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The President le aspettative di una nuova America targata Barack Obama ; I Turbolenti torna di scena il Rockabilly; Yetmusic live experience di scena Greta Insardi - Anthea String Trio; La scuola oggi quali riforme?; Italo Scelza la storia dell’arte dal 1960...; Ottanta e non sentirli Topolino compie gli anni; Rubriche: Cinema:Torno subito il primo film gratuito in rete; Biblioteca; Note in rete: Carmine Fanigliulo, Psicosuono, Clatter, Ephemeris, Alessio Menconi; Scanner

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In copertina Particolare della “Maschera Blu” di Italo Scelza, tratta dal ciclo di opere sul popolo Masai

The President le aspettative di una nuova America targata Barack Obama ; I Turbolenti torna di scena il Rockabilly; Yetmusic live experience di scena Greta Insardi - Anthea String Trio ; La scuola oggi quali riforme? ; Italo Scelza la storia dell’arte dal 1960...; Ottanta e non sentirli Topolino compie gli anni; Rubriche: Cinema:Torno subito il primo film gratuito in rete; Biblioteca; Note in rete: Carmine Fanigliulo, Psicosuono, Clatter, Ephemeris, Alessio Menconi; Scanner Hanno collaborato Bernardo Donfrancesco; Stefano Gigotti; Giuseppe Netti; Marcello Pau; Italo Scelza; Anna Rita Tomassini

Eccoci al nostro secondo appuntamento. Che dire, siamo andati al di là di ogni aspettativa. Il primo numero è stato accolto con interesse tant’è che abbiamo deciso di anticipare l’uscita del secondo numero. Abbiamo ricevuto davvero molte mail di apprezzamento per l’iniziativa, soprattutto da gruppi emergenti, iscritti a myspace, un po’ da tutta Italia e di tutti i generi. Da questo numero troverete una rubrica “note in rete” in cui verranno pubblicate recensioni su gruppi segnalati o che semplicemente ci hanno inviato materiale. Troverete le modalità per contattarci sul sito www.clatter.it. Ma, come vi avevo anticipato, anche personaggi di cultura hanno aderito all’iniziativa dando un loro contributo con articoli o interviste. L’apertura del giornale, e lo ringrazio, è di Stefano Gigotti, giornalista RAI, già direttore di Radio Rai, Rai Click, nonché docente di giornalismo radio televisivo che affronta in un’analisi lucida le enormi aspettative generate dall’elezione di Barack Obama. Così come ringrazio l’amico prof. Italo Scelza, pittore e docente di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, che ci racconta la storia dell’Arte con una prospettiva molto personale sugli avvenimenti accaduti nella capitale a partire dagli anni sessanta. Piccole perle che pubblicheremo su più numeri. Ancora il prof. Bernardo Donfrancesco, ex preside del Liceo Classico Turriziani di Frosinone, ha risposto alla nostra richiesta di un pezzo sulla scuola, con un articolo davvero bello che tocca i diversi aspetti che compongono il “pianeta Scuola”. Per gli artisti attualmente impegnati in studio abbiamo scelto d’intervistare “i Turbolenti” un trio Rockabilly davvero esplosivo. Sicuramente da seguire. Abbiamo parlato della scena Rockabilly italiana ma soprattutto di quello che stanno combinando in studio di registrazione. Ampio spazio anche per i musicisti, questa volta parliamo di musica classica, coinvolti nel progetto Yetmusic dello studio di registrazione 451 Fahrenheit. Anche qui avremo diversi appuntamenti. Speriamo che questo secondo numero, il primo del 2009, riceva le stesse attenzioni del primo. Se volete potete inviarci le vostre opinioni all’indirizzo mail redazione@clatter.it. Buon 2009 Loreto Pantano

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PRESIDENT di Stefano Gigotti

