Coolclub.it (Gennaio 2004)

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CoolClub.it Get up for your rights. In Cina nell antichità era considerata una pianta medica, una leggenda vedica racconta che il dio Schiva assaggiandone le foglie la elesse sua pietanza preferita, nelle Storie di Erodoto si legge che gli Sciiti usavano fumarla urlando di gioia, anche Marco Polo nel suo Milione ne parlava, Boccaccio nel Decamerone la descrive come una polvere di maravigliosa vertù . Alcuni studiosi riconoscono che parte del genio creativo di Shakespeare sia da attribuire al suo utilizzo. Nel 1840 lo psichiatra Moreau De Tours scrisse un libro in cui ne erano descritti gli effetti e la sua utilità per la comprensione della pazzia. A Parigi c era un club frequentato da gente come Gerard de Nerval, Charles Baudelaire, Honorè de Balzac a lei dedicato. Proprio Baudelaire le ha scritto un intero poema. Anche Dumas ne parla nel Conte di Montecristo , pure Edgar Allan Poe e potremmo continuare fino ai nostri giorni perdendoci nella beat generation e in tanto altro scritto prima e dopo. Anche il cinema ne è pieno zeppo. Prima demonizzata, poi gli anni 60, il mitico Easy Rider in cui è protagonista assoluta in una scena con Jack Nicholson, e poi Taking off di Milos Forman, oppure, per arrivare al nazional popolare anni 80, il grande Albertone in Una botta di vita . E la sua consacrazione nei 90 con film come Saving Grace , Aprile di Nanni Moretti, una serie di comparse in quelli di Salvatores, nel Grande Lebovski dei fratelli Cohen, in Eyes wide shut del grande Kubrick, e in tante altre pellicole che ometto per spazio e ignoranza. Se cominciassimo a parlare dei suoi amici nel mondo della musica e del rock in particolare farei un censimento, solo gli ultimi 40 anni riempirebbero, tra famosi e meno, un elenco telefonico. Ora, il fatto che in questa zine si parla e si scrive di libri, film e musica non è del tutto casuale. Che fa parte della nostra cultura è evidente, che insieme a lei sono state create alcune delle cose più belle fatte dall uomo, innegabile, che proibirla è negarci il diritto di scegliere per noi, una tesi interessante, che la politica ne è piena, lo leggiamo sui giornali, che lo stato bada ai suoi monopoli e non alla salute, evidente, che dipendenza e tossicità sono parole grosse, palese. Credo che ci sono cose che il tempo e le leggi non potranno cambiare, credo che esistono dei riti che vanno conservati e protetti, credo che l ebbrezza è una delle poche cose che ci fanno sopportare il mondo. Osvaldo

Belli e brutti da calendario, calendari belli e brutti in questo dicembre prenatalizio ci attirano ammiccanti dalle vetrine di tutte le edicole. Il giornale per sportivi che spoglia la pallavolista, il mensile per amanti del free crimbling che spoglia scalatori e scalatrici mentre si arrampicano su cime ardite. E poi i volti noti del gentil sesso: la ballerina nostrana Rossella Brescia che per non far crollare i suoi enormi seni viene fotografata in pose arzigogolate che sfidano la forza di gravità, le bellissime cow girls di GQ, e poi Adriana Volpe, la Silversted, Randy Ingerman. E poi il celebratissimo Pirelli, che quest anno sceglie una veste psichedelica e situazioni ambigue, e Fox che da settembre a dicembre ha pubblicato un calendario diverso ogni mese con modelle emergenti. Ma anche gli uomini non si limitano a guardare e si fanno guardare: e quindi vai con il mister Mondo Walter Nudo reduce dal naufragio sull isola deserta popolata da ex famosi, e poi il bel Luca del Grande fratello e persino lui: il nostro Omino del cervello preferito. Ma fra tutta questa messe di calendari uno mi piace particolarmente: quello dove il nostro giovane e aitante direttore posa seminudo e seducente mentre gioca ad un ambiguo back gammon con Nabil dei RadioDervish. È il calendario della Lila, Lega italiana per la lotta contro l Aids, sezione di Lecce. È un iniziativa che credo che vada incoraggiata per l importanza del tema, sul quale non si scherza, e per la bravura dei ragazzi della Lila di Lecce. E a questo proposito mi viene in mente che questo dicembre prenatalizio è affollato anche di varie raccolte di fondi per le cause più diverse. Alcune di queste, inutile dirlo, encomiabili e valide, come la stella di Natale per la lotta contro il cancro, sul quale non si scherza, le varie iniziative dell Unicef in favore dei bambini del mondo, come la Pigotta, regalo sempre bello, e, sono sicuro, sempre bene accetto da chi lo riceve. Ma attenzione, a volte dietro ad un apparenza di beneficenza e scopi nobili, si nasconde qualcosa di poco chiaro e poco pulito. Non voglio dire altro, diffidate soltanto dal troppo parlare di beneficenza su televisioni, radio e giornali. Sono cose che si fanno in silenzio e non nel casino di una festa di discoteca in una delle piazze principali della città di sabato sera. dario


A me il Natale non mi piace, o no!

Viaggio nella memoria di un bambino felice Sin da bambino ho avuto una (tra le varie) malattia seria da voler debellare a tutti i costi. Essa, con tutto ciò che ne consegue da questo momento del mio scritto in poi, si chiama Natale. Il Natale a casa mia arriva il 20 o 22 novembre quando mia madre ad un certo punto di un normale pranzo domenicale inizia a chiedersi, ad un mese dalla scadenza, quale possa essere un dignitoso pranzo di Natale. Si perché, come avviene in molte case del sud e sopratutto nelle famiglie numerose, il 25 dicembre si trasforma nella festa più in dell anno con parenti, zii, cugini, nipoti, fratellastri, ragazze e ragazzi, fidanzatini, futuri sposi. Il giorno di Natale viene però anticipato da una serie di improrogabili adempimenti che neanche un matrimonio richiede. Ma la cosa distruttiva è che: il matrimonio avviene una volta nella vita (se non altro quello in chiesa, Sacra Rota escludendo) il Natale si ripete con inspiegabile puntualità ogni dicembre. Il vero Natale inizia l 8 o il 13 quando si monta il presepe e l alberello. Che poi alberello non è mai considerato che in ogni famiglia ad un certo punto si abbandona il tristissimo esemplare in plastica per acquistare o rubare (da qualche campagna oscura dell hinterland) un pino reale dell altezza di tre metri, con la cima che pressa sul soffitto, e la chioma da competizione. Le palle si appendono insieme a milioni di luci (che poi papà bestemmia per la bolletta del mese successivo) e stelle filanti che sembrano pappardelle paglia e fieno. Insomma... una tragedia biblica: il trasporto dell albero, delle palle, dei pupazzi (considerato che San Giuseppe viene annualmente decapitato). E poi c è il bambinello che viene nascosto ogni anno per non perderlo e si perde sempre e in qualche cassetto c è una colonia di lattanti con l aureola. Ma la vera tragedia del Natale io la vivo ogni anno a tavola. Nelle famiglie dedite alle tradizioni le feste partono il 24 alle 20.00 e si chiudono il 6 gennaio alle 18.30. Pranzi, cene, spuntini, cocktail, panettoni, pandori, torroni, purceddruzzi, ncarteddhate, pasta di mandorla. Il 24 si mangia pesce (perché è sera e bisogna mantenersi leggeri) e leccornie varie, il 25 pasta al forno o tortellini al ragù, mille rotoli di carne, patate, rape nfucate, dolci in quantità industriale. Il 26 tortellini in brodo (un classico) e poi se va male gli avanzi del giorno prima. Se invece si è cambiata casa e sponda familiare si ripete tutto daccapo con salsicce, lacerti, olive nere, bianche, saporite, pittule. Una pausa di riflessione sarebbe anche possibile ma è improponibile. Si cerca di correre per recuperare la linea ma stinchi di maiale e cotechini ti perseguitano. È il pensiero del cenone di capodanno. Che poi il 31 si dice che si debba passare in compagnia. Ma perché privarsi del luculliano cenone casalingo per spendere centinaia di euro in posti tristi dove sconosciuti si danno gli auguri augurando la morte prematura di quello che bacia la ragazza da lui appena conosciuta ma tuo sogno erotico interrotto da una vita? Si riprende con il pesce (è pur sempre sera) salmone, aragoste (se va bene), gamberoni (se va così e così), gamberetti se va male. Ma il dramma dell ultimo dell anno è il tradizionale cotechino accompagnato dalle lenticchie (tante monete quanti chicchi) e l indimenticabile purè di patate. A mezzanotte si brinda, si assiste allo sparo dei fuochi che dalle mie parti equivale al D-Day con bombardamenti in piena regola. Dopo i bagordi notturni a base di alcool e carte la sveglia del primo gennaio è traumatica. Alle 13 ci si sveglia e si pranza. Con il sugo nel quale si intinge il biscotto (per non perdere le sani abitudini mattutine) e il vino che fa da surrogato (molto più gustoso) al latte. Insomma la tragedia perenne e imperitura delle feste natalizie va in scena con personaggi sempre uguali. Nei pomeriggi freddi e carichi di noia tra pranzoni e cenoni ad esempio c è la solita partita al mercante in fiera, a pupetta, a mazzetto, a sette e mezzo (con la barella coperta se me piace me la tegnu) e poi ricordo che da piccolo i miei zii giocavano sempre a stoppa o a tressette. E a ripensarci ricordo sempre più cose del mio Natale da piccolo che è tutto diverso da quello di adesso. Perché c erano i nonni, i cugini (ancora piccoli) e gli zii (ancora giovani) e tutto sembrava più bello e tutti sembravamo felici. E mi ricordo che c era il tavolo dei piccoli e il tavolo dei grandi e ogni anno qualcuno aveva la fortuna e la bravura di passare dall altra parte e di migrare verso il mondo degli adulti e io (che ero il più piccolo della famiglia) a quel tavolo non ci sono mai arrivato se non per essere abbracciato e sbaciucchiato dalla mamma o dalle zie. E a ripensarci come dimenticare la tortura della preghierina prima della nascita del bambinello e poi la processione con il bacio e la consegna dell infante alla cupa capanna. E poi i regali che non erano mai quelli sperati. Una volta i miei mi regalarono Ken (il marito di barbie) e non Big Jim e le mie certezze sessuali vacillarono. E mi ricordo che a mezzanotte si scartavano i pacchetti che le cugine più grandi avevano fatto per tutti. E ancora il rito dei piatti con la macchina da guerra formata dai più piccoli che asciugavano e i grandi che lavavano (che una volta in quel lavandino con l acqua calda uccisi il capitone ancora vivo). Il Natale forse un tempo aveva un sapore diverso, più romantico, con i regali di pezza oppure con i Commodore 64 e gli Atari ma senza plaistesciò. E a ripensarci ho una grande malinconia per quello che non è più, sperando che prima o poi sarà di nuovo. Magari con me zio che vizia i nipotini aizzandoli contro il padre. Che poi il Natale se mangi e bevi è sempre meglio che star da soli. Pierpaolo


venerdì 26 dicembre

Dati

sabato 27 dicembre

Istanbul Cafè - Squinzano

IL Dj tarantino che incide per la barese Minus Habens al secolo Alberto Dati per una serata in cui i ritmi down beat si alternano all acid jazz. Serata all insegna dell elettronica raffinata, dj set e campionatori in cui il producer presenterà il suo nuovo disco Tous les soires . Balla insieme ai nuovi battiti del sud, un sud che suona e si fa sentire anche fuori. Atmosfere a metà tra il funk ed il jazz, intermezzi hip-hop, soul, lounge e dub sono le strade percorse da Dati, strade che confluiscono in un unico fiume sonoro in cui è bello immergersi.

martedì 30 dicembre Vento di Fronda Istanbul Cafè - Squinzano

Il grande ritorno di una band che con la sua musica e la sua ironia fa ballare e divertire. Sono i grandissimi Vento di Fronda, la band salentina che ha saputo unire alle sonorità tipiche dello ska e del rock steady una vera e propria nuova filosofia del demenziale. Una miscela esplosiva di surrealismo e carica live, un esperienza musicale ma anche uno strano percorso nei meandri della pazzia. Se vuoi scoprire come ipnotizzare un pollo , non mancare a questo grande concerto, se vuoi ballare ridendo a crepapelle vieni anche tu al concerto dei Vento di Fronda.

