L'Olivo - Utilizzazione

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L’olivo botanica | storia e arte | alimentazione | paesaggio coltivazione | ricerca | utilizzazione | mondo e mercato


l’ulivo e l’olio

utilizzazione Olive da mensa Barbara Lanza, Aldo Corsetti

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utilizzazione Olive da mensa Cenni storici L’impiego di olive come alimento per l’uomo ha origini antiche. Presso il Museo Egizio di Torino è esposto il corredo funebre completo della tomba dell’architetto Kha e di sua moglie Merit della XVIII dinastia (risalente a circa 3400 anni fa) che comprendeva anche il cibo, peraltro conservatosi perfettamente, destinato al viaggio nell’aldilà dei defunti, tra cui una ciotola ricolma di olive. Ma tutto il bacino del Mediterraneo è stato interessato fin dai tempi antichi alla coltura dell’olivo e anche l’olivicoltura italiana da mensa vanta tradizioni millenarie: la sua storia è parte integrante della cultura della nostra terra, fin da quando i suoi primi abitanti intrapresero, in epoca preistorica, l’utilizzo a fini alimentari delle notevoli risorse offerte dalla primitiva macchia mediterranea, che comprendeva, appunto, l’olivo selvatico. La presenza di noccioli di oliva in contesti archeologici è documentata fin dal Mesolitico. In epoca storica, è accertato che gli Etruschi addomesticarono l’olivo selvatico: sono da ricordare il relitto della nave del Giglio, del 600 a.C. circa, con le sue anfore estrusche piene di olive conservate, e la cosiddetta Tomba delle Olive di Cerveteri, databile al 575-550 a.C., contenente, oltre a un servizio di vasi bronzei per il banchetto, anche una sorta di caldaia piena di noccioli di olive. Greci e Romani svilupparono la coltura dell’olivo non solo per ricavarne il prezioso olio ma anche per trasformare i suoi frutti da accompagnare ai cibi. Le olive venivano raccolte, a seconda dell’uso cui erano destinate, in periodi diversi: ancora acerbe (olive albae o acerbae),

Antichi contenitori per la conservazione delle olive

Ricetta per fare l’Epityrum

• “Preparerai così l’Epityrum di olive

verdi, mature o miste: toglierai il nocciolo alle varie qualità di olive. Poi le condirai così: le triterai, aggiungerai olio, aceto, coriandolo, cumino, finocchio, ruta e menta. Metterai tutti i condimenti in un piccolo orcio, ci verserai sopra l’olio e così saranno pronte per l’uso.” De agricultura CXXVIII, Catone il Censore (234-149 a.C.), trad. L. Canali e E. Lelli, Collana Classici Greci e Latini, Mondadori Ciotola con olive dalla tomba dell’architetto Kha e di sua moglie Merit della XVIII dinastia conservata nel Museo Egizio di Torino

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olive da mensa non del tutto mature (olive variae o fuscae), mature (olive nigrae). Secondo Plinio il Vecchio (24-79 d.C.) nella sua Naturalis historia, lib. XII-XV, quando l’oliva comincia a scurire (invaiatura), il frutto prende il nome di druppa. Si raccomandava di staccarle dal ramo con le mani a una a una; quelle che non si potevano cogliere salendo sugli alberi venivano fatte cadere servendosi di lunghi bastoni flessibili, sempre ponendo la massima attenzione a non danneggiarle. In epoca imperiale le olive si servivano in tutte le cene, anche in quelle più importanti: come diceva Marziale, esse costituivano sia l’inizio sia la fine del pasto, venivano, cioè, sia portate come antipasti, sia offerte quando, finito di mangiare, ci si intratteneva a bere. Solitamente erano conservate in salamoia leggera (muria) o forte (muria dura), ben coperte dal liquido, fino al momento di usarle, poi si scolavano e si snocciolavano tritandole con vari aromi e miele, oppure venivano anche marinate in aceto e, condite in questo modo, erano pronte all’uso. Alcune preparazioni prevedevano invece la salatura con conseguente fuoriuscita dell’acqua di vegetazione (amurca) e raggrinzimento del frutto. Tutti i più importanti scrittori latini di agricoltura hanno lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione di olio e olive da tavola, stilando vere e proprie ricette molto simili a quelle attualmente seguite per la preparazione di olive schiacciate, di olive all’aceto (Kalamata), di quelle al sale secco, di quelle variamente condite e dei pâté di olive verdi e nere. Catone il Censore (234-149 a.C.) ci ha lasciato la ricetta per fare l’Epityrum. Si tratta di una salsa molto saporita che si otteneva da frutti colti quando cominciavano appena a ingiallire, scartando quelli con qualche difetto. Dopo aver fatto asciugare le olive sulle stuoie per un giorno, si mettevano in un fiscolo nuovo, cioè in una di quelle ceste di fibra vegetale fatte a forma di tasca, con un foro superiore e uno inferiore, in cui si racchiudevano le olive frantumate per poi spremere l’olio; quindi si lasciavano una notte intera sotto la pressa. Dopo di che venivano sminuzzate e condite con sale e aromi e, dopo aver messo l’impasto così ottenuto in un vaso, lo si ricopriva d’olio. Dal nome, c’è da pensare si mangiasse accompagnandolo con del formaggio. Plauto e Varrone la riportano come una specialità siciliana. Inoltre, con le olive più pregiate e più grosse, si preparavano ottime conserve che duravano tutto l’anno e fornivano un nutriente ed economico companatico. Magone il Cartaginese (III sec. a.C.) ha scritto in lingua punica un trattato sull’agricoltura, tradotto e condensato in greco da Cassio Dioniso l’Uticense (III sec. a.C.), in cui viene riportata la ricetta per le olive colymbadas (letteralmente “le affiorate”), ripresa in seguito anche nel De re rustica di Columella (4-70 d.C.).

Ricetta per le olive al sale secco

• “Alcuni, dopo aver colto l’oliva, la

salano seguendo le dosi indicate e poi la dispongono in ceste, in modo da formare degli strati alternati di olive mescolate a seme di lentisco e di sale, poi ancora di olive e così sopra di sale, fino a riempire il cesto. Quando, al termine di quaranta giorni, le olive hanno trasudato tutta la morchia che potevano avere, le versano in un catino, e passandole al vaglio, separando i semi di lentisco, le detergono con una spugna in modo che non vi rimanga attaccato del sale, poi le versano in un’anfora” De re rustica, libro XII, Columella (4-70 d.C.), trad. R. Calzecchi Onesti, Collana I Millenni 1977, Einaudi

Ricetta per le olive colymbadas

• “Togli dalla salamoia le olive mature

che avrai messo a nuotare in essa a strati, e asciugale con una spugna; poi con un pezzo di canna verde incidile in due o tre punti e lasciale per tre giorni nell’aceto; al quarto giorno asciugale bene con una spugna e mettile in un recipiente, voglio dire in un orciolo o in una marmitta nuova, sul fondo del quale avrai disposto un letto di sedano con poca ruta. Quando poi il vaso sarà pieno di olive, versavi del vino cotto fino alla bocca. Metti a questo recipiente dei tappi di lauro, che tengano le olive sotto il liquido. Dopo venti giorni te ne puoi servire.” De re rustica, libro XII, Columella (4-70 d.C.), trad. R. Calzecchi Onesti, Collana I Millenni 1977, Einaudi

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utilizzazione Oliva: caratteristiche compositive, nutrizionali e attitudine alla trasformazione L’oliva è una drupa costituita da tre zone ben distinte: epicarpo o cuticola, mesocarpo o polpa ed endocarpo o nocciolo. L’epicarpo rappresenta l’1-3% del frutto ed è formato da uno strato ceroso esterno costituito da cere epicuticolari, da una cuticola composta da cutina e cere intracuticolari e da uno strato di cellule piramidali dette cellule epidermiche. Il mesocarpo rappresenta il 70-85% del frutto ed è costituito da cellule rotondeggianti nei cui vacuoli sono presenti le goccioline di olio e da cellule lignificate, dette sclereidi, che conferiscono al tessuto rigidità. L’endocarpo legnoso (15-22% del frutto) racchiude il seme che contiene anch’esso olio. La drupa è costituita principalmente da: acqua, grassi, carboidrati, proteine, fibra, sostanze pectiche, fenoli, vitamine, acidi organici ed elementi minerali. Il contenuto in grassi è elevato (10-25%) e dipende da diversi fattori quali la cultivar, le pratiche agronomiche e l’ambiente pedoclimatico. Nelle olive da tavola l’acido grasso più abbondante è l’acido oleico (C18:1; 75-80%), seguito da palmitico (C16:0; 10-12%), linoleico (C18:2; 5-7%), stearico (C18:0; 2-3%), linolenico (C18:3; 0,5-1%) e palmitoleico (C16:1; 0,5-1%). Il contenuto in carboidrati nel frutto fresco è basso e diminuisce ulteriormente durante la fermentazione a opera dei microrganismi presenti nella salamoia. Tra gli zuccheri semplici, il glucosio è il componente principale seguito da fruttosio e saccarosio, mentre tra i polioli il più abbondante è il mannitolo. Nella molecola dei glucodisi contenuti nel frutto (oleuropeina, verbascoside, ligustroside, glucoside dell’acido elenolico o oleoside 11-metil estere, glucoside dell’idrossitirosolo, glucoside del tirosolo o salidroside e cornoside) è presente il glucosio che, grazie all’attività b-glucosidasica della flora batterica coinvolta nel processo di fermentazione, viene liberato e costituisce il principale substrato fermentescibile. Le olive da tavola hanno, inoltre, un alto contenuto in fibra. Questo componente è molto importante dal punto di vista nutrizionale perché, secondo le più recenti osservazioni sperimentali, può contribuire alla prevenzione di importanti patologie dell’uomo. Le pectine sono invece correlate con le caratteristiche di consistenza delle olive e la loro degradazione a opera di enzimi pectinolitici, soda (NaOH) o calore, provoca il rammollimento dei tessuti. Il contenuto proteico è basso, ma la qualità nutrizionale delle proteine elevata per la presenza di aminoacidi essenziali. Le olive possiedono poi una concentrazione elevata di antiossidanti naturali quali i polifenoli (idrossitirosolo e tirosolo) e di vitamine (provitamina A, α-tocoferolo e vitamina C) che, quando presenti nella dieta dell’uomo, possono svolgere l’importante funzione di neutralizzare le numerose sostanze radicaliche coinvolte in diverse patologie cardio-vascolari. Tra gli elementi mi-

Cere epicuticolari Cutina + cere intracuticolari Pectina Pectina + cellulosa Cellula epidermica Epicarpo o cuticola

Cere epicuticolari

Sclereidi

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olive da mensa Mesocarpo o polpa di oliva

Cellule dell’epiderma

Tabella nutrizionale delle olive da tavola cultivar Intosso d’Abruzzo prodotte con il metodo Sivigliano. Si considera una porzione formata da n. 10 olive (45,8 g)

Cellule dell’ipoderma

Caratteristiche nutrizionali

Quantità per 100 g di polpa fresca

Quantità per porzione

Energia (kcal)

190

74

Carboidrati (g)

6,9

2,7

Proteine (g)

1

0,4

Grassi (g) Saturi (g) Monoinsaturi (g) Polinsaturi (g) Trans (g) Colesterolo (mg)

17,5 2,7 13,6 1,2 0,01 tracce

6,9 1,1 5,3 0,5 tracce tracce

Fibra alimentare (g)

2,6

1

Vit. A (µg) Vit. E (mg) Vit. C (mg)

12 6,4 <1

4,7 2,5 tracce

Polifenoli (mg)

167,8

65,3

Strato ceroso esterno Cuticola

Vacuolo con gocciolina d’olio Cellule del mesocarpo

nerali, troviamo alti contenuti di calcio e di ferro che dipendono, essenzialmente, dai trattamenti di processo in quanto CaCl2 e gluconato/lattato ferroso sono aggiunti, rispettivamente, per aumentare la consistenza della polpa di frutti trattati con soda e come stabilizzanti del colore (nel sistema Californiano). L’alto contenuto in sodio, riscontrabile in alcune preparazioni (0,8-1,6 g/100 g di polpa di olive), derivante in parte dal trattamento di deamarizzazione chimica, ma soprattutto dalla salamoia di fermentazione o di conservazione, non è in contrasto con la RDA (dose giornaliera raccomandata) di questo elemento, che è comunque piuttosto alta (2 g/giorno): il consumo di olive da tavola sarebbe quindi sconsigliato solamente nei casi di ipertensione, e comunque esistono tecnologie di produzione a ridotto o nullo contenuto di sodio. In conclusione le olive da tavola sono un alimento con alto valore nutrizionale grazie all’equilibrato bilancio degli acidi grassi, in cui predominano i MUFA (MonoUnsaturated Fatty Acid, ovvero acidi grassi monoinsaturi), e il loro consumo contribuisce all’assunzione di fibra dietetica antiossidante (fibra + polifenoli), vitamine e minerali. Si auspica, quindi, una loro introduzione nella dieta mediterranea non solo come aperitivo ma come alimento di base, da consumarsi in quantità moderate già a partire dalla prima colazione, come peraltro già succede in Paesi del Mediterraneo quali, per esempio, la Turchia e la Grecia. Tra le oltre 500 varietà di olive presenti sul territorio nazionale, solo una minima parte è specificamente idonea alla trasformazione in olive da tavola; tuttavia, nelle diverse regioni, è consuetudine l’utilizzo di cultivar prettamente da olio per preparazioni di olive da mensa (cultivar a duplice attitudine). La realtà rurale contadina 639


utilizzazione ha tramandato, fino ai giorni nostri, sistemi di lavorazione per la trasformazione delle olive da tavola unici e singolari, che rispecchiano le tante realtà pedoclimatiche presenti. Le olive da tavola vengono trasformate con tecnologie che attingono a remota tradizione, col tempo avviate su basi moderne e validate su un piano più strettamente scientifico. Nel Trattato teorico-pratico completo sull’ulivo di G. Tavanti del 1819 è descritto il metodo Sivigliano tuttora in uso. Le tecnologie di trasformazione delle olive da mensa assolvono la duplice funzione di idrolizzare i composti responsabili del sapore amaro del frutto e di stabilizzare le conserve per superare il vincolo di stagionalità produttiva. Alcune tecnologie di processo sono specifiche per il diverso grado di maturazione delle olive (verdi, invaiate e nere), altre possono essere applicate indifferentemente a più tipi di olive. Nel settore delle olive verdi, le cultivar più note e/o che meritano considerazione ai fini della produzione

Delle ulive preparate

• “L’uliva in natura ha un sapore

astringente, dovuto all’acido gallico (l’oleuropeina?, N.d.R.) che vi predomina: l’arte conosce de’ processi per neutralizzare quest’acido, per estrarlo, e per render dolce l’uliva. Quest’acido, come qualunque altro, cangia di natura al contatto degli alkali, e diviene solubile nell’acqua. Il processo in questione ha per base questo principio. Appena raccolte le ulive, ponetele in un recipiente di vetro, o di terra: col mezzo di scope o di vinchi chiudetene la gola, onde, galleggiando esse nel fluido da infondervisi, non ne sortano: versatevi dell’acqua di calce (fase di deamarizzazione con soda, N.d.R.), avuta la precauzione di non avvicinarvi alcun utensile di ferro. Trascorse 24 ore aprite uno sfogo a quest’acqua per il fondo inferiore: un più lungo soggiorno ammorbidirebbe le ulive oltre modo, e le porterebbe a decomporsi; agitando violentemente il vaso, esse si altererebbero. All’acqua di calce sostituite dell’acqua chiara (lavaggi, N.d.R.), che rinnoverete dopo 12 ore. Essa sortirà, come la prima, rossastra, con odore alcalino, tendente a farsi schiumosa. L’alternativa deve ripetersi finché il prodotto della calce combinata coll’acido non siasi disciolto, e ciò è indicato dall’acqua infusa, allorché esce insipida, e limpida. Ridotte in questo stato, le ulive sono già commestibili: l’aggiunta di qualche aroma le rende più grate. Una dose di sale disciolto nell’acqua (salamoia, N.d.R.) le conserva tali per lungo tempo” Giuseppe Tavanti, Trattato teoricopratico completo sull’ulivo, Stamperia Piatti, Firenze, 1819

Principali varietà italiane di Olea europaea per frutti da mensa Regioni

Verdi

Cangianti

Nere

Sicilia

Nocellara del Belice Nocellara etnea Giarraffa Tonda Iblea

Ogliarola messinese

Moresca Giarraffa Tonda Iblea

Calabria

Grossa di Cassano Grossa di Gerace Dolce di Rossano Carolea

Carolea

Basilicata

Maiatica

Puglia

Bella di Cerignola Sant’Agostino Termite di Bitetto

Termite di Bitetto

Campania

Ortice Ortolana

Caiazzana

Lazio Abruzzo

Itrana Intosso

Cucco

Umbria

Dolce Agogia

Marche

Ascolana tenera

Toscana

Santa Caterina

Liguria Sardegna In tutte le regioni

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Coratina Provenzale Pasòla

Raggia

Taggiasca Pizz’e carroga Tonda di Cagliari Nera di Gonnos

Nera di Gonnos

Bosana

Leccino

Leccino


olive da mensa nazionale di olive da mensa sono la Nocellara del Belice (25.000 t) e la Nocellara etnea (7000 t) della Sicilia; la Bella di Cerignola e la Sant’Agostino (5000 t) della Puglia; l’Intosso (1000 t) dell’Abruzzo; l’Ascolana tenera (400 t) delle Marche; la Tonda di Cagliari e la Pizz’e carroga (2000 t) della Sardegna; la Santa Caterina (300 t) della Toscana; la Carolea della Calabria, con un quantitativo utilizzabile per frutti da mensa di almeno 15.000 t. Nel settore delle olive nere vanno segnalate l’Itrana (3000 t) del Lazio; la Grossa di Cassano (6000 t) della Calabria; le varietà pugliesi, in particolare la Provenzale (5000 t); la varietà lucana Maiatica (300 t); la Bosana (1000 t) della Sardegna; la Taggiasca (1000 t) della Liguria; il Leccino ampiamente diffuso nelle diverse regioni olivicole. Localmente, sia nel settore delle olive verdi sia in quello delle olive nere, trovano utilizzazione anche varietà meno significative.

Glucosio o altri zuccheri

Batterio lattico omofermentante

Acido lattico Fermentazione lattica a opera di batteri lattici omo-fermentanti

Produzione di olive da tavola mediante processi di fermentazione spontanea Molti alimenti fermentati sono prodotti tutt’oggi sfruttando, in maniera non sempre consapevole, la crescita di microrganismi utili naturalmente presenti nelle materie prime o nell’ambiente di produzione. L’Italia è ricca di produzioni alimentari tipiche, ottenute con metodologie tradizionali che implicano un processo di fermentazione, molte delle quali hanno ottenuto o aspirano al riconoscimento di marchi DOP o IGP. Fra queste sono incluse le olive da tavola fermentate, nelle quali il ruolo dei microrganismi è fondamentale per il raggiungimento delle caratteristiche sensoriali desiderate. La fermentazione lattica, a opera di batteri lattici (omo- ed etero-fermentanti), è quella più diffusa e viene applicata per l’ottenimento di prodotti di qualità, igienicamente sicuri e di elevato valore nutrizionale. Il processo di trasformazione delle olive da tavola, infatti, è la risultante di complesse reazioni biochimiche determinate dall’interazione della microflora indigena delle olive con le caratteristiche di composizione della salamoia di fermentazione e con l’ambiente di lavorazione. Le due tecniche descritte di seguito, note come sistema Spagnolo o Sivigliano e sistema Greco o naturale, rappresentano le principali procedure per la produzione di olive da tavola fermentate, a cui si possono ricondurre le altre menzionate più avanti. In questi processi spontanei, ai quali la maggior parte delle aziende di trasformazione si affida ancora oggi e nei quali non si ricorre all’impiego di microrganismi starter, la buona qualità del prodotto finito viene perseguita essenzialmente attraverso lo stretto controllo del processo di fermentazione, limitatamente al mantenimento dell’ecosistema delle olive in salamoia. In particolare, questo ecosistema è influenzato da diversi fattori, quali: a) associazioni microbiche indigene, derivate da contaminazioni del frutto prima e durante la raccolta; b) fattori intrinseci come pH, attività dell’acqua (aw), concentrazione salina della

Glucosio o altri zuccheri

Batterio lattico eterofermentante

Acido lattico CO2 Etanolo e/o acido acetico Fermentazione lattica a opera di batteri lattici etero-fermentanti

Batteri lattici appartenenti alla specie Lactobacillus plantarum

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utilizzazione Filiera di produzione di olive da tavola fermentate Olive fresche

Sivigliano

Greco naturale

Itrana

Schiacciate

Deamarizzazione (soda)

Fermentazione lattica in salamoia (7-8 mesi)

Immersione in acqua (30-40 giorni)

Schiacciamento

Sostituzione della salamoia

Fermentazione lattica in salamoia (3-4 mesi)

Lavaggi (con acqua)

Fermentazione lattica in salamoia (1-2 mesi)

Prodotto (olive cangianti al naturale)

Prodotto (olive cangianti al naturale)

Fermentazione alcolica in salamoia

Aggiunta di aromi (aglio, peperoncino, origano)

Sostituzione della salamoia Prodotto (olive verdi schiacciate condite)

Prodotto (olive verdi in salamoia)

salamoia, disponibilità di nutrienti e di ossigeno, concentrazione di composti antimicrobici (per es. oleuropeina, acidi organici); c) fattori estrinseci, come tempo e temperatura di fermentazione e aerazione. Tutti questi fattori, in considerazione delle diverse esigenze ambientali dei vari microrganismi, possono influenzare la composizione microbica del sistema, in termini di numero e tipo di microrganismi, così come le loro interazioni e il metabolismo degli stessi con conseguenti riflessi, positivi o negativi, sulla qualità del prodotto finito. Quindi, la corretta gestione della fermentazione rappresenta il punto centrale della trasformazione ed è il presupposto per l’ottenimento di un prodotto di qualità evitando la presenza di microrganismi di spoilage, che limitano la vita commerciale del prodotto, o di microrganismi patogeni, che ne compromettono la sicurezza d’uso. In generale, scopo dei differenti metodi di trasformazione, è quello di diminuire o rimuovere completamente il sapore amaro naturale dell’oliva, principalmente attribuibile al glucoside oleuropeina. Il sistema Spagnolo o Sivigliano è quello più diffuso, anche in Italia, per la produzione di olive con pigmentazione verde-giallo paglierino. Esso consiste essenzialmente in una fase

Orcio per la conservazione di olive in salamoia

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olive da mensa di deamarizzazione del frutto mediante una soluzione sodica, la cui concentrazione può variare dall’1,5 al 3%. Concentrazione di soda, periodo di immersione delle olive in soluzione alcalina e grado di penetrazione raggiunto sono condizionati dalla varietà, dallo stato di maturazione, dal calibro del frutto e della temperatura dell’ambiente. Il trattamento viene di norma interrotto quando la soda è penetrata per i 2/3 nello spessore della polpa. La deamarizzazione risulta dall’idrolisi dell’oleuropeina in acido elenolico, glucosio e idrossitirosolo, tutti composti non amari. Altri importanti effetti del trattamento deamarizzante, per l’impatto sulla successiva fase di fermentazione, consistono nella rimozione dell’effetto antimicrobico dell’oleuropeina e nell’incremento della permeabilità della cuticola con rilascio di nutrienti in soluzione. Per effetto di trattamenti alcalini mal impostati o mal condotti, i tessuti del frutto possono anche subire profonde modificazioni a livello strutturale e nutrizionale. Per allontanare la soda che residua nel frutto, viene eseguita una serie di lavaggi con acqua per la durata complessiva di massimo 3-4 giorni, fino a ottenere acqua quasi limpida. L’entità dei lavaggi, in relazione alla rimozione di composti fenolici e dei carboidrati (essenziali per la crescita dei microrganismi), è un ulteriore parametro da considerare per l’influenza che può avere sulla fermentazione. In questo contesto, lavaggi neutralizzanti con acidi organici o inorganici di grado alimentare o l’insufflazione di CO2 risultano utili

Deamarizzazione chimica della drupa HO O

HO

Asportazione delle cere epicuticolari e conseguente riduzione dello spessore cuticolare in seguito ai trattamenti con NaOH

O COOCH 3

Oleuropeina O O

CH2OH OH OH

O HO

NaOH O

COOCH3

HO OH

HO

+

+ O

O HO HO

Deamarizzazione chimica della drupa

CH2OH OH OH

• Consiste nella degradazione

dell’oleuropeina mediante idrolisi alcalina (NaOH)

OH Idrossitirosolo

Acido elenolico

Glucosio

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utilizzazione per limitare la perdita di zuccheri e altri nutrienti, promuovendo una rapida fermentazione lattica. Dopo i lavaggi le olive vengono poste in salamoia (8-10%) dove, anche in funzione di una ridotta presenza di ossigeno, si svolgerà l’intero processo fermentativo spontaneo. Il tipo e il numero di microrganismi che parteciperanno al processo sono determinati da molte condizioni (per es. grado di contaminazione della materia prima) ma, da un punto di vista tecnologico, il trattamento alcalino e la concentrazione salina della salamoia costituiscono importanti fattori di selezione naturale. Adeguati trattamenti consentono, infatti, un rapido avvio della fermentazione da parte della microflora “tecnologica”, rappresentata, in questo processo, essenzialmente da batteri lattici. Al contrario, l’impiego di una bassa concentrazione di soda, non sufficiente a rimuovere gli inibitori della fermentazione (per es. oleuropeina), e/o l’eccessiva concentrazione di NaCl nella salamoia possono determinare un ritardo nell’avvio della fermentazione lattica. D’altra parte, una bassa concentrazione della salamoia può avere un effetto favorevole non solo sulla crescita dei batteri lattici, ma anche su quella di microrganismi di spoilage in grado di dar luogo a fermentazioni secondarie non volute. Quindi, il giusto equilibrio tra concentrazione della soda nella fase di deamarizzazione e concentrazione salina della salamoia rappresenta il principale fattore di processo in grado di influenzare la qualità finale del prodotto. Nel caso di una corretta gestione di tutti i fattori intrinseci ed estrinseci, tuttavia, il processo di fermentazione evolve, da un punto di vista microbiologico, secondo un andamento ben definito. Nella prima fase, che in genere dura due o tre giorni, il pH della salamoia scende, da valori decisamente alcalini, fino a circa 6, per effetto di batteri Gram negativi rappresentati soprattutto da Enterobacteriaceae. Durante la seconda fase, della durata di 10-15 giorni, sviluppano soprattutto lieviti e batteri lattici etero- e omo-fermentanti i quali, utilizzando i carboidrati fermentescibili residui, provocano

Glucosio o altri zuccheri

Lieviti

Etanolo

CO2

Composti secondari

Fermentazione alcolica a opera dei lieviti

Lieviti appartenenti alla specie Saccharomyces spp.