“Non deluderò l’America”. Con questa forte convinzione dopo due mesi in cui ha scaldato con il suo potente staff i motori, Barack Obama si accinge a tradurre in misure e decisioni concrete il suo progetto globale per mettere sul tappeto il suo programma di rilancio e sviluppo degli Stati Uniti. Un programma che dovrà indicare subito, nei primi cento fatidici giorni, un positivo, deciso cambiamento di rotta rispetto alla fallimentare presidenza Bush che ha gettato l’America nella più grave crisi dagli anni 20 ad oggi. Il count down è alle ultime battute prima della cerimonia ufficiale di insediamento in programma il 20 gennaio a mezzogiorno in Campidoglio. Un discorso attesissimo che pronuncerà dal grande palco che sarà allestito davanti all’ala ovest del Palazzo di fronte a circa 2 milioni di persone e soprattutto davanti ad un’America e a un pianeta che attendono risposte concrete per un ventunesimo secolo all’insegna della sicurezza sociale, economica, ambientale e politica per tutti i popoli. L’umanità reclama a piena voce un mondo più giusto dove lo spettro del terrorismo nei paesi occidentali e della fame e delle guerre in vaste aree del pianeta non ancora sviluppato sempre di più la fanno da padroni. L’attesa per le facoltà quasi taumaturgiche del 44esimo presidente degli Stati Uniti è fin troppo pressante e il rischio è, come sempre avviene quando il clima intorno ad un solo uomo è questo, che la delusione sia ancora più cocente. Ma il mondo deve coltivare speranze per crescere e prosperare e in questo senso Barack Obama, pur non essendo l’uomo della provvidenza può rappresentare concretamente il 3


punto di svolta positivo per l’America e per l’intero pianeta. Il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti ha già fatto capire in quale direzione spingerà l’accelerarore dei suoi interventi e con ogni probabilità’ lo confermerà anche nel suo discorso di insediamento. Saranno sicuramente tre le direttrici su cui svilupperà la sua azione di governo: la politica economica e sociale americana, la politica estera e la salvaguardia dell’ambiente. In politica estera il capitolo più importante è quello della guerra in Irak, guerra che Obama ha avversato strenuamente. Il neo presidente confermerà ciò che ha già detto in campagna elettorale e cioè il ritiro delle truppe americane dal paese entro sedici mesi ma, allo stesso tempo, l’attenzione dell’amministrazione americana si sposterà sull’Afganistan dove gli strateghi del Pentagono punteranno a mettere in campo iniziative e risorse per battere Al Queda e i talebani cercando quindi di eliminare alla radice il rischio del terrorismo internazionale. Ma sempre in politica estera Obama imprimerà una svolta decisa a quell’unilateralismo imposto al mondo da Bush che ha portato l’America al faticoso isolamento, per puntare nettamente ad un multilateralismo che vedrà coinvolta in primo luogo l’Europa che, da oggi in poi, difficilmente potrà rimanere ai margini delle decisioni di politica internazionale e militare. “L’America - dirà Obama - non può risolvere le crisi senza il resto del mondo, ma il mondo non potrà risolverle senza l’America”. Se tale coinvolgimento rappresenterà da un parte una svolta positiva in quanto il Vecchio Continente potrà incidere nello scacchiere internazionale, dall’altra questo significherà per noi europei la presa di coscienza di non poter sfuggire da decisioni costose sia in termini umani che di risorse finanziarie. Quindi un’America più aperta e pragmatica ma che mantiene inalterati i suoi obiettivi strategici quali quelli di frenare le ambizioni atomiche dell’Iran e 4


di favorire quell’accordo di pace tra Israele e Palestina atteso da decenni senza risultati. Un altro capitolo importante della politica estera di Obama sarà quello dedicato ai rapporti con la Russia di Putin e toccherà proprio all’ex first lady Hillary Clinton, nominata nuovo segretario di stato, a rilanciare le finora tiepide relazioni con Mosca; così come alla bionda Hillary toccherà disinnescare i pericoli che sempre maggiori stanno arrivando dall’Asia e segnatamente nei rapporti tra India e Pakistan come la recente tragedia di Mumbai ha clamorosamente dimostrato. Fin qui la politica estera ma sarà soprattutto sul piano interno che Obama si giocherà la sua partita più importante. Dalla Florida alla California, dal Michigan al Texas i cittadini americani reclamano a gran voce un cambiamento della situazione sociale ed economica. Quella che è e resterà la prima potenza mondiale del mondo è attraversata da una crisi senza precedenti: quasi 5 milioni di disoccupati, famiglie rovinate per il crollo dell’ediliza e il costo dei mutui, forbice tra ricchezza e povertà sempre più ampia e quel che è peggio una grave incertezza sul futuro. Insomma il sogno americano rischia di infrangersi contro gli spettri della crisi dei subprime, del sistema fiananziario e bancario e del crollo del più potente motore dell’industria manifatturiera statunitense: l’automobile. Nei primi 100 giorni della sua presidenza Obama dovrà fare dunque i fuochi d’artificio per far tornare la fiducia tra la gente con l’attuazione immediata dell’annunciato piano economico straordinario da circa 1000 miliardi di dollari. Una cifra colossale, la più alta mai stanziata da uno stato per rilanciare l’economia del paese. Intanto dovrà salvare al più presto 40 dei 50 stati dell’Unione che rischiano la bancararotta se non arriveranno gli aiuti da Washington. Per questi interventi si parla di una cifra tra i 170 e i 200 miliardi di dollari. Saranno risorse destinate sì a ripianare i conti in rosso, ma la maggior parte serviranno per costruire ponti, strade, infrastrutture necessarie 5


