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A CAVALLO CON POSEIDONE
Avvocata, coordinatrice del Desk europeo di Confprofessioni e Consigliere per la parità di genere della città Metropolitana di Cagliari, Susanna Pisano è anche giudice nazionale di concorsi di equitazione. Un modo per staccare dalla quotidianità ma anche un’efficace terapia psicologica. L’ideale per meditare e per mantenere il giusto equilibrio psicofisico
di Bruno Giurato
Avvocata nostra. Susanna Pisano oltre che essere stata componente del Consiglio Nazionale forense, e attualmente coordinatrice del Desk europeo di Confprofessioni e Consigliere per la parità di genere della città Metropolitana di Cagliari è anche una inguaribile e felice appassionata di equitazione, da sempre. Fascinata sulla via di Poseidone (patrono, oltre che del mare, dei cavalli) da bambina, ha sempre coltivato il sogno e ha finito per montare in sella per la prima volta a trent’anni. «Ho montato la stessa cavalla, femmina, per 27 anni, Oukumé. Siamo cresciute insieme. Andare a cavallo è un modo di staccare completamente col mondo, salendo su sentieri di montagna, guardando il mare dalle alture. Il cavallo non consente distrazioni, è un animale che se vuole ti tira giù e ha una memoria enorme: si ricorda di un torto per decenni, poi magari ti butta a terra», racconta Pisano a Il Libero Professionista Reloaded. «E soprattutto sente tutti i tuoi stati d’animo, forse perché si “guida” con tutto il corpo».
L’equitazione è molto più di uno sport per Pisano che lo considera una terapia psicologica meravigliosa. Una forma di meditazione. E naturalmente di relazione. «Nelle competizioni l’atleta non è mai il cavaliere, o l’amazzone: si tratta sempre di un binomio: umano/cavallo. In questo senso l’equitazione aiuta a comprendere l’aspetto relazionale dello sport e della vita», spiega Pisano che è anche giudice nazionale di concorsi di salto ostacoli di equitazione. «E al di là di certe esasperazioni legate al professionismo tutto converge verso una sorta di educazione alla relazione: tra esseri umani e tra questi e l’animale», conclude.
L’equitazione come modello di parità Anche se non sembra questo “secondo mestiere” della professionista sarda è strettamente legato al primo, alla pratica legale, rappresentativa e amministrativa. Anzi ne diventa il modello.
Un modello legato alla dimensione antropologica del femminile. Quindi della cura, della mediazione, della pazienza. Molto attiva sui temi della parità di genere, consapevole dello scarto (ontologico) tra femminile e maschile, del portato culturale (e anche degli errori) del pensiero femminista, Pisano offre una panoramica lucida e senza sconti dello stato delle cose in Italia.
«In tema di diritti siamo una democrazia malata. Le donne sono il 53% della popolazione, ma per quanto riguarda l’indice di parità siamo al 63esimo posto nel mondo, su poco meno 200 Paesi», dice. «Negli ultimi decenni le professioniste hanno invaso gli albi professionali: avvocatesse, commercialiste, non parliamo delle psicologhe.
Il 45% dei professionisti sono donne. Solo che, per esempio, sulla questione del gender pay gap, la situazione è disastrosa: nell’avvocatura, il mio albo di riferimento, abbiamo toccato il 56% di differenziale retributivo. Una donna guadagna meno della metà di un uomo di pari livello, qualifica, anni di attività” conclude. Viene in mente una domanda provocatoria: l’enfasi sul linguaggio “inclusivo” non corre il rischio di mascherare un problema pratico dietro al paravento lessicale? «Non sono d’accordo», risponde Pisano e poi spiega: «le parole tendono a diventare cose. Perché segretaria si può usare, e avvocata no? Tra l'altro “avvocato” deriva da “avvocata”, ed è una derivazione molto prestigiosa. Il fatto che spesso sono le donne stesse a voler “conquistare” il titolo professionale al maschile. Posso capire, è una situazione che ho attraversato anch’io: quando sostenni l’Esame di Stato, a Cagliari, nel 1977, passarono tre donne e 21 uomini.