Olive prodotte con i tre principali sistemi di lavorazione: Sivigliano, Greco e Californiano

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olive da mensa un abbassamento del pH fino alla soglia di circa 4,5 e un aumento dell’acidità, dovuta a produzione di acido lattico e altri acidi organici, che porta alla scomparsa delle Enterobacteriaceae, sensibili agli elevati valori di acidità. Durante la terza fase, la cui durata si estende in genere fino a 2 mesi o, comunque, fino al completo esaurimento dei composti fermentescibili, solo alcune specie del gruppo dei batteri lattici (soprattutto Lactobacillus plantarum) coesistono con i lieviti. Al termine di un processo ben condotto il pH dovrebbe avere un valore di circa 3,8-4. Le olive così prodotte presentano un colore verde tendente al giallo paglierino e un gusto decisamente acidulo e possono essere conservate in salamoia, eventualmente previa pastorizzazione. Il sistema Greco o al naturale si applica per la trasformazione di olive raccolte a completo stato di maturazione, o quando il mesocarpo ha raggiunto per i 3/4 la colorazione nera; esso non comporta trattamenti di tipo chimico, per cui il processo di deamarizzazione avviene naturalmente con la semplice immersione dei frutti in salamoia (6-10%), naturalmente dopo le operazioni preliminari di cernita e lavaggio. In questo caso, come si vedrà più avanti, l’azione di idrolisi della soda sulla oleuropeina, caratteristica del sistema Sivigliano, è sostituita da attività enzimatiche caratteristiche di alcuni batteri lattici, tra cui Lactobacillus plantarum. Essendo completamente biologico, il processo è più lungo (8-9 mesi) rispetto al precedente poiché, quando le olive non sono trattate con soda, il rilascio di sostanze fermentescibili attraverso la cuticola è sensibilmente più lento. Il procedimento si basa su delicati equilibri del processo di fermentazione in cui interviene una complessa microflora di batteri Gram negativi, batteri lattici e lieviti; questi ultimi, in misura maggiore rispetto al metodo Sivigliano, partecipano alla definizione delle caratteristiche qualitative del prodotto mediante una fermentazione alcolica, soprattutto quando la concentrazione iniziale di NaCl nella salamoia è più elevata. In questo tipo di trasformazione, i fattori che devono essere strettamente controllati per la buona riuscita della fermentazione e per l’ottenimento di un prodotto di alta qualità sono la disponibilità di substrati fermentescibili, il contenuto di sale, il pH, l’aerazione (processo aerobico/ anaerobico) e la temperatura di fermentazione. Come nel caso precedente, un criterio semplice per valutare la buona riuscita della fermentazione è valutare la concentrazione di acido lattico prodotto, risultante in un decremento di pH al di sotto di un valore di 4, in grado di assicurare la stabilità microbiologica del prodotto durante la conservazione. La dinamica della microflora per il raggiungimento di questo valore prevede anche qui diverse fasi, con alcune differenze nel tipo di microrganismi presenti in funzione del tipo di processo applicato (anaerobico tradizionale o aerobico). Nel primo caso, entro i primi 3-4 giorni di fermentazione, analogamente a quanto riportato per

Fermentatore in vetroresina dove viene condotto l’intero ciclo di lavorazione (deamarizzazione, lavaggi e fermentazione)

Chiusura a becco di clarino per lo svuotamento parziale di prodotto

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utilizzazione il processo Sivigliano, batteri Gram negativi della famiglia delle Enterobacteriaceae risultano predominanti, fino a scomparire entro 10-15 giorni a causa del decremento dei valori di pH in seguito alla moltiplicazione di batteri lattici dei generi Pediococcus, Leuconostoc, Lactobacillus. Microrganismi di quest’ultima specie, in particolare Lactobacillus plantarum, più tolleranti degli altri batteri lattici a bassi valori di pH, diventano ben presto predominanti e persistono fino al termine della fermentazione. Tuttavia, in questo processo spontaneo dominano anche i lieviti. Essi iniziano a crescere durante i primi giorni di fermentazione e raggiungono la densità massima di popolazione dopo 10-25 giorni, coesistendo con i batteri lattici per l’intero processo. I lieviti maggiormente rappresentati sono riferibili ai generi Saccharomyces, Pichia, Candida e Debaryomyces. In ogni caso, punto centrale di questa trasformazione è la deamarizzazione biologica delle drupe. Il processo è stato ben studiato, recentemente, in Lactobacillus plantarum isolato da salamoie in fermentazione. L’attività metabolica dei ceppi oleuropeinolitici si estrinseca attraverso due fasi: (1) scissione del legame glucosidico dell’oleuropeina e formazione dell’aglicone dell’oleuropeina grazie all’attività β-glucosidasica; (2) scissione del legame estere dell’aglicone e formazione di idrossitirosolo e acido elenolico, entrambi derivati non amari, per effetto dell’attività esterasica. In una fermentazione ben condotta, i gruppi microbici prevalenti sono i lieviti e i batteri lattici, con proporzioni relative che

Salamoia di fermentazione con pellicola di microrganismi in superficie (con predominanza di lieviti)

Deamarizzazione biologica della drupa HO O O COOCH3

HO Salamoia di fermentazione con pellicola di microrganismi in superficie (con predominanza di batteri lattici)

O

OO HO

CH2OH OH OH

+ Lactobacillus plantarum

HO

Oleuropeina

OH HO Idrossitirosolo

β-glucosidasi

Deamarizzazione biologica della drupa

+

HO

• Consiste nella degradazione

HO

dell’oleuropeina a opera di microrganismi (batteri lattici e lieviti)

O HO

CH2OH OH OH +

Glucosio

646

HO

O O COOCH3

O OH Aglicone dell’oleuropeina

Esterasi

O OH COOCH3 O OH Acido elenolico


olive da mensa determinano le caratteristiche aromatiche distintive del prodotto finale. Nel caso in cui i batteri lattici siano prevalenti, la fermentazione lattica è favorita e il prodotto si presenta più acido e con un pH più basso, carattere desiderabile in questo tipo di olive. Nel caso in cui, invece, i lieviti rappresentino il gruppo dominante il prodotto presenterà un gusto meno pronunciato ma anche una minore conservabilità. Le olive di buona qualità, pronte per il consumo, mantengono un gusto gradevolmente amarognolo. Esse sono confezionate in salamoia fresca (7-8% di NaCl) e, nel caso di piccoli contenitori, possono subire un trattamento termico di stabilizzazione nei termini già descritti per il sistema Sivigliano. Il processo “tradizionale” appena descritto può portare alla comparsa di olive con difetto di gas-pocket, dovuto allo sviluppo di cavità della polpa, a volte estese fino al nocciolo, causate dall’accumulo di anidride carbonica sviluppata dalla respirazione dei tessuti delle olive e dall’attività di alcuni microrganismi che rilasciano questo gas come normale prodotto del proprio metabolismo. Per limitare la comparsa di questo difetto è stato sviluppato un sistema di fermentazione (processo aerobico) nel quale viene insufflata aria all’interno del contenitore (fermentatore) in cui avviene la trasformazione. Questo sistema è in grado di rimuovere l’anidride carbonica ma induce un cambiamento nella microflora prevalente durante il processo, con riferimento soprattutto ai lieviti, favorendo i cosiddetti aerobi, con metabolismo ossidativo (che trasformano le sostanze nutritive in presenza di ossigeno) a scapito di quelli fermentativi (il cui metabolismo si svolge in assenza di ossigeno). In generale, la presenza di lieviti è importante sia perché favorisce l’attività

Difetti più frequenti

• Gas-pocket (intramesocarpici e ipocuticolari)

• Spoilage • Softening • Macule • Raggrinzimenti • Fermentazioni anomale (putride e butirriche)

Oliva maculata

Oliva “cintata”

Olive raggrinzite

Sezione di oliva “cintata” con presenza di gas-pocket intramesocarpici

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utilizzazione di Lactobacillus plantarum, in seguito al rilascio di vitamine e aminoacidi indispensabili per la crescita del batterio, sia perché partecipa all’acquisizione delle caratteristiche sensoriali del prodotto grazie alla produzione di etanolo, etilacetato, acetaldeide e altri composti aromatici. Tuttavia, la presenza di lieviti a metabolismo ossidativo può risultare negativa, poiché l’ossidazione dell’acido lattico, che si traduce in un innalzamento dei valori di pH, può limitare la stabilità microbiologica del prodotto. In definitiva, i maggiori vantaggi di questo processo, rispetto a quello aerobico, sono individuabili in una ridotta incidenza del difetto gas-pocket e in un minor raggrinzimento del frutto; una migliore diffusione dei nutrienti con incidenza positiva sulla rapidità della fermentazione e, quindi, la possibilità di accelerare il processo; una migliore colorazione dovuta all’ossidazione del frutto, fase prevista anche nel processo tradizionale in cui si raggiunge questo obiettivo esponendo le drupe all’aria al termine della deamarizzazione. Fermentazione controllata: impiego di colture starter naturali o selezionate Come si può evincere da un’analisi di quanto sopra riportato, nei processi di fermentazione spontanea, per la complessa interazione tra fattori intrinseci ed estrinseci e per la variabilità della componente microbica e del grado di contaminazione del frutto e dell’ambiente di lavorazione, molti fattori possono sfuggire a uno stretto controllo. Spesso, inoltre, la drupa non contiene un’adeguata concentrazione di zuccheri fermentescibili, specialmente dopo il trattamento con soda, ove previsto, e la microflora lattica “tecnologica” presente potrebbe stentare a diventare rapidamente prevalente su quella contaminante. Di conseguenza, se il decremento di pH nei primi giorni di fermentazione non è abbastanza rapido, possono rapidamente instaurarsi fenomeni di deterioramento a causa delle Enterobacteriaceae e di altri gruppi microbici che possono raggiungere un’elevata densità cellulare e determinare gas-pocket, rammollimenti, rotture della cuticola e altri difetti. In caso di mancato inizio della fermentazione, o al fine di ottenere un processo di fermentazione più prevedibile, una soluzione è rappresentata dal ricorso all’innesto con colture starter. L’esperienza suggerisce, infatti, che un appropriato inoculo riduce la probabilità di spoilage da parte di microrganismi alteranti, inibisce lo sviluppo di patogeni e permette di ottenere un processo più controllabile e un prodotto standardizzato e privo di difetti. In questo contesto, impiegando la terminologia in uso per altri settori, come per esempio quello lattiero-caseario, in cui l’impiego di colture starter è ormai pratica diffusa e ben

Fenomeno del “galleggiamento” a causa di sacche di gas

L’oliva come alimento funzionale probiotico

• La ricerca degli ultimi anni punta sulla valorizzazione del prodotto olive da tavola quale efficace veicolo per ceppi selezionati per l’attività probiotica in grado di sopravvivere nell’intestino ed esplicarvi le peculiari funzioni. Una porzione (circa 10 olive) può portare adese sulla superficie fino a 108-109 cellule vive!

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olive da mensa sperimentata, si possono distinguere due diverse tipologie di colture starter: quelle naturali e quelle selezionate. La coltura starter naturale è rappresentata dalla salamoia derivante da un processo fermentativo in atto e può essere usata come inoculo, nella percentuale dell’1-2% per avviare il nuovo processo fermentativo mediante l’inoculo di microrganismi utili. Caratteristiche ottimali della salamoia impiegata come inoculo sono l’acidità elevata (pH circa 4) e la presenza in elevato numero (circa 107 ufc/ml) di Lactobacillus plantarum. Questo sistema è ancora oggi usato in molte aziende di trasformazione. Tuttavia, poiché in questo caso lo starter è rappresentato da una miscela di ceppi con caratteristiche diverse (per es. differenze nella velocità di crescita, nell’adattamento alle condizioni della nuova salamoia, nelle proprietà antimicrobiche, nella produzione di composti aromatici), il risultato è spesso imprevedibile e la qualità finale del prodotto non sempre è quella desiderata. Lo starter selezionato corrisponde al ceppo, cioè all’individuo batterico (più ceppi costituiscono la specie e più specie sono raggruppate nel genere) in coltura pura, cioè in assenza di altri microrganismi. All’interno di una stessa specie non tutti i ceppi possiedono caratteristiche fisiologiche e, quindi, tecnologiche affini. Per questa ragione la scelta del ceppo implica un’attenta valutazione preliminare delle sue caratteristiche. Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno avuto per oggetto il miglioramento della fermentazione delle olive da tavola mediante l’impiego di colture starter e diverse sperimentazioni hanno considerato le modalità ottimali per l’impiego delle colture selezionate, con particolare riferimento al processo Sivigliano. Recentemente, tuttavia, attenzione è stata rivolta alla possibilità di impiego di starter selezionati anche nel sistema di trasformazione al naturale, per la necessità di limitare la comparsa di difetti. In generale, un programma di studio per la ricerca di microrganismi starter prevede: 1) l’isolamento dei microrganismi prevalenti in salamoie in fermentazione; 2) la loro identificazione; 3) la valutazione in vitro delle attività tecnologiche di interesse; 4) la verifica in situ delle attività selezionate (per es. mediante la conduzione di prove di fermentazione). Su questa base, le colture starter proposte sono in genere rappresentate da ceppi di Lactobacillus plantarum, microrganismo prevalente nelle fermentazioni spontanee, dotato di elevate capacità acidificanti e, in alcuni casi, di elevata attività oleuropeinolitica. Tuttavia, anche altre specie sono state oggetto di interesse e hanno evidenziato buone potenzialità, sia in coltura singola sia in combinazione. Tra queste Lactobacillus pentosus (valutato anche nel processo di fermentazione di olive nere al naturale e in olive verdi non trattate preliminarmente con soda, note anche come olive verdi al naturale) ed Enterococcus casseliflavus (in grado

Fiala contenente starter liofilizzato di Lactobacillus plantarum

Caratteristiche di uno starter per la fermentazione di olive da tavola

• Metabolismo omofermentante • Sviluppo rapido e predominante • Buona capacità acidificante • Capacità di crescere anche a basse

temperature • Tolleranza al sale • Tolleranza all’acidità • Capacità di tollerare e/o idrolizzare le sostanze fenoliche (per es. oleuropeina) • Capacità aromatizzante • Scarse richieste di fattori di crescita • Attività antimicrobica (produzione di batteriocine)

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utilizzazione di avviare la fermentazione anche a valori di pH alcalino dopo il trattamento con soda consentendo, quindi, di limitare il numero di lavaggi preliminari alla fermentazione). Tuttavia, la capacità di crescere a valori di pH alcalini (circa 9) è stata riportata anche per Lactobacillus pentosus. Quest’ultimo aspetto può avere interessanti ricadute ambientali, in relazione alla diminuzione dei reflui inquinanti contenenti soda. Da una disamina di quanto riportato dalla letteratura scientifica, si possono indicare le proprietà ritenute più importanti per una coltura starter da impiegare nella trasformazione delle olive da tavola. In relazione alla richiesta capacità del ceppo selezionato di diventare rapidamente prevalente e dominare la fermentazione, limitando la presenza di altri microrganismi non voluti, sta destando interesse l’impiego di ceppi produttori di batteriocine (sostanze di natura proteica prodotte da alcuni batteri in grado di inibirne altri presenti nello stesso ambiente). In questo senso, un ceppo di Lactobacillus plantarum isolato da salamoie di olive trasformate con il sistema Sivigliano e produttore di due batteriocine ha mostrato di poter inibire ceppi sia di propionibatteri sia di clostridi, responsabili di vari difetti, sia altri batteri lattici autoctoni. A volte, nel caso di impiego di starter, la salamoia può essere integrata con piccole quantità di zuccheri fermentescibili o con acidi organici, per modificare, rispettivamente, la disponibilità di nutrienti e il pH iniziale, al fine di consentire un più rapido avvio della fermentazione.

Test per la produzione di batteriocine mediante “well diffusion”

• Il microrganismo da testare per la

produzione della batteriocina (per es. batterio X) viene fatto crescere in un terreno di coltura liquido appropriato. Dopo centrifugazione, il surnatante (terreno di coltura senza cellule nel quale è stata rilasciata l’eventuale batteriocina) viene trasferito in pozzetti scavati nello spessore di un terreno di coltura agarizzato in piastre Petri. Sulla superficie del terreno solido viene inoculato un altro microrganismo (per es. batterio Y), di cui si vuole saggiare la sensibilità nei confronti della batteriocina. Dopo incubazione della piastra, la zona trasparente intorno al pozzetto indica la mancata crescita del batterio Y a causa dell’attività della batteriocina prodotta dal batterio X e diffusa dal surnatante. L’assenza di alone trasparente indica la completa crescita del batterio Y, sotto forma di patina superficiale, quindi la mancata produzione di batteriocina da parte del batterio X (o la resistenza di Y nei confronti della batteriocina prodotta da X)

Altri sistemi per la produzione di olive da tavola fermentate – Sistema alla Itrana, che porta alla produzione di olive da tavola cangianti che vanno sotto il nome di Olive di Gaeta. Si tratta di una metodologia di antica tradizione (quando parte del Lazio faceva parte del Ducato di Gaeta) e del tutto naturale, che prevede la preventiva immersione dei frutti di Olea europaea cultivar Itrana, caratteristica di una ristretta zona della regione Lazio (comune di Itri e limitrofi in provincia di Latina), in acqua per la durata di 10-30 giorni, al fine di favorire l’avvio naturale della fermentazione lattica, che porta a un abbassamento del pH intorno a 4,5. Trascorso il periodo di tempo indicato, si procede all’aggiunta di sale in quantità ben definita (7 kg di NaCl per ogni 100 kg di drupe). La salamoia che ne consegue crea l’ambiente idoneo allo sviluppo di una microflora spontanea che, nel giro di 5 mesi, porta all’ottenimento di un prodotto, dalle ben caratterizzate proprietà organolettiche, dal colore rosso-vinoso e non uniforme, e dal sapore leggermente amarognolo e acidulo tipico (lattico/acetico). La polpa dell’Oliva di Gaeta si caratterizza inoltre per il distacco dal nocciolo netto e completo. Queste peculiarità sono dovute alla situazione pedoclimatica favorevole delle zone di coltivazione degli oliveti vocati alla produzione della cultivar Itrana. Il prodotto 650


olive da mensa Oliva di Gaeta o, in dialetto laziale, auliv’ a la ott’ (oliva in botte) viene venduto in piccoli contenitori in vetro o sfuso. Il sistema alla Itrana differisce dal sistema Greco naturale per due motivi: a) le olive della varietà Itrana vengono raccolte a maturazione avanzata nei mesi di febbraio-marzo, quindi molto tardi rispetto alla maggior parte delle cultivar da mensa. All’epoca della raccolta il contenuto di polifenoli è basso e quindi la microflora lattica coinvolta nel processo fermentativo riesce a tollerare la loro azione inibente, e quindi il processo di deamarizzazione è più veloce; b) la fermentazione lattica prende l’avvio in acqua e non in salamoia. – Olive schiacciate. In questo tipo di lavorazione, frequente in Calabria e Sicilia, le olive, una volta rotte parzialmente per schiacciamento leggero della polpa a mezzo di macchine schiacciatrici, vengono immerse in salamoia leggera, sostituita di frequente al fine di ottenere una rapida deamarizzazione, che favorisce l’instaurarsi di una fermentazione anche alcolica, a opera di lieviti, con forte produzione di CO2. Le olive da avviare a questo sistema di lavorazione devono essere verdi e dalla polpa croccante. Il prodotto finito viene condito con aglio, peperoncino, origano e altre spezie e di solito venduto sfuso.

Olive di Gaeta della cultivar Itrana (sistema alla Itrana)

Trasformazione delle olive da mensa non fermentate – Sistema Californiano. Le olive vengono deamarizzate con soda a più riprese e quindi ossidate mediante insufflazione d’aria nell’acqua di lavaggio. I frutti assumono un colore nero intenso che viene stabilizzato con l’addizione di sali ferrosi (gluconato ferroso e lattato ferroso), il cui residuo nel prodotto trasformato non deve superare i 150 mg/kg come Fe totale. Questa tecnologia è in continua diffusione e pur trovando giustificazione in funzione dei costi, rende in definitiva disponibile una conserva priva dell’apporto miglioratore del processo di fermentazione. Le olive presentano un gusto assolutamente piatto, talvolta metallico, dovuto a un uso improprio dei sali ferrosi, ma un basso contenuto in sodio. – Sistema Castelvetrano. Particolarmente utilizzato nella zona di Castelvetrano (TP) sulle olive della varietà Nocellara del Belice, consiste nel deamarizzare il frutto in una soluzione sodicosalina praticamente usata come liquido di governo delle olive. Le olive vengono messe in fusti da 200 l (contenenti 140 kg di olive), ricoperte da soluzione sodica a una concentrazione compresa tra 1,8 e 2,5% e addizionata di 5-7 kg di sale. La limitata conservabilità del prodotto ne consiglia una rapida utilizzazione o lo stoccaggio in locali refrigerati. Le olive presentano un colore verde intenso e un gusto dolce, leggermente liscivioso. – Metodo Picholine. Usato in Francia per la trasformazione delle olive verdi della cultivar omonima, consiste in una rapi-

Olive verdi schiacciate e condite con aglio e peperoncino

Olive nere essiccate al forno della cultivar Maiatica (metodo Ferrandina)

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utilizzazione Filiera di produzione di olive da tavola non fermentate Olive fresche o conservate in salamoia

Californiano

Castelvetrano

Kalamata

Ferrandina

Sotto sale

Deamarizzazione (soda)

Deamarizzazione (soda + salamoia)

Incisione

Scottatura (blanching)

Salatura (1 mese)

Lavaggi (con acqua)

Deamarizzazione naturale (in salamoia)

Salatura (con NaCl 10%)

Aggiunta di aromi (buccia d’arancio e spezie)

Prodotto (olive verdi dolci)

Acidificazione (con aceto di vino)

Essiccazione (oven-drying)

Conservazione (salamoia + olio)

Prodotto (olive nere infornate)

Lavaggi (con acqua)

Stabilizzazione del colore (sali ferrosi)

Prodotto (olive nere raggrinzite)

Lavaggi (con acqua)

Prodotto (olive nere ossidate) Prodotto (olive cangianti)

da deamarizzazione con soda per 9-12 ore, seguita da ripetuti lavaggi e immersione progressiva in salamoia dal 3 all’8%. Il prodotto, pronto in 8-10 giorni, conserva un colore verde intenso e viene venduto principalmente sfuso durante l’inverno (con l’innalzamento delle temperature in primavera va incontro a fermentazioni non più controllabili). – Metodo Ferrandina. Le olive della cultivar Maiatica, caratteristica della Basilicata, dopo una blanda scottatura in acqua, vengono addizionate di sale ed essiccate al forno a una temperatura non superiore a 50 °C. La conservabilità del prodotto essiccato è legata al contenuto di umidità che residua nei frutti. – Metodo Kalamata. Le olive della cultivar di origine greca Kalamata, raccolte a fine maturazione, vengono incise longitudinalmente e deamarizzate con una serie di lavaggi in acqua o salamoia leggera, poi vengono immerse per un giorno in aceto di vino e confezionate in salamoia con aggiunta di olio extravergine di oliva. Il prodotto presenta un colore cangiante e una particolare lucentezza, oltre a un gusto gradevole di amaro e acido.

