altai, l’ultimo romanzo del collettivo bolognese Wu Ming, provo un senso profondo di appagamento. Gli uomini raccontano e ascoltano storie dall’alba dei tempi. È nella nostra natura, siamo animali narranti. E Wu Ming dimostra come sempre di sapere molto bene come si raccontano le storie. Circa 400 pagine per parlare, ancora una volta, della storia dalla parte sbagliata della storia. Siamo nel 1569 (Q, il romanzo dei bolognesi ormai entrato nel mito, finiva nel 1555) e ci muoviamo tra Venezia, Ragusa (quella dalmata, conosciuta come Dubrovnik), Salonicco, Costantinopoli, Cipro e Lepanto per seguire le vicende di Emanuele De Zante alias Manuel Cardoso, un giudeo battezzatosi cristiano e poi ritornato giudeo. Ma Altai non

è la storia delle vicende personali di Manuel, ex contrabbandiere, ex agente segreto della Repubblica di Venezia, tradito per essere trattato da traditore dalla gente che aveva servito per anni e risorto a nuova vita grazie al nemico pubblico numero uno della Serenissima, il giudeo Giuseppe Nasi, uomo che coltiva un progetto, un’utopia: costruire un regno ebraico, donare al suo popolo la terra santa, un luogo dove regni la tolleranza religiosa tra i popoli. Altai poi ci regala il ritorno di un personaggio a cui sono molto affezionato come, credo, tutti i lettori di Q: quel Tedesco, conosciuto anche come Gert Dal Pozzo, Ludovico, Tiziano l’Anabbatista che ritroviamo sotto il nome di Ismail Al Mokhawi. È invecchiato, Tiziano, è un po’ provato dalle sue esperienze passate, ma è sempre lui, con la sua energia trascinante, con la sua lucida intelligenza, con la sua conoscenza del mondo. Dieci anni fa usciva in Italia Q e tante cose sono successe da allora, tante volte abbiamo pensato a quell’omnia sunt communia che lo caratterizzava, gli stessi Wu Ming ne hanno ragionato a più riprese fino a far nascere questo Altai (e ritardando così il secondo capitolo della trilogia iniziata con Manituana) che lo riprende, lo richiama, ma ne sposta, in modo molto efficace, il punto di vista, l’ambientazione e le conclusioni politiche (non farò commenti su questo punto, rischio di dire cose sbagliate come è già successo per Manituana - vedi http://www.wumingfoundation.com/italiano/ Giap/giap12_VIIIa.htm). Aggiungo un’ultima cosa: la bellezza di certe frasi che restano appiccicate addosso a chi legge, la bellezza di certe immagini vivide e, soprattutto, la

bellezza della lingua usata sapientemente per rendere quel crogiuolo di civiltà e di popoli che era il mar Mediterraneo nel XVI secolo. Un libro bellissimo, una prova entusiasmante per il collettivo Wu Ming, giunto ormai ad una piena maturazione artistica che porterà in futuro sicuramente altre storie memorabili come questa. Leggete, meditate e diffondete. Dario Goffredo

KRILL Consumo/Verità Lupo editore

Il rapporto tra il consumo e la verità, e tutto quello che ne discende, è l’argomento di questo Krill 01 presentato ufficialmente a Lecce lo scorso 28 gennaio. Per chi non lo sapesse, Krill è una rivista di filosofia la cui redazione ha sede all’interno delle Manifatture Knos. Se non può essere considerata la rivista di Knos, vero è che di un certo milieu Krill e i suoi redattori sono figli e trasmettono in qesta bella rivista tutto il loro background fatto di filosofia e ideali che condividiamo. L’argomento non viene trattato enciclopedicamente ma per spunti e riflessioni che con liguaggi diversi assorbono le suggestioni dettate dal tema. il risultato è una rivista che si legge come un libro e varia come un’antologia. (DG) LIBRI 53


