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SLALOM TRA I RISCHI
La legge da poco approvata mette sul tavolo 35 miliardi di euro. Interviene con misure straordinarie in campo tributario, conferma alcuni trend previsionali nel prossimo triennio e riserva anche piccole sorprese e qualche contraddizione. Lasciando solo intravedere il disegno complessivo che il Governo intende perseguire
di Francesco M. Renne
A condizionare la manovra di bilancio da poco approvata sono stati due ostacoli contingenti e uno ancora più delicato all’orizzonte, nonostante ciò contiene alcuni spunti interessanti ma anche qualche contraddizione, lasciando solo intravedere il disegno complessivo che il Governo intende perseguire. Iniziamo con il dire che si tratta di un provvedimento composto da 903 commi di un unico articolo, dopo il maxiemendamento – ormai negli anni diventato quasi consuetudine – con cui è stata chiesta la fiducia nel passaggio parlamentare.
E che mette sul tavolo complessivamente circa 35 miliardi di euro, dei quali il 60% – circa 21 miliardi – assorbiti dai provvedimenti per contrastare il caro-energia. Una manovra che interviene con alcune misure straordinarie in campo tributario (sia in tema di entrate per rivalutazioni varie che in tema di istituti deflattivi del contenzioso), conferma taluni trend previsionali nel prossimo triennio e, spulciando fra le righe, riserva anche qualche piccola sorpresa.
Il deficit massimo (i.e. indebitamento netto) è stimato per l’anno 2023 al 4,5% del Pil, mentre il debito pubblico si attesterà al 145% (sempre del Pil). A sua volta, secondo le stime del Governo, il Pil (reale) del 2023 crescerà dello 0,6% , dopo esser cresciuto nel 2022 del 3,7% circa. Le entrate tributarie sono previste per 580 miliardi, di cui 9,5 a carattere una tantum per il 2023, che ci dovrebbe portare, sem- pre secondo le stime governative, a una pressione tributaria di circa il 43,4% sul Pil (contro il 43,8 del 2022).
Lo scenario di riferimento
Per comprendere la ratio di alcune delle scelte fatte dal Governo, occorre rileggere gli eventi che si sono succeduti in questo ultimo periodo e lo scenario che avevamo di fronte al momento della discussione della manovra. Non possiamo infatti tenere conto che nei mesi passati l’Italia, così come tutti i Paesi occidentali, ha vissuto un’esplosione del debito pubblico per fronteggiare la crisi pandemica.
Una situazione che ha avuto un effetto domino su più fronti: reazioni di allentamento monetario delle banche centrali; effetto di “reflation trade” al momento dei primi segnali di ripresa, con la conseguente euforia iniziale contestuale però a una prima impennata del costo delle materie prime e dell’energia; strozzatura delle forniture (soprattutto tecnologiche), che ha rallentato gli approvvigionamenti causando una seconda spinta sui prezzi e il rallentamento della ripresa “alle porte”; inizio della crisi geopolitica russo-ucraina, che ha a sua volta alimentato incertezza sul futuro e innescato il consolidarsi della spirale inflattiva che era già iniziata (con effetto soprattutto sui costi energetici e sulle filiere del food); incremento dei rischi di ricadere in una nuova recessione per gli effetti inflattivi sulla propensione ai consumi e sulla concatenata spirale dei tassi di interesse in aumento per cercare di tenere a freno l’inflazione stessa. Una spirale forse in parte acuita dal ritardo dell’azione delle banche centrali (BCE in primis) – che all’inizio ritenevano “transitori” i primi segnali inflattivi – e che ora si vedono costrette a rincorrersi negli aumenti di tassi (senza un punto di arrivo prefissato).
E ciò anche se non è ancora del tutto chiaro se la causa prevalente dell’inflazione sia “da offerta” o “da domanda” (apparentemente, si direbbe la prima; ma i segnali dell’inflazione “core” sono più preoccupanti di quanto non si ammetta e tuttora in crescita al 5,7/5,8%).
