Torus aspetti toroidali delluniverso virtuale

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TORUS: ASPETTI TOROIDALI DELL'UNIVERSO VIRTUALE Introduzione Nei lavori precedenti (1-4), abbiamo sottolineato come l'universo possedesse una probabile forma toroidale ed avevamo ipotizzato di poter calcolare le sue coordinate spazio temporali. La base di partenza veniva fornita dalla osservazione che: un universo virtuale frattalico e non locale, presentasse le stesse dimensioni dei mattoni con i quali era costruito. In quel contesto, si era messo in evidenza, da un lato come alcune cifre che costituivano i numeri delle costanti universali della fisica moderna, venissero ritrovate nei numeri che caratterizzavano l'Evideon, ma avevamo anche messo in evidenza come, lo stesso universo virtuale, avesse nel tempo cambiato forma e si fosse trasformato da una sfera ad un toroide in continua evoluzione, per tornare, alla fine della esistenza virtuale, come sfera. I concetti fondamentali che venivano espressi erano da un lato il valore della entropia del sistema, che doveva rimanere eguale nel tempo con valore nullo, e, d'altro canto, si poteva notare come, per ottenere questo risultato, le costanti universali dovessero subire oscillazioni attorno a valori prestabiliti. Così se si analizzava la situazione attuale, l'universo toroidale oscillava facendo variare velocemente sia il valore della Sezione Aurea che il valore della costante di struttura fine dell'universo. Ma la variazione contestuale di queste due grandezze non produceva nessuna variazione sul valore di Pi Greco, che dunque appariva essere una costante variabile. Invece se si osservava, su una ipotetica linea temporale, la variazione della forma del toroide, ecco che anche la variazione di Pi Greco prendeva forma. Avevamo effettuato alcune ipotesi sui valori di queste costanti tenendo presente che il valore della superficie del toroide deve essere sempre la stessa poiché si suppone che tale valore sia proporzionale all'entropia dell'intero sistema, in accordo con il principio dell'ologramma(5). Siamo ora in grado di fornire misure più precise che mostrano come il toroide non cambia mai il valore della sua superficie esterna e cioè mantiene il valore di entropia costante. Modello esatto di universo toroidale. Dall'analisi di un precedente lavoro(5) potevamo stabilire la seguente eguaglianza

432/32 = -1/(180)3/2 Il primo termine a sinistra di questa equazione esprimeva un rapporto che corrispondeva a numeri propri di un universo avente come valore di Pi Greco, il valore pari a 3,125, mentre il termine sulla destra metteva in evidenza come oscillazioni sul valore della costante di struttura fine dell'universo producessero variazioni sull'angolo di 180 gradi. In qualche modo a sinistra si descriveva un universo apparentemente perfetto ed a destra della equazione, potevamo utilizzare una equazione più generale per descrivere l'universo attuale, con valore di Pi Greco pari al classico 3,1415.... Sia il primo che il secondo termine della equazione valevano esattamente 13.5, numero assolutamente costante che stabilisce il valore della quantizzazione dell'universo evideonico(1-3). Bisogna notare che ogni variazione tra i valori di un universo ed un altro, caratterizzati sulla scala temporale, da forme del toroide differenti ed in evoluzione, era descrivibile da quantità precise e quantizzate. Per esempio la differenza fra i numeratori della nostra eguaglianza ed i denominatori,


erano sempre e comunque numeri evideonici. a-1p = 430,376720; 432-430,376720 = 1.62 (sottomultiplo della lunghezza del piano spaziotemporale dell'Evideon, con un valore di a-1 pari a 137). Analogamente 32 – 31.87975 (cioè il valore di 180 3/2) fornisce il valore di 0,12 che equivale al valore di 1,62/13.5. Gli innumerevoli tentativi di trovare utili correlazioni che garantissero una stabilità numerica ci hanno condotto alla seguente eguaglianza:

a-1/2pf = 13,5 = a-1p/2p2f il che equivale a scrivere che:

a-1p/2p2f = a-1p/(180)3/2 2p2f = (180)3/2 Tutto ciò ci porta a concludere che, variando il valore di Pi Greco, deve cambiare anche il valore della Sezione Aurea per fornire sempre un valore costante di Pi Greco. Ma supponendo dalle osservazioni fatte in precedenza(4) che l'universo evideonico oscilli, in ogni istante il valore di Pi Greco rimarrà costante ma la Sezione Aurea ed il valore 180 oscilleranno mentre, in una linea temporale attiva, i valori medi di Pi Greco, Sezione Aurea e 180 soddisfaranno comunque l'ultima eguaglianza. Sostanzialmente, tenendo fermo il valore di PI Greco su valori prestabiliti (Es:3.12, 3.125, 3.1415...) si ha una oscillazione del valore dell'angolo piatto che va da 179 a 181 per tenere la costante di struttura fine all'interno di valori tra 136 e138, con oscillazioni della Sezione aurea da 1.64 ad 1.60. Si scopre così che si hanno due opzioni: • •

la prima opzione prevede che Pi Greco debba essere un valore costante mentre il corrispondente valore dell'angolo piatto e della Sezione Aurea varino oscillando. la seconda opzione tiene fermo il valore di 180 e ciò determina il valore del prodotto di PI Greco al quadrato con la Sezione Aurea, le cui oscillazioni forniscono sempre un valore pari a (3,996)2.

Sostanzialmente si poteva considerare, nella visione atemporale non locale dell'universo, che Pi Greco non variasse. In quel contesto variava la Sezione Aurea che trascinava con se il valore della variazione dell'angolo piatto. Invece, in un contesto in cui, attimo per attimo, il valore di Pi Greco cambia, cambiava anche il valore della Sezione Aurea mantenendo costante il valore dell'angolo piatto. Se dunque si analizza l'universo, attimo per attimo, esso si esprime in una oscillazione continua dell'asse delle energie. Questa oscillazione è la responsabile della vita dell'universo non locale, virtuale. Ma quando analizziamo il percorso dell'universo toroidale nel tempo, esso presenta diversi valori di PI Greco a seconda dell'attimo considerato, iniziale, intermedio o finale, che però sono caratterizzati da un valore fisso del rapporto p(f)1/2 pari a 22. Questo risultato ci permette di effettuare due osservazioni. La prima delle quali è basata sul fatto che il numero 2 entra in tutte le formule che descrivono l'universo ed è rappresentativo della dualità. Se le cose stanno veramente così ci possiamo aspettare che i numeri fondamentali dell'Evideon siano numeri che siano esatte potenze di 2: Confrontiamo per esempio il valore della costante N di Avogadro calcolata come 2 (2^7)/1.62.


(4) Una seconda osservazione deriva dal valore della entropia dell'Universo. Sappiamo infatti che l'entropia S dell'universo è proporzionale alla superficie del toroide e sappiamo anche che la proporzionalità tra area superficiale del toroide e valore della entropia è stata calcolata da Hawkins(6, 7) e si esprime con la seguente relazione:

A/4 = S essendo che l'area del toroide è espressa dalle seguenti formule (4):

4p2Rr cioè nel nostro caso 4p2fr se ne evince che il prodotto 4p2f deve essere una costante nel tempo e assumere il valore di 64. Ma ciò vuole anche dire che il valore di r, cioè il valore del raggio del toroide (distanza dal centro del toroide al centro della circonferenza che caratterizza la sezione tubolare del toroide stesso), debba essere una costante. L'osservazione sui dati riportati in precedenza (4) davano l'idea che il valore della area del toroide dovesse essere 84 poiché l'area iniziale dell'Evideon appena nato era stata calcolata (4) sulla base dei valori dell'area di Planck (8) e sulla base del principio dell'ologramma (9) pari a 21 unità evideoniche (21x4=84). Geometricamente, se si uniscono due unità evideoniche sul piano spaziotemporale, lungo 1.62 unità evideoniche, si può calcolare che esse sono collocate ad una distanza pari al prodotto vettoriale del vettore spazio per il vettore tempo diviso 2 ([1.62x1.62xsen(90)]/2) pari a 1.3122 (che chiameremo L) unità evideoniche, corrispondenti ad un vettore pari alla metà della linea chiara che unisce i due centri evideonici.


Nella seguente tabella sono elencati i differenti valori di PI Greco in relazione agli altri valori che forniscono sempre una entropia pari a 84/4 = 21 unità evideoniche, in accordo con i valori ottenibili, tenendo presente i valori dell'area di Planck.

4p2fr = 84; p2fr = [p2fL2]/2 = S = 21 p

f

r= L2/2

p(f)1/2

3.50

1.31220

1.31220

4.009

3.33

1.44288

1.31250

3.996

3.1415

1.618033

1.31250

3.996

3.125

1.635124

1.31250

3.996

3.120

1.64000

1.31250

3.996

Tutto ciò, da un punto di vista puramente geometrico significa che l'universo toroidale possiede una importante caratteristica e cioè le due sezioni circolari del toroide possiedono due centri che sono sempre alla stessa distanza, durante le varie evoluzioni del toroide e pari a 1.31220 unità evideoniche. Le due circonferenze ci appaiono diventare più piccole ma si deve tener conto che mentre il valore di Pi Greco aumenta, il valore della Sezione Aurea, cioè la dimensione del piano spaziotemporale diminuisce. Nella ricostruzione in tre dimensioni dell'evoluzione del toroide si può notare che, se l'entropia deve rimanere costante, l'unica possibilità di ottenere risultati congrui con i dati di Hawkins e Planck sono quelli riportati in tabella. La sezione del toroide appare simulare l'interferenza di due centri oscillanti che formano onde sferiche di eguale intensità nello spaziotempo. Un fenomeno del genere lo possiamo ottenere gettando contemporaneamente in acqua due sassi di dimensioni ed energie cinetiche esattamente eguali. Si può notare come tutti i cerchi concentrici della sezione di destra e di sinistra conservino lo stesso punto di applicazione della interferenza. Le due interferenze sono dunque sempre alla stessa distanza tra loro. Ciò, nel nostro caso assume un significato interessante sulla nascita dell'universo evideonico. Infatti quando esso all'inizio si può rappresentare come una sfera perfetta, ecco che si formano due centri divisi da una ben precisa distanza. Attorno a questi centri si manifesterà il mondo di Shiva e di Vishnu in modo del tutto speculare.


Dunque la “separazione apparenteâ€? dell'universo di materia e di antimateria in realtĂ rimarrebbe una costante nello spaziotempo. Le diverse fasi della trasformazione del toroide sono indicate di seguito mostrando anche come l'intero universo mimi la geometria di un buco nero che peraltro, secondo lavori scientifici recenti, è mimata anche dalla rappresentazione di un singolo fotone. (11).


Alcuni autori(8) dichiarano che l'area quantizzata Aq può essere espressa come segue:

Aq = [4ln3]x(lp)2 dove Aq (9) è la minima area quantizzabile relazionabile alla minima entropia di un buco nero, lp è la lunghezza di Planck ed il logaritmo naturale di 3 è un numero decisamente arbitrario che fa tornare i conti, utilizzando le approssimazioni degli autori(11). Gli autori propongono che un fotone si comporti sostanzialmente come un minuscolo buco


nero, la cui area minima dunque sarebbe Aq. Sapendo che nel nostro caso sono i logaritmi in base due ad avere un significato geometrico, trasformiamo il ln di 3 nel logaritmo in base 2 di 4.32808. e lp nel valore della Sezione Aurea, eliminando i fattori che richiamano alle dimensioni, che, come sappiamo, nella geometria evideonica, non servono.