Ska in Town Istanbul Cafè - Squinzano domenica 28 dicembre

Lotus Istanbul Cafè

Lotus è il nome dietro il quale si cela l ultimo progetto musicale di Amerigo Verardi, figura storica dell underground italiano degli ultimi quindici anni. I suoi esordi discografici sono legati ad una band di culto, gli Allison Run. A questo primo progetto segue un esperienza da solista poi i Lula con cui incide due splendidi dischi: Da dentro , Lula dopo tante collaborazioni con gruppi come Sonica, Baustelle, Valentina Gravili , Virginiana Miller. Di lui e della sua musica, hanno detto tantissimo, hanno paragonato il suo lavoro a quello di artisti come Barret, Beatles, Velvet Underground, Television, Robyn Hitchcock, Julian Cope, Battisti, Tenco. Nessuno è innocente il suo ultimo album vanta collaborazioni di tutto rispetto, oltre ai Lotus Claudio Chiari e Silvio Trisciuzzi ci sono vari zampini interessanti (Manuel Agnelli, Giovanni Ferrario, Federico Fiumani, Sandro Palazzo dei Lova e Francesco Bianconi dei Baustelle). Il live dei Lotus è un misto di pop, psichedelia, rock and roll e folk. Un concerto da non perdere.

Ska in Town è la festa ska più seguita, Ska in Town raccoglie ogni volta un putiferio di gente pronta a ballare fino allo sfinimento, Ska in town fa cadere i freni inibitori e fa bene al corpo e allo spirito. Un grandissimo momento di aggregazione per gli amanti della birra e delle serate danzanti, un classico del divertimento che piace a grandi e piccini. L appuntamento che aspetti per sentirti te stesso, per riconquistare la tua dimensione naturale e ballare fino a che ti reggono le gambe. In consolle Sonic the Tonic, Ska Pepe e Forty Skin.

martedì 30 dicembre

Sud sound sistem Candle - Lecce

Un evento insieme a una delle band simbolo del Salento, un gruppo che ha fatto la storia del reggae e del ragamuffin in Italia, la formazione salentina che più di tutte rappresenta la terra, le radici. Una grande dance hall insieme ai Sud Sound System. Dal 91 sulla scena, da sempre impegnati in un progetto che arriva oggi al suo nuovo capitolo. Si chiama Lontano il loro nuovo disco, un album maturo che si avvale di importanti collaborazioni e che ha permesso ai salentini di vincere la prestigiosa Targa Tenco 2003 come miglior album in dialetto. Questa è la dimostrazione che la musica dei Sud Sound System non è solo sinonimo di divertimento, di festa, ma anche di profondo impegno sociale, di denuncia verso tutte le ingiustizie e i sopprusi che molta gente è costretta a sopportare. Balla con i Sud Sound sistem nell ultima grande dance hall del 2003.

venerdì 2 gennaio

Kiss of death Istanbul Cafè Squinzano

sabato 3 gennaio

Montecarlo Night

lunedì 5 gennaio

Istanbul Cafè

Tobia Lamare, il Dj più gettonato delle nuove e delle vecchie generazioni. Tobia Lamare, il Dj che ha fatto del Soul la colonna sonora della sua vita e del funky quella di suo fratello sarà all Istanbul Cafè per un altro grande appuntamento con Montecarlo night. Accompagnato da Franco il barman acrobatico, Tobia Lamare sarà il regista sonoro del film musicale più bello della vostra vita. Un uomo che ha scavato nella storia della musica per riportare alla luce quello che la house voleva seppellire. E quest anno Montecarlo Night si evolve: notte a ritmo di Funk Punk, Rock n roll, Wave, electro, indie.

8-9-10 gennaio

Insintesi Istanbul Cafè - Squinzano

Insintesi è la scena elettronica salentina. Oltre a una delle band più sperimentali della scena Insintesi porta avanti, da tempo ormai, un progetto parallelo di Dj set. Insintesi è un progetto di musica elettronica nato nel '98, partendo dal "drum'n'bass", dal"dub" ed il "trip-hop" ha rielaborato questi generi dando una propria chiave di lettura. Le nuove produzioni si muovono sulle ritmiche del dub elettronico con innesti di voci e suoni di chitarre dilatati, creando sonorità sospese ed ipnotiche ed utilizzando testi sia in italiano che in inglese. INSINTESI si è avvalso di varie collaborazioni, sia nelle registrazioni che nei live con circa 100 date all attivo tra live e dj set.

Emergenza Istanbul Cafè - Squinzano

EMERGENZA è il più grande contest musicale europeo. Un festival al quale possono partecipare gruppi di ogni genere e tendenza. Il festival permette alle bands che non hanno ancora trovato un canale promozionale di conquistare uno spazio nel panorama europeo attraverso le produzioni discografiche e la realizzazione di concerti dal vivo sui più importanti palchi internazionali. In 12 PAESI EUROPEI, negli U.S.A ed in CANADA oltre 4000 BANDS avranno la possibilità di salire sui palchi dei clubs più famosi per esibirsi dal vivo. I migliori 24 GRUPPI parteciperanno alla FINALE EUROPEA DI ROTHENBURG in Germania. Tre giorni di selezioni all Istanbul Cafè per il Salento.

Elettrowave challenge 2004

ogni mercoledì

Cafè Letterario - Lecce

Sound è Vision for the club è l appuntamento fisso con la musica dei Dj di Coolclub. Ogni settimana un dj diverso, ogni settimana una colonna sonora diversa. E poi il Caffè Letterario ospita ogni mese concerti acustici, piccole rappresentazioni teatrali e ogni 15 giorni una nuova mostra. Scopri le attività che il Caffè organizza per i suoi soci, scopri il posto a Lecce dove arte, musica e cultura convivono.

Sono aperte sino al 31 gennaio le iscrizioni per Elettrowave Challenge Arezzo Wave 2004, aperto a dj producers e vj Il prestigioso concorso, giunto alla V edizione, si conferma come grande opportunità di visibilità per i nuovi talenti della scena elettronica nazionale e porterà alla scoperta di 2 nuovi progetti legati alla musica ed ai video in area elettronica. Tra tutti i partecipanti verranno selezionati 6 progetti tra i dj ed almeno 4 progetti tra i VJ. Per scaricare il bando di concorso: www.arezzowawe.com. Info: elettrowave@arezzowave.com

Serata metal con i Kiss of Death band leccese sulla scena dal 1994. Le sonorità decisamente dure e taglienti che essi propongono incarnano tipicamente un sound "Thrash", con influenze che vanno dal "Death metal" al "Cross over" all "Hard Core". Numerosi sono i concerti che il gruppo ha realizzato in tutta la penisola, partecipando anche a rassegne metal di importanza nazionale come varie edizioni del PLUVIA METALLI DAY" Festival, la quinta edizione dell "AGGLUTINATION METAL FESTIVAL", la prima edizione del THE SOUTHERN FESTIV-HELL Festival e la seconda edizione del SALENTO SUMMER FESTIVAL , suonando anche come band di supporto a gruppi di fama internazionale come SEPULTURA, SAXON, SHELTER, RAW POWER, LINEA77, EXTREMA, UNDERTAKERS, NODE, DEATH SS, NECRODEATH, WHITE SKULL, SADIST, OPERA XI, STROMLORD, NATRON.

Arezzo Wave 2004 Iscrizioni al concorso

Per partecipare basta 1 CD contenente 2 e solo 2 brani o canzoni originali (che siano i più rappresentativi) di durata non superiore ai 4 minuti (sono escluse cover) con il nome della band, il titolo dei brani, la durata e il contatto di un componente del gruppo ben leggibile sul CD; i testi delle canzoni allegando le traduzioni in italiano nel caso si tratti di lingua straniera o dialetto; 1 Biografia di una pagina al massimo; 1 scheda tecnica accompagnata da Stage plan; rassegna stampa (se esiste); 1 foto del gruppo (in cui si distinguano bene gli artisti); i dati anagrafici (nome, cognome, indirizzo, data e luogo di nascita), i recapiti telefonici di ogni artista o componente del gruppo e l'indirizzo e-mail della band. Tutte le band interessate possono spedire il loro materiale a Coolclub: Via de Jacobis, 42 cap 73100 (Lecce).


a cura di Giancarlo Susanna

La stella che brilla il doppio dura la metà

Faccio lo strano lavoro di critico musicale da quasi trent anni. Ho amato e amo tanti musicisti. Alcuni li ho anche incontrati, sia pure per una breve intervista. Altri ancora sono diventati degli amici molto cari. Ma il posto che i Beatles occupano nella mia vita è qualcosa di unico e speciale. Non ha a che fare con la nostalgia degli anni '60, è bene chiarirlo subito. Qualcuno ha detto o scritto che chi rimpiange quegli anni non li ha vissuti e sono d'accordo. No. I Beatles non sono nostalgia . Sono esattamente il contrario. Perché oltre alla musica - che dire di più della loro musica? che dire che non sembri e non sia banale? - mi hanno (e ci hanno) regalato una forma mentale, un attitudine, che mi (ci) spinge ad andare sempre avanti, a esplorare, a immaginare, a sognare e se uno è capace (tanti lo sono), a creare, a comunicare. Così non c è quasi bisogno che io ascolti ancora delle canzoni che so a memoria nota per nota, che sfogli quei cento dei mille libri che hanno scritto su di loro e che sono riuscito a comprare o che riveda Tutti per uno , Help! e i loro filmati. I Beatles sono dentro la mia testa. Dentro il mio cuore. Sono il motore inesauribile che mi permette di alzarmi al mattino senza essere mai stanco della musica e del mio strano lavoro.

The solo recordings

Fare i conti con una storia come quella vissuta dai Beatles metterebbe in crisi chiunque. Una volta sciolta la gloriosa ditta , John, Paul, George e Ringo si dedicarono con energia ai progetti cui da tempo pensavano e appena qualche mese dopo la notizia ufficiale dello scioglimento nei negozi di dischi di tutto il mondo arrivavano degli album veramente straordinari, quasi sempre all altezza della loro leggenda. La discografia postBeatles è parecchio complicata e ci limitiamo a segnalare quelli che secondo noi non possono proprio mancare sugli scaffali di un aspirante beatle fan .