Olive cangianti incise della cultivar Kalamata (metodo Kalamata)

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olive da mensa – Olive al sale. Le olive, raccolte allo stadio nero di maturazione, vengono addizionate di sale grosso (una manciata/kg di frutti), buccia d’arancio e altre spezie. Dopo circa un mese e mezzo (dipende dalla varietà, dall’epoca di raccolta, dalla temperatura di stoccaggio) le olive, deamarizzate e aromatizzate, si presentano raggrinzite. La salamoia derivante dall’acqua di vegetazione delle olive stesse, fuoriuscita dal frutto per osmosi, può essere usata come mezzo di conservazione del prodotto oppure eliminata man mano che fuoriesce (olive nere al sale secco). – Olive al fumo. Si utilizzano olive della cultivar Itrana che vengono poste in ceste di giunco appese alla cappa del camino per circa 20 giorni ad affumicare. Dopo questo trattamento le olive, che si presentano secche, di colore nero e raggrinzite, vengono fatte rinvenire in acqua calda e condite con olio, sale, succo e buccia di limone o di arancio e consumate come tali o utilizzate per la preparazione di pane, pizze o focacce. – Olive in serbo. In Puglia si usa preparare le olive per la lunga conservazione, facendole dapprima appassire al sole per poi sistemarle, premendole, in un vaso di creta cosparso di sale fino, semi di anice o di finocchio. Una menzione particolare va fatta per le Olive Ripiene all’Ascolana, prodotto esportato in tutto il mondo che ha ottenuto l’iscrizione nel Registro DOP e IGP. Le prime notizie circa la farcitura, a prevalente base di carni, hanno origine nel XIX secolo e riferiscono l’uso di questa specialità in famiglie agiate.

Olive nere al sale secco della cultivar Leccino

Altri difetti delle olive da tavola Le olive da tavola, durante i trattamenti di processo, possono andare incontro a fenomeni alterativi che interessano la consistenza del frutto, le sostanze aromatiche prodotte, il colore e il sapore. Le alterazioni si possono distinguere in: a) prodotte in conseguenza di fermentazioni anomale; b) dovute a pratiche tecnologiche errate.

Preparazioni commerciali (dalla Norma COI/OT/NC n. 1 dic./2004) Olive conciate

Olive verdi, cangianti o nere, deamarizzate con trattamento alcalino, messe in salamoia ove hanno subito una fermentazione completa o parziale, conservate con o senza aggiunta di agenti acidificanti

Olive al naturale

Olive verdi, cangianti o nere, deamarizzate direttamente in salamoia ove hanno subito una fermentazione completa o parziale, conservate con o senza aggiunta di agenti acidificanti

Olive disidratate e/o raggrinzite

Olive verdi, cangianti o nere che possono aver subito una deamarizzazione in una leggera soluzione alcalina, conservate in salamoia o parzialmente disidratate al sale secco e/o mediante riscaldamento o altri processi tecnologici

Olive annerite per ossidazione

Olive verdi o cangianti conservate in salamoia, che possono aver subito fermentazione, annerite per ossidazione in ambiente alcalino e conservate in recipienti ermetici mediante un processo termico di sterilizzazione, che presentano un colore nero uniforme

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utilizzazione Durante la prima fase del processo fermentativo, sono frequenti i casi in cui prendono il sopravvento batteri Gram negativi gasogeni (Enterobacter, Citrobacter, Klebsiella, Escherichia e Aeromonas) che consumano gli zuccheri liberando CO2, che si accumula in sacche di gas al di sotto dell’epidermide (gaspocket ipocuticolari) oppure all’interno della polpa (gas-pocket intramesocarpici). Le olive colpite da queste alterazioni mostrano bolle in superficie oppure sembrano strette da una cintura (olive cintate). Il gas che si sviluppa riduce la densità del frutto, che quindi galleggia in superficie. Lo sviluppo di microrganismi appartenenti ai generi Clostridium e Propionibacterium e di alcuni lieviti a metabolismo ossidativo e fermentativo, soprattutto durante la terza fase del processo fermentativo oppure durante la conservazione, porta a fermentazioni putride (che ricordano l’odore della materia organica in decomposizione), butirriche (che ricordano l’odore del burro irrancidito), propioniche e alcoliche, con conseguente formazione di composti volatili, solitamente non presenti nel prodotto quali acido formico, butirrico, propionico o di altri che, in condizioni normali, sono presenti a basse concentrazioni. Lo sviluppo di questi microrganismi è favorito da un pH > 4,5 e da basse concentrazioni di NaCl. Lo sviluppo di funghi pectinolitici (muffe dei generi Penicillium e Aspergillus) o cellulosolitici (del genere Cellulomonas) causa il rammollimento dei frutti dovuto all’azione degli enzimi che degradano, rispettivamente, le sostanze pectiche che costituiscono la lamella mediana, determinando la separazione cellulare, e le cellulose, le emicellulose e i polisaccaridi della parete cellulare, danneggiando la parete stessa. La permanenza in soda per tempi più lunghi rispetto alle reali necessità della cultivar provoca la solubilizzazione delle cere epicuticolari e la riduzione dello spessore cuticolare. Trattamenti estremi, Cell-separation per degradazione delle pectine e gelificazione dei costituenti della parete cellulare

Le italiane da mensa DOP

Lieviti killer

• Si tratta di lieviti produttori

di molecole in grado di causare la morte di altri lieviti. Recentemente, alcuni lieviti dotati di attività killer, appartenenti ai generi Candida, Debaryomyces, Kluyveromyces, Pichia e Saccharomyces, sono stati proposti per controllare fenomeni di spoilage e softening associati alla presenza di altri lieviti durante la conservazione

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Nome della DOP

Cultivar

Normativa di riferimento

Nocellara del Belice

Nocellara del Belice

Reg. CE 134/1998 (G.U. Ce L 15/6 del 21.1.1998)

Bella della Daunia

Bella di Cerignola

Reg. CE 1904/2000 (G.U. Ce L 228/57 dell’8.9.2000)

Oliva ascolana del Piceno

Ascolana tenera

Reg. CE 1855/2005 (G.U. Ue L 297/5 del 15.11.2005)

Oliva di Gaeta

Itrana

Proposta di riconoscimento (GURI n. 289 del 9.12.2005)

Olive di Maiatica al forno

Maiatica

Riconoscimento in corso

Oliva dolce di Bitetto

Termite di Bitetto

Riconoscimento in corso


olive da mensa caratteristici del metodo Ferrandina, come scottatura, salatura ed essiccazione in forno, influiscono sulla texture del frutto, provocando una disorganizzazione dei tessuti per degradazione delle pectine, perdita di nutrienti per osmosi e gelificazione delle cellulose, delle emicellulose e dei polisaccaridi. Il risultato finale è un’oliva raggrinzita.

Ricetta delle olive ripiene all’Ascolana dal Disciplinare di produzione

Normativa

• Ingredienti:

- Olive verdi della varietà Ascolana tenera in salamoia Ripieno: • - carni bovine 40-70% - carni suine 30-50% - carni di pollo e/o tacchino max 10% Le carni sopracitate, tagliate in pezzi, vengono rosolate con cipolla, carota e sedano in olio extravergine di oliva e portate a cottura a fuoco lento con aggiunta di vino bianco secco e sale. A cottura ultimata la carne e gli ingredienti aggiuntivi vengono triturati. L’impasto viene legato con uovo, formaggio stagionato grattugiato e noce moscata. Le olive preventivamente denocciolate vengono riempite con l’impasto ottenuto, vengono passate nella farina, poi nell’uovo battuto e infine nel pangrattato. Il prodotto finale è destinato alla frittura

I principali sistemi di lavorazione delle olive da tavola sono sufficientemente descritti dalla norma del Codex Alimentarius (Codex Standard for Table Olives, Codex Stan 66-1981; Rev. 1-1987). A livello internazionale si dispone di una norma commerciale elaborata dal Consiglio Oleicolo Internazionale con sede a Madrid (Trade Standard Applying to Table Olives, COI/OT/NC no. 1 December 2004), che “si applica ai frutti dell’olivo coltivato sottoposti a trattamenti o operazioni appropriati e immessi in commercio e al consumo finale come olive da tavola”. Nella norma vengono descritti i diversi prodotti e le preparazioni commerciali, i fattori essenziali di composizione e qualità, gli additivi e gli ausiliari tecnologici consentiti, il confezionamento e l’etichettatura, la classificazione qualitativa del prodotto. Le diverse preparazioni commerciali, confezionate in contenitori di vario materiale (plastica, vetro, banda stagnata), possono o meno subire un trattamento termico stabilizzante. A livello nazionale, le disposizioni che regolano la commercializzazione delle olive da tavola sono da ricercare nella normativa più generale sulle conserve alimentari. In materia di additivi le norme vigenti fanno riferimento specifico alle olive solo per la pasta di olive, delle olive farcite e di quelle trattate con i sali ferrosi.

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l’ulivo e l’olio

utilizzazione Trasformazione delle olive GianFrancesco Montedoro, Maurizio Servili, Sonia Esposto

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


utilizzazione Trasformazione delle olive Olio vergine di oliva e qualità L’olio vergine d’oliva si ottiene unicamente per estrazione meccanica, e può essere consumato direttamente, senza alcun ulteriore trattamento fisico-chimico di raffinazione o rettificazione. Le sue qualità relative agli aspetti sensoriali e salutistici sono profondamente legate alle sue caratteristiche chimiche. La composizione chimica dell’olio vergine d’oliva è caratterizzata da una frazione saponificabile e dai costituenti minori. La frazione saponificabile comprende i gliceridi, che costituiscono più del 98% dell’olio. Gli acidi grassi, che rappresentano i composti più importanti di questa frazione, sono alla base del valore nutrizionale storico dell’olio vergine di oliva. In passato, infatti, la qualità nutrizionale dell’olio d’oliva era esclusivamente attribuita all’alto livello di acido oleico il quale era presente, in elevate concentrazioni, quasi esclusivamente in questo olio vegetale. Allo stato attuale il suddetto parametro non è più una caratteristica esclusiva dell’olio vergine di oliva, poiché gli oli ottenuti da alcuni ibridi di girasole e colza hanno una composizione in acidi grassi simile a quella dell’olio di oliva. Nonostante ciò, l’olio vergine di oliva è da considerarsi tuttora una sostanza grassa con caratteristiche chimiche esclusive per la sua composizione in componenti minori. A questi composti, presenti in ridotte quantità (rappresentano, infatti, circa il 2% del peso dell’olio), corrispondono più di 230 sostanze chimiche appartenenti a diverse classi come alcoli alifatici e triterpenici, steroli, idrocarburi, composti volatili, carotenoidi e sostanze fenoliche. Alla frazione dei costituenti minori appartengono in particolare gli antiossidanti naturali degli oli vergini di oliva,

Composti fenolici dell’olio di oliva

• In termini di composti fenolici totali, un olio extravergine di oliva può avere concentrazioni variabili tra 100 e 900 mg/kg di olio

• I composti fenolici sono importanti

sia nella shelf life dell’olio sia nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e potrebbero anche giocare un ruolo determinante nella prevenzione di alcune forme tumorali

Foto Agrilinea

Foto Agrilinea

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trasformazione delle olive rappresentati da caroteni, tocoferoli e sostanze fenoliche. Questi antiossidanti sono i composti che maggiormente possono essere correlati alla qualità salutistica dell’olio vergine di oliva. Gli antiossidanti più esclusivi degli oli extravergini di oliva sono però rappresentati dai composti fenolici, che sono originati durante il processo di estrazione meccanica dell’olio a partire dalle sostanze fenoliche presenti nel frutto. La qualità sensoriale dell’olio extravergine di oliva è strettamente correlata ai composti fenolici in quanto responsabili delle note gustative di amaro e piccante, mentre i composti volatili sono alla base dell’aroma dell’olio. Per quanto concerne i composti volatili va ricordato che nell’olio vergine di oliva sono state identificate più di 180 sostanze ma la loro correlazione con il flavour del prodotto non è ancora ben conosciuta. Come illustrato nella tabella a lato, allo stato attuale delle conoscenze è stata documentata solo la relazione tra l’aroma di fruttato erbaceo e le aldeidi e gli alcoli saturi e insaturi a 5 e a 6 atomi di carbonio e del floreale con alcuni esteri; tutte sostanze che si originano dall’attività della lipossigenasi durante l’estrazione meccanica dell’olio. Sono stati, inoltre, identificati i composti responsabili di diversi difetti dell’olio vergine di oliva come l’avvinato e il rancido. Le clorofille e le feofitine, invece, caratterizzano il colore verde dell’olio mentre i caroteni come la luteina e il b-carotene sono responsabili del colore giallo. Le qualità sensoriali e salutistiche dell’olio vergine di oliva sono fortemente influenzate dalle condizioni agronomiche e tecnologiche di produzione che vanno opportunamente gestite al fine di ottenere un olio di elevata qualità.

Proprietà sensoriali dei composti volatili dell’olio vergine di oliva Composto

Sensazione odorosa

Aldeidi

Foto Agrilinea

esanale

verde, mela, erba tagliata

nonanale

saponoso, agrumi

2-metil-2-butenale

mela

trans-2-pentenale

erbaceo, mela, floreale

cis-2-pentenale

erbaceo, piacevole

trans-2-esenale

amaro, mandorla, erbaceo, mela verde, grasso, mandorla amara, erba tagliata

cis-2-esenale

verde, fruttato, dolce

trans-3-esenale

carciofo, verde, floreale

cis-3-esenale

foglie verdi, grasso, verde, mela, foglia, erba tagliata

2-ottenale

fruttato, sapone, grasso

cis-2-nonenale

verde, grasso

trans-2-nonenale

carta, grasso, aspro, erba tagliata

2,4-nonadienale

fritto

2,6-nonadienale

cetriolo

benzaldeide

mandorla

fenil-acetaldeide

pungente, fenolico

Chetoni pentan-3-one

dolce

1-otten-3-one

fungo

Alcoli

Montagne di olive in attesa di essere trasformate

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pentan-1-olo

pungente

esen-1-olo

fruttato, aromatico, soffice, erba tagliata


utilizzazione Condizioni di processo nell’estrazione meccanica dell’olio Conservazione delle olive. La pratica della conservazione è talvolta diffusa nel panorama olivicolo italiano in particolare in quelle realtà che vedono frantoi numerosi ma di piccole dimensioni. Per effetto dei meccanismi enzimatici idrolitici a carico della parete cellulare, che comportano un’iniziale degradazione della struttura cellulare, questa operazione provoca nel tempo una perdita netta di diversi costituenti dell’olio. Le variazioni più significative si osservano nella diminuzione in sostanze fenoliche dell’olio e dei composti volatili responsabili della nota di fruttato erbaceo. Periodi di conservazione relativamente lunghi, inoltre, si traducono in un aumento dell’acidità libera e in una modificazione dell’aroma dell’olio con formazione dei componenti responsabili dei difetti sensoriali, codificati dalla normativa europea Reg. 2568/91 (e successive modificazioni), e responsabili del declassamento merceologico degli oli stessi. Si è osservato, infatti, che in olive conservate si verificano fenomeni di fermentazione che comportano la formazione dei composti che causano i difetti di avvinato e di riscaldo. In alcune condizioni (tempi relativamente lunghi e umidità relativa dei locali di conservazione elevata) si può avere l’attacco di muffe nella fase di conservazione, che si traduce in incrementi imponenti dell’acidità libera, dovuti alla produzione di lipasi di origine fungina, e, al contempo, nella formazione di aromi caratterizzanti il difetto sensoriale di muffa. L’insieme di queste osservazioni porta a concludere che la conservazione dovrebbe essere evitata. Le condizioni ottimali di processo vedono la lavorazione delle olive da svolgersi al massimo nelle ventiquattro ore successive alla raccolta. Per le brevi conservazioni, che non dovrebbero superare questo periodo, le olive andrebbero sistemate in olivaio, in casse forate o bins e su strato sottile (massimo 30-40 cm di spessore) al

Proprietà sensoriali dei composti volatili dell’olio vergine di oliva Alcoli 2-metil-propan-1-olo

tipo sensazione di etil-acetato

cis-2-penten-1-olo

banana

trans-3-esen-1-olo

fruttato, pungente, erba tagliata, grasso

cis-3-esen-1-olo

banana, foglia, frutta verde, pungente

trans-2-esen-1-olo

verde, erboso, fruttato, grasso, pungente

cis-2-esen-1-olo

frutti verdi Esteri

etil-acetato

dolce, aromatico

etil-isobutirrato

fruttato

etil-2-metilbutirrato

fruttato

etil-3-metilbutirrato

fruttato

cis-3-esenil acetato

banana verde, fruttato, erbaceo, foglie verdi, floreale, estere

esil acetato

dolce, fruttato, floreale

3-metilbutil acetato

banana Acidi

acido acetico

pungente, acido acetico

acido propanoico

aromatico, pungente

Foto Agrilinea

Contenuto in olio della drupa

• L’olio risulta presente sia nella polpa

(16,5-23,5% del peso fresco) sia nella mandorla della drupa (1-1,5% del peso fresco), tuttavia la parte presente nelle cellule della polpa risulta di gran lunga prevalente rispetto a quella del seme. L’olio della polpa, inoltre, è anche più facilmente estraibile rispetto a quello contenuto nel seme

Le cassette e i bins sono il mezzo più idoneo per il trasporto delle olive al frantoio

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trasformazione delle olive fine di minimizzare i processi di fermentazione che sono alla base della formazione degli aromi responsabili dei difetti sensoriali e della perdita d’acqua, elemento questo che facilita notevolmente l’attacco da parte delle muffe. Le cassette e i bins sono anche il mezzo più idoneo per il trasporto delle olive dall’oliveto al frantoio. È invece assolutamente da evitare, sia per il trasporto sia per la conservazione, l’uso dei sacchi, che rappresenta una pratica, purtroppo ancora diffusa, ma assolutamente irrazionale e pericolosa nei riguardi della qualità dell’olio extravergine di oliva.

Foto Agrilinea

Defogliatura e lavaggio delle olive. La defogliatura delle olive è un’operazione sempre consigliabile specialmente quando la raccolta viene effettuata meccanicamente. La presenza di foglie, infatti, non apporta alcuna caratteristica positiva agli oli ma, al contrario, può modificarne negativamente il gusto e l’aroma. Il lavaggio delle olive viene normalmente effettuato utilizzando lavatrici continue. Le olive, mediante una tramoggia di alimentazione, vengono scaricate in uno scomparto del cassone e lavate per immersione subendo un continuo rimescolamento; successivamente, con un sistema meccanico o idro-pneumatico, vengono inviate a un altro scomparto per ripetere la stessa operazione di lavaggio al termine della quale, a mezzo di griglie, le olive, liberate dalle impurità o dalle sostanze estranee (zolle o granelli di terra, pietre, foglie ecc.), sono pronte per esser sottoposte alla prima fase della lavorazione, che consiste nella frangitura. La parte più critica di questo processo risiede nelle caratteristiche dell’acqua di lavaggio, che dovrebbe essere frequentemente sostituita in funzione del livello di contaminazione da corpi estranei, terra in particolare, delle olive da lavorare. È necessario evitare l’uso, per il lavaggio, di acqua troppo ricca di particelle terrose che possono

Foto Agrilinea

Foto A. Serraiocco

Foto Agrilinea

Fasi del processo di lavorazione delle olive Olive in uscita dalla lavatrice

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utilizzazione Foto A. Serraiocco

Vantaggi e svantaggi dell’uso di paste denocciolate

• Allo stato attuale delle conoscenze

l’estrazione meccanica dell’olio da paste denocciolate comporta una significativa riduzione delle rese industriali di estrazione. Questo aspetto è dovuto al fatto che l’eliminazione del nocciolo triturato, che se presente esercita un importante potere drenante, riduce l’efficienza di separazione dell’olio dalle paste di oliva nella fase di estrazione (separazione solidoliquido). D’altro canto, l’eliminazione del nocciolo dalle paste permette di proporre usi alternativi, e potenzialmente più economici, delle sanse denocciolate, quali l’utilizzo come integratori zootecnici in grado di apportare, alla dieta dell’animale, lipidi ad alto valore biologico e antiossidanti naturali, come le sostanze fenoliche, altamente contenute nelle sanse vergini

Olive in uscita dalla lavatrice pronte per essere avviate al frangitore

trasmettere all’olio estratto sensazioni negative quali il difetto di terra. Inoltre è buona norma far seguire alla fase di lavaggio una fase di risciacquo delle olive da effettuare nella parte terminale della lavatrice, prima di inviare il prodotto alla fase di frangitura, utilizzando acqua potabile. L’uso di acqua potabile in questa fase, distribuita medianti appositi diffusori, permetterà di rimuovere anche gli ultimi residui di sostanze contaminanti di natura terrosa dalle olive prima della frangitura. Frangitura. L’innovazione tecnologica nel campo dell’estrazione meccanica dell’olio vergine di oliva vede tra i punti meno trattati la fase di frangitura. Negli ultimi trent’anni, infatti, si è passati da sistemi di frangitura discontinui (molazze) ai frangitori continui. La frangitura rappresenta una fase critica per la qualità dell’olio in quanto, durante questo processo, si ha l’attivazione del patrimonio enzimatico endogeno del frutto, che catalizza una serie di reazioni che sono alla base delle caratteristiche organolettiche e della qualità salutistica dell’olio vergine di oliva. Va ricordato, infatti, che la formazione degli aromi, dovuta all’attività delle lipossigenasi, si attiva in fase di frangitura, così come la trasformazione dei composti fenolici glucosidi quali l’oleuropeina, la demetiloleuropeina e il ligustroside, nei relativi agliconi. Quest’ultima reazione è anche alla base del trasferimento delle suddette sostanze fenoliche nell’olio estratto meccanicamente. Insieme a queste reazioni positive per la qualità sensoriale e salutistica dell’olio, la frangitura attiva anche complessi enzimatici che hanno un’attività negativa quali le polifenolossidasi e le perossidasi, che catalizzano la degradazione delle sostanze fenoliche nella fase di gramolatura. Gli enzimi dell’oliva sono distribuiti in forma diversa nelle parti costitutive della drupa, in particolare la perossidasi è ampiamente contenuta nella mandorla, la polifenolossidasi e le glicosidasi sono presenti quasi esclusivamente nel mesocarpo.

Foto A. Serraiocco

Elevatore delle olive verso la defogliatrice e la lavatrice

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trasformazione delle olive La lipossigenasi è invece contenuta in tutte le parti costitutive del frutto, anche se è stato dimostrato che quella contenuta nella mandorla ha un basso impatto nella produzione degli aromi dell’olio. Questa particolare distribuzione delle attività enzimatiche endogene della drupa lascia aperta la possibilità di attivare gli enzimi endogeni del frutto in forma diversificata cercando di intervenire selettivamente sulle varie parti costitutive della drupa in fase di frangitura. Si basano su questo concetto i processi di denocciolatura delle olive che, eliminando la mandorla, riducono la liberazione dell’attività perossidasica nelle paste e quindi l’ossidazione delle sostanze fenoliche dell’olio. Una serie di ricerche in questo campo ha, infatti, dimostrato che la denocciolatura delle olive comporta, nella generalità dei casi, un incremento del contenuto fenolico degli oli. Le stesse caratteristiche sensoriali degli oli denocciolati sembrano migliorare, anche se esse rimangono profondamente influenzate dalle cultivar di olive utilizzate. Si è osservato, in particolare, nelle paste denocciolate e nei relativi oli, un incremento delle aldeidi insature a C6, dovuto all’attività delle lipossigenasi responsabili della nota di erbaceo fresco tipica di numerosi oli di alta qualità italiani. Va infine considerato che le suddette caratteristiche qualitative dimostrano anche una maggiore stabilità nel tempo. Un percorso alternativo alla denocciolatura, in termini di qualità dell’olio, può essere rappresentato dalla frangitura differenziata delle drupe, il cui principio ispiratore è quello di sviluppare un pro-

Foto A. Serraiocco

Particolare delle molazze per la frangitura delle olive

Frangitore a molazze

Foto Agrilinea

661


utilizzazione cesso che comporti un’efficiente rottura dei tessuti della polpa (ove è contenuto circa il 98% dell’olio) e della parte legnosa della mandorla, alla quale possa però corrispondere una limitata degradazione del seme riducendo la liberazione di perossidasi nelle paste durante la fase di gramolatura. In questo contesto va osservato che i sistemi tradizionali di frangitura (molazze) esplicavano già questa attività selettiva, cosa invece non possibile per i sistemi di frangitura a martelli. I frangitori a molazze sono costituiti da una vasca formata da un basamento e da un bordo in acciaio inox provvisto di apertura per lo scarico della pasta di olive. Sul basamento, normalmente in granito, si muovono 2 o 3 ruote, anch’esse in granito, a superficie ruvida, poste a diversa distanza dal centro della vasca, le quali effettuano nello stesso tempo un movimento di rotazione e uno di rivoluzione. La velocità di rotazione è normalmente di 12‑15 giri/ minuto. Nei frangitori a molazze, regolando opportunamente la distanza tra le macine in granito e il piatto, si può evitare l’eccessiva frangitura del seme posto all’interno del nocciolo che comporta, come già detto, effetti negativi sulla qualità dell’olio. Il sistema a molazze, che un tempo era sicuramente il più diffuso, va progressivamente scomparendo insieme ai sistemi di estrazione per pressione. La frangitura con molazze, pur essendo un processo che si avvicina al concetto di frangitura differenziata, di cui abbiamo parlato in precedenza, rispetto ai frangitori continui, ha in ogni caso notevoli limiti sia di ordine quantitativo, dovuti alla bassa produzione oraria, sia di tipo qualitativo, legati in particolare al negativo impatto sulla concentrazione fenolica dell’olio dovuto all’ampio e continuo contatto delle paste con l’aria nel corso del processo. Tra i frangitori continui vanno annoverati i frangitori a martelli, che sono stati, storicamente, i primi a essere introdotti in alternativa alle molazze. Queste macchine hanno alcuni notevoli vantaggi che sono da ricondurre all’elevata capacità lavorativa, al basso ingombro e ai bassi costi di impianto ma, al contempo, essi presentano alcuni inconvenienti come il riscaldamento eccessivo della pasta e un effetto frangente non selettivo, in relazione alla degradazione dei tessuti della mandorla. L’innovazione tecnologica in questo contesto si basa, come già ricordato, sul concetto di frangitura differenziata. In altre parole il processo di degradazione dei tessuti del frutto dovrebbe essere molto marcato nei confronti dell’epicarpo e del mesocarpo, al fine di favorire la liberazione dell’olio e dei pigmenti della buccia, mentre l’impatto sulla mandorla dovrebbe essere più limitato; questo al fine di ridurre il trasferimento nelle paste frante di elevati livelli di attività perossidasica (ampiamente presente nella mandorla) che favorirebbe l’ossidazione dei composti fenolici in fase di gramolatura. Su questo principio si basano alcuni frangitori di nuova concezione quali i frangitori a coltelli, a denti e il frangitore a martelli a doppia griglia.

