Coolclub.it n.31 (Novembre 2006)

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anno III numero 31

novembre 2006

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BUON COMPLEANNO DYLAN



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Dylan Dog compie 20 anni. Il personaggio che ha segnato la rinascita del settore in Italia festeggia il suo anniversario in un periodo particolarmente felice per il mondo dei fumetti. In edicola le pubblicazioni di antologie dedicate a fumettisti si accavallano, in tutta Italia prolificano le fumetterie, aumentano i festival dedicati ai comics e il cinema sembra aver riscoperto il genere con una serie di adattamenti in pellicola eccezionali. Il salento stesso vede crescere il numero di appassionati, di manifestazioni legate al mondo dei fumetti e di addetti ai lavori (quest’anno anche la casa editrice Manni dedicherà la sua Agenda 2007 al mondo dei fumetti). La gente ha ancora bisogno di sognare, di appassionarsi alle storie, di nutrirsi di fantasia e di bello... e questo è incoraggiante. Tra manga, produzioni americane, italiane, sud americane, l’offerta è oggi sterminata. Sono lontani i tempi di Nembo Kid, del fumetto foriero di sani valori e nazionalismo. Oggi il fumetto può essere irriverente, eccitante, inquietante... oggi il fumetto è lo specchio, e forse lo è sempre stato, della nostra società, ne è la trasfigurazione in pagina, la mediazione attraverso gli occhi e la mente dei suoi creatori. Ci sembrava doveroso chiudere un discorso, cominciato mesi fa, sulle interazioni tra le varie arti con questo ultimo capitolo. Musica e video, musica e copertine, musica e fumetti. Strano ma vero, il rock and roll ha un legame forte con il fumetto e viceversa (molte canzoni citano o sono dedicate a loro). Ne abbiamo approfittato per ricostruire un breve storia con i momenti salienti della sua storia e abbiamo colto l’occasione per realizzare alcune interviste. Abbiamo parlato con Paola Barbato, sceneggiatrice di Dylan Dog, Leo Ortolani, autore dell’esilarante Rat Man, il grande Staino ed altri ancora. Come sempre abbiamo omesso nomi importanti (non abbiamo, ad esempio, parlato di Andrea Pazienza, di Milo Manara, delle mitiche serie Squalo) ma lo spazio è tiranno. Resta il senso di questo numero che vuole essere un omaggio a un mondo capace di appassionare grandi e piccini, un amore, quello per il fumetto, che può unire lettore e personaggio anche per una vita. In compenso troverete al loro posto le consuete rubriche e gli appuntamenti più cool del prossimo mese. Buona lettura Osvaldo Piliego

CoolClub.it Via De Jacobis 42 73100 Lecce Telefono: 0832303707 e-mail: redazione@coolclub.it redazione_bari@coolclub.it Sito: www.coolclub.it Anno 3 Numero 31 novembre 2006 Iscritto al registro della stampa del tribunale di Lecce il 15.01.2004 al n.844 Direttore responsabile Osvaldo Piliego Collettivo redazionale Dario Goffredo, Pierpaolo Lala, C. Michele Pierri, Cesare Liaci, Antonietta Rosato Hanno collaborato a questo numero: Loris Romano, Davide Castrignanò, Roberto Cesano, Federica Pacella, Max di MondiSommersi, Erik Chilly, Berardino Amenduni, Anna Puricella, Federico Baglivi, Davide Rufini, Ilario Galati, Valentina Cataldo, Gianpaolo Chiriacò, Giancarlo Bruno, Nicola Pace, Camillo Fasulo, Giovanni Ottini, Livio Polini, Rossano Astremo, Vito Lubelli, Mauro Marino, Raffaella De Donato, Miriam Serrano, Simone Rollo, Sabrina Manna, Dario Quarta. Ringraziamo Pick Up a Lecce e le redazioni di Blackmailmag.com, Primavera Radio di Taranto e Lecce, Controradio di Bari, Mondoradio di Tricase (Le), Ciccio Riccio di Brindisi, L’impaziente di Lecce, QuiSalento, Pugliadinotte. net. Progetto grafico dario Impaginazione Danilo Scalera Stampa Martano Editrice - Lecce Chiuso in redazione nel giorno di festa.

BUON COMPLEANNO DYLAN

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4 Musica & Fumetti 6 Leo Ortolani

8 Paola Barbato 9 Staino

13 Keep Cool 29 Coolibrì 35 Be Cool

40 Appuntamenti


Buon compleanno dylan

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BREVE STORIA DEL FUMETTO di Ro b e t o C e s a n o 1895

Negli Usa, sull’edizione domenicale del quotidiano New York World appare un’unica vignetta con protagonista un ragazzino orientale vestito di stracci gialli, Yellow Kid. Nello stesso anno i fratelli Lumiere inventarono il cinema.

1905

Wimar McCoy conquista i lettori con Little nemo fumetto paragonato all’Alice di Lewis Carrol.

1909

In Italia nasce il Corriere dei piccoli, prima testata antologica dedicata ai fumetti.

1928

Walt Disney realizza il primo cartone animato con Topolino. Nel 1934 sarà il turno di Paperino.

1932

italiano.

L’editore Nervini pubblica in Italia il settimanale Topolino, tra le più longeve testate del mercato

1934 - 1 9 3 6

Alex Raymond crea Rip Kirby e Flash gordon mentre Lee Falk Idea Mandrake e The phanton (l’uomo mascherato), gli antesignani dei moderni supereroi.

1938

Con la pubblicazione di Superman nasce la D.C. comics storica casa editrice americana. L’anno successivo per essa Bob Kane crea Batman. Personaggio icona del fumetto d’oltreoceano

1948

Luigi Bonelli crea in tandem con Galleppini la serie Tex Willer un successo da oltre cinquanta anni.

ROCK’N’ROLL comics

“Vorrei essere la chitarra di Keith Richards” Andrea Pazienza Correva l’anno 1954 e nasceva il rock con Elvis the “Pelvis”. Ma qui dobbiamo parlare di fumetti e non appare certo così scontato il connubio con il rock. Eppure non è così, musica e fumetto, un’accoppiata all’apparenza così distante e impossibile, sono uniti da un filo rosso sia che si tratti di tradurre canzoni in immagini sia che si prospetti l’occasione di realizzare biografie a fumetti di artisti famosi. Elvis Presley era un fan dei super eroi e in particolar modo di Capitan Marvel (Capitan Meraviglia in Italia), precursore di colui che diventerà il super famoso con super poteri: Superman. L’autore, saputo del gradimento da parte del re del rock, addirittura ridisegnerò il costume di Cpt Marvel rifacendosi agli abiti di “The Pelvis”. Ma si tratta solo di una curiosità. Passando invece al rapporto stretto tra musica e fumetti, bisogna dire grazie alla DC comics che, sin dalla metà degli anni ‘50 realizzò una serie di albi con un primo numero dedicato a Pat Boone, cantante famosissimo di quegli anni. Ma è sicuramente di Stan Lee il progetto più avventuroso di unire musica e fumetto. Nel numero unico World’s Greatest Songs (1954) le intenzioni erano infatti quelle di raffigurare a fumetti i testi delle canzoni, ma l’idea non superò la prima edizione. Comunque per l’allora giovanissimo Lee il futuro preserverà un grande successo con l’amazing Spider man. Una vera e propria rivoluzione avvenne invece negli anni 60. Il clima sociale, politico e culturale cambiò radicalmente, fermenti e contestazioni iniziarono a fare capolino; l’epicentro fu la California, in particolare San Francisco, dove iniziò a circolare una stampa alternativa che si opponeva al tradizionale sistema dei media con le sue informazioni manipolate. In questo contesto il fumetto e la musica assunsero una particolare valenza culturale, il fumetto cambiò volto, divenne più aggressivo con nuovi stili grafici, con espliciti riferimenti al sesso, alla non violenza, alle droghe psichedeliche e alla musica rock. Così nel 1967 San Francisco diventò per tutti gli hippie e le loro “good vibrations” la capitale dell’amore cosmico e così l’estate di quell’anno viene ricordata come The Summer of Love. Con le droghe psichedeliche nacque la musica psichedelica; Frank Zappa uno dei precursori che con i suoi

CHaos! Comics

Mothers of Invention aveva già due dischi all’attivo. In quel clima acido così cool dove si fumavano canne, si consumavano mescalina e peyote (fonte di ispirazione di numerosi artisti dell’epoca) nacque un nuovo modo di fare e fruire di fumetti. Musica da sballo e niente Superman, il nuovo emblema dei fumetti di questo nuovo spirito diverranno i Freak Brothers (The Faboulos Furry Frerak Brothers). I tre fratelli apparvero per la prima volta nel 1967 su un numero di The LA Free Press, fanzine della scena hippy; i tre strafattoni nascono da quella cultura, sono i figli dei disegnatori underground che creano personaggi bizzarri, eccentrici e scorretti. I fratelli Fricchettoni, pazzi anarcoidi e sballati, ne incarnano in pieno i valori, creati da Gilbert Shelton, a cui si affiancano altri grandi nomi altrettanto rilevanti nel binomio musica fumetto: primo fra tutti il grande Robert Crumb creatore di personaggi come Fritz the Cat, felino ipersessuato e libidinoso,


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B uon compleanno dylan 1950

La United Features Syndacate pubblica le strisce di Charles Schulz, i Peanuts. L’inizio di uno dei capitoli più importanti della storia del fumetto. Charlie Brown, Linus e Snoopy sono entrati nell’immaginario collettivo di tutto il pianeta

1951

ribelle e dall’animo hippie, o di Mr. Natural il barbuto vecchio saggio (ma anche ciarlatano) che palpa il sedere delle ragazze. Poi c’è Skip Williamson: non solo fumettista ma anche pregevole illustratore ha esposto le sue opere in tutto il mondo, ha pubblicato vari libri e ha ricevuto numerosi premi tra cui il Golden Award. Inoltre Victor Moscoso che ha disegnato molti poster per i raduni rock del periodo psichedelico di San Francisco. Si è dedicato inoltre alla realizzazione di memorabili copertine per dischi di Jerry Garcia, Bob Wier, Herbie Hancock. Infine Rick Griffin: surfista, appassionato motociclista, scomparso prematuramente proprio a causa di un incidente in moto, ha vissuto in pieno periodo psichedelico californiano. Insieme ad Alton Kelly, Stanley Mouse, Victor Moscoso e Wes Wilson, era conosciuto come uno dei “Big Five” della psichedelia. Molto vicino al mondo della musica rock ha realizzato illustrazioni e copertine per famosi artisti tra cui i Grateful Dead. Il tutto si può ammirare su Zap! Comix, vera e propria summa della scena underground californiana e fucina di alcuni dei migliori autori del periodo. Fumetti con un forte legame con la musica, storie in cui l’anarchia che le pervade includono le convulsioni musicali di quel periodo, ad esempio Robert Crumb era anche un buon musicista. Negli anni ’80 e ’90 il rapporto musica fumetto abbandonò radicalmente il campo della psichedelia per diventare platealmente commerciale, ma anche questo rappresentava lo “zeitgeist”, ossia l’industria culturale diveniva sempre più potente e pervasiva, ed anche il fumetto veniva re-incanalato

dopo l’esperienza hippy. Bisogna comunque dire che le più popolari case editrici come la Dc e la Marvel sporadicamente si sono dedicate a eventi e personaggi del mondo musicale. Mentre una produzione più underground la Revolutionary Press tra il 1989 e il 1992 realizzò una collana chiamata Rock’n Roll Comics, tra i protagonisti di questa serie Guns n’ Roses, Metallica, Bon Jovi, Rolling Stones. Poi fu la volta di un’altra collana simile Rock Fantasy Comics, 18 numeri che vedevano tra i protagonisti i Pink Floyd, Led Zeppelin, Jimi Hendrix ed altri ancora. C’è da dire che la qualità globale delle due produzioni non nera eccelsa. Forse il miglior lavoro a proposito è stato fatto dalla Chaos! Comics che ha dedicato i suoi sforzi, nel rapporto musica fumetto, soprattutto in relazione al mondo dell’Heavy Metal prima e del Nu Metal poi. Produrre fumetti ispirati ai gruppi o alle loro canzoni ed allegarvi il cd; ciò è accaduto con Megadeth, Slayer, Metallica, Anthrax ed Insane Clown Posse. C’è inoltre da segnalare la serie dedicata ai Kiss (alcuni numeri sono stati pubblicati in Italia dalla Panini Comics). In Italia a tal proposito ricordiamo il lavoro dei Tre Allegri Ragazzi Morti, gruppo rock il cui leader, Davide Toffolo è anche un notevole autore di fumetti (tra l’altro allievo di Andrea Pazienza) che appunto ha realizzato un progetto, in cui musica e fumetto si toccano, anzi si fondono. Da una serie chiamata Cinque Allegri Ragazzi Morti nascono i TARM. O viceversa? I personaggi si animano, dalla carta passano al palco e agli strumenti e poi ritornano sulla carta per poi diventare cartoon, senza soluzione di continuità. Tanti anni di “americani” non hanno fatto un Toffolo. Loris Romano

Osama Tezuka indiscusso padre dei manga pubblica Astroboy Tetsuwan Atom primo di una lunga serie di opere che garantiranno la fortuna del fumetto nipponico.

1957

In Argentina Oesterheld Assieme a Lopez pubblica Eternauta Opera tristemente nota per aver profetizzato la dittatura e per la fine del suo creatore disperso come desaparecido.

1961

Stan Lee e Jack Kirby pubblicano per la Marvel comics i Fantastici 4 inaugurando l’età dei Supereroi con “superproblemi”. In pochi anni la Marvel diventerà il colosso fumettistico per antonomasia ma sarà l’uomo ragno il simbolo della casa editrice.

1962

Le sorelle Giussani creano il controverso Diabolik geniale ladro senza scrupoli che scandalizzò l’Italia ben pensante e generò decine di emuli

1964

L’argentino Quino fa debuttare su un settimanale nazionale la piccola contestatrice Mafalda, striscia satirica che rivaleggia con i Peanuts per notorietà e poesia.


Buon compleanno dylan 1965

CoolClub.it C

Nasce Linus, la più famosa ed impegnata rivista a fumetti italiana. Su Linus saranno pubblicati molti titoli celebri. Nello stesso anno nasce Alan Ford, la serie più longeva di Max Bunker e Magnus.

1965

Guido Crepax crea, sulle pagine di Neutron, Valentina, personaggio culto del fumetto italiano a quale è legata l’intera carriera di Crepax. Le avventure onirico erotiche di Valentina divennero un fenomeno di costume nell’Italia della rivoluzione sessuale.

1967

Hugo Pratt pubblico Una ballata dal mare salato la prima avventura del marinaio Corto Maltese.

1971

La tragica morte di Goren, la fidanzata dell’uomo ragno segna la fine dell’innocenza del genere supereroistico ed il suo processo di maturazione.

1974

In Francia l’eclettico fumettista Moebius fonda assieme ad altri autori la rivista Metal Hurlant che raccoglierà i migliori prodotti dell’avanguardia fumettistica europea.

1975

Len Weinn e Dave Cichruem creano la seconda multietnica formazione dei mutanti Marvel, gli X-men. Tuttavia sarà l’inglese Cris Claremont a decretare il successo trentennale della testata supereroistica più letta e copiata degli ultimi anni

1978

La Rai cominicia a trasmettere insieme a molte reti regionali i cartoni animati giapponesi che influenzeranno gli attuali trentenni italiani.

Intervista a Leo Ortolani

“Fletto i muscoli e Difficile fare un’intervista a Leo Ortolani da fan sfegatato. Tutto è partito dalle storie di Venerdì12 e del suo fedele servitore Giuda, passatemi da un amico all’università a fine anni ‘90, poi sono arrivati Bedelia, Isolda, Ciurga, gli avventurieri dell’Ultima Burba e, ovviamente, Rat-Man, Brakko, Cinzia la barbara ... etc...etc..etc. Una serie di personaggi che vivono avventure come parodie di supereroi tra ‘sfighe’, sfortune, goffaggini, sarcasmo, ironico cinismo e tanto humour a crepapelle. Avresti mai immaginato il successo raggiunto con i vari personaggi nati in quest’ultima quindicina d’anni? A dire il vero non immaginavo nemmeno che sarei arrivato al 2006, con questi personaggi… Rat-man è stato definito pavido, impacciato, brutto dalla straordinaria capacità di perdere tutte le occasioni di successo in un’escalation di brutte figure da guinness dei primati. Devo dire che mi ci ritrovo molto (eh eh eh), che sia questo il successo del topo, di venerdì12 e di tutta la cricca “Ortolani”? L’insuccesso come fonte di successo… Peccato che non sia applicabile agli approcci in discoteca! Diciamo che

questa è soltanto una delle letture più immediate che si ricavano dalla lettura dei miei fumetti. Non si ride solamente, a volte si pensa. Poi si ride. Così si dimentica quello che si è pensato. Molto liberatorio. Ah!Ah!Ah!…Uhm. Stavamo dicendo? “Fletto i muscoli e sono nel vuoto!” – sembra il motto di battaglia dell’uomo medio, tra arguzie, piccole cattiverie, umanità e voglia di eroismo parandosi il culo al momento opportuno. Come nasce l’idea di tanti anti-eroe ossia personaggi che sono l’esatto opposto del mito dell’eroe senza macchia e senza peccato, vincitore comunque e suo malgrado sul male? Basta guardarsi in giro. Ho visto pochissimi eroi. I tuoi personaggi e fumetti sono ‘ecletticomico’, eccezionalmente intrisi di sagacia, ironia (non sempre politically correct!), sottile e bonaria canzonatura di atteggiamenti comuni e di alcuni malcostume che caratterizzano la società, ricchi di riferimenti e rimandi al mondo dei fumetti, a quello cinematografico, televisivo e popolare. Non è detto che siano di facile comprensione, ma una volta entrati nel ‘tunnel’, il lettore viene “accalappiato” in uno stato di religiosa dipendenza (vedi me!). Quanto assomigliano a te i vari personaggi e in quale di essi ti identifichi maggiormente? C’è sicuramente un po’ di me in tutti i miei personaggi. Ma in fondo non mi posso


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B uon compleanno dylan 1978

Moebius avvia la collaborazione con il regista underground Alejandro Jodorowsky, con l’opera L’incal Nero.

1979

Art Spiegelman vince il premio Pulitzer con il fumetto Maus riuscita epopea sull’orrore dell’olocausto. È la prima volta che un comic vince un premio letterario.

1982

Katsuhiro Otomo inizia a pubblicare Akira, la serie fantasicentifica più importante degli ultimi decenni. Akira diventerà un film animato che darà avvio all’invasione dei fumetti giapponesi in occidente.

1986

sono nel vuoto!” identificare in nessuno in particolare, loro sono loro e io sono io…guai, se mi mescolassi con loro. Soprattutto con Cinzia. I primi anni? Come vive un giovane disegnatore quando non lo conosce nessuno.. e... se non è cambiato molto (soprattutto in termini economici)... quando poi diventa famoso? Economicamente vive meglio quando il lavoro ha successo, questo sarei uno sciocco a negarlo. Se invece intendi la qualità della vita, vivo come un recluso. Non riesco a trovare un equilibrio tra vita e lavoro. E questo da 11 anni. Vedi tu come son messo. Per il resto, sono sempre la solita carogna di un tempo. Ti chiedono autografi, foto, incontri di dubbia moralità, Cinzie disperate che ti rincorrono per strada? No. Qualche autografo, ma solo se faccio incontri con i lettori nei negozi di fumetti o alle fiere. Alla fine, ora che ci penso, non ti avevo mai visto prima, mi daresti una tua foto con dedica? No. Credimi, è meglio così. A volte impazzisco per riuscire a trovare il nuovo numero di Rat-man (nonostante sia riuscito a curare il mio stato di dipendenza, continuo ad andare in astinenza), è più facile vincere a qualche “gratta&vinci” che trovare l’ultimo numero. Mi domando continuamente se sia una scelta voluta o è solo il solito problema della distribuzione di prodotti

di nicchia in Italia? Può darsi che sia perché abiti in una zona geografica a basso contenuto di Rat-Man. Rat-Man non viene stampato in milioni di copie, è vero, ma basta andare in fumetteria o in un giornalaio fornito e lo trovi senza grossi problemi. Però a volte bisogna fare un piccolo sforzo all’inizio e magari costringere l’edicolante a procurartelo. Lo può fare benissimo e se non lo fa è perché è antipatico. O gli siete antipatici voi. A quel punto, passate alle minacce. Hai mai ricevuto proposte da qualche “multinazionale” del fumetto? Se si, cosa ti ha fatto desistere? Ora che Spagna, Stati Uniti e anche altri paesi han mostrato interesse verso l’eroe-topo? Se ottenessi lo stesso successo avuto in Italia.... Cosa sono le multinazionali del fumetto? In Spagna è stato un flop, gli USA non sanno nemmeno che esisto. Meno male che in Italia è andata bene! Mi ha molto colpito uno degli ultimi episodi che son riuscito a beccare in uno dei viaggi lungo la penisola. Un pescatore in mare, su una barca, alla ricerca della storia da scrivere. E’ difficile creare continuamente nuove storie, gag e personaggi senza cadere nella ripetizione. Il lettore ricerca ciò che gli è piaciuto e allo stesso tempo ha fame di novità; come caspita fa uno scrittore di fumetti a dormire sonni tranquilli di fronte alle continue richieste dei fan? Semplice. Dorme pochissimo! Davide Castrignanò

Con Watchman di Alan Moore e Dave Gibbons e Batman dark knight returns di Frank Miller nasce il “rinascimento americano”, periodo di splendore in cui il fumetto popolare acquisisce la dignità delle arti maggiori ed inizia ad essere considerato come genere adulto.

1986

Nell’autunno Tiziano Sclavi ed Angelo Stano creano Dylan Dog per la Bonelli Editore, la serie più venduta e seguita del mercato italiano. All’indagatore dell’incubo sono stati dedicati numerosi studi e continue ristampe delle sue storie.

1988

Esordisce The sandman per i testi di Neil Geyman e le matite di Sam Kieth. La serie ha vinto numerosi premi ed è stata considerata uno dei capolavori letterari del ‘900.

1990

Frank Miller idea Sin City, titolo headboiled tra i più letti al mondo

1991

Masamane Shirow in Giappone pubblica Ghost in the shell la serie cyber punk culto. Da essa sarà tratto il più riuscito film d’animazione moderno.

2000

Con il primo Spiderman si inaugura la stagione dei film di successo tratti da serie di fumetti. L’impatto di queste mega produzioni hollywoodiane ha cambiato la vita dell’editoria fumettistica che sta vivendo un momento di forte attenzione mediatica.


