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INTERVIEW: QUBIKO
from Clubbers Mag #3
by Clubbers-Mag
1. Ciao come stai? La prima curiosità... il nome da dove nasce? Sei italiano?
Ciao Filippo, molto bene grazie, questo periodo di crisi e lockdown forzato, mi ha aiutato a mettere in ordine il mio studio perennemente sottosopra. Sono italianissimo, della provincia di Bari, ad essere precisi di Canosa di Puglia (la città di Lino Banfi), ma per motivi lavorativi e logistici, mi sono trasferito a Bari città, da circa 2 anni.Il mio nome non ha una storia, non ha un significato, quando ho dovuto cercare un nome per il mio progetto, onestamente ho sentito che non mi serviva guardare chissà dove, il mio intento piuttosto era quello di far diventare la musica il mio unico bigliettino da visita, il mio essere, ad ogni modo avevo in mente un nome “plastico”,facilmente pronunciabile e che suonasse“nuovo”, e cosi è nato Qubiko.
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2. La carriera di Qubiko come produttore quando nasce? Quali sono stati stati i tuoi primi passi? Raccontaci qualche aneddoto...
Non so di preciso quando è nato tutto, posso solo dirti che sono letteralmente nato con la musica. Mio padre è un sassofonista e fa parte di una band jazz e dirige l’orchestra della mia città, puoi ben capire che ho passato gran parte della mia infanzia/adolescenza ad ascoltarlo in primis, successivamente ad imparare qualsiasi strumento musicale mi passasse tra le mani. Grazie a lui ho cominciato a provare un amore incondizionato per Charlie Parker, John Coltrane, Ella Fitzgerald, Miles Davis e tanti altri che non ti elenco perché la lista è davvero lunga, sono loro i giganti della musica che mi hanno aperto un mondo e che ancora oggi porto con me in valigia, credo di essere davvero fortunato ad avere un padre come lui, gli devo tantissimo sono tutti gli aspetti. Avevo circa 2 anni, io e i miei genitori vivevamo in atto in un appartamento in prossimità della zona industriale della mia città, di fronte casa c’era una discoteca chiamata , “L’Angelo Azzurro”, un locale che mi spaventava:“quella musica assordante non ti faceva dormire la notte”, raccontava col sorriso mia madre, ed è stato proprio cosi. Quella musica rumorosa mi generava tormento, paura e allucinazioni, ancor peggio quando partiva, a fine serata, il brano ART OF NOISE - MOMENTS IN LOVE, panico assoluto. A quell’età a malapena riuscivo a parlare, quindi presumo mi venisse complicato spiegare ai miei genitori lo sgomento che mi generava quel posto, ma dopo un po’ intuirono e cercarono di trovare una soluzione al problema. Ricordo che un giorno mi portarono dal medico curante, spiegando il mio malessere, ormai avevo scambiato il giorno come un momento per dormire, e la notte come la mia più grossa paura. Non ricordo tutti i passaggi, quindi te la racconto in breve: il medico consigliò ai miei genitori di portarmi a visitare la discoteca, magari in orari dove c’era poca gente, in prima serata, era un tentativo per sconfiggere questo mio terrore... e cosi è stato! Ricordo che da quel momento non ho mai più lasciato quel posto, che quei suoni che io percepivo come rumori, erano solo dati dal rimbombo dei muri di casa. Mi sono accorto che vivevo a 50 metri da un posto fantastico, fatto di melodie, luci ed un uomo in un gabbiotto che pescava dischi dalla sua valigia, era il primo deejay che ho ascoltato e visto nella mia vita. Quella musica diventò la mia ossessione, ogni sabato e domenica sera mio padre mi accompagnava (con pazienza) nella discoteca, era diventato il mio carosello prima di andare a letto. A circa 12 anni, iniziai a fare i miei primi esperimenti musicali, non avevo un grande equipment, credo utilizzassi Music Maker o qualcosa del genere. Nel 2003, dopo aver vinto un contest tra produttori, ho cominciato a lavorare dietro le quinte di alcuni progetti dance, adesso queste figure si chiamano “ghost”. Non voglio far nomi per rispetto e deontologia professionale, ma ho avuto l’onore di affiancare ed imparare i trucchi del mestiere da grandi artisti di quei tempi, e la cosa mi è piaciuta un sacco. Ho passato diversi anni all’ombra, fino al 2010, quando decisi di cominciare un percorso personale, e da li è nato Qubiko. La produzione musicale è sempre stata la mia peculiarità, il mio bigliettino da visita, quindi iniziai a comporre musica “al mio verbo”, senza sapere che, a distanza di anni, sacrifici e pesci in faccia, si sarebbe aperto un mondo dietro tutto questo, grazie sopratutto al mio gruppo di lavoro.E dopo circa 3 anni ricevetti un messaggio daDiego Dentico, uno dei soci di DNZ Agency, assieme a Zenzo Losasso, chiedendomi un colloquio conoscitivo. Fin da subito le nostre idee viaggiavano sulla stessa linea d’onda, e da quel momento è cambiato tutto per me, grazie a loro la mia musica è passata dal mio studio all’altra parte del mondo in breve tempo.