per ammodernare il paese ma anche per rimettere in moto l’economia attualmente stremata e creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Ma non saranno interventi finanziati a pié di lista senza controlli o filtri dell’amministrazione centrale. Obama in questo senso è stato chiarissimo:saranno finanziati soltanto progetti per quella che egli ha definito un’economia del 21esimo secolo basata sul risparmio energetico e le tecnologie verdi, reti elettriche intelligenti e la riduzione delle emissioni di anidride carbonica, sviluppo di network a banda larga per ospedali e scuola, biblioteche e archivi pubblici. Insomma con Obama l’America si accinge a vivere quello che è stato già definito un “New deal verde” che modificherà radicalmente e in positivo l’atteggiamento della Casa Bianca su Kioto e sulla salvaguardia dell’ambiente. Obama in buona sostanza si farà garante di un’America capofila dei progetti di salvaguardia ambientale con l’obbiettivo di ridurre drasticamente il riscaldamento globale del pianeta. Del resto un annuncio in tal senso lo aveva fatto qualche giorno fa in un video inviato alla conferenza di Poznan sull’ambiente indetta dalle Nazioni Unite. Un video in cui il capo della Casa Bianca ha confermato con decisione il suo impegno per un vasta opera di cooperazione internazionale per la tutela ambientale. Ma tornando all’impegno finanziario per superare la crisi e avviare il rilancio dell’economia americana Obama presenterà come primo atto al Congresso il grande progetto di legge di interventi di tipo keinesiano .Un pacchetto di misure straordinarie per creare circa 3 milioni di posti di lavoro entro il 2011. Le direttrici si svilupperanno su 4 aree di intervento: Rilancio delle infrastrutture e dei trasporti, ottimizzazione dei consumi energetici del paese, diffusione della banda larga nelle scuole e negli ospedali e, infine creazione di un sistema di informatizzazione sanitaria. Proprio sull’assistenza sanitaria Obama si giocherà gran parte della sua popolarità. 6


Oggi nel paese ci sono 50 milioni di cittadini senza alcun ombrello sanitario e con questi il neo presidente si è impegnato in campagna elettorale a garantire una copertura alle fasce deboli del paese. Sarà molto difficile, vista la situazione pesante delle finanze pubbliche, che questo patto possa essere rispettato completamente in tempi rapidissimi ma almeno una copertura per i bambini è largamente scontata. Un lavoro enorme attende dunque Barack Obama e se la fiducia di cui gode a livello planetario ( arrivata in questi giorni all’80% ) è stata ben riposta lo vedremo subito fin dai prossimi giorni . Il mondo aspettava con ansia un nuovo Messia.La storia gli ha concesso più modestamente Obama ma resta la speranza che questo Uomo Nuovo riesca a portare un pò di quella serenità di cui tutto il mondo avverte un vero bisogno.

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TURBOLENTI

Torna di scena il

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Rockabilly


Piccola premessa pensavo di poter riportare i nomi dei tre componenti del gruppo davanti alle risposte, ma per tutto il corso dell’intervista ognuno si è intromesso nelle domande rivolte ai compagni, così alla fine ho rinunciato per cui sappiate che alle singole domande comunque hanno risposto in tre.

nessuno penserebbe ad un vostro inizio come blues band. All’inizio ho suonato con tante band di blues, sono dieci anni che vado in giro suonando per locali ma non cantavo, suonavo solamente poi abbiamo fatto una prima cover band dei Logan abbiamo suonato in giro poi ho fatto un mio trio di blues, con Orno suoniamo insieme da cinque anni.