CoolClub.it C Il lato femminile diI n t e r vdylan doG ista a Paola Barbato

Buon compleanno dylan

Una storia in due parti, a colori, per festeggiare i vent’anni di vita editoriale di Dylan Dog: Xabaras! e In nome del padre sono infatti i due albi pubblicati in queste settimane dalla Bonelli Editore. I disegni sono di Bruno Brindisi mentre i testi portano la firma di Paola Barbato. Classe 1971 nata e cresciuta sul lago di Garda, l’autrice è approdata quasi per caso nella scuderia Bonelli affermandosi tra i lettori come una delle più apprezzate (ha firmato anche il prestigioso numero 200). Da ex fan di Dylan Dog passata nel 1998 dall’altra parte della barricata, tiene molto in considerazione ciò che i fan dicono sui suoi albi. A maggio è uscito per Rizzoli Bilico il suo romanzo d’esordio. Lei si è distinta per l’originalità ed il forte distacco dalle tematiche e dalle atmosfere alla Sclavi, conquistando i favori dei lettori e degli addetti ai lavori. Non a caso le sono stati assegnati gli ultimi episodi celebrativi della serie. Come si sente nel ruolo di autrice di punta della serie italiana di maggior successo? Per quanto possa suonare come falsa modestia, non mi sono mai ritenuta tale. Ho ammiratori ma anche detrattori, come la maggior parte degli autori di Dylan Dog. Probabilmente la mia diversità da Tiziano è

maggiormente “marcata” e quindi fa più rumore. Dylan Dog è diventato nel corso di questi venti anni un vero e proprio fenomeno di costume in Italia, paese prevalentemente poco attento al medium fumettistico. Com’è mutato il fumetto nel corso di questi due decenni? È ancora in sintonia con i lettori come qualche tempo fa? Dylan è “fisiologicamente” cambiato in maniera naturale per via di diversi fattori. Quello principale è che inizialmente Dylan rispecchiava i sogni, le idee, le posizioni e ovviamente l’anima del proprio autore, Tiziano Sclavi, che ne scriveva la maggior parte delle storie. Con il graduale allontanamento di Tiziano nuovi autori sono subentrati, e sono state le loro anime a rispecchiarsi in questo fumetto così umano e così vicino alla sensibilità dei lettori. I lettori stessi sono cambiati, le loro esigenze rispetto alla sorpresa di un personaggio che era “nuovo” nel 1986 sono aumentate, la serie ha preso nuove caratteristiche, nuove strade, man mano che gli argomenti venivano trattati esaurendosi sempre più (250 storie sono tante!). Nel panorama fumettistico nazionale lei è una

Tanti auGuri Dylan DoG Dylan Dog compie 20 anni. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando apparve in edicola uno stralunato investigatore “very british” invischiato in una visionaria avventura di zombies, “poetici” scienziati matti e suggestive riflessioni esistenziali; scuotendo così dal suo torpore il marcato fumettistico italiano, con l’impatto di un meteorite e riscuotendo un successo di vendite oltre ad un tam-tam mediatico inediti per una serie italiana. Nell’arco di due decenni, il fumetto ideato da Tiziano Sclavi (autore schivo e misterioso, entrato come la sua “creatura” nell’immaginario collettivo) ha rivoluzionato il linguaggio dei comics popolari del nostro paese, generando decine di epigoni e trainando la storica Sergio Bonelli Editore verso una seconda giovinezza editoriale, caratterizzata dalla nascita di una decina di nuovi titoli. Merito di storie “fatte della stessa materia dei sogni ( e degli incubi)”, in cui spesso i mostri non sono freaks o entità sovrannaturali ma uomini in tutta la loro squallida mediocrità; dell’eterno rapporto Amore-Morte e di figure femminili quali l’adorabile svampita Anna Never, l’affascinante strega Kim, la generosa ed ironica prostituta Bree e Morgana, l’archetipo del primo grande amore (in realtà ella è la madre di Dylan per la gioia degli “edipici” lettori italiani). Ma sopratutto del suo protagonista: quel Dylan Dog che rappresenta, con le sue fattezze alla Rupert Everett, l’adolescente dentro di noi per la sua fervida, lucente, immaginazione il suo cuore di tenebra e la volontà caparbia di non cedere agli orrori della grigia età adulta. Non ci resta che augurarti buon compleanno Dylan (anche a te “divino” Groucho) e altre mille di queste storie.... Roberto Cesano

delle poche autrici note. Qual è il problema? Ci sono poche fumettiste o è garantito loro poco spazio? Credo che poche di loro si propongano, per quanto ne so. Non è una questione sessista, ma di quantità: su 100 sceneggiatori nuovi che si presentano solo 5 sono donne. Poi tutto sta nelle qualità del singolo, ma statisticamente partono svantaggiate. Cosa pensa del momento favorevole che il fumetto sta vivendo attualmente? I film tratti dai comics sbancano al botteghino; un po’ dovunque nascono eventi (mostre, fiere, festival) e la stampa italiana pare essersi accorta di questo campo editoriale. Qual è il motivo di questo cambiamento? Ci sono molte proposte e la qualità media è alta. Credo che ad aver fiducia nel fumetto siano stati per primi gli addetti ai lavori, proponendo cose sempre nuove e in molti casi coraggiose. L’attenzione degli altri media a questo punto diventa automatica. È uscito da poco il suo primo romanzo. Che tipo di differenti esigenze soddisfano letteratura e fumetto per uno scrittore? Sono due cose analoghe ma molto diverse. Il fumetto è disciplina, rigore e regole all’interno delle quali bisogna lasciar confluire la fantasia. È indubbiamente un lavoro complesso che richiede grande padronanza della tecnica. La scrittura invece è autoregolamentata, personale, una materia per certi versi meno controllabile e quindi dagli esiti più incerti. Sono due mestieri che si completano: la ragione da un lato, la passione dall’altro. Quali sono secondo lei i fumettisti e le opere che hanno segnato più profondamente il mondo dei comics? Non mi ritengo abbastanza esperta e padrona della materia da poter dare una risposta a questa domanda. Sinceramente. Se ne avesse l’opportunità quali modifiche apporterebbe su Dylan Dog. Crede che la sua sia ancora una formula riuscita? Inserirei una maggiore continuity e probabilmente farei evolvere il personaggio, dandogli maggior maturità. Ma probabilmente sbaglierei, credo che Dylan sia perfetto così com’è. Roberto Cesano


CoolClub.it LaIntervistasatira e’ un indice di democraZia a Sergio Staino

Non è facile raccontare Sergio Staino in poche righe. Eclettico come sanno essere solo gli artisti toscani, Staino è sicuramente uno dei più grandi disegnatori di fumetto satirico italiani. Ma nella sua carriera non c’è stato solo il fumetto. C’è stata anche la rivista Tango, da lui fondata nel 1986, e che per anni ha raccolto tra le sue pagine le migliori firme della satira italiana; c’è stata la tv, per cui, tra l’altro, nel 1993, ha firmato il varietà Cielito lindo, una sorta di Zelig ante litteram; ci sono stati i film che ha sceneggiato; c’è ancora oggi il teatro. E poi c’è Bobo: più che un fumetto, il suo alter-ego. Insieme alla moglie Bibi ed ai figli Ilaria e Michele, Bobo è, ormai per molti, un insostituibile compagno di viaggio, che, dalle pagine dell’Unità, spiega, senza compromessi e con poche battute imbevute di ironia e franchezza, la “terza verità” sulle quotidiane battaglie politiche. Da insegnante di applicazioni tecniche a disegnatore: come si è avvicinato al mondo delle vignette satiriche? In realtà il disegnatore viene molto prima dell’insegnante di educazione tecnica. L’insopprimibile desiderio di disegnare e di raccontare il mondo attraverso linee tracciate in penna o matita mi ha accompagnato fin dalla primissima infanzia, da quando, intorno ai 3 anni, mia mamma iniziò a farmi copiare con il suo aiuto i disegni dei libri di fiabe che mi aveva letto. L’elemento satirico arriva invece, come sempre, in età matura. Bisogna essere un po’ abbruciacchiati dalla vita per raggiungere la capacità di rileggere le cose che non vano in chiave divertente. Pensa che la satira abbia dato un contributo alla crescita della società italiana? Ed alla politica italiana? Certo che sì. La satira, come qualunque settore della cultura e dell’informazione, produce e mette in circolo interpretazioni del mondo che possono essere più o meno azzeccate, più o meno intelligenti, ma che comunque arricchiscono il dibattito collettivo. Credo anche che il volume e la qualità della satira sia un buon indice di democrazia della società. È scontato che qualunque istituzione fondamentalista, dalle dittature politiche o militari fino agli integralismi religiosi, la prima cosa che fanno è prendersela con il riso e quindi con la satira. Al contrario una politica seria ed onesta, non può

trovare che il giovamento da un’azione satirica che sottolinea ed esalta le mille ipocrisie che ovviamente esistono anche nelle migliori famiglie. Molti generi fumettistici hanno perso o stanno perdendo l’interesse del pubblico. Secondo lei, limitandoci a parlare dell’Italia, qual è il futuro della satira? Come sempre, quando un nuovo “media” entra sulla scena del mondo, quelli vecchi non scompaiono ma si ritagliano posizioni che potremmo definire “di nicchia”. È successo al teatro con l’arrivo del cinema, è successo al cinema con l’arrivo della televisione, sta succedendo alla televisione dopo l’arrivo di internet, ecc.... Penso quindi che la satira disegnata, quella che faccio io, manterrà un suo pubblico limitato di fan, mentre quella più di massa, quella che fa più male al potere, si eserciterà in linguaggi più attuali, dalla tv al computer. Già oggi è così: basta pensare alle trasmissioni televisive della Guzzanti o al Blog di Beppe Grillo. Cosa ha pensato dopo la reazione islamica alle vignette su Maometto? Ho pensato che non dovevamo accettare quel ricatto. Ho pensato che non dovevamo metterci lì a giudicare se le vignette erano belle o brutte, se erano giuste o ingiuste, se erano offensive o no. Ho pensato che l’unica cosa seria da fare era difendere la libertà di parola e

B uon compleanno dylan

di espressione da un attacco forsennato dell’oscurantismo religioso. Purtroppo non è andata così. Purtroppo molti miei compagni di ideali hanno pensato di comprendere le ragioni dei popoli arabi, dimenticando che non erano i popoli ad attaccare le vignette ma gruppi di fanatici liberticidi, e quindi se la sono presa più con gli autori tradendo lo spirito illuminista, europeo o arabo che fosse. Nonostante barba e capelli bianchi, Bobo ha compiuto 25 anni: cosa ama di più di lui e cosa, invece, gli rimprovera? Barba e capelli bianchi ce li ho io e non Bobo, e questa è una cosa che gli invidio molto. Per il resto mi assomiglia assai, forse non più fisicamente ma da un punto di vista politico e sentimentale siamo due gocce d’acqua. Se ho qualcosa da rimproverargli è un qualcosa che devo ovviamente rimproverare anche a me, ma non sono così masochista da raccontarlo in pubblico. Noi auguriamo a Bobo ancora 100 anni di successi. Può chiedergli di fare un augurio anche al nostro giornale? L’augurio migliore che può fare Bobo è identico a quello che posso fare io e che, anzi, vi ho già fatto. Quale augurio migliore, infatti, se non concedervi un’intervista, con stima e con tanto affetto? Federica Pacella


Buon compleanno dylan

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Ilfumetto visto dalla puGlia Intervista a Giuseppe De Luca e Ketty Formaggio

Giuseppe De Luca e Ketty Formaggio sono due giovani fumettisti salentini. Nel loro studio di Casarano, ogni giorno preparano tavole per le riviste ed i giornali (a tiratura nazionale) per i quali lavorano. Timido e silenzioso lui, solare e vivace lei, nel fumetto esprimono tutta la loro creatività ed il loro talento. Abbiamo approfittato della loro esperienza per farci spiegare come funziona il “mercato” del fumetto e per capire un po’ quale sia il mondo del fumettista. Potete parlarci un po’ della vostra attività e di come siete approdati al mondo del fumetto? G. Da autodidatta ho appreso le tecniche, poi ho fatto esperienza sul campo con piccole collaborazioni editoriali e con il fu Intrepido. Poi il fumetto su scala nazionale con l’associazione Alex Raimond e Freebooks. K. Dopo una scuola del fumetto ed esperienze lavorative per il gruppo Benetton, ho collaborato con alcuni fumettisti veneti. Ma non è stata una scelta meditata; semplicemente, mi ha trascinato la passione. Ora collaboro stabilmente con Giuseppe e sono colorista in servizio alla RedWhale. Quanto è cambiato il modo di fare fumetto oggi rispetto a ieri? G. Non credo che sia cambiato molto rispetto ad una volta. K. Sono ancora giovane, ma credo resti

tutto uguale: foglio, matita e fantasia. Il computer serve per comunicare più velocemente e per raccogliere informazioni. In genere, chi legge un fumetto, sa poco o nulla di chi lo ha scritto, disegnato e colorato. Voi che rapporto avete con il vostro pubblico? G. Non c’è molto rapporto con il pubblico, in verità. K. Alle fiere del fumetto il pubblico di solito è entusiasta dei disegni fatti dal vivo e del contatto con l’autore. Io ho dei contatti con appassionati tramite il web, dove è facile scambiarsi opinioni e cercare un piccolo spiraglio di visibilità. A tal proposito, il nostro sito è http://www. draconico.com. Sono più i gusti dei lettori a determinare il “mercato” del fumetto o è il fumetto a trascinare il pubblico? Vi siete mai trovati nella situazione di dover rappresentare qualcosa che non vi piacesse? G. Sì, ed è una cosa che mi pesa. Trovo che sia importante credere fino in fondo in quello che si fa. K. I gusti dipendono chiaramente dal target dei lettori, ma gli editori italiani spesso non ne tengono conto. Certo, ho dovuto lavorare su cose che non condividevo appieno, credo sia una cosa comune. Ketty, tu hai vissuto e lavorato fino a pochi anni fa al Nord. Quale differenza trovi tra

l’essere fumettista in Veneto e l’esserlo in Puglia? K. È vero che il fumetto si fa nel proprio studio per spedire poi il lavoro finito, ma mi sono resa conto che è molto importante per un lavoratore del settore mantenere e creare nuovi e continui contatti con altri autori a case editrici. Da quando mi trovo nel Salento, a causa dei costi elevati degli spostamenti, non sono più in grado di frequentare regolarmente mostre, convegni e fiere del settore. Il fumettista in sostanza deve anche essere manager di se stesso e i rapporti di persona sono fondamentali. Se foste nati cento anni fa, quale personaggio avreste voluto inventare? G. L’Uomo Ragno. K. Lupo Alberto di Silver. Cosa consigliate ai giovani (in particolare ai giovani salentini) che vogliono lavorare nel mondo del fumetto? G. La carriera dei fumettisti è come quella dei cantanti: ci sono 5 o 6 che riescono a fare i soldi, gli altri vanno in giro a fare il piano bar. K. Io suggerisco di continuare a insistere nel proprio sogno. Ma l’aspirante fumettista deve essere conscio che questo è un mondo ingiusto e dove anche i più bravi vengono ignorati. Federica Pacella



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Pop, Alternative, Metal, Elettronica, Lounge,Italiana, Indie

la musica secondo coolcub

Koop

Koop Islands Compost/Family Affair Nu-Jazz / ***** Imbattendomi nel primo album di questo duo di Uppsala (Svezia), mi venne da pensare che la globalizzazione non era poi così male, se portava a prodotti di quello spessore e così unici. Waltz for Koop (2002) infatti combinava l’elemento “sverige” e in qualche misura post-romantico della produzione con il supporto straordinario di una cantante giapponese, Yukimi Nagano, che sembrava essere venuta fuori da qualche party degli anni ’50, sia per la voce che la sua presenza scenica; un mix di sonorità che ti facevano pensare più al ghiaccio di un cocktail che a quello del circolo polare artico. Ora, dopo un silenzio lungo quattro anni, e al centro di un bizzarro caso di esposizione mediatica - Simona Ventura e soci hanno ben (e tardivamente) pensato di citare il precedente lavoro del duo svedese nella sigla di testa di Quelli che il Calcio con la strepitosa Summer Sun - Oscar Simonsson e Magnus Zingmark, dopo aver ricevuto tributi dal mondo del jazz elettronico

sotto forma di cd di remix (gli Alternative Takes di Waltz for Koop), tributo che suona anche un po’ italiano grazie al nostro Nicola Conte, sono tornati. con un’opera attesissima. E l’attesa è a dir poco ben ripagata. I 35 minuti complessivi dell’album non possono essere visti come un difetto, quando la quantità è sacrificata in nome della qualità come in questo caso. La Nagano è sempre al proprio posto, sempre fascinosa e supportata per l’occasione da Mikael Sundin, vero e proprio alterego delle sue perfomance. Torna come 4 anni fa anche Rob Gallagher (a.k.a. Earl Ginger) e si aggiunge per l’occasione Ane Brun, all’esordio assoluto, che canta l’opener Koop Islands blues. Il lavoro suona Koop dall’inizio alla fine, però non si possono ignorare i passi in avanti, gli elementi nuovi. Anche se forse è più opportuno parlare di passi indietro, di elementi riscoperti dalla tradizione: gli elementi swingy e il massiccio utilizzo di

percussioni rimandano a maestri come Henry Mancini o Ennio Morricone, ai Caraibi più che ai fiordi. L’atmosfera è sempre da cocktail, ma il tessuto sonoro è ancora più elaborato, pur rispecchiando perfettamente i canoni della tradizione jazz. E in più, a metà cd circa, la vera bomba, quella I see a different you, cantata (e non è un caso) proprio da Yukimi Nagano. Anche Forces Darling merita la citazione, rappresentando da sola la summa, in quanto a scelte, voci, sonorità, climi, del duo svedese, giunto al terzo album (e che a breve compierà 10 anni di attività). Magari Simona Ventura non ci metterà quattro anni stavolta. Consigliatissimo, anche a chi a pensa che il jazz sia una cosa da vecchi o da gente con la puzza sotto il naso. E ai noglobal. Con una domanda: perché si sono truccati nella copertina? Berardino Amenduni


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The Lemonheads The Lemonheads Power –pop / ***

Per molti di noi Evan Dando è un mito, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 pochi come lui hanno saputo raccontare di una generazione che non voleva diventare grande. Padrone di una grammatica musicale senza fronzoli, semplice, compatta, melodica. Gruppi come i suoi Lemonheads e i Dinosaus Jr di John Mascis e Lou Barlow hanno lasciato una lunga scia di proseliti, La musica dei Lemonheads non è mai stata grunge, mai veramente punk, mai veramente pop. Evan Dando bello come un angelo finì a un certo punto per bruciarsi le ali dopo album bellissimi. Oggi dopo vari episodi di cui uno solista, i Lemonheads tornano con un album che ha in sé il tiro chitarristico, la sensibilità pop, i momenti più romantici di un uomo che sembra sfornare canzoni con una spontaneità irritante. È tutto dove ti aspetti che sia, ma non vorresti fosse diverso, power pop nel modo più semplice e bello con influenze folk. Alla band rimaneggiata nel corso degli anni si è aggiunto anche il già citato Mascis. Risultato assicurato. Osvaldo Piliego

Forro in the dark Forro in the dark Ponderosa Forro / ***

Il forro è la musica tipica del nord est del brasile, una musica che non è famosa come il samba o la bossa, una musica che si suona per fare festa dopo una lunga giornata di lavoro. Il forro si suona con sezione di strumenti molto semplici e ha in sé l’allegria agrodolce tipica della musica brasiliana. Quando poi Mauro Refosco (già percussionista di Caetano Veloso, Bebel Gilberto, David Byrne) chiama un po’ di amici per un jam nascono i Forro in the Dark. Insieme a lui in questo progetto troviamo Smokey Hormel (chitarrista di Beck e Tom Waits) e il fisarmonicista Rob Curto (Klezmatics). Le esperienze musicali e lo spessore dei singoli si incontrano senza mai prevaricare uno sull’altro. L’album riprende molti brani della tradizione (Luiz Gonzaga su tutti), rivitalizzandoli con

suoni e soluzioni nuovi. Tutto diventa più spesso, i bassi sono prepotenti e avvolgenti, gli arrangiamenti ricamati a pennello. Il Forro è musica trascinante, il suo andamento è sensuale, e i Forro in the dark assecondano questo ritmo lo esaltano grazie a un grande Refosco. L’apporto di Rob Curto conferisce a tutto un che di esotico, contamina con suoni che ti aspetteresti di ascoltare nell’est dell’Europa e non in Brasile. Osvaldo Piliego

Jarvis Cocker Jarvis Rough trade Pop / **

Con i suoi Pulp è stato una delle icone del Brit-pop, popstar anticonformista, cantore con dei vizi e delle virtù della middle class. Se si può azzardare Jarvis Cocker era il lato impegnato del calderone inglese di quegli anni. Da personaggi come lui ci si aspetta molto, soprattutto alla prova del debutto solista. Jarvis ha in sé lo spirito del glam e la classe innata di un crooner navigato e

in questo disco lo dimostra ampiamente. Il tutto ha l’eleganza che si addice a un personaggio come lui. Tra sixities e seventies, Jarvis è a suo agio nelle ballate caramellate come nelle tirate più rock. la sua voce è inconfodibile, sembra rompersi quando osa, ma riscalda quando è bassa e vicina. Ci si aspettava di più però. Con questa prova Jarvis non aggiunge niente alla sua carriera, si muove sicuro, non osa. Il risultato è un disco che ci fa rimpiangere i Pulp e non salutare un artista maturo. Osvaldo Piliego

Gleba

Gleba Universal Rock italiano / ***

Non c’è molto da stare attenti alle etichette, non c’è molto da riflettere o da pensare. Questo esordio ufficiale (dopo i due autoprodotti alle spalle) dei brindisini Gleba è puro rock italiano: nei suoni, nei testi, negli arrangiamenti, nella struttura dei brani. Con il rock non c’è da sottilizzare e in questo i Gleba sono molto rock. Il loro è un disco onesto, ricco di brani orecchiabili, impreziositi dalla voce di Alfredo Genovese (autore anche dei testi), potente (in molti brani si sente un retroterra di scuola americana) e tenace. Come tenaci sono stati i quattro ragazzi che dopo una dura gavetta, concerti in giro per tutta Italia, la collaborazione artistica con Fabrizio Barbacci (già produttore di Ligabue, Negrita, Francesco Renga), sono giunti a questo cd firmato Universal (e non è poco). “Nel disco c’è un po’ tutta la nostra storia” spiega Alfredo. “Racconta come siamo nati (Come mi vuoi scritta nel ‘93) e come siamo diventati (In un attimo del 2003). Racconta di donne, di amori, di sesso; di amici che arrivano e di altri che partono. Racconta di paure, tristezza e felicità. Racconta essenzialmente emozioni. E le suona queste emozioni, così come le abbiamo sentite noi in quell’istante”. Ciculu


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Charlotte Gainsbourg 5:55 Because/Atlantic 2006 Chansons / ****

Inutile stare a parlare delle sue origini, di quanto sicuramente sia difficile per lei portarsi dietro quel cognome. D’altronde lo dice lei stessa di non nominarle il padre, “for my own sake”. Per non parlare poi della madre, Jane Birkin, il cui mito si perpetua nel nome di una delle borse più invidiate e ricercate nel mondo della moda, omaggio ad un’icona immortale. Forse anche per questo Charlotte ha aspettato venti anni prima di tornare a cantare, dopo lo scandaloso duetto col padre (Lemon Incest) e un album adolescenziale, agli albori del fenomeno delle Lolite del pop (Charlotte For Ever). 5:55 è un bel lavoro pop dalle forti tinte intimiste, sottolineate dalla voce di Charlotte, il più delle volte un sussurro che non osa, che non vuole farlo, o che – viene il dubbio, mentre le tracce scorrono – non può. In linea con la grande timidezza dell’attrice e ora nuovamente cantante francese, che pare abbia registrato le tracce cantando dietro ad un lenzuolo, per concentrarsi meglio e non guardare in faccia i collaboratori. Probabilmente si deve a questi ultimi il merito di un album tutto sommato convincente: Jarvis Cocker dei Pulp, autore tra l’altro del testo della molto sergeiana The Songs That We Sing, Neil Hannon dei Divine Comedy, Nigel Godrich, produttore dei Radiohead, David Campbell (il padre di Beck) agli arrangiamenti, gli Air, la cui presenza pervade l’intero album (la traccia d’apertura, che dà il titolo all’album, ricorda irrimediabilmente Cherry Blossom Girl). La Gainsbourg paragona l’amore ad una operazione chirurgica (The Operation), canta la sospensione della vita e dei sentimenti durante un volo aereo (AF607105), il tutto in maniera piana, senza manifestazioni vocali eccessive, come se la forza di certi versi preferisse farla implodere (Our love goes under the knife/the heart was rejected by the host). Ottima colonna sonora per l’autunno che tarda ancora ad arrivare, e per le foglie che sono ancora troppo attaccate agli alberi. Anna Puricella

The Walkmen

A Hundred Miles off Talitres records / Promorama Rock / ****

Con il loro precedente Bows and arrows si erano conquistati a pieno diritto un posto sul podio accanto a The Strokes e Interpol. Tra le band di New York più cool del momento The Walkmen tornano con un disco ispirato e maturo. Se Dylan avesse 25 anni oggi, forse suonerebbe questa musica. Sembra suggerircelo in più momenti la voce tagliente di Hamilton Leithauser (a partire dal brano

di apertura Louisiana) che quasi deraglia a volte, si fa strada rauca tra le chitarre che fanno muro, l’organo, la batteria dinoccolata. Tra momenti più folk e quelli post punk (Tenley town) questi ragazzotti di Whashington trasferitisi nella grande mela riescono a inserire anche brani scala classifica (non per niente la band è anche apparsa nel telefilm per teen ager O.C.). L’andamento quasi svogliato di Lost in Boston quasi li avvicina ai cuginetti fighetti Strokes. Ma The Walkmen hanno qualcosa in più alle spalle e meno lacca sui capelli e la esprimono con un suono non facile, con strutture che hanno fatto tesoro dei Television. Per alcuni una conferma, per altri una sorpresa questo A Hundred of miles è la dimostrazione che una volta sbucciata, la grande mela nasconde una polpa saporitissima. (O.P.)

Beck

The Information Interscope/ Universal Rock-hop / ***

La copertina è anonima, come una tela bianca, per essere precisi a quadretti. Poi apri il disco e all’interno trovi una serie di stickers con cui puoi personalizzare il disco. In Inghilterra dicono che siccome si offre qualcosa in più per invitare all’ acquisto il disco non sarà ammesso nelle classifiche. Ma Beck non ne ha bisogno. Da tredici anni a questa parte, da quando stupì tutti con Mellow gold, forse non se n’è mai interessato, neanche quando ha realizzato i suoi dischi più “commerciali”. Forse la copertina di The Information è un po’ metafora della sua musica, un collage che in tutti questi anni ha attinto un po’ ovunque. in questo disco Beck sembra fare una carrellata sulle sue influenze: l’hip hop (Elevator Music), il funky (Cellphone’s dead), il blues, il folk, tutto fatto in mille pezzi e rimontato. A ogni brano è anche associato un video, roba casalinga, kitch, come alcune sue trovate musicali. Il groove è quello di sempre, la poliedricità pure. Elettronica e acustica convivono come solo lui sa fare. Ben tornato. (O.P.)

The Skygreen Leopards Disciples of California Jagjaguwar Hippie Pop-folk / ***

Glenn Donaldson, titolare del progetto insieme a Donovan Quinn, è il boss della minietichetta californiana “Jewelled Antler Collective”, sotto la quale si sono riuniti tutti quegli improbabili personaggi che sui giornali passano sotto il titolo di weird-folkers (tra i quali i Balck forest / black sea e Cristina Carter, visti da queste parti un annetto fa). Eppure questi strambi leopardi, giunti al loro quinto album (il secondo per la Jagjaguwar, e il primo con una vera e propria sezione ritmica, composta da


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16 Jasmyn Wong alla batteria e Shayde Sartin al basso) hanno ben poco a che spartire con gli sperimentalismi della scena da cui provengono. Qui attingono a piene mani dal pop-folk psichedelico anni ’60, mettendoci dentro davvero poco in quanto a innovazione. Ma chi li critica come banali revivalisti credo che non abbia presente lo spirito che muove un californiano ad abbandonarsi a certe nenie. Queste sono cose che hanno nel sangue, e se la ricerca può essere una passione, la tradizione è una necessità fisiologica. Lo stesso sentimento che ha mosso quel pazzoide di Lynch a girare un film (splendido a mio avviso) come Una storia vera. E di fatto, le loro canzoni non sembrano nemmeno scritte per essere ascoltate da qualcuno, come se non gliene freghi nulla che c’è un disco da registrare, da promuovere, da vendere; sembra che il loro unico interesse sia suonarle quelle canzoni, con la stessa premura con cui bisogna respirare: chi davvero ne gode sono loro stessi, e se fossero scritte per essere cantate con gli amici giusto nel campetto dietro casa (come quello disegnato in copertina) non credo che cambierebbe granchè. Quindi inutile giudicare con troppi pregiudizi, basta chiudere gli occhi e attendere che la brezza della Bay area vi accarezzi. Gennaro Azzollini

Keith

Red thread Lucky Number / Audioglobe Pop / ***½

Buon esordio questo dei Keith. La band di Manchester si schiera subito dalla parte più elegante della musica inglese, quel sound fatto di velluto, di chitarre cristalline, beat scanditi e voci che sembrano appartenere a un lord parente di Dorian Gray. E ci sono Morrisey e gli Smiths tra le influenze a far subito capolino, gli anni 80, ma anche il gusto un po’ shoegaze della Manchester anni 90. Mona Lisa’s child ha un andamento da dance floor, la dilatata Unsould Thougts ne fa emergere il lato più romantico. Hanno l’aria divertente degli Housemartins quella un po’ snob dei Menswear, un arpeggio rubato ai Radiohead (Gunshot reverly) e il successo assicurato da una manciata di brani veramente accattivanti. (O.P.)