Ln(3) = 1.09861228866811 = lg(21.09861228866811) = lg(2.1414860...) ≈ lg(p-1) Questi autori sostanzialmente ottengono numericamente i nostri stessi risultati per l'attuale universo virtuale poiché:

4Lg(3.1415...-1)(1.618033)2 = 11.50 questo numero è assimilabile alla superficie più piccola possibile di entropia pari ad un valore di 11.50. Una entropia pari a quella di un ipotetico fotone. Ma va sottolineato come questa superficie vada, a nostro avviso, moltiplicata per 2 poiché i lati della superficie nel mondo evideonico sono quello superiore e quello inferiore, di un ipotetico piano spazio temporale. Cosi la superficie finale che sarebbe proporzionale alla entropia del fotone, sarebbe 11.5 x 2 = 23 contro il nostro valore di 21 unità evideoniche (adimensionali). Micro e macro toroidi Se l'universo evideonico è un toroide in evoluzione e se esso è veramente virtuale ed olografico ed anche frattalico, ciò significa che tutto è costruito in forma toroidale. Dovremo

perciò trovare la forma toroidale in tutte le manifestazioni. Solo da poco tempo infatti gli astronomi si sono accorti che molti degli agglomerati di oggetti galattici assumono la forma


toroidale. Le nuove assunzioni scientifiche hanno portato a scoprire per esempio che la nostra galassia ha forma toroidale come un orbitale atomico di tipo “dâ€? dove, al posto dei 2 lobi superiore ed inferiore, abbiamo un paio di bolle, dette Bolle di Fermi, che nessuno sa spiegarsi. Forse si tratta di materiale ionizzato che si è recentemente mostrato attraverso Hubble. (https://www.quora.com/Why-Do-Galaxies-Look-Like-Hydrogen-p-Orbitals) . Al computer le immagini della galassia appaiono legate alla presenza di un ipotetico buco nero posto al centro di essa. Sarebbe questo oggetto, che peraltro sembra avere caratteristiche simili all'universo evideonico, a fornire l'immagine di un toroide al cui centro campeggiano i due luoghi di spazio chiamati bolle di Fermi.

Ma anche altri oggetti galattici mostrano simili forme. Cosi la nebulosa di Crab che vediamo di seguito riprodotta:


Analizzando la forma del campo magnetico terrestre o la forma delle fasce di Van Allen ci si rende conto che il toroide è una forma decisamente presente nel nostro cosmo.

Cosi come le forme di oggetti galattici incredibilmente simili alla struttura toroidale evideonica:

Così anche nel microcosmo degli orbitali atomici e molecolari la forma toroide la fa da padrone. Vale la pena di analizzare meglio la forma degli orbitali atomici ed accorgersi che essi nascondono forme toroidali a prima vista impensabili. TORUS (Toroidal Orbital Unlocalized Surfaces) Gli orbitali atomici e molecolari sono, per definizione, luoghi di punti geometrici dove esiste una certa possibilità di trovare degli elettroni. Detto questo, Shroedinger (12) ha approssimato un calcolo delle forme di questi orbitali che, nell'unico caso praticamente quasi risolto, cioè nel caso del così definito atomo di idrogeno, mostrano come un elettrone possa vivere attorno ad un nucleo atomico contenente solo un protone.


Utilizzando le equazioni dell'atomo di idrogeno si può immaginare con notevoli approssimazioni, come potrebbe essere l'orbitale che accoglie questo elettrone, se esso avesse numero quantico primario “n” eguale ad 1. Si può altresì calcolare l'assurdamente ipotetico orbitale che corrispondesse a numeri quantici “n” più grandi di 1 ed, in quel contesto, alle variazioni necessarie quando nella equazione di Shroedinger sorge la necessità di dare vita ad altri numeri quantici, come il numero “l” ed il numero “m”. E' da notare come questo modello sia del tutto inesistente perché non si può pretendere che un elettrone abiti un orbitale con “n” superiore ad 1, mantenendo i livelli energetici sottostanti vuoti. Con questi calcoli si sono ottenuti i dati per la parametrizzazione degli orbitali “s”, “p”, “d”, “f” e “g”. Nonostante le notevoli approssimazioni di questo modello matematico, usando gli orbitali atomici così come vengono fuori dalla equazione di Shroedinger, il chimico ha una potente chiave di lettura per analizzare e spiegare tutte le reazioni chimiche. Le forme degli orbitali atomici, che poi verranno impiegate per costruire gli orbitali molecolari sono di seguito riportate.

Come si può notare da una prima analisi della tabella, le forme toroidali sembrano essere molte. In realtà questi orbitali sono TUTTI toroidi come vedremo tra poco. Le approssimazioni del modello di Shroedinger sono gigantesche ed anche se il modello sembra essere funzionale al lavoro del chimico, alcuni aspetti grossolani della fisica degli elettroni non vengono minimamente consapevolmente presi in considerazione. Prendiamo per esempio un orbitale di tipo “p”.


L'orbitale di tipo “p” ha tre sotto specie che sono indicate con p x, py e pz a seconda che l'orbitale abbia la sua massima densità di carica elettronica lungo uno degli assi X, Y o Z.

Tali orbitali per problemi matematici, non si sovrappongono, cioè non esiste nessuna zona dello spazio che sia in comune ai tre orbitali, proibendo ad un elettrone che si trova in uno di essi, di migrare in uno degli altri due, cosa che accadrebbe se esistesse una zona di spazio in comune (sovrapposizione). Analogamente i due lobi di ciascun orbitale non si sovrappongono (neanche al centro dove risiede il nucleo dell'atomo di idrogeno). Come fa allora un elettrone che si trovi in uno dei due lobi a finire nell'altro lobo? L'elettrone non può passare attraverso il nucleo a causa del suo superamento della velocità della luce per effetto Casimir(10). Questo effetto tunnel peraltro reale poiché esiste la stessa probabilità che l'elettrone possa trovarsi in uno qualsiasi dei due lobi dell'orbitale, non viene contemplato dall'approccio classico del tutto atemporale della originaria fisica quantistica, dove il tempo non è una variabile considerabile. In parole povere, nessuno sa come fa un elettrone a fare questi spostamenti. Per questo motivo ci è venuto in mente di costruire una rappresentazione tridimensionale degli orbitali atomici che possa reggere non solo nello spazio ma nello spaziotempo evideonico. In questo modo l'orbitale “p” per esempio, poteva essere ridisegnato come un toroide adagiato sul piano spaziotemporale, dove i due lobi dello stesso orbitale rappresenterebbero la forma solo spaziale dell'oggetto in questione. L'elettrone per passare da un lobo all'altro correrebbe lungo la sezione più o meno tubolare del toroide, comparendo all'opposto del punto di partenza (posizione speculare spazialmente). In altre parole l'elettrone, per passare da un lobo all'altro, userebbe un corridoio spaziotemporale, invisibile matematicamente alla descrizione degli orbitali classica ma ben evidenziabile all'interno della superficie evideonica toroidale che costituisce l'orbitale stesso. Mettendo a confronto il modello classico con il nuovo modello, si ha la netta impressione che tutti i problemi di incompatibilità matematico geometrica della equazione di Shroedinger vengano risolti.


A destra dell'osservatore un orbitale come si presenta nello spazio ed a sinistra come si presenta la sua sezione toroidale nel piano spaziotemporale. Analogamente tutti gli orbitali molecolari, anche i più complessi possono essere trasformati in toroidi nello spaziotempo. Un orbitale ibrido “sp”, per esempio, che possiede i due lobi asimmetrici può essere rappresentato come segue:

Nella visione classica, uno dei due lobi appare più piccolo a rappresentare la minor probabilità di trovarci l'elettrone, rispetto alla probabilità più alta di trovarlo nel lobo più grande. Nella visione evideonica toroidale, il risultato è lo stesso ma la spiegazione è differente. L'elettrone infatti, nel ruotare nel toroide cambia velocità in modo inversamente proporzionale alla sezione del toroide. Questo vuol semplicemente dire che esso è più veloce nella parte più stretta del toroide, il che equivale a dire che esiste una minor probabilità di trovarcelo. In questa rappresentazione anche il valore del segno (+ o -) è relativo ad un ipotetico osservatore che si trovi nel nodo centrale del toroide e rappresenta la direzione oraria od antioraria della rotazione dell'elettrone. Quando due orbitali “p” atomici, si sommano per dare un orbitale molecolare esso può essere di tipo “s” (sigma) o “p” (Pi Greco) a seconda che i due orbitali “p” siano posti sullo stesso asse o su due assi paralleli tra loro.


La somma di due orbitali atomici fornisce sempre due orbitali molecolari, uno di legame, che contiene due elettroni ed uno di anti legame potenzialmente vuoto (legame ad energia superiore contrassegnato da un asterisco *). Nel primo caso i volumi dei lobi degli orbitali in fase si sommano per dare un orbitale con volume piÚ ampio mentre nel secondo caso le zone a fase opposta (anti legame) si respingono. Con il sistema TORUS ecco come si può rappresentare un orbitale Sigma:

Il toro ottenuto ha una zona centrale dove gli elettroni hanno piĂš probabilitĂ di esistere ed


un toro esterno che circonda la prima zona di spaziotempo energia di fase opposta. La somma di due orbitali “p” per ottenere un orbitale di tipo Pi Greco invece può essere rappresentata toroidalmente come segue:

Una struttura più complessa come il triplo legame nell'acetilene viene così interpretato: Gli orbitali “d” sono ancora più complessi presentando lobi di fase alternati ma la visione toroidale non ha problemi nel graficarli.


Sostanzialmente l'analisi della sezione del toroide somma di tutti i toroidi di tutti gli orbitali molecolari che formano il triplo legame dell'alchino, sono sostanzialmente sovrapponibili

allo “shape” in tre dimensioni spaziali ma le informazioni che il sistema rappresentativo TORUS è in grado di proporre sembrano essere decisamente più vicine alla realtà, almeno da un punto di vista puramente visivo.

Una possibile visualizzazione toroidale dei quattro orbitali con i lobi due a due alternati di fase possono essere graficati come due toroidi inanellati assieme, la cui sezione toroidale mostra lo stesso “shape” sul piano spaziotemporale (piatto) della visione tridimensionale classica. L'idea di graficare il movimento degli elettroni nello spaziotempo, sebbene sia una necessità, appare una via poco praticata dalla fisica moderna che impatta contro il vecchio significato quantistico di energia, dove lo spazio ed il tempo invece sarebbero banalmente continui. In realtà sia il tempo che lo spazio sono ovviamente quantizzati. Alcuni autori (13) considerano lo spazio tridimensionale e piatto (graficato su un piano), così come il tempo e calcolano il movimento nello spaziotempo in modo angolare, proiettando le variazioni angolari spaziali e temporali, su un opportuno piano spaziotemporale. Tenendo conto che la circonferenza che rappresenta lo spazio circolare e la circonferenza che esprime il tempo circolare, sono fra loro perpendicolari, ne risulta una circonferenza spaziotemporale a 45 gradi. Tale risultato conduce a scrivere equazioni di spaziotempo toroidali (13). Altri autori propongono di scrivere in coordinate toroidali lo spaziotempo (14). Altri calcolano che la struttura toroidale spaziotemporale, possa essere utile per descrivere oltre che elettroni e fotoni anche neutroni (15).