Quindi la data ufficiale della nascita dei Turbolenti è stata? La nascita ufficiale dei Turbolenti risale a due anni fa, però i Turbolenti veri e propri sono nati il primo gennaio del 2008, perché è con l’ingresso di Tony nel gruppo che sono nati veramente i Turbolenti iniziando a Come sono nati i “Turbolenti” fare pezzi nostri. Per fare pezzi propri ci deve essere feeling nella band, Io (Luca alias Lucabilly) e Orno oltre chiaramente alla creatività Tony è diventato il mio ispiratore. Mi abbiamo iniziato in realtà con una racconta delle storie e io ci faccio le canzoni, le storie quotidiane, stoformazione diversa, avevamo un rie inventate, storie di amici. altro contrabbassista, e siamo nati come una band blues. Suonavamo Perché questa scelta di cantare in italiano un genere che, come il nei locali proponendo un reperto- rock and roll, gioca molto con il non sense delle parole nei testi. rio blues. Poi abbiamo iniziato ad Perché cerchiamo di arrivare a tutte le persone. Quando fai le serate è inserire una mezz’ora di rocka- bello che la gente ti guarda e rimane affascinata dal genere. Magari non billy e ci siamo resi conto che il ha mai sentito il termine rockabilly ma il genere grazie ad esempio genere aveva presa sul pubblico e alla serie Happy Days, o a film come American Graffiti è conosciutiscosì abbiamo deciso di abbando- simo. nare il blues a favore del rocka- Lo abbiamo fatto in italiano proprio per renderlo ancora più accessibile, affinché possano godere della musica seguendo pure i testi. Non billy. In realtà il progetto turbolenti è sempre i testi in inglese risultano comprensibili, per cui abbiamo fatto nato dopo l’ingresso nel gruppo di questa cosa in italiano proprio per avvicinarci ai giovani che ci ascolTony Trottola (Roberto Passeri)e tano dal vivo. il suo contrabbasso. Abbiamo ini- Alla fine ti ascoltano pure per i testi e non solo per il ritmo dei pezzi. ziato come cover band degli Stray Inoltre l’inglese io si lo canto ma. scrivere in inglese e riuscire a riCats, infatti ci chiamavamo Built portare i giochi di parole, i doppi senso dall’italiano… non riuscirei in for speed, per poi diventare Tur- inglese, È difficile dare il senso a un modo di dire, per dire una cosa bolenti e iniziare a suonare pezzi in italiano puoi usare tante forme metaforiche e noi possiamo utilizzare tante forme nella scrittura. Ti faccio un esempio per fare capire nostri in italiano. ad esempio un approccio sessuale, possiamo girarci intorno metaforicamente e farci arrivare l’ascoltatore senza dirlo esplicitamente nel Alla batteria invece abbiamo? pezzo. così completiamo la presentazione degli elementi della band. Certo in inglese sarebbe stato più difficile Il mio nome è Alessandro … , In inglese non essendo di madrelingua sarebbe stato impossibile. Lo abbiamo fatto in italiano per renderlo più diretto. nome d’arte Orno billy Vedendovi, soprattutto Luca Pensate che esiste un pubblico specifico per il rockabilly come gedall’aspetto tipico roccabilly, nere musicale? 9


No, perché va dal signore di 90 anni al ragazzino piccolo. Noi quando suoniamo, te lo giuro, è capitato molte volte che c’erano dei bambini davanti che ballavano. Il rockabilly è una musica solare, allegra, coinvolgente non ha età e non ha un pubblico specifico, ma abbraccia Quando si suonava il blues era diverso, il blues è più di nicchia, più assoli lunghi, il ritmo cadenzato dall’inizio alla fine è sempre così. Che succede l’esperto di musica rimane a sentire, il curioso rimane a sentire, ma al prossimo concerto è difficile che ritorni. Ti parlo di quello non esperto di musica o magari un ascoltatore occasionale. Invece con il rockabilly è diverso piace, piace a tutti. Nelle serate che abbiamo iniziato a suonare anche qualche pezzo di Rock and Roll la gente è passato da un stato di ascolto ad uno stato di delirio, questa è stata la differenza e lì abbiamo capito il potenziale e, di conseguenza che il nostro futuro musicale sarebbe stato quello. Non sarebbe stato più il blues, perché il blues comunque è nero. O sei nero o non lo suoni. Noi siamo nati con Adriano Celentano, a casa mio padre ascoltava i dischi di Adriano Celentano, di Bobby Solo, di Little Tony, mio padre non sentiva Muddy Waters. Quando suono rockabilly vuoi o non vuoi ho nel sangue la musica che sentivo da piccolo... quella musica. Parallelamente immagino che per un ragazzo della mia età, nato in