Pecksniff

Honey, you’re murdering me Black candy / Audioglobe Twee-pop / ***

Per ascoltare alcuni dischi bisogna necessariamente predisporsi. Per ascoltare i Pecksniff bisogna mettere da parte per un attimo la seriosità e lasciarsi prendere dal gioco.

Sembrano ricordarci, i Pecksniff, che la prima cosa che la musica dovrebbe trasmetterci è allegria. E ci riescono accompagnandoci per mano nel loro immaginario fiabesco. Voce maschile a cui fa da contro altare puntuale quella femminile (sembra quasi Grease ambientato nelle scuole medie) folk pop zuccheroso, che ti fa l’occhiolino. Ma c’è una sorta di contraddizione nella musica dei Pecksniff, la stessa insita nel titolo del loro ultimo album Honey, you’re murdering me (Tesoro, tu mi uccidi). Come se tutto fosse ricoperto da un velo leggero di malinconia, come i Belle and Sebastian a cui sono accostati da molti. L’apparente disimpegno dell’album nasconde poi una cura negli arrangiamenti, l’utilizzo di qualsiasi cosa (c’è anche la musica di un videogioco), catturata anche in bassa fedeltà, che impreziosisce le trame dei brani. (O.P.)

parte da Philadelphia, nuovo polo della musica soul americana, evolutasi verso territori che strizzano l’occhio all’elettronica. Duplaix, in questo senso, si definisce addirittura come “missionario” sul suo stesso website, a dimostrazione di una certa consapevolezza del ruolo di trendsetter che sta rivestendo soprattutto nel suo paese. Le doti, di certo non mancano, sia vocali sia a livello di suoni, in un piccolo capolavoro di stile, coronato da alcune pezzi che meritano citazione speciale, in particolare For Life, uno dei pochi pezzi potenzialmente appetibili alle radio commerciali, e A life worth living, in cui le doti di artista polivalente emergono tutte in un mix tra soul, lounge e percussioni. Un’artista da seguire in tutte le sue perfomance. Come cantante, produttore o dj eclettico, aspettatevi di trovarlo nei migliori progetti provenienti da oltreoceano in questi anni. Dino “doonie” Amenduni

The Black angels

Passover Light in the attic records/ Promorama Psych-rock / ****

Gruppi e dischi come questi sono una dichiarazione di intenti. Gli “angeli neri” sono un viaggio nel lato più oscuro e psichedelico della musica, il passaggio a un’altra dimensione del sentire. L’evoluzione degli Spacemen 3, l’esasperazione dei 13 floor elevator. Figli deviati dei Pink floyd (un brano The Sniper at the Gates of Heaven evidente citazione di At the Piper gates of Dawn, primo album dei Pink Floyd appunto) questi texani hanno la carica sciamanica del miglior Jim Morrison. Sono figli del wave (ci riconoscerete dentro anche i Joy Division), minimi ma efficaci come il punk, penetranti e ossessivi come un mantra. Una volta entrati nella musica dei Black Angels sarà difficile uscirne prima dell’ultima traccia, un viaggio musicale lungo un’ora. Ed è proprio alla fine del viaggio (Call to arms) che emerge lo spettro dei Velvet Undergound e il cerchio si chiude in una suite lunga ben 18 minuti.

Vikter Duplaix

John Legend

Torna sulle scene il poliedrico artista di Philadelphia, a distanza di 4 anni dal suo precedente International Affairs. Cambio di etichetta, ma non di stile, né di impatto sulla scena musicale. Leggendo l’elenco di collaborazioni che Vikter può vantare in questi ultimi anni, è facilmente intuibile il livello qualitativo dei suoi prodotti e il grado di rispetto che può vantare da parte dei colleghi: sono finiti nella sua rete (o lui è finita nella loro, poco importa) Erykah Badu, Jazzanova, Masters at Work, Roni Size, King Britt, Jazzy Jeff (un’istituzione della musica black). E anche questo Bold and Beautiful vanta credit importanti, a partire da Little Louie Vega come produttore, o avvalendosi di Raphael Saadiq o Esthero, artista canadese dal futuro certamente splendido, alla voce. Un album che rispecchia perfettamente un tempo, una sensazione, un mood che giunge da qualche anno a questa

Uno dei ritorni più attesi di questa stagione. Bè, uno che fa Legend di cognome (e non è quello all’anagrafe) o ha un ego smodato, o è autoironico, o è leggenda sul serio. Se poi pensiamo che questo cognome non è nato per caso, ma gli è stato affibbiato dal suo fido cuginetto, tale Kanye West, giusto uno dei migliori produttori hip-hopsoul-echipiùneha della storia recente, c’è da ascoltare sempre i suoi prodotti con un briciolo di ammirazione devota. A 27 anni Legend torna con la prova della maturità, e non si fa prendere dalla fretta, dalle sirene dal mercato, da richiami eccessivamente pop. Un elemento sicuramente a suo favore. Ha deciso di diventare il nuovo Stevie Wonder, possiede le doti tecniche necessarie per

Bold and beautiful Barely breaking heaven Nu-soul / ****½

Once Again Columbia R’n’b, soul / ***½


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Virginiana Miller

Fuochi fatui d’artificio Radio Fandango Rock d’autore/ ***

Quando le parole hanno un peso alcuni dischi possono essere di più che sola musica. Quando poi questa musica ha un suo percorso, un suo osare nelle vicinanze del rock il discorso si infittisce e si fa interessante. I Virginiana Miller sono un gruppo che riesce a mettere in musica storie scritte con lingua, originalità e vividezza rare nel panorama italiano. Non è un caso che le atmosfere di un loro album abbiano ispirato Direttissimi altrove, un romanzo di Giampaolo arrivarci, e vuole onorare il pesantissimo (e finto) cognome che porta. L’album è quindi una rincorsa continua tra citazioni, dallo stesso Wonder (Each day gets better) a Marvin Gaye (Again, canzone che vede come protagonista un soldato di fronte ai dubbi su cos’è la guerra e se esiste una guerra giusta), con richiami anche allo standard pop di Burt Bacharach, che veleggia nel fantastico organo di Save Room, traccia d’apertura, primo singolo, miglior traccia dell’album allo stesso tempo. Arriviamo a circa metà album e sentiamo John giocare con il piano, ci si aspetta una nuova Ordinary People e invece ci troviamo a PDA – We Just don’t care, una canzone scritta nel 2006, ma che non avrebbe sfigurato per eleganza (e forse anche per il sound un po’ datato) in qualche catalogo Motown degli anni ‘60. Legend scrive questo album per sé stesso, ed è piuttosto palese il rifiuto dell’ammiccamento, a tutti i livelli. Allo stesso tempo sembra intrappolato nelle logiche del mercato, che si aspetta il cd da 50 minuti, e così la seconda parte dell’album si trascina stancamente, con qualche episodio che ci salva da un quasi inevitabile torpore, Another Again su tutte. Meritevole anche la bonus track finale. Consapevoli che davanti a tanto talento sarà impossibile per tutti valutare questo Once Again come un album meno che sufficiente, ci aspettiamo allo stesso modo che John Legend diventi John Legend, e non “il cugino di..” o “il nuovo…” Dino “doonie” Amenduni

Franklin Delano

Come Home Ghost records / Audioglobe Alt-country-rock / ****

Passaporto italiano ma piedi in America per i Franklin Delano. Questo nuovo album Come home (il terzo) hai in sé lo spirito della band e ne registra la crescita il cambiamento. Cambiamento nella formazione con l’uscita della batterista Vittoria Burattini ma anche nell’approccio alla forma canzone che sembra cambiare marcia

prendendo uno svincolo in direzione del pop. Per questo album Fabio Iocca e Marcella Riccardi hanno fatto proprio le cose per bene. Brian Deck (già produttore dei Modest Mouse) ai comandi, Chicago sullo sfondo e in studio gente del calibro di Nick Broste dei Wilco e Jim Becker dei Califone sono la cornice di un disco notevole. Sono cresciuti i Franklin Delano, hanno ampliato orizzonti musicali riuscendo a tenere tutto insieme senza perdere niente ma acquistando semmai. Ed ecco che rispetto al passato è la melodia a tenere legati insieme l’alt country, il soul (ascoltate i fiati su IKnow my way), il rock and roll malato (Motel Room), coretti, noise, psichedelia. I bolognesi Franklin Delano si confermano una delle realtà indie più interessanti in Italia, e non solo (O.P.)

Duozero

Esperanto Small Voices / Audioglobe Elettronica / ****

L’Italia ha n u o v a m e n t e qualcosa di rilevante da dire nell’ambito elettronico, e questa volta è una piccola etichetta di Andria, la Small Voices, a parlarci attraverso Esperanto, produzione di Fabrizio Tavernello e Enrico Marani, noti come Duozero. Tredici tracce oscure e viscerali, ambietazioni cinematiche quasi da terrore psicologico, musiche ammalianti, lamenti da synth e field recordings, drammatiche sfide sonore che si intrecciano a un sottobosco di parole. I due si servono di una miriade di voci che sembrano diventare la colonna portante di tutto il loro progetto, tra le tante voci quella di Massimo Zamboni in The Rhyme of the Ancient Mariner. Tra le tracce più affascinanti di questo esperimento musicale ben riuscita è il cerchio, dove giochi di voci teatrali catturano su profondi passaggi sonori. Ottima release, stupefacente nel vero senso della parola, da avere, alla faccia dell’esterofilia dilagante. Federico Baglivi

Simi. Fuochi fatui d’artificio è l’ultimo album dei Virginiana Miller. Licenziato dalla neonata Radio fandango, il disco ha in sé tutta la maturità di una delle band più meritevoli del rock italiano. È un disco sui rimpianti, sui trent’anni, sulle poche speranze rimaste. Esemplare l’incipit di Dopo la festa “Povera stella filante con le calze smagliate ora che sei caduta chi ti rialza se il ragazzo perbene ti ha voltato le spalle spalle”. Ma c’è anche musica e tanta, in bilico tra reminescenze wave, discese soniche, risalite più melodiche, atmosfere alla Bad Seeds. Un disco intenso, doloroso, liberatorio (O.P.)

Mersenne

Stolen dresses Urtovox / Audioglobe Indie / ***

Urtovox vince il Mei come migliore indie label italiana e non possiamo che fare gli auguri. L’etichetta fiorentina ha confermato uscita dopo uscita un fiuto impeccabile. Una vocazione per l’indie che le ha assicurato una scuderia di tutto rispetto e che si arricchisce, giorno dopo giorno di nuove e interessanti band. I Mersenne sono una di queste. Sono in tre, vengono da Bologna (ormai patria conclamata dell’indie italiano) e sono cresciuti a piadine e distorsioni. A chi si chiede che fine abbiano fatto le college band, quelle scanzonate che tra pop, birra, hanno illuminato gli anni 90 con canzoni che messa da parte la tecnica andavano all’osso della musica e riscoprivano il piacere di suonare, ecco la risposta. Stolen dresses è figlio di questi anni, di queste band, di questo suono. Personalità mutevole quella dei Mersenne che attingono a destra e a manca confezionando un disco a presa rapida. Bella prova.

Dani Siciliano Slappers !K7/Audioglobe elettronica / ***

Come nel precedente Likes, Dani Siciliano ci ammalia nuovamente con spezzettamenti aritmici, talvolta dolci e sincopati, il tutto sotto la regia del compagno Herbert e nuovamente per la !K7. Frammenti musicali ricombinati insieme, 11 pezzi di elettronica minimale, che non si discostano troppo da Likes, arricchiti da improbabili mix di campionamenti. Ha l’effetto di suscitare interesse anche in chi ascolta elettronica da anni e si è quasi convinto dell’appiattimento sterile verso il quale si avvia la musica da software. Con i tempi che corrono riuscire a suscitare un minimo di interesse è cosa buona, visto la mancanza cronica di idee che sappiano superare gli onnipresenti e stanchi glitches. Più abbordabile rispetto


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Caetano Veloso

Cê Emarcy Tropicalismo /*****

Un disco crudo, scarno, scheletrico. Qualcosa che non ti aspetti di certo e, nonostante quella vocalità rimandi subito ad un’unica esperienza artistica, fai quasi fatica a riconoscerlo. Cê è un lavoro di una bellezza sconcertante, perché annulla le certezze per rimettere a nudo un grande autore, uno dei più grandi che ancora abitano questa terra, marcando così una distanza siderale rispetto ai lavori di molti conterranei appartenenti alla sua generazione. Caetano è quello che si è conservato meglio e con rigore può permettersi colpi di coda senza sembrare minimamente patetico: ben venga quindi un disco rock propriamente inteso, non tanto perché “chitarra-basso-batteria” (il figlio Moreno insieme a Pedro Sa, Marcelo Callado e Ricardo Dias Gomes), quanto perché è la pasta di cui sono fatte queste canzoni ad essere rock. Momenti di quiete e momenti di smaccata elettricità si alternano in una selezione di canzoni raramente così efficaci. Minhas Lagrimas, capolavoro dell’intero disco, è un lamento sorretto da un bordone ruvido che carica tensione, che minaccia di deflagrare ad ogni passaggio, salvo poi placarsi definitivamente. Roba che per trovare momenti di così assoluta emozione bisogna andare a ritroso negli anni e perdersi nella vasta produzione del tropicalista. Non sono da meno gli episodi più nervosi del lotto, con Musa Hibrida talmente satura di wah-wah da poterla definire hendrixiana, o l’Outro (che, a dispetto del titolo rappresenta l’incipit del lavoro) che proietta Caetano in una dimensione psichedelica che (quasi) mai aveva frequentato sinora. C’è spazio per un’altra ballad strappacuore e nervi come Nao Me Arrependo e per tanto altro ancora in un disco, il primo in lingua portoghese da 6 anni a questa parte, che segna uno dei ritorni più convincenti dell’anno. Ilario Galati a Likes, anche Slappers non perde gli avanguardismi, e riesce ad avvalersi anche di strumenti non propriamente elettronici; ma è la stupenda voce che vince su tutto, sia essa su canoniche tracce avvicinabili al pop che su sconnessioni poco ballabili e avanguardie a volte pretenziose. In definitiva, un album per chi volesse continuare ad ascoltare elettronica: Slappers non vi stancherà, pur non essendo esaltante come il lavoro precedente continua a dire qualcosa. Federico Baglivi

Zero db

Bongos, bleeps and basslines Ninja Tune Elettronica / ***½

Si attendono sempre con ansia gli album dei gruppi specializzati in dance e remix: li si attendono per capire di che pasta sono fatti, quali sono le loro prospettive di lungo termine, la loro capacità creativa a partire

da 0, oltre la rivisitazione. C’è anche da dire che spesso, salvo alcuni rari fenomeni (vedi Tiga, Soulwax, Mylo), l’attesa viene quasi sempre mal riposta: gli album appaiono poco organici, con ottimi picchi di qualità alternati a veri e propri riempitivi richiesti dalla casa discografica per non pubblicare un prodotto che duri 20 minuti. Questo album si trova tutto sommato in una posizione intermedia: Chris Vogado e Neil Combstock, aka Zero db, portano a casa un prodotto onesto, ma (volutamente?) incompiuto. Il titolo già rivela la disorganicità del prodotto, in cui si balla (nel vero senso della parola) tra scissione e integrazione di standard musicali completamente diversi, uniti forse solo da una certa vocazione “brazilera”, tipica peraltro delle loro produzioni precedenti (remix in particolare). Un album comunque godibile, con ospiti alla voce in grande crescita (in particolare Spank Rock, che canta Samba do Umbigo), alcune ottime idee (l’incendiaria opener A pomba Girou), episodi meno creativi ma comunque apprezzabili (Anything’s

possibile) e addirittura un escursione pop (On the One and Three, che con una certa sorpresa può essere considerato l’episodio meglio riuscito dell’intero album). Tenete d’occhio Te Quiero se volete stupire i vostri amici anticonformisti con prospettive diverse per il trenino di capodanno. Un cd che piacerà da impazzire ai dj, che potranno trovare qui diversi stimoli per i loro set, ma che può essere consigliato a tutti gli amanti dell’elettronica. Poi però, di corsa a cercarvi i loro remix. Dino “doonie” Amenduni

Justine Electra Soft Rock V2 Elettronica / ***

Immaginatevela, australiana, in uno squat berlinese a lato della stazione ferroviaria. Immaginatevela comporre musica con il sottofondo dei treni e contornata da ragazzi e ragazze che vanno e vengono, magari neanche troppo lucidi. Immaginatevela, perché questo è ciò che faceva e forse ancora fa nella sua vita, mettere musica nei clubs techno e nelle feste squat, accompagnare le basi con la sua voce soft e nel frattempo prendere contatti con coloro che presto diventeranno i suoi amici e forse anche collaboratori. Questo disco è frutto del suo spostamento dalla pacifica isola australiana all’incasinatissima Berlino, delle passeggiate nelle lunghe vie oscure e periferiche, dei tanti diversi personaggi che ha incontrato nella vita e di cui ha ascoltato storie e sensazioni, di una passione forte e innata per la musica. Questo disco, dolce ed elettronico, chitarra acustica e pacemaker di seconda mano, matite e righelli, è un insieme di contraddizioni che si conciliano perfettamente come già il titolo preannuncia . Soft Rock, tredici brani, sperimentazione pura è il primo lavoro di Justine Electra, una ragazza che ha già osservato ascoltato visto e vissuto tanto e intensamente. Valentina Cataldo


KeepCool

19

Pentatonik

The Five Angels Dukebox / Goodfellas Elettronica / *****

Un disco semplicemente e sorprendentemente meraviglioso, da avere; e potrei fermarmi qui. The Five Angels dei Pentatonik contiente dieci tracce che passeggiano tra elettro-pop, ambient, glitches, idm, synth-pop e post rock. Quasi tutte le tracce catturano dal primo ascolto; tra le migliori The Remembrance of You Touch e Credo, dove sembra di ascoltare le più suggestive ambientazioni di un disco di B. Fleischmann o Urlich Schnauss, stupendo anche l’electro/synth-pop arricchito da glitches occasionali in Cassiopeia. Una affascinante e spiazzante esplosione post-rock di otto minuti in Zeitgeist ti fa domandare se quello che stai ascoltando è lo stesso disco di Cassiopeia. Una varietà di idee e generi mescolate in dieci tracce, senza per questo farne uscire un pasticcio, generi che si compenetrano nello stesso

brano: batterie reali, glitch, chitarre elettriche distorte e synth intrecciati tra di loro a fare uscire paesaggi sonori inaspettati. Un disco sorprendente. Federico Baglivi

Contriva

Separate Chambers Morr Music / Promorama Elettronica / ***

Nella grande famiglia Morr le collaborazioni e gli intrecci di gruppi si sprecano; con i Contriva ci troviamo di fronte a membri che sono o sono stati in band come Komeit, Notwist, Mina, Lali Puna; L’ultima release Separate Chambers conferma in pieno le nuove scelte Morr in merito alle produzioni, uno solo è l’elemento profondamente rilevante: l’elettronica è ormai quasi impercettibile; probabilmente Thomas Morr prima del 2003 non avrebbe mai prodotto un disco del genere. Ma ovviamente tutto cambia e tutto si evolve, le chitarre acustiche

Subtle

For Hero:For Fool Lex Hip-pop / **1/2 +

Kill the vultures

Careless Flame Jib Door Avant hip-hop / **** +

Fat Jon & Styrofoam

The Same Channel Morr Music Elettronica-rap / *** Ecco tre nuove uscite di out-hip-hop, tutte innovative ma ben distinte tra di loro. Partiamo dal ritorno dell’astuta formazione guidata dall’ex-Clouddead Doseone. Mantengono la loro vena eclettica, e la loro tendenza a stracaricare le canzoni di idee, divagazioni, sperimentazioni, e l’hip hop ormai sembra ormai lontano (semmai fu vicino). Non che sia sparito del tutto, la rap-poetry rimane ancora il loro indubbio punto di partenza, ma di certo si sono allontanati un bel po’ dal cortile di casa. La vera novità rispetto al vecchio progetto, anch’esso fuori dagli schemi, sta forse però nell’attitudine, da cupa a solare, dei musicisti. Le loro ispirazioni visionarie attingono ora dal black, funk, soul, dance, folk, rock, digital-pop, facendo davvero un allegro imbroglio. A volte riuscito e a volte no,

dettano legge ed ecco che anche la Morr ha il suo gruppo alla Belle&Sebastian un po’ più post-rock e un po’ meno folk. Undici tracce di intrecci di chitarre, basso e batteria, con tratti elettronici ridotti all’osso. In definitiva l’idea Morr di portare avanti il nuovo discorso dell’evoluzione dei glitches, intrecciati agli strumenti canonici, sta portando sempre più spesso alla produzione di album che strizzano l’occhio al post-rock. Separate Chambers non è disco mediocre, anche se per i puristi del glitches, se ancora ce ne sono, probabilmente lo è, tuttavia non sembra essere neanche un disco capace di lasciare un segno al suo passaggio. Federico Baglivi

Guido Premuda - Gilberto Grillini - Alessandro Dalla Blues Explorations Silta Records Modern Blues / ****½

Alla domanda “cosa è il blues?” si risponde in molti modi: “il blues è un genere musicale; è uno stato d’animo; è il linguaggio di un popolo sottomesso;

devo dire. Probabile che dal vivo sappiano rendere più coinvolgente l’esecuzione dei loro pezzi ma il disco pecca di incontrollata eccentricità e straripante barocchismo, come se, partiti tutti insieme per un bel viaggetto, a poco a poco i musicisti ti lasciano indietro trascinati dalle loro fughe esplorative; al che tu, stanco di stargli dietro, decidi di metterti a fare qualcos’altro e non li stai più a sentire. Tornano anche gli incredibili Kill the vultures di Minneapolis, che con questo secondo album si confermano essere la cosa più eccitante in ambito avant hip-hop, con le loro claustrofobiche battute metalliche e campionamenti di crudo blues e jazz noir dei sobborghi sparati da dj Anatomy. Le voci dei tre Mc, in particolare quella gonfia e minacciosa di Nomi, contribuiscono come sempre a mantenere in tensione l’ascoltatore per tutta la durata del disco. Se proprio vogliamo trovare qualcosa da ridire è che sostanzialmente il nuovo album non si distacca di una virgola dal modello imposto nel precedente, ma, se la formula funziona così bene, perchè dovrebbe? Concludiamo con questa collaborazione tra il chitarrista / laptop producer belga Styrofoam (all’anagrafe Arne van Petegem) e il dj rapper nero Fat Jon, di Cincinnati. I due si sono incontrati nel 2001 ad un workshop ad Anversa. Da lì amicizia e rispetto hanno dato il via al processo che ha portato alla realizzazione di questo disco di interessante contaminazione tra glitchs e beats, chitarre acustiche e triphop, con inaspettate tendenze retrò-futuristiche. Uno strano mix di melanconia digitale, dub, downtempo, monologhi hip hop e spunti funkeggianti con l’inserimento di qualche ipotetica hits (“the Middle”). Una buona riuscita che allarga gli orizzonti del catalogo Morr Music. Gennaro Azzollini


KeepCool

20

AA. VV.