ARCANA EDITRICE

Una nuova casa editrice da presentare, anche se Arcana per chi come noi vive di musica è un’istituzione. È responsabile in Italia della formazione di giovani appassionati di musica, è l’informazione e l’approfondimento su artisti che amiamo. È storia e memoria. Abbiamo parlato con Gianluca Testani, musicista, giornalista musicale e direttore editoriale della casa editrice. Musica e scrittura sono pianeti da sempre sulla stessa orbita. Arcana è scrittura e musica insieme, racconto, analisi e storia. In quanti modi si può scrivere di musica? In tutti i modi che la fantasia ci suggerisce. Alcuni si limitano al compitino, altri si spingono fino a lambire la letteratura. Temo che di Lester Bangs ne nasca uno ogni due o tre generazioni, ma ci sono stati e tuttora ci sono decine di eccellenti critici che non si fermano alla prima impressione e non si accontentano di descrivere, ma cercano di afferrare un’idea, di creare una nuova prospettiva, di mettere in connessione aspetti e interi mondi separati. La balla che non 54 LIBRI

si possa scrivere di musica – ché sarebbe come ballare di architettura – non è che una boutade. Arcana ha una storia molto lunga, ce la racconti brevemente? Credimi, nessuno è in grado di ricostruire dettagliatamente la picaresca vicenda editoriale di Arcana. Degli inizi s’è persa memoria. Qualcuno giura di aver frequentato la libreria di Via del Babuino, a Roma, che si chiamava appunto Arcana e tra le cui mura sgorgò l’idea di una casa editrice “controculturale”. Era la fine degli anni Sessanta. Per tutti i Settanta, il marchio è stato legato a un’idea di editoria artigianale, tra saggistica socio-musicale e musicale tout court. La musica è diventata l’unica ragion d’essere di Arcana negli anni Ottanta, sotto la direzione editoriale di Riccardo Bertoncelli, il decano dei giornalisti musicali italiani. Cambiando proprietà e sede (Roma, Milano, Padova, ancora Roma) decine di volte, il marchio ha retto fino agli anni Novanta, quando è stato guidato da Ezio Guaitamacchi. Da una dozzina d’anni, ormai, fa parte del gruppo editoriale VivaLibri, se si eccettua un


giorno sorprendente. L’editoria musicale segue la crisi della vendita dei dischi o quella della vendita dei libri? A parte gli scherzi, qual è lo stato di salute del mercato? Tutti sono in crisi. L’editoria lo è da decenni e si regge ancora in piedi. La responsabilità della crisi del disco è di Internet, oltre che “ovviamente” dei discografici. Probabilmente in futuro si scaricheranno libri con la stessa noncuranza con cui oggi si scaricano i dischi, ma personalmente ritengo che il processo sarà molto, molto lento.

breve periodo – tre o quattro anni – in cui la comproprietà era di Fazi Editore. Cosa è cambiato dal tuo arrivo in casa editrice? Intanto, solo musica. Il che significa non più anche saggistica e fumetti extramusicali, com’era stato negli ultimi due o tre anni. la produzione, in più, è sensibilmente aumentata, passando in un solo anno da 15 a 40 titoli. E per il 2010 se ne prevedono altri 45. Stiamo cercando di raccontare non solo quello che è successo al rock classico del passato, ma anche quello che succede oggi, proprio oggi, alla musica. La tua vita è dedicata alla musica a 360°. Sei giornalista, direttore editoriale e musicista. Come vivi queste tre anime? Da giornalista comincio ormai a sentirmi un ex. Scrivo sempre meno e, per ora, non mi manca. Come musicista… quello non è mai stato un lavoro. Nemmeno un hobby, in realtà, perché non si è mai trattato di giocare e scherzare. La passione è smisurata, e lo è ancora. Il lavoro di direttore editoriale è stimolante, divertente, ogni