A destra abbiamo riportato come gli autori (13) descrivono un neutrone (costituito da due toroidi, uno che si rifĂ alla struttura dell'elettrone e l'altro che descrive il protone. Con questa rappresentazione un deuterione verrebbe rappresentato con i toroidi disegnati a sinistra. Altri autori (14) ancora, sostengono che gli elettroni siano costituiti da strutture interne fatte da fotoni (come nella classica visione evideonica del tutto) e propongono visioni toroidali della materia:


In particolare questi autori indicano con C = h/mc la lunghezza d'onda di Compton per il fotone quando esso è prodotto dall'annichilamento di un positrone ed un elettrone (1). Tale valore sarebbe esattamente 2.43 x 10 -12metri. Ma 2.43 è quel numero evideonico adimensionale che rappresenta esattamente la lunghezza dell'asse evideonico delle energie (1) e va ricordato che la lunghezza d'onda di un fotone nella prima riga spettrale è pari a121.5 x 10-7 cm mentre la sua energia è 13.6 Ev. Al di la delle unità di misura, sarà anche un caso ma queste cifre sono quelle che esprimono i numeri evideonici. (1)http://stedjee1.infinology.net/Velocity_Orbit_Electron/Velocity%20of%20Orbiting %20Electron.htm. Toroidi attorno a noi La presenza di forme toroidali è veramente dappertutto, anche in campi macro o microscopici dove, di solito, non siamo abituati a osservarle. Bisogna farsi una ragione del fatto che la forma toroidale, essendo la forma della virtualità è in tutte le cose e dunque può essere utilizzata per descrivere qualsiasi cosa: il che vuol dire fare anche previsioni sull'andamento di differenti parametri che vadano dalla economia mondiale, alla politica, al comportamento animale o di una galassia. Tutto sarà descrivibile con le equazioni del toroide opportunamente elaborate. x(u,v) = [axR + bxrxcos(uxc)]cos(vxd) y(u,v) = [axR + bxrxcos(uxc)]sen(vxd) z(u,v) = exrxsen(uxf) con a,b,c,d,e,f parametri opportuni, R è il raggio del toroide ed r il raggio della circonferenza che rappresenta la dimensione del tubo. Nel campo dei quattro elementi fondamentali:


Nel campo della biologia:

Nel campo della astrofisica:

E' evidente che, se le forme toroidali sono cosÏ comuni è perchÊ esse rappresentano l'archetipo della struttura universale. Conoscere dunque la fisica e la geometria toroidale ci dovrebbe permettere di fare previsioni lungo lo spazio ed il tempo, sapendo che essi possono essere due parametri fondamentali, con l'energia, del fenomeno che stiamo esaminando, sia esso politico, fisico, sociale. Trovare i parametri spazio temporali ed


energetici di qualsiasi fenomeno vorrebbe dire, applicare ad essi, le formule di parametrizzazione del toroide corrispondente e questo ci permetterebbe di analizzare quel fenomeno come una oscillazione, né più né meno come fosse una oscillazione di Compton, dove il tempo e lo spazio apparirebbero circolari. La descrizione dello spazio tempo circolare, ci permetterebbe di analizzare la ciclicità dei fenomeni virtuali, come la ascesa o la caduta dei mercati finanziari, gli spostamenti dei baricentri politici l'avvento di certe malattie, come fossero onde che, con opportuni parametri tendono a ripetersi. Il fatto che l'universo sia non locale prevede che il tempo all'esterno di esso non esista (3) ma prevede che all'interno del toroide universale, noi lo si percepisca come una oscillazione tra due punti identici. La teoria dello specchio toroidale Se tutto quello sostenuto fino ad ora è realmente virtuale, allora il nostro modo di vedere, sentire e percepire l'universo deve seguire le regole della geometria toroidale. Noi, in altre parole, all'interno del toroide, così come esso è in questo istante (con il valore di Pi Greco pari a 3,1415.... e la Sezione Aurea pari a 1,618033), percepiamo il nostro esterno come un toroide visto dall'interno, come se noi fossimo collocati nel tubo del toroide e guardassimo verso il centro. Tutta la virtualità ci apparirebbe cioè proiettata su uno schermo virtuale di forma toroidale dove inconsapevolmente le immagini di ciò che avremmo di fronte ci apparirebbero ai lati come due sezioni toroidali ed al centro vedremmo una colonna a forma di mandorla. Su questa superficie, come uno specchio, noi vedremmo ciò che crediamo essere l'esterno di noi, mentre sarebbe l'immagine distorta di noi stessi. Mano a mano che la consapevolezza aumenta, la colonna centrale si assottiglia e noi ci troveremmo al centro dell'ex toroide tornato ad essere sfera. Ciò significherebbe che avremmo consapevolezza di essere il tutto ma sopratutto di essere equidistanti da qualsiasi evento collocato nello spazio-tempo-energia. Non ci sarebbe la percezione di un oggetto più vicino di un altro nello spazio o nel tempo perché tutto sarebbe percepito come “non locale”. Ma prima di giungere a quel livello di consapevolezza dovremmo ammettere di passare attraverso un periodo di percezione distorta. Avere la consapevolezza della misura della distorsione ci aiuterebbe a comprendere gli errori (distorsioni) della nostra attuale percezione e velocizzerebbe il processo di acquisizione di consapevolezza. Oltre il toroide Nell'ottica di semplificare al massimo il modello dell'universo evideonico, ci siamo resi conto che, una più archetipale visione di esso, era costituita da un particolare toroide. In altre parole, il toroide da noi utilizzato fino ad ora come modello universale, rappresenta un ottimo modello ma può essere ancora ridotto ai minimi termini. L'universo infatti può avere differenti descrizioni parametriche ma la migliore di tutte sarà sicuramente quella che presenta il minor numero di parametri variabili, che sarà anche il modello geometricamente più semplice (ad energia più bassa). Il toroide classico, da noi utilizzato, possiede un problema che è legato alla presenza di due superfici: una esterna ed una interna. La superficie esterna è quella di cui ci siamo serviti per il calcolo della entropia assoluta del sistema isolato, ma ci si potrebbe chiedere perché esista anche una superficie interna. Da un punto di vista esclusivamente pratico percettivo, il nostro cervello comprende il toroide come un tubo esistenziale dove noi percorriamo in continuazione il percorso interno, “camminando” lungo la circonferenza R toroidale che rappresenta il nostro percorso spazio temporale circolare. Una visione però più corretta e minimale sarebbe quella in cui esiste una sola superficie e non due superfici, che potrebbero provocare perplessità sul calcolo della entropia totale del sistema. Non esiste infatti una entropia interna ed una esterna, almeno sulla base delle


osservazioni effettuate dalla fisica fino ad ora e soprattutto non esiste la divisone interno esterno che invece salta agli occhi con la, seppur interessante, visione toroidale. Il problema si risolve trasformando il toroide in un toroide molto particolare che in effetti ha una sola faccia ed un solo lato. Questo toroide particolare altro non è che il nastro di Moebius(16).

Il classico nastro di Moebius che vediamo riprodotto nella figura ha caratteristiche di simmetria speciali. Infatti esso non ha praticamente nessun elemento di simmetria, (il che equivale a possedere entropia nulla ed infinita assieme, considerando i due stereoisomeri, vedi dopo: N.d.A.). Avendo una sola faccia ed un solo lato, rappresenta la continuità circolare di spazio e tempo, la larghezza del nastro è legata non solo alla “larghezza” dello spaziotempo ma anche, attraverso la misura della distanza dal centro, alla energia, che ne determina lo spessore in altezza (se non esistesse l'energia, come all'inizio della creazione, il nastro sarebbe totalmente piatto. Esso rappresenta una dualità in cui non esiste discontinuità. La faccia esterna che rappresenta la materia, i fotoni, diviene interna dopo 360 gradi di rotazione, rappresentando gli anti fotoni cioè l'antimateria. Le due facce opposte in ogni punto rappresentano la continua dualità, come nel toroide ma solo in due dimensioni. Ma questo classico nastro ha ancora un problema da risolvere. Non avendo un piano di simmetria esso esiste in due forme otticamente attive (stereoisomeri). Invece l'universo non ha attività ottica all'inizio dei tempi poiché è completamente simmetrico. Per ottenere la seconda forma del toroide basta “rivoltarlo” come un calzino ed ecco che la faccia interna diverrà esterna ed il “senso di rotazione” per effettuare sul nastro lo stesso percorso, cambierà. Il problema si risolve facilmente tenendo presente che questo originale nastro non è la vera rappresentazione dell'universo perché esso dovrebbe essere un toroide senza “buco al centro” (non un toroide ring né un toroide horn) (4). Dunque possiamo costruire un nastro di Moebius che corrisponda al toroide finale del nostro universo, che abbia solo un punto in comune tra le due sfere che nel separarsi lo hanno formato (toroide horn).


Applicando questa variante, il risultato è strepitoso.

Una volta eliminato il foro centrale ecco apparire un doppio cono, con le caratteristiche del doppio cono fotonico previsto dalla natura evideonica per fotone ed antifotone. Compare un piano di simmetria che elimina la differenza fra destra e sinistra, fra fotone ed antifotone che si interconvertono tra loro senza punti di discontinuità. La visione dall'alto, mostra il cono fotonico supportato da una forma piana che rappresenta o ricorda le sezioni di due circonferenze (come nelle sezioni toroidali). Facendo percorrere ad una ipotetica pallina il viaggio attorno al bordo della figura ottenuta si scopre che essa percorre il bordo della base del “conoide” per scivolare al disotto ed andare a toccare tutti i punti del conoide inferiore e ritornare in alto con una impressionante continuità che mostra come il fotone e l'antifotone interconvertano tra loro con valori di derivata prima della funzione di probabilità mai nulli. Si nota che il bordo della base “conoide” non è lineare ma sale e scende mimando quella che è l'incertezza sui valori delle costanti universali tra cui il valore di a-1 che va da 136 a 138 (1,2,3). Dunque l'universo ancora una volta mostra una dualità non duale e tale concetto sarà fondamentale per comprendere quanto la nostra consapevolezza sia distante dal punto finale. A questo punto ci siamo chiesti che forma avrebbe assunto l'universo prima di questa immagine finale, cioè prima di tornare sfera. Si doveva costruire un nastro di Moebius che corrispondesse ad un toroide spindle subito dopo l'inizio della creazione, dopo cioè che la sfera iniziale si fosse trasformata in toroide (o dopo che il piano iniziale si fosse trasformato in un nastro di Moebius).