Rogues Gallery: Pirate Ballads, Sea Songs & Chanteys Anti/Epitaph Ballate piratesche / ****

Non era un progetto di facile realizzazione. Nelle mani di chiunque altro si sarebbe trasformato certamente in un guazzabuglio poco appagante per l’ascoltatore. Invece questo Rogue’s Gallery, due cd per un totale di 43 pezzi, centra appieno l’obiettivo. Il merito naturalmente è di quel geniaccio di Hal Willner, già direttore d’orchestra di tributi di valore assoluto quali quelli realizzati per Charles Mingus, Kurt Weill, Thelonious Monk, Edgard Allan Poe, il nostro Fellini, e via dicendo. E il rischio che qualcun altro mettesse le mani su queste “ballate piratesche, canzoni di mare e canti di marinai” c’era tutto, visto che l’idea primigenia pare sia venuta a Johnny Depp e Gore Verbinski, rispettivamente attore e regista della fortunata è molto altro ancora”. Ma, volendo riassumere, si potrebbe dire che il blues è quella carica melodica che riesce a dir tanto ma che sottintende ancora di più. Esplorare il blues, allora, significa - tra le altre cose - sviscerare quel potenziale melodico. Vuol dire riprendere alcune delle mille permutazioni di uno stile e proporre nuove riletture di una simbologia sempre viva. Indagando, riemergono i grandi artisti che si sono confrontati con le varie dimensioni del blues: riappare il rituale di Better Git It In Your Soul, il feeling di quel maestro di lirismo che era Miles Davis, i tanti blues di Ornette Coleman, padre del free jazz ma in realtà melodista strepitoso. I tre musicisti impegnati in Blues Explorations (cui si aggiunge un sax soprano in alcuni brani) si confrontano con tutto questo, rivelando un sound enorme, dove spicca la chitarra di Guido Premuda: una sintesi di John Scofield e Mick Goodrick. È soltanto un’altra divagazione blues, ma di una classe eccezionale. Gianpaolo Chiriacò

Paolo Lattanzi Group Night Dancers Silta Records Jazz / ****

Liscio, ampio, concentrato ancorché disinvolto, ricco di colori e suggestioni: il repertorio di Night Dancers offre una panoramica completa di tutte le possibili variazioni sul tema “linea melodica più improvvisazione”. Quello di Paolo Lattanzi è un gruppo giovane (e non si direbbe), poliglotta, rampante (nel senso buono), onnivoro. I cinque saltellano come grilli tra il passo rilassato di Cicerchi’s Wanderlust e la leggera inquietudine della title track; tra i poliritmi di In A Dark Room e il mood cinematografico di When It Doesn’t Matter. Stimoli motori ed emotivi, una pulsazione incontestabile e costante, un approccio vigoroso - incisivo ma sempre disteso - sono le risorse essenziali per una

saga cinematografica ispirata alle gesta del pirata Jack Sparrow. Passiamo ai contenuti: un progetto di questo tipo non può che essere disomogeneo per definizione, ma il modo in cui i tanti convenuti si avvicinano al materiale è di alto livello: Bono, Sting, Nick Cave, Stan Ridgway, Dave Thomas, Brian Ferry, Lou Reed, Jarvis Cocker, Richard Thompson… Insomma un cast stellare che in alcuni casi sorprende: immenso Sting quando interpreta Blood Red Roses, gigantesco Thomas nella scheggia impazzita di Dan Dan, elegante Reed contrappuntato dal suo amico Antony. Naturalmente non tutto è a questo livello ma il progetto, che non era affatto semplice, non può che considerarsi riuscito. Aggiungeteci pure il bel artwork (anche se il booklet è piuttosto avaro di notizie), l’unicità della proposta e il prezzo contenuto e avrete uno dei progetti più originali dell’anno. Peccato solo manchi Tom Waits, forse il più adatto a misurarsi con queste canzoni corsare. Ilario Galati

formazione che si inserisce tra le proposte più accattivanti del jazz contemporaneo. La provenienza variegata dei cinque due italiani, uno spagnolo, un francese e un russo - garantisce la spontaneità di ogni intervento. Quando anche l’esperienza aumenterà, avremo a che fare con un congegno musicale infallibile. Gianpaolo Chiriacò

l’utilizzo di compact disc neri simil-dischi in vinile da entrambe le facce. Giancarlo “Zanca” Bruno

AA.VV.

La musica per i Tuareg è necessaria perché rappresenta l’unica memoria di un popolo che non ha luoghi dove conservarla. La musica Tuareg sembra racchiudere in sé l’origine stessa della musica, nei suoi ritmi, nei suoi recital sembra di sentirne l’essenza. Se si fa attenzione, si scorge, anzi si riconosce in questo suono il Blues. Una struttura fissa su cui la musica e le parole cambiano in continuazione a seconda del particolare sentire del momento. I Tinariwen sono dei musicisti combattenti. Tra gli esponenti della nuova musica africana, insieme ad artisti come Alì Farka Tourè, Femi Kuti, Afel Bocoum, oggi hanno deposto le armi e usano la musica come unico mezzo per proclamare la propria libertà. Uscito nel 2004 l’album Amassakoul viene oggi distribuito in Europa con un dvd (The Soul Rebel of African Desert). In questo disco è come se la musica facesse il giro del mondo per poi tornare a casa. Da una parte le canzoni della tradizione africana, dall’altra la strumentazione e gli stilemi del rock moderno. Una sorta di eterno ritorno in cui si scopre come Hendrix, i Rolling Stones, i Doors siano figli di mamma Africa. Un richiamo all’ordine e alla semplicità, un invito a riscoprire l’anima della musica. Osvaldo Piliego

Sister Bossa Vol. 7 Irma Records Nova bossa nova / ****

Nel settimo volume di Sister Bossa quello che subito si nota ascoltando il cd e leggendo i credit è la differenza fra la scuola italo-brasiliana e quella giapponese; la prima più acustica, ricercata e intima, la seconda un po’ troppo spesso alla ricerca di un ritornello da far canticchiare e condita di suoni elettronici non proprio all’ultimo grido (vedi la traccia di apertura Luz do so di Kaleido with I-Dep). I Nova 40 presentano Sim ou nao, un’elegante traccia con suoni dosati, percussioni non invadenti… un bel mix tra la storia della musica brasiliana e la scena attuale; la selezione ad opera del dj giapponese Taka Sakano prosegue con I’ve got the world on a string, uno stupendo brano arrangiato con raffinatezza, in cui la cantante giapponese Karen Aoki (supportata da eccellenti musicisti italiani) mostra il suo legame con le melodie jazz più marcatamente bop. Il pure stile brasiliano, che potremmo definire old school, di Ithamara Koorax sottolineato dall’utilizzo della sola chitarra acustica, percussioni e birimbao (Côco Perenuê), si alterna alle delicate sonorità house/lounge di Cris Delanno che maneggia con cura lo standard Outra Vez di Jobim (il remix qui proposto è quello di S-Tone Inc). Un altro bel colpo per la Irma Records che si conferma una delle etichette ai vertici della scena easy, nu-jazz e latin. Il digipack è perfetto per

Tinariwen

The soul rebel of african desert Ponderosa World / ****

Dan Sartain

Join Dan Sartain one little indian Rock / ***½

A meno di un anno dall’esordio con il riuscito Dan Sartain vs The Serpientes, questo outlaw dell’Alabama ritorna con un nuovo


KeepCool lavoro che lo vede ancora protagonista di un rock’n’roll poco mediato e senza fronzoli, che farà la gioia degli amanti di certa american music. Join Dan Sartain è un lavoro meno sorprendente ma più variegato del suo predecessore: il ragazzo è cresciuto non poco e mostra uno spettro compositivo più vario e più attento ai particolari. Le danze si aprono con Drama Queens, piccola memorabilia punk-roots: un minuto e mezzo di urgenza e spontaneismo che lasciano pochi dubbi circa le capacità interpretative del nostro, che però è in grado di assumere con scioltezza anche altri ruoli. Quello del crooner acustico à la Neil Young, e The World is Gonna Break Your Heart ne è un ottimo esempio. Ma anche quello del compositore meticcio che flirta con i suoni della frontiera pensando a Ennio Morricone e all’epopea del west anche se, a dire il vero, non sono sempre rose e fiori: ad una epocale Flight for The Finch, con tanto di ottoni mariachi e chitarra assassina, si passa alla stereotipata Totem Pole. Nonostante alcune piccole cadute, Join Dan Sartain è un disco complessivamente riuscito, che regala, ascolto dopo ascolto, certe vibrazioni molto gradite. Rispetto al precedente viene naturalmente meno l’effetto sorpresa, ma il livello medio delle composizioni è onesto e conferma Dan quale uno dei più interessanti interpreti dell’ultima stagione. Ilario Galati

Magnolia Electric Co. Fading Trails Secretly Canadian Blues-folk / ***

Ammettiamolo, da quando Molina ha dato vita a questo suo progetto elettrico di blues-folk revival, di neilyoungiana memoria, l’unico album decisamente riuscito (ma anche di più, una vera bomba) è quello live, Trials and errors. Il resto sarebbe scorretto dire che sia scarso, ma la decisione di dare la precedenza alla ruvidità delle chitarre invece che alla liricità del suo cantato aveva spiazzato un po’ tutti, e di certo le canzoni mancavano di spessore, forse anche a causa di una produzione poco azzeccata che rendeva tutto troppo piatto e lineare (cosa che appunto non avviene nel live). Con questo nuovo album, che esce in contemporanea con un suo lavoro solista, Molina sembra cercare una via di mezzo: rimane l’impostazione di band (in brani come Montgomery e Lonesome Valley), ma sono le ballate (Memphis Moon, Talk To Me Devil, Again), e i momenti di scarno cantautorato (il piano di The Old Horizon e le conclusive Spanish Moon Fall & Rise e Steady Now) a prevalere, e gli stessi brani più tirati (come l’iniziale Don’t Fade On Me) rimandano chiaramente ai momenti più concitati dei suoi primi album quasi che i Magnolia electric co volessero imitare i songs:ohia. Ci si potrebbe

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Nebula

Apollo Liquor and Poker/Goodfellas Fuzz rock / ****

Gli alfieri del fuzz rock sono come la ruggine, non dormono mai, e dopo averci regalato album di straordinaria intensità – To the Center e Charged su tutti – tornano ora con un disco che ci svela una band davvero in stato di grazia. Apollo è il quarto album ufficiale (senza contare il gran numero di EP e split) che la band californiana, nata da una costola dei Fu Manchu, ha realizzato in quasi dieci anni di frenetica attività. Di pochi gruppi, credo, si possa dire che siano andati in crescendo, album dopo album, come i Nebula, capaci di ritagliarsi fin dagli esordi un forte seguito fra gli appassionati di stoner e di un certo heavy rock, grazie ad una proposta capace di flirtare con la psichedelia più classica, come con il rock’n’roll più selvaggio e aggressivo. Apollo, però, è il classico disco che rischia di essere sottovalutato proprio perché sommerso da un mare di robaccia commerciale e momentaneamente “cool”: un ascolto veloce, un buon giudizio affrettato e via! E invece no! Perché questo è un disco meraviglioso, intelligente, aperto. Forse la cosa più coraggiosa che abbiano fatto i Nebula: mantenere intatta l’originaria anima dello space-rock fondendola con punk e hard rock. Scusate se è poco! Camillo “RADI@zioni” Fasulo addirittura domandare a questo punto il senso della permanenza di due progetti se sostanzialmente rimangono invariati gli stili compositivi. Ad ogni modo, l’album più riuscito con questa ragione sociale. Gennaro Azzollini

Daemonia

Dario Argento tribute/Live in Los Angeles Deep Red/Self Horror-metal/****

I Daemonia per i più possono rappresentare una sorpresa o un nome mai sentito, infatti sono una band di recente formazione che gode di un vasto seguito negli U.S.A ed in estremo Oriente. La sorpresa è che i Daemonia non sono altro che la reincarnazione moderna ed heavy-metal, ad opera di Claudio Simonetti, di quello che fu un grande progetto musicale italiano degli anni Settanta, i Goblin, gruppo che tanto ha dato con le proprie oscure fantasie musicali al cinema horror italiano ed in particolare alle opere di Dario Argento. Simonetti con l’aiuto di altri tre musicisti, provenienti dal mondo metal italiano, ha riletto e rielaborato in chiave metal, i grandi classici musicali dei film horror, dei quali per la maggior parte egli fu uno dei compositori. Live in Los Angeles rappresenta la registrazione, su DVD, del concerto tenuto dalla band al Prog-West Festival in California. La scaletta dei brani eseguiti è di altissimo spessore, basta pensare a titoli come: L’alba dei morti viventi, Demoni, Hallowen, Inferno Matter Tenebrarum e l’intramontabile e stupenda Profondo rosso, che in versione heavy risulta ancora più agghiacciante. Per chi ama queste sonorità il box è un acquisto obbligatorio. La visione e l’ascolto di questo gioiellino musicale, ci consente di godere di parte di quella esperienza unica

che fu la creatura Goblin e ci consente di viaggiare attraverso suggestioni, disagi ed all’allucinazioni notturne a contatto con mostruose e spaventose entità evocate dalla musica; insomma un vero e proprio incubo sonoro. Nicola Pace

Ministri

I soldi son finiti OtoRecords-Maninalto/Venus Rock / ***

Non è sicuramente n o r m a l e comprare un cd e trovare, appiccicato sulla copertina, un euro da spendere e spandere a piacere, o da regalare a qualche musicista di strada. È la provocazione de I soldi sono finiti cd di esordio dei Ministri che sentenzia il de profundis del mercato discografico italiano. Nel libretto c’è infatti una “ironica” rendicontazione completa dei costi di produzione del cd dalla preproduzione alla registrazione in sala, dall’ufficio stampa alla grafica, dalla stampa alla promozione con tutte le possibilità di risparmiare e gestire al meglio le risorse a disposizione. Un business plan per far vedere quanto costa la musica. Ma sotto la provocazione c’è ben altro. Il trio, composto Federico Dragogna (chitarra-cori), Davide Autelitano (bassovoce) e Michele Esposito (batteria), propone infatti puro rock d’impatto e di qualità con testi grintosi e schietti, come nella title track dove i Ministri ripetono “noi non siamo puliti / suoniamo per non lavorare mai”. Gazza


KeepCool

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Hogwash

Half Untruths Urtovox Indie / **** ½

Come suggerisce il titolo del disco, sarebbe una mezza falsità accostare il solo nome dei Pavement alla band bergamasca. È come dire che gli Yuppie Flu sono solo il corrispettivo italico dei Grandaddy. Sembra riduttivo e limitante, ma serve quantomeno a fornire un punto di partenza dal quale inquadrare il mondo sonoro degli Hogwash. Riduttivo perché, oltre ai bei ricami puntocroce delle chitarre che ricordano tanto Malkmus e soci (Weak Brother, Crude ma soprattutto Bikeride), ci sono anche personali riletture della canzone folk-rock americana stile Grant Lee Buffalo e Giant Sand (su tutte la dolce e bellissima Red Heart Shaped Petal). In canzoni come Fools Do Pay? e Goodbye Letters poi, non è difficile riconoscere una certa attitudine sardonica e cazzona propria di Dinosaur Jr e Sebadoh. In ordine sparso si avvertono pure tracce di Wilco, Eels, Gomez, Belle and Sebastian... tutto elaborato in una talentuosa e personalissima visione d’insieme. Tredici deliziose tracce cantate in inglese che si muovono tra chitarre al limite del deragliamento e atmosfere bucoliche a base di organi, mandolini e flauti pastorali. Un gran bel disco, ben suonato e ben confezionato (alle manopole Alberto Ferrari dei Verdena), che mantiene alta la bandiera dell’indierock tricolore. Mentre metà dei gruppi succitati arranca. O non esiste più. Giovanni Ottini

Esa

Tu sei bravo Funk ya mama / Warner Hip-hop / ***

Quando esplode un genere e nuove mode si fanno avanti spesso ci si dimentica di chi di questo genere, almeno in questo paese, ne ha gettato le basi. E’ il caso di Esa che a distanza di tre anni da Tutti gli uomini del presidente (primo

Federico Sirianni

Dal basso dei cieli UPR – 2006 Folk d’autore / *** ½

“Se togliamo l’uso del cappello, il paragone non regge”, risponde così Federico Sirianni quando accostano la sua musica a quella di Vinicio Capossela. È inutile però negare il forte richiamo alle sonorità e all’impostazione di una certa cultura alla quale si rifà lo stesso Capossela (soprattutto del periodo Ballo di San Vito, tanto per intenderci) ma Federico Sirianni va oltre. Dal basso dei cieli, secondo cd del cantautore che si muove tra Genova e Torino, è un disco che si fa ascoltare con piacevolezza, è un caleidoscopio gigante che mescola suoni e atmosfere, richiami cinematografici (come nella intro dedicata a Ennio Morricone) e letterari, Balcani e Italia, Bulgaria e Sud America, blues e patchanka. Un disco di frontiera, è stato definito, nel quale ci sono molta sostanza e una forma ricercata. Sirianni riesce a giocare con la lingua, con le rime, con le metafore, con le assonanze. A quattro anni di distanza dall’esordio di Onde Calndestine è un piacevole e più consistente ritorno. (pila) lavoro solista) sforna un nuovo lavoro che non deluderà gli amanti del rapper. Molte le collaborazioni degne di nota (Fish, Tormento, Inoki) in un disco che sa fondere al punto giusto sonorità elettroniche, funky e reggae mantenendo inalterata l’anima inconfondibile dell’mc calabrese. Ottimi i testi, diretti e vecchio stile e originale la sequenza dei brani che alterna pezzi ballabili (Throw your hands up e Speranza&Amore) a motivi classici (Lo sapete che, Mai le stesse). Anche le basi si rivelano azzeccate confermando sperimentazione e capacità di fondere campioni e basi suonate in un mix accattivante e mai banale. Un disco interessante per un autore esplosivo. Papa Ciro

Sodastream Reservations Homesleep Folk-pop/****

Nella musica dei Sodastream è come se una lotta ancestrale si svolgesse. Da un lato la luce, dall’altro l’oscurità. La forza di un gigante (Pete Cohen) dalla voce cavernosa percuote il contrabbasso mentre di contro un efebo dalla voce angelica

(Karl Smith) accarezza delicato una chitarra. Un contrasto fisico e sonoro che in un gioco di luci e ombre finisce per diventare equilibrio. Ormai sdoganati dal calderone del new acoustic movement di cui erano solo coevi i Sodastream non cambiano formula perché coerenti a una poetica che è fuori dal tempo. Legati da un filo sottile agli anni settanta, con lo spirito di Nick Drake che aleggia nei dintorni, i Sodastream riescono a unire una vena classica, a tratti quasi da musica da camera, con il folk. Ma la loro musica è anche di più, è della stessa materia di cui sono fatti i sogni, delicata, irraggiungibile, sembra addirittura non appartenere a questa terra. Con questo nuovo Reservations, i Sodastream sembrano addirittura più introspettivi, minimali nell’orchestrazione, ma complessi degli intrecci tra contrabbasso e chitarra. Il tutto è semplicemente toccante. Osvaldo Piliego

Uzeda

Stella Touch and Go/Wide noise rock/****

Sono passati ben otto anni dall’ultimo disco Different section wires,


KeepCool una lunga attesa, ma ne è valsa la pena. Gli Uzeda (from Catania, Sicily) sono una delle band indie più importanti del panorama italiano. Ritornano con Stella, nuovo album, ancora una volta sotto la produzione di Steve Albini (Big Black, Rapeman, Shellac,…), confermano la formula noise che li ha fatti amare dal pubblico in giro per il mondo. La durata, abbastanza breve, è di circa 30 minuti suddivisi in otto tracce. Un consiglio, se incontrate gli Uzeda non provate a nominare il “post rock” altrimenti si incazzano, come affermano loro, questa è una definizione che significa tutto e niente. In questo periodo di gestazione molteplici sono stati i progetti e gli interessi che la band ha curato e portato avanti, come il progetto Bellini, a cui partecipano Giovanna Cacciola (voce) ed Agostino Tilotta (chitarra). A completare gli Uzeda ci sono Davide Oliveti e Raffaele Gulisano, rispettivamente batteria e basso. Stella, nonostante il nome italiano, è cantato in lingua inglese, lo stile inoltre è molto vicino a quello delle bands rock del sud degli Stati Uniti. Questo gruppo deve essere un orgoglio per l’Italia e quest’album, ricco di energia, tensione, schizofrenia, è una prova di altissima qualità. Livio Polini

Squarepusher

Hello Everything Warp/Self Indietronica/***1/2

Tom Jenkinson, conosciuto al pubblico come Squarepusher, grande maestro dell’indietronica e della ricerca nu jazz, nonché bassista di buon livello, dopo un ottimo disco come Ultravisor, ampiamente apprezzato sia dai fans che dalla critica, torna in questa occasione con Hello Everything, ci regala così un altro gioiello di rara ed infinita bellezza. Dodici tracce per il decimo album, estroso e stravagante, entusiasmante ed affascinante, tendenzialmente più melodico rispetto al passato. Miscugli jazz, blues, sogni acidi, manifestazioni eleganti di stile classico si scontrano con l’interferenza ed il disordine, il disequilibrio della modernità, abili esercizi elettronici,

23 padronanza nel basso, sperimentazione, drum machine tarata con arte e sapienza, presenza di alcuni ricordi stilistici del passato, citazioni breakbeat, ma soprattutto voglia di acustico, una tendenza che ultimamente sembra sia tornata di moda. La contaminazione musicale, sono molti gli artisti che provano ad esporsi in questo senso, spesso, però, con risultati modesti, pochi raggiungono invidiabili livelli come quelli ottenuti da Jenkinson, un esempio per molti, unico nel modo totalmente personale di creare scenari incantevoli ed immaginari. Livio Polini

Poppy’s portrait Room ep Polyester 2006 Rock / ***

A continuazione e quasi conclusione di un ciclo, iniziato col non distante afish, esce adesso room ep. Mezz’ora di musica per quattro lunghi pezzi, per lo più strumentali, sulla scia del precedente lavoro, stessi effetti distorsioni atmosfere, stessa grafica ma soprattutto stessa intensità. Il figlio di Giorgio, il chitarrista,

è nato mentre questo disco prendeva forma e la stanza 408 non è buttata lì a caso tra i titoli... Il primo pezzo, così come l’ultimo, è suddiviso in tre atti, titoli e sottotitoli in contrapposizione, quasi a costituire quello che può sembrare un concept album. Una carica emotiva forte esplode nei suoni, che variano tanto anche all’interno dello stesso brano. I nove minuti iniziali - tutti di Room 308 - spaziano tra sonorità confuse (che richiamano quelle del primo album) e chitarre più pulite, grida caotiche e versi ripetuti, nella conclusione l’esplosione vera e propria, e chi ha assistito a un live della band sa bene cosa intendo. Secondo e terzo pezzo sono cantati, a recuperare un formato-canzone più canonico (e neanche troppo). A chiudere altri tredici minuti, toccanti, di Luce e vento. Un probabile futuro più “rock” e meno “psichedelico” si prospetta - secondo indiscrezioni - per il gruppo che da poco ha cambiato formazione. Per ora, goodbye Poppy’s, a presto. Valentina Cataldo

The Blow

Paper Television Tomlab/Wide Indiepop/***1/2

Giudicare Paper Television non è cosa semplice. Da un lato si potrebbe dire non è nulla di nuovo, assomiglia a qualcosa che hai già sentito, non lo so, sarà che ascoltiamo sempre tanta roba. Dall’altro qualcuno mi dovrà spiegare perchè diventa una fatica enorme lasciare quel disco lì, a due passi, riposto nella sua custodia. Queste tracks sono altamente contagiose e rimangono (anche contro la propria volontà) bloccate nel cervello. Il lavoro svolto da Khaela Macirich e Jona Bechtolt (in arte The Blow) è di buon livello, il suono fresco e coinvolgente, una bella formula per un gustoso alternative pop, una splendida voce femminile, inserimenti electro, qualche groove che rianimerebbe proprio chiunque, anche i più pigri, quelli che lasciano la forma del proprio corpo sul divano davanti la tv modello Homer Simpson, quelli che hanno i calli nelle mani e non perché lavorano in campagna, e neanche per colpa della masturbazione, ma per tornei infiniti di calcio alla Playstation. Il gioco è fatto, una splendida scatola cinese dove all’interno del primo pacco ne trovi un altro e poi un altro e un altro ancora, fino a scorrere tutto il disco ed arrivare alla fine, e anche se nell’ultima scatola non c’è niente di particolarmente sorprendente, richiudi tutto e come stregato ricominci daccapo. Livio Polini


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Gianmaria Testa

Da questa parte del mare Radio Fandando/Edizioni Fuorivia Poesia Italiana / ****

Sicuramente il cantautore piemontese Gianmaria Testa è uno dei migliori interpreti della musica d’autore italiana degli ultimi anni. Purtroppo il cantautore piemontese Gianmaria Testa è meno conosciuto, per vari motivi, rispetto a suoi (anche meno illustri) colleghi. Da questa parte del mare, uscito per Radio Fandando ed Edizioni Fuorivia e distribuito da Edel, è il suo sesto album. Conosciuto per molto tempo più in Francia (utilizzato come “colonna sonora” di un suo romanzo dallo scrittore marsigliese JeanClaude Izzo, quando ancora i due non si conoscevano) che in Italia, Testa ha infilato una serie di ottimi lavori partendo da Montgolfières e passando per Extra-Muros, Lampo, Il Valzer di un giorno e Altre Latitudini. Da questa parte del mare è un concept album (come si diceva un tempo) interamente dedicato alla migrazione. Una profonda riflessione fatta da un uomo sensibile che si trovò, per caso, ad assistere ad uno sbarco da questa parte dell’Adriatico. Un evento difficile da metabolizzare che ha portato dopo più di un decennio alla stesura di tutti i brani che, tra poesia e immagini bellissime, raccontano la decisione di andare, il viaggio, l’arrivo, la disumanità di una vita difficile. Gianmaria Testa sa che il nostro è un punto di osservazione privilegiato ma non dimenticata di quando eravamo noi a partire. E lo fa con due brani. Il primo è Ritals, dedicato proprio a Jean-Claude Izzo, figlio “francese” di un emigrato salernitano, un “rital”, come i francesi degli anni ’50 chiamavano gli italiani andati in Francia per cercare lavoro, e scomparso pochi anni fa. Il secondo è un brano del 1927 (firmtato Bixio-Cherubini) e si intitola Miniera. Prodotto da Paola Farinetti per Produzioni Fuorivia, Da questa parte del mare ha la direzione artistica di Greg Cohen ed è suonato da Gabriele Mirabassi, Paolo Fresu, Enzo Pietropaoli, Piero Ponzo, Claudio Dadone, Philippe Garcia, Luciano Biondini e Bill Frisell. Testa si è esibito in Italia, Francia, Canada, Austria, Germania, Svizzera, Belgio, Olanda e Stati Uniti (nel 2005 ha suonato a New York, Los Angeles, Chicago e Cleveland dove ha riscontrato un grande e inaspettato successo di pubblico) e nel suo nuovo tour toccherà anche la Puglia. Giovedì 21 dicembre sarà a Lecce mentre venerdì 22 chiuderà gli appuntamenti autunnali a Bari. (pila)

L’Amara Terra Mia dei Radiodervish Da pochi giorni è uscito il nuovo lavoro discografico dei Radiodervish, gruppo italo palestinese composto da Nabil Salameh e Michele Lobaccaro. Si tratta di un doppio (cd e dvd) che racconta l’ultima avventura del duo a metà strada tra musica e parole. Amara Terra mia è infatti un fortunato spettacolo (prodotto da Antonio Princigalli) che narra di terre, viaggi, partenze e approdi nel quale alcune delle canzoni più note dei Radiodervish si intrecciano con i testi letti da Giuseppe Battiston. Parole e musiche che raccontano i legami tra Oriente e Occidente, la precaria mobilità e la fragilità di essere umani in costante movimento, non soltanto fisico e corporeo, ma anche psichico e intellettuale. Il cd, che si apre con le versioni inedite, cantate in italiano e arabo, di due canzoni di Domenico Modugno (Amara terra mia e Tu si na cosa grande), contiene la registrazione dal vivo dello spettacolo. Il dvd offre invece il video clip della title track diretto da Franco Battiato e girato tra Melpignano e il porto di Otranto e Gramsci e l’hashish, quinto atto dello spettacolo. Dove nasce l’idea dello spettacolo? Lo spettacolo ha avuto una evoluzione molto lenta. L’idea di base è partita da un desiderio di accostare la letteratura alla musica. Nella nostre intenzioni c’era la convivenza tra i nostri brani e i testi letterari che più ci avevano ispirato. Ad un certo punto, grazie alla collaborazione con Giuseppe Battiston, siamo giunti alla piena maturità e abbiamo cercato di dare una struttura di spettacolo a questa intuizione.