Avete una produzione frenetica, pubblicate molto e di tutto, quali sono le vostre prossime uscite? In realtà, la nostra produzione non è così sterminata. Non vorremmo mai dare l’impressione di pubblicare libri a pioggia. Dietro ogni titolo c’è un progetto, uno sguardo su quello che accade, e c’è sempre una sincera volontà di raccontare storie interessanti. In sostanza, abbiamo tre collane. Una, di testi commentati, produce 7-8 titoli l’anno: prossimamente sono attesi lavori su Johnny Cash, Metallica, Howlin’ Wolf, Nick Cave, Beatles, ecc. La collana Songbook, dedicata agli artisti italiani, conta già una ventina di libri e presto si arricchirà di volumi su Angelo Branduardi, Francesco Guccini, Cristina Donà, Marlene Kuntz e altri. Sotto l’intestazione “Musica” ci va tutto il resto, dalle grandi biografie (Clarence Clemons, Ozzy Osbourne, Van Morrison, Jeff Buckley, Cat Power, Marvin Gaye…) a saggi di vario tipo (It Still Moves, Suoni&Visioni, Delitti Rock, Storia ragionata dell’Hip Hop italiano…). Tra le vostre ultime uscite c’è l’Enciclopedia del Rock, come ci si approccia con un’opera così complessa? Come si sceglie? L’Enciclopedia è l’opera più longeva e prestigiosa di tutto il catalogo Arcana. Come si progetta una cosa così enorme bisognerebbe chiederlo a Bertoncelli, che intraprese l’avventura per primo a metà degli anni Ottanta, quindi in epoca pre-Internet, quando il reperimento delle notizie era una sfida in sé. Il primo ad accorpare i cinque volumi originari, uno per decennio, è stato il sottoscritto, insieme con Mauro Eufrosini, alla fine degli anni Novanta. È la nostra eredità più solida e nessuno ci toglierà mai il piacere di aggiornarla e rieditarla ogni fine-decennio. Questo numero di Coolclub.it è dedicato alla musica pugliese, cosa ne pensi? Penso che prima o poi un libro sulla Taranta lo faremo anche noi! Osvaldo Piliego LIBRI 55


CINEMA TEATRO ARTE

Ph: Sergio Stamerra

DANZE DI PALLONI E DI COLTELLI

Il corto dI Chiara Idrusa Scrimieri rientra nel progetto Memoria dell’Apulia Film Commission Tradizione popolare e religiosità, sacro e profano, danza e musica: il cortometraggio Danze di palloni e di coltelli di Chiara Idrusa Scrimieri racconta un sud sospeso, quasi impossibile da pensare. Protagonista è Leonardo Donadei, schermidore e ballunaru. A Parabita, in provincia di Lecce, ha un laboratorio dove costruisce i palloni di carta, quelli colorati che spiccano il volo durante le feste patronali. Ma Leonardo è anche uno dei componenti della Compagnia di scherma salentina, che da molti anni a questa parte, mantiene in vita e tramanda alle nuove generazioni la danza-scherma, un’espressione artistica e tradizionale tipica del sud Salento e che nella Notte di San Rocco a Torrepaduli (tra il 15 e il 16 agosto) vive la sua “celebrazione”. Co56 cinema teatro arte

dici, colpi, coltelli, parole taglienti abitano una lingua nodosa, introversa, che s’interroga sulla propria storia difficile. Il film diventa scansione della quotidianità della vita di Leonardo, in casa, per strada, nel laboratorio, nel circolo che gestisce con gli amici, sulle terrazze dove si allena con gli schermidori, tra le feste patronali e sullo sfondo di un Salento invernale. Un racconto che culmina attorno alla Focara di Novoli, ai fuochi e ai palloni che spiccano il volo. “Una sera d’agosto del 2008, trascinata a Parabita da Alessandro Coppola, mi sono imbattuta in questo gruppo di danzatori”, racconta la regista Chiara Idrusa Scrimieri. “Quella sera a cena mi resi conto di essere di fronte a uno scenario