Frangitore a denti

Frangitore a martelli con doppia griglia Foto A. Serraiocco

Particolare di frangitore a martelli

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trasformazione delle olive In conclusione possiamo affermare che, allo stato attuale, le possibilità operative in termini di frangitura delle olive si sono notevolmente ampliate. Per questo motivo il sistema di frangitura andrebbe personalizzato e adattato alla tipologia di olive presenti nella zona di lavorazione e al tipo di olio che si vuole produrre.

Foto A. Serraiocco

Gramolatura. Un altro punto critico del processo di estrazione meccanica dell’olio è rappresentato dalla gramolatura. Le gramolatrici sono costituite essenzialmente da una vasca in acciaio inox munita di intercapedine per la circolazione dell’acqua, contenente all’interno uno o due bracci variamente sagomati, deputati a un lento rimescolamento della pasta di olive. Questa operazione, unitamente al riscaldamento della pasta (25-35 °C), provoca la rottura dell’emulsione acqua-olio, consentendo alle goccioline oleose di riunirsi in gocce più grosse che si separano facilmente dalla fase acquosa nei successivi processi di separazione solidoliquido e liquido-liquido. Anche nella fase di gramolatura si verificano forti modificazioni a carico dei componenti minori. Il risultato è strettamente connesso alla gestione simultanea di tre variabili: la temperatura, il tempo di durata e le condizioni di aerazione delle paste. A tale riguardo, il parametro più studiato e sul quale ci sono continue discussioni e prese di posizione anche di tipo normativo (vedi il Reg. Ue 1989/2003 che codifica, tra le varie opportunità, quella di poter indicare in etichetta la dicitura “estratto a freddo”) è senza dubbio la temperatura di processo. L’argomento merita però un certo approfondimento onde evitare interpretazioni sbagliate del rapporto temperatura di gramolatura/qualità dell’olio. La concentrazione dei composti fenolici e volatili degli oli extravergini di oliva può essere infatti fortemente influenzata dalla temperatura di gramolatura. Va infatti osservato che, per quanto riguarda la frazione fenolica, la temperatura di processo può avere due effetti principali: il primo è relativo ai processi di solubilizzazione di tali composti della fase oleosa, mentre il secondo va posto in relazione alle attività enzimatiche deputate alla degradazione ossidativa dei fenoli, quali la polifenolossidasi e la perossidasi. In linea generale possiamo affermare che nelle gramolatrici tradizionali, caratterizzate da uno scambio di ossigeno con l’aria circostante continuo e incontrollato, l’ossidazione enzimatica, catalizzata da polifenolossidasi e perossidasi, prevale ampiamente sul processo di scambio dei composti fenolici tra pasta e olio. All’aumentare della temperatura di gramolatura, infatti, si osserva una perdita progressiva dei composti fenolici, dovuta all’incremento del processo ossidativo, mentre non è apprezzabile, seppur presente, l’incremento di solubilità in olio di tali composti legato alle temperature più elevate. Nelle gramolatrici di nuova concezione (chiuse o confinate), nelle quali gli scambi gassosi sono minimizzati, l’apporto di ossigeno dall’aria circo-

Particolari della fase di gramolatura della pasta franta

700 600 500 400 300 200 100 0

P.F.

P.G. 20 °C

P.G. 30 °C

P.G. 40 °C

P.G. 50 °C

Variazione della concentrazione in polifenoli totali (mg/kg olio) di oli extravergini di oliva ottenuti direttamente da pasta franta (P.F.) e da paste gramolate (P.G.) con gramola tradizionale a differenti temperature

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utilizzazione stante è limitato e, soprattutto, controllabile. L’incremento dei processi di ossidazione enzimatica, legati all’aumento della temperatura, pertanto, sono significativamente ridotti. Questo è dovuto al fatto che la mancata disponibilità di ossigeno comporta un’inibizione delle attività della polifenolossidasi e della perossidasi. Come conseguenza si osserva che in queste nuove gramolatrici, all’aumentare della temperatura di gramolatura, si verifica effettivamente un aumento del contenuto fenolico nell’olio corrispondente. Se questo è l’effetto della temperatura sulla concentrazione fenolica dell’olio, del tutto diverso è l’impatto sulle sue caratteristiche olfattive. Come già descritto, una parte consistente degli aromi dell’olio extravergine di oliva si origina per attività di un complesso enzimatico endogeno che va sotto il nome di lipossigenasi, gruppo di enzimi che si attiva rapidamente in fase di frangitura e porta, quali composti finali, alla formazione di alcoli e aldeidi a C5, a C6 saturi e insaturi e ad alcuni esteri. Tali enzimi hanno temperature ottimali di lavoro comprese tra i 15 e i 25 °C, mentre la loro attività scende drasticamente sopra i 30 °C. Questo ha come conseguenza che processi di gramolatura condotti a temperature superiori a 27-28 °C si traducono in una marcata perdita dei composti responsabili delle note aromatiche caratteristiche degli oli di alta qualità quali l’erbaceo e il floreale. Per quanto riguarda i tempi di gramolatura, questi vanno tenuti sotto controllo in modo molto preciso, soprattutto nelle gramolarici di tipo tradizionale, che lavorano a continuo contatto con l’aria in quanto in questo caso, a parità di temperatura, più lungo sarà il tempo e maggiore sarà la perdita in composti fenolici dell’olio. Nelle gramolatrici chiuse (o confinate), invece, non c’è una relazione diretta tra durata della temperatura e perdita dei composti fenolici. Va in ogni modo considerato che periodi di gramolatura superiori a 35-40 minuti non comportano in genere alcun incremento di rese all’estrazione e quindi anche nei casi in cui non si traducano in una perdita diretta della qualità dell’olio, essi risultano negativi nei riguardi di una corretta gestione della capacità lavorativa dell’impianto. Concludendo, pur con le difficoltà dovute alla complessità del caso, possiamo considerare che per quanto riguarda le variabili di processo da adottare in fase di gramolatura la temperatura di processo dovrebbe restare compresa tra i 22 e i 27 °C, sia per le gramolatrici di tipo tradizionale sia per quelle di nuova generazione (chiuse o confinate), mentre tempi di processo superiori ai 35-40 minuti possono comportare perdite notevoli in termini qualitativi, in particolare nelle gramolatrici tradizionali, senza produrre effetti positivi di rilievo sulle rese all’estrazione dell’olio. Sulla base delle più recenti normative è stata anche chiarita la possibilità di utilizzo di alcuni coadiuvanti tecnologici durante il processo di gramolatura. Ci si riferisce all’uso delle preparazioni

Gramolatrici di nuova concezione a ridotto scambio gassoso (chiuse)

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trasformazione delle olive enzimatiche ad attività depolimerizzante e al talco micronizzato. Le preparazioni enzimatiche ad attività depolimerizzante agiscono sui colloidi strutturali delle cellule della polpa e della buccia coadiuvando l’attività degli enzimi endogeni (pectinasi, emicellulasi e cellulasi) con effetti positivi sulle rese all’estrazione e sulla qualità dell’olio. In particolare si può assistere a un aumento del contenuto in sostanze fenoliche negli oli ottenuti da paste trattate con preparazioni enzimatiche ad attività depolimerizzante. Questi effetti sono però riscontrabili solo operando su olive che si trovano a uno stato di maturazione precoce. L’uso dei suddetti preparati enzimatici su olive a un grado di maturazione avanzata non porta alcun beneficio né di tipo qualitativo né di tipo quantitativo. Questo è dovuto al fatto che nelle olive mature i colloidi strutturali su cui dovrebbero agire i suddetti enzimi sono stati già degradati dall’attività enzimatica endogena del frutto nel corso della maturazione. Per tale ragione, l’aggiunta di preparati enzimatici, in tal caso, risulterebbe inutile. Ciò detto, allo stato attuale, le norme comunitarie vietano l’uso di questi coadiuvanti tecnologici (pur ammettendoli nella stragrande maggioranza delle altre filiere di trasformazione del settore alimentare), mentre consentono l’uso del talco micronizzato. Quest’ultimo prodotto agisce nelle paste di olive aumentando l’effetto drenante e quindi migliorando l’efficienza di separazione solido-liquido durante la fase di separazione centrifuga dell’olio dalle paste gramolate. Il talco può essere aggiunto alle paste, in fase di gramolatura, in ragione dello 0,7-1,5% del peso, dopo i primi 10 minuti di gramolatura. Sulla base delle sperimentazioni condotte su cultivar nazionali, si è osservato che l’uso del talco micronizzato non comporta alcun effetto negativo sulla qualità dell’olio e in alcuni casi, come per la lavorazione di paste difficili o di olive con un elevato rapporto acqua/olio, il suo utilizzo si traduce in un significativo incremento delle rese all’estrazione.

700 600 500 400 300 200 100 0

30 min

60 min

Paste frante Paste gramolate e pressate e pressate Variazione della concentrazione in polifenoli totali (mg/kg olio) di oli extravergini di oliva ottenuti da paste frante e da paste gramolate con gramola tradizionale e a due differenti tempi di gramolatura, e successivamente pressate

Estrazione dell’olio. Diversi sono i principi utilizzati per ottenere la separazione dell’olio, o mosto oleoso, dalle paste gramolate: pressione, centrifugazione e filtrazione selettiva o tensione superficiale. I primi due metodi risultano essere impiegati autonomamente, perché esaustivi, mentre il terzo è abbinato alla pressione o alla centrifugazione. – Estrazione per pressione. È un sistema millenario di estrazione che nel corso dei secoli ha subito numerose evoluzioni. Attualmente nei frantoi oleari dotati di questo tradizionale sistema, la separazione per pressatura dell’olio dalla pasta viene effettuata con presse idrauliche aperte, mentre le presse a gabbia chiusa sono ormai quasi scomparse sia per l’elevato prezzo di acquisto sia per i costi di manutenzione. La pasta, precedentemente gramolata, viene successivamente stratificata sui diaframmi filtranti o fiscoli. Questa operazione è

Sistema di estrazione per pressione con superpressa

665


utilizzazione effettuata meccanicamente grazie a un dosatore che preleva dalla gramolatrice la pasta, depositandola sui diaframmi filtranti (fiscoli) in fibra sintetica (nylon, polipropilene). I diaframmi, indipendentemente dalla loro composizione, sono provvisti di un foro centrale che permette il loro inserimento attraverso la foratina a formare la torre o pila. Questa risulta irrigidita sia per la presenza della foratina sia per l’inserimento di un disco metallico in acciaio ogni 2 o 3 diaframmi caricati con la pasta. Il sistema di estrazione per pressione è, in linea teorica, quello che maggiormente rispetta la qualità intrinseca dell’olio; pur tuttavia, nella pratica, esso presenta una serie di problemi applicativi che sono in primo luogo legati alla bassa capacità operativa oraria, (fattore, questo, che spesso si traduce in un aumento del tempo di conservazione delle olive prima di essere frante) e in secondo luogo al corretto uso dei diaframmi e alla tipologia di materiali con cui le macchine possono essere costruite. Nei riguardi dei diaframmi (fiscoli) va osservato come essi possano rappresentare una fonte di inquinamento in quanto possono provocare l’insorgenza di difetti sensoriali in oli che ne erano primariamente privi. Tale problema può derivare sia dalla contaminazione con oli ottenuti da cattive partite di olive e quindi difettosi, sia da processi di fermentazione dell’acqua di vegetazione rimanente nei diaframmi stessi, quando questi vengono stoccati negli intervalli di lavorazione. Quest’ultimo fattore insorge spesso quando le condizioni climatiche non consentono lavorazioni continue ma comportano interruzioni e frammentazioni della campagna olearia. Per

Foto A. Serraiocco

Frantoio tradizionale: carrello vuoto con foratina centrale (in alto); dosatorestratificatore (in basso) Impianto a ciclo continuo per l’estrazione dell’olio vergine di oliva

Foto A. Serraiocco

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trasformazione delle olive minimizzare il rischio di formazione di difetti nei riguardi dell’olio vergine è auspicabile cambiare i diaframmi più volte durante la campagna olearia e sottoporli a rigenerazione periodica tramite lavaggi energici che possono essere effettuati utilizzando opportune macchine idropulitrici. Nei riguardi dei materiali di costruzione della pressa, onde evitare la cessione di metalli all’olio nel corso del processo di estrazione, è necessario che tutte le parti metalliche che vengono a contatto con l’olio (piatto, foratina, dischi metallici) siano in acciaio inox o rivestiti di questo materiale. – Estrazione per centrifugazione. Attualmente, nei Paesi mediterranei, la maggior parte dell’olio vergine di oliva viene estratto per centrifugazione. La centrifuga usata per l’estrazione dell’olio, definita anche decanter, è composta da un tamburo costituito da una parte cilindrica e da una parte conica ad asse orizzontale, all’interno del quale è posto un ulteriore cilindro a vite senza fine, funzionante come coclea, che si muove con una velocità differenziale minore rispetto a quella del tamburo esterno e serve a convogliare verso l’esterno la parte solida. I sistemi per centrifugazione si sono ampiamente diffusi nel settore dell’estrazione meccanica dell’olio a partire dalla fine degli anni ’60. Tuttavia negli ultimi anni si è verificata una notevole evoluzione tecnologica di questo sistema di estrazione al fine di ridurre la quantità di acqua utilizzata nella lavorazione. Sotto quest’ultimo aspetto, le centrifughe possono essere classificate in tre gruppi: – centrifughe tradizionali a tre fasi caratterizzate da una quantità d’acqua di diluizione compresa tra 0,5 e 1 m3 per tonnellata;

Sistema di estrazione per centrifugazione con decanter

Foto Agrilinea

Foto A. Serraiocco

Uscita del mosto oleoso dal decanter Estrattore centrifugo (decanter)

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utilizzazione

600

7

500

6 5

400

4

300

3

200

2

100 0

– centrifughe a due fasi che possono lavorare senza aggiunta di acqua e non producono acque di vegetazione come sottoprodotto del processo di estrazione dell’olio; – nuove centrifughe a tre fasi che necessitano di un basso livello di acqua di addizione 0,2-0,3 m3 per tonnellata. Le centrifughe tradizionali a tre fasi che permettono la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione e della sansa vergine con umidità compresa tra il 50 e il 55% prevedono una diluizione delle paste, effettuata per ridurre la loro viscosità e quindi per facilitare la separazione olio-acqua di vegetazione, con un rapporto di diluizione compreso tra 1:0,5 e 1:1 e cioè tra 50 e 100 litri di acqua di fonte per 100 kg di pasta da centrifugare. Questo comporta, oltre all’accumulo di grandi quantità di acqua di vegetazione da smaltire (70-120 litri per 100 kg di pasta di olive), una riduzione della qualità dell’olio principalmente dovuta al dilavamento, effettuato dall’acqua aggiunta, dei composti fenolici presenti all’interno dell’olio, con riduzioni imponenti di questa importantissima frazione antiossidante. L’evoluzione di questa tecnologia ha portato alla produzione di centrifughe a due e a tre fasi a basso consumo di acqua. Gli oli estratti usando questi nuovi sistemi sono caratterizzati da una concentrazione fenolica più alta, confrontati con quelli estratti tramite il tradizionale processo di centrifugazione, poiché si riduce la perdita di queste sostanze nelle acque di vegetazione. I composti fenolici più influenzati risultano essere i derivati dei secoiridoidi, mentre i lignani rimangono più stabili. È opportuno sottolineare che questi nuovi sistemi estrattivi, che non prevedono aggiunta di acqua se non in forma minima, permettono di ottenere oli di alta qualità. Nei riguardi dei sottoprodotti ottenuti dal sistema per centrifugazione va osservato che mentre per il sistema tradizionale a tre fasi il problema risiede, come già ricordato, oltre che nello scadimento qualitativo dell’olio, anche nell’elevatissimo accumulo di acqua di vegetazione da smaltire (da 0,7 a 1,2 m3 per tonnellata di pasta estratta), nel sistema a due fasi la problematica principale riguarda l’umidità elevata delle sanse (si passa dal 50% circa dei decanter a tre fasi tradizionale al 55-60% dei decanter a due fasi), comportando problemi sia nella movimentazione sia nel successivo utilizzo di questa tipologia di sanse per l’estrazione al solvente dell’olio residuo (olio di sansa). Le sanse dei sistemi a due fasi vengono generalmente utilizzate per la produzione di compost o distribuite direttamente sul terreno agrario, seguendo una normativa simile a quella relativa alle acque di vegetazione delle olive. I decanter a tre fasi a basso consumo di acqua possono rappresentare, pertanto, un’adeguata alternativa al sistema di estrazione a due fasi. Essi permettono di ottenere, infatti, oli di qualità assimilabili al sistema a due fasi e sanse con un minore contenuto di umidità vicine al sistema tradizionale a tre fasi; per contro producono, in ogni caso, un certo quantitativo di

1 Tre fasi Tradizionale

Due fasi Tre fasi Innovativo

Numero di perossidi (meq O2 /kg olio)

0

Acidità (% di acido oleico)

Polifenoli totali (mg/kg olio) Variazione di alcuni parametri merceologici di base e del contenuto in polifenoli totali in funzione della tipologia di decanter utilizzata Foto R. Angelini

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trasformazione delle olive acque di vegetazione per le quali andranno previste procedure di smaltimento conformi alle direttive di legge. – Sistema di estrazione per tensione superficiale. Questo sistema sfrutta la differenza di tensione superficiale fra olio e acqua e, quindi, la possibilità di estrazione selettiva di uno dei due quando questi due liquidi si trovano intimamente mescolati. L’olio, infatti, presenta una tensione superficiale minore di quella dell’acqua di vegetazione, per cui avrà una più elevata forza di adesione verso le superfici metalliche. Su questo principio si sono basate diverse soluzioni operative sviluppate nel secolo scorso, mentre attualmente è presente sul mercato un solo impianto noto con il nome Sinolea. L’unità essenziale di questo impianto è rappresentata da un cassone rettangolare in acciaio inox con fondo semicilindrico provvisto di circa 5000 fessure attraversate da altrettante lamelle in acciaio inox, dotate di lento movimento alternato quando la macchina è in funzione. In questo cassone viene fatta arrivare la pasta franta e gramolata, la quale viene continuamente rimossa per mezzo di una pala inserita all’interno del cassone. La pala è dotata posteriormente di una raschiatrice a forma di pettine, che provvede ad allontanare dalle lamelle la pasta eventualmente depositata per adesione. Il movimento congiunto della pala e della raschiatrice consente una continua rimozione della pasta e pertanto le lamelle in movimento vengono a contatto sempre con pasta rinnovata. Il lento e continuo movimento delle lamelle nella pasta permette di separare l’olio per tensione superficiale e di lasciarlo cadere nel serbatoio sottostante. La percentuale di olio estraibile è funzione delle caratteristiche dell’oliva e in particolare del rapporto acqua/olio nelle paste. Il sistema Sinolea prevede in ogni caso una doppia estrazione, infatti la prima parte dell’olio estraibile viene separato per tensione superficiale mentre l’olio residuo, che veniva in passato estratto per pressione, è attualmente ottenuto per centrifugazione. La corretta applicazione del sistema Sinolea prevede quindi la frangitura, una prima gramolatura che non dovrebbe eccedere i 20-30 minuti a temperature inferiori ai 30 °C (temperature consigliate 26-28 °C) e un passaggio successivo alle vasche di estrazione per tensione superficiale dove la pasta dovrebbe stazionare non più di 20 minuti. Dopo questa prima estrazione la pasta viene convogliata in una seconda gramolatrice che lavora alla stessa temperatura della prima, dove permane per ulteriori 20 minuti per poi essere estratta per centrifugazione mediante l’uso di un decanter. L’olio verrà poi separato dal mosto oleoso mediante un separatore centrifugo ad asse verticale. Il punto critico del processo sta nel rispetto dei tempi di gramolatura e di estrazione per tensione superficiale che non dovrebbero complessivamente superare un’ora, al fine di evitare un impatto negativo sulla qualità dell’olio estratto per centrifugazione.

Sistema di estrazione per tensione superficiale con Sinolea

Foto A. Serraiocco

Sistema di separazione per centrifugazione con separatore centrifugo verticale Foto A. Serraiocco

Uscita dell’olio dal separatore

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utilizzazione Separazione dell’olio dalle acque di vegetazione. La fase liquida che proviene dai sistemi di estrazione, detta mosto oleoso e costituita dall’olio e da una parte, in genere molto limitata, di acqua di vegetazione, viene separata mediante centrifughe verticali. Il mosto oleoso contiene anche materiali solidi e mucillagini; queste sostanze si trovano in sospensione oppure, se di apprezzabili dimensioni (frammenti di nocciolo e/o di pellicola/ epicarpo della drupa ecc.), sono facilmente separate dalla fase liquida grazie alla presenza di un setaccio (a maglie di 1-2 mm) posto alla sommità del serbatoio di raccolta del mosto oleoso. In ogni caso il mosto oleoso presenta un contenuto di materiale solido variabile tra lo 0,5 e l’1%. La separazione dell’olio dal mosto oleoso si effettua con l’operazione di centrifugazione a mezzo generalmente di centrifughe verticali a piatti. Il principio su cui si basa la separazione dell’olio per centrifugazione è ben noto: se si sottopone a vigoroso moto di rotazione una miscela (olio, acque di vegetazione e solidi sospesi), per effetto della rotazione il corpo più leggero (olio) si raccoglie in prossimità dell’asse di rotazione, quello più pesante (acqua) a distanza maggiore da questo asse e i solidi si raccolgono a distanza ancora maggiore. Mediante opportune vie d’uscita (sfioratori) si recupera l’olio da una parte e le acque di vegetazione miste a solidi da un’altra. Una parte dei solidi è depositata sul tamburo rotante, che periodicamente deve essere liberato (pulito) da questi sedimenti, anche se sono ormai diffuse le centrifughe autopulenti che, senza interrompere l’operazione

Filtrazione dell’olio

• La pratica della filtrazione rappresenta

un elemento di stabilizzazione per l’olio stesso da effettuare anche prima della fase di stoccaggio

• Oli torbidi possono anche essere

confezionati in bottiglia, ma solo per il consumo nel breve periodo

Sistema di filtrazione dell’olio vergine di oliva con filtropressa

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trasformazione delle olive di centrifugazione, provvedono periodicamente e automaticamente a scaricare all’esterno i residui solidi, la cui permanenza renderebbe difficoltosa e inefficace l’operazione stessa di centrifugazione. Le centrifughe impiegate in oleificio hanno un tamburo con un diametro tra 400 e 700 mm, che ruota a una velocità tale da effettuare 5000‑12.000 giri/min; la capacità lavorativa di queste macchine è abbastanza elevata, variando entro ampi limiti compresi tra 500 e 2000 litri di mosto oleoso per ora. Conservazione dell’olio. La fase di stoccaggio rappresenta un ulteriore punto critico del processo di estrazione e condizionamento dell’olio vergine di oliva. Una serie di ricerche svolte in questo settore ha evidenziato come le condizioni migliori di stoccaggio si hanno mantenendo gli oli a temperature costanti comprese tra i 12 e i 15 °C, in modo da ritardare i processi di alterazione quali l’aumento di acidità libera e i fenomeni di ossidazione. Un altro punto importante nella fase di stoccaggio è rappresentato dal battente di ossigeno. La velocità di ossidazione è infatti favorita dalla presenza dell’ossigeno atmosferico. Il limitato contatto con l’aria può quindi tradursi in un aumento delle condizioni di conservazione degli oli stoccati in grandi recipienti. Per ottenere queste condizioni, oltre al fatto di mantenere i recipienti, che devono essere rigorosamente in acciaio inox in ogni loro parte, il più possibile colmi, si consiglia di munirli di un circuito per lo stoccaggio sotto gas inerte (azoto), in modo da minimizzare il contatto dell’olio con l’ossigeno. Confezionamento. Nei riguardi del confezionamento gli aspetti più importanti riguardano la filtrazione dell’olio, la tipologia del vetro e, anche in questo caso, le modalità di riempimento dei recipienti utilizzati per la commercializzazione al minuto. Per quanto concerne la filtrazione, pur osservando in letteratura indicazioni contrastanti, si può considerare come questa pratica rappresenti un elemento di stabilizzazione per l’olio stesso e sia quindi sotto questo aspetto da consigliare anche prima della fase di stoccaggio. Oli torbidi sono ammessi anche nel confezionamento in bottiglia ma solo per il consumo nel breve periodo. La filtrazione può essere effettuata con filtri a cartone o filtri ad alluvionaggio. Questi ultimi vengono generalmente usati quando le partite di olio da filtrare sono di notevoli dimensioni, in quanto più veloci ed economici della sola filtrazione su cartone. Tali filtri prevedono l’uso di materiale filtrante, che generalmente è costituito da celite o da amberlite in miscela con coadiuvanti di filtrazione a base di cellulosa. La filtrazione ad alluvionaggio viene sempre combinata con una seconda filtrazione operata mediante filtri a cartoni da effettuare immediatamente prima dell’imbottigliamento. An671


utilizzazione drebbero invece evitati i tradizionali filtri a cotone o filtri Baresi, in quanto, data la grande superficie della vasca di filtrazione e i tempi di processo relativamente lunghi, espongono l’olio a ossidazione dovuta all’elevato livello di O2 assorbito durante il processo di filtrazione stesso. Nei riguardi della tipologia del vetro va osservato come l’uso di vetri chiari favorisca in modo assoluto la fotossidazione, che è un processo ossidativo estremamente rapido e non facilmente contenibile dalla presenza di antiossidanti. Il modo migliore per evitarlo è limitare al massimo il contatto dell’olio con la luce e quindi sono consigliati vetri scuri, che però non lasciano intravedere il colore dell’olio al consumatore, o, più propriamente, l’uso del vetro chiaro, corredando però la bottiglia con un astuccio in cartone che ne permetta la conservazione al buio. Un ultimo elemento interessante, sempre nella direzione della minimizzazione del processo ossidativo in fase di commercializzazione, sta nell’uso di gas inerti in fase di imbottigliamento. Si consiglia, infatti, di saturare lo spazio di testa della bottiglia in fase di riempimento con dell’azoto allo scopo di ridurre al minimo la quantità di ossigeno presente nell’olio confezionato. Questo obiettivo si può ottenere mediante l’uso di opportune imbottigliatrici che lavorano sotto gas inerte.