Jonh Lennon

Anche a distanza di più di vent'anni dalla sua scomparsa e con buona pace di chi non è d accordo, John Lennon resta il capo dei Beatles. Di album di John ne indichiamo due: Plastic Ono Band (dicembre 1970) e Imagine (ottobre 1971) realizzati con il prezioso contributo di Phil Spector, il geniale inventore del wall of sound . Nel primo, inciso da una band essenziale formata dallo stesso John (chitarra, piano), Ringo Starr (batteria), Klaus Voorman (basso), Billy Preston (piano in "God") e Phil Spector (piano in "Love"), Lennon si liberava di tutti i suoi fantasmi e di tutto il suo dolore grazie a canzoni taglienti come Mother , Working Class Hero o God . Nel secondo la sua impietosa sincerità si stemperava appena in una musica più curata e arrangiata. Canzoni come Imagine o Jealous Guy sono ormai parte integrante della storia della popular music. Sia Plastic Ono Band sia Imagine sono stati da poco riproposti in un edizione su cd rimasterizzata.

Paul McCartney

Sono più di trenta i dischi pubblicati da Paul come solista e il loro livello è generalmente molto alto, legato a una musicalità fin troppo facile e naturale . Tra tutti scegliamo Band On The Run (novembre 1973), il suo primo capolavoro dopo la fine dei Beatles. Per l occasione gli Wings, il gruppo formato da Paul un paio d'anni prima era ridotto a un trio: Paul (voce, chitarra, basso, batteria, sintetizzatori), Linda McCartney (tastiere, percussioni) e Denny Laine (chitarra). Le session di registrazione si tennero a Lagos, in Nigeria, negli studi di Ginger Baker e furono completate a Londra con gli arrangiamenti orchestrali di Tony Visconti. Tra le canzoni ricordiamo almeno "Band On The Run", Bluebird e Let Me Roll It . Chi ha qualche obiezione sul modo di Paul di usare il basso farebbe bene ad ascoltare questo disco, magari nella versione pubblicata nel '99 per celebrarne il 25° anniversario.

George Harrison

Per George non possiamo che riascoltare per la milionesima volta All Things Must Pass (novembre 1970), che non è soltanto il suo album più completo e riuscito, ma anche uno dei momenti più alti della popular music degli ultimi quarant'anni. Trainato da quel singolo incredibile che è My Sweet Lord (un altro centro di Phil Spector come co-produttore), il triplo vinile All Things Must Pass dimostrò che il talento compositivo di George, che aveva chiamato accanto a sé amici come Ringo Starr, Eric Clapton, Gary Brooker, Dave Mason e Klaus Voorman, era stato sempre compresso da quello di John e Paul. Un capolavoro assoluto, che George ha fatto in tempo a riconsegnarci in edizione restaurata nel 2001.

Ringo Starr

Noi l abbiamo sempre amato e gli vogliamo ancora un gran bene, non ce ne vogliano i suoi detrattori. Ringo era non solo un eccellente batterista, ma anche il collante dei Beatles, l unico che è sempre rimasto amico degli altri. Di dischi ne ha fatti anche lui parecchi - ups & downs, a seconda dello stato d'animo e delle circostanze - ma uno che dovreste proprio ascoltare è Ringo (novembre 1973). Con un piccolo aiuto dei suoi amici - John gli scrive su misura I m The Greatest , George compone con lui Photograph e Paul gli regala Six O'Clock Ringo realizza il suo album migliore, uno di quei dischi che metti su al mattino e ti fanno sembrare tutto più bello. Nella riedizione della Apple del 1991 c'è anche It Don't Come Easy , il suo singolo più fortunato.


Alberto Dati Tous les soires Minus habens records/Disturbance (2003) Alberto Dati è un producer tarantino di origine albanese, o meglio di quelle comunità albanesi trapiantate da secoli in Calabria e che, grazie ai vari passaggi, ha in sé, verrebbe da pensare, una anima migrante (cito gli Almamegretta). Tous les soires , inciso per la storica etichetta barese Minus habens, è il suo secondo album. Un disco interessante caratterizzato da sonorità che ricordano la scena acid jazz della prima metà degli anni novanta; in particolare brani come Rovena song e Malinda s prayer sembrano ripercorrere atmosfere a metà tra il funk ed il jazz tipiche di gruppi di quel periodo come Galliano o UFO . Le tracce sono intermezzate da groove di musica hip-hop curate dal dj Fonky T e il disco nel complesso si muove su una struttura elettronica essenziale, che solo a tratti è più corposa come nel brano Sax-a-dub , sopra la quale si sovrappongono suoni percussivi, sax e rhodes. Spesso si notano echi di musica mediterranea, grazie anche alla collaborazione con la cantante albanese Rovena Llaperi, soul e lounge inseriti su ritmiche che variano dal down-beat al dub. Un cocktail di stili provenienti da luoghi diversi, in linea con la natura di Dati, ma con in comune la stessa propensione verso il ritmo. Un disco facile da ascoltare, in parte strumentale ed in parte cantato - bellissima la voce di Malinda Smith - che non risulta banale ed evidenzia ancora una volta lo stato di salute della musica prodotta nel sud Italia. Francesco A.

musica

Books Tomlab

The lemon of pink

Inizia questa nuova collaborazione, con gli amici di CoolClub. Extranet in realtà era alla ricerca di un contatto locale dove poter esprimere i propri pensieri e linee guida sulla musica indipendente . In realtà quest ultima frase non suscita in me un grande senso di rispetto ma credo che sia al momento l unica che rappresenti al meglio la filosofia di Extranet. Uno spazio dove la musica suscita emozioni crea momenti di riflessioni o semplici attimi di contaminazioni. Il nostro tempo è farcito di suoni che si miscelano con altri suoni e confondono sempre di più i generi. Qualche anno di radio mi fa vedere chiaramente come oggi sia difficile parlare di stili sarebbe meglio soffermarsi sulla qualità dei prodotti immessi nel mercato. In questo numero sono davvero tanti i dischi che sarebbe mia intenzione menzionare, preferisco ripassarvi con ordine quello che a mio avviso c è di interessante sul mercato. I Books si confermano con il secondo album da studio - il debutto Tought for food rimane ancora uno dei prezzi più pregiati del catalogo Tomlab - i più veritieri menestrelli avant-pop odierni. Mettendo insieme elementi di folk e country ed inserendoli in contesti atipici, vedi alcune sfumature easy listening od alcuni montaggi elettronici, un disco di indiscusso valore musicale, capace di far convivere i fantasmi di John Fahey e Penguin Cafè Orchestra in un continuo temporale e musicale. The lemon of pink conquista per il suo assortimento tematico, rincorrendo dimensioni di volta in volta diverse, evidenziando dunque la scrittura classica ed al contempo 'modernista' dei nostri. Uno degli album che non deve assolutamente mancare nella vostra collezione di dischi. Patrizio Longo (www.patriziolongo.com)

Kings of Leon

Youth & Young Manhood Jet

Get Born

Comincio a pensare seriamente che il mio lettore cd si sia incantato e suoni solo ed esclusivamente musica anni 70. Da bravo amante delle cose cool (ah, ah! ndr) mi lascio sempre tentare dalle novità discografiche più pompate e alla moda. E questo mese impazzano su giornali e palchi italiani due band che hanno subito attratto i miei occhi e le mie orecchie vintage. Si tratta di Kings of Leon e Jet. I primi vengono dal Tennesee, sono tre fratelli e un cugino e suonano rock and roll. Sono l ennesimo prodotto che un certo tipo di critica ha osannato e un altro tipo ha definito derivativo. Ma sarà perchè sono cresciuto ascoltando i Led Zeppelin, sarà perchè i pantaloni a zampa mi sono sempre piaciuti, a me i Kings of Leon piacciono. Siamo ben chiaro la loro musica è ben lontana da quella di Robert Plant e soci. Qui gli anni 70 rivivono con uno stile più vicino al folk, al garage. Sembra che i quattro siano cresciuti divorando fagioli e Credence Clear Water, sembra poi che abbiano fatto scorpacciate di Tom Petty , roba country che non conosco e digerito il tutto con un pizzico di Mc5 e i Clash ( parole loro). È vero, niente di nuovo penseranno i più, ma a me le cose che sanno di sud mi piacciono, mi piacciono le cose semplici e questo disco lo è, mi piacciono le cose dirette e questo disco lo è, mi piace il rock and roll e questo disco ne è pieno. Con i Jet andiamo in Australia ma restiamo più o meno nello stesso territori musicale. Prendi un disco dei Kinks aumenta la velocità ed ecco i Jet, non è così semplice ma l immagine rende. Un po power beat, un po hard rock i Jet sono energici, somigliano proprio tanto ai Rolling Stones, in un pezzo addirittura ai Black Crowes e c è anche una ballata che sembra rubata ai primi Oasis. Insomma, in due gruppi abbiamo ricostruito circa trent anni di storia della musica shakerati e serviti in salsa retrò che tanto piace ai giovani. Forse l unica cosa che si può consigliare è di ascoltare questi dischi con la consapevolezza e il rispetto per quello che li ha preceduti. Osvaldo

Novel 23

Architectural effects

È dalla fredda Russia che arriva questo disco anche se distribuito dall etichetta francese Bip-Hop. Dietro la sigla Novel 23 c è Roman Belousov, musicista elettronico moscovita, che ha lanciato questo progetto nel 1997 e che si ripresenta dopo due anni di lavoro con un nuovo disco Architectural effects . Un titolo davvero ad hoc per questo album che può essere definito un lavoro di architettura sonora d avanguardia. Dieci tracce che stanno in mezzo tra i suoni dell elettronica anni ottanta ed una curiosa sperimentazione. Roman Belousov ha lavorato oltre che con le ormai usuali combinazioni di computer e tecnologie audio, con degli originali sintetizzatori soviet . Difficile stabilire in un disco come questo le tracce che colpiscono di più, ma direi che Portal to cittadella (la prima) sia abbastanza di effetto. Belousov, accanto ad artisti compatrioti come Solar X o Fizzarum, è uno dei pochi russi conosciuti al di fuori dei propri confini ed ha avuto varie richieste di collaborazioni all estero per remix e tracce per varie compilation di elettronica. Augusto Maiorano


