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Il coraggio di non mollare
Angelo Angeli titolare, insieme alla moglie Sabrina Avancini, di ZV Meccanica: “Abbiamo costruito la nostra azienda dal niente, ci siamo indebitati e abbiamo fatto investimenti. Conosciamo bene la fatica e le situazioni difficili”.
Angelo Angeli e Sabrina Avancini
QUELLA DI ZV Meccanica non è solo la storia di un’azienda, ma è la storia di un sogno che si realizza, portato avanti con passione, coraggio e determinazione. Il sogno è quello di Angelo Angeli e della moglie Sabrina Avancini che nel 2009 decidono di mettersi in gioco e di rilevare l’azienda per cui lavorano come dipendenti, la ZV Meccanica di Arco. Dopo un periodo di trattative, nel 2010 l’impresa, fondata da Vittorio Zanella nel 1997 e operante nella meccanica di precisione, passa alla nuova direzione. Da allora ZV Meccanica non ha mai smesso di crescere, arrivando a contare oggi 29 collabora
tori e un fatturato di 5milioni di euro. Non ha mai rallentato, almeno fino al 22 marzo 2020 quando, a causa dell’emergenza epidemiologica e al conseguente Dpcm del Governo che imponeva la chiusura di tutte le attività non essenziali, anche ZV Meccanica ha dovuto fermare i macchinari e lasciare spazio ad un malinconico silenzio. “Abbiamo potuto lavorare fino al 25 marzo per concludere le spedizioni – racconta Angeli – poi abbiamo dovuto chiudere, ma abbiamo potuto riaprire in deroga il 14 aprile, perché collaboriamo con aziende ritenute essenziali. Quando devi chiudere non è facile, – prosegue Angeli – ma lo abbiamo accettato nostro malgrado. Si parlava di un paio di settimane. Il momento più duro è stato quando il Governo ha prolungato la quarantena. Allora ci siamo davvero preoccupati. Come imprenditori siamo abituati ad avere sotto controllo la situazione, in questo caso invece non potevamo controllare niente e abbiamo provato un gran senso di impotenza”. Angelo e Sabrina non sono però due persone che si lasciano scoraggiare facilmente, anche nelle situazioni più difficili sono sempre pronti a gestire l’imprevisto, ad accettare gli eventi e a reagire ad essi anche quando il mondo sembra crollarti addosso. “Io e mia moglie siamo un duo coriaceo – racconta Angeli con commozione – tre anni fa abbiamo dovuto affrontare la malattia di nostra figlia minore, Chiara. Abbiamo già fatto esperienza nell’uso di mascherine, guanti e disinfettanti. Speravo di non doverlo rivivere così presto, ma è una situazione a cui siamo già abituati. Abbiamo costruito la nostra azienda dal niente, ci siamo indebitati e abbiamo fatto investimenti. Conosciamo bene la fatica e le situazioni difficili”. Angelo e Sabrina, ai quali quella dote chiamata resilienza, di cui oggi sentiamo tanto parlare, è stata loro duramente imposta dalla vita, anche durante le settimane di chiusura non hanno perso tempo e si sono subito messi all’opera, pensando e progettando. Con loro anche la figlia maggiore, Giulia, entrata in azienda. “Ci siamo subito attivati, – spiega Angeli – per fare il punto sulle nostre risorse. Sono convinto che ogni impresa debba organizzarsi in modo tale da avere già al proprio interno i mezzi e le potenzialità per affrontare gli imprevisti. Abbiamo
aperto delle linee di credito con la banca su cui potremo contare in caso di necessità, tenendo ben presente che i debiti vanno restituiti e che se non sono fondati su degli investimenti è difficile sostenerli. Abbiamo scoperto le potenzialità dello smart working e ci stiamo già organizzando per implementarlo anche dopo l’emergenza. Non si tratta solo di un ottimo strumento di welfare aziendale, ma permette anche di ottimizzare tempi e risultati, garantendo la possibilità di poter continuare a contare su personale preparato anche quando quest’ultimo, come nel caso della maternità, dovesse essere impossibilitato a raggiungere fisicamente il luogo di lavoro. Ci siamo messi all’opera anche per rivedere la gestione logistica, riorganizzando il nostro asset aziendale per poter operare in sicurezza secondo le disposizioni governative, ma anche in vista del trasloco che faremo a fine anno nel nuovo immobile attualmente in fase di ristrutturazione”. Qualità, tempestività, prodotti custom made e servizio post vendita sono i punti di forza di