Paragonando le due situazioni ci rendiamo subito conto delle differenti trasformazioni. Innanzitutto mano a mano che l'universo va verso il toroide finale, il corrispondente nastro di Moebius (colore giallo) si “raddrizza” cioè la parte pseudo piana, che separa i due conoidi, assume una estensione inferiore rispetto alla situazione rossa precedente (situazione attuale). Il conoide diviene più stretto e si rifugia tutto nella zona materiale mentre il corrispondente conoide della situazione attuale, mostra la maggior parte della sua corrispondente superficie nella zona della materia (zona messa in evidenza nella simulazione tridimensionale, dove la parte di conoide che risiede nella antimateria non viene disegnata per chiarezza). In altre parole, questo modello ci sta dicendo che solo alla fine, ogni fotone sarà tale ed ogni antifotone sarà tale mentre nella situazione attuale, nel nostro semi universo, i fotoni virtuali sembrano avere più probabilità di manifestarsi come fotoni ed una minor possibilità di essere intercettati come antifotoni, al contrario di quello che accade nell'altra parte di semi universo anti materiale. In termini statistici o di elicità del fotone, tutto ciò ha un senso compiuto che viene rivelato dai calcoli pubblicati in letteratura sulla natura dell'antifotone (3) ma sembra indicarci che, alla fine del tempo virtuale, fotoni ed antifotoni saranno completamente separati in termini probabilistici (all'inizio il fotone virtuale ha il cinquanta per cento di possibilità di presentarsi come fotone o antifotone. Mentre alla fine, il fotone si presenta solo come tale ed egualmente l'antifotone. Queste simulazioni conducono ad una immagine dell'universo all'inizio che, nella visione tridimensionale classica, prima di divenire toroide, è sfera, mentre usando la geometria di Moebius, prima di assumere la forma di doppio conoide, è un semplice cerchio, totalmente bidimensionale (non esiste l'asse delle energie). Tale situazione si ripropone alla fine dell'universo, quando si riottiene una sfera, nella visione tridimensionale e cioè un cerchio in quella moebiusana. In questo contesto ancora una volta l'universo appare senza energie sia all'inizio che alla fine, cioè non esiste l'energia che da alla mente la capacità di creare la virtualità, estrudendo su un terzo asse e dando consistenza alle forme piatte archetipali bidimensionali del piano spaziotemporale. Le fasi della creazione geometricamente appaiono tre: una fase in cui Nulla è, una seconda fase in cui nasce il piano spaziotemporale ed una terza fase in cui arriva l'energia


e si crea la terza dimensione che a noi appare come materia. Alla fine le tre fasi scompariranno con un ordine inverso alla loro apparizione. Una buona visione di come le cose stanno ora e di come diverranno si può contemplare nella ricostruzione Wire esposta qui di seguito.


Va inoltre notato come in realtà il toroide è un nastro di Moebius. Per trasformare un nastro di Moebius in toroide basta prendere una striscia di carta e prima di unire i bordi opposti, si costruisce un tubo. I due estremi del tubo, se ritorti lungo l'asse del tubo ed uniti, formano un toroide del tutto simmetrico dove non si percepisce la distorsione che si percepisce nel nastro di Moebius a meno di non disegnare delle “linee di forza” sul tubo che originerà il toroide e poi unire gli estremi del toroide. Ma ciò appare evidente se si analizza il risultato della parametrizzazione del toroide introducendo linee di forza.

Da un punto di vista entropico il valore di tale misura deve essere identico a quello calcolato per il toroide in cui l'area vale 4p2f3/(2), e l'entropia sarà un quarto di questo valore (4). Essendo che l'area del nastro di Moebius è identica all'area del corrispondente nastro i cui estremi non vengono collegati in modo “opposto” abbiamo che: A = 2pRx(area della strisciax2) = 4pR[pR2/(2)] = 2 p2 R3 con R = f (valore Sezione Aurea) Per applicare queste condizioni è necessario che l'area della striscia sia 4pR2, che guarda caso, corrisponde all'area della sfera che costituisce l'universo iniziale. L'ipersfera Esiste una ulteriore rappresentazione dell'universo virtuale che gli astrofisici a volte utilizzano. Essi sostengono che l'universo virtuale possa essere rappresentato da una ipersfera in quattro dimensioni (17). Nella visione evideonica del tutto, all'inizio, l'universo è una sfera che però sostanzialmente ha 9 dimensioni spazio tempo energetiche, che si riducono a tre dimensioni se lavoriamo sostanzialmente solo con 3 assi. Tale visione ridotta è necessaria poiché il nostro cervello non è in grado di vedere più di 3 dimensioni. In modo più prosaico, essendo il nostro cervello capace di vedere solo il duale, esso non ha difficoltà a vedere uno spaziotempo come un oggetto unico, accompagnato dalla variabile


energia che poniamo, nell'Evideon su un asse perpendicolari al piano spaziotemporale. Però si può pensare di vedere se sia possibile immaginare l'universo come la sovrapposizione di 3 sfere che rappresentino spazio, con le sue tre dimensioni, tempo con le sue 3 dimensioni ed energia con altrettante direzioni. La sfera che viene fuori dalla sovrapposizione delle tre sfere iniziali è una ipersfera detta anche 3-sfera (18). L'analisi dell'universo virtuale descritto come una ipersfera, sarebbe corretto solo all'inizio della sua esistenza quando la geometria sferica non ha ancora subito distorsioni, ma il valore della sua entropia sarebbe comunque calcolabile e rimarrebbe fisso per tutto il percorso “temporale” dell'universo stesso. Per calcolare l'entropia della ipersfera in 4 dimensioni dobbiamo rivolgerci alla matematica degli iperoggetti (17) che, per le sfere, stabilisce opportune formule per identificare aree e superfici con il variare del numero n delle dimensioni utilizzate.

Dall'analisi dei dati riportati, si scopre che la ipersfera a 4 dimensioni, cioè una sfera la cui superficie rappresenta un volume (cioè le informazioni di 3 variabili adimensionali come spazio, tempo ed energia), possiede una area pari a 2p2R3 (con R = f nel nostro caso). Questa area rappresenta il nostro semi universo e deve essere moltiplicata per 2 per ottenere il valore totale della entropia, in valore assoluto. Così facendo si ottiene l'identico valore di entropia calcolato in precedenza, facendo uso sia del toroide che del nastro di Moebius. Inoltre l'analisi delle varie formule relative alle aree delle ipersfere in più dimensioni ci indica due interessanti aspetti. Il primo aspetto è legato all'andamento dei valori delle aree che assume un massimo


quando il numero n diviene eguale a 7 (con valori di n interi). Un secondo aspetto è legato alla osservazione che se osservo cosa accade in 6 dimensioni, si osserva che il valore dell'area della ipersfera vale esattamente p3f5. Non esiste nessun coefficiente moltiplicativo, come in tutti gli altri casi. Ricordiamo che questi coefficienti sono espressioni nel mondo evideonico delle proporzioni tra i vari assi dello spaziotempo e della energia. Per esempio il famoso 4/3, che si trova nel volume di una sfera in 3 dimensioni, dipende dal rapporto tra la lunghezza dell'asse del tempo o dello spazio diviso la lunghezza dell'asse delle energie (342/243) e ciò non può essere un caso. Una ulteriore osservazione è legata all'utilizzo della ipersfera in 6 dimensioni che rappresenterebbe le 6 direzioni che in Evideon rappresentano i 6 semiassi. In questo contesto non ci potrà sfuggire il fatto che il valore di p e di f, all'inizio dell'universo cioè 3.12 e 1.64 corrispettivamente, producono un valore dell'area della ipersfera esattamente di 360. Tutti i numeri del mondo evideonico sono gradi. (http://mathworld.wolfram.com/Hypersphere.html). Il loop Ora che possiamo formulare una semplice chiave di lettura dell'universo, possiamo usare questa immagine per comprendere frattalicamente quale sia il nostro percorso coscenziale. Se l'universo è costruito sotto forma di loop, ciò prevede che il comportamento umano segua sostanzialmente la geometria del nastro di Moebius. Un comportamento a loop sembra essere stato intercettato da alcuni studiosi che ritengono che il nostro cervello effettui loop in continuazione. Nel libro “Anelli dell’Io. Cosa c’è al cuore della coscienza?”(2007), Douglas Hofstadter (19) ha espresso la sua concezione del sistema cervello-mente con il ricorso originale e frequente alla metafora ed all’analogia, che consente anche ad un lettore non esperto di poter comprendere il suo modello della coscienza. Egli sostiene che un percorso coscenziale prevede alla fine una auto osservazione di se stessi: ma siccome colui che tu osservi all'esterno di te, altri non è che una immagine di te stesso, si scopre che stai osservando solo te stesso. Il problema dunque nasce dal fatto che non puoi imparare nulla dalla tua immagine speculare, cioè l'Altro, perché se tu non hai quella informazione che cerchi, essa non la troverai in nessun altro, poiché l'altro sei sempre te stesso. L'autore invoca a dimostrazione di questa sua tesi sia il principio di indeterminazione di Heisenberg che al teorema di indecidibilità di Goedel (2,3). Dunque l'uomo per andare alla ricerca di se stesso sarebbe ingabbiato e bloccato in un loop mentale che, in universo del tutto mancante di libero arbitrio, non potrebbe mai raggiungere la propria vera identità coscenziale. A tal proposito Hofstadter asserisce che: “l’interrogativo sull’ordine gerarchico all’interno del cervello identifica quello che vorremmo sapere di noi stessi o, più miratamente, dei nostri sé. Che cosa stava davvero succedendo quel bel giorno in quel bel cervello quando, a quanto pare, qualcosa che chiama sé stesso ‘io’ ha fatto qualcosa che è chiamato ‘decidere’, dopo il quale un’appendice articolata si è mossa in maniera fluida e un libro si è ritrovato dove era stato solo pochi secondi prima? C’era davvero qualcosa a cui è possibile riferirsi come ‘io’ che stava ‘mandando di qua e di là’ qualcosa in diverse strutture fisiche del cervello, con il risultato di inviare lungo le fibre nervose messaggi accuratamente coordinati e di far muovere di conseguenza spalla, gomito, polso e dita in un certo pattern complesso che ha rimesso a posto il libro