america con il padre che ascoltava Muddy Waters fosse più facile e spontaneo suonare blues. Ci ho provato a suonare blues lo suono, lo ascolto però secondo me se non ci nasci con una determinata musica non la puoi fare, ci devi nascere. Io sono nato con Little Tony, con Adriano Celentano, mio padre si sentiva quella e io oggi posso fare Rockabilly. Abbiamo provato a fare qualcosa di blues inedito però non ci siamo riusciti, il blues cantato in italiano è bruttissimo, è un progetto che poi è andato svanendo perché cominci a provare qualcosa di originale scivoli nel funky e si è troppo funky … non andava. Vogliamo parlare degli strumenti che usate? Io per quanto mi riguarda ho una bella batteria Gretsch degli anni ’70 . Negli anni ’70 c’erano le Rogers, le Gretsch, le Ludwig cioè parecchie case che comunque hanno fatto la storia, i Beatles suonavano con la Ludwig. Ho scelto Gretsch perché ha un suono molto particolare, si distingue dagli altri strumenti. È una delle poche batterie che comunque viene verniciata internamente e tanti dicono che la sonorità della Gretsch dipenda molto dalla verniciatura che credo in realtà sia più che altro una protezione per i tarli. Tuttora vengono verniciate dentro. Gretsch produce mi pare dal 1800 e qualcosa, insomma ha una bella storia, comunque è uno strumento che ha molta personalità è molto particolare. Con Luca abbiamo 2 moto Harley-Davidson e parecchi la considerano come una moto uso trattore perché in effetti è spartana però è una moto che ha molta personalità. Esistono cose belle ma che comunque stancano e ci sono cose molto particolari come le Gretsch come le Harley-Davidson come anche altre grandi marche, che dietro hanno una storia, e se hanno storia e se hanno successo nel tempo significa che hanno carattere e questo poi fa la differenza anche tra musicisti e musicisti. Perché c’è il musicista bravo però che non riesce a sfondare e il musicista meno bravo che però riesce ad affermarsi a livello internazionale questo perché in quel caso ha carattere, qualcosa di particolare, qualcosa che ti distingue . Per tornare agli strumenti la Gretsch è sicuramente una batteria che mi sta dando parecchio dal punto di vista sonoro. Ho visto che usi un rullante piuttosto sottile, ma non è Gretsch Ne uso uno molto sottile. La scelta è stata determinata da un feeling nato tra me e questo rullante. È un rullante Craviotto, praticamente artigianale. Il Craviotto è di un artigiano italoamericano di genitori italiani lui comunque è nato in america, è un americano a tutti gli effetti. Praticamente la caratteristica fondamentale di questo rullante è che la scocca è monostrato, realizzata in un unico strato di acero che piegato e incollato... 10


Il legno non è laminato a strati? No non è laminato e questo mi ha incuriosito parecchio. Di questo artigiano avevo gia letto parecchio adesso, oltre ai rullanti, fa batterie interamente Craviotto. La particolarità di questo rullante è che ha le armoniche che le puoi giostrare come vuoi, cioè se io allento la pelle superiore battente praticamente le armoniche scendono senza perdere il suono, in effetti quei pezzi che ho registrato

adesso ho fatto questo lavoro qui, se poi vuoi un rullante più funky lo stringi molto ed ecco che acquista una timbrica funky. È una particolarità che invece magari non trovi con altri tipi rullanti, allentandoli ti danno un suono slabbrato in effetti si è reso conto pure Marcello (Marcello Pau il fonico di 451 Fahrenheit ndr) di questa cosa qui. Ha detto che il rullante ha un suono profondo nonostante sia molto basso. E poi con il tempo sono venuto a sapere che un batterista che mi piace molto (Jim Phantom batterista degli Stray Cats) usa questo tipo di rullante qui. Senti per il set di piatti invece che usi? I piatti uso Ufip sul charleston, ne ho provati parecchi, però ufip mi piace perché è bucato sotto ha un suono più tagliato. Taglia molto le frequenze per cui se vuoi uno stacco potente e vuoi chiudere subito con i piatti Ufip Class ho questo effetto qui. Prima usavo sempre Ufip ma una serie diversa. I Class sono una serie più versatile. Il charleston ad esempio è un piatto di classe se lo sai usare, ma anche più ignorante se vuoi avere un suono più potente. Poi per quanto riguarda i piatti per il Rider ho un Sabian Phil Collins comprato più di 10 anni fa ed è rimasto sempre quello, ci ho fatto il blues ci sto facendo rockabilly e comunque è il piatto che mi ha dato sempre di più, ormai lo conosco benissimo come le mie tasche.