quest’azienda che negli anni, passo dopo passo, ha saputo gettare fondamenta solide su cui oggi può contare. “A marzo -– spiega Angeli – abbiamo perso il 60% di fatturato, ad aprile il 35-40%. Ora la situazione sta migliorando. L’innovazione, la tecnologia e la formazione delle risorse umane, su cui abbiamo sempre investito, sono gli strumenti che ci consentono di reggere il colpo. A luglio festeggeremo i primi dieci anni di attività e siamo davvero soddisfatti di ciò che siamo riusciti a costruire. Non ci preoccupano i prossimi mesi. Il danno c’è, ma un’azienda basata su un sistema solido è in grado di far fronte a qualche mese di crisi. Se però l’emergenza dovesse durare a lungo, allora sì che inizierei a preoccuparmi davvero. Servirebbero, a mio avviso politiche economiche mirate all’incentivazione degli acquisti, unitamente ad un maggiore sistema territoriale di rete d’impresa. Si tratta, purtroppo, di un principio poco radicato in Trentino, sul quale dobbiamo lavorare”. (gt)
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Un cigno nero chiamato Covid-19
Esclusi dalle statistiche, in quanto altamente improbabili, i cigni neri sono eventi di enorme portata che sconvolgono il consueto equilibrio. Ecco cosa sta accadendo.
di DANIELE BERTI, Confindustria Trento
PER IDENTIFICARE e comprendere nel modo migliore quello che sta succedendo in questo momento nel mondo, mi permetto di citare la teoria del cigno nero sviluppata dal matematico libanese Nassim Nicholas Taleb. Un cigno nero è “un evento non previsto, che ha effetti rilevanti e che, a posteriori, viene razionalizzato inappropriatamente e giudicato prevedibile”. Tutte le statistiche, per sviluppare percentuali di probabilità di accadimento di un evento, partono prendendo in considerazione lo spettro del possibile. Un cigno nero è un evento che non viene preso in considerazione dalle statistiche ma che ha ripercussioni sociali ed economiche molto profonde, come è stato per esempio l’attentato terroristico dell’11 settembre al World Trade Center. La pandemia di Covid-19, che negli ultimi quattro mesi ha investito il mondo intero, rientra perfettamente nella definizione di cigno nero. Come tale, non può essere studiato con metodologie standard e contrastato attuando contromisure già utilizzate in passato, ma bisogna cambiare prospettiva e introdurre nuovi strumenti per assorbire il contraccolpo sanitario, sociale ed economico. Mai nella storia di molti di noi ci si è trovati ad affrontare una crisi di queste proporzioni. L’economia globale sta andando in frantumi sotti i nostri occhi. Oltre alle centinaia di migliaia di perdite di vite umane, la pandemia provocherà perdite economiche colossali: 9mila miliardi di dollari per il 2020. Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha messo nero su bianco le drammatiche previsioni per l’anno in corso nel suo consueto World Economic Outlook, tracciando i contorni di una crisi senza precedenti. A fare la differenza, rispetto al passato, è che stavolta ad essere colpito è il mondo intero. L’Fmi indica come ben 170 Paesi potrebbero presentare una crescita negativa nel 2020, con una contrazione media del 6% negli Stati avanzati e dell’1% nelle nazioni emergenti. Nella migliore delle ipotesi quindi, con il contenimento del virus entro la seconda metà del 2020, il crollo del Pil mondiale sarà del 3%. La congiuntura tra crisi sanitaria ed economica rende meno probabile una rapida ripresa: la domanda è crollata, ci sono grandi “buchi” nelle catene di approvvigionamento globale e la crisi finanziaria coinvolge mercati e materie prime. Una menzione va fatta al mondo oltreoceano dove a preoccupare è la situazione socioeconomica, con i disoccupati che hanno raggiunto il livello record di 30 milioni di persone e continuano a crescere. Il tasso di disoccupazione è salito dal 3,5% (il valore più basso registrato negli ultimi 50 anni) fino al 4,4%, sebbene le stime della Federal Reserve prevedano il raggiungimento di un livello vicino al 10% entro la fine dell’anno. Anche per i paesi europei lo shock sarà davvero devastante. Nonostante la risposta politica rapida e integrata tanto a livello dell’Ue quanto a livello nazionale, quest’anno l’economia dell’Unione subirà una recessione di proporzioni storiche. I dati arrivati dalla Commissione Ue mostrano ormai in maniera abbastanza chiara che con la crisi causata dal Covid-19 l’Europa sia entrata nella più profonda recessione economica della sua storia. Tradotto in numeri, significa che per l’Eurozona il calo nel 2020 sarà del 7,7% e per l’intera Unione del 7,4%. Nel 2020 sarà la Grecia, tra i Paesi Ue, a registrare il maggiore crollo del Pil con una flessione del 9,7%. Seguita dall’Italia, con un calo del 9,5%. La Commissione Ue avverte che la pandemia avrà un grave impat