dov’era in origine o, al contrario, c’erano soltanto miriadi di processi fisici microscopici (collisioni quantomeccaniche fra elettroni, fotoni, gluoni, quark, e così via) che stavano accadendo in quella circoscritta regione del continuum spazio-temporale che il poeta Edson ha chiamato un ‘bulbo vacillante’? Possono sogni e sospiri, speranze e sofferenze, idee e convinzioni, interessi ed incertezze, infatuazioni ed invidie, ricordi ed ambizioni, attacchi di nostalgia e ondate di empatia, fitte di rimorso e scintille di genio avere un qualche ruolo nel mondo degli oggetti fisici? Hanno queste pure astrazioni dei poteri causali? Possono mandare di qua e di là cose che possiedono una massa, o sono soltanto finzioni senza potere? Può un indistinto, intangibile io dettar legge a oggetti fisici concreti come elettroni e muscoli?“La domanda è cruciale perché implica direttamente un’altra domanda, ossia“L’essere umano è un automa biologico completamente determinato da leggi fisiche?” da cui conseguirebbe che la coscienza e quello che chiamiamo “Io” non è altro che una illusione dovuta molto probabilmente a meccanismi di sopravvivenza evolutiva, ma senza alcuna realtà fisica e bio-chimica. https://youlogosblog.wordpress.com/2015/03/07/la-coscienza-come-loop-auto-osservativosecondo-douglas-hofstadter/. Questo autore evidentemente decisamente meccanicista per tradizione familiare, non tiene presente però le nuove indicazioni della fisica moderna tra le quali quella che il principio di indeterminazione in realtà sembra non esistere (3). Successivamente va considerato il fatto che abbiamo ampiamente dimostrato come esiste nell'universo creato il sistema per aggirare l'indecidibilità di Goedel postulando un universo coscenziale unico e simmetrico che, per evitare l'autoreferenzialità, si divide in due coscienze, immagini speculari l'una dell'altra, che si autodecidono tra loro, sapendo sempre che una è l'opposto dell'altra in quell'istante ma che, come la geometria del nastro di Moebius è determinata. Non è necessario sapere quale delle 2 parti sia chi è. Basta sapere che l'altra è il contrario della prima e sapere che questo contrario è del tutto apparente. Inoltre basta sapere che le 2 coscienze si sono formate da una coscienza indecidibile ed, il principio secondo il quale non esiste autoindecidibilità, decade. Semmai la testimonianza di questo autore ed il suo punto di vista denunciano l'incapacità consapevole di vedere oltre. In altre parole siccome ognuno di noi è il creatore del suo universo virtuale, se non abbiamo consapevolezza di essere i creatori non ci rimane che la consapevolezza di essere creati e, da quel punto coscenziale non ci si muoverà mai più. Ci si accorge che l'indeterminazione non esiste solo se si comprende che noi siamo i creatori, altrimenti essa sarà sempre la, davanti a noi come un muro invalicabile. Cosa accade dunque quando abbiamo un problema che non sappiamo risolvere o che crediamo di non poter risolvere? Stiamo applicando mentalmente il loop di Hofstadter. Ha ragione questo autore quando sostiene che l'altro è solo un nostro punto di auto osservazione ma c'è un “ma”. E' vero che io non posso chiedere ad un altro di aiutarmi a risolvere un mio problema coscenziale perché l'altro sono sempre io e se io non so non saprà nemmeno l'altro. E' interessante notare come tutto questo è stato abbondantemente messo in evidenza nelle istruzioni per l'ottenimento di un buon Triade Color Test Dinamico Flash (13) ed è interessante notare che, se qualcuno chiede ad un altro qualcosa, è essenziale comprendere che egli ritiene di non possedere quel qualcosa che va a chiedere ad un altro. Dunque mette in evidenza una mancanza di qualcosa che “crede” di non “possedere”. Si scoprirà che l'altro non solo inconsapevolmente crederà di non possedere la cosa richiesta ma crederà anche che qualcuno gliela voglia prendere. Se facciamo un esempio semplice scopriamo così che il bisogno di ricevere amore dall'altro è un “bisogno” che in realtà maschera la “necessità” di amare se stessi. Quando io desidero che l'altro mi ami, esso non lo potrà mai fare perché, essendo me stesso ed avendo la mia stessa consapevolezza, nella quale avviene l'interazione speculare, non potrà darmi una cosa che io stesso credo di non avere anzi: egli si sentirà inconsciamente spinto a dare, contro voglia, qualcosa di cui lui stesso avrà estremo bisogno.


Il loop è completo. Il loop innanzitutto va risolto con la consapevolezza del poterlo risolvere. Successivamente l'analisi del problema si riduce a comprendere che l'altro non potrà mai amarmi perché io posso solo amarmi da solo. Nell'istante in cui comprendo questo, il mio bisogno d'amore, o di qualsiasi altra cosa, svanisce. Io non chiedo più all'altro qualcosa che non ho perché da quell'istante so di “essere” io Amore e non “di possedere” amore. L'altro sentirà il nostro cambiamento inconsapevolmente come un proprio cambiamento e non si sentirà più defraudato del già poco amore che concedeva a se stesso ed abbasserà le barriere della inconsapevolezza. La conclusione è che nessuno può amare altri se non solo se stesso. Dunque non ha senso dare o ricevere amore perché questo significa non aver compreso cosa sia la non dualità ed il concetto di non separazione. Alla fine l'amore si è non si da. Ecco perché più vuoi essere amato e meno la gente ti ama. Questo esempio ci porta a generalizzarlo e ad affrontare l'uscita dal loop in modo effettivo. Analizziamo come abbiamo fatto ad uscire dal nostro loop amoroso. Abbiamo compreso cosa stava accadendo e, per un istante, abbiamo ricordato o rivissuto l'istante in cui avevamo la necessità di essere presi in considerazione dal partner. Esaminiamo in dettaglio le fasi del loop. Se consideriamo il bisogno come una malattia e se consideriamo la malattia una espressione della dualità ecco che essa ci apparirà come un momento di non coscenzialità. Dunque se si parte da una situazione di sanità, ci si ammala e questo vuol dire che stiamo chiedendo a noi stessi di comprendere qualcosa che la malattia stessa rappresenta. Il guarire vuol dire comprendere le cause della malattia e risolverle. Il soggetto malato, se decide di guarire, cercherà una soluzione e, se comprende che, per guarire, deve acquisire consapevolezza di sé, metterà in atto una strategia opportuna. A questo punto può decidere di non voler ricordare cosa ha creato il suo problema cioè decide di guarire ma non di acquisire consapevolezza del significato della propria malattia. Inevitabilmente la sua coscienza lo riporterà a seguire il loop e tornare ad avere la malattia perché lui possa decidere in un giro di giostra successivo di cambiare strategia. Fino a quando il soggetto non decide di rivivere il momento della propria iniziazione alla malattia, riconoscere ciò che non è armonico e correggerlo, rimarrà malato. Per esempio tutti coloro che sostengono di non riuscire ad effettuare il TCTDF sono nel loop, come tutti coloro che vanno dal medico perché li guarisca.


Il medico al massimo può insegnare come guarire ma non guarisce perché la guarigione è legata alla consapevolezza che ognuno deve seguire: un cammino di propria coscienza (autocoscienza) e non utilizzare la coscienza di altri perché ciò non funzionerà mai. L'aspetto auto osservativo nel nastro di Moebius In termini geometrici il processo di auto osservazione deve essere ben compreso nei suoi meccanismi fondamentali. Ci si potrebbe infatti domandare a cosa serve l'auto osservazione se essa, sembra che non porti a nulla secondo la versione di Hofstadter.

Analizziamo dunque il grafico illustrato sopra: La coscienza Reale si divide in 2 sotto-coscienze che indicheremo con il segno meno e più, come simboli della specularità. L'auto osservazione fra le due coscienze ci permette di comprendere e riunire le 2 parti nella coscienza Integrata che poi darà origine al “mondo felice”. Quando la coscienza si divide in 2 sotto coscienze speculari, bisogna tener conto che esse si possono specchiare con regole geometriche precise. In altre parole, una coscienza fatta di fotoni si specchierà in uno specchio materiale ed una coscienza di antifotoni si specchierà in uno specchio di antimateria. Come si vede dalla rappresentazione grafica sottostante, la coscienza positiva non vede nello specchio quella sua controparte negativa ma vede la sua immagine speculare, come del resto fa la coscienza caratterizzata dal segno meno. Per questo motivo ognuno di noi non vede nell'altro il suo contrario ma vede se stesso. Non vede ciò che è il contrario ma vede ciò che lui stesso è, in modo inoltre distorto come vedremo dopo. In parole povere quello che appare come il nostro nemico non è, come qualcuno può pensare, il nostro opposto: se noi siamo buoni lui è cattivo. In realtà noi vediamo nell'altro noi stessi e, se l'altro ci appare cattivo ecco che noi stessi crediamo di essere cattivi ma solo inconsapevolmente. Comprendere che non esistono i buoni ed i cattivi ha l'effetto miracoloso di permetterci di rompere la simmetria degli specchi e vedere oltre lo specchio della inesistente separazione. Ci permette cioè di vedere anche, oltre lo specchio, fotonico o anti fotonico che sia, il


nostro “contrario” e scoprire che, quel “contrario”, siamo in realtà la parte di noi che fino ad allora non potevamo scorgere. In quell'istante la coscienza con il segno meno e quella con il segno più sanno di auto

osservarsi. Non si tratta più di un semplice specchio che scimmiotta le nostre azioni ma dell' ”altro noi”, di quel “noi” che avevamo cercato erroneamente nello specchio e non al di la di esso, nella nostra immagine speculare ma che in realtà era dietro di essa, nascosto dalla geometrica simmetrica consapevolezza di sé. Il ritrovare la parte di sé che ti mancava è l'atto finale.


Il tunnel, del tubo del toroide, o l'unico lato del nastro di Moebius rappresentava un cammino ciclico dove le consapevolezze corrono alla ricerca del raggiungimento dell'altro che sta dalla parte opposta. E' chiaro che l'altro non verrà mai raggiunto a meno di non poter vedere direttamente al di là dello specchio della virtualità, osservare cioè attraverso lo specchio che rappresenta il toroide e scoprire che stai inseguendo te stesso.

Percezione dell'universo toroidale All'interno dell'universo toroidale noi abbiamo una distorta visione delle 3 variabili spazio, tempo ed energia. Ammettendo di essere collocati nel tubo del toroide e di guardare verso il centro di esso avremmo le seguenti inconsapevoli percezioni:

Visione di lato

Visione dall'alto

Visione di fronte

Ciò significa per esempio che analizzando la visione di lato ci rendiamo conto che le archetipiche posizioni alto e basso, bene e male, caldo e freddo, eccetera sono sopra la nostra testa ma sono percepite avanti a noi. Quando noi infatti indichiamo una di queste posizioni archetipiche il nostro braccio, la nostra mano ed il nostro dito, indicano in avanti in alto ed in avanti in basso. In questo contesto sarebbe possibile evidenziare che la linea


del tempo (sinistra/destra) ci appare una linea, (visione di fronte) ma la struttura attuale del toroide non ci permette di avere una corretta idea della “distanza” che gli eventi del passato, il futuro e lo stesso presente, producono nel nostro cervello. La porzione centrale del toroide, che non ci permette di vedere al di là di esso, ci fornisce, a specchio, una immagine di noi che sembra più vicina al centro ma che sfuma a sinistra ed a destra, simboleggiando il fatto che egoicamente siamo più presenti nel presente come idea della nostra identità ma abbiamo le idee confuse su chi eravamo e chi saremo: oppure, analizzando la situazione in alto ed in basso (energia) non ci è chiaro cosa facciamo (basso) e cosa pensiamo (alto). I ricordi ci appaiono non su una linea temporale (time line) ma su una curva che dapprima tende a distanziarsi da noi; una parte di tale linea con i suoi eventi è a noi nascosta e appare invece una serie di eventi che vengono verso di noi velocemente fino ad arrivare al presente. Guardando verso destra, cioè verso il futuro, ecco che la linea si svolgerà al contrario rispetto al passato, in modo speculare, rispetto ad uno specchio posto in verticale e che taglia la nostra osservazione dividendola in sinistra (passato) e destra (futuro). Ciò vorrebbe significare che abbiamo una buca temporale nei nostri ricordi. Questa buca è collocata tra l'inizio dei nostri ricordi e l'attuale presente e rappresenta un periodo più o meno lungo, dove i ricordi della nostra vita non vengono percepiti correttamente. E' altresì evidente che, quando si raggiunge la piena consapevolezza di sé, anche il toroide torna ad essere sfera e noi ci collochiamo al centro di essa così da percepire tutti gli eventi nello spazio-tempo, tutti egualmente equidistanti da noi. La distanza che si ha tra noi e la proiezione dell'evento sulla superficie interna del toroide, rappresenta la consapevolezza che noi abbiamo dell'evento stesso e solo quando tutti gli eventi avranno la stessa consapevolezza noi saremo perfettamente integrati ed il toroide non sarà più tale ma sarà tornato ad essere una sfera di cui noi occupiamo il centro (equidistanza). Mano a mano che la consapevolezza aumenta la protuberanza centrale del toroide si affievolisce permettendoci di guardare dietro, cioè dalla parte opposta al toroide. In quell'istante noi non vediamo più l'immagine di noi stessi riflessa nel corpo centrale del toroide: una immagine, come si nota, distorta dalla forma della virtualità, ma scopriamo i veri noi stessi, al di la dello specchio fotonico, che svanisce. In quell'istante si comprende che ciò che avevamo creduto di essere, attraverso l'immagine esteriore dell'altro, nascondeva una altra immagine, più profondamente celata dallo specchio. In altre parole, come abbiamo fino ad ora asserito, l'altro è uno specchio di noi stessi e possiamo usarlo solo per comprendere di noi ciò che non riusciamo a vedere dentro di noi ma non possiamo chiedere al nostro specchio qualcosa che noi non abbiamo poiché non lo possiede nemmeno lui. Ma osservando bene il nostro specchio noteremo che dietro quella immagine si nasconde il nostro vero target. L'immagine che sta dietro l'immagine fotonica è quella anti fotonica di noi stessi, quella che non ci scimmiotta all'esterno di noi ma che rappresenta quella altra parte di coscienza di cui abbiamo perso consapevolezza quando ci siamo separati in due coscienze e che nel mito rappresenta il nostro doppio (20). “Freud riprende il motivo del Doppio attribuendovi il carattere perturbante di sosia che è diventato uno spauracchio così come gli Dèi, dopo la caduta della loro religione, che si sono trasformati in dèmoni Lo stesso autore individua altre due dinamiche tipiche del gioco di rispecchiamenti: la regressione a momenti evolutivi in cui non sono ancora nettamente tracciati i confini tra l’Io e gli altri, tra mondo interno e mondo esterno ed il ritorno involontario e la ripetizione non intenzionale di situazioni già vissute (ovvero la coazione a ripetere, il loop). Ma ripetere cosa? Come già scritto in “Introduzione al narcisismo” (1914), Freud sottolinea che «L’uomo si è dimostrato incapace a rinunciare a un soddisfacimento di cui ha goduto nel passato. Non vuole essere privato della perfezione narcisistica della sua infanzia e se non è riuscito a serbare questa perfezione negli anni dello sviluppo, si sforza di riconquistarla nella nuova forma di un ideale dell’Io.


Ciò che egli proietta avanti a sé come proprio ideale è il sostituto del narcisismo perduto dell’infanzia, di quell’epoca, cioè, in cui egli stesso era il proprio ideale». Ecco che allora il sentimento del perturbante (il proprio Doppio) origina da eventi angosciosi soggetti a rimozione: se questa è la «natura segreta del perturbante», allora comprendiamo perché la parola heimlich includa significati che si spingono fino al suo contrario: l’elemento perturbante non è né nuovo né estraneo, bensì è qualcosa di familiare alla vita psichica fin dall’infanzia, qualcosa estraniatosi da questa a causa del processo di rimozione. Il Doppio, dunque, non è specchio della scissione dell’Io, ma residuo di un tempo psico-mitologico, in cui egli poteva essere un “amico”, in cui vigeva l’ «onnipotenza dei pensieri», il «subitaneo appagamento dei desideri», processi alla cui realtà abbiamo smesso di credere. L’heimlich-unheimlich insorge ogni qual volta il nostro esame di realtà viene messo in crisi dagli antichi convincimenti che credevamo superati; nel caso del Doppio, nella cui immagine è possibile riconoscere se stessi, il dilemma da sciogliere è se l’immagine contemporaneamente identica, eppure altra, che appare dinnanzi, sia fantastica oppure reale. (http://psicologia.tesionline.it/psicologia/article.jsp?id=27842). Noi ora sappiamo quale rapporto abbiamo con il nostro doppio. Esistono due livelli di Doppio: il primo rappresenta la nostra immagine speculare non riconosciuta nell' ”altro” ed il secondo livello è quello di un vero Doppio nascosto dietro l'immagine speculare del primo. Il vero Doppio è dunque dietro e rappresenta l'ultima barriera all'inganno incoscenziale dell'uomo. Scoprire il secondo Doppio vuol dire finalmente conoscere se stessi e non aver più bisogno degli altri poiché la fusione tra gli altri e se stessi diviene completa. Dunque osserviamo oltre l'Altro e rivedremo il noi stessi Vero e riconoscendoci nell'opposto di noi capiremo che non esistono gli opposti. Dove si colloca l'amore in tutto questo? Da nessuna parte poiché l'unica possibilità che rimane per credere all'esistenza dell'amore è pensare che esso è noi stessi. Cioè l'unica cosa che esiste. L'amore dunque non è una cosa che si fa ma è una unica manifestazione del proprio Sé, l'unica manifestazione esistente. Dunque il verbo amare non ha alcun senso perché esso non si fa ma si è. Sei, anche quando non sai di essere ma se sai di essere sei l'amore consapevole. I danni, che sono peraltro solo apparenti, li crea l'amore inconsapevole. Il loop primordiale e le sue ragioni d'essere Quando un soggetto ha dei problemi da risolvere, cioè è il suo stesso problema, ecco che il loop primordiale si rende manifesto. Il loop primordiale è quello che ha subito la coscienza nell'istante della sua separazione in 2 parti otticamente speculari. Nell'istante in cui la Coscienza si divide, le 2 parti di essa si osservano e si chiedono cosa sia accaduto. Da quella separazione nasce l'esigenza di comprendere la separazione stessa. Le 2 parti della Coscienza comprendono che nella separazione esiste la comprensione della unità e, se da una parte si deve effettuare l'esperienza della divisione, si comprende anche che l'obiettivo finale deve essere la riunificazione delle parti. Nascono così due pulsioni distinte e contrarie. La prima produce separazione per necessità e la seconda produce riunificazione per conclusione della esperienza. Dunque la Coscienza vorrebbe riunificarsi ma sa che non lo può fare perché deve terminare l'esperienza. Se infatti le 2 parti si riuniscono, sanno che non terminano l'esperienza per cui si sono trovate divise. Simbolicamente, archetipicamente e frattalicamente questa esperienza viene rivissuta da ciascuno di noi nell'atto della risoluzione del proprio problema. Si sa che per guarire dal proprio stato disarmonico (malattia) bisogna comprendere la causa che ci ha condotto alla disarmonia ma la disarmonia corrisponde sempre ad uno stato di separazione. Vincere la disarmonia vuol dire unificare dove nella unificazione, in senso generale, è compresa la


comprensione delle cose. Riunificare nella comprensione le parti del Sé vuol dire rinunciare alla esperienza, stessa di cui ognuno è parte integrante, generando la paura di terminare se stessi terminando il fare che rappresenta l'Essere, il Manifestare se stessi. Dunque il risolvere la separazione, da un lato è necessario per capire chi siamo ma d'altra parte è fonte di paura di terminare l'apprendimento e con esso di terminare la necessità di esistere. D'altro canto, la paura di vivere consapevolmente la separazione per comprenderne la vera natura, ci fa rimandare l'esperienza della guarigione a tempi indeterminati. Nel suo personale processo di acquisizione di consapevolezza, il singolo effettua inconsapevolmente ma frattalicamente, lo stesso percorso della Coscienza. Egli si sente di dover comprendere chi è e per capirlo non può rimanere unico, deve auto osservarsi, cosa che può mettere in atto solo sdoppiandosi. Nell'istante in cui si sdoppia perde consapevolezza di sé e sa che se si riunifica non potrà più auto osservarsi ma sa che se rimane diviso non sarà mai auto consapevole. Nell'istante in cui il singolo individuo comprende che dietro allo specchio di sé stesso, c'è l'altro, che è il suo vero doppio e punta la sua attenzione allo scoprimento di sé stesso attraverso la ricerca di questo vero Doppio, scopre la possibilità di “vedersi”. Nell'istante in cui lo percepisce sente dentro di sé di essere contemporaneamente 2, ma l'altro sé non scimmiotta specularmente il suo esistere. Esso è l'altro sé con una coscienza speculare. Tutti e due i sé hanno consapevolezza di non specchiarsi l'uno nell'altro ma sanno di essere intimamente entangled tra loro. Nell'istante in cui cade il velo dello specchio e osservi l'altra parte di te, scopri che non c'è niente da vedere. Un niente che si comprende essere il tutto, un niente che se da un lato ti da un istante di infinito smarrimento, nel comprendere che tu stai guardando te stesso cioè il nulla, hai anche contemporaneamente l'impressione di essere il tutto. La sensazione di smarrimento è la stessa che ha provato la Coscienza quando si è divisa ed è la stessa che riprova quando si riunisce. Questa è la vera essenza del Doppio. Hai la necessità di sdoppiarti per auto osservarti ed in quell'istante sai che puoi comprendere chi sei solo se rimani diviso ma nell'istante in cui comprendi che il tuo obiettivo è tornare ad essere chi sei, sai anche che devi perderti nel perdere la consapevolezza del doppio per tornare ad essere indefinito ma realmente unico. Psicoanaliticamente parlando questo è, secondo noi, il vero motivo del perché i singoli individui scelgono il percorso lungo e non quello breve (detto anche percorso felice). Il meccanismo atavico, che parte in automatico, quando si chiede ad una persona, sul perché non riesce a guarire pur volendolo è perché il soggetto risponderà che vuole guarire ma non vuole acquisire l'esperienza della guarigione. Il loop coscenziale è geometricamente ben costruito e descritto dalla geometria toroidale. Ognuno di noi, nell'osservarsi all'interno del toroide vede il centro di esso (vedi sopra) e vede la struttura del toroide davanti a se, osservando quella parte di toroide data dalla sovrapposizione delle 2 coscienze, che distorce l'immagine, come uno specchio convesso. Il sapere che esiste una altra virtualità dietro questo specchio convesso che è rappresentata dalla parte opposta al “dove sei ora” del toroide, ti permette di vedere oltre (prendere coscienza) e scoprire che al di la, esiste solo il nulla cioè la tua vera immagine. Al di la delle parole che siamo consapevoli non esprimeranno mai bene il significato delle sensazioni, abbiamo solo una possibilità per comprendere questi concetti e questa possibilità è data dalla esperienza del sentirsi doppio e uno assieme. Per trovare questa esperienza dentro di sé bisogna cercarla perché raramente essa inconsapevolmente capita da sola, come un momento estemporaneo di illuminazione. Essa, per chi non possiede l'opportunità di momenti illuminativi casuali deve essere causalmente prodotta. Solo allora questa mia descrizione potrà assumere un significato coerente anche per altre parti del Tutto.