Francesco De Gregori

Mix

La musica e la poesia entrano nella nostra testa senza chiedere permesso. Le parole le consumiamo, le ripetiamo, le rubiamo senza motivi reali o per conquistare la donna amata. Dal 1993, grosso modo, mi rifornisco della mia unica droga (parole appunto) quasi sempre dallo stesso spacciatore. Si chiama Francesco De Gregori ed è un cantautore (non un poeta) che molti considerano antipatico. Quando ho bisogno di stonarmi e di dissociarmi dalla mia stessa vita metto su i vecchi album, quelli ermetici, con canzoni alle quali non daresti una lira ma che ti incollano alla ricerca di sensi e dei sensi perduti. Di alcuni cantautori (come di alcuni scrittori) non si può dire che sia più bello questo o che sia più bravo quello. È solo entrato nella nostra vita al momento giusto così senza fare rumore, come una donna (che magari gli altri non vedono bella) irrompe senza avvisare lasciandoci senza parole e con molti dubbi (senza sapere bene come comportarsi). Dalle prime cassettine registrate da vecchi e polverosi lp sono stato vittima costante della musica di DG, delle sue parole e (purtroppo per le mie tasche bucate) delle sue strategie di marketing. Nel 2003 esce Mix, un doppio cd (anche in Dvd), che racchiude successi di tutta la carriera tra live e registrazioni originali in studio, con l aggiunta di alcune nuove canzoni: A chi , pezzo di Fausto Leali, in versione rockettara, la nuova cover di Bob Dylan Come il giorno (traduzione di I shall be released ) e una non riuscitissima (secondo me) Io ti leggo nel pensiero scritta qualche anno fa per l amico Ron. Devo ammettere che la prima reazione scartando il cd (26.50 euro il prezzo) è stata di disapprovazione e forse sdegno. Una nuova antologia, una nuova raccolta a poca distanza di tempo da Fuoco Amico . Dal 1990 la fregola del live e della raccolta ha colpito De Gregori e le sue etichette (quasi dieci cd). E io come un fesso che ogni volta ci casco e compro tutto. Una droga che non posso debellare, una mania che non riesco a sconfiggere (ma neanche a combattere) perché anche questa volta dopo aver imprecato per l acquisto ho ascoltato il cd a ripetizione, riscoprendo canzoni che magari avevo abbandonato, oppure quelle che sono state le mie prime esperienze alla chitarra, o versioni live che avevo ascoltato e apprezzato nei miei dieci concerti (circa). Insomma il solito sciocco fan. Se aggiungiamo che l anno scorso, nell ultimo concerto a Lecce, sono riuscito a parlare con lui il gioco adolescenziale è fatto. È finita torno allo stereo, alle emozioni, a due cd che ripercorrono forse meglio la mia vita di quella di De Gregori stesso. Ché tutto sommato lui le ha scritte una sola volta mentre io le riscrivo con la mia mente ogni volta che le ascolto. Forse sarò patetico ma è proprio così anche perché il vero amore può nascondersi, confondersi, ma non può perdersi mai . Vale per una donna e vale per le parole perché due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai. Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due marinai . Pierpaolo

Prague

You hear the song and it is long ago

Suiteside

mu

Voce particolare, triste quasi, ritmi lenti, sofferti e melodici, un lavoro in pieno stile slow core, quello che rimanda a Pedro The Lion, e ai Codeine e ai Bedhead. Lui è Alessandro Viccaro, qui con lo pseudonimo di Prague. Il disco è You hear the song and it is long ago . Secondo lavoro, a due anni dal primo uscito per la Loretta Records, per l italianissimo Alessandro trapiantato a Londra. E Londra, le sue vie, il suo freddo, la sua atmosfera, la sua musica, la sua intensità ci sono tutte in queste disco. Ci sono gli ascolti di tanti anni, gli ascolti indie che hanno influenzato Alessandro e le cui sonorità sono riconoscibili in questo album. Un album che al primo ascolto può forse apparire lineare, senza sbalzi di tono, ma che al secondo ascolto già ti prende e al terzo ti piace proprio tanto. I testi sono in inglese, ovviamente, testi semplici, solo considerazioni o amari riferimenti a fatti accaduti o fittizi - spiega lui - pur non essendovi nulla di autobiografico . Eppure nei suoi pezzi sembrano trasparire emozioni per nulla irreali. Ad affiancare Alessandro in questo lavoro ci sono i suoi amici musicisti che la lontananza non ha portato via - la distanza che separa le persone non sempre le divide, anzi - ed ecco che alla batteria, preciso e trascinante ritroviamo Giulio Calvino, impeccabile chitarrista dei Candies, e poi Matteo Casari dei Lo-Fi Sucks e Giulio Corona dei KC Milian. Ho mandato loro i demo acustici e mi sono fidato. Una volta in studio abbiamo registrato direttamente senza neanche sentire prima cosa avevano preparato . E il risultato comunque non delude affatto. E credo che rispecchi a fondo la personalità di Alessandro, semplice e profonda. Aspettiamo di vederlo sul palco, magari in Italia. Valentina

Erykah Badu

World Wide Underground

Cut

Bare Bones

V2/Gammapop

Universal

Erykah Badu è la quintessenza della negritudine afro-americana e su questo non si discute. A vederla la si potrebbe facilmente scambiare per la figlia di Miriam Makeba; tutta tradizione, almeno all'apparenza (nel modo di vestire, negli enormi monili; pur essendo sobria e semplice umanamente parlando). E ascoltando i suoi lavori si direbbe che di esperienza ne ha già tanta. Eppure World wide underground (da lei stessa definito the struggle on a good day ) è solo il suo terzo album, il secondo in studio. In questa sua ultima fatica discografica, un EP contenente appena 8 brani (+ Intro e Outro), sorprende il modo in cui questa giovanissima artista ( a southern girl with an old soul , parole sue) rielabora quell'immenso archivio musicale che è la black music nella sua accezione più raffinata. Erykah rilegge con enorme creatività i registri che hanno fatto grande la musica del suo popolo, dal r&b al soul, il tutto con una spruzzatina di funky, che costituisce probabilmente il punto di forza dell opera intera, il suo centro di energia. Dopo l Intro ( World keeps turning on and on and on... , concetto ribadito nell'Outro), Bump it avvolge con sensualità e rilassa i muscoli come un massaggio, concludendosi con i liberi vocalizzi della Badu che, con Zap Mama e Karon Wheeler, ci offre un frullato impossibile di yodel e gorgheggi orientaleggianti che si rincorrono su percussioni afro e scintillanti effetti elettronici. Back in the day (Puff) vede la collaborazione del basso osceno di Lenny Kravitz (per la cronaca: è il mio pezzo preferito). Woo è una specie di hip hop elegante, sempre molto sexy e fresco; non si può fare a meno di agitare il piedino a tempo... In Steady on the grind la nostra duetta con Dead Prez, che si occupata della parte rap. Danger è una rivisitazione più disperata e passionale di Otherside of the game , brano contenuto nel primo album di Erykah, Baduizm . Think twice è il remake di un pezzo che Donald Byrd ha scritto nel '75 e ospita lo scatting di Roy Hargrove. Love of my life worldwide è il remix di un brano già inciso in collaborazione con Common (altro nero genietto...), vincitore di un Grammy come miglior canzone inserita in una colonna sonora (quella di Brown Sugar ) e premiato come video dell anno ai BET awards. In questa versione la Badu incide con la grande Angie Stone, Queen Latifah e Bahamadia. Frutto di un bus-tour nei club di Stati Uniti ed Europa (Italia inclusa), World wide underground dimostra come un artista già talentuosa possa attingere enormi quantità di ispirazione e creatività dal pubblico che accorre alle performance live nell'intimità di un locale notturno. Le collaborazioni sul suo album rappresentano il tentativo deliberato di circondarsi di artisti controcorrente e l'altrettanto chiaro proposito di vivere l'underground come scelta. Emanuele

Non è esattamente il disco che ascolterei giorno e notte, ecco, ma solo perché in genere tendo verso ascolti più pacati . Loro, i Cut, sono tecnicamente ineccepibili. Energici ma non cattivi. A dispetto del titolo scelto per il loro terzo lavoro, uscito nei negozi ad ottobre, Bare Bones (ossa scoperte ndr), e a dispetto di una copertina a dir poco inquietante, che fa molto dark. Nel disco, al contrario, c è il rock n roll, quello vero, quello bello, e il garage blues, oltre ad un punk fatto di chitarre elettriche ben in vista. Due chitarre e batteria, per la precisione, e le voci di Ferruccio Quercetti e Carlo Masu a cui si aggiunge la occasionale presenza vocale di Cristina - The kid dicono loro - Negrini: lead vox in due pezzi del cd. Una presenza scenica eccezionale Cristina viene dal teatro - presenza ormai costante nei concerti live, quasi a renderli ancora più completi, ancora più diretti, ancora più di impatto. Perché chi ha avuto l occasione di assistere ad un concerto dei Cut questo lo sa bene. Non si rimane impassibili. Non a caso questi ragazzi sono considerati una delle migliori live band italiane in circolazione. Nonostante la separazione da Elena Skoko, precedente vocalist della band, il loro ultimo lavoro mostra una forza compositiva non indifferente, più matura, degna del confronto con i migliori Gang of four di cui Ferruccio & compagni sono da sempre amanti. Chi è dell ambiente li stima fortemente e loro non sembrano accontentarsi dell uscita di Bare Bones . Sono già impegnati in un progetto che prevede il remix di due loro pezzi da parte di Angelo Sindaco, dj e produttore house, e saranno anche a Londra per uno spettacolo multimediale. Dunque, volano alto i bolognesi. Da parte mia, la promessa che d ora in poi ascolterò anche album un po più duri. Si fanno sempre delle belle scoperte. Valentina


Gesù pensa che tu sia un coglione

Non è affatto facile divenire un icona, infrangendo il limite della propria mortalità per incidere a caratteri indelebili il proprio nome nelle pagine più alte della storia della musica; ed è ancora meno semplice senza l aiuto di una morte violenta o per cause misteriose in giovane età, di eccessi di vario tipo, o di un conturbante aspetto fisico. Eppure Frank Vincent Zappa, nato il 21 dicembre del 1940 a Baltimora, Maryland, da padre siciliano, ci è riuscito, nonostante il suo decesso per un cancro sia accaduto solo il 4 dicembre 1993, e nonostante l incredibilmente prolifica carriera musicale (gli infiniti bootleg e la continua uscita di dischi postumi rendono difficile censire esattamente la sua sconfinata produzione) sia sempre stata, sin dal debutto del 1966 con Freak Out , totalmente ai margini rispetto all industria discografica, rispetto alle rigide demarcazioni dei generi musicali (Zappa ha fatto tutto e il contrario di tutto: nella sua produzione si possono trovare elementi di musica classica contemporanea derivanti dal suo amore per Edgar Varese di canzonette dei gruppi vocali degli anni cinquanta, di heavy metal o di jazz, tutti quasi irriconoscibili in quanto spontaneamente contenuti nella sua originale elaborazione sonora), rispetto ai comuni canoni di moralità (i suoi testi altamente dissacranti, con riferimenti sessuali espliciti e chiare prese di posizione politiche gli causarono anche problemi processuali con il Parents Music Resource Center) e anche rispetto alla figura tipica del personaggio rock . Difatti a Zappa non interessava che i suoi concerti fossero il classico rito celebrativo di quanto già edito su supporto discografico, con la pedissequa riproposizione di brani già esistenti, ma preferiva che ogni suo concerto fosse un evento unico in cui proporre al pubblico brani composti per l occasione e mai ascoltati prima; non gli interessava neanche essere a tutti i costi esecutore vocale e chitarristico delle proprie composizioni, che spesso affidava ad altri musicisti (suonare con e per conto di Frank Zappa era, data la complessità del materiale affrontato, una vera e propria palestra e un trampolino di lancio per i musicisti da lui selezionati, tra i quali Steve Vai, Terry Bozzio e Vinnie Colaiuta, così come in ambito jazzistico è stato per chi ha suonato con Miles Davis), a vere e proprie orchestre o al proprio Synclavier. Per questi motivi ed altri ancora si è creato uno strano culto intorno a Zappa, che fa sì che gran parte delle persone che lo conoscono, lo citano o sostengono di ammirarlo non hanno in realtà mai ascoltato un suo brano (data anche la scarsa reperibilità dei suoi dischi), a testimonianza del suo essere diventato non solo un icona ma anche un vero e proprio aggettivo di descrizione dell indescrivibile e di quanto sfugge alle etichette, e in ogni caso si può affermare che si tratti di un cognome che, nonostante abbia quattro lettere in meno del mio, sopravviverà di certo ancora per svariate decadi. Marcello