to sul mercato del lavoro, stimando un aumento del 9% della disoccupazione europea nel 2020. Lo shock per l’economia dell’Ue è simmetrico, poiché la pandemia ha colpito tutti gli Stati membri, ma secondo le previsioni l’ampiezza del rimbalzo del 2021 saranno marcatamente diverse. La ripresa economica dipenderà proprio dalla capacità dei Paesi di contenere la diffusione dei contagi, mettendo in atto misure per favorire la ripresa economica. I dati aggregati a livello europeo nascondono considerevoli differenze fra Paesi. Entro la fine del 2021 solo Germania, Croazia, Austria e Slovacchia torneranno ai livelli di fine 2019, mentre Italia, Spagna e Paesi Bassi è previsto rimanga al di sotto del livello di fine 2019 di più del 2%. La stima del crollo del nostro Paese contenuta nelle previsioni della Commissione Europea è perfino peggiore di quanto aveva stimato il governo nel Def, dove si indicava un calo dell’8% del Pil per quest’anno. Per Bruxelles il nostro debito raggiungerà il 158,9% nel 2020. Pandemia e lockdown spingeranno l’economia italiana in una profonda recessione, con un rimbalzo tecnico nella seconda metà del 2020, sostenuto dalle misure del Governo, e una parziale ripresa nel 2021. Le stime economiche della Commissione vedono il Pil italiano contrarsi del 9,5% quest’anno, e rimbalzare al 6,5% l’anno prossimo. All’interno del nostro Paese le varie regioni sono state colpite in maniera più o meno violenta dalla crisi. La differenza di intensità dipende dalla vocazione economica principale di ogni territorio. In Trentino nel primo trimestre del 2020 il fatturato complessivo realizzato dalle imprese diminuisce del 7,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. I settori che denotano una più significativa riduzione del fatturato sono quelli legati alla ristorazione e alle attività sportive (-30%), mentre il manifatturiero attesta una perdita del 7,5%. Anche l’occupazione si riduce del 3%, includendo anche i dipendenti attualmente beneficiari degli ammortizzatori sociali. Quello che spaventa maggiormente l’economia mondiale e quindi di conseguenza anche quella locale è la brusca frenata degli scambi commerciali, bloccando così intere catene del valore. L’export trentino denota un vero e proprio crollo con una diminuzione del 10,5%. Il nostro export è legato in maniera forte all’economia tedesca, soprattutto al settore dell’automotive, il quale era già pesantemente in difficoltà prima dello scoppio della pandemia. Nonostante le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, ma anche quelle di altri organismi, non siano molto ottimiste, i Paesi hanno a disposizione diversi strumenti per rivitalizzare l’economia e sostenere la ripresa dell’attività. Le manovre già realizzate hanno avuto un impatto positivo, grazie a un’iniezione complessiva che ha superato gli 8 mila miliardi di dollari, rivolte soprattutto alla gestione della crisi sanitaria e al supporto di famiglie, imprese e delle fasce della popolazione più deboli. D’ora in avanti sarà necessario sostenere le banche e il sistema finanziario, attraverso l’azione delle banche centrali, che saranno chiamate a scongiurare la stretta del credito, garantendo fondi sufficienti per aziende, liberi professionisti e famiglie. I provvedimenti di politica monetaria dovranno assicurare la ripresa della produzione industriale, delle attività economiche e stimolare i consumi, puntando sull’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei servizi. In particolare, ogni Paese dovrà gestire in maniera accurata la Fase 2, allentando le restrizioni in modo graduale e monitorando l’evolversi della situazione, per scongiurare eventuali ricadute e aumenti improvvisi dei nuovi contagi. Per uscire dalla crisi economica 2020 sarà necessario l’impegno di tutti, tramite il coordinamento a livello globale delle misure da intraprendere per evitare il collasso del sistema economico-finanziario.