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trasformazione delle olive Linee evolutive nel processo di estrazione meccanica degli oli vergini di oliva Sulla base delle nuove conoscenze provenienti dalla ricerca scientifica nel campo dell’estrazione meccanica degli oli vergini di oliva, si può pensare che le linee operative che verranno a concretizzarsi in un prossimo futuro potranno essere riassunte nei seguenti punti fondamentali: a) l’applicazione di processi di estrazione che possano gestire la presenza o meno del nocciolo nell’impasto; b) una gramolatura che possa aumentare il grado di efficienza dal punto di vista del conseguimento della coalescenza, mediante l’impiego di opportuni coadiuvanti (materiali inerti e preparazioni enzimatiche) atti ad aumentare le rese di estrazione oppure mediante applicazione di tecnologie che migliorino l’efficienza di scambio termico delle macchine; c) regolazione del grado di aerazione delle paste allo scopo di ottimizzare la concentrazione in sostanze antiossidanti degli oli vergini di oliva migliorandone, al contempo, il quadro aromatico; d) l’utilizzazione delle sanse vergini non più per il recupero dell’olio (olio di sansa di oliva) ma, partendo da paste denocciolate o da sanse denocciolate, nell’alimentazione zootecnica quali integratori in sostanza grassa a elevato valore biologico e in antiossidanti naturali; e) uso delle sanse integrali come ammendanti (compost) e/o combustibili specialmente se provenienti dal sistema di estrazione per centrifugazione a due fasi; f) recupero di antiossidanti naturali dalle acque di vegetazione delle olive mediante tecnologie che permettano il contemporaneo riciclo delle acque trattate nel processo di estrazione meccanica dell’olio vergine di oliva.

Imbottigliamento

• Allo scopo di ridurre al minimo

la quantità di ossigeno presente nell’olio confezionato, si consiglia di saturare lo spazio di testa della bottiglia in fase di riempimento con dell’azoto. Questo obiettivo si può ottenere mediante l’uso di opportune imbottigliatrici che lavorano sotto gas inerte

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l’ulivo e l’olio

utilizzazione Raffinazione degli oli Sergio Rapagnà, Roberto Dei

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


utilizzazione Raffinazione degli oli Processo di raffinazione Solo una parte della produzione mondiale di olio d’oliva può considerarsi commestibile così come esce dagli impianti di frangitura (olio extravergine di oliva), il rimanente deve subire trattamenti chimico-fisici tali da eliminare i difetti (acidi grassi liberi, solidi sospesi, gliceridi solidi, aldeidi, chetoni, prodotti di ossidazione) dovuti alle condizioni climatiche e ambientali nelle quali il frutto è maturato, è stato raccolto e franto. Gli stessi processi deve subire tutto l’olio di sansa grezzo estratto mediante trattamento con esano delle sanse di oliva provenienti dai frantoi. Tutte le operazioni alle quali questi oli devono essere sottoposti per l’ottenimento di un olio commestibile rappresentano il processo di raffinazione. In passato questi oli venivano in massima parte impiegati per l’illuminazione (lampade a olio), da cui la dicitura commercialmente ancora in uso di oli lampanti.

Scarico dell’olio grezzo dalle autobotti

Prima fase: arrivo e stoccaggio dell’olio grezzo Il prodotto olio grezzo arriva alla raffineria tramite autobotti adibite al trasporto di sostanze alimentari con pesatura prima e dopo lo scarico per la determinazione del peso dell’olio. Campioni di olio vengono prelevati dalle autobotti prima dello scarico e inviati al laboratorio di analisi per la determinazione delle caratteristiche chimico-fisiche e la verifica della corrispondenza con le specifiche del prodotto stabilite dagli organi di controllo. Il prodotto scaricato dalle autobotti viene stoccato in idonei ser-

Laboratorio di analisi dell’olio

Operazioni di arrivo, stoccaggio e degommaggio dell’olio grezzo

Soluzione acquosa di H3PO4 al 40% in peso

Olio degommato alla sezione di neutralizzazione

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raffinazione degli oli batoi dove stazionerà il minor tempo possibile al fine di minimizzare i danni di natura enzimatica al gliceride. Seconda fase: degommaggio, neutralizzazione e lavaggio Al fine di allontanare le sostanze organiche disciolte nell’olio grezzo, quali mucillagini, gomme ecc., le quali, se presenti, renderebbero la successiva fase di neutralizzazione con alcali più difficile da gestire, l’olio grezzo, prelevato dai serbatoi di stoccaggio, viene scaldato alla temperatura di 65-75 °C e addizionato con acido citrico o acido fosforico diluiti in acqua (concentrazione 1-2% in peso dell’olio). La soluzione risultante viene inviata ai separatori centrifughi per la separazione della fase organica (olio) dalla fase acquosa. Segue successivamente l’operazione di neutralizzazione, che consiste nell’addizionare all’olio degommato una soluzione diluita di soda caustica, calcolata stechiometricamente al fine di neutralizzare tutti gli acidi grassi liberi preventivamente quantificati mediante analisi dei campioni di olio grezzo. Il risultato di tale operazione è la formazione di una pasta saponosa che viene separata dall’olio neutro sfruttando il diverso peso specifico tra la soluzione acquosa e la fase organica. I sistemi di neutralizzazione oggi in uso sono basati sull’utilizzo generalizzato della separazione per centrifugazione, che hanno il vantaggio di completare e ottimizzare in tempi brevi la separazione olio-sapone, rispetto al tempo di alcune ore necessario per gli impianti di neutralizzazione discontinui, nei quali il fenomeno della separazione avviene per decantazione naturale. L’olio proveniente dal degommaggio passa in un secondo scambiatore di calore dove viene riscaldato a una temperatura di 85-90 °C, viene quindi mescolato intimamente con una soluzione, preventivamente calcolata, di soda caustica avente una concentrazione di 15-25 °Baumè e successivamente inviato al separatore centrifugo per la separazione olio/sapone. L’olio che esce dal separatore può ancora contenere tracce di sapone, per cui viene riscaldato nuovamente alla temperatura di 90 °C, addizionato con acqua calda potabile e inviato a un secondo separatore, e quindi, al fine di assicurare una quantità massima di sapone nell’olio dell’ordine di 50-70 ppm, si effettua un ulteriore lavaggio con acqua e il tutto viene inviato in un terzo separatore. L’operazione di lavaggio può essere facilitata aggiungendo all’acqua potabile piccole quantità di acido citrico o fosforico che serve a ridurre ulteriormente il trascinamento dei saponi da parte dell’olio. Le apparecchiature fondamentali di questa fase di lavorazione, che determinano anche l’efficienza di tutto il processo, sono rappresentate dalle macchine centrifughe, che possono raggiungere velocità di 6000 giri al minuto. Importante è anche la metodologia di preparazione della miscela olio-sapone per l’ottenimento di due fasi facilmente separabili per effetto del loro diverso peso specifico.

Serbatoi di stoccaggio dell’olio grezzo

Separatore centrifugo olio-paste saponose

Separatori centrifughi olio-acque contenenti sapone

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utilizzazione Possiamo individuare tra gli impianti di neutralizzazione in continuo due processi principali, Long Mix Causting Refining e Short Mix Causting Refining, che si distinguono principalmente per il tempo utilizzato nel miscelamento dell’olio con la soluzione alcalina. Questo tempo può variare dai 3 ai 6 minuti per il processo Long Mix ad alcuni secondi per il processo Short Mix. Neutralizzazione dell’olio con idrossido di sodio La neutralizzazione dell’olio con NaOH consiste nell’eliminazione dell’acidità libera dell’olio fino a ridurla al valore di neutralità (0,01-0,1% di acidi grassi liberi intesi come acido oleico) e rappresenta la fase più importante del processo di raffinazione per gli aspetti sia qualitativi sia quantitativi coinvolti. La reazione può essere così schematizzata:

Separatore centrifugo olio-acque contenenti residui di sapone

RCOOH + NaOH = RCOONa + H2O L’acido grasso liposolubile diventa idrosolubile dopo la sua salificazione, per cui durante la separazione lascia l’olio con la fase acquosa. La neutralizzazione dell’olio con soda è il procedimento più diffuso sia per la semplicità nella procedura e nell’utilizzo delle apparecchiature, sia per la convenienza economica. Si eliminano, inoltre, sostanze quali pigmenti, fosfolipidi, sostanze fenoliche e metalli (prevalentemente ferro e rame). I risultati ottenuti sono soddisfacenti quando si utilizzano oli aventi un’acidità non superiore al 10% espresso come acido oleico per la neutralizzazione in continuo. Per oli con acidità superiore al 10% è preferibile la neutralizzazione discontinua.

Particolare di una sala di controllo di una raffineria di olio di oliva

Operazioni di neutralizzazione e successivo lavaggio con acqua potabile

Soluzione di NaOH

Acqua

Olio degommato

Olio neutro alla decolorazione Paste saponose

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Soluzione acquosa contenente saponi residui


raffinazione degli oli I sottoprodotti della neutralizzazione sono le paste saponose, le quali possono essere trattate con acido solforico per il recupero delle sostanze grasse, le quali sono costituite prevalentemente da acidi grassi detti comunemente oleine, che vengono vendute all’industria dei saponi. La reazione è la seguente:

Curiosità

• Se le oleine (acidi grassi liberi)

RCOONa + H2SO4 = RCOOH + Na2SO4 + H2O

provengono dalla lavorazione degli oli di semi possono essere impiegate nella fabbricazione delle vernici perché gli oli di semi sono ricchi di acidi grassi polinsaturi che tendono a essere ossidati, aumentando la viscosità fino alla solidificazione e permettono di conseguenza alla vernice di solidificare (olio di lino cotto) • Le oleine ottenute dalla deacidificazione dell’olio di oliva, unite all’olio di palma, hanno dato origine in passato al sapone Palmolive®

Le paste saponose separate dall’olio vengono mandate in un contenitore, riscaldate alla temperatura di 80-90 °C, inviate in una colonna a riempimento insieme a una soluzione acquosa di H2SO4, e il tutto si raccoglie poi in un serbatoio. Il controllo di pH assicura che la reazione sia stata quantitativa, e quindi si invia in un decantatore dove l’acqua acida si raccoglie sul fondo del separatore, mentre dall’alto si recuperano gli acidi grassi che vengono inviati allo stoccaggio. L’acqua acida previa correzione del pH con soda o bicarbonato viene inviata all’impianto di depurazione. I sistemi di neutralizzazione in continuo oggi in uso sono basati sull’impiego generalizzato della separazione per centrifugazione che ha il vantaggio di completare l’operazione di neutralizzazione e separazione delle paste saponose in pochi minuti, rispetto al tempo dell’ordine di alcune ore necessarie per gli impianti di neutralizzazione discontinui. Tutte le operazioni di riempimento e svuotamento delle apparecchiature, tempi di mescolamento e di centrifugazione, così come tutti i sistemi di sicurezza dell’intera raffineria, sono controllati automaticamente tramite una centrale operativa. Terza fase: decolorazione La decolorazione dell’olio neutro ha lo scopo ufficiale di rimuovere dal grasso alcuni componenti che impartiscono una colorazione eccessiva. Gran parte del colore è dovuta a pigmenti (clorofille, xantofille, carotenoidi, porfirine) e ad altre sostanze di natura varia quali prodotti di degradazione dei tocoferoli. I procedimenti più moderni e diffusi sono basati prevalentemente sulla decolorazione fisica per adsorbimento. Alcune sostanze insolubili e finemente disperse nel prodotto da decolorare hanno la caratteristica di adsorbire sulla loro superficie le sostanze coloranti e di trattenerle trascinandole poi con sé nella filtrazione. Si utilizzano principalmente terre decoloranti e carboni attivi. L’impiego dei soli carboni attivi non consente una buona stabilizzazione dell’olio per gli aspetti ossidativi, per cui la miscelazione con terre decoloranti è necessaria perché in grado di rimuovere anche molte sostanze polari ossidate, stabilizzando l’olio per il suo futuro. Le terre decoloranti sono materiali argillosi non rigonfiabili (montmorilloniti, caoliniti, bentoniti), naturali o attivate artificialmente; le prime sono costituite da ceneri vulcaniche che hanno subito un dilavamento acido. La difficoltà di reperire terre decoloranti naturali ha dato luogo alla produzione di terre attivate artificialmente: terre decoloranti artificiali, che si ottengono da argille meno attive

Contenitori sotto vuoto dove avviene il mescolamento tra terre decoloranti e olio

Filtri utilizzati per la separazione delle terre adsorbenti dall’olio

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utilizzazione Fase di decolorazione dell’olio

Terre adsorbenti più carbone attivo

Olio neutro

Acqua

Vapore

Olio neutro e decolorato alla deodorazione

mediante lavaggio con acidi minerali (H2SO4, HCl); l’eccesso di acido viene allontanato attraverso lavaggi con acqua, quindi l’argilla viene parzialmente seccata e macinata. Le terre decoloranti contengono dal 18 al 20% in peso di umidità, per cui è necessaria una disidratazione sotto vuoto e a una idonea temperatura, al fine di allontanare l’acqua e rendere i pori accessibili all’olio. L’acidità delle terre attivate è espressa come acidità titolabile: un basso valore del pH indica una terra efficace nel rimuovere sia il colore verde degli oli ricchi in clorofilla sia i pigmenti rossi di altri oli. Un’altra caratteristica importante delle terre è la loro distribuzione granulometrica (molto piccole, < 5 mm, grosse 80 mm): a piccole dimensioni corrispondono un’elevata attività ma anche un’elevata quantità di olio trattenuta e una maggiore difficoltà di filtrazione. L’olio trattenuto può variare dal 30% del peso per le terre naturali, al 70% del peso delle terre attivate artificialmente. Le terre adsorbono in prevalenza sostanze polari, mentre l’eliminazione di sostanze non polari viene ottenuta impiegando carbo-

Particolari di una batteria di filtri utilizzati per la separazione delle terre adsorbenti dall’olio

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raffinazione degli oli ni attivi. Questi ultimi hanno un elevato potere adsorbente tale da trattenere anche composti volatili, ma trattengono anche molto olio. Sia per questo ultimo motivo sia per il loro elevato costo, i carboni attivi vengono impiegati in miscela con le terre decoloranti in quantità di circa il 5%. L’attività di un carbone decolorante è ottenuta con particolari accorgimenti di fabbricazione che consentono di conferire le varie differenze di attività necessarie per le varie applicazioni. Così un carbone attivo destinato alla decolorazione dei vini non si presta bene per la decolorazione degli oli. Quarta fase: filtrazione La miscela olio-agenti decoloranti viene tenuta in agitazione sotto vuoto, per un tempo sufficiente per consentire l’adsorbimento dei pigmenti da parte della sospensione solida, e poi inviata alla filtrazione. I filtri impiegati sono internamente provvisti di tele con rete di acciaio inox atte a trattenere gli agenti decoloranti e a permettere il percolamento dell’olio decolorato. Al termine della filtrazione, il pannello di agenti decoloranti viene lavato con esano fino allo sgrassamento totale e svaporato per l’allontanamento dell’esano residuo. Dal lavaggio dei pannelli con esano, si ottiene una miscela olioesano che viene inviata all’impianto di distillazione per la separazione dell’esano e dell’olio. L’olio così recuperato va addizionato a quello grezzo all’inizio della raffinazione. Gli agenti decoloranti esausti vengono scaricati dal filtro e inviati a un’appropriata discarica. L’olio filtrato e decolorato viene inviato alla sezione di deodorazione se è un olio di oliva. Nel caso esso fosse olio di sansa occorrerebbe un’ulteriore fase di raffinazione per allontanare la cosiddetta margarina (miscela solida di cere e gliceridi solidi) presente nell’olio, la quale ne pregiudicherebbe la limpidezza a temperatura ambiente. Questa fase di raffinazione viene normalmente chiamata demargarinazione.

Sezione di separazione per distillazione della miscela olio-esano

Filtri orizzontali per la separazione della margarina dalla miscela olio-esano

Quinta fase: demargarinazione La demargarinazione può essere condotta sull’olio raffinato, agendo per lento raffreddamento e separazione della fase solida da quella liquida, o sull’olio in soluzione con solvente prima della deodorazione. La demargarinazione è indispensabile nel caso degli oli di sansa. L’olio di sansa decolorato viene diluito con esano e inviato a una serie di cristallizzatori ove, sotto agitazione, viene progressivamente abbassata la temperatura della miscela fino ad arrivare a una temperatura finale di –10/–15 °C. L’operazione deve essere lenta, per consentire la formazione di cristalli di margarina sufficientemente grandi da essere in grado di separarsi dall’olio. Al termine del processo di cristallizzazione della margarina, tutta la miscela solido-liquida viene filtrata mediante l’utilizzo di filtri orizzontali chiusi, provvisti di tele di cotone in grado di trattenere

Apparecchiature utilizzate per la deodorazione dell’olio discontinua

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utilizzazione i cristalli di margarina. La margarina viene successivamente commercializzata come cere vegetali. La miscela olio-esano viene inviata all’impianto di distillazione per la separazione dell’olio dall’esano. Sesta fase: deodorazione La deodorazione è la fase finale della raffinazione e consiste nell’eliminare i composti derivanti in gran parte dall’alterazione ossidativa dei grassi stessi. Questi composti sono principalmente idrocarburi insaturi, acidi grassi a basso peso molecolare, aldeidi e chetoni responsabili di difetti organolettici. In questa fase della raffinazione si verificano anche fenomeni quali la demolizione degli idroperossidi presenti con formazione di sostanze volatili, prodotti di condensazione e di polimerizzazione, che rimangono nell’olio. Inoltre nella deodorazione si raggiungono le più elevate temperature del processo di raffinazione, per cui le sostanze termolabili possono subire notevoli processi di trasformazione. Durante questa fase di lavorazione, si ha una perdita dello 0,3-0,8% in peso, dovuta alla perdita sia dei prodotti distillati sia di sostanze trascinate (frammenti di acidi ossidati, componenti dell’insaponificabile ecc.) dalla corrente di vapore. La deodorazione può essere svolta utilizzando apparecchiature che operano sia in continuo sia in discontinuo. Un impianto di deodorazione discontinuo è costituito principalmente da un’apparecchiatura cilindrica, dotata internamente di

Particolare dell’impianto di deodorazione continuo

Fase di deodorazione dell’olio Olio neutro e decolorato Vapore

Vapore

Acidi grassi più frazione insaponificabile Olio di oliva raffinato

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raffinazione degli oli

Particolare dell’eiettore utilizzato nell’impianto di deodorazione continuo

serpentine di raffreddamento immerse nell’olio. Il fluido riscaldante è il vapore d’acqua saturo a pressione di 15-20 atm. Il vapore viene immesso mediante l’utilizzo di un distributore realizzato con tubi concentrici forati, posizionato sul fondo dell’apparecchiatura. L’apparecchiatura viene tenuta sotto vuoto mediante l’utilizzo di pompe ad anello liquido, eiettori in serie al fine di assicurare una pressione di 5-10 mmHg. Importante è il rapporto altezza/diametro dell’apparecchiatura, in quanto l’azione del vapore diretto è tanto più efficace quanto minore è l’altezza dello strato di olio da attraversare; questo rapporto negli impianti discontinui è di 1:2, ma comunque la quantità di olio caricato non supera mai il 50% dell’altezza disponibile, per evitare perdite di trascinamento. Il deodoratore continuo è costituito da una colonna cilindrica al cui interno è montata una serie di piatti posti in cascata; i vapori che escono dai singoli piatti vengono raccolti da un collettore esterno. Ogni piatto ha al suo interno diaframmi a spirale con il compito di allungare il cammino dell’olio trascinato, sistemi per l’immissione di vapore e per il travaso dell’olio. Il piatto inferiore, non dotato di sistemi per l’immissione del vapore, considera un sistema di scambiatori di calore per riscaldare l’olio entrante con l’olio deodorato in uscita. La deodorazione viene fatta sotto vuoto, ad alta temperatura e in corrente di vapore. Il vuoto viene realizzato in fasi successive attraverso l’utilizzo di diverse apparecchiature quali: – pompa ad anello liquido in grado di raggiungere un vuoto fino a 20 mbar; – primo eiettore che porta la pressione da 20 mbar a 10 mbar; – secondo eiettore che porta la pressione da 10 mbar a 5 mbar; – terzo eiettore che porta la pressione da 5 mbar a 3 mbar. Le temperature oscillano normalmente tra i 180 e i 220 °C e il vuoto deve essere spinto fino a circa 3 mbar di pressione. La bassa pressione e la presenza del vapore d’acqua permettono l’allonta-

Deodoratore continuo

Serbatoi di stoccaggio di olio di oliva raffinato

Stazione di carico dell’olio di oliva raffinato

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utilizzazione namento dall’olio dei composti indesiderati (aldeidi e chetoni). Si inizia l’operazione con il preriscaldamento dell’olio per insufflazione di vapore d’acqua alimentare diretto, fino ad arrivare, in caso di necessità, anche alla temperatura di 235 °C. Le sostanze distillate e il vapore d’acqua vengono aspirati in un collettore e inviati in una colonna in controcorrente con una corrente di acidi grassi per l’assorbimento dei composti organici in essa presenti. Questo sottoprodotto, composto da quella frazione che va sotto il nome di insaponificabile, viene impiegato nell’industria cosmetica. La corrente gassosa in uscita dalla colonna di assorbimento viene lavata con acqua, la quale viene inviata al depuratore. L’olio in uscita dal deodoratore viene raffreddato tramite scambiatori di calore prima dell’invio dello stesso nei serbatoi di stoccaggio, dai quali viene prelevato e caricato su autobotti per il trasporto, previo prelievo di campione da inviare al laboratorio analisi per il controllo finale della rispondenza alle specifiche. Per concludere è doveroso fare alcune considerazioni sulle caratteristiche del prodotto finale del processo di raffinazione. Gli oli così ottenuti vanno sotto il nome di olio di oliva raffinato e olio di sansa di oliva raffinato. Essi, avendo subito il processo di raffinazione, non hanno più le caratteristiche organolettiche peculiari di un olio vergine di oliva, essendo incolori, inodori e insapori, per cui, prima di essere messi in commercio, devono essere addizionati con una percentuale non definita di olio vergine di oliva prendendo i nomi rispettivamente di olio di oliva e olio di sansa di oliva. Le miscele con una buona quantità di olio vergine mantengono inalterate tutte le caratteristiche chimiche e biologiche di un olio di oliva che si differenzia sostanzialmente dagli oli di semi per la resistenza all’ossidazione e alle alte temperature e per la composizione ottimale di gliceridi saturi e insaturi (simile a quella del latte materno). Pertanto questi oli sono buoni ed economici sia per il consumo a crudo sia per la friggitura e per tutti i prodotti da forno, e sono largamente utilizzati nell’industria conserviera (tonno ecc.). Con la tecnologia della raffinazione, affinatasi sempre di più nel tempo, si è dunque recuperata all’uso alimentare una grande quantità di un prodotto naturale e pregiato che altrimenti sarebbe andato disperso in altri utilizzi di minore interesse economico. A completamento di tutto il ciclo di produzione e raffinazione dell’olio di oliva, oltre all’utilizzo di apparecchiature quasi tutte realizzate in acciaio inossidabile, di scambiatori di calore per raffreddare le diverse correnti liquide e gassose, di motori elettrici per la movimentazione di pompe e valvole automatiche, azionati da un sistema automatico di controllo, è necessario fornire anche calore per la produzione del vapore d’acqua, ed è necessario anche gestire un sistema di trattamento delle acque di processo. Negli ultimi anni, il costo e l’impatto ambientale elevati dei combustibili fossili hanno determinato l’uso della sansa esausta (residuo dell’estrazione con solventi delle sanse vergini) quale sorgente di

Sansa esausta

Particolare dell’immissione tramite coclea della sansa esausta dentro la camera di combustione

Quadro di controllo dell’impianto di depurazione delle acque di scarico

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raffinazione degli oli energia rinnovabile per la produzione di vapore. La sansa esausta stoccata all’esterno viene inviata tramite una coclea dentro la camera di combustione. I gas combusti, dopo raffreddamento, vengono fatti passare attraverso filtri a manica per l’eliminazione delle particelle solide sospese. La combustione viene ulteriormente ottimizzata tramite un bruciatore a metano posto nella caldaia in posizione di postcombustione. L’acqua proveniente dagli scambiatori di calore viene raffreddata mediante l’utilizzo di una torre a tiraggio forzato di aria, al fine di minimizzare la quantità di acqua emunta dai pozzi. Tutte le acque contenenti sostanze organiche disciolte (BOD, 300/1000 mg/l, e COD, 2000 mg/l) vengono inviate a un impianto di depurazione chimico/fisico/biologico a fanghi attivi. In questo impianto, completamente automatizzato, le acque subiscono un primo trattamento chimico per la correzione del pH fino a un valore di 7-7,5, passano poi a un sedimentatore per l’affioramento e la sedimentazione rispettivamente dei materiali leggeri e pesanti, che vengono così rimossi. Dopo questo pretrattamento, le acque passano al trattamento biologico a fanghi attivi ove, in ambiente aerobico con insufflaggio di aria, vengono abbassati i valori di BOD e COD al fine di rispettare i limiti imposti allo scarico. Si passa quindi a un sedimentatore finale dove l’acqua si separa dai fanghi, e prima di essere scaricata viene addizionata con ipoclorito di sodio (NaClO) per eliminare virus e batteri. I fanghi che si depositano sul fondo del sedimentatore vengono in parte riciclati all’impianto a fanghi attivi e in parte mandati in discarica dopo essere stati pressati per l’eliminazione dell’acqua in essi presente.