Campi morfici e struttura toroidale dell'universo Rupert Sheldrake è un biologo di fama internazionale che ha creato una teoria detta dei campi morfici, che prevedono che l'universo abbia una struttura olonica di tipo virtuale ed olografica. I così detti campi morfici sarebbero una serie di campi di interazione tra vari luoghi spazio temporali dell'universo che, essendo non locale, permetterebbero di ottenere passaggi di informazioni da luoghi che apparirebbero anche molto lontani tra loro ma che in realtà sarebbero collegati. Le interazioni tra punti dei differenti luoghi sarebbero possibili attraverso i campi morfici, una sorta di biorisonanza che permetterebbe ad un osservatore di “sentire” gli effetti di un altro osservatore sostanzialmente e nascostamente entangled. Mentre i lavori di Sheldrake trovano riscontro ed appoggio nella fisica di Bohm hanno suscitato le critiche della comunità scientifica che sovente si è rifiutata anche di pubblicare i lavori di Sheldrake. Ben Steigmann (21) fa una interessante carrellata critica sui sostenitori e sui denigratori delle teorie di Sheldrake dalla quale si può comprendere facilmente che, se da un lato le critiche sono sostanzialmente legate alla mancanza di una vera teoria che permetta a Sheldrake di dimostrare gli effetti previsti dai campi morfogenetici, d'altro canto, questi campi spiegherebbero molte delle cose che la fisica e la biologia moderna non riescono a spiegarsi. La negazione a priori delle teorie dei campi morfogenetici appare più legata al rifiuto, da parte degli scientisti, ad ammettere la loro esistenza poiché essa distruggerebbe una serie di dogmi storici. L'universo virtuale infatti è legato alla teoria dell'ologramma di Bohm che a sua volta sarebbe una conseguenza diretta della assenza degli Dei. Soprattutto, leggendo le teorie di Sheldrake ci si rende conto che si parla implicitamente di anti entropia, il che inevitabilmente sfocia ancora una volta alla possibilità di spiegare tutto con gli anti fotoni. Così come Sheldrake anche Ervin Laszlo, filosofo ungherese, esperto di filosofia della scienza è considerato il fondatore della teoria dei sistemi, ha pubblicato circa 75 libri tradotti in 19 lingue e oltre 400 pubblicazioni scientifiche ha a suo carico due nomination al premio Nobel è tra i sostenitori della teoria di Sheldrake. Il fatto che fino ad oggi sia mancata una vera e propria teoria dei campi morfici non vuol però dire che essi non esistano. La scienza moderna sovente considera un fenomeno reale solo se esiste una formula che descriva il fenomeno. In assenza della formula il fenomeno non viene considerato esistente anche se è sotto gli occhi dello sperimentatore quotidianamente poiché esso, quotidianamente, tenderà a non volerlo prendere in considerazione. Uno degli effetti eclatanti della esistenza dei campi morfici è la teoria della centesima scimmia (22), che prevede che se un essere vivente prenda coscienza di un fenomeno qualsiasi fino a quel momento sconosciuto al resto dell'universo, esso diventerà fruibile a tutto l'universo vivente e ci saranno esseri viventi che, da quel momento, conosceranno quel fenomeno anche se non ne hanno mai fatto esperienza. Si nota come wikipedia si affretti a sostenere che questo fenomeno leggendario sia inesistente ma del resto wikipedia si affretta ad esaltare le qualità di Laszlo come Pianista o quelle di Sheldrake come scrittore mentre tenta di bypassare le informazioni che potrebbero condurre il lettore a prendere in seria considerazione il fenomeno come un fenomeno scientificamente accadibile. Del resto wikipedia è quella enciclopedia elettronica che sostiene che di Bohm sostanzialmente possiamo fare anche a meno, così come delle teorie di Erickson sulla ipnosi o di Pribram come neurofisiologo, sostenitore della virtualità olografica. La difficoltà a matematizzare la descrizione dei campi morfici continua ad essere il principale strumento sul campo di battaglia degli scienziati nel sostenere che “se una cosa non si può descrivere”, allora non esiste. L'universo evideonico invece riesce a sistemare le cose. Prendiamo come spunto le teorie del dottor Massimo Citro che in Italia sicuramente è il massimo esperto per quanto riguarda la ricerca sul Trasferimento Farmacologico Frequenziale (TFF).


In parole povere si tratta di prendere un farmaco, bombardarlo con opportune frequenze, registrare (ascoltare) le frequenze di emissione della soluzione contenente il farmaco e con esse, bombardare una soluzione di acqua pura. La soluzione di acqua pura prenderà le caratteristiche del farmaco pur non contenendolo e, se somministrato al paziente, ne produrrà gli stessi effetti. Dunque questo fenomeno permette di curarsi prendendo acqua distillata con all'interno l'informazione del farmaco. I risultati sembrano essere quasi sempre riproducibili ma è quel “quasi” che viene preso dalla scienza ortodossa come mancanza di riproducibilità. Ancora una volta l'assenza di una vera teoria descrittiva del fenomeno (25b) viene strumentalizzata per sostenere che il fenomeno non esiste (22). Ma come spiegare allora che pazienti in crisi di astinenza da droghe, non mostrano i sintomi della crisi se a loro viene iniettata in vena una soluzione di acqua distillata che ha subito l'impronta del farmaco dopante? Il campo toroidale In verità sembra che la spiegazione di questo interessante fenomeno sia già scritta nei lavori scientifici degli esperti di biofisica ma che nessuno si sia accorto di averla già scritta. Cosa fa in realtà Massimo Citro quando irradia con una onda un farmaco?. Ne prende una impronta. Ma che tipo di impronta? L'impronta della informazione. Ricordiamo in questa sede che l'informazione, da un punto di vista entropico, altro non è se non qualcosa che è legato alla superficie della cosa che stiamo misurando. Non solo è la misura della superficie dell'oggetto, che stiamo misurando, a contenere i dati sulla entropia e quindi anche sulla informazione ma è la forma della superficie stessa. Bohm infatti sostiene che il campo prodotto da una particella subatomica possiede una informazione ma questo campo è una vera e propria onda e che è la forma ad essere correlata con l'energia del sistema e non la sua grandezza. Tutto ciò è già stato ampiamente detto dai lavori scientifici, pubblicati negli ultimi dieci anni. Dunque ci troviamo di fronte a 2 parametri importanti. Se voglio passare una informazione da una parte all'altra, devo fare un calco della superficie dell'oggetto che contiene quella informazione e riprodurre questo calco in una altra zona dello spazio tempo. La forma della superficie e la sua ampiezza, saranno i parametri di cui dovrò cercare di impossessarmi. Che sia più importante la forma e non la vera quantità di superficie, a passare l'informazione o meglio ad essere l'informazione stessa, era decisamente chiaro tenendo presente quelle ricerche nel campo della diluizione farmacologica che tenevano conto del fatto che un farmaco poteva essere super diluito in una opportuna soluzione dinamizzata perché l'effetto fosse egualmente presente. Cosa rappresentava in quel contesto il processo di dinamizzazione? I medici omeopatici, che conoscono bene questa procedura, non hanno, a dire il vero, in mente, il vero motivo la dinamizzazione sia efficace. La diluizione del farmaco ha effetto solo se, con un rituale bizzarro, si danno dei colpi violenti alla soluzione. Questo processo viene detto dinamizzazione ma corrisponde in realtà a prendere il calco della superficie del farmaco. In altre parole, nella soluzione acquosa utilizzata, le molecole di acqua che sono decisamente mobili, avrebbero la caratteristica di subire il passaggio della informazione dalla unica molecola di farmaco contenuta nella soluzione poiché, gli urti, costituirebbero una sorta di onda che sbattendo sulla superficie del farmaco produrrebbe lo stampino di se stessa su strutture di molecole di solvente. L'acqua avrebbe quella struttura capace di conservare abbastanza a lungo la memoria di quegli urti e cioè la informazione che il farmaco contiene. Anche in questo caso la risibile pagina di wikipedia non riporta la letteratura scientifica che riguarda la ipotetica scoperta di questo fenomeno, pubblicato illo tempore sul prestigioso


J. Analitical Chem., ma si dilunga nel riportare invece tutto ciò che appare dimostrare che il fenomeno non esista. Scienziati come Giuliano Preparata o Emilio Del Giudice, così come Masaru Emoto invece sostengono che il fenomeno della memoria dell'acqua abbia tutte le caratteristiche per poter essere ben descritto dalla fisica moderna (24). Ma vediamo come la tecnica del TFF, attraverso l'universo virtuale toroidale, sia in grado di trasferire la informazione da una parte del campo di forze all'altro. Ammettiamo in un esperimento semplice di irradiare con una opportuna frequenza (sonora, visiva, infrarossa, ultravioletta) una molecola di farmaco, ma anche un qualsiasi altro oggetto. L'onda di opportuna frequenza, sbattendo contro l'oggetto scelto, lo trapasserà, portando con sé una immagine, un calco dell'oggetto stesso. L'onda così modificata (distorta, perturbata) andrà ad interagire con molecole di fluido (l'acqua) che, ascoltando questa perturbazione, muoverà le sue molecole, che assumeranno una opportuna posizione spaziale, cercando di minimizzare l'entropia del sistema. In quel contesto le molecole d'acqua utilizzate per l'esperimento logicamente perturbate, costruiranno cluster di acqua in grado di mimare la superficie dell'oggetto colpito dall'onda da noi scelta. In questo contesto si sta dunque trasportando l'informazione, cioè la superficie dell'oggetto scelto su un supporto mobile, l'acqua, che ne assumerà l'immagine, cioè l'informazione. Ma tutto ciò non basta perché l'informazione rimanga anche nel tempo. In altre parole come tolgo il bicchiere di acqua dalla fonte di sollecitazione, ecco che è improbabile che le molecole d'acqua mantengano quell'assetto che contenga l'entropia del farmaco di partenza molto a lungo, a causa della bassa viscosità del liquido usato. Il principio olografico Il principio olografico determina che l'informazione sia legata alla struttura della superficie del fenomeno di cui vogliamo misurare l'entropia, cioè conoscerne le informazioni. Va sottolineato che un universo olografico, lo è nello spazio e nel tempo e, siccome gli oggetti hanno superfici sia nello spazio che nel tempo, cioè secondo il modello evideonico, nello spaziotempo, ecco che dobbiamo capire come funziona il principio olografico. In un ologramma spaziale si trasferiscono informazioni, cioè immagini di superfici, da una parte ad una altra parte dell'universo. Per fare ciò bisogna usare 2 segnali.


