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L’EDITORIALE
di Gaetano Stella
Seppur ancora zoppicante, la ripartenza del disegno di legge sull’equo compenso in Parlamento è un segnale che non possiamo trascurare. È una norma dichiaratamente perfettibile (sistema sanzionatorio, perimetro di applicazione, sino alla regolamentazione economica dell’attività professionale da parte degli ordini sono i nodi ancora da sciogliere), ma al tempo stesso può trasformarsi in un punto di partenza per avviare quel processo di riforma delle professioni, che consentirebbe alle attività professionali di allinearsi alle sfide di un mercato sempre più evoluto e competitivo. Digitalizzazione e welfare in primis. Il contesto politico è favorevole e mai come in questo periodo l’attenzione del legislatore sulle professioni è stata così alta, anche se in molti casi sfugge ancora quella piena consapevolezza della complessità del sistema professionale italiano. In queste pagine proviamo a dare un contributo per approfondire la conoscenza di una realtà in bilico tra declino e rilancio, partendo dal “VII Rapporto sulle libere professioni” che abbiamo presentato lo scorso 15 dicembre al Cnel, e tenendo ben presente il ruolo e le prospettive delle professioni nel contesto economico e sociale del Paese. Bisogna, quindi, cominciare a inquadrare il professionista come un soggetto che svolge un’attività economica - concetto ben assimilato dalla legislazione europea, un po’ meno da quella italiana - per comprendere i limiti e le potenzialità di un settore attraversato dalle profonde trasformazioni del mercato del lavoro. Il declino demografico, la fuga dei giovani dalla libera professione, il profondo divario tra Nord e Sud, il calo dei redditi e la tenuta del sistema previdenziale sono preoccupanti campanelli d’allarme in un’economia digitalizzata e impongono una profonda riflessione nel rapporto tra politica e professione. Da questa angolazione l’equo compenso è un primo passo importante. Ma da qualche parte bisogna pur partire.