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Io ho un crash da 16” che ho comprato recentemente della Sabian. L’ ho comprato per caso ed è uno spettacolo, infatti ho una mezza idea di comprare anche il ride. Io avevo 2 crash della sabian però avevano un suono più pop invece adesso come crash uso uno Zildijan ha un suono molto leggero, un piatto che si suona anche con le mani lo puoi cresciare tranquillamente con le mani e ha sempre buon suono, e a differenza degli altri piatti è più leggero. Solitamente tra la bacchetta e la mano il volume del suono è molto diverso, invece questo ha un suono molto trainante direi giusro per il genere che faccio io. Praticamente l’ho provato, preso e suonato e con il tempo devo dire è migliorato.

atles erano stati un po’ la bestia nero per il genere, nel senso che loro ne avevano pescato ampiamente, però dai Beatles in poi il rockabilly e tutto quello che era il vecchio Rock and Roll è praticamente sparito. Siete d’accordo con questa cosa? La vita di Elvis ne è lo specchio no? Sono arrivati i Beatles e lui subito ha avuto il calo, ma dopo la metà degli anni ’70 è ritornato alla grande e negli anni ’80 gli Stray Cats sono andati addirittura in classifica. Vedi anche Brian Setzer con gli Stray Cats, in America non faceva una lira con il Rockabilly sono andati in Inghilterra e hanno riportato questo new rockabillya perché il rockabilly classico è degli anni ‘50/55 quello suonato dentro alla Sun records . Quello è il rockabilly più classico. Loro hanno fatto un Rockabilly rivisitato tipo come lo suoniamo noi, più tosto con chitarra più satura più punk.

Migliorano con il tempo. Il metallo sembra uniformarsi con il tempo, e poi ti danno quel suono. Per me i piatti usati dovrebbero costare di più. Ho provato dei piatti vintage però erano troppo scuri, ho provato a pulirli ho perso delle giornate intere però non sono mai riuscito ad avere il suono che cercavo. Non andavano.

Ecco mi spiegate questa cosa della contaminazione punk che poi si è evoluto nel genere psycobilly? È un pò come dal blues è nato il rockblues,. Il punk ha gli stessi giri del rock and roll, il punk non è niente altro che rock and roll, tu senti i pezzi dei Sex

Visto che abbiamo alle spalle i Beatles, ho letto l’altra volta su un forum di rockabilly che i Be12


Pistol ed è rock and roll, è proprio rock and roll. C’è stata una trasformazione, forse l’hanno estremizzato sto rockabilly e l’hanno portato a psycobilly. In Inghilterra c’era un movimento punk attivo e la contaminazione ha riguardato un pò tutti i generi. Penso che anche un nostro pezzo che abbiamo registrato è un pò psycobilly, turbolento show si chiama. Quello è un pò psycobilly, ma a noi sinceramente piace fare rockabilly, leggermente più duro del classico ma proprio duro, duro come lo psycobilly non ci piace. Per tornare ai Beatles c’è stato sempre un legame che li ha uniti al rock and roll prima e al rockabilly dopo e comunque non dimentichiamo che George Harrison era un patito del rockabilly sia nello stile, sia nella chitarra, sempre Gretsch. Ha suonato anche in un contributo di Carl Perkins che è l’autore di Blue Suede Shoes, fece un Carl Perkins in tre atti. Gorge Harrison cantava e stava alla chitarra.

Siamo indietro, rispetto ai tedeschi alla Germania in generale, in Spagna ci sono veramente migliaia di gruppi organizzano festival dedicati. L’unico festival in Italia riconosciuto e più grande è quello di Senigallia dove abbiamo anche suonato, un altro che è nato da poco e dove suoneremo il 27 dicembre a Erchie in provincia di Brindisi è un paesino dove è tutto rockabilly. Tu immagina un paese piccolo si trasforma complici gli abitanti. Noi abbiamo conosciuto gli organizzatori e gli abbiamo chiesto se era stata una loro idea, in realtà, mi hanno risposto, è proprio così, la gente ha questa passione per il rockabilly.

Forse è più colpa delle case discografiche che hanno un pò pilotato i mercati. Fanno i generi musicali e indirizzano le persone a sentire quello. Perché se tu mettessi un rockabilly su radio DJ, tre giorni dopo tutti comprerebbero CD rockabilly, il genere oggi non è conosciuto. Uno crede che il genere non possa vendere, ma non è vero, premesso che non vende più nessuno, tutti scaricano da internet. Se facessero conoscere il rockabilly, quello più nuovo tipo quello nostro, in Italia cambierebbe da così a così, si venderebbero cd rockabilly. Ma non lo fanno conoscere perché magari non c’è tanta gente che lo suona. Non potrebbero avere la scelta tra tanti artisti a differenza come nel rock o nel pop.