Dopo la tempesta
Alessandro Garofalo, propone in modo pragmatico alcuni consigli e strategie per affrontare con successo la sfida che ci attende.
dI ALESSANDRO GAROFALO, Ceo e founder di Garofalo & Idee Associate
SI È SCRITTO anche troppo di cigni neri o di altre 50 sfumature, vorrei essere pragmatico e costruire insieme a voi un nuovo game per possibilmente vincere la partita che ci si sta prospettando.
La strategia da seguire? Essere in grado di avere più alternative possibili per allargare il ventaglio delle diverse riconfigurazioni dell’intero sistema. Nulla di nuovo comunque, anni fa lo predicava Peter Senge profetizzando le organizzazioni in grado di apprendere. Pubblicò La quinta disciplina in italiano nel 1992 che: “ci dà degli schemi mentali per ‘vedere’ in termini di interrelazioni piuttosto che di catene causa-effetto lineari, considerando dei processi continui di cambiamento piuttosto che delle istantanee”. Questo scrisse nella prefazione il grande Alberto Galgano, colui che in assoluto, più di chiunque altro e per primo, mi ha insegnato la missione dell’innovatore. Già in quegli anni Giorgio Merli parlava di azienda olonico virtuale: un insieme di unità operative autonome che agiscono in modo integrato e organico, nell’ambito di un sistema a rete di tipo olonico (nuclei fra loro interattivi), per configurarsi ogni volta al meglio come catena del valore più adatta per perseguire le opportunità di business che il mercato presenta. Un’organizzazione olonica è quindi una rete integrata e organizzata di soggetti (organizzazioni, imprese, individui…) capaci di cooperare tra loro, mantenendo la propria autonomia in vista di finalità comuni e risultati condivisi.
Come si può spiegare in modo semplice questo concetto? Analizzando i movimenti della stella marina: si sposta allungando e ritraendo le braccia, attivando solo i peduncoli necessari per lo spostamento. Per orientarsi usa il senso del tatto, del gusto e dell’olfatto. Non ha occhi, ma molte specie sono dotate di organi che distinguono la luce dal buio. La stella marina ha una grande capacità di guarigione infatti le sue braccia, se vengono staccate, ricrescono in poco tempo. Non solo, a volte dall’arto staccato si genera una stella marina completa. Si parla di “struttura a stella marina” quando un sistema è formato da singole parti che possono sopravvivere, agire e riprodursi anche senza un controllo centrale (grazie all’Enciclopedia Ovo per queste informazioni).