nuovo eppure da sempre conosciuto (nel senso dell’appartenenza), quello di un salento segreto e fiero, di cui avevo ricevuto sporadiche percezioni in giovinezza attraverso il lavoro giornalistico di mio padre e delle sue amicizie e frequentazioni: ricercatori, scrittori, giornalisti, fotografi, studiosi, curiosi e cultori della nostra salentinità, quando il concetto di cultura non era che intuizione di qualche riconosciuta voce intellettuale e le politiche cittadine erano ben lontane da quella consapevolezza. Di fronte a questo senso di meraviglia c’era la percezione altrettanto chiara che la gente che stavo conoscendo apparteneva a un mondo scollegato dal resto, affascinante e quasi antico o perduto (o in via di estinzione), strettamente intrecciato a una salentinità dell’entroterra, aspra, a tratti misera, in ogni caso legata a una storia dura e poco conosciuta, personale e collettiva. La figura di Leonardo Donadei”, prosegue la regista “è stata determinante. Solo guardandolo ho pensato che sarebbe stato interessante intraprendere un viaggio alla scoperta della sua figura ambivalente, sospesa tra terra e aria, tra il codice marziale e i linguaggi della strada da un lato e i palloni votivi dall’altra”. Grazie alla collaborazione con Alessandro Coppola, leader dei Nidi D’Arac, che firma la colonna sonora, e soprattutto di Davide Monaco, giovane ricercatore e schermitore, si è instaurato tra la regista e i suoi “attori” un “rapporto straordinario, di reciproca fiducia, di reale consapevolezza di stare condividendo un viaggio ispirato dal desiderio di conoscenza, molto rispettoso gli uni degli altri, quasi un gioco partecipato”, precisa. “Quello del corto è un mondo sospeso e i poli opposti tra cui oscilla (terra e aria, ma anche passato e futuro, armi e gesti simbolici, codici e condivisioni) saranno anche più evidenti nel lungometraggio, che stiamo preparando. È un mondo sospeso e surreale ma anche in forte trasformazione, in cui i linguaggi aspri della strada si mescolano ad altro, si stilizzano, non sono più solo memoria della tradizione collocata nel tempo, antropologia d’un mondo perduto, ma lingua in evoluzione, codice marziale e danza insieme, arte del corpo, del movimento, della sfida, della relazione. È un mondo segreto e diffidente, naturalmente, disposto a condividere solo in parte codici e percorsi personali, ma altrettanto curioso di mettere la testa fuori di casa”, conclude la regista. Il cortometraggio di Chiara Idrusa Scrimieri – che sarà distribuito in edicola in dvd con quiSalento nel mese di aprile - è stato prodotto grazie al Progetto Memoria, realizzato dall’Apulia Film Commission nell’ambito della programmazione “Sensi Contemporanei” con fondi della Regione

Puglia, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Come sottolinea l’Apulia Film Commission è “un’iniziativa unica nel suo genere in Europa, nata per coinvolgere i giovani operatori pugliesi del settore dell’audiovisivo nella realizzazione di cortometraggi, documentari o di fiction, sulle diverse sfumature dell’identità pugliese del ‘900”. Sette lavori realizzati su ben 42 proposte, giunte da tutta Italia. Oltre al corto della Scrimieri sono stati prodotti Otnarat – Taranto a futuro inverso di Nico Angiuli, Giardini Di Luce, un documentario sperimentale di Lucia e Davide Pepe, Kalif di Raffaele Fusaro, Salento Terra di Popoli di Paola Manno, Di chi sei figlio di Corrado Punzi e Vituccio, terra e canti di Matteo Greco. In Di chi sei figlio di Corrado Punzi (prodotto da Fluid Video Crew), con le musiche di Officina Zoè, a causa della morte della nonna, un ragazzo torna a Lizzanello, un piccolo paese in provincia di Lecce e suo paese d’origine. L’infelice evento diviene occasione per ricostruire e narrare le dinamiche di un mondo passato legato alla lavorazione del tabacco. Il ragazzo scopre che le lotte tra propietari e tabacchine culminarono nel 1948 in un attentato durante un comizio comunista di Giuseppe Calasso. Queste notizie, che sino ad allora ignorava, lo portano a confrontare le memorie bonarie di sua madre e della parte della sua famiglia che ha ereditato le proprietà dei suoi nonni con i racconti delle poche tabacchine superstiti che raccoglievano il tabacco nei campi e nella manifattura della sua famiglia. In Vituccio, terra e canti di Matteo Greco, scritto da Paolo Pisanelli con musiche Giandomenico Caramia e prodotto da Big Sur, si racconta invece la storia di Vito Nigro, detto Vitucc’ de Carcagne, un pastore che da sessant’anni alleva capre a Villa Castelli, in provincia di Brindisi. Ma Vituccio è conosciuto e apprezzato per le sue doti di cantore. Canta alle serenate di matrimonio, all’osteria, alle fiere degli animali, alle feste. I suoi canti sprigionano energia e attraggono sempre molta gente di ogni età. Vituccio, accompagnato da Mario Salvi e Giandomenico Caramia, si è anche esibito in numerosi festival ed è salito sul palco del Concertone della Notte della Taranta di Melpignano, nell’edizione 2008, davanti ad oltre 100 mila persone. Il documentario è un racconto poetico della vita di questo anziano cantore e pastore, che ama la musica ma soprattutto le sue capre. Pierpaolo Lala cinema teatro arte 57