sica

Le altre latitudini di Testa

È uscito Altre Latitudini , il nuovo disco di Gianmaria Testa. Il cantautoreferroviere piemontese ha altri quattro album all attivo Montgolfières, Extra-Muros, Lampo, Il Valzer di un giorno. È conosciuto più in Francia che in Italia. Nel 1997 (quando in patria era quasi un signor nessuno) è stato uno degli ultimi artisti a esibirsi, prima della chiusura per la ristrutturazione, al mitico Teatro Olympia di Parigi dove è tornato nel 2000. L abbiamo intervistato per parlare delle sue canzoni ma non solo. Il tuo successo francese è un caso? In parte è sicuramente legato al caso, al fatto che i primi dischi li ho registrati in Francia, quindi era normale che cominciassi prima da lì. La cosa che io stesso non è che mi spieghi così bene è perchè venga così tanto pubblico ai concerti, perchè la gente compri i dischi non capendo le parole. Io mi sono detto col tempo che forse la lingua italiana comunque aiuta e quindi penso che la gente ami questa lingua anche se non la capisce. Nei tuoi dischi c'è una continua contaminazione tra i generi non solo musicali. Come la vivi? Diciamo che si possono fare degli scambi. Nel caso di Jean Claude Izzo lo scambio per primo l'ha fatto lui nel senso che io non lo conoscevo e nel suo primo romanzo I marinai perduti, i protagonisti ascoltavano parecchia musica fra cui anche la mia. Poi ha continuato anche nei romanzi successivi. Per fortuna poi Jean Claude ho anche avuto modo di incontrarlo, siamo diventati amici ahime, per breve tempo perchè se ne è andato troppo presto e ho visto quanto l'uomo corrispondesse a quello che scriveva. Con Erri De Luca il percorso è stato all'inverso. Sono io che sono un appassionato lettore di Erri così ho avuto voglia di conoscerlo e anche in questo caso ho visto un uomo che corrisponde a quello che scrive. Con Pier Mario Giovannone la collaborazione è di lunghissima data. Io ho scoperto quando già suonavamo insieme che lui scriveva delle poesie e quindi ci siamo detti quasi come cosa militante perchè visto che la gente non compra poesie quasi mai, portiamo noi le poesie alla gente, leggiamo durante i concerti. Credo che i vari linguaggi siano fatti per incontrarsi e a me va benissimo di condividere le cose che faccio con altre forme espressive... Come è nato, Altre Latitudini, il tuo ultimo disco? Dopo Il valzer di un giorno per me non era facile fare un disco, perchè lì ho cercato l'essenzialità massima. Il partito preso di Altre Latitudini è stato quello di chiamare solo dei solisti. Enrico Rava, Rita Marcotulli, Mario Brunello fortunatamente ti portano un qualcosa in più del semplice suonare la melodia: la interpretano, la fanno diventare anche un po' loro, quindi sono molto contento del risultato. Anche le parole delle tue canzoni lasciano il segno. Io credo che la forma canzone sia piena di dignità. Se ne ha persa parecchia è colpa del fatto che la canzone più di altre forme musicali genera dei soldi e quindi si tende spesso a dimenticare la dignità della canzone a vantaggio del mercato. Nella forma canzone ci sono tre elementi fondamentali: un testo, una melodia e una armonia. Il problema è che non ci aspettiamo quasi più che una canzone abbia anche un bel testo, ci accontentiamo. Io non voglio dire con questo di fare delle meraviglie, però non licenzierei mai un testo che non mi soddisfi pienamente, che io non possa leggere a prescindere dalla musica, per esempio. Come vivi il rapporto con il pubblico? In modo bivalente. Da una parte sono contento e cerco di entrare in contatto con il pubblico perchè un concerto è una bella possibilità di scambio. La parte negativa, per me è che mi dispiace sempre di essere così banale come tutti e aver bisogno dell'applauso. Vorrei utilizzare una forma di comunicazione che non preveda la mia presenza diretta, però non so fare altro che canzoni e quindi...è un problema che mi pongo sempre, quello dei riflettori. Il fatto di essere contento mi rende anche un po' scontento... è una cosa un po' kafkiana, anche se però, dal vivo ti rendi più conto di una certa piccola verità che sta dietro le canzoni. dal nostro inviato da Bologna: Fulvio

L elettronica del Populous Salentino

Andrea Mangia è in realtà il nome di questo piccolo eroe dell elettronica made in Salento. Tanto da essere rapito da Thomas Morr della Morr records che lo ha incluso nel catalogo della sua etichetta. Complimenti al giovane Populous che già a 22 anni dimostra di avere ben chiare le idee. Quipo , il suo ultimo lavoro, si muove tra beat e basi hip hop che rappresentano un po il cardine attorno a cui ruota la sua musica. Più o meno nella stessa direzione si muove quando usa l alias Cable Corp con cui firma il suo biglietto da visita per Quantize. Kisses, infatti, pur mantendo le consuete basi, viene avvolta da suoni ipnotici e da indovinate trombe jazz. Populous non è più una promessa è già una realtà definita! La prima domanda è quasi d obbligo: come sei approdato alla Morr? Nel modo più discreto che si possa immaginare: ho spedito un cd-r con i miei pezzi a Thomas e lui ne è rimasto colpito. Così mi ha scritto e bla bla bla... Insomma, da li è nato tutto. Sei molto giovane, il tuo interesse a produrre musica e in particolare elettronica è quindi recente? Bah, non saprei. Ufficialmente si, è da un paio d'anni che sono nel giro (demo, contatti ecc). Ufficiosamente, però, traffico con la musica da parecchio. È l'unica cosa che ho perché è l'unica cosa che ho sempre avuto. Il nome Populous si sta diffondendo sempre di più. Le riviste specializzate iniziano a citarti spesso (su Blow Up era in prima pagina una tua recensione per il Morr contest) come una piccola rivelazione dell elettronica italiana (noi ne siamo più orgogliosi in quanto salentini). Tutto questo che effetto ti fa? Se ti dico che non fa effetto, sono un bugiardo. Fa piacere e poi ancora piacere e poi ancora... Ti definisci un b-boy e in effetti ci sono influenze hip hop nella tua musica. È questo un altro genere che ti interessa particolarmente e ti piace trattare? È da un bel po di anni che l'hip hop svolge il ruolo primario nelle mie produzioni (e nei miei ascolti!). E parlo di tutto l'hip hop, da quello ultra underground fino al mainstream r'n'b, sai... roba tipo Neptunes e Missy Elliott. Ricchi e poveri insomma... Usi l alias Cable Corp per differenziare la tua produzione musicale da quella di Populous? Quali sono le differenze? Non molte, a dire il vero. Credo si senta che dietro ci sia la stessa persona. Però è divertente usare più moniker. Anche per confondere la gente... ah ah ah Kisses è stato realizzato appositamente per Quantize? Come mai la scelta di 24.000 baci? Kisses*index è nata come sonorizzazione alla mostra di fumettisti dell'est Europa che hanno organizzato i miei amici bolognesi di www.inguine.net. Il nome della mostra era per l'appunto "24000baci" e nella sigla/jingle da 30 secondi ci avevo messo anche il samples vocale di Celentano, estrapolato dall omonima canzone. Molto divertente! Tu, Urkuma, Pierpaolo Leo, Noxious Nub, Kidsok Nuit, Roq, Cosmic, Insintesi; la proposta musicale salentina è variegata e ottima. Credi che si posa parlare di una vera e propria scena elettronica? Credo proprio di si, me lo auguro. È ora che la gente muova il culo per produrre materiale serio. Molti qui credono che l elettronica sia ancora la drum'n'bass e il loro unico contatto con dei suoni sintetici è quello che hanno ad una dance hall. peccato... Io la vedo più come una cosa democratica. Pensa, prima per produrre elettronica ti occorreva come minimo: un multitraccia, un paio di tastiere, un mixer, degli effetti ecc. Stiamo parlando di milioni su milioni. Potevano permetterselo solo i ricchi, che nel 90% dei casi voleva dire macchine nelle mani sbagliate. Adesso, invece, se vuoi della buona techno, puoi ascoltarla facile a casa del tuo amico che ha un pc e dei programmini. Non è figo tutto questo? Gianpiero (Sonique)