Che testi avete usato? La nostra idea è stata quella di accostare i testi della migrazione - nel senso di partenza e approdo fisico e psichico – a brani musicali. Tra i testi c’è il reportage Io, vittima del Cpt della giornalista francese Giovanna Boursier al quale abbiamo affiancato Amara terra mia. Si tratta di una nostra rilettura del grande Domenico Modugno, figlio di una Puglia che lega questa sponda del Mediterraneo con l’altra. A parte la bellezza indiscussa delle sue canzoni secondo noi non viene spesso valorizzato al punto giusto il suo respiro mediterraneo. Modugno è stato un autore ribelle che ha accostato diversi dialetti cantando in napoletano e sentendosi siciliano pur essendo assolutamente pugliese. Un intreccio di lingue e sonorità che è proprio dei Radiodervish. All’inizio venivamo etichettati come un gruppo italo palestinese ma la definizione credo sia molto più semplice. Noi siamo un gruppo dell’Italia di oggi, siamo il mosaico che rispecchia questa società multiculturale che è si evoluta che produce, crea, lavora. Questo cd segna anche il passaggio ad una nuova etichetta Dopo anni bellissimi con Il Manifesto siamo approdati alla Radio Fandango di Domenico Procacci. Un punto di trasformazione importante per la produzione e per la distribuzione. Attualmente stiamo già lavorando materialmente al prossimo cd che dovrebbe uscire in primavera. (pila)


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La favola del raGaZZo con la voce di un anGelo Intervista a Ramona Cordova Il poco più che ventenne Ramon ha preso il nome d’arte dalla nonna. Il suo disco è come una fiaba: la storia di un ragazzo su un’isola che si innamora di una ragazza gitana dopo aver bevuto una pozione. Il ragazzo alla fine verrà abbandonato ma sarà finalmente libero. Il suo primo album The Boy who floated freely ha sbancato prima in America, poi ha conquistato la Francia ed ora esce in Italia con Sleepingstar/Goodfellas. La tua vita sembra un favola e anche il tuo esordio discografico ha un che di magico. Dopo tanto peregrinare in giro per il mondo eccoti finalmente in Italia. Parlaci un po’ di questo lungo anno di concerti e di successi. È stato veramente irreale. Non mi sarei mai aspettato che questa musica mi avrebbe portato in giro per il mondo, e che piacesse così tanto alle persone. Sono stato in così tanti paesi e ho anche conosciuto un sacco di persone fantastiche. In te, nelle tue origini, si incontra il mondo (ndr Ramon è di origine spagnola e portoricana da parte del padre e haitiana e delle filippine da parte della madre). Anche la tua musica sembra la fusione di moltissime cose. Da cosa ti senti ispirato? Certo, la vita mi ispira. Penso che tutto nella mia vita sembra terminare quando alla fine esce fuori dalla mia musica. La mia famiglia, i miei amori, le mie esperienze e nuove cose che ho imparato, visto e sentito. Dietro The Boy who floated freely c’è una storia, il disco è una sorta di concept, ce lo racconti. Bene, era un’idea che avevo… di raccontare una storia attraverso la mia musica ed usarla come elemento di stimolo per l’immaginazione visiva e di coesione. Ho sentito un sacco di concept album e non ho mai potuto vedere la storia, nemmeno attraverso le parole, non vedo nessuna connessione o altro. Io volevo costruire una storia che sembrasse

anche una vecchia favola. La tua voce è incredibile, da dove viene? Come l’hai scoperta? Io ho sempre avuto la mia voce, perciò non mi sembra così strano. Sono stato sempre capace di cantare in tonalità alte. Ma penso che sia stato solo recentemente, mentre scrivevo questo album, che ho scoperto come usare la mia voce in questo modo particolare. Volevo che suonasse come Snow White (bianca neve), e così ho provato. Il tuo nome è spesso associato a quello di Anthony and the Johnsons, Devendra Banhart. Cosa pensi di questi di questi artisti? Credi ci siano delle vicinanze nel vostro modo di fare musica? Sento sempre queste associazioni. Ho avuto la possibilità di ascoltare solo un paio di canzoni di Anthony and the Johnsons. Credo che posso vedere la similitudine. (da quello che ho sentito la musica di Anthony sembra veramente genuina a toccante). Non vedo la vicinanza con Devendra, solo il fatto

che ogni tanto entrambi cantiamo con la voce tremolante e qualche volta suoniamo da soli con la chitarra in concerto. Ho avuto difficoltà ad entrare nella sua musica. Quali artisti ti hanno influenzato nel tuo percorso musicale? Che tipo di musica ascolti ora? Sono partito con Huey lewis and the news (quegli di The power of love di Ritorno al futuro). Mio padre ascoltava un sacco Julio Iglesias, Bob Dylan, I Beatles, Josè Feliciano, Gipsy kings e Simon and garfunkel. In questi giorni ho ascoltato molto gli album bollywood di Asha Bhosle e quelli etiopici di Thaloun Gèssèssè. Mi piacciono molto the rachel’s e anche i libri. Come definiresti la tua musica? Penso che la dovresti classificare nello stesso modo in cui classifichi Cat Stevens. Più o meno proprio come un tipo che canta canzoni con una chitarra acustica. Osvaldo Piliego


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Marti

Unmade Beds Green fog records/Venus Rock / ***

LettiIntervistasfatti

Marti è l’alter-ego di Andrea Bruschi, attore genovese con la passione per la musica, che coltiva da svariati anni e che solo adesso esce allo scoperto. Unmade Beds è un disco dalle tinte forti, figlio di molte figure chiave della wave e del dark. Echi di Tindersticks e Nick Cave in questa prima prova che sorprende per una produzione molto curata (opera di Paolo Benvegnù) e per la maturità della scrittura. Andrea Bruschi ci racconta questo Unmade Beds, pubblicato dall’etichetta Green Fog Records. Facciamo un po’ di storia. Come e quando nasce Marti? Il progetto è nato per una esigenza esistenziale che aveva bisogno di assumere la forma di canzone. La band nasce nel 2001 e i componenti sono sia toscani che liguri, senza contare che abbiamo avuto ospiti nel disco dei musicisti ungheresi. Marti è il mio pseudonimo: io immagino questo personaggio come un supereroe che invece di andare a salvare l’umanità canta le sue canzoni dark-wave. L’idea di base della band e quella di tirar fuori un mondo dalle sonorità che sono legate alla musica che ho ascoltato per vent’anni e con la quale sono cresciuto, soprattutto britannica e tedesca. Ma in realtà immagino ci sia qualcos’altro. Nello scatto di copertina appari molto ossuto e inquietante… sembri Nick Cave! Beh, c’è naturalmente anche lui insieme a Bowie, Johnny Cash, Martin Gore, ma anche la musica di Kurt Weill. Sono la mia fonte di ispirazione continua e anche la ragione che mi ha fatto alzare dal letto la mattina. L’idea principale era quella di creare una commistione tra un classico set up rock e una piccola orchestra, infatti nel disco c’è spazio per l’oboe,

la fisarmonica, e dal vivo abbiamo una sezione di sax. Volevamo riprodurre un certo sound con strumenti veri, a prescindere dai sintetizzatori, anche se naturalmente li abbiamo usati. E la musica italiana? Anche nella nostra canzone d’autore abbiamo illustri esempi di musica oscura… Certo, basti pensare a De Andrè che rileggeva Leonard Cohen. In generale sono molto legato alla musica della mia Genova. Ma ci vivi ancora? Vivo tra Genova e Roma e negli ultimi anni ho avuto una esperienza negli Usa. Genova resta il mio punto di riferimento e la base del mio viaggio. Che mi dici dell’altra attività che svolgi, quella di attore? Ho appena fatto un film sull’assassinio di Guido Rossa per mano delle B.R. diretto da Giuseppe Ferrara, il regista de Il Caso Moro, I Banchieri di Dio e altri film politici… …film dell’impegno civile, di quelli che non si fanno più. Del resto, morto Volontè… …e già, anche se sono riuscito a lavorare in alcune produzioni di questo tipo come Il Partigiano Johnny. Domanda obbligata. Che differenza c’è tra il recitare e lo scrivere canzoni? La libertà e la liricità che raggiungi nello scrivere e nel cantare canzoni non puoi paragonarla alla recitazione. Forse solo il teatro può dare emozioni simili ma la musica supera tutto. Non temi che qualcuno possa considerare questa tua attività di musicista come una attività secondaria? Ma no, chi se ne frega. Comunque basta venire a casa mia e vedere la

a Marti

Raffinato ma per certi versi revivalista, l’esordio dei Marti, alterego dell’attore, cantante e pianista genovese Andrea Bruschi, rappresenta una certa sorpresa nell’asfittico panorama del rock italiano. Pubblicato su Green Fog Records (l’etichetta dei Meganoidi), questo Unmade Beds è un lavoro fortemente esterofilo, e non solo perché l’idioma scelto è quello di Albione, ma soprattutto perché i modelli di riferimento e le ispirazioni provengono tutti da oltre-manica e da oltre-oceano, non dimenticando certe esperienze vissute nel vecchio continente a cavallo tra gli anni 70 e gli 80. Il cd suona che è una bellezza, merito anche del lavoro di produzione di Paolo Benvegnù, e farà la gioia di coloro i quali dalla musica cercano profondità ed eleganza formale. Le canzoni si reggono su buoni spunti melodici (God’s Thick Gold Wrist Watch, September In The Rain) con sonorità debitrici tanto ai Tindersticks quanto ai Roxy Music, ma a volte il ‘sofisticato ad ogni costo’ prende il sopravvento lasciando così naufragare alcune buone intuizioni. Pur non brillando per originalità, questo Unmade Beds vanta comunque un lotto di canzoni ben costruite, la cui forza risiede proprio nella raffinatezza e nella classe con le quali il gruppo genovese agghinda i propri brani. Ilario Galati quantità enorme di vinili che ho per fugare ogni dubbio. Io comunque nasco come musicista, poi ho fatto la scuola di recitazione e ho cominciato a fare l’attore perché mi sembrava possibile camparci ma non ho mai smesso di scrivere canzoni al mio Fender Rhodes. Certo, mi ha aiutato molto Paolo Benvegnù che ha prodotto il disco. Che tipo di produttore è Paolo? Anzitutto voglio dire che Paolo come musicista ha raccolto poco rispetto a quello che ha seminato e a quello che vale. Sia con gli Scisma che da solista. Diciamocelo chiaramente, il suo disco (Piccoli Fragilissimi Film, ndr) è un disco da Premio Tenco. Come produttore ha svolto un ruolo essenziale perché anzitutto mi ha spronato a incidere Unmade Beds. Noi siamo amici da dieci anni e il suo appoggio è stato fondamentale. È stato un componente aggiunto dei Marti perché ha capito subito il sound che volevamo. Ilario Galati


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La nuova bossa del Salento Inter v i s t a a d A g n e s e M a n g a r o Il suo disco uscirà in primavera con Irma Records, è salentina ma la sua musica abbraccia il mondo. Abbiamo parlato con Agnese Manganaro in attesa di sentirla cantare. Intanto in radio è in programmazione il suo primo singolo E vai via. Come hai scoperto la musica? E la tua voce? È la musica ad aver scoperto me. Perché ognuno di noi nasce con un proprio carattere, e allo stesso modo tutti nascono con una musicalità dentro, che nel tempo, come il carattere, prende forma. Ma non c’è un momento esatto… piuttosto dei ricordi, che mi permettono di collegare le occasioni importanti della mia crescita musicale nel tempo. Il tempo mi è stato amico ed ha fatto il suo percorso intorno a me e alle mie passioni. Ho scandagliato le mie potenzialità canore cantando generi differenti, perché volevo trovare la mia strada e, quando ho trovato la mistura giusta, ho iniziato a scrivere le mie canzoni, avviando la ricerca intorno alla voce e all’espressione. Ad un certo punto sono anche stata ammessa al conservatorio ma, nonostante avessi buone prospettive da soprano leggero, gli ho presto preferito un corso di respirazione ed emissione vocale, che alla fine si è protratto per più di due anni. Credevo, infatti, che una ricerca sulle proprie predisposizioni dovesse partire dal “fare chiarezza” sui mezzi più adatti al proprio fine ossia, prima di imparare a cantare dovevo imparare ad emettere suoni. Come mai in una terra votata alla tradizione le tue influenze sembrano arrivare addirittura dall’altra parte dell’oceano, c’è del Salento nella tua musica? Mi piace abbracciare altre musiche, perché da tutte mi sento abbracciata.

La musica ha molti aspetti differenti, può essere piacevole o spiacevole, interessante, divertente o noiosa, comunque la musica non discrimina chi la ascolta. Allo stesso modo non si può più parlare di “generi musicali“. Preferisco piuttosto parlare di influenze, o di memorie, ossia di quegli elementi che tutti insieme fondano la piattaforma su cui un compositore condensa la sua opera, forse non sempre totalmente nuova, ma unica, perché il suo bagaglio di memorie è unico. Credo che la musica sia un dono troppo grande, anzi credo che nella musica alberghi l’universo ed io non voglio perdere l’occasione di sfiorarlo con un dito. Per questo è importante scrivere composizioni che continuino ad allietare le menti, l’udito ed il cuore dei figli che verranno. Il Salento è vivo soprattutto nei miei testi che, attraverso i miei occhi, ne raccontano il sentimento. Le persone che mi hanno visto crescere, che incontro, che ammiro, chi mi turba, chi mi emoziona, le persone vive... dalle quali sono stata ispirata per la stesura di questo disco, molte sono della mia terra. Quindi rispondo: si. C’è il Salento nella mia musica! Qual è il tuo ruolo nella stesura dei brani, chi altro c’è dietro le tue canzoni? Sono autrice della melodia e del testo di tutti i brani. Alcuni sono scaturiti dalla pratica della soglia minima di coscienza, altri in risposta a stimoli esterni; tutti comunque per ispirazione. Scrivo per soddisfare una necessità ingombrante. Quella di far fluire fuori da me l’insieme dei pensieri di una vita, dando loro una forma sonora naturale. Ci sono anche delle collaborazioni per me importanti, di musicisti che stimo. Tra i coautori infatti ci sono, mio fratello Francesco con cui ho scritto un paio di brani e Luca Tarantino che ha scritto l’armonia

delle mie melodie. Il singolo E vai via è stato prodotto da Roberto Vernetti. Luca Tarantino invece, oltre ad essere il Produttore Artistico dell’intero album ne ha curato gli arrangiamenti. Ci parli un po’ del tuo album? Amo le melodie dissonanti e, come accade nella bossa nova, uso contrastare un testo impegnativo a un ritornello solare. Per metodo utilizzo il bridge come variazione dinamica e mi piacciono sia gli arrangiamenti scarni sia quelli orchestrali, che scelgo in base al carattere della canzone. I miei testi parlano di cose piuttosto umane. Racconto la quotidianità, le piccole cose che fanno di ogni giorno un gran giorno, la fragilità degli sguardi, la consapevolezza dei complici, la nostalgia dei sorrisi, la gioia degli incoscienti, la purezza dell’energia umana, la pienezza del niente, la frivolezza dell’apparire, l’insensatezza dell’amore e la libertà del mare. Chi scrive ha il dovere di non deludere sé stesso prima ancora che gli altri. Questo pensiero mi ha donato la pazienza di attendere il momento per uscire allo scoperto, sino a quando ho percepito di avere qualcosa da dire. La ricompensa è nel fatto che il mio lavoro è impreziosito dalla collaborazione di bravi musicisti, come Teo Ciavarella (piano), Luca Tarantino (chitarre), Cristian Lisi (contrabbasso e basso), Lele Veronesi (batteria), Roberto Rossi (percussioni) e tanti altri amici. Ho avuto la fortuna di registrare buona parte del disco nell’ottimo Groove Factory di Bologna e (non meno importante) di farmi coccolare dalla mia casa discografica. Penso che, con tanti presupposti favorevoli, possa ritenermi soddisfatta del mio primo lavoro discografico. Osvaldo Piliego


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SALTO NELL’INDIE: fromSCRATCH

Dalla passione di alcuni studenti fuorisede nasce in Toscana un’etichetta che promuove musica e non solo. fromSCRATCH è il nuovo capitolo del nostro viaggio tra le realtà indipendenti italiane. Lontana da velleità commerciali ma con l’unico interesse di inseguire “nuovi” suoni. Ne abbiamo parlato con Alez. Tutto in casa fromSCRATCH ha un che di artigianale e familiare, ci racconti un po’ della vostra storia? L’Associazione fromSCRATCH nasce come sede operativa ad Arezzo e Firenze verso la fine del 2002 con l’intento di dare maggiore visibilità ad alcune band organizzando concerti e mini tour. L’Associazione ad Arezzo ha anche un suo spazio multimediale per piccoli concerti, reading, proiezioni e performance, nonché mostre d’arte contemporanea organizzate per dare visibilità a giovani artisti. L’etichetta è nata quasi come conseguenza naturale a queste attività, con l’intento di documentare e promuovere un certo tipo di musica a noi congeniale. La prima uscita è stata Inside the whale dei Miranda, poi, la compilazione Collisioni in cerchio, con 15 band toscane e non, My new lifestyle degli Uber, La quinta essenza della mediocrità dei NEO, Rectal exploration secondo CD dei Miranda. Artigianale? Familiare? Aggettivi ben accetti, grazie; difatti si tratta di una piccola cerchia di amici che si dividono i ruoli nel portare avanti la “macchina”, io, Giuseppe Caputo e Piero Carafa tutti e tre ex studenti fuori sede, accomunati dal forte interesse nel metterci in gioco e realizzare qualcosa di nostro, più altri amici che ci danno una mano e ci su/ sopportano volentieri. Dietro fromSCRATCH sembra si nasconda una filosofia, una linea astratta che lega le cose e che esce dagli schemi, ce ne parli? Abbiamo molta passione per quel che facciamo; è un’attività che assorbe e richiede molte energie, ma è una cosa in cui davvero crediamo. Non considero il nostro operato “fuori dagli schemi”, se non forse per i gusti musicali… boh, di certo non abbiamo velleità da “Mtv generation”, quello sì. Il lato eccitante di questa attività è il contatto costante con persone nuove, quindi nuove esperienze, curiosità, dubbi, scelte, e il fatto di non relegare il tutto al solo produrre musica, ma accompagnarla, affiancarla ad altri aspetti artistici. Forse è questo particolare che in qualche modo caratterizza fromSCRATCH, quella “linea astratta” a cui ti riferivi. Quali sono le vostre produzioni al momento? È appena uscito uno split Cd Ziu Zau, la nostra prima (e non ultima, spero) collaborazione con i pazzi di Madcap Collective. Si tratta di un cd che vede accomunato l’estro di due sghembi folksinger che curiosamente hanno o

stesso nome: Paolo Moretti/LittleBrown proveniente da Treviso e l’altro Paolo Moretti/Pentolino’s Orchestra di Firenze. Tra qualche mese inoltre avremo la possibilità di far uscire il nuovo EP dei Neo, trio avant jazz punk, dal titolo Problemi, dubbi, perplessità. Poi, si è creato un archivio “fotografico-artistico” degli eventi organizzati (mostre, concerti etc) grazie all’amico Luigi Gaudioso e una piccola produzione di DVD con riprese e montaggi di Massimiliano Bertozzi, che documentano in modo essenziale alcuni concerti eseguiti in Associazione (lista consultabile sul nostro sito). Ho visto che promuovete iniziative di incontro, cross over artistici, ce ne parli? Sì, come dicevo all’inizio, per noi la produzione di eventi isolati, slegati, è un po’ limitante, ci piace mischiare le acque (della serie, complichiamoci di più la vita) ma è così, ovvero crediamo che la creatività abbia bisogno dell’apporto di più esperienze, sempre conformi però a un’idea di partenza. Il processo di mettere in gioco più personalità, giovani artisti, videomaker, musicisti di varia estrazione, grafici, scrittori e quant’altro, intorno alla musica o ad altre espressioni, credo sia la formula più adatta per poter scoprire nuove interrelazioni e contatti che diversamente andrebbero dispersi. Quali sono i vostri progetti in cantiere? Di idee e progetti ce ne sarebbero molti, come, registrare il secondo volume delle “fromSCRATCHsessions”, che consiste nel far suonare insieme più band, anche molto diverse tra loro. Inoltre, ultimamente ci stanno arrivando molte richieste di co-produzioni e la possibilità di essere coinvolti in collaborazioni con altre band o etichette affini non può che entusiasmarci. Vorremmo pensare ad una possibile distribuzione del nostro catalogo ed eventuale booking all’estero, compatibilmente con le nostre forze e possibilità. Certo, ci piacerebbe anche avere più attenzioni da parte di enti e locali in Toscana che si occupano di musica e cultura, per poter organizzare eventi di più ampio respiro e con maggiore continuità. Come si può accedere al catalogo fromSCRATCH? I nostri cd possono essere ordinati online (magari prima cogliendone qualche assaggio in mp3), o in qualche negozio o CSA italiani, oppure c’è la vendita diretta durante i live delle “nostre” band. Abbiamo avuto la possibilità di farci distribuire da Mandai in Belgio, mentre in Italia è la Goodfellas a distribuire l’ultimo cd dei Miranda Rectal exploration che sta avendo particolare attenzione dalla critica anche con ottime recensioni; (tra l’altro, proprio in questo periodo la band è in tour coi newyorkesi Talibam!). Questo per il momento è ciò che abbiamo realizzato e che abbiamo in cantiere. Info: www.fromscratch.it Osvaldo Piliego


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Narrativa, Noir, Giallo, Italiana, Sperimentale

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la letteratura secondo coolcub

E poi siamo arrivati alla fine Joshua Ferris Neri pozza ****

“Eravamo irritabili e strapagati”. Un attacco formidabile che raccoglie insieme la forza, la bellezza e il senso del romanzo d’esordio di questo giovane scrittore americano, primo libro della nuova collana Bloom di Neri Pozza. Una storia tutta all’interno di un’agenzia pubblicitaria di Chicago, scritta in prima persona plurale. Una storia terribilmente realistica, fatta di simpatie e rancori, chiacchiere e pregiudizi che scorrono attraverso le giornate di un gruppo di colleghi che sanno tutto di tutti: “ogni pettegolezzo, ogni storia d’amore, ogni invidia e segreta generosità”. E se, sulle prime, può sembrare che il ruolo di ognuno dei protagonisti, racconti qualcosa del suo carattere, della sua vita, pagina dopo pagina è evidente che il lavoro avvolge la vita intera di

Larry, Joe, Marcia, Tom e anche di Lynn, il capo terribile che sta scarificando la sua vita per questo lavoro. E di riflesso, gli scampoli di vita privata vengono riversati sul lavoro e attraverso il lavoro vengono risolti. Perché nessuno ci conosce meglio dei nostri colleghi, nessuno più di loro ascolta le nostre telefonate private e i nostri sfoghi pubblici. E quando arrivano i licenziamenti, anche le storie e i rapporti personali si slegano e si riallacciano in modi nuovi, come quando, sull’orlo del licenziamento, Benny confessa a Jim di pensare che lui è un idiota: “se gli avessi detto che non lo era, avrebbe capito che pensavo il contrario”. Nemmeno immagina che a breve ci sarà un imprevisto capovolgimento dei ruoli. Molto prima di arrivare alla fine, scopriamo, se già non lo sapessimo, che

è possibile essere un creativo strapagato e annoiarsi a lavoro. È possibile pensare di abbandonare tutto per andare in India, ma solo per dieci minuti: il tempo di una pausa caffé, poi ognuno torna alla sua scrivania o tutti insieme in riunione col capo. “Certi giorni sembravano più lunghi di altri. Certi giorni duravano quanto due giorni interi. Purtroppo non erano mai i giorni del fine settimana. [...] Ci ritrovavamo a desiderare che il tempo scorresse più in fretta, cosa che alla lunga non faceva bene alla salute”. Ma se la noia traspare in queste pagine, è la noia collettiva dei protagonisti. E anche se non mancano i colpi di scena, il racconto vive soprattutto delle meccaniche che regolano il malcontento, la competizione e il successo in un mondo del lavoro dorato e terribile. (F.T.)