Il (vero) rischio all’orizzonte Inflazione a parte, il vero problema che induce a prudenza per il peso del nostro debito pubblico, soprattutto in relazione agli scenari macroeconomici del prossimo anno, che paventano la probabilità (non ancora “certa”) dell’insorgere di una (nuova) recessione, è la probabilità di ulteriori aumenti dei tassi di interesse da parte della BCE che, se eccessivi, minerebbero la sostenibilità del nostro debito pubblico, soprattutto in uno scenario recessivo.
Ed è per questo che la manovra di bilancio dell’Italia era un’“osservata speciale” sui mercati finanziari.
Livello massimo di saldo netto da finanziare, tenuto conto degli effetti derivanti dalla presente legge
Livello massimo del ricorso al mercato finanziario, tenuto conto degli effetti derivanti dalla presente legge (*)
Livello massimo di saldo netto da finanziare, tenuto conto degli effetti derivanti dalla presente legge
Livello massimo del ricorso al mercato finanziario, tenuto conto degli effetti derivanti dalla presente legge (*)
(*) al netto delle operazioni effettuate al fine di rimborsare prima della scadenza o di ristrutturare passività preesistenti con ammortamento a carico dello Stato.
1. Tributarie
1.1 Entrare ricorrenti
1.2 Entrate non ricorrenti
Spunti e conferme…
Non solo. La manovra interviene anche su altre tematiche calde. Per esempio sul costo del lavoro – e vi è l’intenzione dichiarata di farlo ancora di più – con un taglio (parziale) del cuneo fiscale, attraverso l’incremento (rispetto al 2022) al 2% per i redditi annui sino a 35.000 euro e al 3% per quelli sino a 25.000 euro dell’esonero sulla quota dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori per i rapporti di lavoro dipendente. Tale misura – pur nella sua delicatezza, dati i riflessi sulla già incerta tenuta del sistema previdenziale – ha trovato un largo consenso nelle associazioni datoriali e sindacali ed era tutto sommato condivisa anche da molte altre forze politiche esterne alla maggioranza.
Quasi a sorpresa, inoltre, la Legge di Bilancio contiene pure alcuni provvedimenti ad hoc (non senza qualche dubbio interpretativo) sul tema della tassazione (e della loro regolarizzazione per gli anni passati – dei proventi derivanti dalle cripto-attività, cercando di mettere chiarezza (quantomeno) sugli obblighi richiesti dal Legislatore. In parallelo, prevede poi diversi interventi normativi che ripropongono/ introducono strumenti deflattivi del contenzioso (non senza qualche problema di coordinamento da correggere nelle fasi attuative), sia in ordine alla cd. “rottamazione delle cartelle” che in ordine a “ravvedimenti speciali”, “rateazioni agevolate” e “chiusura delle liti pendenti”, seppur con (diverse) limitazioni temporali e qualitative; sconti sulle sanzioni (e talvolta sul debito d’imposta) per ottenere un duplice effetto di cassa immediata e riduzione dei processi tributari.
Data la finalità, sorprende però l’esclusione delle casistiche legate ai capitali all’estero (soprattutto in relazione alle normate regolarizzazioni straordinarie delle già citate cripto-attività e delle polizze assicurative estere in LPS); resta forse sul campo – ma non vi è conferma – l’ipotesi di un prossimo intervento organico di riapertura della cd. voluntary disclosure, magari estendibile ai contanti.
A tale proposito, vi è la conferma – rispetto agli annunci iniziali – della modifica del limite all’utilizzo di contanti (ampliato), dell’allargamento dei limiti al cd. regime forfettario (a 85mila euro) e dell’introduzione della cosiddetta “tassa piatta incrementale” (invero, per tecnicismo e per limitazioni quantitative e temporali, non dovrebbe però chiamarsi così); interventi che, da un lato, mirano a ridurre il carico fiscale e, dall’altro, rischiano di acuire le distorsioni in termini di equità orizzontale fra contribuenti a parità di reddito ma generato da tipologie reddituali diverse.
Non mancano le contraddizioni Sorprende la presenza nella manovra di due misure che presupporrebbero la fine delle due emergenze recenti, quella pandemica e quella energetica: non sono state rinnovate, infatti, né l’agevolazione IVA sui talune prestazioni sanitarie (come vaccini e tamponi) e né la riduzione (tem-