È il paese di Happy Days? In questo paese è solo rock and roll ed è sempre stato così. Non solo i ragazzi, anche quelli di prima, quelli che magari adesso hanno 40/50 anni con le catene, i capelli a banana, brillantinati. Un isola felice per voi Infatti ci hanno chiamati a suonare il 27 e non vediamo l’ora, perché sono bravi ragazzi ed è bello suonare davanti a persone che amano il rockabilly.

In verità siete pochi, gia da myspace si vede. Che fanno proprio i pezzi rockabilly si contano sulla punta delle dita Parliamo un po’ del disco che state registrando qui da 451 fahrenheit in questi giorni. Come è Si diciamo che c’ è una grossa miscellanea perché nata l’idea di fare il disco. si parla di rockabilly, di rock and roll, psycobilly, Il disco è stato sempre un obiettivo. Chiunque suona surf, cioè sono catalogati tutti insieme per cui for- arrivato ad una certa maturità artistica, la cosa che se siete ancora di meno. desidera è fare pezzi propri. Puoi fare cover, cover e 13


cover poi alla fine nasce dentro di te una cosa che ti spinge a fare pezzi propri e questo è un percorso che prima o poi fanno tutti. È una decisione che maturi nel tempo. Ce ne vuole tanto prima che decidi. Devi decidere con il gruppo, ci vuole feeling, sintonia, anche perché scrivere pezzi propri è una cosa intima, scrivere i testi è una cosa intima, guarda la musica è come fare l’amore, e io lo dico sempre, io provo le stesse sensazioni . Una volta l’ho detto a mia moglie ma a momenti mi mena Si è vero suonare e fare l’amore è la stessa cosa, quindi analogamente con le persone che inizi a fare un disco proprio ci deve stare un certo affiatamento, una certa confidenza. Pure per fare dei testi che, in fin dei conti, sono stupidi, perché i testi nostri sono leggeri, riguardano le problematiche di una incazzatura con una ragazza che non ti vuole mandare a suonare. Ecco, ho fatto una canzone sul mio cane che si chiama speedy, e ha l’abitudine di scondinzolare mentre gli dico speedy boogy, speedy boogy, e da lì è nato il ritornello speedy boogy e ho fatto un testo di come lui si comporta. Ci sono testi che parlano delle donne che non ti vogliono fare uscire con gli amici e testi che maggiormente riguardano del sesso femminile, motori, donne. Il progetto di scrivere pezzi nostri c’è sempre stato poi con l’aiuto di Tony sono riuscito a farli venir fuori. Li scrivevo da per tutto adesso sto rielaborando delle cose che mi scrivevo, sono cose un pò vecchie che magari pensi che potrebbero essere stupide, invece no, sono veri. I maggiori successi di Rock and Roll non brillano certo per la profondità dei testi. Non sono tipo io di fare testi impegnati, magari ci metto dell’ironia, ci metto una metafora che ti fa capire il senso, oppure una parola diretta “basta che rompi il cazzo tu lo sai che sono pazzo solo di te” cioè nel senso “non mi rompere le palle e io sono pazzo di te” quindi è diretta come cosa, non ci giro poi così intorno con la metafora.

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Alla fine non sono mica tanto stupide. No, no, magari abituati a sentire in radio questi testi “perché l’amore è profondo come una galleria e fino in fondo la stella che illumina il mio cuore “ non riesco a dirle queste frasi non sono per me. Non ti arrivano. Mi sentirei ridicolo. Per esempio oggi abbiamo registrato questa canzone dice “io lunedì ti bacerei, martedì ti amerei” già la parola amerei non mi suonava e l’ho cambiata “martedì con te starei” per fare capire che lunedì ti bacio, martedì con te ci sto, mercoledì ti sposo, giovedì gia ci sto ripensando e venerdì ti dico no, perché sabato e domenica è rock and roll. Che aspettative avete con il disco, pensate una volta realizzato di trovare un distributore? Stiamo vedendo come e cosa fare. Anche perché è un punto interrogativo, quando fai un disco è sempre un punto interrogativo. Credo lo sia per tutti, per qualunque genere. La cosa che cercheremo di fare è quello di venderlo durante le serate, sperando di trovare qualcuno che ci produca, ci distribuisca, ma che ci produca soprattutto. Sicuramente oggi una parte essenziale del successo di un disco è la distribuzione. Si la distribuzione alla fine è vero, ma oggi con questi cd più di nicchia è difficile che riesci ad avere