3. I tuoi dj set, sono quasi esclusivamente all’estero, quali sono le differenze che hai notato con i nostri club italiani? E perché secondo te?
All’epoca la cosa era molto più evidente, veniva molto più semplice esibirsi in Corea del Sud, piuttosto che a 100Km da casa, questa domanda racchiude un mondo di argomenti.La differenza che noto ancora oggi è che riconoscono la mia musica, capita spesso, in momenti caldi della serata, di rispolverare “Disco Connection”, e sentire il tipico grido della gente entusiasta di quella traccia, è una sensazione che qui Italia, capita molto raramente, ma penso sia una questione di costruzione.All’estero hanno, probabilmente, un orecchio più allenato a questo, hanno molte radio in FM esclusivamente settoriali che si dedicano al panorama della musica elettronica, da qui non viene molto complicato capire che, quando rilascio un nuovo bravo, arrivi con più immediatezza inInghilterra o negli Stati Uniti, piuttosto che in Italia, hanno costruito delle forti fondamenta che hanno reso questo settore un lavoro come gli altri.La club culture e gli addetti ai lavori, sono inquadrati come figure professionali a tutti gli effetti, difficilmente ti ritrovi ad interloquire con un promoter che di settimana fa il ristoratore, cosa che per forza di cose accade in Italia, non li biasimo, bisogna pur portare il pane a casa...
4. Ascoltando una tua produzione, si riconosce uno stile quasi unico, da dove nasce? Hai dei punti di riferimento? Quali sono le tue prossime uscite?
Sto lavorando a diversi progetti, anche trasversali rispetto alla musica elettronica, ma te ne riparlerò la prossima volta magari.Nei prossimi mesi rilascerò su “Ultra Music”,“Spinnin”, “Glasgow Underground”, “Defected Records” dei nuovi progetti rivelerò più avanti.Da qualche anno mi sono anche scoperto remixer, con discreti risultati, quindi ho iniziato a metter mani su brani di artisti come Sonny Fodera, Piero Pirupa, Ferreck Dawn, Robosonic, e quest’anno ho avuto il piacere di remixare David Penn e un icona come Cece’ Peniston, credo vengano entrambi rilasciati entro quest’anno.Sono un eterno sognatore e, da buon emotivo, sono attratto dal fascino delle cose, non ho un metodo ben preciso.Ho sempre fatto e continuo a fare musica, in primis, per me stesso, perché credo che se non fai musica per te, non nutri la tua passione, semmai nutri le tue insicurezze.Purtroppo, e ribadisco il purtroppo, oltre ad avere degli aspetti che accetto di me, ce ne sono altrettanti che detesto, io li chiamo limiti, ed è il risultato di quello che sono oggi, una persona che parla molto poco e che si esprime attraverso una composizione elettronica; ti ho fatto questo piccolo preambolo perché quello che tu intendi come “stile quasi unico”, io lo vedo solo come un sentiero incontaminato, che si nutre di “percepisci e agisci”,piuttosto che di “copia e incolla”. Paradossalmente, faccio musica “tappandomi le orecchie”, senza ascoltare quello che c’è intorno a me, faccio semplicemente musica “al mio verbo”, evitando contaminazioni altrui, mi piace contraddire qualcosa che “dev’essere per forza cosi”, penso che senza contraddittorio non c’è libertà di pensiero, per me la musica è e dev’essere un modo di porsi.I primi anni, stavo attraversando un periodo particolare della mia vita e la mia musica, agli occhi di tutti, suonava come una marchetta malinconica, poi diventò leggermente cupa, poi festosa, ma sempre con uno stampo ben riconoscibile e riconducibile a me… usando tutte le virgolette del mondo, ho passato i miei vari periodi colorati alla Van Gogh, e spesso genero una sorta di cortocircuito tra i generi che contaminano le mie produzioni, ma a me piace cosi…
5. Anche se sei molto giovane, te la senti di dare dei consigli ai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo dei produttori? Quali consigli? Cosa devono aspettarsi?
Non mi sento all’altezza di farlo, ma, dovessi darti un consiglio, ti direi, ancor prima di cominciare, di farti 2 semplici domande.Perché lo fai? Per chi lo fai? Bene, se hai trovato risposta a questi due quesiti, sappi che, in quest’epoca cosi maldestra, è importante portare il pane a casa, altrimenti diventa difficile tutto, ma il pane non lo porti a casa se non eccelli in qualcosa, qualunque sia il tuo mestiere, quindi se vuoi farlo, impara, dedicati, migliora.Trovati un maestro, non quelli che vedi su internet, ma un maestro vero, un deejay locale, uno che ha l’esperienza e la pazienza di seguirti, di insegnarti, e che ha sua volta ha voglia di imparare qualcosa da te.Devi sbatterti tantissimo affinché tu ottenga il meglio da te, e sopratutto, fidati del tuo istinto. È essenziale dedicarsi allo stremo per essere il numero uno per te stesso.