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Apocalisse da camera Andrea Piva Einaudi

Sceneggiatore dei film Lacapagira e Mio cognato (diretti dal fratello Alessandro), presente nell’antologia La qualità dell’aria (minimum fax, 2004), con il racconto Un muro di televisori, Andrea Piva dà alle stampe il suo romanzo d’esordio, Apocalisse da camera, edito da Einaudi Stile Libero. Il protagonista della storia è Ugo Cenci, giovane assistente di Filosofia del Diritto presso l’Università di Bari, nella vita del quale donne e sesso sono il centro perenne dei suoi pensieri, avvolti in un maschilismo devastante. Legato ai genitori da un rapporto malato e contraddittorio, Ugo è dedito a un uso costante di alcol, tabacco. Da qualche anno porta avanti con le studentesse più “promettenti” un fiorente mercatino del sesso in cambio del superamento degli esami. Tutto sembra scorrere nella più assoluta tranquillità sino a quando il professor Frappelle gli comunica che all’interno dell’Università cominciano a girare strane voci sul suo conto. È l’inizio dell’intensa giornata nelle quale il percorso esistenziale di Ugo subisce virate inaspettate tali da costringerlo a mettere in discussione la sua scala di valori. Piva si dimostra abile nell’alternare registro comico e tragico, con effetti a tratti grotteschi, grazie ad una scrittura che si lascia andare ad acrobatici manierismi, dalla quale emergono a chiare lettere i peggiori vizi di una generazione che sembra aver smarrito la bussola, senza per questo voler dipingere uno scenario catastrofico, come dimostrato, poi, dalla chiusura felice. Rossano Astremo

Un solitario amore

L’eterna notte dei bosconero

C’è un solco profondo che separa l’esistenza irrequieta di Beppe Salvia dalla metodica e maniacale dedizione nella produzione di versi. È proprio da questa antitesi netta che nasce l’opera di uno dei poeti più singolari del Novecento italiano, nato a Potenza nel 1954 e morto a Roma, giovanissimo, il 6 aprile del 1985. Oggi è possibile leggere tutti i suoi testi grazie alla pubblicazione di Un solitario amore, libro edito da Fandango, curato da Flavia Giacomazzi ed Emanuele Trevi, autore anche dell’introduzione al testo. Salvia non è un poeta di facile lettura. Endecasillabi tortuosi, ricerca di armonie, di rime, assonanze, consonanze, enjambement, scontro frontale con la tradizione lirica italiana. Tutto questo è la poesia di Beppe Salvia. Accanto a questo armamentario formale, però, si accostano squarci di pensiero di assoluta profondità, versi epifanici dai quali traspare l’essenza contenutistica della sua poesia, l’indagine continua e conflittuale della sua presenza nel “mondo”. I versi di Salvia sono pura geometria dolente, costruzioni architettoniche neoclassiche dalle fondamenta di zucchero filato: un minimo soffio ne determina il crollo. Fuor di metafora, ciò che rimane è la fragilità del poeta, la sua paura di non saper vivere, il suo ricorrente dialogare con la morte, il vortice opprimente che s’agita nello stomaco al pensiero della fine di tutto. Ciò che rimane è un pugno di versi, antidoto eterno alla sopraggiunta fine. Rossano Astremo

L’eterna notte dei Bosconero evidenzia la verve multiforme di Flavio Santi, scrittore mai domo, sempre alla ricerca di interstizi creativi nei quali ficcarsi per poter sperimentare senza remore. Poeta, tra i migliori della sua generazione, traduttore, critico e romanziere, Santi, nel suo nuovo libro, sposta la lancetta del tempo, cavalcando l’onda di una storia suggestiva e da ultimare, come un puzzle irrisolto che necessita di definitiva ricomposizione. 16 marzo 1832. Pochi giorni prima della sua morte, Goethe è impegnato nella stesura del suo Diario. Ultimi giorni. Confessioni, un testo nel quale lo scrittore fa emergere i ricordi terrificanti della sua permanenza in Sicilia, nel lontano 1787. Dieci giorni nei quali il Male si palesa in tutta la sua liquida totalità. Una sorta di traccia nascosta o, meglio, ascoltata al contrario, del suo Viaggio in Italia, che getterà nuova luce sulla composizione del Faust. Una narrazione-matrioska, in cui gli affabulatori si susseguono, e s’intersecano, s’aggrovigliano e si compenetrano, tutti a gettare luce sull’oscura vicenda che vede protagonista, in una Palermo squamata e onirica, la famiglia Bosconero, ed in particolar modo Federigo Bosconero, pallido individuo colpito da continui attacchi d’amnesia e narcolessia, custode di quel “potentato del male” che tutto divelle e squarcia, affascinando e turbando un Goethe storditoSanti abbandona l’ambientazione friulana del primo romanzo, di certo più consona per una storia gotica, scagliando il lettore

Beppe Salvia Fandango

Flavio Santi Rizzoli

in questa Sicilia mostruosa, dominata dal sangue, che ricorre iterativamente nella storia, impestando e disgustando il lettore, una Sicilia il cui vampirismo può essere letto come una grande metafora della mafia e della corruzione. Rossano Astremo

Cordelia

Nicoletta Vallorani Dario Flaccovio Editore

Il nuovo romanzo della scrittrice milanese Nicoletta Vallorani è un unico, lungo respiro, un’apnea per un’immersione letteraria nella testa della protagonista, la bambina Cordelia. Cordelia ha otto anni, ma ne dimostra sei. A detta sua, ma anche della madre e del pediatra, è una bambina con problemi di comunicazione, che la rendono un soggetto difficile. Il nodo fondamentale della vita di Cordelia, che è anche il senso che si snoda lungo le pagine, è la conoscenza. Le parole, infatti, sono scatole serrate da lucchetti: ogni lucchetto ha una chiave che sottende al significato delle parole. Come trovare la chiave? Per Cordelia esiste una sola strada: i colori. Ogni persona ha un colore, secondo un dualismo parallelo a quella parola-chiave. Finché lei non troverà il suo colore, non avrà la chiave per aprire la stanza segreta della conoscenza. Da qui si dipana l’azione del romanzo: Cordelia decide un giorno di non andare a scuola, approfittando dell’assenza della tata straniera Martha e della distrazione di una madre assente. In giro per la città alla ricerca del suo colore, Cordelia cercherà anche se stessa, guidata dal suo istinto, dal coraggio e soprattutto dalla necessità di scoprire fin dove si spinge il suo patto con il silenzio. Utilizzando una scrittura infantile eppure profonda, minima eppure graffiante, la Vallorani scende nella testa della protagonista dall’incipit alla conclusione, generando un’opera apparentemente facile, dove invece ogni parola ha un senso oscuro e dove tutti i pensieri di Cordelia, che costruiscono il racconto, sono una congerie di dolorose riflessioni sulle differenze e sul disagio. Vito Lubelli

Altrestorie

Mirosa Sambati Besa

La scrittura è catarsi. Allevia, accudisce il sentire, lo indirizza, da sfogo e costruisce un orizzonte possibile. Governa, la scrittura, capace di domare il respiro, di chiedere tregua al divenire dell’inesausto. Mirosa Sambati in Altrestorie determina un altro


Coolibrì sé, lo raffigura nell’inquieto che placa la sua morsa. “Non vedo uscite: o cambia modi o me ne vado da qui. Torno alla mia solitudine. Debbo ringraziare qualcuno? Non me ne vado invece. Per quel che ho detto prima. Per questa storia che pare non significhi nulla e invece a qualcuno servirà. Qualcosa la scriverò a fare…”. Racconti, cronache, corrispondenze che danno respiri al dolore e portano odori, nomi di fiori e segreti di luoghi, trattenuti per la paura di perderli. Le Altrestorie sono pretesti, portano nomi, personaggi reali e immaginari, piccole vicende di quotidiano cariche di interrogazioni. Un percorso d’amore, tutto al femminile. Amore per la scrittura, passione per la parola che dà forma e genera e partorisce e invera. Amore per il lettore chiamato a custodire una relazione sempre unica, esclusiva, che traduce palpiti e fa tracce. “Scrivo. E se mi chiedessero per l’ennesima volta perché, risponderei con un sorriso o con un ghigno: perché ho letto”. Narrare è colmare il vuoto, non aver mai ragione del tempo. Inseguire la purezza in un oggi che ti lascia sgomento, con le cretinerie del quotidiano e i grossi problemi. È tenersi stretti ad un albero pensando che il cuore, così rinchiuso nei suoi anfratti, forse non cesserà il suo battito, il suo vitale venire. Mauro Marino

Gay - La guida italiana in 150 voci A cura di Daniele Del Pozzo e Luca Scarlini A. Mondadori – Strade Blu

Come sempre in ritardo, in Italia si pubblica un dizionario della cultura gay quando in altri paesi europei circolano già da tempo. Del Pozzo e Scarlini si avvalgono della collaborazione di 45 autori per costruire un alfabeto gay, che comunque non promette di essere esaustivo. Presenti le arcinote icone Patty Pravo, Raffaella Carrà, Renato Zero, come anche il contributo fondamentale di associazioni quali il Mario Mieli, il Cassero, l’Arcigay, per accennare poi a figure emblematiche, come la Romanina o il nostro conterraneo Giò Stajano. Non mancano le definizioni di termini che cominciano a diffondersi nel linguaggio dei media italiani, spesso abusati e carichi di equivoci. Basti pensare alla mancata distinzione tutta italiana tra outing e coming out. Sebbene la cultura gay stia imponendo i suoi ritmi e gusti anche nel Belpaese, gli stereotipi sono ancora ben saldi, e poco contano gli sforzi di personaggi pubblici o politici dichiarati, programmi tv (basti pensare a Commesse, altro mito gay, alle serie tv di La7, a programmi come I magnifici 5, pillole di un gusto gay molto raffinato), quando il vero cambiamento deve avvenire dapprima nelle coscienze individuali. L’impressione è purtroppo quella di uno sforzo enciclopedico rivolto più ai conoscitori che a neofiti o curiosi,

31 i quali si fermeranno ancora una volta all’aspetto goliardico dei Gay Pride e all’esuberanza delle drag queen, piuttosto che comprendere le necessità di un mondo sfaccettato e complesso, estremamente bisognoso di esprimersi. Anna Puricella

Appunti di vista. Esperienze e testimonianze di riabilitazione psichiatrica AA.VV. I libri di Icaro

C’è un ritorno dalla malattia mentale? Profondamente è cambiato lo scenario e chi lo attraversa. I volti dei ‘matti’ oggi sono diversi da quelli che hanno conosciuto anni e anni di psichiatria e ancora diversi da quelli che hanno vissuto il manicomio. Oggi presso i servizi di cura sempre con maggiore frequenza, approdano giovani persone che mutano l’inquietudine in malattia, il disagio esistenziale in un mal d’animo che non si da risposte. Giovanissimi, acculturati, mediamente benestanti, abili nell’esercitare il diritto alla salvaguardia della privacy, socialmente attivi, per i quali il diritto primario è diventato il diritto alla reversibilità della propria malattia prima che diventi, incoraggiata dall’atteggiamento manicomiale, uno status definitivo. È necessaria dunque una nuova consapevolezza in chi è chiamato a confrontarsi con la malattia sul fronte terapeutico – riabilitativo. La riabilitazione non è l’intrattenimento del malato, ma è la ricostruzione della sua piena cittadinanza. Questo è un dettato fondamentale soprattutto se relazionato al malato ‘psichiatrizzato’. Quella persona che ha sul volto, in ogni gesto, nello sguardo, il segno inconfondibile di anni e anni di ricoveri e di psicofarmaci; una persona impoverita, senza speranze da nutrire, socialmente isolata, dimentica dei suoi diritti, abituata a non veder rispettata la sua dignità. Goffmann diceva che il manicomio ammala di un ‘altra’ malattia, contagiosa e cronica, che non è la malattia mentale: il contagio è l’accettazione della violenza subita. Di queste interrogazioni è fatto Appunti di Vista. Un report di lavoro ben costruito, con un’ampia bibliografia che ci aiuta nel desiderio di approfondimento. Un racconto denso di esperienze che nell’ascolto e nella creatività sperimentano il disincanto della malattia mentale, un ‘mormorio’ che toglie il suo ingombro e si fa pittura, scrittura, invenzione gestuale; progetto di una comunicazione non omologata che scardina la consuetudine nutrendosi di stupore. Il libro, curato dalla psicologa e psicoterapeuta Maria Antonietta Minafra, raccoglie le testimonianze degli operatori

della riabilitazione psichiatrica del centro diurno del CSM del Dipartimento di Salute Mentale della Ausl/Lecce 1. Un’avventura collettiva, condivisa tra le tante persone che, a vario titolo, sono entrate in contatto con questa realtà. Una raccolta di voci che nasce dal desiderio di illustrare, a scopo divulgativo, un percorso fatto di sperimentazioni e rivisitazioni nella ipotesi di coinvolgere anche i non addetti ai lavori. Contiene un resoconto del lavoro, dei destini e delle storie di vita che si sono intrecciate lungo cinque anni di lavoro e che hanno lasciato un segno nel cammino professionale e umano di chi ne ha preso parte. Mauro Marino

Charlotte sometimes Massimo Ricciuti Graus Editore

Magia, romanticismo e malinconia. Sono questi gli ingredienti di Charlotte sometimes, favola underground ambientata in una Napoli proliferante di arte e creatività. Sono gli anni ottanta, quelli di David Bowie e dei New Order, ma anche quelli cupi e new romantic dei Cure. La città si anima di una flora colorata e luccicante, tanto che potrebbe trattarsi dei mitici vicoletti del quartiere Piccadilly di Londra. È qui che il Kid, un adolescente turbato da un’infanzia piena di abbandoni, alimenta il suo sogno: diventare una rock star. La favola rock ‘n roll prende corpo quando compare nella sua vita e in quella dei suoi amici punk la bella Charlotte, femme fatale “colorata”. I suoi anfibi, il suo caschetto camaleontico e il suo modo di parlare e dire “ok” la rendono unica e magnetica soprattutto perché rappresenta la chiave per la realizzazione dei sogni, la magia che, a volte (sometimes), si fa realtà. Il riferimento costante al Piccolo Principe di Saint-Exupéry non è casuale; tutti i protagonisti di questa favola aspettano la loro stella, un Petit Prince che renderà le loro vite meno inquiete. Storia di incontri fatali e di adolescenze turbate dalla forza dei sogni, Charlotte sometimes risulta essere un intreccio di codici linguistici differenti, dalla musica alla poesia, dalla fotografia al cinema. Ogni scena è costruita per dare agli occhi la possibilità di vedere il set dell’azione e per donare all’udito l’opportunità di immaginarsi una splendida colonna sonora anni ottanta che spazia dagli Style Council agli Ultravox, fino agli Eurythmics. Massimo Ricciuti, scrittore e sceneggiatore, trasforma una storia semplice di amicizia e amore adolescenziale in una scanzonata e deliziosa fiaba underground zeppa di “polvere magica” e di interpreti irreali. Pagina per pagina questo racconto svela la volontà di essere un ottimo riferimento per tutti quelli che amano la musica. Ma anche per chi crede che esistono incontri che magicamente sconvolgono


Coolibrì

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Ti Credevo più romantico

Antonio Iovane Barbera Editore

È il 20 marzo 2002 quando il grande comico Gerry Bellotto entra negli studi della città televisiva minacciando di farsi saltare in aria. Una decisione maturata dopo alcuni mesi di esilio dalla scatola magica, causati da un grave incidente e dal suo “passare di moda”. Il giornalista e scrittore Antonio Iovane, all’esordio sulla lunga distanza dopo la raccolta di racconti La gang dei senzamore uscita lo scorso anno sempre per Barbera Editore, ci racconta la parabola incredibile di questo ragazzo che voleva assomigliare al grande Jerry Lewis e che, partendo da un ristorantino romano, dove raccontava barzellette e faceva sbellicare di risate i clienti, prima approda al cinema (nei filmettini alla Giovannona Coscialunga) e poi diventa il re della televisione trash. Un successo irresistibile che gli concede fama e denaro fino a quando qualcosa non si rompe e la carriera di Gerry, a poco più di cinquanta anni, sembra definitivamente essere conclusa. Iovane però, e forse non poteva essere altrimenti, ci regala un interessante spaccato della storia della televisione e della società italiana degli ultimi quarant’anni tanto che, in alcuni frangenti, l’ironica e amara storia di Gerry sembra solo un pretesto per andare ben oltre. I personaggi che vengono citati e in qualche modo coinvolti sono molti, alcuni inventati (ma con una impressionante vicinanza alla realtà, basti pensare a Berlusconi o Maurizio Costanzo) altri reali. Il racconto si dipana attraverso la ricostruzione biografica che lo stesso Iovane (è nominato per nome e cognome all’interno del romanzo) fa nelle vesti di giornalista. Egli attraverso i quaderni di Bellotto ripercorre le tappe della sua carriera intervistando attori e starlette, amici di infanzia e nemici. TI credevo più romantico è un romanzo che si fa leggere rapidamente, che ti tiene incollato (perché vuoi sapere che fine farà Bellotto) e instaura quel meccanismo del “ah, è vero” proprio dei libri che ti danno informazioni dove non te le aspetti (come quelle sulla fine ingloriosa fatta dai protagonisti di Arnold). E poi ha una scrittura che oscilla tra registri vari e che segue, anche lessicalmente, le evoluzioni del protagonista. Iovane poi infila battute di una ironia pungente che ti strappano sorrisi malinconici. Ti credevo più romantico è un libro multiuso e questo è il suo più grande merito. Pierpaolo Lala

la realtà.

Raffaella De Donato

Ragionevoli Dubbi Gianrico Carofiglio Sellerio

Dopo una piccola pausa in casa Rizzoli con Il passato è una terra straniera, il magistrato barese Gianrico Carofiglio torna con il terzo episodio della saga dell’avvocato Guido Guerrieri pubblicata da Sellerio. Ragionevoli dubbi vede al centro la storia di un uomo condannato in primo grado per traffico di droga. Di ritorno da un viaggio in Montenegro con la moglie (mezza cinese e mezza napoletana) e la figlia di quattro anni Fabio Paolicelli viene fermato al porto di Bari con quaranta chili di cocaina nella macchina. Per salvare la moglie si addossa una colpa non sua. In primo grado viene difeso da un misterioso avvocato calabrese ma operante a Roma che si presenta come suo “amico”. Dopo la condanna l’avvocato Guerrieri viene contattato dalla moglie dell’uomo e decide, tra rimorsi di coscienza e dubbi profondi (riconosce nel suo assistito un picchiatore fascista con il quale aveva

avuto a che fare nei caldi anni ’70) di assumere il caso. La controinchiesta coinvolgerà l’amico poliziotto, un vecchio compagno di università ora magistrato e l’avvocato calabrese. Il racconto scivola via tra vita privata, flashback, rimorsi e soprattutto una parte finale dedicata al procedimento in aula. La novità più significativa di Carofiglio è proprio questa. Farci vedere (come in numerosi telefilm) la storia con gli occhi di un avvocato un piccolo eroe umano, malinconico e senza moralismi. Dopo commissari, giudici, carabinieri, ispettori privati il racconto ha al centro il personaggio forse più odiato e controverso della giustizia, almeno in Italia, l’avvocato. Che nei romanzi del magistrato scrittore esce invece sempre lindo e pulito, con poche ombre e molte luci. (pila)

Diario di un dolore C. S. Lewis Adelphi

Se togliamo quella coltre di pudore che copre le nostre paure, quel po’ di vigliaccheria e di senso di inettitudine che tutti ci accomuna, allora forse possiamo capire cosa deve aver provato Lewis a scrivere questo diario, un taccuino di appunti rimediato in casa a cui affidare il suo sbigottimento faccia a faccia alla più grande paura di un essere umano: perdere qualcuno che amiamo. Un uomo

di fronte alla morte, di fronte alla perdita della sua compagna, un cristiano di fronte alla porta sbattutagli in faccia da Dio. Parole forti, piene di senso di inettitudine, di impotenza, parole anche di egoismo. Perché non si capisce bene cos’è che fa male, se il dolore o quell’affezione al dolore che si sviluppa in noi, quel volerlo sentire, sguazzarci dentro per affermare la nostra esistenza nel dolore e per il dolore. Ma non solo di Joy Davidman Gresham morta di cancro si parla, ma di tutte le morti, di tutti gli amori e di tutti gli scherzi crudeli di Dio. Non esistono nomi in questo libro, solo un io che descrive, che si strugge e contempla il suo dolore, che chiede come si fa ad affermare l’esistenza di un Dio buono “lento all’ira e grande nell’amore” se questo ha messo in croce il suo unico figlio. Ma soprattutto, come uomo cristiano e scrittore cristiano, come lui stesso si descrive, la sua forza nel capire che la sua moglie imperfetta, quale si sentiva, a un ceto punto non aveva bisogno di lui, ma di quel Qualcuno, che aveva permesso tutte le sue sofferenze. Miriam Serrano

Noi la farem vendetta Paolo Nori Feltrinelli

Parto con una banalità (e me scuso). Paolo Nori è uno di quelli autori al quale si reagisce senza mezze misure. O la sua scrittura ti prende e vai avanti nelle storie che racconta o ti fermi abbastanza presto quasi stizzito dai “ciò” e da quella artefatta sgrammaticatura da parlato. Il suo nuovo lavoro Noi la farem vendetta è un esperimento abbastanza strano e abbastanza riuscito. Lo scrittore parmense racconta e ricostruisce infatti, attraverso una intensa ricerca storiografica e con il suo inconfondibile stile, gli scontri di Reggio Emilia del 7 luglio del 1960. Quel giorno nell’Emilia rossa lo Stato italiano si macchiò di colpe gravissime. Nori ricorda, fa ricordare, ripercorre i governi e le discussioni parlamentari e di piazza che costruirono il clima che condusse alla morte, per mano delle forze dell’ordine, di Lauro Ferioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli e che portò alle conseguenti dimissioni del primo ministro democristiano Tambroni. Un libro che racconta come eravamo ma tutto sommato anche come ancora siamo. E come sottolinea lo stesso Nori “in un certo senso, se non fosse un’espressione abusata, si potrebbe anche dire che è un romanzo d’amore”. Scipione

L’albergo di Vincente Eugenio Cardi Giulio Perrone Editore

Quando ci si aggira per un posto dove qualcuno è morto cruentamente c’è


Coolibrì qualcosa nell’aria, forse un odore, un sapore che risveglia nell’uomo i più arcani istinti. Un uomo che uccide un altro uomo. La specie che va contro i suoi stessi interessi, il padre che vede la morte del figlio, Eraclito sosteneva che la guerra fosse proprio caratterizzata da questo: la conversione dell’ordine naturale, i padri che seppelliscono i figli. La conversione di quest’ordine cosa può provocare a distanza di anni? Lo sbarco in Normandia è veramente solo una data storica e una serie di film connessi? No, perchè un carico di sangue ha sempre un prezzo, e il prezzo può andare oltre una spiaggia intrisa di sangue, un ricovero per fucili usurati dalla salsedine e ualche elmetto arrugginito. La guerra lascia un carico che può far impazzire anche la mente più equilibrata, e far coprire il sangue con sangue nuovo, quasi non ci fosse altro metodo per coprire l’odore di quello vecchio. Vincente ha un piccolo albergo sulle coste della Normandia, sì, proprio lì vicino. Dove c’è un albergo le vite si intrecciano, il mondo gir più velocemente, e accade che il filo degli eventi entri più velocemente nella trama, come se fosse Aracne stessa a costituire il disegno invece di una delle More. E cosa ne è di lui e del suo albergo dopo un arrivo senza prenotazione? Cosa vogliono una bella donna di mezza età e il suo figlio solitario? Che cosa scatenerà il Destino contro di loro? Per saperlo bisogna leggere.... Miriam Serrano

Premiata Forneria Marconi Donato Zoppo Editori Riuniti

Donato Zoppo è un inguaribile animatore di musica, cultura e, principalmente, di Rock Progressivo. L’attività indefessa all’interno di numerose redazioni, l’erudizione, i contatti ramificati in tutta Europa (e non solo) hanno fatto di lui un punto di riferimento per gli amanti del genere. A lui, quindi, l’onore e l’onere di narrare l’avventura della Premiata Forneria Marconi a trentacinque anni dal suo inizio. Il libro parte dai Quelli (la prima versione della PFM); passa dalla partecipazione a incisioni epocali (La canzone del sole e La buona novella, tanto per dirne due); si sofferma sugli anni della consacrazione e arriva fino ai giorni nostri, spesi tra mastodontiche opere rock e un tour denso e complesso. Zoppo descrive con cura la genesi di ciascun disco, riporta il responso di critica e pubblico, commenta la struttura dei brani, cita le parole dei protagonisti. L’esperienza dell’autore si rivela nella ricca bibliografia, nell’elaborata appendice, nell’abbondanza di informazioni. La sua non è una penna scintillante, epperò sa illustrare con chiarezza lo spirito dei tempi in cui hanno operato, e continuano ad operare, musicisti di immutato prestigio che, secondo la definizione di Fernanda Pivano, sono dei bravi ragazzi ma sono

33 pure dei gran figli di puttana. A proposito di musica e fumetti, poi, occorre segnalare un album tra i meno conosciuti ma tra i più geniali della PFM: Passpartù, con testi di Gianfranco Manfredi e disegni di Andrea Pazienza. Il misto di ironia e idealismo che accomuna gli artisti coinvolti in questo lavoro, pubblicato - non a caso - nel 1978, si posiziona tra i primi posti di una ipotetica scala di valori del Rock. Gianpaolo Chiriacò