Insaccamento delle particelle solide separate dai fumi di combustione mediante filtri a manica

Reattore a mescolamento perfetto per il trattamento biologico a fanghi attivi

Sedimentatore Torre di raffreddamento dell’acqua

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l’ulivo e l’olio

utilizzazione Micro-contaminanti Anna Maria Cane

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


utilizzazione Micro-contaminanti Per esprimere un giudizio di qualità su un olio di oliva dovremmo poter valutare un quadro analitico il più possibile completo. Se l’aspetto organolettico è quello che più ci interessa come consumatori, anche perché più facilmente apprezzabile, non meno importante è l’aspetto della sicurezza alimentare: nessun consumatore, infatti, vorrebbe trovarsi nel piatto un olio gradevole al palato, ma che contenga sostanze dannose alla salute, ancorché non immediatamente pericolose nelle quantità abitualmente presenti nella dieta giornaliera. Pertanto, tutti gli attori della filiera hanno il dovere di contribuire a creare quella qualità tanto promessa al consumatore. È importante capire il concetto che la qualità si produce, non si controlla, intendendo cioè che la qualità si deve produrre a monte, non è sufficiente controllarla alla fine della filiera; caso mai, alla fine, bisogna assicurarne la corretta conservazione. Tanti rischi, anche molto impattanti sulla salute del consumatore, si potrebbero evitare se questa regola venisse davvero sempre applicata. Un esempio per tutti: i contaminanti, derivanti quasi sempre da approcci superficiali nelle pratiche agronomiche di base o nel processo di trasformazione. Particolarmente importante risulta pertanto il monitoraggio di una serie di contaminanti potenzialmente presenti nella drupa o nell’olio.

Principali contaminanti negli oli vegetali

• Idocarburi policiclici aromatici (IPA) • Agrofarmaci • Solventi alogenati • Solventi aromatici • Ftalati • Metalli pesanti (Pb, Cd, Hg, As) • Micotossine (aflatossine) • Oli minerali

Contaminanti: definizione dei limiti massimi

Fonti di contaminazione negli oli vegetali

• Risk assessment. Valutazione dei

rischi derivati dalla presenza di un contaminante nell’alimento e definizione di un tolerable intake

Migrazione dai materiali di imballaggio

Trasporto e stoccaggio

Condizioni di processo

Cross-contaminazione (per es. prodotti biologici)

Trattamenti agricoli

Contaminazione ambientale

• Valutazione dell’esposizione. Esposizione umana in relazione al tolerable intake con particolare attenzione ai gruppi di persone vulnerabili (per es. bambini)

• Determinazione dell’alimento

o gruppi di alimenti che maggiormente contribuiscono all’esposizione

• Monitoraggio analitico sulla presenza del contaminante nei vari alimenti o gruppi di alimenti

• Definizione del limite massimo

684


micro-contaminanti L’eventuale presenza di contaminanti chimici può derivare da fattori ambientali (vicinanza degli oliveti a fonti inquinanti, quali per es. autostrade, particolari industrie, centri urbani, direzione dei venti sfavorevole ecc.) oppure da pratiche agricole non corrette. Anche le modalità di trasporto delle olive al frantoio, nonché le condizioni dell’impianto di trasformazione e le condizioni di stoccaggio dell’olio dopo l’estrazione sono punti critici da tenere sotto controllo. Per tutti i contaminanti, comunque, dovrebbe valere sempre il principio ALARA (As Lower As Reasonable Achievable). Per raggiungere questo obiettivo occorrono un idoneo monitoraggio dell’ambiente e dei sistemi produttivi, unitamente all’applicazione di specifiche GAP (Good Agricolture Pratice) e GMP (Good Manufacture Practice). In ogni caso un’adeguata attività di prevenzione è il sistema più efficace per ridurre il rischio igienicosanitario.

Legislazione comunitaria

• Regolamento CE 1881/2006 della

Commissione che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. Alcuni contaminanti considerati: micotossine (aflatossine), metalli (Pb, Cd, Hg), idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

• Regolamento CE 1989/2003 della

Commissione che modifica il Reg. 2568/91 sulle caratteristiche degli oli di oliva e di sansa di oliva. Contaminanti considerati: solventi alogenati

Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) Gli idrocarburi policiclici aromatici sono composti costituiti da più anelli benzenici condensati. La loro formazione è associata a fenomeni di combustione incompleta di materiale organico a elevata temperatura. Questi idrocarburi diffondono nell’atmosfera e attraverso l’azione veicolare delle piogge possono essere riversati a terra sulle colture. I vegetali, comprese le olive, assorbono gli IPA al proprio interno in entità correlabile al carattere idrofilico di queste molecole. La penetrazione nell’interno dell’oliva degli IPA leggeri (con un numero di anelli non superiore a 4) risulta, quindi, più rilevante di quella degli IPA pesanti (con un numero di anelli condensati superiore a 4); questi ultimi si concentrano essenzialmente sulla buccia del frutto. Durante il processo di trasformazione in frantoio, la preliminare fase di lavaggio delle olive determina la sostanziale rimozione degli IPA più pesanti rimasti sulla parete esterna, mentre gli IPA più leggeri, penetrati nell’interno, permangono. Nella successiva fase di formazione dell’emulsione acqua/olio gli IPA si ripartiscono quasi esclusivamente nella fase oleosa assecondando la propria natura idrofobica. Una contaminazione da IPA delle olive porta quindi, inevitabilmente, a una contaminazione da IPA dell’olio estratto. In passato, in alcune zone vigeva la pratica di potare gli olivi nel periodo di raccolta e conseguentemente di bruciare i resti della potatura in campo nelle immediate vicinanze delle olive appena raccolte o in fase di raccolta. Tale pratica costituiva un’importante fonte di contaminazione da IPA. È bastato informare adeguatamente gli operatori agricoli per ridurre significativamente i livelli di contaminazione.

• Direttiva 2007/19/CE della Commissione che modifica la direttiva 2002/72/CE relativa ai materiali e agli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari. Contaminanti considerati: ftalati

• Non tutti i contaminanti sono

regolamentati a livello europeo. Per alcuni di loro vari Paesi hanno stabilito dei limiti interni

IPA: limiti di legge Regolamento della Commissione UE 2006/1881

• La contaminazione da IPA cancerogeni viene determinata utilizzando il benzo(a)pirene come marker

• In oli e grassi (escluso il burro

di cacao) destinati al consumo umano diretto o all’impiego quali ingredienti di prodotti alimentari il limite massimo è pari a 2 ppb di benzo(a)pirene

685


utilizzazione Tra gli IPA studiati, 15 rivelarono mutagenesi/genotossicità in esperimenti su animali in vivo e per il solo benzo(a)pirene venne testata e confermata un’azione cancerogena sull’uomo. Data l’elevata possibilità di indurre la formazione di tumori all’interno dell’organismo umano anche per gli altri 14 idrocarburi aromatici, si decise di assumere il benzo(a)pirene come marker per la presenza di questi IPA mutagenici all’interno dei prodotti alimentari. Venne, quindi, indicata una quantità massima giornaliera di assunzione per l’uomo di benzo(a)pirene e si suggerì che la quan-

Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

• Gli IPA sono una classe di composti

chimici aventi attività cancerogena che si generano dai processi di combustione delle sostanze organiche

• IPA possono essere classificati in:

IPA principali

– LEGGERI: Componenti aventi 2, 3 anelli aromatici

Genotossici* (SCF, 2002)

Cancerogeni** (IPCS, 1998)

4

X

X

Crisene

4

X

X

Benzo(e)pirene

5

Benzo(b)fluorantene

5

X

X

Benzo(k)fluorantene

5

X

X

Benzo(a)pirene

5

X

X

Dibenzo(a,h)antracene

5

X

X

Benzo(g,h,i)perilene

6

X

Indeno(1,2,3-c,d)pirene

6

X

X

Benzo(j)fluorantene

5

X

X

Ciclopenta(c,d)pirene

5

X

X

Oli vergini di oliva

Dibenzo(a,e)pirene

6

X

X

• Inquinamento atmosferico durante

Dibenzo(a,h)pirene

6

X

X

Dibenzo(a,i)pirene

6

X

X

Dibenzo(a,l)pirene

6

X

X

5-metilcrisene

4

X

X

Naftalene

– PESANTI: Componenti aventi più di 4 anelli aromatici

Benzo(a)pirene

IPA: principali fonti di contaminazione

la fase di crescita delle olive

• Fonti di riscaldamento inadeguate nei frantoi durante la spremitura

Oli di sansa di oliva

IPA

N. anelli

Fenantrene

3

Antracene

3

Fluorantene

4

Pirene

4

Benzo(a)antracene

* Parere del comitato scientifico dell’alimentazione umana sui rischi per la salute umana rappresentati dagli idrocarburi policiclici aromatici negli alimenti (adottato il 4 dicembre 2002) http://ec.europa.eu/food/fs/sc/scf/out153_en.pdf

• Processi di essiccamento mediante la produzione di calore diretto

** IPCS. Idrocarburi policiclici aromatici non eterociclici selezionati. Criteri di salute ambientale 202. Ginevra: programma internazionale sulla sicurezza dei prodotti chimici – Organizzazione Mondiale della Sanità, 1998

686


micro-contaminanti tità totale degli altri 14 IPA non dovesse essere 10 volte superiore a quella del benzo(a)pirene. Attualmente è in vigore il Regolamento Europeo 1881/2006 che impone 2,0 ppb come limite massimo di benzo(a)pirene negli oli e grassi destinati al consumo alimentare diretto o all’uso come ingredienti di prodotti alimentari. Per i prodotti destinati all’infanzia il limite massimo è ridotto a 1,0 ppb.

Legislazione comunitaria sui residui di agrofarmaci

• Regolamento CE 396/2005 del

Parlamento Europeo e del Consiglio concernente i livelli massimi di residui di antiparassitari nei o sui prodotti alimentari e mangimi di origine vegetale e animale. Stabilisce i livelli massimi di residui (MRL), definiti come la concentrazione massima ammissibile di residui di agrofarmaci in o su alimenti o mangimi

Agrofarmaci Le piante di olivo sono soggette a diverse avversità parassitarie derivanti sia da malattie infettive (funghi, batteri e virus) sia da fitofagi (prevalentemente insetti). Tali patologie creano sofferenze nella pianta con conseguente ridotta produzione di olive di modesta qualità. Con il ricorso a pratiche agronomiche accurate o attraverso l’uso di antagonisti naturali dei fitofagi il grado di infestazione delle piante può essere contenuto, ma non completamente eliminato. Nasce inevitabilmente l’esigenza di ricorrere a preparati chimici. Tali preparati appartengono tradizionalmente alla classe degli organofosforati, dei carbammati, dei piretroidi per contrastare l’azione dei fitofagi e dei composti rameici per combattere i patogeni fungini. Sono inoltre utilizzati erbicidi che svolgono la funzione di controllare la crescita delle erbe infestanti. Se questi agrofarmaci sono presenti sulle olive nel periodo della raccolta essi si trasferiscono all’olio attraverso un coefficiente di diluizione diverso per ciascun prodotto e dipendente dal grado di idrofilia della molecola: più la sostanza è idrofila, minore è il suo grado di ripartizione nella fase oleosa dell’emulsione olio/acqua che si viene a generare durante il processo estrattivo. Per questa ragione sono stati definiti un tempo di carenza (intervallo tra il trattamento e la raccolta) e un limite di tolleranza, che definisce la quantità massima di residuo di agrofarmaco (MRL, espressa in mg/kg o ppm) ammessa per legge.

• Gli MRL sono definiti sui semi oleaginosi e frutti oleaginosi (olive da olio) e non direttamente sull’olio. Nel caso degli oli vegetali generalmente si applicano gli MRL del prodotto pertinente tenendo conto dei fattori di concentrazione/ diluizione derivante dal processo tecnologico

• Tutti gli MRL sono soggetti a continui

aggiornamenti in seguito a: – nuovi risultati derivanti da studi tossicologici – sviluppo di nuove metodiche analitiche – nuove sostanze attive registrate come prodotti fitosanitari

• Regolamento CE 149/2008 della

Commissione che modifica il Reg. 396/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio

Solventi alogenati Con questo termine si indica un gruppo di idrocarburi alogenati, principalmente cloro e bromo-derivati. In campo industriale trovano diverse applicazioni (sbiancatura della cellulosa, pulizia di indumenti); in altri casi si formano per effetto collaterale di un processo (per es. potabilizzazione dell’acqua). Sulla base dei risultati degli studi tossicologici l’Unione europea ha da tempo emesso dei limiti sul contenuto di solventi alogenati nell’olio di oliva. Nel Reg. Europeo 1989/2003 viene indicato 0,1 mg/kg come limite massimo per ogni solvente alogenato rilevabile nell’olio di oliva e 0,2 mg/kg come limite per la somma totale dei solventi alogenati rilevabili. 687


utilizzazione In taluni casi la presenza accidentale di tali contaminanti è stata ricondotta allo stoccaggio dell’olio, anziché in idonee cisterne in acciao inox, in contenitori riciclati precedentemente destinati a solventi per lavanderie. In passato casi di contaminazione da solventi alogenati erano riconducibili allo smaltimento di piccole quantità di miscele olio-solvente (derivanti dall’analisi della resa in olio delle olive) attraverso diluizione nell’olio stesso.

Solventi alogenati

• La presenza di solventi alogenati negli

oli vergini di oliva può essere dovuta a: - contaminazioni esterne accidentali

Solventi aromatici Alla classe dei solventi aromatici appartengono 5 composti designati con l’acronimo BTEXS (benzene, toluene, etilbenzene, isomeri para, orto e meta dello xilene, stirene). Nel 1994 in Germania venne rilevata la presenza di BTEXS in oli vergini di oliva. Data la cancerogenicità del benzene e la tossicità dei suoi derivati venne concentrata maggiore attenzione sulla possibile presenza dei BTEXS nell’olio di oliva. La presenza di toluene, isomeri dello xilene ed etilbenzene risultò, per lo più, causata da contaminazione ambientale. Diversi campioni di olio vennero, infatti, inquinati con i vapori della benzina e si notò un incremento nei livelli di toluene, degli isomeri dello xilene e dell’etilbenzene. Poiché in alcuni frantoi era abbastanza consueta la pratica di far entrare mezzi meccanici direttamente al loro interno, si imputò agli scarichi di questi veicoli la contaminazione dai solventi aromatici citati. A livello europeo venne emessa unicamente una raccomandazione, (20/01/1999)10, che definì non preoccupanti e nocivi per la salute umana i livelli di contaminazione da BTEXS dell’olio di oliva. Come per i solventi alogenati, anche la presenza di questi composti aromatici negli oli extravergini è dovuta a contaminazioni esterne (ambiente inquinato) o in fase di stoccaggio dell’olio. Infatti, questi composti possono essere rilasciati dai rivestimenti interni dei serbatoi costituiti da materiali non perfettamente idonei o in cattivo stato di manutenzione.

- impiego in frantoio di acqua contenente alti livelli di cloro

• I solventi alogenati abitualmente ricercati sono:

- 1,1-dicloroetilene - diclorometano - 1,1,1-tricloroetano - tetracloruro di carbonio - tricloroetilene - bromodiclorometano - dibromometano - cis 1,3-cicloropropene - trans 1,3-dicloropropene - 1,1,2-tricloroetano - tetracloroetilene - dibromoclorometano - 1,1,1,2-tetracloroetano - bromoformio - 1,1,2,2-tetracloroetano

Solventi aromatici

• La presenza di solventi aromatici

(benzene, toluene, etilbenzene, isomeri dello xilene e stirene) negli oli vegetali può essere dovuta a:

Ftalati I diesteri dell’acido ftalico costituiscono una classe di composti organici denominati ftalati. Tra le svariate applicazioni industriali, trovano impiego come coadiuvanti per la produzione di articoli in plastica, in particolare prodotti in PVC. L’addizione degli ftalati consente al materiale plastico, spesso frangibile, di dilatarsi e diventare flessibile ed elastico. Prodotti tipici cui vengono aggiunti tali sostanze sono pellicole, materiali per la pavimentazione, tubi, cavi, vernici, lacche ma anche cosmetici. Gli ftalati sono, inoltre, utilizzati come lubrificanti sgrassanti, come vettori per pesticidi, cosmetici e profumi. Tra tutti gli ftalati il DEHP è quello utilizzato con maggior frequenza. Dato il loro largo utilizzo e la loro moderata resistenza alla degradazione, gli ftalati sono ubiquitari nell’ambiente. Queste sostanze, non

– contaminazioni esterne accidentali – condizioni di stoccaggio non idonee nei serbatoi in resine epossidiche – processi naturali

• Per questi composti non esiste

un limite armonizzato a livello europeo. Solo la Germania ha dei limiti interni

688


micro-contaminanti essendo legate chimicamente al materiale plastico ed essendo sostanze con uno spiccato carattere lipofilo, quando entrano in contatto con una matrice grassa migrano dal materiale alla matrice grassa. Nel caso dell’olio d’oliva la presenza degli ftalati può essere ricondotta ai materiali di natura plastica con i quali le olive o l’olio entrano in contatto nella fase di stoccaggio, trasformazione, trasporto e confezionamento. Nel settore oleario gli ftalati possono essere presenti nei materiali plastici a contatto (packaging primario, tubazioni, raccordi, parti di impianto di molitura, contenitori vari ecc.). Data la vasta diffusione dei materiali plastici in tutta la filiera oleicola, è importante verificare che i materiali a contatto, oltre a essere food grade siano anche ftalati free. Il rischio associato all’assunzione di queste sostanze con gli alimenti è associato alla loro tossicità, che raramente risulta acuta. Solo alcuni composti, primo fra tutti il DEHP, possono rivelarsi pericolosi in caso di esposizioni prolungate o ripetute (problemi legati alla fertilità maschile).

Ftalati negli oli vegetali

• Gli ftalati sono una classe di composti

organici con svariate applicazioni industriali, tra cui l’uso come plastificanti per la produzione di articoli in plastica, in particolare prodotti in PVC (polivinil cloruro)

• Nell’industria alimentare gli ftalati

possono essere presenti in materiali di packaging o altro materiale plastico (tubazioni, raccordi ecc.)

• Tali composti non sono legati

chimicamente al materiale plastico e quindi se posti in contatto con oli o grassi possono migrare in questi

Presenza di ftalati in olio di oliva* Origine

N. campioni

< 1 ppm

1-3 ppm

> 3 ppm

Tunisia

103

51

41

8

Grecia

77

62

38

0

Spagna

285

96

4

0

Italia

21

67

29

5

Totale

486

80

18

2

• Dato il loro largo utilizzo e la loro

moderata resistenza alla degradazione gli ftalati sono ubiquitari

• A oggi non ci sono limiti europei

armonizzati che stabiliscano la quantità massima ammissibile di questi composti nei prodotti alimentari. Solo alcuni Paesi hanno disposto linee guida interne

*Il composto maggiormente riscontrato è il DEHP

Dato che il contatto più significativo dell’uomo con queste sostanze avviene attraverso l’assunzione di alimenti, l’Unione europea ha emanato un Regolamento, il 1935/2004, che definisce i criteri con i quali materiali o oggetti a uso alimentare vengono immessi sul mercato comunitario e costituisce una prima base per la tutela della salute del consumatore. In aggiunta l’Unione ha emesso la direttiva 2002/72/CE, che stabilisce un limite di migrazione specifica (LMS), nell’alimento o in un simulante, per ogni singola sostanza elencata nella direttiva e un limite di migrazione specifico totale (LMS)T, espresso come totale delle sostanze elencate. Tutti questi parametri (e, volendo, altri ancora) sono elementi importanti per valutare la qualità di un olio di oliva, soprattutto extravergine, a prescindere dall’origine e dalla cultivar da cui esso deriva. Da quanto sopra esposto si evince facilmente quanto complessa sia la valutazione qualitativa di un olio e solo dall’esame dettagliato del quadro analitico completo, comprensivo anche dei parametri legati alla food safety, si può dedurre un giudizio di qualità obiettivo. 689


l’ulivo e l’olio

utilizzazione Trattamento dei reflui Giovanna Suzzi, Rosanna Tofalo

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


utilizzazione Trattamento dei reflui L’estrazione dell’olio di oliva genera grandi quantità di reflui che possono avere un notevole impatto ambientale a causa della loro tossicità, legata all’elevata concentrazione di fenoli (catecolo, idrossitirosolo, tirosolo e oleuropeina). Ci sono due modi per estrarre l’olio, tradizionale a pressione e per centrifugazione, con due sistemi, a due fasi e a tre fasi.

Cause della fitotossicità dei reflui oleari

• Materiali organici poco stabilizzati

possono inibire o ridurre lo sviluppo delle colture, a causa di diversi fattori: – presenza di tannini, acidi grassi e fenoli poco degradati – competizione per l’azoto tra i microrganismi del suolo e le radici (“fame d’azoto”) dovuta a un elevato rapporto C/N – anossia delle radici dovuta al consumo di ossigeno da parte dei microrganismi – tossicità metabolica

Sistema di centrifugazione a due e a tre fasi Sistema a 3 fasi

Sistema a 2 fasi

Olive (1000 kg)

Olive (1000 kg)

Molitura

Molitura

Gramolatura

Foto L. Cerretani

Decanter

Acque di vegetazione _ (≈1-1,6 m3)

Acqua _ (≈0,6-1,3 m3)

Gramolatura

Sanse vergini _ (≈550 kg)

Olio _ (≈160-210 kg)

Decanter

Olio _ (≈200 kg)

Sanse umide _ (≈800 kg)

Modificata da Alburquerque et al., 2004

A seconda del metodo di estrazione usato per ottenere l’olio, sono prodotti due diversi tipi di reflui. Il sistema a tre fasi usa grandi volumi d’acqua e l’inconveniente principale è proprio la produzione in un breve periodo di tempo (da novembre a febbraio) di grandi quantità di acque reflue, costituite dall’acqua di vegetazione

Compost di qualità

Olio e sottoprodotti ottenuti da diversi sistemi di estrazione* Sistema di estrazione

Olio (kg/100 kg olive)

Acqua aggiunta (%)

Acqua di vegetazione (kg/100 kg olive)

Sansa (kg/100 kg olive)

Umidità sansa (%)

Tradizionale

20

40

40

20

Tre fasi

20

50

80-110

55-57

48-54

Due fasi

20

0-10

8-10

75-80

58-62

Tre fasi a risparmio

20

10-20

33-35

56-60

50-52

*I valori riportati sono da considerarsi valori medi

690


trattamento dei reflui delle olive più l’acqua aggiunta nelle diverse tappe di produzione dell’olio. Lo scarto solido del processo costituisce le sanse, sanse vergini, composte da pellicole di buccia ed endocarpo legnoso. Nel sistema a due fasi, vi è un unico tipo di refluo, la sansa umida, con particolari caratteristiche chimico-fisiche.