AVATAR

La pellicola dei record apre un nuovo mondo Ha superato ogni record e ha vinto anche la mia pigrizia. Un film così atteso da costringere i cinema ad attivare le prenotazioni on line. Impressionante. Certo James Cameron (già regista di Titanic) sa bene il significato dell’aggettivo colossale. E lo è tutto, ancor prima del film, al punto che arrivi in sala emozionato con la sensazione di prepararti a vivere un’esperienza collettiva. La consegna e l’inforcatura degli occhiali si consumano come un rito di passaggio dalla realtà al 3D. Gli elementi dell’epica americana ci sono tutti: c’è il marine ( disabile per giunta), c’è un mondo futuribile in piena crisi energetica, ci sono i buoni e ci sono i cattivi. C’è una razza che sembra aver capito tutto, esseri in simbiosi con madre natura che popolano un pianeta da sogno: Pandora. Già qui la gamma di citazioni e rimandi al cinema fantastico e di fantascienza sarebbero tantissimi. Ma c’è un elemento che rende il film di Cameron unico (secondo alcuni l’inizio di un nuovo modo di fare cinema): la sua capacità di creare un nuovo mondo, una popolazione con la sua cultura una nuova flora e una fauna tanto fantastica quanto credibile. 58 cinema teatro arte

Si è letteralmente avvolti da Pandora (merito anche dell’uso sapiente e non eccessivo del 3D). Pandora è un mondo e neanche per un attimo si crede possa essere frutto di invenzione. Merito non solo delle tecnologie utilizzate ma anche da anni di preparazione e studio di sceneggiatori e scienziati. Il film è una critica, neanche velata, a un pianeta (la Terra) e a un paese (l’America) mai citato direttamente, rappresentati come simbolo dell’errore e dell’avidità. Gli opposti vengono, nella perfetta tradizione hollywoodiana, edulcorati. I Na’vi diventano ben presto pericolosamente New Age, alcuni rituali un po’ freak e certi simbolismi fanno addirittura sospettare una vicinanza a Scientology. C’è un elemento che infrange il sogno, il retaggio americano di vedere la guerra come unica possibile soluzione. È quando comincia a scorrere il sangue che Pandora comincia a vacillare, la speranza coltivata fino al momento prima si infrange. Alla fine il ritorno alla realtà, la fine del film è quasi traumatica. Quello che resta è una grande opera di immaginazione, un omaggio alla purezza e uno spettacolo talmente bello che non è vero. Osvaldo Piliego


L’ARCANO SPLENDORE DI LUIGI PRESICCE L’artista salentino mette in scena un rito iniziatico massonico sui simboli del fuoco e del triangolo

C’è della magia nella figura e nell’opera di Luigi Presicce. Ma non la magia bella e dolce e rassicurante di fatine, elfi e affini. C’è la magia del mistero, del misticicismo inteso come tensione verso altro da noi. C’è splendore, terzo appuntamento di una serie di performance portate in scena nel Salento da Luigi, artista originario di Porto Cesareo ma trapiantato a Milano, è un inno alla simbologia del triangolo, segno divino per eccellenza, simbolo del maschile e del femminile. È una piramide bianca il copricapo che due figure pressoché identiche indossano mentre officiano questa sorta di rito massonico in cui 74 chilogrammi di cera (corrispondenti al peso dell’artista, e già utilizzati nella precedente performance del ciclo) vengono sciolti e colati all’interno di una piramide rovesciata (simbolo del femminile) a significare l’unione di maschile e femminile, a riproporre in maniera rituale l’atto sessuale, il passaggio dell’artista dalla forma solida alla forma liquida alla ricerca della sua compiutezza e completezza. Il triangolo è anche il simbolo del fuoco. Ed è infatti col fuoco sprigionato da un cannello che viene sciolta la cera, fiamma libera che purifica e impaurisce, che attrae e repelle, come i simboli fallici che completano la scena insieme ai cappelli e alla piramide rovesciata, e cioè un naso d’oro con evidenti richiami iniziatico-sessuali che viene posato, all’inizio della cerimonia, in una nicchia, anch’essa triangolare, ricavata nel muro dell’edificio che ospitava la performance, musicata con i piatti che creava-