Il potere di trasformazione della musica Conversazione di Alessandra Pomarico con Steve Savale, aka Chandrasonic degli Asian Dub Foundation. Chandrasonic e Dr Das, membri fondatori degli Asian Dub Foundation, sono a Venezia per collaborare con il regista Peter Sellars alla creazione dello spettacolo Il Nuvolo Messaggero , cui forniscono un vibrante paesaggio sonoro. Gruppo londinese cutting-edge, gli ADF hanno aperto la strada alla contaminazione tra live music ed elettronica, con un sound fatto di contaminazioni tra musica tradizionale indiana, segno della loro origine, e il reggae, il dub, la jungle, l hip hop cui pure culturalmente e generazionalmente sentono di appartenere. Le loro liriche, impegnate e a tratti arrabbiate, sono un modo per riflettere sulla società, parlano di discriminazione e razzismo, di ambiente, di globalizzazione, prendono posizione contro la guerra in Irak e la strumentalizzazione dell 11 settembre, attaccano l informazione distorta dei media e la censura, di cui il mercato discografico dicono non essere esente. Lamentano, gli ADF, l omologazione artistica, la superficialità dei testi e la povertà musicale del pop attuale, l abbandono progressivo della ricerca, e l incertezza generata dalle strategie delle grandi case discografiche, sempre più condizionate dal marketing. La musica è per voi un occasione di riflessione pubblica? Certamente. Spesso ci chiedono se sia più importante la musica o le parole, è una domanda stupida, non separiamo mai la musica dai testi, è un tutt uno. Considero le liriche degli strumenti e gli strumenti, liriche. Se cantiamo un pezzo sulla guerra in Irak avrà il suono della guerra in Irak, è molto semplice, gli strumenti evocano. La musica consente di lanciare dei messaggi ad un pubblico vastissimo, di fornire un commento a temi importanti da affrontare. Allo stesso tempo è molto forte per noi l interesse per tutto quello che ha a che fare col suono, i valori veicolati da diverse sonorità, l impatto corretto che si genera combinando tradizioni e strumenti diversi. La musica è connessione, è un mezzo d inclusione, abbatte le barriere, può generare il cambiamento. Credo che si debba attingere da tutto quello che esiste Per voi è anche questione di riflettere un identità multipla, per così dire? Esatto. Siamo indiani, cresciuti a Londra, il suono delle tabla in scena si incontra con quello prodotto dal computer, con il rap, il drum&bass, la nostra musica riflette tutto quello che abbiamo ascoltato, con cui siamo cresciuti. Diversa mi sembra la questione della world music, una risposta a mio avviso al bisogno di esotismo della classe media, che sfortunatamente finisce col manipolare l innato bisogno di combinare la musica tradizionale con quella contemporanea. Esiste una sorta di iconicizzazione, che poi è il reverse del razzismo, come dire che tutto quello che arriva dall Africa è interessante. All inizio, dieci anni fa, ci chiedevano perché non usavamo costumi tradizionali o dove fosse il sitar! Per fortuna non accade più, molto è cambiato. La questione del souvenir, dello stereotipo culturale è ancora rilevante, anche se personalmente non mi interessa più come un tempo. Trovo più stimolante la questione del potere della musica, la sua forza sociale, l insita capacità di cambiamento. Questo è evidente oggi nella musica prodotta in Brasile, nell Europa dell Est, lo era nell hip hop che sta un po perdendo questa carica Com è nata la vostra ricerca? Ho conosciuto Dr Das nel 90, cercava qualcuno con cui esplorare innesti tra la musica nera e quella asiatica, tra il dub e l elettronica; erano i tempi della prima house, dell acid, la scena dei dj techno inizialmente venne fuori con suoni interessanti, facevamo live set improvvisando con l elettronica, suonavamo in concerti contro il razzismo, all epoca le minoranze asiatiche erano prese di mira da gruppi di fascisti. Siamo stati i primi ad abbinare il reggae al jungle, a tirarne fuori un sound per quei tempi molto originale. Questa è la nostra genesi, poi ha preso piede la band con una struttura più tradizionale. Parte fondamentale della nostra storia dal principio è l ADF Education, il programma di promozione e diffusione delle tecnologie musicali all interno delle comunità più disagiate. Abbiamo incontrato gli attuali rapper del gruppo in uno di questo workshop, che hanno sostituito chi ha sentito il bisogno di una militanza più attiva e non solo attraverso la musica . Come ti poni di fronte all attivismo politico? Credo che finalmente in tanti abbiano capito che bisogna occuparsi seriamente del mondo in cui viviamo. Rispetto i movimenti nella loro diversità, anche se la priorità per me resta quella di un impegno per l annullamento del debito dei paesi in via di sviluppo. Come musicista, cerco di creare uno spazio di comunicazione, mi impegno a metter al servizio degli altri quello che faccio, come è stato per i workshop di ADFed nelle favelas brasiliane, dove abbiamo scoperto un mondo musicale sommerso veramente interessante . È la prima volta che collaborate ad un progetto teatrale? Si, è stato fantastico scoprire la visione di Peter Sellars, le nostre prospettive sono simili, condividiamo l interesse per la storia contemporanea, la curiosità per quello che le nuove tecnologie apportano, l apertura alle altre culture, l interdisciplinarietá tra arti diverse. Un altra esperienza molto interessante è stata musicare dal vivo La Haine (L Odio), il film di Kassovitz. Stiamo pensando ad una versione in DVD del film con la nostra colonna sonora . Come create i vostri pezzi? Per Enemy of the Enemy ognuno ha scritto le liriche separatamente, mentre negli altri tre dischi il procedimento era collettivo, cosa che personalmente preferisco. La parte musicale nasce sempre dall improvvisazione, che poi fissiamo scrivendo le linee melodiche . Divagando, chi ha influenzato la tua visione? Ho divorato i libri di Philip Dick, ritrovandovi l idea che la realtà sia costruita, nei suoi romanzi è fatta di punti di vista multipli, indaga la natura umana e la possibilità di vita oltre l uomo. I suoi protagonisti androidi sono quelli che alla fine hanno i comportamenti più umani. L idea che i computer possano un giorno, magari fra cento anni, provare dei sentimenti è plausibile, e sarà la problematica del futuro. Bisognerà iniziare a considerare i loro diritti, ipotizzare le nostre reazioni rispetto a mondi generati dai circuiti. La cybermetafisica mi affascina molto La sola idea mi terrorizza, a te invece cosa fa più paura? La cosa che mi spaventa di più è la possibilità di ritrovarmi un giorno a non avere più speranze, né per me né per il mondo . Per saperne di più www.asiandubfoundation.com


Il lato sinistro del cuore

Io, lo ammetto con candida trasparenza e con un po di vergogna, non volo. Non ho mai preso l aereo perché sostengo che nei luoghi chiusi mi sento male e l aereo non solo è chiuso e limitato ma è a 10mila metri di altezza. La mia auto ha sempre il finestrino aperto, non mi piacciono i treni superveloci perché non hai la possibilità di aprire nulla. È tutto ermeticamente chiuso. Quindi per me questo libro di Francesco Piccolo è stato un piccolo vademecum di quello che forse (se la paura non mi passa) non farò mai. Piccolo ci accompagna attraverso i quattordici capitoli lungo tutto il mondo nel racconto divertito, compiaciuto (a tratti) e molto ironico dei suoi viaggi in giro per il mondo (ma anche per l Italia) come collaboratore di Marie Claire e Diario della settimana . Attraverso Sri Lanka, Australia, Hong Kong, la narrazione dello scrittore campano (vi consiglio anche E se c ero dormivo un titolo per me azzeccatissimo) mette in risalto caratteristiche del viaggiatore curioso e sorpreso. Bellissimo il racconto della filosofia della business class che consiste nel farti mangiare quando è ora di mangiare sia in riferimento all ora della città di partenza sia all ora della città di destinazione, e qualche volta prendendo anche alcuni tempi intermedi . E mi convince anche il passo dedicato all Ikea. Non è un mobilificio: è una filosofia; qui non immaginano di penetrare nelle case, ma nelle teste. E sono riusciti a modellare un design utopico che si basa su un equilibrio di gusto che accontenta tutti facendo sentire non si sa come (è questo il segreto) a ognuno una sensazione di esclusività . Un libro agile da leggere (soprattutto) in viaggio alla scoperta di quello che vorremmo vedere. Molto curioso anche l avvio con il cinese a Hong Kong che scambia Piccolo per il grande attore americano Nicolas Cage, la faccia cinematografica dell uomo medio. Che non è vero soltanto che per gli occidentali i cinesi sono tutti uguali, ma è vero anche il contrario. Anche per i cinesi gli occidentali sono tutti uguali . Pierpaolo

Un mondo meraviglioso

Thomas vaga per le vie di Vicenza, non ha nessuna meta, solo va. E nel vagare si racconta: non ha più un lavoro perché l ha lasciato, non ha più una donna perché l ha abbandonata. Ha annullato ogni forma di relazione sociale per concentrarsi sul libro che sta scrivendo. Nessuno è in grado di capire che scrivere o non scrivere è una questione che implica per me anche il dilemma di vivere o non vivere . Thomas è appagato dalla sua solitudine. Ma la sua voce narrante si frammista a ricordi ossessivi, a sentenze ruminate in bocca in un disperato tentativo di dimostrare a se stesso che ce l ha fatta, ha finalmente una meravigliosa corazza per proteggersi da ogni forma di sentimento. Per l amore non ho un lessico, sull amore sono muto cieco e sordo, non riesco più nemmeno a sentirlo . Non è reale: Thomas butta fuori il suo cinismo per le vie di Vicenza sperando che qualcuno lo raccolga e se ne prenda cura: ma la città è indifferente, muta cieca sorda e È un narrare senza argini quello di Vitaliano Trevisan, pieno, con volute leggere. Scrive seguendo il ritmo dei pensieri che si accavallano, fuggono lungo vie di dispersione, si attorcigliano in spirali, si frammistano alle strade e alle persone che incontra e non arrivano mai. E intanto il suo eroe ti scava un solco dentro e ci si insedia a rosicchiare le ambiziosi deluse, quelle che tutti abbiamo ma facciamo fatica a raccontarci. Maurizia

Italiani Cìncali!

Citta del Libro, Campi con il patrocinio del Ministero degli Italiani nel Mondo di Nicola Bonazzi e Mario Perrotta diretto e interpretato da Mario Perrotta

libri d altri tempi

Vitaliano Trevisan/Einaudi

Rêveries

libri

Allegro Occidentale Francesco Piccolo/Feltrinelli 2003

Specie di spazi 1984

Carlo Lucarelli/Einaudi stile libero Per elencare tutti i romanzi pubblicati da questo talento del noir italiano occorrerebbe troppo spazio, gli amanti del genere conoscono la copiosa bibliografia di questo autore. Però forse non tutti sanno che Lucarelli si è lasciato alle spalle anche una mole enorme di racconti e di storie brevi, pubblicati su libri, riviste e giornali, che, per il numero e la molteplicità degli argomenti trattati, testimoniano, se ancora ce ne fosse bisogno, le sue multiformi caratteristiche di scrittore. Ecco che nasce questa raccolta, montata dallo stesso autore, in cui troviamo una selezione di più di cinquanta storie brevi che invitano il lettore al coinvolgimento emotivo con i personaggi fino a capire che il mistero e la paura si possono nascondere anche dietro le situazioni più semplici. Il menù che Lucarelli ci mette a disposizione è molto ricco; possiamo assaporare una grande quantità di stati d animo: sensualità, ironia, paura e inquietudine, che si innestano su atmosfere che spaziano dal comico all horror al thriller, il tutto condito da una eccezionale capacità narrativa che crea suspense dalla prima all ultima pagina: il tocco da maestro che solo un grande chef può dare. Ecco allora che un gatto si può innamorare di una ragazza appena lasciata dal suo ragazzo (Il gatto), la signora Linina col suo piatto eccezionale fatto con un ragù molto particolare (Garganelli al ragù della Linina), Oskar che continua a scrivere alla moglie pur essendo morto (Carissimo Oskar), una simpatica rivisitazione dell invasione aliena fatta in diretta radiofonica da Orson Welles negli anni 50 (Radiopanico), una rapina in un museo andata male per colpa di un custode molto zelante (Il silenzio dei musei) e tantissimo altro ancora. C è n è veramente per tutti, i buongustai del noir sono serviti: buon appetito. Daniele