Freak Brothers storie di fine secolo Gilbert Shelton Stampa Alternativa

Sono ormai due anni che lavoriamo sull’idea di editoria underground, ed è per questo motivo che quando gli amici di Coolclub ci hanno avvisato che questo mese si sarebbe parlato di fumetti, ci siamo tuffati a capofitto nello scaffale più variopinto di Ergot per tirare fuori la superchicca degli ultimi 30 anni. Gilbert Shelton grande illustratore statunitense, nonché disegnatore di copertine di Lp, nel 1969 crea gli esilaranti Fabulous Freak Brothers ovvero Phineas, Freewillin’ Franklin e Fat Freddy, tre Hippie sfigati alle prese con la vita quotidiana, acquisto e vendita di droghe, viaggi lisergici che portano in gattabuia, tipe con le piattole che li costringono ad interminabili pruriti, poliziotti veri o immaginari che spuntano anche dal frigorifero snaturato dal suo ruolo di contenitore di cibo. Si dice che Shelton si sia ispirato a Robert Crumb nella creazione dei suoi Freak, innegabili sono le affinità così come è certo che il fumetto USA di quegli anni è inconfondibile per i balzi dalla striscia minuziosa e particolareggiata alla pagina unica utilizzata come esclamazione o come slogan, della drug-culture, del sesso libero, dell’antirazzismo, tematiche tipiche della cultura underground d’oltreoceano anni ’70. Simone Rollo

Pandemonio

Jimi Hendrix – Angeli e Chitarre Stefano Tavernese Editori Riuniti

A noi giovincelli che all’epoca non c’eravamo, può risultare complicato c o m p r e n d e r e appieno l’impatto che ha provocato questo chitarrista mancino sul mondo musicale di fine anni ‘60. Se molto spesso, e a torto, non gli si riconosce il giusto valore di compositore e cantante, è invece innegabile la rivoluzione che ha portato in atto come musicista e performer. Da umile strumento d’accompagnamento ritmico capace di semplici linee melodiche, nelle sue mani, la chitarra elettrica si trasforma nell’emblema stesso della musica rock. Hendrix ne moltiplica le possibilità sonore, valorizza al massimo le sue caratteristiche (difetti compresi), aggiungendo nuove pagine al vocabolario dello strumento. Quando nelle sue debordanti performance dal vivo scatena l’inferno in terra, tutto è sotto il suo assoluto controllo. La quantità disumana di volume che fluisce dai suoi amplificatori, si piega come burro al suo servizio, e con quel modo di strapazzare e di spremere la stratocaster, sembra quasi volerne tirare fuori il succo stesso della musica. Con largo aiuto di spartiti e intavolature per chitarra, Stefano Tavernese, da anni redattore della rivista Chitarre, cerca di fare luce sull’evoluzione tecnico stilistica del guitar hero per eccellenza, procedendo in ordine cronologico nella sua breve e intensa carriera, con pochi ma esaurienti cenni biografici e senza tralasciarne il lato umano. Per gli irriducibili della sei-corde. Giovanni Ottini

Gianluca Morozzi Fernandel Gianluca Morozzi è sorprendente, tra Guanda e Fernandel sforna un libro dopo l’altro e non sbaglia un colpo. Sia quando si prende sul serio, sia quando si prende in giro, Morozzi ha la capacità di arrivare subito e conquistare. Dedito non solo alla narrativa classica ma anche alle elucubrazioni musicali (L’Emilia o la dura legge della musica, Guanda) si cimenta, questa volta per Fernandel (la sua casa madre), con una illustoria (collana che unisce amabilmente storie e illustrazioni). Per questa nuova avventura Morozzi si affianca a Squaz, noto disegnatore del circuito underground. Il risultato è Pandemonio, un libro allucinante: in un condominio Gesù bambino è chiuso in un microonde, il batterista degli Who si reincarna in un tavolo da biliardo, le fidanzate quando sono tre, rompono le palle il triplo. Il tratto di Squaz è essenziale come le parole di Morozzi. Il tutto è una cavalcata incredibile di fantasie e incubi, un “trip” strepitoso. Quando due talenti si uniscono il risultato non può che essere sorprendente. Un viaggio che vola via in pochissimo, purtroppo, ma che rimane. Osvaldo Piliego


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VENticinQue anni DI marcos y marcos

Nel panorama della piccola editoria italiana un posto di rilievo è sicuramente occupato dalla Marcos Y Marcos. La casa editrice milanese quest’anno a compiuto i 25 anni di vita con una decisione che sembrava folle. Nel 2006, saranno pubblicate infatti 14 novità, anziché le tradizionali 17. Il risultato? Le vendite sono cresciute del 15 per cento. La Marcos ha sicuramente segnato il mercato “Se oggi John Fante non è più uno scrittore relegato alla polvere, forse lo si deve a questa casa editrice” spiegano orgogliosi Claudia Tarolo e Marco Zapparoli. “Se le copertine dei capolavori di Boris Vian, ovvero La schiuma dei giorni, e di John Kennedy Toole, ovvero Una banda di idioti, sono così inconfondibili, lo si deve allo stile grafico che Marcos y Marcos ha inaugurato a partire dai primi anni Novanta”. Ma come nasce l’idea della Marcos y Marcos? Nel 1981 due amici, Marco Franza e Marco Zapparoli, stampano edizioncine di poesia, in tiratura limitata, aggraziata e numerata. Subito seguite da ripescaggi di racconti di classica e contemporanei. Prima di mettere le mani su veri inediti, e di discreto livello, ci abbiamo messo parecchio. Avevamo 21 anni, ed eravamo piuttosto ignoranti. E non particolarmente ambiziosi. Volevamo procedere con calma. Tuttavia, gironzolando tra librai, tipografi, editori, gente piena di erudizione e di consigli opportuni, l’appetito si è accresciuto. E nel 1991 è nata finalmente la collana “portante”, gli alianti, in cui sono usciti Vian, Toole, Fante, Lem, Lahiri, Cavina, Lardner, i premiati fratelli Strugatzki e i fratelli Ervas, e così via. Come avete visto cambiare il mondo dell’editoria e in particolare della piccola editoria in questi 25 anni? Il fenomeno più evidente è quello della moltiplicazione sempre più frenetica delle case editrici e delle novità proposte rispetto a un mercato sinistramente stabile nella sua drammatica debolezza. Questa febbre della crescita disorienta i lettori e obbliga i librai a prestazioni acrobatiche per offrire un minimo di spazio a tutti o quasi; inevitabilmente, in questa estenuante “lotta per la vita”, la maggior parte dei libri sono destinati a soccombere prima di aver avuto la possibilità di incontrare i loro lettori. È una

selezione crudele e non sempre vince il migliore... Quali sono i vostri autori di punta, a quali siete più legati? Tra i classici, certamente Lem, Toole, Vian, Dürrenmatt e Hilsenrath. Tra i nuovi autori, Cristiano Cavina e i fratelli Ervas stanno proponendo romanzi che hanno il pregio di parlare sul serio del nostro paese. Il che, in tempi di opprimente narcisismo, stilismo, giovanilismo, è già un bel passo avanti. Quest’anno avete deciso di pubblicare meno novità. Come mai? Qual è stata la molla che vi ha condotto a questa scelta? A distanza di circa 10 mesi siete pentiti? Siamo convinti che i libri abbiano bisogno di tempo: per sceglierli, per curarli, per promuoverli. Ci sembra che la corsa affannosa alla produzione nella speranza di imbroccare il grande successo generi soltanto sprechi a danno della qualità. Noi preferiamo offrire pochi libri, curarli al massimo e soprattutto investire tempo e risorse per farli conoscere. A distanza di dieci mesi, possiamo dire che i risultati hanno superato le nostre più rosee aspettative. Rispetto all’anno scorso, abbiamo venduto più libri pur producendone di meno. I librai hanno premiato il nostro tentativo di allentare la pressione numerica e di migliorare il dialogo sui contenuti. Nel marasma generale di libri ed editori come può una piccola casa editrice “aggredire” il mercato ed essere competitiva? Può essere competitiva senza aggredire. Occorre cercare i libri con lo stesso spirito con cui un bravo cuoco predilige ingredienti di origine locale, freschi, di stagione. E non trattati. Tanto meglio se poi a scegliere i libri ci sono due “anime”: una maschile (Marco Zapparoli) e l’altra femminile (Claudia Tarolo). Occorre poi rivolgersi ai lettori senza dire troppo balle. Parlare alla sua intelligenza e curiosità, invece di perder tempo dicendo che qualcosa è bello perché è fantastico. O che è imperdibile perché 10 recensori americani hanno detto che è inimmaginabilmente al di sopra di ogni altro libro ricevuto negli ultimi duecento anni. Mi citate alcuni colleghi editori che stimate e guardate con apprezzamento? Nel nostro paese resistono magicamente numerose case editrici indipendenti rette

dalla passione e dalla tenacia di chi ci lavora. Ci sentiamo affini a tutte quelle che difendono la dimensione artigianale e lavorano davvero sulla ricerca. Le prime che ci vengono in mente: Iperborea, Il Castoro, Cortina. Quale autore vi siete fatti sfuggire? Quale vorreste “rubare”? Per la verità tendiamo a essere contenti di quello che abbiamo, e crediamo fermamente nel destino: se siamo arrivati in ritardo con qualche offerta, vuol dire che doveva essere così. Quando ci portano via un autore ci rallegriamo di aver liberato tempo e risorse. Insomma, senza un pizzico di follia, questo lavoro non lo fai. Consigli ad un giovane editore che vuole avviare una nuova impresa? Ricordarsi che non basta saper leggere ma occorre davvero saper fare i conti. Rimboccarsi le maniche, prepararsi al peggio e festeggiare ogni più piccola vittoria; confrontarsi con la spietata realtà dei numeri e cercare risposte con creatività. Soprattutto, non smettere mai di ascoltare. Pierpaolo Lala

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il cinema secondo coolcub

N – Io e Napoleone Paolo Virzì Medusa ****

Anno 1814. Napoleone, uno dei più grandi imperatori che la storia ricordi è in esilio sull’isola d’Elba, a Portoferraio, dove ormai anziano e stanco vive alcuni degli ultimi anni della sua vita tra intrighi, malinconia e un fascino che non cede allo scorrere del tempo. Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Ernesto Ferrero, il film di Virzì è solo uno dei tanti adattamenti cinematografici dedicati alla figura del tiranno francese (nel film Daniel Auteil), eppure riesce ad essere a suo modo innovativo e dissacrante. Ironizzando sulla figura di un nobile decaduto, il regista livornese coniuga dramma e commedia come nella migliore tradizione italiana di Age e Scarpelli dando linfa nuova ad un racconto noto ed abusato. L’intreccio vede protagonista il giacobino Martino Papucci (uno straordinario Elio Germano) che mescolatosi al popolino elbano che adora il dio-Napoleone, riesce ad

avvicinarlo fino a scriverne le memorie e a tramare nell’ombra il suo assassinio. Ma il destino, come la Storia dimostra, ha dei piani diversi. Interessante il film e ottimo il cast che al di là del perfetto binomio Auteil-Germano vede la Bellucci nei consoni panni di una baronessa suadente, Mastrandrea e la Impacciatore rinfrancati dalla consueta rappresentazione di verace romanità e Massimo Ceccherini per una volta comico senza dimostrarsi volgare. Presentata alla neonata e riuscita Festa del cinema di Roma, la pellicola è stata anche accompagnata da polemiche riguardanti simpatiche analogie tra l’imperatore e l’onnipresente Berlusconi, che seppur presenti (ovviamente per quanto riguarda il declino annunciato di uomo che si credeva invincibile) lasciano il tempo che trovano, anche perchè la produzione è targata Medusa. In ogni

caso un lavoro ben riuscito che come unica nota stonata ha paradossalmente il legame stretto tra il regista e la commedia, che se da un lato gli permette di confezionare un prodotto originale, dall’altro gli impedisce di osare e di prendere il volo staccandosi da alcuni clichè. Ma non è grave perchè il film di Virzì oltre l’aspetto semplice e talvolta semplicistico nasconde importanti spunti sui miti e la loro costruzione, sulla malinconia della vita e sul bilancio che ogni uomo, presto o tardi, fa della sua esistenza. Napoleone e la sua immensa figura sono solo un mezzo, una lente attraverso cui scrutare in maniera amplificata quello che passa attraverso quel meraviglioso e incerto viaggio che chiamiamo vita. C. Michele Pierri


Be Cool

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La sconosciuta Giuseppe Tornatore Medusa ****

A distanza di sei anni dalla sua ultima pellicola, Malena, ecco l’atteso ritorno di Giuseppe Tornatore. La sconosciuta doveva essere, anche secondo il regista, una sorta di “riempitivo” in attesa di quello che forse è uno dei progetti più ambiziosi del cinema italiano contemporaneo, Leningrad (annunciato per il 2008). Si è rivelato, invece, uno degli esempi più riusciti di thriller psicologico degli ultimi tempi, nonché uno dei film più acclamati alla prima “Festa Internazionale del Cinema” di Roma. Racconta di Irena, ragazza ucraina, che giunge in una città del Nord Italia in cerca di occupazione. Trova subito un appartamento e un lavoro, come bambinaia, presso una famiglia borghese di orafi. Della donna si sa poco. Con il passar del tempo, sembra che questa riesca trovare un equilibrio stabile nella nuova realtà. Quando ecco che la sconosciuta si trova di fronte al passato, al male,

The Namesake

Mira Nair Mirabai Films-Cine Mosaic ****

Presentato alla Festa Internazionale del Cinema di Roma, tra le discusse attese amate e criticate diverse premiere, spicca per bellezza e profondità The Namesake. Girato tra l’India e l’America, con attori indiani e in lingua indi e inglese, quello della già nota Mira Nair è un film che ritrae i nostri tempi, tempi di mistione di culture e fusione di mondi, di contraddizioni e arricchimenti, di viaggi solo andata e di ritorni. Un matrimonio combinato ha unito Ashoke e Ashima e li ha portati lontano dalla caotica e viva Calcutta in una ancor più caotica e viva New York, città gelida e sconosciuta, come è per loro sconosciuta la mentalità della gente che la popola. Non è facile, soprattutto per Ashima, ambientarsi lontano dal calore della sua famiglia, dai colori e dai paesaggi che rendono l’India quella che tutti immaginiamo e a cui la bellezza della fotografia di questo

alla violenza, che ha le sembianze dell’aguzzino Muffa (Michele Placido). È da questo punto in poi che il trascorso della donna si svela, attraverso l’uso di differenti piani temporali, di flashback. I diversi episodi, macchiati dall’orrore, descritti in maniera cruda, non risultano mai superflui; si rivelano piuttosto sempre pezzi essenziali del puzzle psicologico e drammatico che Tornatore va a costruire. I temi della schiavitù sessuale, da una parte, e della maternità negata, dall’altra, non rappresentano mai solo una denuncia sociale. Sono elementi caratterizzanti, essenziali di una trama che si fa man mano incalzante. I vortici, le spirali, rappresentate dalle scale a chiocciola, le geometrie sceniche “hichcokkiane” (che non nuocciono mai alla “personalità” di questa pellicola) e soprattutto le musiche di Ennio Morricone, impreziosiscono questo film di genere. Tornatore, che ci aveva abituato a personaggi maschili, è bravo questa volta a descrivere la psicologia femminile e la donna, non più solo icona o sogno (vedi Malena su tutti). La magistrale prova di Xenia Rappoport (Irena), sconosciuta attrice teatrale russa, è supportata da un cast stellare, composto da Placido, Favino, Buy, Haber, Gerini. Sabrina Manna – Zero Project

film rende il giusto merito. Il titolo italiano sarà Il destino nel nome - The Namesake, (letteralmente L’Ononimo) e fa riferimento alla difficile e significativa scelta del nome attribuito al figlio dei due, Gogol, come il famoso scrittore russo. Tratto dal racconto di Jhumpa Lahiri, questo lavoro è ricco di dettagli, segni, flashback e musiche accurati toccanti taglienti. Ci ha lasciato dentro un attimo di silenziose riflessioni, suggestioni varie, un’ulteriore presa di coscienza su quanto importante e il-limitato sia l’amore che unisce una famiglia. Dovunque i suoi pezzi si trovino, sparsi per il mondo. Valentina Cataldo

Scoop

Woody Allen Medusa

***½

Un Woody Allen divertente, ma soprattutto divertito, in questo suo ruolo da singolare e timido prestigiatore/ impavido e temerario cronistainvestigatore. Scarlett Johansson brava, e sempre affascinante, anche nella parte da “imbranata” studentessa della provincia americana, in vacanza in Inghilterra. Secondo film londinese quindi per l’affiatata coppia, per l’occhialuto e sempre più “nonnino” genio di Manhattan

che dopo Match point, il delitto senza castigo, adesso racconta quasi l’opposto: lo svelamento di un delitto che pareva impunibile. Durante un bislacco esperimento di smaterializzazione, sul palcoscenico di una sorta di “teatro parrocchiale”, nel “magico” box del prestigiatore la bionda studentessa di giornalismo entra in comunicazione con un noto giornalista da poco defunto, che sfugge per qualche secondo al traghetto della morte, a bordo del quale si trovava. L’intraprendente “chronicler” fornisce alcuni fondamentali indizi per realizzare un memorabile scoop su un insospettabile lord inglese e una serie di delitti di un serial killer. Misteriosi omicidi a Londra, parafrasando il vecchio film girato a Manhattan da Woody Allen, con lui allora c’era la compagna Diane Keaton, oggi “la figlia” Scarlet. E nella loro indagine giornalistica sempre humor, gaffe, qualche battuta “alleniana” da appuntare, bei posti, perfino un po’ di “brivido” e una poco truce figura della morte. In sintesi: 100 minuti, o poco meno, di allietante e rasserenante visione. (da. qua)

Fascisti su Marte – Una vittoria negata Corrado Guzzanti

Dopo una lunga e meticolosa lavorazione (circa tre anni) arriva nelle sale Fascisti su marte il film di Corrado Guzzanti evoluzione dei brevi cinegiornali realizzati nella fortuna trasmissione di Rai Tre (l’ultima del comico romano prima del lungo “esilio”) Il Caso Scafroglia. Il film, satira dell’Italia passata e contemporanea, racconta l’epopea del gerarca fascista Barbagli dall’arrivo sul pianeta rosso. Nel cast Lillo, Marco Mazzocca e il giornalista Andrea Purgatori. Una pellicola coraggiosa!

The departed Martin Scorsese

Leonardo Di Caprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Martin Sheen, Alec Baldwin, Mark Wahlberg mettono in scena il nuovo, attesissimo, film di Martin Scorsese (e si parla già di capolavoro). Al centro della storia una guerra tra la Polizia locale e una banda della malavita organizzata di Boston.

A casa Nostra

Francesca Comencini

Nuova pellicola per Francesca Comencini. Dopo Mobbing arriva A Casa Nostra, film a episodi nel quale la vita di alcune persone, molto diverse tra loro, viene vista attraverso il comune denominatore del denaro, legale o illegale, poco o tantissimo. Rita, un capitano della Guardia di Finanza, cerca di smascherare Ugo un banchiere che opera nell’illegalità, attorno a loro ruotano tutti gli altri personaggi. Nel cast Luca Zingaretti, Valeria Golino, Giuseppe Battiston e Bebo Storti.



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Comics psicHiatrico

Intervista a Ned Bajalica

Ned Bajalica nasce in Svizzera nel 1975 e si trasferisce a Lecce in tenera età per rimanervi fino ai sedici anni. Poco dopo si trasferisce a Roma, dove frequenta la scuola Internazionale di Comics e, in brevissimo tempo, diventa uno strettissimo collaboratore di Jacovitti. Nei successivi cinque anni lavorano insieme a progetti come Rap (Balocco Editore) e Cocco Bill di Quà e di Là (Sergio Bonelli Editore). Per 4 anni interrompe la sua attività di disegnatore per aprire la prima fumetteria a Lecce. Nel 2005 conosce il celebre Paolo Crepet, con il quale inizia la lavorazione di Ci Vediamo Domani. Dopo numerosi e fortunati saggi e racconti per lo psichiatra si tratta della prima esperienza nel mondo del fumetto. Per Ci vediamo Domani Crepet si affida completamente a Ned Bajalica. Ned, come sei arrivato a Crepet e alla decisione di voler raccontare queste storie? C’è stato un periodo della mia vita (ma direi che c’è ancora) in cui leggevo tantissimi libri di psicologia. Mi interessava scrutare l’animo umano, capire il perché di tante situazioni che portano a gesti o situazioni estreme. Insomma volevo abbattere quei pregiudizi che condizionavano le mie opinioni... Tra i tanti libri letti, quelli di Crepet mi hanno emozionato e mi hanno spinto a intraprendere questa grande sfida. Ho

inviato una mail a Crepet, chiedendogli il permesso di adattare quattro racconti tratti da alcuni suoi libri. Così è nato questo libro. A un certo punto della tua vita hai smesso con il “fare fumetti” ed hai iniziato a venderli… La morte di Jacovitti fu per me un colpo forte e improvviso, il dolore mi spinse a dare un taglio al disegno, ma non al fumetto. Aprii così una fumetteria per stare un po’ “dietro le quinte” del fumetto e vederlo con un’ottica diversa. È stata un’esperienza unica, consigliabile a tutti i fumettisti. Prima di Ci Vediamo Domani avevi uno stile totalmente diverso, umoristico e simile al tratto di Benito Jacovitti con il quale hai collaborato per anni. Come si è evoluto il tuo stile da “umoristico” ad essenziale? Dopo la morte di Jac, persi l’interesse per il disegno e decisi di smettere. Quasi non me ne fregava più niente... ma come si fa a reprimere le proprie passioni? Quindi, presi la decisione di superare l’esperienza col grande maestro e voltare pagina, cercare qualche strada nuova, qualcosa con cui riuscissi a identificarmi... Lo stile di Ci vediamo domani è nato pian piano nella mia testa, mentre si materializzavano i vari protagonisti della storia. Il fumetto è una parte di te o è tutta la vita?

Che domanda! Diciamo che è una grande parte di me che mi accompagnerà per tutta la vita. Amo il mio lavoro, credo nel fumetto come mezzo di comunicazione giovane, efficace e immediato. Ritieni che le scuole di fumetto ricoprano una funzione essenziale nella crescita artistica di un fumettista e che possano al tempo stesso costituirsi come mezzo di promozione di questo genere letterario? Entrambe le cose. Ci sono scuole del fumetto, come la leccese Lupiae Comix che con un budget minimo formano l’allievo graficamente e culturalmente, facendogli conoscere una moltitudine di autori, generi e stili differenti. E soprattutto s’insegna il significato della parola fumetto: in cui la dimensione del “raccontare per immagini” non significa meramente disegnare. Questo è fondamentale per un fumettista. Max - Mondi Sommersi

CRONACA VERA, DANIEL CLOWES

Daniel Clowes spia come farebbe Carver se sapesse disegnare. In silenzio, metabolizza i discorsi dei vicini di tavolo nell’ultimo fast-food all’angolo e racconta il quotidiano di provincia con maniacale dovizia di particolari e delicatezza clinica. Vite minime cui Daniel Clowes dispensa minuti di notorietà e immortalità. Un ibrido tra Cronaca Vera e Spoon River (ma senza la presunzione di regalarci la “morale della favola”) scorre impetuoso/impietoso trasversalmente per tutta la produzione clowesiana. Antieroi del vicinato e leggende di quartiere si vestono di poesia precaria e fragile. Capita così che la vita tiepida di due adolescenti di provincia abbia un peso talmente denso da trapassarti attraverso i polpastrelli, pagina dopo pagina, fino ad andare via con estrema delicatezza. Nessuna soluzione. Storie che cominciano in corsa e non finiscono. Come quelle che origli in treno. Clowes articola le vignette su tavole regolari, convenzionali con un tratto marcatamente retrò e chiaroscuri grigliati. Smorfie caricaturali e anatomie da manuale sullo stile delle illustrazioni enciclopediche anni ’70. Un tratto freddo e distaccato si direbbe. Daniel Clowes originario di Chicago, classe 1961, esordisce a 25 anni pubblicando la serie Lloyd Llewelyn (che ha subito l’onore di vedere pubblicata dalla rivista culto Love & rockets dei fratelli

Hernandez) e The Uggly Family; a partire dal 1988 decide di dare vita ad Eightball, un’antologia aperiodica che possa raccogliere la fertile sperimentazione dell’autore attraverso storie autoconclusive e brevi serie, divenendo evidentemente il capostipite della nuova generazione di graphic-novelist statunitensi (Chester Brown, Craig Thompson, Adrian Tomine, etc.). Proprio dalle pagine di Eightball faranno capolino opere imprescindibili quali Like a velvet glove cast in iron, David Boring e la più nota Ghost World (che gli varrà la nomination agli Oscar 2002 per la sceneggiatura dell’omonimo film di Terry Zwigoff). Ghost World, mondo fantasma; probabilmente quello che gli spettatori non vedono, o quello che è talmente vicino a te da essere, per diffusa ipermetropia umana, prescindibile. Enid e Rebecca sono due amiche comuni, in un anonimo paese americano come tanti, il mondo le costringe ad essere “anticonformiste” e loro non aspettano altro. Grazie a questa scelta abbiamo la possibilità di vederci recensita una cittadina di mediocri maghi sensitivi, di hippies della domenica, di adepti a sette sataniche, di ragazzine alla moda, di manager pedofili e di cinquantenni che cercano amori tra gli annunci dei quotidiani. E la loro presenza disadattata, nostalgica piuttosto che annoiata o innamorata, si tende nervosamente in bilico tra passato e futuro in una provincia fantasma. Ché anche la partenza per l’università arriva a commuoverti. Niente espressionismo o realityshow. Cronaca vera, Daniel Clowes. Erik Chilly (www.recensimenti.blogspot.com)