no un tappeto sonoro ipnotico e inquietante, da una maschera nera, in contrasto con il bianco dei due officianti, dai cui occhi fuoriusciva un lungo pianto di capelli. Due parole sull’edificio. Una vecchia casa in ristrutturazione nel centro storico di Lecce che conferiva al tutto un’atmosfera ancora più marcatamente massonica e segreta, pur essendo in pieno centro alle tre del pomeriggio di sabato 30 gennaio. Presicce riesce, come un perfetto Maestro della cerimonia, o come un diavolo dell’inferno, con pochi gesti e con una scenografia essenziale, a essere evocativo e mitopoietico, a ricreare un’atmosfera arcana e arcaica insieme, a riportare tutto all’origine lasciando in chi assiste un senso profondo di sgomento e sensualità. Dario Goffredo cinema teatro arte 59


EVENTI MUSICA VENERDÌ 5 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) The Alcoholic Alliance con Southern Drinkstruction, Assaulter e Dreker VENERDÌ 5 - Saletta della Cultura di Novoli (Le) Germano Bonaveri SABATO 6 - Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Insintesi presentano Salento in dub SABATO 6 – Sotterranei di Copertino (Le) Requiem for Paola P. SABATO 6 – Vite di Nardò (Le) Postman Ultrachic DOMENICA 7 – Santa Sofia di Grottaglie (Ta) Germano Bonaveri DOMENICA 7 – Somnia Theatri di Calimera (Le) Roberto ed Emanuele Licci DOMENICA 7 – Vite di Nardò Elettro duo con Carla Casarano e Marco Rollo MERCOLEDÌ 10 – Caffè Letterario di Lecce Gennie MERCOLEDÌ 10 – Museo Castromediano di Lecce Francesco Libetta suona Chopin GIOVEDÌ 11 – Molly Malone di Lecce Sonic the Tonic dj-set GIOVEDÌ 11 - Skatafashow di Aradeo (Le) Discoparty 70 VENERDÌ 12 - Saletta della Cultura di Novoli (Le) Ray Tarantino VENERDÌ 12 – Wine Bar di Brindisi Tobia Lamare and The Sellers VENERDÌ 12 - Istanbul Cafè di Squinzano (Le) TVcolors VENERDÌ 12 – Endorfina di Montesano Salentino (Le) Moltheni VENERDÌ 12 – Molly Malone di Lecce The Fillers VENERDÌ 12 - Zei di Lecce Ill heaven VENERDÌ 12 - Vite di Nardò (Le) Soul to soul - Salvatore Cafiero 60 EVENTI

e Gaia Rocca SABATO 13 – Spazio Off di Trani (Ba) Moltheni SABATO 13 – Teatro Forma di Bari Mario Venuti SABATO 13 - Skatafashow di Aradeo (Le) Carnevalata in maschera SABATO 13 – Sinatra Hole di Ugento (Le) Random e Bruise Violet SABATO 13 - Teatro Kismet di Bari Brunori Sas SABATO 13 – Youm di Lecce Tobia Lamare & the Sellers – Showcase SABATO 13 – H25 di Bari Chicks On Speed SABATO 13 – Aioresis Lab di Nardò Gopher SABATO 13 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Ballarock SABATO 13 – Officine Cantelmo di Lecce Rekkiabilly e dj set SABATO 13 - Vite di Nardò (Le) Turntable night - live Scratch dj cordella DOMENICA 14 – Aradeo (Le) Papa Chango DOMENICA 14 - Skatafashow di Aradeo (Le) Happy Hour LUNEDÌ 15 - Skatafashow di Aradeo (Le) Barnevale/Puccia - Sound du brasil MARTEDÌ 16 - Spazio Off di Trani (Ba) La Banda del Tarantino + Paipers GIOVEDÌ 18 – Molly Malone di Lecce Str8ker from Ballarock GIOVEDÌ 18 – Sotterranei di Copertino (Le) Runi GIOVEDÌ 18 – Skatafashow di Aradeo (Le) The Hacienda VENERDÌ 19 – Saletta della Cultura di Novoli (Le) Fabrizio Consoli VENERDÌ 19 – Teatro Kennedy di Fasano (Br) Niccolò Fabi e Gnu Quartet VENERDÌ 19 – Ostuni (Br)