Ok, ma come si fa? In pratica cosa si può fare per ripartire? Propongo due aree di intervento con relative azioni: a) La prima riguarda la comunità delle persone che collaborano con noi • Ingaggiare costantemente le persone, tenerle concentrate, vedersi in video per cogliere i non verbali sottesi, prepararsi a ogni collegamento senza improvvisare, diffondere ottimismo, curarsi e curare l’estetica funzionale della propria postazione per ispirare ordine, pulizia, essenzialità • Parlare di futuro, non ricordare sempre i bei tempi • Riorganizzare i processi produttivi e di servizio nell’ottica delle nuove norme di sicurezza a tutela della salute, rispettando il distanziamento • Preoccuparsi di pagare i fornitori ove possibile. Dobbiamo costruire un sistema che attivi tutte le singole unità di fornitura diffuse sul territorio, realizzando così una rete di intelligenza collettiva, gestibile anche da remoto. • Aumentare la digitalizzazione e investire in cybersecurity • Fare azioni di benchmarking con colleghi imprenditori, manager, per discutere e condividere approcci ai problemi
• Sanare le cicatrici e ferite che tale situazione ha lasciato nella mappa valoriale della propria azienda per riconsolidare il senso d’appartenenza • Migliorare lo smart working e assumere modalità di open leadership. Charlene Li pubblica nel 2011 Open Leadership per Rizzoli, dove si discute di come dirigere con successo nell’era digitale, e cioè perdendo il controllo. Il primo mese di #Coronavirus ha dimostrato che il distanziamento sociale e le modalità di lavoro da remoto hanno azzerato il vecchio concetto di “capo”. Tutto questo va fatto con rapidità e sincronismo. Meditiamo a questo punto, pensando anche al periodo di quarantena che stiamo attraversando, sulle parole con cui Valentino Rossi definisce la velocità per Zingarelli: “Ci vuole testa e fisico per la velocità. Quella padronanza che permette di apprezzare la lentezza, quando essere veloci non serve affatto.”
b) La seconda si concentra su come far diventare resiliente un’azienda Il concetto di resilienza si accompagna a quello di rigenerazione e di riorganizzazione in un processo di mutamento continuo. È la capacità di un sistema di confrontarsi con i cambiamenti e continuare a svilupparsi. Attraverso quali azioni? • Riconoscere le diverse vulnerabilità dell’organizzazione, facendo quindi una mappa dei rischi • Cercare un trade-off tra efficienza e ridondanza cioè distinguere l’essenziale dal superfluo e ridurre i costi agendo sull’analisi degli sprechi individuando i costi della non qualità (si pensi che in aree di servizio raggiunge circa il 20% dei costi operativi). Quindi è opportuno imparare a convivere con i paradossi, non è detto che bisogna sempre risolverli • Dare spazio a punti di vista diversi, avere collaboratori forti sul critical thinking e robusti a livello di digital soft skills (digital awareness, virtual communication, self-empowerment, knowledge networking e co-creativity) • Alimentare la creatività dal basso (logica di startup, spin-off e hackathon) • Imparare dagli errori traendo spunto da Samuel Beckett “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio”, splendida sintesi del metodo
Hansei • Mantenere viva l’osservazione dei trend esterni: ritengo questo ultimo punto fondamentale, bisogna essere attenti lettori di quello che succede fuori. Questo osservatorio deve riguardare diversi aspetti: i contenuti digitali, la politica, l’economia, la tecnologia, l’ambiente e anche l’ambito legale. Insomma tutto quello che fa parte del sistema esogeno. Dobbiamo concentrarci sui cambiamenti delle esigenze del nostro cliente e cogliere le domande inesplorate e/o insoddisfatte per trovare i famosi oceani blu o come dice il grande Alberto Bubbio “laghetti blu”, tramite tecniche come ad esempio i settori merceologici, Design thinking o rivisitazioni moderne del metodo Triz. È opportuno utilizzare tecniche di anticipazione, di Scenarios Map, di prospettive regressive. A questo punto, appena si rientrerà in azienda consiglierei all’imprenditore di circondarsi di una task force con comando per competenze. Superata l’emergenza bisogna includere gruppi interdisciplinari che sappiano governare la complessità. “L’intelligenza è distribuita e la soluzione sarà il risultato auto-organizzato di interazioni emergenti tra persone, organizzazioni, enti di ricerca, università, fornitori”, come ci dice il prof. Alberto Felice De Toni. È importante che il Dna dei componenti del gruppo sia il più vario possibile. Tale gruppo dovrà lavorare in ottica lean, quindi avrà a disposizione una data room (in perfetto stile Gabanelli) per ridurre i tempi di comunicazione, dove si incontrerà (anche in remoto) e potrà visualizzare tutte le informazioni, i dati e le infografiche utili alla presa di decisione veloce. Abbiamo visto alcuni spunti per ripartire. Vorrei chiudere con una frase del Principe Fabrizio Salina ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: “Appartengo ad una generazione disgraziata, a cavallo tra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare meno di accorgersi, sono privo di illusioni”.