Compost maturo

• Durante le prime fasi di compostaggio vengono prodotti metaboliti, chiamati “fitotossine”, che possono risultare tossici per le piante • Un compost maturo deve essere privo di fitotossicità, facilmente valutabile con test di germinazione condotti su semi di Lepidium sativum, Brassica parachinensis o di altre piante

Acque di vegetazione Con il sistema tradizionale e quello a tre fasi i reflui sono costituiti da sansa vergine e acqua di vegetazione. Le acque di vegetazione rappresentano il sottoprodotto liquido proveniente dal processo di estrazione dell’olio e sono costituite essenzialmente da: – acqua di costituzione delle olive con un modesto residuo d’olio; – acqua di lavaggio delle olive e degli impianti; – acque di diluizione delle paste negli impianti continui. La quantità e le proprietà chimico-fisiche dei reflui oleari dipendono dai metodi utilizzati per l’estrazione. Il refluo prodotto nel processo di estrazione tradizionale dell’olio corrisponde al 50-65% del peso delle drupe lavorate e le acque di vegetazione sono composte unicamente dall’acqua e da altre sostanze solubili presenti nella drupa. Nel processo di estrazione a tre fasi la produzione di refluo aumenta al 90-120% del peso delle olive lavorate, sommandosi anche l’acqua usata per la fluidificazione delle paste in fase di estrazione per agevolare la fuoriuscita dell’olio. È evidente come nel primo caso venga prodotto un refluo assai più concentrato. Tali reflui contengono, in soluzione allo stato colloidale e in sospensione, numerosi composti organici, quali zuccheri, tannini, acidi organici, lipidi, alcoli e polifenoli. Il refluo contiene anche significative quantità di sali inorganici, di cui la frazione più rilevante è solubile (fosfati, solfati e cloruri) e l’altra (20%) insolubile (carbonati e silicati), ed elementi minerali quali potassio, magnesio, calcio, sodio e ferro. La composizione chimico-fisica delle acque di vegetazione è soggetta a un’ampia variabilità anche perché è influenzata da diversi parametri come le condizioni climatiche, l’area di coltivazione, la varietà delle olive, il grado di maturazione dei frutti, il tempo di permanenza delle olive sulla pianta e il ciclo di lavorazione al quale vengono sottoposte. I più importanti parametri analitici per la valutazione del carico inquinante delle acque di vegetazione sono la misura della richiesta chimica e biochimica di ossigeno, comunemente definiti rispettivamente come COD e BOD5, che possono arrivare a valori superiori a 300 g/l e 100 g/l rispettivamente. Per quanto riguarda la caratterizzazione microbiologica delle acque di vegetazione, va ricordato che l’elevato contenuto in fenoli semplici (acido caffeico, acido protocateuico, acidi p-cumarico e p-idrossibenzoico, idrossitirosolo e tirosolo) ha una forte azione antimicrobica. Tuttavia possono essere presenti numerosi batteri, aerobi e anaerobi facoltativi, lieviti e muffe, con concentrazioni fino a 105 cellule/ml. La loro presenza

COD e BOD5

• BOD

(Biochemical Oxygen Demand): 5 è la quantità di ossigeno (mg/l) utilizzata dai batteri aerobi per mineralizzare le sostanze organiche presenti in un campione. Convenzionalmente la misura del BOD5 si effettua a 5 giorni a 20 °C • COD (Chemical Oxygen Demand): è la quantità di ossigeno (mg/l) necessaria per ossidare chimicamente le sostanze presenti in un litro d’acqua • Generalmente le acque di vegetazione hanno un BOD5 tra i 12.000 e i 63.000 mg/l e un COD tra gli 80.000 e i 200.000 mg/l, da 200 a 400 volte più alti di quelli delle acque municipali

691


utilizzazione Caratteristiche chimiche delle acque di vegetazione ottenute mediante sistema continuo e tradizionale Metodi di smaltimento e valorizzazione delle acque di vegetazione

Parametro

• Spargimento: diretta applicazione sul

terreno delle acque di vegetazione come fertilizzante organico, con effetti positivi, dovuti all’alta concentrazione di nutrienti, e negativi, legati alla presenza dei polifenoli (fitotossici), al basso pH e all’alto contenuto in sali minerali • Trattamenti chimico-fisici: aggiunta di sostanze chimiche per favorire la coagulazione, la precipitazione e la distruzione dei composti organici disciolti. Alcuni di questi processi forniscono acqua, utile per l’irrigazione, e fanghi, utili per il compostaggio • Evaporazione: in vasche di raccolta e stoccaggio. È il metodo più comune e produce fanghi smaltiti nei terreni, utilizzati in agricoltura o come fonte di calore • Trattamenti microbiologi: per la produzione di biopolimeri, per ridurre la fitotossicità attraverso la degradazione dei polifenoli con batteri, lieviti e muffe • Compostaggio: è una delle principali tecnologie per il riciclaggio delle acque di vegetazione, che possono essere utilizzate come fertilizzanti senza gli effetti negativi dello spargimento diretto • Digestione anaerobica: produzione di biogas e riutilizzo degli effluenti per irrigazione • Produzione di composti ad alto valore aggiunto: le acque di vegetazione contengono composti che per le loro proprietà antiossidanti, antimicrobiche e anticancerogene possono essere utilizzati dall’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare

Continuo

Tradizionale

Intervallo

Intervallo

pH

5-5,4

4,8-5,17

Acqua (%)

79,8-91,7

90,4-96,5

Composti organici (g/l)

72,2-183

26-80

Sostanze grasse (g/l)

0,2-10

5-23

Sostanze azotate (g/l)

12-24

1,7-4

Zuccheri (g/l)

20-80

5-26

Polialcoli (%)

10-15

9-14

Pectine, mucillagini, tannini (%)

13-17

2,3-5

Glucosidi (g/l)

tracce

tracce

Polifenoli (g/l)

12-24

1,6-10,7

P2O5 (g/l)

1,4-2,3

0,31-0,7

K2O (g/l)

4,7-8,1

2,3-4,46

Sost. secca a 105 °C (%)

8,3-20,1

3,5-9,6

COD (g/l)

54,1-318

67-178

BOD5 (g/l)

19,2-135

46-94

nelle vasche di stoccaggio delle acque di vegetazione favorisce i processi di detossificazione; infatti alcuni microrganismi, per esempio quelli appartenenti al genere Pseudomonas, sono in grado di sviluppare, a spese di composti di difficile degradazione, come i fenoli. Infatti, durante il periodo di stoccaggio il BOD5 tende a diminuire come pure i solidi sospesi che sedimentano. Le acque di vegetazione possono essere considerate esenti da microrganismi e virus patogeni. Sanse Le sanse sono il sottoprodotto solido della lavorazione delle olive e, a seconda della tecnologia di estrazione adottata, variano i quantitativi prodotti. In generale le sanse, indipendentemente dal processo di estrazione dell’olio, hanno una composizione simile, mentre le maggiori differenze riguardano l’umidità residua che può variare a seconda del metodo di estrazione, con una percentuale del 25-30% negli impianti tradizionali a pressione, del 48-54% negli impianti a 3 fasi e fino al 58-62% in quelli a due fasi. 692


trattamento dei reflui Le sanse vergini provenienti dai sistemi tradizionali e da quelli in continuo sono ancora ricche di olio e pertanto vengono inviate ai sansifici dove viene estratto l’olio residuo in esse contenuto. Il processo prevede una fase di essiccazione della sansa al 5-12%, estrazione con esano e distillazione (per recuperare il solvente) e raffinazione dell’olio (per renderlo commestibile). In questi ultimi anni la produzione dell’olio di sansa si è molto ridotta per motivi economici (poco remunerativa) e normativi. Dalla sansa prodotta con i sistemi tradizionali a pressione si ha un recupero di olio del 6-7% e solo del 4-5 % da quelli continui a tre fasi. La sansa esausta, sottoprodotto della lavorazione dell’olio di sansa, ha un aspetto granulare e può essere utilizzata come combustibile o per usi marginali, così come il nocciolino, che viene utilizzato come combustibile, ma anche in ebanisteria e nella fabbricazione di vernici. Con il sistema a due fasi, chiamato anche ecologico, in quanto riduce il consumo di acqua, non viene prodotta acqua di vegetazione, ma solo una sansa umida con peculiari caratteristiche chimico-fisiche che la rendono diversa dalla tradizionale sansa vergine. Infatti ha un pH debolmente acido, un’elevata concentrazione di materiale organico (soprattutto fibre) ed è ricca in potassio e ovviamente in olio e polifenoli. Le sanse umide hanno un forte odore e sono di consistenza molle, fatto che rende difficile il loro trasporto, dato che risultano difficilmente palabili e richiedono cassoni stagni. La loro utilizzazione nei sansifici è problematica a causa dei costi del processo di essiccamento per ridurre l’umidità eccessiva all’8%, prima dell’estrazione. Non meno importante è il fatto che le alte temperature utilizzate per l’essiccamento possono ridurre la qualità dell’olio. A questo si aggiunge anche un’elevata concentrazione di carboidrati che può provocare danni agli impianti. Molti sono gli studi, effettuati e in corso, e le proposte per lo smaltimento di questi sottoprodotti. Lo smaltimento diretto sul terreno causa importanti sbilanci nutrizionali che possono modificare il ciclo dell’N nel terreno, a causa dell’elevato rapporto C/N. Oltre all’essiccamento, tuttavia, due sono le linee principali per lo smaltimento delle sanse umide: la prima è la combustione per la produzione di energia e la seconda è il trattamento biologico, utilizzando processi di compostaggio. – Produzione di energia: esistono impianti per la separazione del nocciolo dalle altre componenti, da cui è possibile ottenere una biomassa combustibile e utilizzabile secondo la legislazione vigente. Ha un potere calorico relativamente elevato (400 kcal/kg). – Compostaggio: come per le acque di vegetazione è una delle principali tecnologie per il riciclaggio delle sanse. – Estrazione di composti a elevato valore aggiunto: idrossitirosolo, tirosolo, oleuropeina e acido caffeico possono essere estratti e utilizzati nell’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare.

Sanse residuate dalla lavorazione delle olive

Smaltimento sanse esauste

• Smaltimento diretto sul terreno • Essiccamento • Produzione di energia • Compostaggio • Estrazione di composti ad alto valore aggiunto

693


utilizzazione Compostaggio Il processo, dinamico e complesso, è utile per la produzione di sostanza ammendante e condizionante per uso agricolo e orticolo e anche per lo smaltimento dei fanghi di depurazione delle acque. L’uso di questo sottoprodotto può avere effetti molto positivi per migliorare la fertilità del terreno e ridurre i processi di erosione, chiudendo il ciclo reflui-risorse. Per la loro composizione i sottoprodotti della lavorazione olearia possono essere considerati un ottimo materiale di partenza per ottenere compost di qualità. Il processo di compostaggio può essere suddiviso in quattro fasi. – I Fase. Viene definita mesofila (10-42 °C) ed è caratterizzata da un’elevata crescita microbica (soprattutto batteri) a spese delle sostanze organiche, che vengono ossidate provocando un aumento della temperatura. Può durare da poche ore a due giorni. – II Fase. Viene definta termofila (45-71 °C). La temperatura aumenta notevolmente e agisce come fattore igienizzante nei confronti di microrganismi patogeni e semi di piante infestanti. In questa fase, che si svolge in condizioni termofile, con intensi processi degradativi a carico del materiale organico, si raggiungono temperature elevate ed è quindi necessario aerare opportunamente la massa, sia per fornire l’ossigeno necessario alle reazioni ossidative sia per drenare l’eccesso di calore dal sistema. In relazione alle caratteristiche della matrice, la fase di biossidazione può avvenire in cumuli (con o senza rivoltamenti e con o senza aerazione forzata), oppure in sistemi complessi (bioreattori), per una durata di 21-28 giorni nel caso di cumuli rivoltati o di 14-16 giorni nel caso di bioreattori.

Compostaggio

• Si definisce compostaggio il processo

di decomposizione e di trasformazione operato da microrganismi (lieviti, attinobatteri e batteri mesofili e termofili aerobici) della sostanza organica presente nei rifiuti che portano alla produzione di un composto stabile, chiamato compost Foto L. Cerretani

0

50

100

150

200

60 50 40 30 20 10 0 250

60 Temperatura (°C)

70 60 50 40 30 20 10 0

Temperatura (°C)

%

Fasi di compostaggio e andamento della temperatura

Tempo (giorni) Grassi %

C/N

Lignina %

Cellulosa %

Temperatura (°C)

Fenoli %

40 Fase di raffreddamento

Ceneri %

Fase Fase mesofila termofila

Evoluzione dei parametri chimici durante il compostaggio

Fase di stabilità e maturazione Tempo

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trattamento dei reflui – III Fase. Viene definita fase di raffreddamento e maturazione, in cui si completano i fenomeni degradativi e intervengono le reazioni di sintesi delle sostanze umiche. In questa fase la temperatura cala lentamente fino ad arrivare ai valori della temperatura ambiente, l’umidità si riduce a valori del 25% e il pH da circa 4,5-4,7 si stabilizza a 7,5-8,0. L’incremento del pH è una conseguenza della degradazione di composti acidi con gruppi carbossilici e fenolici e della mineralizzazione di composti organici, come per esempio proteine, aminoacidi e peptidi, a composti inorganici. La durata è di almeno 45 giorni, con una minore esigenza di ossigeno e di drenaggio di calore, e quindi le operazioni di rivoltamento sono più dilazionate. – IV Fase. Viene definita di maturazione e stabilizzazione, in cui i composti più difficilmente utilizzabili, come la cellulosa, le emicellulose e la lignina, vengono degradati e trasformati in sostanze umiche principalmente da basidiomiceti. Al termine del compostaggio si può osservare una notevole degradazione del materiale organico, soprattutto per quanto riguarda i composti fenolici, con riduzioni dal 70 al 100%. Vi è anche un notevole decremento nel contenuto di lipidi tra il 60 e il 75% e del rapporto C/N, che da valori iniziali di 40-45 si può abbassare a valori al di sotto di 20. Un compost di buona qualità presenta un valore di C/N di 20-25, comunque inferiore a 30. I microrganismi presenti devono essere numerosi e attivi, contribuendo a rendere solubili e liberare gli elementi minerali e alla produzione di sostanze biologicamente attive. Il compost maturo ha l’aspetto di terriccio scuro, con un tipico odore di terra di sottobosco, dovuto alla presenza di geosmina, composto prodotto dagli attinobatteri. Tenuto conto del suo stato liquido, durante il processo di compostaggio l’acqua di vegetazione deve essere distribuita nel tempo su un substrato solido. In genere possono essere utilizzati tutti gli scarti agricoli, come paglia di grano, stocchi di mais e scarti di cotone addizionati con fonti di azoto (urea, pollina, fanghi). Il compost pronto che si ottiene in 3-4 mesi può essere utilizzato per orti, giardini e in pieno campo in pre-semina. Il compost maturo (5-6 mesi), di elevata stabilità, ma minore effetto concimante, trova utilizzo come ammendante in pieno campo, o come terriccio nel florovivaismo. Infatti il compost proveniente da materie prime vegetali e/o in combinazione con altri sottoprodotti costituisce un buon ammendante organico, molto utile ai fine del recupero e della conservazione della fertilità dei suoli agrari, sempre più compromessa da fenomeni di erosione e mancato reintegro di sostanza organica. Inoltre contiene molecole biologicamente attive che possono inibire microrganismi patogeni e la sua aggiunta ai terreni può migliorare le caratteristiche di soppressività del suolo nei confronti di numerosi fitopatogeni. I limiti di accettabilità di un compost sono stati fissati dalla legge 748/1984 modificata dai decreti 27 marzo 1998 e 3 novembre 2004.

12

Log10UFC/g

11 10 9 8 7 6 5

0

50

100 150 200 250 300 Tempo (giorni)

Batteri termofili Attinomiceti termofili Funghi termofili Batteri mesofili Attinomiceti mesofili Funghi mesofili

70 60 50 40 30 20 10 0

0

11 10 9 8 7 6 5 4 50 100 150 200 250 300

Log10UFC/g

Temperatura (°C)

Evoluzione della carica microbica mesofila e termofila durante le diverse fasi del compostaggio (Lina baeta-Hall et al., 2005)

Tempo (giorni) Temperatura DT acido caffeico DT acido siringico DT carbossimetilcellulosa DM acido caffeico DM acido siringico DM carbossimetilcellulosa Microrganismi (mesofili e termofili) degradatori di acido caffeico, siringico e carbossimetilcellulosa durante le diverse fasi del compostaggio

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l’ulivo e l’olio

utilizzazione Olio nella cosmesi Luigi Caricato, Giovanni D’Agostinis

www.colturaecultura.it Diritti di sfruttamento economico: Bayer CropScience S.r.l. Realizzazione editoriale: ART Servizi Editoriali S.r.l. I nomi di coloro che hanno realizzato le fotografie sono riportati sopra le stesse; in tutti gli altri casi le immagini sono state fornite dagli Autori di ciascun capitolo o reperite da agenzie fotografiche.


utilizzazione Olio nella cosmesi L’olio che si ricava dalle olive? Non è da relegare soltanto nel chiuso della cucina, è anche olio del piacere e della bellezza: è il fluido vivificante che fa bene al corpo e all’anima e, come tale, rappresenta ed esprime, intrinsecamente, un elemento di gioia e, insieme, di vitalità e spensieratezza. Utilizzato per fini cosmetici, può contribuire a farci raggiungere – almeno in parte, almeno come puro anelito – la tanto agognata dimensione di felicità e benessere, quella cui tutti noi, neanche tanto segretamente, in fondo aspiriamo. Non solo nell’immaginazione, dunque, ma anche nella concretezza dell’approccio, l’olio che si ricava dalle olive viene percepito come un autentico toccasana. Il benessere che se ne ricava è d’altra parte ampiamente documentato da una vasta letteratura che si estende in un arco temporale piuttosto ampio, che va dall’antichità a oggi. Le tracce del passato di certo non mancano, sia nella ricca ed estesa iconografia, sia nelle diverse citazioni o nei vari studi che ci sono pervenuti. Tutto, in qualche modo, è stato opportunamente riportato, nero su bianco. Nei vari documenti disponibili, le testimonianze non mancano. Più ci si avvicina all’epoca contemporanea, e più si possono leggere studi scientifici accurati, meno empirici rispetto al passato. Oggi infatti vi sono chimici cosmetologi che hanno affrontato il tema olio e cosmesi in maniera alquanto dettagliata, forti di un rinato interesse verso l’argomento. Gli specialisti della materia non hanno infatti perso l’occasione di approfondire gli studi e di promuovere sempre nuove ricerche. Hanno indagato con grande attenzione tutte le possibili metodologie utili a creare nuove formule applicative, muovendosi

Olio nella cosmesi

• La fortuna commerciale di alcuni

prodotti non nasce dal caso. Quando i formulatori di prodotti cosmetici trovano materie prime di facile utilizzo e di grande stabilità, le usano volentieri. È per tale motivo, dunque, che sino a pochi anni fa l’olio di oliva – essendo ritenuto difficilmente emulsionabile e dal tocco pesante – è stato messo in disparte e gli sono stati preferiti oli sintetici, in particolare esteri, di facile emulsionabilità, avvantaggiati dalle loro caratteristiche organolettiche e dal tocco leggero

Olio di oliva: prodotto naturale

• Da qualche tempo

il mondo della cosmesi ama trastullarsi con i prodotti cosiddetti naturali. Molte aziende hanno studiato e immesso sul mercato intere linee impostate sul concetto che ciò che è naturale è sano e bello, e allora ecco fioccare nelle formulazioni olio di arachidi, di mandorle, di semi di lino, di girasole e, come era logico, evidentemente anche di olio di oliva, materia prima presente nel bacino del Mediterraneo in grande quantità

• È diventato così di moda ciò che è stato utilizzato nei cosmetici per secoli in tante civiltà del Mare Nostrum. Pochi derivati vegetali vantano infatti una tradizione d’impiego cutaneo così solida e probativa

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olio nella cosmesi tra gli antichi ricettari della tradizione, ma disponendo, a differenza degli studiosi del passato, dei vantaggi derivanti dalle moderne tecnologie. Il confronto con i secoli precedenti non è mai venuto meno, anzi lo si sollecita così da saggiare la diretta esperienza dei nostri antenati. La ricetta di un noto unguento a base di olio di oliva, latte, bacche di cipresso e grani di incenso, per esempio, è stata ripresa e in qualche modo rivista e riattualizzata a partire da quanto riportato in un arcaico papiro egiziano, dove appunto si trovano elencate con la massima precisione tutte le possibili soluzioni da considerare allo scopo di conservare il più a lungo nel tempo quel bene prezioso che è l’effimero e purtroppo passeggero mito della bellezza.

Strigmenta

• Gli eroi omerici frizionavano con olio

di oliva le membra del corpo prima delle battaglie. Gli atleti e i lottatori greci e romani si massaggiavano i muscoli con l’olio onfacino, un olio vergine di oliva ricavato esclusivamente da olive ancora verdi e, dopo i loro faticosi esercizi, si rotolavano sulla sabbia asciutta, la quale assorbiva olio e sudore formando degli ammassi pastosi detti strigmenta, in quanto si raccoglievano con gli strigli, raschiando il corpo che ne era ricoperto. Tali masse venivano rivendute ad alto prezzo, come medicamenti. Così riferivano personaggi come Dioscoride, Ippocrate e Galeno

Il ruolo benefico dell’olio di oliva riguarda anche la cosmesi Il progresso scientifico aiuta, non c’è che dire. Oggi, d’altra parte, non ci si basa più su aspetti puramente legati all’esperienza, la validità del ricorso all’olio di oliva, in fatto di applicazioni sul corpo, è ampiamente sostenuta e documentata anche dal mondo scientifico. L’alta valenza salutistica dell’olio extravergine di oliva viene dunque ribadita non soltanto per gli abituali usi alimentari, ma anche nell’impiego nella cosmesi. Il fenomeno dell’invecchiamento della pelle, tra l’altro, sarebbe causato proprio dalla nefasta azione esercitata dai tanto temuti radicali liberi. Non è pertanto una battaglia che si svolge soltanto all’interno del corpo, ma anche la pelle ne viene in qualche misura compromessa. Per questo diventa necessario curare l’epidermide attraverso opportuni rimedi, ricorrendo all’elemento protettivo scaturito dal ricorso all’olio di oliva, unitamente ad altri preziosi componenti antiradicalici. Gli antiossidanti – come pure diverse altre molecole presenti nell’olio di oliva – esercitano una decisiva azione di contrasto nei confronti degli inestetismi a carico della cute. Ci sono in particolare i biofenoli oleuropeina e idrossitirosolo che agiscono in modo significativo e determinante nell’inibire i processi ossidativi a carico della pelle. Le cellule della cute sono d’altronde costantemente aggredite dai vari agenti esterni, al punto da necessitare di un adeguato sistema di difesa allo scopo di fronteggiare gli inevitabili danni provocati dall’ambiente, soprattutto in un’epoca come l’attuale, in cui il tasso d’inquinamento è talmente elevato da costituire un serio e irrisolto problema. È ormai provato che lubrificando la pelle con l’olio ricavato dalle olive gli strati superficiali siano messi più al riparo. L’olio infatti penetra attraverso i pori e i follicoli creando una patina di protezione. Non solo, anche la funzione rassodante determina dei benefici alquanto preziosi per la salute della pelle. Una tradizione araba che tuttora viene praticata nei Paesi del Maghreb prevede per esempio di massaggiare il petto con l’olio di oliva, allo scopo di mantenerlo morbido e turgido nel medesimo tempo. Per questi aspetti, e per altri ancora, le attenzioni degli studiosi si concentrano su tutte le possibili soluzioni.

Uso dell’olio nell’antica Roma

• Dopo i bagni era molto comune

ungere il corpo con l’olio di oliva, così da donare elasticità e flessibilità ai muscoli, oltre che emollienza alla pelle. Anche a Roma e in Grecia le paste dei frutti e le foglie venivano impiegate come antirughe e abbellenti cutanei, opportunamente mescolate con l’olio di oliva, così da agire contro le irritazioni, i pruriti e le bruciature

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utilizzazione L’obiettivo resta quello di preservare il delicato patrimonio delle nostre cellule e mantenerlo il più a lungo possibile protetto dalle insidie del tempo e di altre cause dagli effetti nefasti. La vitalità e la durata stessa delle cellule vengono garantite attraverso il ricorso all’olio di oliva impiegato tal quale, in modo diretto, oppure con il ricorso a specifiche formulazioni appositamente predisposte per i vari impieghi, così da semplificare l’applicazione, sia riducendo i tempi, sia assicurando una maggiore praticità d’uso. La pelle – non va dimenticato – è una risorsa importante per chi ha davvero a cuore il mantenimento in essere della bellezza. La scelta di ricorrere a prodotti naturali contribuisce senza dubbio a salvare e proteggere le fibre in maniera più duratura. Più sani e più belli con l’olio di oliva, verrebbe quasi da concludere; e così è, in effetti.