Come nel grafico sopra riportato, uno stesso raggio laser si divide in due parti. La prima parte va ad illuminare una mela e ne cattura l'impronta mentre il secondo raggio interferirà con il primo ricreando lo shape della mela.

L'impronta tridimensionale sulla lastra fotografica viene memorizzata e riprodotta facendovi passare un raggio di luce laser che, riprende la forma della impronta della informazione. Ci vogliono dunque 2 sorgenti laser che derivano da uno stesso raggio laser, per ottenere quel risultato. Il campo toroidale è una superficie spazio temporale e non solo spaziale. L'ologramma della mela è un ologramma spaziale ma non spazio temporale. Per questo sostanzialmente contiene solo immagini di tipo spaziale ma le informazioni temporale non vengono trasportate. O meglio, vengono trasportate ma non vengono né cercate né comprese e quindi vanno perse (25, 26). Quando un'onda colpisce un oggetto e sta per farne il calco, bisogna tener presente che questo calco ha una componente spaziale ed una temporale. Suddividere le due componenti significa far fare alle informazioni 2 percorsi differenti: uno nello spazio ed un altro nel tempo. Le 2 componenti si ricongiungeranno nel luogo della interazione. Dunque non solo esiste una informazione spaziale che determina la forma ma una altra componente temporale che determina altre caratteristiche. Le 2 componenti sono come i 2 raggi laser che in realtà a monte sono lo stesso raggio laser. La componente spaziale legge le informazioni e la componente temporale le intercetta ricostruendo il vero ologramma spazio temporale, sotto forma di superficie attiva, nel nostro caso di molecole di acqua. La componente temporale ha l'effetto di stabilizzare nel tempo la forma e renderla duratura perché essa possa agire come informazione (27, 28,29). Come nel caso della versione olografica spaziale, le informazioni spaziali vengono divise in 2 canali (i 2 raggi o percorsi del laser) così è possibile sostenere che le informazioni dello spazio tempo vengano divise in 2 canali, uno spaziale-temporale ed uno temporalespaziale, che peraltro contengono tutte le corrispondenti informazioni spazio temporali. I due canali così ottenuti, vengono poi fatti ricollassare interferendo tra loro. Cerchiamo di vedere cosa viene fuori se applichiamo a questi concetti le formule parametriche di una onda, in una sola dimensione per cominciare:

A = A0sen(kx - t)


dove A0 è una costante che rappresenta l'ampiezza dell'onda che porta con sé l'informazione, k è il numero d'onda, x è la coordinata spaziale, t è il tempo ed omega rappresenta la frequenza dell'onda. Nel nostro caso x rappresenta una coordinata spazio temporale in una dimensione. Volendo dividere i 2 segnali e metterli formalmente in fase a 90 gradi tra loro, potremmo scrivere:

As = A0ssen(kS - T) At = A0tcos(kT - S)

imponendo ad S di valere 1.62 unità evideoniche che in realtà mimano la dimensione del piano spazio temporale evideonico ma anche rappresentano la lunghezza di Planck,(lp), e sostituendo a T il valore del tempo di Planck (tp) e dividendo i 2 termini tra loro abbiamo che:

sen(klp - tp)/cos(ktp - lp) ≈ sen(klp)/cos(-  lp) = As/At

In unità di misura spazio temporali i termini con il tempo di Planck sono trascurabili rispetto a quelli che contengono la lunghezza di Planck per un fattore di scala pari a 10^11. Questa funzione presenta il rapporto As/At che è un numero che da l'idea della percezione olografica come rapporto percettivo tra lo spazio ed il tempo. Ma graficando questa funzione su un piano spazio temporale dove k ed omega sono le 2 incognite, abbiamo la sorpresa di ottenere i seguenti risultati:


Questi pattern, registrati a diversi livelli di scala, rappresentano superfici spaziotemporali in una dimensione, che hanno le caratteristiche di sembrare veri e propri alfabeti, alcuni pattern ricordano anche la struttura di lingue semitiche od orientali, ma in realtà rappresentano le istruzioni legate alle superfici che le contengono. Inoltre si può notare come il rapporto As/At può sostanzialmente essere qualsiasi numero poiché l'intero pattern ha una struttura olografica ma anche frattalica, dove sostanzialmente il valore della fase (il contenuto all'interno delle parentesi) oscilla solo tra i valori di zero e 360 in modo ripetitivo, proprio come la struttura di un frattale. Vediamo ora cosa succede a tridimensionalizzare questi pattern, dove x, y e z sono coordinate spaziotemporali in un sistema ortogonale proprio della descrizione dell'Evideon con i suoi otto ottanti. In questo dominio possiamo ammettere che i valori delle coordinate spazio temporali siano proporzionali a k ed inversamente proporzionali ad omega (anche se lo shape delle equazioni non cambia molto). A differenti livelli (dimensioni degli assi cartesiani), si scopre come anche in questo caso il frattale tridimensionale ottenuto sia ripetibile. La struttura del frattale risulta quantizzata ed i piani che costituiscono il frattale, sono a 45 gradi rispetto agli assi di riferimento (inclinazione classica che si ritrova in molte tipologie rappresentative dello spazio tempo). Le figure del frattale sono semplici quando i valori di x, y e z, che rappresentano angoli, come nella struttura evideonica, hanno valori semplici come nella seconda immagine della prima riga, dove x, y e z valgono 45 unità evideoniche, dove imponendo un valore leggermente inferiore a 45 unità evideoniche, otteniamo la prima immagine a sinistra, della prima riga.


In tre dimensioni si scopre che con queste condizioni il frattale che rappresenta la forma dell'onda che contiene le informazioni, che da un punto di vista entropico, si spostano da un non luogo ad un altro, vengono descritte come una serie di piani frattalici che hanno le caratteristiche di essere introdotte in un contesto di 8 ottanti ma che seguono la geometria dei numeri evideonici. In conclusione La teoria del campo morfogenetico di Sheldrake, trova un corrispettivo nella visione toroidale dello spaziotempo dove l'applicazione di modelli frattalici a superfici entropiche spazio temporali sembra poter descrivere bene l'ologramma universale. Bisogna a questo punto ricordare che l'universo è non locale e cioè non esiste né lo spazio né il tempo e dunque la informazione non si sposta nello spaziotempo ma si crea in continua evoluzione in un unico istante in un unico punto. Solo l'energia sostanzialmente modella la virtualità a piacimento. Ciò significa che tra 2 punti di questo universo che coabitano in un universo non locale, nello stesso istante e luogo, si può creare una interazione. Questa interazione si manifesta come un campo toroidale olografico che tiene sempre legati i 2 punti fintanto che la relazione o l'interferenza o la perturbazione, che dir si voglia, non termini. Lo spostamento fittizio di uno dei 2 punti rispetto all'altro, nello spazio o nel tempo, in realtà non distrugge il campo che continua ad essere effettivo per tutta la durata della interazione. Questo principio produce l'effetto che, quando tolgo il bicchiere d'acqua dalla sorgente di onde che cerca di dinamizzarla, facendole acquisire l'informazione dell'impronta del fronte d'onda, tale informazione perdura nel tempo a dimostrazione che l'universo non è locale. (29)


E come tutti i loop che si rispettino anche questa ricerca sembra terminare da dove, molti anni fa, è cominciata. Avevamo iniziato a studiare le abduction aliene, nelle quali sembravano accadere cose incredibili (30). Poi attraverso lo studio di questi accadimenti avevamo compreso che era la coscienza il nostro vero target e, nel nostro caso, la conquista della consapevolezza, passava attraverso lo studio della alienologia. In particolare, durante le ricostruzioni ipnotiche da noi messe in atto durante le prime fasi della nostra indagine, compariva una scena in cui, l'alieno, introduceva l'addotto in un opportuno contenitore, riempito di un opportuno liquido, dopodiché in un altro contenitore, anche esso riempito di liquido, si produceva una immagine solida dell'addotto stesso: una sua copia, che però era geometricamente speculare all'originale.

Ora comprendiamo come quella tecnica di riproduzione, altro non fosse che la creazione di un ologramma tridimensionale con l'aggiunta di una componente massiva. La fisica moderna sa che, dalla interazione di fotoni con fotoni o di fotoni con elettroni si possono creare interazioni gravitazionali forti (gravitoni) (31). E' dunque pensabile di poter ottenere un ologramma che, non solo sia fatto di fotoni (luce) ma appaia come materia utilizzando due raggi di fotoni coerenti dove uno dei 2 raggi sia effettivamente costituito da fotoni e l'altro di anti fotoni entangled. Gli antifotoni ed i fotoni, nello spaziotempo seguirebbero 2 cammini diversi, uno sull'asse spaziale e l'altro su quello temporale ricostruendo in un altro spaziotempo le informazioni del corpo dell'addotto opportunamente “illuminato”. La componente anti fotonica sarebbe necessaria perché ogni oggetto è costituito da fotoni ed antifotoni che troverebbero la loro collocazione sulla superficie spaziotemporale toroidale. La presenza di un opportuno liquido avente le caratteristiche di poter essere facilmente polarizzato farebbe le veci della normale acqua negli esperimenti condotti dal dottor Citro e sarebbe il materiale di partenza su cui esercitare il “calco” delle superfici spazio temporali che contengono la informazione dell'oggetto da copiare. Attualmente è nostra impressione di chimici che tale substrato potrebbe essere una molecola organica


polifluorurata, che cambia assetto nello spazio se sottoposta a campi elettromagnetici od a calore, a causa delle forti interazioni dipolo dipolo ed agli effetti anomerici interni, alla struttura dei rotameri. Inoltre molecole di questo tipo permettono al soggetto immerso in questi idrocarburi polifluorurati, di respirare egualmente, l'ossigeno abbondantemente solubilizzato da queste strutture. L'immagine olografica sarebbe prodotta in modo speculare per il semplice motivo che per “raddrizzarla otticamente” servirebbe un passaggio in più con l'utilizzo di opportune lenti, che farebbero perdere di definizione a tutto il processo, cosa evidentemente non conveniente, data la delicatezza della riproduzione. Si comprenderebbe anche come mai l'alieno non sia in grado di produrre la vera essenza dell'essere umano e cioè la parte animica o spirituale, a causa della mancanza di una incompleta struttura spazio temporale data dalla mancanza delle informazioni o spaziali per spirito o temporali per anima. Inoltre per problemi di conservazione di entropia non si può effettuare un ologramma della coscienza e tutti questi particolari sembravano essere in accordo con i contenuti dei report delle ipnosi regressive effettuate su centinaia di addotti sottoposti alle ipnosi profonde. Dalla ricerca sulle adduzioni aliene alla ricerca sulla struttura dell'universo, fino ad arrivare alla ricerca sulla coscienza umana. Comprendere la coscienza vuole alla fine dire ricordare anche come abbiamo creato l'universo e tornare a rivisitare le nostre vecchie credenze dandogli un significato profondamente differente; è la rappresentazione dell'ennesimo loop che caratterizza la nostra esperienza di vita.

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