Ipocrisia e sostenibilità
di LEONARDO FRONTANI, consulente Assoservizi, certified professional, facilitator e “aspirante futurista”
CIRCA 2500 anni fa ad Atene gli ipocriti, pestavano leggeri le assi di quercia levigate della Scena indossando maschere grottesche che coprivano il viso lasciando liberi gli occhi e la bocca. Noi tutti oggi, nel mondo fortemente industrializzato, calchiamo la scena di una commedia universale, in cui siamo attori, ipocriti, indossiamo la maschera della generazione umana più evoluta, che nasconde la nostra faccia colpevole di quelli che ogni giorno evitano con perizia di guardare alla realtà. Dal punto di vista storico, non c’è mai stata così tanta sicurezza e benessere nella nostra società nel suo complesso (Harari, Laloux). Malgrado questo abbiamo l’ossessione del controllo che illusorio per definizione, alimenta la paura. Abbiamo cibo in eccesso e lo sprechiamo, abbiamo una cura per quasi tutti i malanni ordinari, abbiamo scuole per imparare tutto ciò che desideriamo, abbiamo la possibilità di promettere ai nostri figli che nella vita potranno fare ciò che vorranno, diamo il benessere quotidiano per scontato e abbiamo un consumo che diventa intrattenimento e ci aiuta anche a combattere l’ansia o nutrire la nostra voglia di essere visti. Una società signorile di massa per il cui mantenimento in vita, ogni giorno combattiamo. In una forsennata missione quotidiana di

produzione e consumo, non nascondiamo la nostra presuntuosa aspirazione a sconfiggere le variabili di spazio e tempo. Non vogliamo morire, non vogliamo invecchiare, non vogliamo spostarci, ma vogliamo essere in posti diversi nello stesso momento; vogliamo comunicare sempre ed essere connessi con qualunque cosa in qualunque momento; vogliamo che i nostri desideri siano soddisfatti in un tempo ragionevole che è sempre troppo breve. Ipocriti, quando ci lamentiamo delle discariche o degli inceneritori (chiamiamo le cose con il loro nome); ipocriti quando la spiaggia è troppo sporca, quando lungo i fiumi la nostra passeggiata è disturbata da migliaia di sacchetti di plastica portati dalla piena; ipocriti quando compriamo auto sempre più grandi; ipocriti quando riempiamo la nostra casa di oggetti e poi compriamo una seconda casa per metterne altri e poi li cerchiamo, non li troviamo e se li troviamo dobbiamo tenerli in ordine, pulirli, lavorare un po’ per prendercene cura; ipocriti quando per lavare bene l’insalata usiamo 6 litri d’acqua potabile; ipocriti quando ingoiamo integratori alimentati per favorire una dieta ipocalorica o per combattere il colesterolo; ipocriti quando alziamo i termostati e spingiamo il pedale dell’acceleratore, ipocriti quando vogliamo che la soluzione venga trovata da un uomo forte (uomo, non donna), che prezzolato messia nelle aziende o nella politica, eserciti il potere temporaneo di “padre” per tirarci fuori dai guai.