Mario Venuti VENERDÌ 19 - Istanbul Cafè di Squinzano (Le) The Hacienda VENERDÌ 19 – Molly Malone di Lecce Antonio Freesino VENERDÌ 19 – Vite di Nardò Giancarlo del Vitto duo VENERDÌ 19 – Endorfina di Montesano Salentino (Le) Tripping Flowers SABATO 20 - Spazio Off di Trani (Ba) Jennifer Gentle + Slumberwood SABATO 20 - Sotterranei di Copertino (Le) Les Spritz SABATO 20 – Gabba Gabba di Taranto Miura SABATO 20 – Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Lobello Night con Pete Ross e Tobia Lamare SABATO 20 - Vite di Nardò (Le) Max Baccano dj Set vs Raffaele Casarano DOMENICA 21 – Vite di Nardò Da qualche parte Sandra LUNEDÌ 22 - Teatro Petruzzelli di Bari Alex Britti MARTEDÌ 23 – Fabbrica dei Gesti di San Cesario di Lecce Martedinfabbrica con Noche flamenco GIOVEDÌ 25 – Molly Malone di Lecce Amerigo Verardi vs Marco Ancona dj-set VENERDÌ 26 – Molly Malone di Lecce P40 VENERDÌ 26 – Vite di Nardò Alberto Parmegiani Duo VENERDÌ 26 – Istanbul Cafè di Squinzano (le) The Vickers VENERDÌ 26 - Zei di Lecce Senza Rancore Fran SABATO 27 - Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Hip Hop Night con Skizo, Esa e Tormento SABATO 27 – Aioresis Lab di Nardò (Le) Clementino SABATO 27 - Teatro Kismet OperA di Bari


Zen Circus SABATO 27 - Vite di Nardò (Le) Federico Primiceri Djazzset DOMENICA 28 – Aioresis Lab di Nardò (Le) Zombina and the Skeletons VENERDÌ 5 MARZO - Saletta della Cultura di Novoli (Le) Andrea Chimenti SABATO 6 - Spazio Off di Trani (Ba) Julie’s Haircut TEATRO VENERDÌ 5 – Teatro Koreja di Lecce Teatro Delusio SABATO 6 - Teatro Kismet di Bari Cielo: concerto per un corpo sonoro e una voce danzante DOMENICA 7 – Teatro Kismet di Bari Anticorpi eXpLo - Tracce di giovane danza d’autore LUNEDÌ 8 – Teatro Crest di Taranto Teatro Delusio GIOVEDÌ 11 – Teatro Kismet di Bari È bello vivere liberi GIOVEDÌ 11 E VENERDÌ 12 – Teatro Paisiello di Lecce Le conversazioni di Anna K. SABATO 13 - Teatro Kismet di Bari Furie de sanghe SABATO 13 – Teatro Crest di Taranto Anticorpi eXpLo - Tracce di giovane danza d’autore SABATO 13 – Teatro Paisiello di Lecce Romeo & Juliet are dead DOMENICA 14 - Teatro Kismet di Bari Furie de sanghe GIOVEDÌ 18 E VENERDÌ 19 – Teatro Paisiello di Lecce I Karamazov VENERDÌ 19 – Teatro Koreja di Lecce Rosvita VENERDÌ 19 - Teatro Crest di Taranto Uno, nessuno e centomila VENERDÌ 19 – Teatro Koreja di Lecce Rosvita MERCOLEDÌ 24 - Teatro Kismet di Bari

Le Pulle GIOVEDÌ 25 – Teatro Italia di Gallipoli (Le) Moni Ovadia VENERDÌ 26 - Teatro Koreja di Lecce Doctor Frankenstein SABATO 27 – Teatro Crest di Taranto Amleto a pranzo e cena VENERDÌ 5 MARZO - Teatro Kismet di Bari The problem. Amorose confessioni SABATO 6 - Teatro Crest di Taranto Cielo Sino a LUNEDÌ 15 FEBBRAIO – Il Centro Del Discorso Dopo il successo della prima edizione, con la pubblicazione del nuovo bando prende il via

la seconda edizione del Premio nazionale di drammaturgia contemporanea “Il Centro del Discorso”. Il premio è parte integrante di un articolato progetto culturale che si svolgerà in un periodo di un anno, attraverso una serie di appuntamenti, eventi, laboratori, incontri, a cui saranno invitati a partecipare scrittori, registi, attori, artisti, ma anche spettatori e cittadini interessati ad un percorso aperto di ricerca e sperimentazione sul senso del teatro e della parola drammaturgica oggi. La scadenza del bando, scaricabile dal sito www.manifattureknos.org, è fissata per il 15 Gennaio 2010.