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Saloni, festival, rasseGne:

il fumetto si mette in mostra Quaranta anni di incontri e presentazioni, ospiti internazionali e anteprime. Il Lucca Comics & Games, il più longevo appuntamento italiano dedicato ai fumetti, compie quaranta anni. Dal 1 al 5 novembre si sono radunati nella città toscana migliaia di appassionati e curiosi per festeggiare la “nona arte”. Nel corso di questi anni tra i padiglioni espositivi ci si è potuti imbattere in autori del calibro di Hugo Pratt, Lee Falk, Gianluigi Bonelli, Moebius, Will Eisner, Stan Lee, solo per citarne alcuni. Non a caso per onorare al meglio questo anniversario sono state realizzate una mostra e un curatissimo volume per raccontare – attraverso cronache, ricordi, immagini e memorabilia – la storia di questi 40 anni. Fra i grandi ospiti di Lucca Comics 2006 una menzione speciale spetta all’americano Jeff Smith, autore di Bone (nella foto accanto), una delle serie di maggiore successo degli ultimi anni, pubblicata negli Stati Uniti fra il 1991 e il 2004. (Tutte le info su www. luccacomicsandgames.com). Lucca è solo l’esempio più longevo e importante. Il movimento fumettistico italiano è in forte espansione. Lo testimoniano la costante attenzione da parte di riviste non specializzate e la nascita di numerosi saloni, festival, fiere che mettono in mostra il fumetto e l’animazione. È praticamente impossibile fare un censimento completo degli appuntamenti ma proviamo a segnalare alcune delle prossime o passate edizioni. Dal 4 all’8 ottobre si è tenuta Romics, la rassegna internazionale del fumetto e del cinema di animazione giunta alla sua sesta edizione e ospitata dalla capitale. (www. romics.it) Neanche una settimana dopo (dal 13 al 22 ottobre) e nella poco distante Viterbo è andato in scena la prima edizione del Festival del fumetto e dell’animazione indipendenti, con tutti, o quasi, i protagonisti della rinascita della scena indy italiana e non solo. (www.indayscomix.com) Guardando al futuro invece sabato 11 novembre (e nei due week end successivi) apre i battenti a Rapallo la XXXIV edizione della Mostra Internazionale dei Cartoonists. Il tema di quest’anno sarà “Scuola di f u m e t t o ” , con ospiti le principali scuole che insegnano la nona arte. (www.rapallocartoonists.com) Il 2 e 3 dicembre

Milano ospita Fumettopoli, la mecca dei collezionisti di tutte le nuvole parlanti. (www.fumettopoli.com) A febbraio (10 e 11) nuovo appuntamento nel capoluogo lombardo con il Festival del fumetto, giunto alla sua terza edizione, che si svolge interamente all’interno dei padiglioni del Parco esposizioni Novegro. (www.festivaldelfumetto.com) Dal nord al sud, dal 27 al 29 aprile a Napoli torna Comicon. Salone internazionale del fumetto e dell’animazione, tra eventi collaterali, mostre, stand espositivi, proiezioni, incontri. I prossimi quattro anni di Napoli Comicon saranno all’insegna dei colori: Ciano, Magenta, Giallo e Nero. Il colore del 2007 sarà Ciano. (www. comicon.it). A maggio va in scena la tredicesima edizione di Torino comics. Salone e mostra mercato del fumetto. (www.torinocomics. com) Nello stesso mese si svolge anche la seconda edizione del Mantova Comics & Games che si candida, secondo gli organizzatori “a rappresentare uno dei principali appuntamenti del calendario fieristico per i lettori, i giocatori, gli addetti ai lavori ma non solo: i giochi, le mostre e le conferenze hanno infatti permesso di raggiungere un vasto pubblico di appassionati ma non solo”. (www.mantovacomics.it) Il Cartoon Club, festival internazionale

del cinema d’animazione e del fumetto, ritorna come di consueto nel mese di luglio e la città di Rimini si trasforma nella capitale degli eroi di cartone e del fumetto con mostre, proiezioni, incontri, iniziative speciali, spettacoli e sorprese (www. cartoonclub.it). Sempre in estate si tengono il Festival Internazionale Cinema d’Animazione e Fumetto a Dervio (www.dervio.org/festival) e l’HatriaCartoon in provincia di Teramo (www.hatriacartoon.it). Nel Salento sono due le rassegne dedicate al fumetto. La prima è più longeva, la prossima sarà la quinta edizione, e si svolge in agosto a Santa Maria al Bagno (Nardò). Nuvole di Carta è un festival tra fumetti ed invenzioni che vuol essere la proposta salentina agli appassionati di comics. Si tratta di una “due giorni” dedicata al fumetto e alla fantasia con diversi appuntamenti per i bambini e gli adulti. Tra gli ospiti di queste edizioni Angelo Stano, il “papà” grafico di Dylan Dog, la Melevisione, Roberto Diso, Claudio Castellini. Nel giugno 2006 l’associazione “Il Cantiere” di Maglie ha organizzato la prima edizione del Salento Fiera del Fumetto con la partecipazione di Giuseppe De Luca, Ketty Formaggio e del grande Sergio Staino (vedi interviste a pagina 9 e 11).


A ppuntamenti

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lE STRADE MAESTRE DI kOREJA “Un cartellone che guarda al futuro e ai movimenti che agitano la scena artistica contemporanea. Il meglio del teatro europeo arriva a Lecce – afferma Franco Ungaro, direttore organizzativo di Koreja per una stagione fuori dal comune perché rispettiamo molto il pubblico ritenendolo capace di esercitare al meglio le sue capacità intellettive e critiche, evitando di somministrare la solita e mediocre paccottiglia televisiva”. È questo il senso della nuova stagione teatrale di Strade Maestre promossa dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, Provincia di Lecce e Regione Puglia (e ancora una volta ignorata dal Comune di Lecce). Dopo la retrospettiva dedicata a Eugenio Barba e la nuova dello studio di Koreja su Il calapranzi di Harold Pinter per la regia di Salvatore Tramacere, la rassegna entra nel vivo. Giovedì 9 e venerdì 10 novembre la trentatreenne coreografa Sonia Gomez e la madre sessantottenne Rosa Vicente mettono in scena tra musica, danza e parole Mi madre y yo, Un’analisi acuta, attenta e senza falsi moralismi della società spagnola contemporanea. Sabato 11 e domenica 12 la compagnia spagnola di Marta Galan presenta i due spettacoli Lola e Machos (vedi foto piccola). Nel primo Santiago Maravilla offre una rivisitazione disorientata e poetica della femminilità utilizzando i codici estetici del punk, il trash e la canzone romantica. Machos racconta invece un mondo claustrofobico, patetico e eccessivo. Martedì 14 e mercoledì 15 la coreografa e ballerina salentina Barbara Toma (nella foto in alto) presenta Freedom nel quale affronta per la prima volta un tema che ha segnato la sua adolescenza, quello della follia. Freedom è un duetto sull’amore, sulla sofferenza, immagini dell’adolescenza, del difficile e sofferto rapporto con la madre, nel tentativo di mostrare un altro lato della

follia. Un omaggio alla follia partendo dal rapporto tra paziente e parente. Matto e normale. Malato e sano. Ancora spazio alla danza giovedì 16 novembre con Solo goldberg improvisation della Compagnia Virgilio Sieni Danza e venerdì 17 (in replica sabato 18) con lo spettacolo di danza interattiva Danxy music di Ariella Vidach e a seguire Soliloquy! della compagnia barese Res Extensa. Venerdì 24 e sabato 25 ultimi appuntamenti

Dal suono all’immaGine dall’immaGine al suono Martedì 21 novembre si terrà a Galatina la presentazione ufficiale del corso Dal suono all’immagine dall’immagine al suono organizzato dall’Assessorato alle Politiche giovanili e dal Centro Progetto Giovani, in collaborazione con Coolclub, che si svolgerà dal 4 al 17 dicembre (iscrizione gratuita). Il corso si comporrà di due fasi. I ragazzi saranno seguiti dall’attore e regista Ippolito Chiarello e dal critico musicale Gianpaolo Chiriacò. La prima fase del corso vedrà i docenti

interagire in un percorso teorico teso a illustrare il legame tra immagine e musica. A seconda delle abilità e delle inclinazioni dei ragazzi il laboratorio potrà intraprendere diversi percorsi volti alla realizzazione di immagini e musiche originali, alla produzione di materiale video originale con l’utilizzo di brani musicali già editi e allo stravolgimento di materiale video e audio già esistente. Info e iscrizioni 0836564097

per il mese di novembre con Circhio lume della Compagnia Tardito/Rendina, uno spettacolo costruito a quadri, che accosta scenette da cinema muto, utilizzando un linguaggio in bilico tra il tragico e il grottesco. Un linguaggio clownesco, un po’ caricato che racconta le debolezze umane, i moti dell’anima e i drammi della vita. Vestiti un po’ da clown, un po’ da ballerini malinconici, i tre attori della compagnia lavorano come equilibristi sulle panche, danzano al suono di musiche strampalate e volteggiano al centro di un circo irreale. Una scrittura per “cerchio” che utilizza un linguaggio in equilibrio sul crinale dell’ironia, che sempre sfiora il ridicolo. Venerdì 1 e sabato 2 dicembre il Teatrino Giullare di Sasso Marconi presenta Finale di partita di Samuel Beckett (premio Nazionale della Critica 2006). Una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento. In Strade Maestre non manca la sezione delle arti visive con mostre e installazioni curate per il secondo anno da Angela Serafino. Dal 28 ottobre sino a maggio, il foyer sarà abitato dalle personali di Giuseppe Scarciglia, Stefania Alemanno, Cristina Cary, Daniela Zampagliene (artista venezuelana), Adalgisa Romano, Marzia Quarta e Dragan Rajsic. Ingresso 10 euro (ridotto 7). Info www. teatrokoreja.com; 0832.242000 – 240752.


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Scenastudio

La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni: redazione@coolclub.it

AAA. Giovani attori cercasi

Tra poesia e impeGno civile

Lo spazio Scenastudio di Lecce presenta una rassegna nuova, fresca, fatta di giovani talenti alla ribalta di stampa e pubblico. Atto unico – tra poesia e impegno civile presenta titoli che recuperano la dimensione essenziale del teatro, ponendo nel rapporto parola-ascolto, attore-spettatore il binomio fondante della propria forma espressiva. Si parte giovedì 16 e venerdì 17 novembre con la compagnia teatrale Scena muta che presenta Confessioni. Quando il peso sulla coscienza si fa insostenibile, quando non riesci a dormire, quando devi urlare al mondo il tuo segreto, chiunque può diventare il tuo confessore. Lo spettacoloperformance, di e con Ivan Raganato, è un viaggio nel tempo in cui i vari personaggi, rappresentati dall’unico attore in scena, confessano ad ignari spettatori, coinvolti loro malgrado in una sorta di cena, le loro colpe, desideri e peccati. Giovedì 23 e venerdì 24 la compagnia teatrale Teatro scalo mette in scena Muccia. Lo spettacolo, di Michele Bia in collaborazione con Franco Ferrante, è un monologo che narra la storia di un ragazzo, il bonaccione del paese che difende la sua scelta di rimanere al Sud, contrariamente agli amici che partono al Nord per trovare lavoro, affermando che nel Meridione lavoro ce n’è: basta trovarlo. Attraverso la storia di Muccia si vuole narrare una condizione comune a molti, per cercare di capire questo nuovo fenomeno che ridisegna le cartografie di flussi umani, materiali e simbolici, ridefinisce tempi e spazi di vita, determina su scala mondiale e a vari livelli l’emergere dell’insicurezza come stato d’animo epocale. Muccia ha partecipato al progetto organizzato dall’Università di Bari “Vite precarie e tempo di narrare”, un ciclo di

appuntamenti, tra convegni e momenti artistici, che parlano di precarietà. Giovedì 30 novembre e venerdì 1 dicembre la compagnia Prima quinta approda a Lecce con il pluripremiato spettacolo Ad un passo dal cielo “W la mafia” di Aldo Rapè. Calogero Nicosia ha 30 anni. Da bambino aveva visto cadere sotto i colpi della mafia i suoi genitori, e diciottenne ha deciso di vivere in alto, ad un passo dal cielo. Lì ha scoperto la bellezza della libertà, l’autenticità della natura, ha conosciuto se stesso. Lassù è invincibile, può combattere il mostro, può evitare i suoi colpi e può anche riuscire, con rabbia e dolore, a deriderlo gridando “W la mafia”. Giovedì 7 e venerdì 8 dicembre il tarantino Alessandro Langiu propone 25 mila granelli di sabbia.

Il monologo tratta il complesso e conflittuale rapporto della modernità con il territorio e i suoi protagonisti, come i ragazzi di “venticinquemila granelli di sabbia”: Panz, Nunzio e Mustazz. È una storia di oggi. Siamo negli anni settanta a Taranto, durante i quali sono stati costruiti i quartieri accanto all’impianto siderurgico dell’Italsider, oggi Ilva. Ingresso 10 euro (ridotto 7). Sipario ore 21.00. Lo Spazio Scenastudio è in via Sozy Carafa 48/B a Lecce. Info 0832 279356; www.scenastudio.it

Il panorama teatrale salentino si arricchiesce di nuove esperienze. A Calimera prende il via la Scuola Biennale L’Attore sul Palco di Somnia Theatri. I docenti di quest’anno saranno: per il primo anno (corso di base) Federico De Giorgi, attore e direttore artistico e Sabrina Chiarelli, attrice formatasi presso l’Accademia Teatrale Permis de Conduire di Roma; per il secondo anno (corso avanzato) la direzione sarà affidata all’attore-regista Renato Grilli. Info: 380/526 8 526 328/60 15 767; somniatheatri@libero.it. Il Db D’Essai di Lecce ospita invece i nuovi corsi dell’associazione culturale Teatro La Nasca nata dall’esperienza decennale dell’attore e regista Ippolito Chiarello. I laboratori teatrali sono tre e saranno tenuti da Ippolito Chiarello (nella foto in alto) in collaborazione con Cecilia Maffei e Graziana Arlotta. Arrivano i Mostri è dedicato ai più piccoli, Fuoriscena è il laboratorio rivolto ai giovani, a tutti quelli che hanno interesse ad avvicinarsi per la prima volta al mestiere del teatro mentre Inscena è il laboratorio avanzato che mira all’allestimento di testi Shakespeariani e a costruire una Compagnia Stabile. lunedì 20 novembre ore 19 ci sarà l’Incontro di presentazione dei corsi Fuori Scena e In Scena presso il db d’Essai. Per informazioni 0832390557 349 57 69 458


appuntamenti

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Musica

Ogni mercoledì / Live alla Negra Tomasa di Lecce Ogni giovedì / Sulle strade del Jazz con dj Zanca e ospiti al Prosit di Lecce Mercoledì 8 / Gianfranco Rizzo Soul Band alla Negra Tomasa di Lecce Venerdì 10/ Giovanni Allevi per Timezones al Palamartino di Bari La ventunesima edizione di Timezones festival di musiche possibile prende il via con il concerto del pianista Giovanni Allevi. Dopo l’album No Concept, uscito nel maggio 2005, che ha riscosso ampi consensi di critica e di pubblico, è uscito Joy (Ricordi/ SonyBmg Music Entertainment), il nuovo album di pianoforte solo. Inizio ore 21:30. Ingresso 20 euro. Info www.timezones.it venerdì 10/ Plung in allo ZenzeroClub di Bari sabato 11/ Alessio Bertallot allo ZenzeroClub di Bari sabato 11/ Alpha e Omega all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) In questa serata dello storico locale underground salentino spazio alla tradizione giamaicana che incontra le basse frequenze del dub anglosassone. Un progetto che valica i confini di un genere musicale, creando uno stile unico. Ingresso 4 euro. Info 3209794012. sabato 11/ Fuorioraria per Timezones al Pala Martino di Bari Enrico Ghezzi, Maurizio Martuscello, Mario Fasullo presentano Fuorioraria. d(e)rive out of music all’interno del ricco programma di TimeZones. L’incontro tra un maestro del linguaggio visivo e due fra i compositori più affermati della scena musicale sperimentale dà luogo a un progetto di grande interesse: un megaschermo su cui si susseguiranno (e talvolta si sovrapporanno) immagini ritagliate (in Blob style) riprese da 7 diverse fonti video, immagini sonorizzate dal vivo da Maurizio Martusciello e Mario Masullo (Mass) con l’obiettivo di arrivare ad una sorta di transfert fra immagini e musica; e per la prima volta, alla fine, sarà la musica ad ascoltare le immagini. In apertura la performance audiovisiva in dolby surround 5.1 About Ingmar Bergman di Mar.core. Inizio ore 21:30. Ingresso 15 euro. Info www. timezones.it domenica 12/ Distant city per TimeZones al Pala Martino di Bari

Il titolo-tema è Distant City. La percezione su cui si è lavorato è quella dell’inappartenenza e del sogno legati ad un’immagine della città che si allontana, lasciandoci estranei al suo dinamismo e al contempo al suo torpore. Sul palco Mirko Signorile (piano), Pasquale Bardaro (vibrafono), Vincenzo Bardaro (drum set), Giorgio Vendola (contrabbasso) affiancano il polistrumentista Davide Viterbo e il grande compositore Renè Aubry. In apertura spazio al chitarrista Marco Cappelli. Inizio ore 21:30. Ingresso 15 euro. Info www.timezones.it sabato 11/ Numero 6 alla Saletta della Cultura di Novoli (Le) martedì 14/ Langhorne Slim al Bohemien di Bari mercoledì 15 / Violet Soul alla Negra Tomasa di Lecce venerdì 17/ Jazzle-Pierluigi Balducci Small Ensemble al Teatro Paisiello di Lecce venerdì 17/ Niobe per TimeZones all’Auditorium Vallisa di Bari

Il festival di musiche possibili Time Zones ospita Niobe. Il suo stile è costruito attorno ai suoni della lingua; le sue onde vocali contribuiscono a rendere l’atmosfera incantata ed unica, mentre gli arrangiamenti strumentali risultano assolutamente singolari ed ineffabili. Suoni sorprendenti interrompono il flusso di ritmi insoliti, spesso realizzati con l’ausilio del sintetizzatore o anche in presa diretta. Dal cupo suono di un basso alla melodia di una chitarra acustica chiusa in un loop a spirale; Niobe sa avvolgere l‘ascoltatore in un viaggio sognante e rarefatto. Inizio ore 21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones. it


CoolClub.it sabato 18/ Zenzerology allo ZenzeroClub di Bari sabato 18/ Freddie Krueger alle Tre Masserie di Aradeo (Le) sabato 18/ Montecarlo Night con Tob Lamare all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) sabato 18/ Festa Dilinò a Cursi (Le) Grande serata all’insegna della musica dal vivo per festeggiare il quarto compleanno di Dilinò, il centro di produzioni musicali di Muro Leccese che ormai da anni rinnova il suo anniversario di nascita con una manifestazione che vede protagonisti i suoi progetti e le sue produzioni, accompagnandoli a numerosi ospiti della musica salentina e non. La serata, infatti, nell’ormai nota e affascinante cornice del Palazzo de Donno di Cursi avrà come momento live i concerti di due tra i maggiori gruppi salentini, nonché protagonisti della scuderia artistica di Dilinò: Crifiu e Mascarimirì. Saliranno sul palco, inoltre, numerosi ospiti, tra gli amici e i collaboratori di Dilinò, struttura ormai tra le più impegnate quotidianamente a livello nazionale nella produzione e promozione dei suoi progetti, originali ed inediti, a metà strada tra la tradizione e la contemporaneità. Ingresso libero + consumazione 3 euro. Inizio ore 21.30. Info: www.dilino.com. sabato 18/ Hic Niger Est al Circolo Arci ZEI di Lecce sabato 18/ Fennesz per TimeZones all’Auditorium Vallisa di Bari Di base a Vienna, Christian Fennesz ha acquistato una eccezionale reputazione internazionale, imponendosi come uno dei più innovativi compositori di musica elettronica. Le sue pubblicazione possono essere reperite su label quali Touch e Mego, etichette che hanno reinventato il suono digitale degli ultimi 25 anni, ma il lavoro di Fennesz si distingue immediatamente per l’incredibile carica emozionale e la straordinaria abilità tecnica. Inizio ore 21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones.it domenica 19/ Barbara Morgenstern per TimeZones all’Auditorium Vallisa di Bari Dopo aver suonato per un lungo periodo con alcune band locali, aver cantato a capella e aver avuto cattive esperienze con contratti firmati per le major, dieci anni fa Barbara Morgenstern ha cominciato a concentrarsi sulle sue canzoni. La Morgenstern è un’artista

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di perfetta eleganza minimale, fresca icona di un nuovo modo di intendere l’approccio pop. Inizio ore 21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones.it martedì 21 novembre/ Jam Session al Mind the gap di Nardò (Le) Roberta&Carlo presentano Jam Session, un live itinerante dedicato ai musicisti appassionati di tutti i generi. Dodici appuntamenti per dodici locali tra le province di Lecce e Brindisi. Info 3282703046, 3293538359. Inizio ore 21.00. Ingresso gratuito. mercoledì 22 novembre/ Sodastream + Jackie O’Motherfucker per TimeZones all’Auditorium Vallisa di Bari

Doppio appuntamento per il Festival TimeZones, diretto da Gianluigi Trevisi. L’Auditorium Vallisa di Bari, che quest’anno compie venti anni, ospita infatti Jackie O’Motherfucker e Sodastream. Il primo è il progetto del polistrumentista Tom Greenwood. I Sodastream sono invece un duo australiano composto da Pete Cohen (contrabbasso, voci) e Karl Smith (voce, chitarra, piano). I loro concerti sono straordinari per intensità: quello che impressiona è come riescano a tenere incredibilmente alta la tensione emotiva pur creando atmosfere delicate e rilassate. Più spesso in duo che in trio (con batteria) dal vivo riescono ad rapire senza scampo lo spettatore, portandolo in un mondo in cui non è possibile non emozionarsi. Inizio ore 21:30. Ingresso 10 euro. Info www.timezones. it giovedì 23/ Soothsayers allo ZenzeroClub di Bari giovedì 23/ My way my ai Sotterranei di Copertino (Le)

La redazione di CoolClub.it non è responsabile di eventuali variazioni o annullamenti. Gli altri appuntamenti su www.coolclub.it Per segnalazioni: redazione@coolclub.it


A ppuntamenti

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da giovedì 23 a domenica 26 / La città del libro a Campi Salentina (Le) venerdì 24/ Peter Hock (New order) dj set allo ZenzeroClub di Bari venerdì 24/ Diamanda Galas per Timezones al Palamartino di Bari Diamanda Galas è una delle cantanti che hanno rivoluzionato il concetto stesso di “canto” attraverso l’uso dell’elettronica e un’espressività da ossessa. L’ultimo cd Songs of Exile comprende canzoni ispirate a testi di poeti esiliati tra i quali Cesar Vallejo (Perù), Paul Celan (Romania), Gerard De Nerval (Francia) e Henri Michaux (Belgio), trasformate in musica dalla Galás; presenta, inoltre, alcune poesie di PierPaolo Pasolini e del poeta salvadoregno Miguel Huezo Mixco nonché canzoni del compositore armeno Udi Hrant, del compositore greco Papioannou e degli americani John Lee Hooker e Bosie Stuyvesant. Inizio ore 22.00. Ingresso 20 euro. Info www.timezones.it sabato 25/ Dj Suv all’Istanbul Cafè di Squinzano (Le) Dj Suv è cresciuto artisticamente dentro una delle etichette più importanti per il drum’n’bass, ovvero la Full Cycle, dove come compagni di etichetta ci sono ad esempio Roni Size e Krust. Suv è sicuramente il più etnico di tutta l’etichetta, le sue produzioni sono sempre state influenzate dalle varie sonorità dei popoli con tradizioni ancora in primo piano, il suo primo album e’ un ottimo esempio. Ritmi spagnoli, sud

americani e africani fanno la loro parte nella costruzione sonora di tutte le tracce. Il suo dj set richiama questi echi lontani di paesi ancora legati alle tradizioni ma allo stesso tempo li propone affiancati dalle più moderne soluzioni sonore. Info 3209794012 sabato 25/ Questlove allo ZenzeroClub di Bari sabato 25 e domenica 26/ Mei a Faenza domenica 26/ Two dollar Guitar all’Istanbul Café di Squinzano (Le)

La storia dei Two Dollar Guitar comincia a Hoboken, NJ, USA quando Tim Foljahn s’incontra con l’amico Steve Shelley mitico batteristadei Sonic Youth. Dopo i primi cd

con vari tipi di influenze che caratterizzano i lavori di chi non si ferma a una sola sonorità ma sviluppa sempre nuovi sound c’è l’arrivo del bassista Dave Motamed che da l’apporto decisivo a quello che è l’attuale formazione del gruppo. L’ultimo CD Weak beats lame-ass rhymes porta a maturazione la progressione del Lowfi psychedelic folk che caratterizza la storia recente del gruppo. A questo si aggiunge il lavoro con la bassista Janet Wygal e la cantautrice Christina Rosenvinge vocals and guitar. Dopo un anno di registrazione il gruppo è in tour in tutto il mondo e approda anche all’Istanbul Café di Squinzano. Ingresso 8 euro (+2 di prevendita). Inizio 22.30. Info www.coolclub.it - www.twodollarguitar. com domenica 26/ Noa al Teatro Politeama Greco di Lecce giovedì 30/ Giuseppe di Gennaro al Rubens di Lecce giovedì 30/ Alibia al Jack’n’jil di Cutrofiano (Le) venerdì 1 dicembre/ Alibia al Goblin’s Pub di Brindisi sabato 2/ Bandabardò allo ZenzeroClub di Bari sabato 2/ Alibia (live) all’Istanbul Cafè di Squinzano domenica 3/ Camera 237 ai Sotterranei di Copertino (Le) martedì 5 dicembre / Jam Session al Mulligan’s di Maglie

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