George Perec/Bollati Boringhieri,

Perec finì di scrivere questo libro nel 1974, offrendoci, a mio avviso, un piccolo capolavoro di scrittura. Si tratta di una raccolta di riflessioni sugli spazi e sullo spazio. Parte dal foglio, luogo minimo e fondamentale per chi è uso, come direbbe Gadda, alla palestra dealbata della pagina , cioè alla scrittura. Dice Perec: Scrivo, abito il mio foglio di carta, lo percorro, lo attraverso . Poi passa alla stanza da letto, all appartamento, al palazzo, alla strada, al quartiere, alla città, allo spazio in generale. Una galleria mirabile di immagini e pensieri su quello che ci circonda, e circondandoci ci condiziona, ci trasforma, ci rende quello che siamo. E all interno anche una serie di esercizi e di indicazioni personali su come vada osservata, ad esempio, la strada, oppure il quartiere, insomma la realtà esterna. Un vero e proprio vademecum dettagliato e approfondito, una sorta di taccuino personale aperto a tutti. Si ha, netta, la sensazione di entrare nella bottega dell artista, di essere di fianco a Perec nel momento in cui scrive, in cui l idea gli attraversa la mente e prende forma, piano, prima nebulosa, poi sempre più chiara, precisa, dettagliata. Il Perec più calviniano questo di Specie di Spazi, quello che si inserisce nella corrente Borges-Calvino, che condivide con l italiano e il sudamericano la passione per il calcolo, per la combinazione degli elementi, per la costruzione a incastro. È questo il terreno di prova preferito da Perec, che di lì a poco si misurerà con La vita: istruzioni per l uso, gigantesco puzzle sulla vita di un condominio visto in sezione. Volti, voci, vite che si susseguono e si incrociano in un normale condominio francese per oltre seicento pagine. E proprio in Espece d espace (questo il titolo originale dell opera) Perec abbozza per la prima volta l idea del romanzo che lo consacrerà alla storia della letteratura mondiale. Ci sono alcune pagine, infatti, dove lo scrittore parigino prende appunti, segna idee, le pesa, le pondera e ce le offre, in forma di bozza, in forma di memorandum, in forma di solenne promessa di ciò che poi sarà. Sicuramente un autore che va letto, amato e riscoperto. dario

Lo stato ci ha venduto per un sacco di Carbone. Ferma è la condanna che viene fuori da un eccezionale Mario Perrotta, autore insieme a Nicola Bonazzi, e attore unico dello spettacolo Italiani Cincali . Lo spettatore viene trasportato dalla sua voce narrante sulla tratta ferroviaria Lecce- Milano-Stuttgard-Zurigo, da un Mario bambino che respira i suoi compagni di viaggio, scruta i volti sospesi in un'espressione di viaggio perenne e assorbe la loro cultura di emigranti appartenenti ormai ad una terra di nessuno, quella dei treni. Ai suoi occhi di bambino fare l'emigrante è un mestiere come tanti. Ai suoi occhi di adulto non più. Mario viaggia per l'Italia a ricomporre le storie di quanti hanno vissuto la grande epopea dell'emigrazione che ha colpito il sud Italia nell'immediato dopoguerra. E in 2 ore di monologo serrato sempre compaginato fa rivivere la storia del Salento, le infinite dominazioni, il vivere dei frutti della terra sotto padroni paternalisti e poi la fame dura, quella senza scampo. Finché un giorno il miracolo: in tutto il sud Italia lacerato e totalmente da ricostruire dopo una Guerra, che tuttora fa fatica a capire, appare un manifesto che titola Grande occasione e promette un lavoro sicuro e una nuova America a solo 18 ore di treno: destinazione Belgio. Ma la vita nella Belgique, così come in Germania, Svizzera, e poi Svezia è un inferno. E Perrotta come in una giostra ruota tra i protagonisti della storia di quei tragici 30 anni e gli da voce corposa: il postino del paese di un sud qualunque che reinventa un alta vita per gli amici lontani, le donne morbide, voluttuose, pieni i seni ma ormai vuoto il grembo, i minatori con i polmoni pieni di polveri, che proseguono la discesa in un inferno di crauni per dimostrare a se stessi e ad un Italia che li guarda la loro forza, il loro essere uomini. E perché alla fine non c era altro da fare. Cincali è il nome con cui gli svizzeri continuano a chiamare gli italiani pellegrini del mondo; forse perche considerati zingari o forse perché i padani lontani da casa avevano l abitudine di giocare a morra e di urlare cinq cinque. E cincali racchiude il disprezzo con cui quelli che cercavano solo di inventare un altro futuro in un sud che non ne aveva altri venivano derisi, con sufficienza. Strano come tutte le storie di emigrazioni siano poi uguali. O forse non è strano, no. Maurizia


Dogville

Lars Von Trier

con: Nicole Kidman, John Hurt, Ben Gazzarra, Udo Kier

cinema

Che cosa può accadere a una ragazza (una candida e conturbante Nicole Kidman) che cercando di sfuggire a dei misteriosi inseguitori, ripara in uno sperduto villaggio americano? Può accadere che i suoi protettori si trasformino in aguzzini, facendo diventare i piccoli lavori che dapprima fanno svolgere alla vittima per mantenersi nella comunità, in veri e propri abusi e umiliazioni. Dogville è ancora una volta un viaggio alla ricerca del male che parte dalle basi della società, soprattutto da quelle piccole comunità (già altre volte rappresentate dal regista danese, come ne Le onde del destino ) poco aperte verso l esterno che sembrano volersi dare una rigida condotta morale e di vita. Von Trier ancora una volta racconta una storia ponendosi al di sopra delle parti, guardando dall alto i personaggi di cui muove i fili, non mischiandosi con le loro mortali beghe e non infondendo le proprie emozioni ma lasciando che sia lo spettatore a trarre soggettivamente quell emotività data di volta in volta dalle immagini e dalle situazioni. Anzi, Von Trier molto generosamente questa volta allarga la partecipazione dello spettatore, lasciando alla sua immaginazione tutta la scenografia del film, girando la vicenda interamente in un teatro di posa dove le case non hanno mura né porte e si può scorgere l attività domestica dall esterno, dove i cespugli o i cani sono disegnati sul pavimento e il paesaggio è dato da orpelli scenici, per meglio rappresentare il claustrofobico teatrino delle meschinità umane. Teatrino che esplode nel finale con la sua cattiveria tanto più atroce, quanto più si considera la cinica freddezza dell autore nel rappresentarla. Forse questo è l elemento di cui più si ha bisogno: finalmente si può dire di aver assistito a un film crudele, spietato, dove non si ha pietà neanche delle sorti di un neonato, politicamente scorretto, in cui i diversamente abili sono chiamati storpi. Esigenza tanto più urgente se si pensa che la versione italiana di Dogville è stata accorciata di 40 minuti per adattarsi, a detta del regista, alle leggi di mercato italiano ormai dominato dalla piattezza delle fiction. Per questo ora più che mai si sente il bisogno di un Von Trier, nonostante le sue imperfezioni; e chi si è alzato dalla sala per dirigersi verso l uscita probabilmente non se lo merita. Gianpiero

Renato Polselli

Il ritorno Vozvraschenie

Andrey Zvyagintsev

Ok lo ammetto, l ho visto solo perché ha vinto. E adesso pago la mia colpa chiusa in una fitta rete di perché che non riesco a scrollarmi di dosso. Il copione è quello solito da L incompreso che ossessiona l inconscio di molti, solo che stavolta a rimetterci le penne è il caro paparino. Due ragazzini uno in fase preadolescenziale, l altro in adolescenza acuta, vanno in gita con il papà che non vedevano da 14 anni. E inizia il flusso delle domande: perché il padre, con la moglie bona che sembra un eroina di Tolstoj, una casa accogliente, 2 splendidi figli, è andato via? Perché ora è tornato? Perché invece di strisciare a terra è li che li tratta come fantocci che devono muoversi a suo comando? E intanto il senso di tragedia incombe, soffocante. La prima scena distribuisce con maestria gli elementi su cui si sviluppa il film e ne costruisce la struttura: tanti bambini (come i cretini?) dall alto di una torretta a strapiombo sul mare aspettano il loro turno per buttarsi di sotto. Ce la fanno tutti tranne il piccolo Vanja che soccombe alle logiche di bullismo e rimane nudo sulla torre finché la mamma da schianto non lo salva. E già lo sai che Vanja sarà perseguitato dal suo fallimento e che la torre lo ossessionerà fino alla fine. L immagine è costruita alla perfezione. Ottime le inquadrature sui passaggi in uno sforzo perfettamente riuscito di narrare la natura come parte attiva del tessuto emozionale dell uomo. Il film è un ottimo esercizio di stile. Ma la vita è altro da un susseguirsi di momenti tragici senza soluzione. O almeno è quella in cui ho voglia di credere. Maurizia

Baffetti sottili, grandi occhiali in volto, oltre ottant anni, laureato in filosofia, pochi ricordano la figura e l opera bizzarra di Renato Polselli, regista ciociaro con una personale visione del cinema. Una vita spesa per il grande schermo, rivestendo nel corso degli anni figure professionali diverse fino ad arrivare, negli anni cinquanta, a firmare le prime regie influenzate dallo stile neorealista (di grana grossa) e negli anni sessanta western, horror (L Amante del Vampiro) e commedie con la coppia Franchi e Ingrassia. Ma la vera opera da riscoprire del regista, per ogni amante del cinema bizzarro, è collocata nel periodo che va dal 72 al 73 anni in cui Polselli inizia un suo personale cammino stilistico (!) e di contenuti (!!). Completamente a digiuno di tecnica cinematografica, il suo stile di ripresa è a dir poco pedestre, ma forse è questo uno dei punti di forza del suo cinema, sposando completamente la filosofia del so bad, so good. Ora la cinepresa è di una fissità imbarazzante, ora invece gioca con lo zoom fino a far venire il mal di testa, lanciandosi in riprese ardite e improbabili e facendo uso di colori sempre accesi in linea con il piglio pop del maestro Mario Bava. Ciò che inoltre lascia basiti nel cinema di Polselli, è la velleitarietà delle sue tematiche, sempre infarcite di tesi personalissime ai limiti del filosofico (spicciolo) e supportate da dialoghi spericolati come un funambolo e dove il sesso, incentrato soprattutto sulla figura femminile, è la chiave di lettura. Primo film del periodo d oro e forse summa della sua cinematografia è La Verità Secondo Satana, (1972) vero e proprio delirio visivo e dialogico. Una lieve impronta thriller a supportare la trama, dialoghi al limite del credibile che non danno un attimo di tregua, camera così fissa da sembrare incollata al pavimento e una recitazione alle soglie del dilettantesco (e sì che Rita Calderoni aveva recitato per Rossellini!). Seguirà Riti, magie nere e segrete orge nel 300 un titolo che mantiene tutto quello che promette. È un film sulla credulità popolare dice convinto Polselli volendo così attribuire un valore accusatorio al suo lavoro nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche e religiose che plagiano le coscienze del popolino rendendolo cieco alla verità. Più verosimilmente si tratta di un horror sui generis, dai colori forti e con una cinepresa questa volta, lanciata in girandole di riprese da capogiro. Il sesso la fa da padrone in un altro capolavoro , ovvero Rivelazioni di uno psichiatra sul perverso mondo del sesso in cui tenta un discorso didascalico e sociologico, negli intenti, sulle devianze sessuali facendo valere la perizia che, a suo dire, gli appartiene in campo psicologico. La fantasia di Polselli si sbizzarrisce rappresentando una fauna improbabile che oltre ad annoverare i casi più normali , vede tra gli altri, uomini che amano farsi stirare (si avete letto bene!) dalla propria consorte. Assolutamente fuori di senno! Nello steso anno Polselli sale sul treno del thriller argentiano a modo suo, confezionando Deliro Caldo raffazzonato esperimento in cui non mancano gli elementi tipici del genere riletti in maniera personale. Qualcuno potrebbe definire trash lo stupefacente Oscenità (1973), ma la sua eccessività lo rende così divertente da renderlo un classico imprescindibile per tutti. La trama richiama direttamente quella di Rivelazioni solo che questa volta gli astanti discorrono sulla tematica della donna e il suo sfruttamento nei secoli. Colorato, psichedelico, caleidoscopico, delirante, con attori fantastici (oltre Rita Calderoni, Isarco Ravaioli che contende al pallore del muro il primato di chi recita meglio e il sex symbol Dino Strano, una specie di villico d altri tempi vestito da bullo strapazzafemmine): in una parola In-cre-di-bi-le. Nulla è dato di sapere, invece, di Mania, se non che si tratta di una sorta di remake o rivisitazione di La verità secondo Satana. Gli ultimi film del maestro ciociaro escono a fine anni settanta e uno dei due, in particolare, preannuncia il suo abbandono al cinema. Torino Centrale del Vizio, infatti si presenta come una sorta di noir dai toni crepuscolari e malinconici quanto un addio (come ebbe a scrivere Luca Rea), mentre Casa dell amore: la polizia interviene è solo un lavoro di recupero di alcuni spezzoni di un film mai uscito dell amico Bruno Vani. In seguito Polselli abbandonerà il cinema ufficiale e si dedicherà alla post-produzione di film, e molto più spesso girerà in prima persona alcuni hard sotto falso nome. Come Joe D Amato, Polselli capisce che in un mondo in cui non c è più spazio per il suo cinema dell eccesso, l unico modo per portare a casa la pagnotta, è piegarsi alle leggi del mercato che trova una vera e propria miniera nel porno, avvalorando la sua tesi per cui col cinema non si può proprio fare arte. Ha troppo peso l aspetto economico: un regista non è mai posto nelle condizioni di fare veramente ciò che desidera . Gianpiero


A me il Natale non mi piace, o no!