Oro liquido

• La tradizione dell’uso dell’olio di oliva

nella cosmesi domestica – un autentico oro liquido – non si è ancora persa nei Paesi mediterranei. In Grecia soppesti di foglie e drupe verdi, insieme a una piccola quantità di olio, vengono impiegati in applicazioni locali contro edemi cutanei. In Turchia, Algeria e sui nostri Appennini, l’olio tal quale viene usato contro le morsicature d’insetti oppure, da solo o con drupe verdi e foglie, contro geloni, desquamazioni o sudorazione eccessiva

Benefica azione dell’olio sulla pelle Le attenzioni per l’uso cosmetico dell’olio di oliva, pur tra momenti di grande enfasi e inevitabili periodi di declino, non sono mai mancate nel corso dei millenni. Ci sono stati alti e bassi come sempre nella storia, ma l’idea che il ricorso all’olio di oliva per via topica contribuisse a garantire una sostanziale condizione di benessere non è mai venuta meno. L’effetto cosmetico e dermoprotettivo è più che acclarato: è una certezza. Gli ottimi favori degli studiosi di ogni epoca testimoniano ciò che i laboratori oggi confermano e attestano: i composti dell’olio di oliva risultano efficaci dal punto di vista sia cosmetico sia dermatologico. Da sempre, si può dire senza tema di smentite. Anche se è solo con l’ingresso nell’età moderna, e in particolare a partire dal Settecento, che si assiste in verità a un certo distacco, esplicito e più o meno manifesto, dall’olio di oliva nella cosmesi. L’introduzione della base alcolica nei profumi al posto di quella oleosa determina infatti un momento di rottura. L’impiego dell’olio di oliva in cosmesi resta protagonista nel periodo citato e fino a qualche decennio fa solo nelle tradizioni popolari, ma non si perde del tutto. Tanto che oggi, davanti a una società che si è resa più attenta alla salute, si sta assistendo

• Gli illustri cosmetologi Paolo Rovesti e

Gianni Proserpio, già negli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo, avevano effettuato numerosi studi sull’olio di oliva e i suoi derivati, dettandone così l’uso in formulazioni industriali di creme da notte, solari e saponi

Syndet: detergenti sintetici

• I detergenti sintetici hanno un pH

vicino a quello fisiologico, ma essendo formulati con tensioattivi sintetici possono essere troppo delipidizzanti provocando l’effetto “pelle che tira”. Da pochissimo tempo un produttore del Nord Italia è riuscito a inserire il 7% di olio extravergine di oliva nel syndet, trasformandolo in un perfetto cosmetico in grado di eliminare tale effetto

L’olio di oliva simile al sebo della cute umana

• Un’altra novità importante viene da un

produttore francese di materie prime della detergenza, il quale ha da poco creato una miscela di tensioattivi capace di inglobare sino al 15% di olio di oliva. Shampoo e bagni schiuma diventeranno così ottimi prodotti per una detergenza delicata ed efficace

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Olio di oliva %

Sebo %

Insaponificabili

1-1,5

5

Esteri cerosi

0,5

5

Acido palmitico

7,5-20

25-29

Acido stearico

0,5-5

20-28

Acido oleico

55-83

30-35

Acido linoleico

3,5-13,5

3-3,5

Acido linolenico

Max 0,8

Max 1,2


olio nella cosmesi a un recupero sempre più sensibile e sollecito di posizioni, con il recupero di molte delle sostanze naturali usate largamente nel passato. In Giappone come in Cina sono in molti a credere ormai nelle virtù dell’olio di oliva quale preparato cosmetico. Non a caso per loro l’impiego alimentare dell’olio di oliva viene posto addirittura in secondo piano. Sulla scia di alcune evidenze scientifiche recenti, le proprietà dermatologiche e cosmetiche degli oli di oliva sono state di fatto rivalutate. A ciò si aggiunga il fatto che gli ultimi studi in materia hanno permesso di perfezionare le modalità d’uso, facilitandone la fruibilità su vasta scala. Così, ciò che nell’antichità era già stato evidenziato, seppure basandosi su intuizioni empiriche, oggi trova piena conferma nei fatti. Dalle foglie di olivo, come pure dalle stesse olive e dall’olio, si ricavano linee di prodotto decisamente più funzionali e accattivanti rispetto al passato. Le sostanze naturali contenute nei moderni preparati cosmetici, essendo dotate di un’attività biologica in grado di inibire il processo di ossidazione delle cellule lipidiche dell’epidermide, trovano un gran numero di sostenitori anche in aree del mondo prive di una tradizione olivicola e olearia. I più attenti e sensibili ovviamente non si accontentano più dell’olio di oliva in senso lato, ma punta-

Cosmetologia oggi

• L’olio di oliva, e in particolare quello

extravergine (oleum ex albis ulivis lo chiamavano i Romani), è quello che contiene in maggior misura oli monoinsaturi ed elementi antiossidanti. Viene proprio per questo utilizzato nei prodotti cosmetici per le riconosciute e documentate proprietà idratanti, nutrienti, emollienti, seborestitutive, in grado di ripristinare il film idrolipidico, e anche protettive contro i raggi UV per la pelle

Preferenza all’extravergine

• L’olio extravergine di oliva viene

estratto con soli mezzi meccanici e conserva tutte le sue caratteristiche peculiari, oltre che il suo patrimonio biochimico intatto

• È quindi da preferire agli altri tipi

di oli di oliva, oltre che agli altri oli vegetali, per le sue marcate proprietà funzionali, dovute alla presenza delle preziose sostanze attive, in particolare a quella della frazione insaponificabile, agli acidi grassi linolenico e linoleico, ai composti fenolici e alle vitamine A, D, E, K

Ricetta antirughe

• Latte, grani d’incenso, cera d’api,

bacche di cipresso e olio di oliva. È una ricetta antirughe, riportata nel papiro egiziano di Ebers. Tale impasto veniva utilizzato anche per sei giorni di seguito dalle donne d’Egitto, con effetti, pare, eccellenti

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utilizzazione no a una materia prima d’alta qualità. Ed ecco di conseguenza il ricorso agli oli extravergini di oliva e, tra questi, si segnala anche la preferenza di gran lunga accordata a quelli i cui componenti presentino un profilo qualitativo superiore. La differenza la fanno la natura delle molecole e la quantità delle stesse presenti nell’olio. La qualità dell’olio garantisce una presenza maggiore di antiossidanti. Un dato di fatto che le stesse popolazioni antiche avevano ben compreso: per questo i Romani puntavano alle olive raccolte ancora verdi, non del tutto mature, perché in tale stadio di maturazione esprimono la loro condizione ideale. I frutti appena staccati dall’albero sul finire di agosto venivano prontamente spremuti nei frantoi per ricavare il pregiatissimo olio che i Romani definivano appunto omphacion. È l’oliva non ancora matura, infatti, ad avere la massima concentrazione in sostanze pregiate. Questo lo si evidenzia anche per segnalare come gli antichi, seppur privi degli strumenti odierni di valutazione e analisi, avevano comunque visto giusto. E oggi, a distanza di secoli, le potenzialità di impiego delle molte sostanze presenti nell’olio di oliva possono essere largamente utilizzate valorizzandole al meglio, a beneficio sia della moderna industria cosmetica, che guadagna in fatturato, sia di chi fruisce dei nuovi formulati.

Di tutto, di più; e c’è chi abusa

• Se, navigando in Internet, si decidesse

di cliccare la voce olio di oliva in cosmetica, si ritroverebbero più di cinquemila voci riguardanti i prodotti contenenti tale materia prima: saponi, scrub, antirughe, schermi solari, bagni schiuma, shampoo, balsami, maschere per capelli, body lotion, stick labiali, oli da massaggio, creme mani, creme idratanti viso e corpo, latti detergenti e molti altri

• Ma attenzione! Alcuni prodotti

sponsorizzati a base di olio di oliva sono realizzati con l’olio di cocco, con oli ed emulsionanti sintetici ecc.

• Per non essere ingannati basta leggere le etichette che, per legge, devono riportare gli ingredienti con i nomi INCI (International Nomenclature of Cosmetics Ingredients)

Olio di oliva? È l’antenato del sapone Nell’antichità, quando non vi era ancora traccia del sapone, si ricorreva all’olio quale efficace detergente. Ci si spalmava più di una volta al giorno, e addirittura si veniva considerati poco inclini all’igiene se non si appariva sufficientemente unti. La percezione dell’untuosità su corpo e capelli era dunque un involontario parametro di pulizia. Le popolazioni antiche erano metodiche, spalmavano con zelo e amorevolezza ogni parte del corpo secondo un uso oltremodo inconsueto ai nostri occhi di moderni. Praticavano frizionamenti così accurati da lasciar formare sulla pelle una salda e durevole pellicola in grado di proteggere i pori dalle infiltrazioni di polvere e freddo. Tutto aveva un senso: essendo un cattivo conduttore termico, lo strato uniforme ottenuto con l’unzione dell’olio consentiva di ottenere l’isolamento della pelle anche a protezione dai raggi del sole, oltre che a garanzia delle basse temperature d’inverno. Il fatto che nel corso dei secoli l’impiego tal quale dell’olio di oliva sulla pelle sia diventato sempre più raro – a partire dal Settecento, come evidenziato – sarà dipeso evidentemente da ragioni di carattere pratico. La complessità dell’operazione, e i lunghi tempi di applicazione, hanno senza dubbio influito negativamente su una certa disaffezione; ma anche – non nascondiamolo – il fastidio per il caratteristico odore intenso e marcato che l’oliva lascia di sé avrà giocato un ruolo altrettanto decisivo. La modernità, come sappiamo, ha tempi rapidi ed è pertanto comprensibile che alla fine per comodità si scelga la soluzione più veloce e risolutiva. Tuttavia, va altresì detto

Creme

• È possibile inserire l’olio di oliva

sino al 10-15%, con una texture per niente unta e pesante. Si ottengono emulsioni con diverse funzionalità: protettiva solare, antiage, idratante, nutriente… scegliendo oculatamente l’emulsionante adatto

• La presenza dell’olio è apprezzata

nelle creme viso e corpo, per l’emollienza che conferisce soprattutto alle pelli secche

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olio nella cosmesi che con l’eccessivo impiego di detergenti è stata nel contempo compromessa, in buona parte, anche la protezione grassa della pelle. Quando ci si lava con frequenza, ricorrendo a detergenti, si possono perfino compromettere, in modo piuttosto serio, le stesse difese dell’epidermide. Per opporre una reazione al moltiplicarsi di affezioni patologiche a carico della cute, oggi si fa ricorso a sostanze naturali come l’olio di oliva. Non per una moda, dunque, ma per una necessità di salute, visto che l’olio di oliva resta senza dubbio l’elemento più indicato per il ripristino dello strato grasso della nostra pelle. C’è anche un aspetto decisamente positivo da segnalare, il fatto che l’olio di oliva venga assorbito presto e bene. A differenza degli altri oli vegetali, che manifestano la sola funzione emolliente, con l’olio ottenuto dalle olive vi è pure il vantaggio di nutrire nel contempo la pelle. Detto fatto, le aziende del ramo cosmetico si sono ben presto adeguate rendendo disponibili sul mercato differenti linee di prodotto, in grado di soddisfare appieno la pluralità di esigenze di un pubblico di fruitori divenuto nel frattempo più esigente. Così, in modo conforme alle aspettative del mercato, senza dover dunque ricorrere all’impiego diretto dell’olio con i comprensibili inconvenienti pratici che ne conseguono, è oggi possibile optare per una cosmesi all’olio di oliva più facile, rapida e comoda di un tempo.

Oli

• Nella preparazione di oli per il corpo

si può inserire l’olio di oliva sino al 30%, miscelandolo con oli leggeri, vegetali, trigliceridi, esteri, ottenendo oleoliti molto versatili, dagli oli massaggio a quelli per bambini, agli schermi solari

Stick e maschere per capelli

• Negli stick per labbra si può inserire l’olio di oliva sino al 5%, donando luminosità e protezione

• Per la cura dei capelli trattati, tinti,

decolorati o esposti al sole e alla salsedine, è veramente apprezzabile la presenza dell’olio di oliva anche in alte percentuali, perché nutre, idrata e protegge la capigliatura. È il trattamento ideale anche per capelli secchi e fragili

Testo a cura di Luigi Caricato, approfondimenti a cura di Giovanni D’Agostinis

Passione di Sofia Loren per l’olio di oliva

• La nota attrice ha dichiarato che una

gran parte della sua salute e bellezza è dovuta alle cure con olio di oliva. L’occasione di tale dichiarazione si è rivelata senza dubbio un ottimo veicolo pubblicitario. I cosmetici all’olio di oliva, e in particolare quelli con l’extravergine, hanno superato i test sia di sensibilità cutanea, sia di alta efficacia, presso prestigiose cliniche dermatologiche e le più note università italiane

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l’ulivo e l’olio

utilizzazione Artigianato e arredo Antonio Rotundo, Nicola Moretti, Tiziano Caruso

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utilizzazione Artigianato e arredo La pianta di olivo raggiunge a volte 20-25 metri di altezza e la sua circonferenza supera, a petto d’uomo, i 2 metri. Internamente i tronchi sono spesso cavi e/o in parte deteriorati, in seguito ad attacchi di parassiti animali o vegetali. Generalmente, poi, il tronco è molto contorto e provvisto di costole e rigonfiamenti, per cui il segato, quasi sempre, è di piccole dimensioni, sia in lunghezza sia in spessore. Il prodotto ottenuto, pertanto, è adatto per uso industriale (per lo più parquet), lavori artistici (sculture), ebanisteria (limitatamente all’allestimento di mobili di piccola mole e di fattura artigianale), tornitura, intaglio e intarsio. È con la potatura della pianta, sia che si tratti di interventi di tipo ordinario sia straordinario, che inizia il lungo percorso che trasforma il legno, grazie alla perizia e alla tecnica dell’uomo, in oggetti artistici, di arredamento e di uso comune. Dimensioni, struttura e sanità del legno sono determinanti per la scelta della sua futura destinazione. Mentre i germogli di limitate dimensioni possono infatti essere triturati, interrati o usati come legna da ardere, i rami grossi, invece, se in buone condizioni, vengono utilizzati a fini artigianali. Presso alcune comunità è consuetudine selezionare quest’ultimo materiale, a seconda del suo spessore, segarlo in tronchetti di diversa lunghezza e lasciarlo tra le branche della pianta per consentirne una prima stagionatura al sole, per poi utilizzarlo in tempi successivi. Con la potatura ordinaria, che viene effettuata per mantenere nel tempo la forma di allevamento originaria e per consentire alla pianta di avere un buon equilibrio vegetativo e produttivo, a seconda

Olivo con tronco internamente cavo, in seguito a potatura di risanamento

Legno in stagionatura su pianta di olivo

Legno ricavato da potature straordinarie Olivo secolare nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano

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artigianato e arredo

Legno ricavato dai rami dopo la potatura ordinaria

della finalità e dei turni con cui viene effettuata, variano la quantità e le caratteristiche del legno asportato. In genere, però, con la potatura ordinaria vengono asportati rami o branche di limitato spessore e, pertanto, di scarso interesse per l’utilizzo come legno da lavoro. Dalla potatura straordinaria, che richiede interventi energici per ringiovanire o risanare piante invecchiate o cariate che presentano difficoltà di rinnovo vegetativo o per modificare la forma di allevamento, si può invece ricavare molto legname da lavorare, specialmente se questo non presenta alterazioni gravi, dovute ad attacchi di parassiti e/o stress abiotici. Anche nel caso di piante adulte, sottoposte a trapianto e utilizzate per scopi ornamentali, il quantitativo di legno che si recupera dal tronco e dall’apparato radicale è consistente. Quest’ultimo può, in particolare, avere raggiunto una massa tale da poter dar vita a sculture e oggetti di elevato valore artistico.

F. Lo Giudice, Olocausto

Caratteristiche fisico-meccaniche del legno di olivo L’accrescimento dell’olivo è molto lento: annualmente l’aumento in spessore del fusto e delle branche è valutato in pochi millimetri. Non va dimenticato che molti impianti occupano aree marginali ove le condizioni pedo-climatiche rappresentano un limite allo sviluppo vegeto-produttivo delle piante. Solo da pochi anni l’irrigazione è una pratica comune a molti oliveti; intervento questo che, se effettuato con continuità, potrebbe assicurare maggiore sviluppo e accrescimento della pianta e di conseguenza una migliore qualità e quantità del legno. Le caratteristiche fisiche del legname sono dovute a un alburno giallognolo o bruniccio chiaro, un duramen a contorno irregolare, di colore bruno, più o meno cupo, variegato da strisce più scure, a volte tendenti al grigio nerastro ad apparenza grassa. I cerchi di incremento non sempre sono chiaramente individuabili. Il legno è duro e i suoi raggi parenchimatici non sono visibili a occhio nudo. Le sue fiammature sono abbastanza vistose, per

Provini per la determinazione delle caratteristiche del legno di olivo

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utilizzazione

Legno e umidità

• Il legno è un materiale igroscopico,

ovvero presenta una notevole affinità con l’acqua. Tale affinità dà origine a fenomeni di scambio (accumulo e cessione) di umidità mediante meccanismi di assorbimento e di desorbimento. Quest’ultima è una delle maggiori caratteristiche del legno allo stato naturale e, in misura maggiore, allo stato di manufatto. Una delle principali caratteristiche del legno di olivo è di avere tessuti molto compatti, tanto da rendere modesta la capacità di cedere e, ancora più, di riassorbire umidità esterna. Il corpo del legno è uno dei più stabili; così in presenza di mutamenti igrotermici e ambientali un manufatto essiccato, con appropriate procedure tecniche, non subisce alcuna variazione

Fiammature e fibrature in legno di olivo

alcuni anche molto, ma proprio per tali caratteristiche oggi è oltremodo apprezzato; la fibratura, poi, risulta tormentata e irregolare. La massa volumica del legno è abbastanza alta, sia allo stato fresco, 900-1200 kg/m3, sia a umidità normale (12%), 850-1100 kg/m3, mentre a umidità commerciale (15%) si attesta intorno a 950 kg/m3. Il ritiro volumetrico è quindi consistente, in quanto questo parametro è legato dalla massa volumica all’umidità di saturazione, come risulta dalla formula: bvu sat = usat ρbas La resistenza meccanica è molto elevata: compressione assiale σc = 55 N/mm2; flessione σf = 135 N/mm2; durezza Janka 1030 kg/cm2. Il modulo elastico (E) varia tra 8800 e 10.500 N/mm2. La sua durabilità elevata, analogamente alla durezza, lo rende adatto per lavori di ebanisteria e di torneria. Ottimo per fare parquet, il legno è disponibile quasi sempre secondo superfici tangenziali, quindi in tavolette fiammate o semifiammate; il taglio radiale è abbastanza raro, poiché caratteristica di questa specie è presentare tronchi generalmente cavi, almeno per piante non giovani, da cui è difficile ricavare tavole radiali con effetto rigantino. La produzione di quest’ultimo assortimento conserva sempre i suoi estimatori e il suo mercato, sia per la durezza sia per le fiammature, caratteristiche queste ultime che di per sé arredano. Utilizzazioni del legno di olivo Pur possedendo caratteristiche di pregio il legno di olivo è ancora poco utilizzato nella preparazione di mobili di alto valore artistico, per cui per tale destinazione non esiste ancora un mercato consolidato e affermato. Interessante, invece, si prospetta il mercato dei pezzi artistici da arredo, oggettistica di uso comune

Parquet di olivo

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artigianato e arredo

Utilizzazioni del legno di olivo

• Il legno di olivo possiede caratteristiche di pregio quali la durezza e una venatura particolare

• Nonostante tali qualità, è scarsamente impiegato nella realizzazione dei mobili, mentre è interessante il suo impiego per la creazione di pezzi artistici da arredo, oggettistica di uso comune e di pregio, oggetti musicali, parquet, sculture, tagliacarte, utensili da cucina e altro

Utensili da cucina (di E. Salzano)

e di pregio, oggetti musicali, sculture, tagliacarte, utensili da cucina e altro. Per le sue caratteristiche il legno dell’olivo viene utilizzato sovente per la produzione di parquet. Anche se colore, fibratura, massa volumica, ritiro, nervosità, durezza, durabilità e tessitura ne fanno un materiale di difficile lavorazione, non va dimenticato che dal legno di olivo è possibile trarre prodotti di particolare bellezza, resistenti alle sollecitazioni e, di conseguenza, di lunga durata. Nel caso dei parquet la colorazione può variare dal chiaro allo scuro, dal rosso al bruno. Con materiale scelto si possono ricavare liste per pavimento di elevato pregio. Va comunque ricordato che la lavorazione, il taglio e la chiodatura presentano qualche difficoltà, mentre verniciatura e incollaggio sono di facile attuazione. Prima della messa in posa delle listelle per la verniciatura, è buona norma controllare lo stato idrometrico dei sottofondi, la temperatura e l’umidità degli ambienti. In ogni caso dopo la sistemazione dei legni non è consigliabile attivare il riscaldamento. Per conservare in ottimo stato il parquet è bene seguire le normali norme di manutenzione. Generalmente dopo qualche anno, se cominciano a evidenziarsi segni di usura, basta intervenire con carteggiatura seguita da riverniciatura. In taluni casi e con frequenza, negli ultimi tempi, l’olivo viene utilizzato per farne anche parquet per roulotte, caravan e imbarcazioni da diporto. È alla durezza del legno che è legata la produzione di alcuni manufatti artistici quali sculture, cornici, tagliacarte, utensili da cucina ecc., che si avvalgono anche della venatura particolarmente eccezionale di cui il legno è dotato per la riuscita e la longevità di tali prodotti. Uno degli impieghi più interessanti ed esclusivi del legno di olivo è quello della fabbricazione di strumenti musicali.

Vassoi, oggetti d’arredo

Il sole in legno di olivo

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utilizzazione

F. Lembo, La Madonnina

Fusi e campane di zampogne in fase di lavorazione

Mortaio e ciotola in legno di olivo

Molto usato, soprattutto nel Meridione d’Italia, per la costruzione di strumenti musicali a fiato, ciaramella e zampogna, in quanto quello dell’olivo è un legno di risonanza. La ciaramella è uno strumento popolare aerofono della famiglia degli oboi con ancia doppia, cameratura conica e senza chiavi. La zampogna è, nella sua struttura, uno strumento molto complesso e per realizzarla vengono utilizzati almeno due tipi di legno. La zampogna, nella sua composizione più semplice, è costituita da otre, ancia, fuso e campana. Per i fusi il migliore legno in assoluto, anche perché molto attraente, viene ritenuto proprio quello di olivo. Il materiale, tagliato nella stagione autunno-invernale, durante i periodi di luna calante, viene conservato in luogo asciutto e al riparo dalla luce diretta per almeno tre o quattro anni. Successivamente i tronchetti vengono suddivisi in quattro parti per essere, un quarto alla volta, ulteriormente sezionati e squadrati, in modo da ricavarne pezzi di circa 4-5 cm di spessore dai quali si ricavano i fusi delle zampogne. Gli altri componenti dello strumento vengono realizzati con legni più leggeri, quali acero o ciliegio, che vengono destinati soprattutto alla costruzione delle campane. I legni più comunemente utilizzati sono, oltre all’olivo, il ciliegio e talora anche il noce. Molti strumenti sono fabbricati con l’uso misto di legni: ciliegio per le campane, olivo per i fusi dei chanter e per i bordoni. L’olivo viene preferito perché molto durevole, per facilità di lavorazione, per la sua bellezza (caratteristiche le sue venature), la sonorità e la durezza (non si rompe in caso di urti e/o cadute dello strumento).

Ciaramelle e zampogne in un laboratorio artigianale in Molise

Legno di radice Caratterizzata da un naturale continuo rinnovo, la pianta di olivo colonizza il volume di suolo a disposizione con neoformazione 706


artigianato e arredo

Tagliacarte ispirati a reperti archeologici lucani (di F. Giocoli)

continua di radici dalla ceppaia. Con il tempo questo fenomeno porta alla costituzione di apparati radicali di notevole ampiezza e sviluppo, dalle forme più disparate, e che possono raggiungere dimensioni e forme di particolare interesse, caratteristiche che attraggono l’attenzione di artigiani e di artisti del legno che lo utilizzano, spesso, per ottenere sculture di notevole portanza. È soprattutto nelle aree naturali protette di Parchi nazionali e regionali che risulta particolarmente intensa tale attività, che consente a numerosi artigiani, nel solco di un’antica e nobile tradizione, di lavorare il legno dell’olivo esaltandone bellezza e caratteristiche strutturali. In tal senso sono Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia, Molise, Lazio, Umbria e Toscana le regioni ove è possibile trovare pezzi artistici in legno di olivo, ritenute a ben ragione opere di rara bellezza e di inestimabile valore.

Davemport inglese anni ’60 in mogano placcato in legno di olivo

Serpente, ricavato da una radice di olivo (di F. Lembo)

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