Leonardo Frontani
Non lasciatevi ingannare, non sono un odiatore di professione o un vagabondo antisociale che condanna la società contemporanea. Anche io faccio parte di questo circo e questo mi toglie il sonno. Ho passato il 2019 ad esaltarmi per il movimento di Friday for Future ed è servito a farmi comprendere quanto sia anche io un ipocrita a non voler accorgermi che le mie 70 mail al giorno producono indirettamente 84 kg di anidride carbonica (fonte CWJOBS) ed è solo un aspetto di questa commedia quotidiana. Ognuno di noi, da quando apre gli occhi al mattino, contribuisce ad un copione che nessuno vuole leggere e che parla di insostenibilità di questo stile di vita fatto di consumo di tutto, anche dell’aria e dell’acqua così come delle relazioni e delle emozioni. Ma questo non è l’articolo di un ecologista un po’ fanatico, ma di chi lavora con le persone e accoglie quotidianamente tante storie che parlano di prestigio e di guadagno, di benessere e di relazione, di comodità e di sicurezza. Storie di dipendenza e di voglia d’indipendenza, ma pochissime storie di consapevolezza che lo scenario in cui ci muoviamo è caratterizzato da interdipendenza. In questi ultimi 20 anni ho visto in aula circa 12mila persone. Se avessi compreso prima che tutto va misurato con la lente dell’interdipendenza, avrei potuto dare un contributo forte al cambiamento? In questo secolo abbiamo forse l’ultima possibilità di abbandonare una visione del mondo stantia e una percezione della realtà inadeguata a un mondo sovrappopolato e globalizzato. I fenomeni non possono essere capiti studiandoli separatamente, in quanto sono problemi di sistema, che parlano la lingua dell’interconnessione e dell’interdipendenza. La vera crisi che viviamo non è quella dell’energia, dell’acqua o dell’aria, ma quella della percezione che ciò che riguarda me, non riguardi l’altro. Non aspettiamoci nulla dalla politica e da padri o messia. Non ho alcuna fiducia nella politica, perché non ha alcuna alfabetizzazione al futuro. In Italia ci sono tre temi su cui costruire la sostenibilità, ma stiamo facendo veramente poco: la popolazione invecchia. Nel 2050, una persona su 3 avrà più di 65 anni. Come potremo gestire il sistema pensionistico, quello sanitario, il mondo del lavoro? Se non cambiamo ora e adottiamo una visione sistemica, come potremmo permetterci di essere ancora un Paese ambizioso? Secondo punto: nel 2050 la temperatura media del globo, se non cambiamo ora, s’innalzerà quanto basta affinché il Mediterraneo diventi una pentola d’acqua calda, il mare si solleverà, le spiagge scompariranno, l’agricoltura tradizionale diventerà insostenibile, gli italiani si sposteranno verso nord, in tanti, tantissimi per non parlare di ciò che succederà in altri continenti. Come gestire questa nuova urbanizzazione che arriverà anche alle Alpi che tanto amiamo e proteggiamo? Terzo punto è la rete: tutto diventa automatismo, tutto è on-line. Siamo pronti a proteggerci da un possibile crack della rete o da un cyber attack in grande stile? Cosa succederebbe se cartelle sanitarie, conti bancari, atti amministrativi e giudiziari e così via, fossero cancellati? La nostra specie ha un’intelligenza sistemica innata che oggi fiorisce ancora nelle popolazioni indigene della Terra, dai Sami ai Boscimani: ovunque ci troviamo e qualunque cosa stiamo facendo, siamo sempre parte di qualcosa di più grande. Occorre distogliere il nostro sguardo dal particolare e aprirci a una visione panoramica che ci consenta di superare la logica taylorista e fordista della massima efficienza per sostituirla con sostenibilità. Immagino che chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui ora penserà che siamo tutti capaci di scrivere e parlare, ma poi occorre trovare soluzioni. Ecco io ho la mia piccola scoperta professionale e umana da condividere: il segreto del successo dell’uomo è legato alla sua capacità di fare comunità. La sua intelligenza più grande è la capacità di legare il molteplice attorno a sé e acquisire una visione sistemica: sistema deriva dal greco syn e histanai che significa “mettere insieme”. Quando facciamo scelte, di qualunque natura esse siano, proviamo a chiederci in quale sistema ci muoviamo e quali saranno gli effetti anche secondari delle nostre scelte. Solo così, a mio giudizio, possiamo ancora guardare negli occhi i nostri bambini, prendere la loro mano e rassicurarli che andrà tutto bene.

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