Viaggio nella memoria di un bambino felice Sin da bambino ho avuto una (tra le varie) malattia seria da voler debellare a tutti i costi. Essa, con tutto ciò che ne consegue da questo momento del mio scritto in poi, si chiama Natale. Il Natale a casa mia arriva il 20 o 22 novembre quando mia madre ad un certo punto di un normale pranzo domenicale inizia a chiedersi, ad un mese dalla scadenza, quale possa essere un dignitoso pranzo di Natale. Si perché, come avviene in molte case del sud e sopratutto nelle famiglie numerose, il 25 dicembre si trasforma nella festa più in dell anno con parenti, zii, cugini, nipoti, fratellastri, ragazze e ragazzi, fidanzatini, futuri sposi. Il giorno di Natale viene però anticipato da una serie di improrogabili adempimenti che neanche un matrimonio richiede. Ma la cosa distruttiva è che: il matrimonio avviene una volta nella vita (se non altro quello in chiesa, Sacra Rota escludendo) il Natale si ripete con inspiegabile puntualità ogni dicembre. Il vero Natale inizia l 8 o il 13 quando si monta il presepe e l alberello. Che poi alberello non è mai considerato che in ogni famiglia ad un certo punto si abbandona il tristissimo esemplare in plastica per acquistare o rubare (da qualche campagna oscura dell hinterland) un pino reale dell altezza di tre metri, con la cima che pressa sul soffitto, e la chioma da competizione. Le palle si appendono insieme a milioni di luci (che poi papà bestemmia per la bolletta del mese successivo) e stelle filanti che sembrano pappardelle paglia e fieno. Insomma... una tragedia biblica: il trasporto dell albero, delle palle, dei pupazzi (considerato che San Giuseppe viene annualmente decapitato). E poi c è il bambinello che viene nascosto ogni anno per non perderlo e si perde sempre e in qualche cassetto c è una colonia di lattanti con l aureola. Ma la vera tragedia del Natale io la vivo ogni anno a tavola. Nelle famiglie dedite alle tradizioni le feste partono il 24 alle 20.00 e si chiudono il 6 gennaio alle 18.30. Pranzi, cene, spuntini, cocktail, panettoni, pandori, torroni, purceddruzzi, ncarteddhate, pasta di mandorla. Il 24 si mangia pesce (perché è sera e bisogna mantenersi leggeri) e leccornie varie, il 25 pasta al forno o tortellini al ragù, mille rotoli di carne, patate, rape nfucate, dolci in quantità industriale. Il 26 tortellini in brodo (un classico) e poi se va male gli avanzi del giorno prima. Se invece si è cambiata casa e sponda familiare si ripete tutto daccapo con salsicce, lacerti, olive nere, bianche, saporite, pittule. Una pausa di riflessione sarebbe anche possibile ma è improponibile. Si cerca di correre per recuperare la linea ma stinchi di maiale e cotechini ti perseguitano. È il pensiero del cenone di capodanno. Che poi il 31 si dice che si debba passare in compagnia. Ma perché privarsi del luculliano cenone casalingo per spendere centinaia di euro in posti tristi dove sconosciuti si danno gli auguri augurando la morte prematura di quello che bacia la ragazza da lui appena conosciuta ma tuo sogno erotico interrotto da una vita? Si riprende con il pesce (è pur sempre sera) salmone, aragoste (se va bene), gamberoni (se va così e così), gamberetti se va male. Ma il dramma dell ultimo dell anno è il tradizionale cotechino accompagnato dalle lenticchie (tante monete quanti chicchi) e l indimenticabile purè di patate. A mezzanotte si brinda, si assiste allo sparo dei fuochi che dalle mie parti equivale al D-Day con bombardamenti in piena regola. Dopo i bagordi notturni a base di alcool e carte la sveglia del primo gennaio è traumatica. Alle 13 ci si sveglia e si pranza. Con il sugo nel quale si intinge il biscotto (per non perdere le sani abitudini mattutine) e il vino che fa da surrogato (molto più gustoso) al latte. Insomma la tragedia perenne e imperitura delle feste natalizie va in scena con personaggi sempre uguali. Nei pomeriggi freddi e carichi di noia tra pranzoni e cenoni ad esempio c è la solita partita al mercante in fiera, a pupetta, a mazzetto, a sette e mezzo (con la barella coperta se me piace me la tegnu) e poi ricordo che da piccolo i miei zii giocavano sempre a stoppa o a tressette. E a ripensarci ricordo sempre più cose del mio Natale da piccolo che è tutto diverso da quello di adesso. Perché c erano i nonni, i cugini (ancora piccoli) e gli zii (ancora giovani) e tutto sembrava più bello e tutti sembravamo felici. E mi ricordo che c era il tavolo dei piccoli e il tavolo dei grandi e ogni anno qualcuno aveva la fortuna e la bravura di passare dall altra parte e di migrare verso il mondo degli adulti e io (che ero il più piccolo della famiglia) a quel tavolo non ci sono mai arrivato se non per essere abbracciato e sbaciucchiato dalla mamma o dalle zie. E a ripensarci come dimenticare la tortura della preghierina prima della nascita del bambinello e poi la processione con il bacio e la consegna dell infante alla cupa capanna. E poi i regali che non erano mai quelli sperati. Una volta i miei mi regalarono Ken (il marito di barbie) e non Big Jim e le mie certezze sessuali vacillarono. E mi ricordo che a mezzanotte si scartavano i pacchetti che le cugine più grandi avevano fatto per tutti. E ancora il rito dei piatti con la macchina da guerra formata dai più piccoli che asciugavano e i grandi che lavavano (che una volta in quel lavandino con l acqua calda uccisi il capitone ancora vivo). Il Natale forse un tempo aveva un sapore diverso, più romantico, con i regali di pezza oppure con i Commodore 64 e gli Atari ma senza plaistesciò. E a ripensarci ho una grande malinconia per quello che non è più, sperando che prima o poi sarà di nuovo. Magari con me zio che vizia i nipotini aizzandoli contro il padre. Che poi il Natale se mangi e bevi è sempre meglio che star da soli. Pierpaolo


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Subordinate senza principale. In tempi in cui, mai abbastanza viene detto, assistiamo al ritorno ormai non più strisciante del fascismo e di quello che comporta, dalla censura, alla esaltazione di valori come patria, famiglia e dio, alla condanna delle droghe, tutte uguali, tutte cattive, al culto divino dell immagine del capo (leggi primo ministro), al razzismo e al culto della razza (un tempo gli inferiori erano gli ebrei, oggi sono i musulmani, ma l importante è che la religione superiore resti la cattolica). In tempi in cui il buonismo impera ipocrita da destra a sinistra, il desiderio di riappacificazione tra le parti resta la sola cosa importante e il volemose bene è la parola d ordine che apre tutte le porte dei salotti buoni televisivi e non. In tempi in cui si parla di conflitto sociale come una piaga, di lotte sindacali come uno spiacevole contrattempo che rischia di rovinare le festività natalizie, la corsa ai regali e la prima della Scala. In tempi in cui chiunque abbia qualcosa da dire viene bollato come pericoloso sovversivo, ieri anarcoinsurrezionalista, oggi brigatista, o comunque genericamente terrorista. In tempi in cui le forze armate sono tornate alla ribalta come eroi dello stato, la mafia dicono che non fa più paura, piuttosto guardiamoci dai terroristi di Bin Laden. In tempi in cui per sentirsi importanti bisogna dire che si rischia di morire da un giorno all altro perché molti e cattivi sono i nemici che ci odiano, e noi siamo un bersaglio di primissimo piano, grazie alle importanti azioni di pace e di esportazione della democrazia che stiamo portando avanti nel mondo non evoluto. In tempi in cui democrazia è una parola che ha perso completamente significato e dire comunista equivale a dire cane randagio pericoloso e malato, aggressivo e da eliminare, mentre re e principi rientrano in Italia da vincitori e maltrattati, che meritano riconoscenza per quanto hanno fatto per il nostro paese. In tempi in cui si continua a morire sul lavoro da nord a sud, ma se chi muore non è italiano di origine, ce ne frega ancora meno di quanto ce ne frega di solito e la pietà dura sì e no il tempo di un servizio di telegiornale su Rai 3. E parlo di pietà. In tempi in cui la satira viene accettata solo se chi fa satira si veste da pagliaccio, possibilmente con la gobba e i campanelli in testa, parla con la voce storpiata e alterata e, per carità di dio, non se la prende con i veri potenti. In tempi in cui, non capisco bene perché, si riprende a discutere di meglio gioventù , e non si sa bene a quale meglio gioventù ci si riferisce, dato che quella attuale sembra latitare, almeno nelle rappresentazioni mediatiche che ci vengono offerte, che si limitano a parlar bene di una gioventù di trent anni fa, che trent anni fa era brava e anche oggi è brava perché è entrata nei palazzi del potere e anche se mantiene una certa etica e moralità non fa proprie le istanze della storia che bussano urgentemente alla nostra porta. E così i BR che rapirono Moro in fondo se ne pentirono, e chi fece il 68 dei movimenti nati a Seattle non ha neanche sentito parlare e di Berlusconi alla fin fine non ha nulla da dire. E la televisione in questo dicembre prenatalizio manda in onda un bel film di Tullio Giordana con il bravo Lo Cascio. Un bel film che non aggiunge niente al mio livello di comprensione di questi tempi bui in cui vivo, dove la realtà è talmente rarefatta e surrogata da venirmi a nausea. In tempi in cui il nipotino di criminali di guerra va a casa di un altro criminale di guerra e per miracolo tutti e due ne escono lindi e santi e i criminali di guerra diventano quelli che forse un giorno verranno ricordati come gli eroi della resistenza di un popolo contro la sua cancellazione. dario


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