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dal 5 febbraio TELE E RAGNATELE ALLA SALETTA DELLA CULTURA DI NOVOLI

Nuovo anno e nuova stagione dedicata alla musica d’autore per la Saletta della Cultura di Novoli. Tele e ragnatele 2010 prende il via venerdì 5 febbraio con Le città invisibili, il nuovo spettacolo di Germano Bonaveri. Venerdì 12 spazio invece al cantautore italoamericano Ray Tarantino, che propone canzoni che attingono a piene mani dalla storia della popular mu-

sic. Venerdì 19 febbraio sul palco della Saletta salirà Fabrizio Consoli, milanese protagonista, dagli anni ’80, di un’intensa attività di session man al fianco di diversi artisti di primo piano della scena musicale italiana. Venerdì 5 marzo la Saletta ospita Andrea Chimenti, ex voce dei Moda, uno dei gruppi capostipiti del rock italiano con Litfiba e Diaframma. Giovedì 18 marzo (ingresso 10 euro) Tele e Ragnatele si sposta ai Koreja di Lecce per il concerto del Teatro Degli Orrori organizzato insieme a Coolclub, nell’ambito della rassegna Keep Cool. Il gruppo nasce nel 2005 dai componenti di due gruppi di grande spessore della scena rock italiana: One Dimensional Man e Super Elastic Bubble Plastic. Il secondo lavoro A sangue freddo è un disco denso di contenuti e “politico” come non mai, perché Il teatro degli orrori mette in

scena la tragedia di Ken Saro Wiwa, poeta nigeriano dissidente ucciso barbaramente, così come lo sgomento di un paese, il nostro, alla deriva. Sabato 20 marzo si torna alla Saletta con i Lisagenetica, venerdì 26 marzo spazio alla chitarra classica del giovane salentino Riccardo Calogiuri, venerdì 9 aprile sul palco Perlè, ex cantante della band Kasanova, venerdì 16 aprile appuntamento con il brasiliano Marcio Rangel. La rassegna si chiude con i concerti delle salentine Lucia Manca (venerdì 23 aprile) e Girl With The Gun (venerdì 30 aprile) e con l’attesa esibizione degli Zen Circus (giovedì 8 aprile all’Istanbul Cafè di Squinzano) sempre in collaborazione con Coolclub. Gli Zen Circus formati da Appino, Ufo e Karim sono una certezza del rock indipendente italiano, che da circa una decade contemporaneamente unisce e divide il pubblico.

DOVE TROVO COOLCLUB.IT? Coolclub.it si trova in molti locali, librerie, negozi di dischi, biblioteche, mediateche, internet point. Se volete diventare un punto di distribuzione di Coolclub.it (crescete e moltiplicatevi) mandate una mail a redazione@coolclub.it o chiamate al 3394313397 Lecce (Manifatture Knos, Officine Cantelmo, Caffè Letterario, Magnolia, Svolta, Cagliostro, Coffee and Cigarettes, Arci Zei, Libreria Palmieri, Liberrima, Libreria Apuliae, Ergot, Youm, Pick Up, Libreria Icaro, Fondo Verri, Negra Tomasa, Road 66, Mamma Perdono Tattoo, Shui bar, Cantieri Teatrali Koreja, Santa Cruz, Molly Malone, La Movida, Biblioteca Provinciale N. Bernardini, Museo Provinciale Sigismondo Castromediano, Edicola Bla bla, Urp Lecce, Castello Carlo V, Torre di Merlino, Trumpet, Orient Express, Euro bar, Cts, Ateneo - Palazzo Codacci Pisanelli, Sperimentale Tabacchi, Palazzo Parlangeli, Buon Pastore, Ecotekne, La Stecca, Bar Rosso e Nero, Pizzeria il Quadrifoglio, Associazione Tha Piaza Don Chisciotte), Calimera (Cinema Elio), Cutrofiano (Jack’n Jill), Maglie (Libreria Europa, Music Empire, Suite 66), Melpignano

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