un distributore importante. Io ho visto su internet ci sono delle case di distribuzione per rockabilly ma sono poche, vedremo. A noi quello che interessa è trovare un produttore che si occupi di trovarci un contratto discografico, questo mi interessa di più, poi la distribuzione arriva. Dicevamo l’altra volta che la Emi nel 2007 è stata l’unica casa musicale a mettere sotto contratto una band Rockabilly “Vincent Vincent and the Villains” e per gli addetti ai lavori era stato interpretato come un segnale di riscoperta del genere. Sono andato sul sito della Emi e ho riempito il form che hanno riguardo ai nuovi gruppi… provare non costa nulla. Sicuramente stanno nascendo altre manifestazioni in tutta Italia, Senigallia resta un pò il centro del movimento rockabilly, tre giornate sono state organizzate a Roma, sono convinto che sta rinascendo, anche perché stiamo ritornando tutti sul vintage. Gli Stray Cats che fanno un concerto in Italia non è una cosa così. Per fare un concerto in Italia devi avere un budget di persone che ti vengono a sentire ed era pieno. Ottomila persone a sentire gli Stray Cats sono tanti. Infatti c’era un articolo anche su Vanity Fair sul concerto degli Stry Cats Pensa tu. Ma sta ritornando o sta arrivando come novità, perché per molti è una novità, molti il genere rockabilly non sanno nemmeno che cosa sia. Alcuni rimangono affascinati già soltanto dal contrabbasso, non sono abituati a vederlo come strumento “protagonista”. Alcune persone chiedevano:”ma che strumento è questo?” come se non lo avessero mai visto. Un contrabbasso uno se lo immagina sempre come strumento classico. E’ uno strumento classico, la scocca è quella e nel corso dei secoli non è che vi siano state grosse innovazioni. Io, cercando su internet, l’unica distinzione che ho trovato è tra quelli fatti in fabbrica e quelli fatti a mano dai liutai. Però per suonare questo genere c’è bisogno di alcuni accorgimenti come delle corde particolari, una ampiezza più accentuata delle corde in modo tale che si ha la possibilità di prenderle più ignorantemente Perché c’è una tecnica particolare: lo Slap. È una tecnica percussiva, è tutta pratica, ci vuole un pò di tecnica, un pò di orecchio, ho imparato da solo, ascoltando i primi dischi degli anni ’50 che avevano quel sound lì, da Billy Haley ai Comets. Bisogna avere una buona tecni15


ca per suonarlo. Qualsiasi contrabbasso prendi, gli cambi le corde, gli metti quelle meno rigide di quelle che si usano normalmente in orchestra in modo che abbiano più elasticità per fare questa particolare frustata e che diano questo suono. La battuta con le mani un pò percussiva va suonato un pochino più selvaggiamente. Questo, nei primi anni ’50, per sopperire alla batteria che non c’era, come nei primi successi di Elvis Presley che erano senza batteria, solo chitarra e contrabbasso come nel film “Quando l’amore brucia l’anima” non so se lo hai visto, stava con la chitarra acustica e il bassista con il basso, punto. Allora era così, quindi per sopperire a questa cosa della batteria davano questa botte e portavano il tempo. Per tornare ancora ai Beatles il bassista, Paul Mac Cartney, ha un contrabbasso e lo suona pure, su youtube c’è un filmato che fa Don’t break my heart con il contrabbasso. Sono innamorati di Elvis anzi vi dico pure una chicca: ogni anno la casa discografica di Elvis esce con cd nuovi, delle tracce mai sentite, mai ascoltate, ogni anno escono 2/3 cd per gli amatori tipo me. - Lui ce li ha tutti- e c’è una registrazione che ancora non è mai uscita e non so quando la faranno uscire, forse quando morirà l’ultimo dei Beatles , speriamo fra 100 anni, una registrazione fatta a casa di Elvis, dei quattro Beatles con Elvis Presley. Esiste questa registrazione? C’è questa chicca che sta lì. Questa è gente che stavano dalla mattina alla sera con gli strumenti in mano ed era normale registrare queste jam-session. Tornando a Luca, Il tuo chitarrone invece? Il chitarrone mio è una Gretsch, la mia gioia, adesso ne compro un altro. Io invece di contrabbassi ne ho 4 tutti gli archi sistemati, un pò fricchettonati, con colori per renderli un pò più moderni per dargli un aspetto più giovanile per rockabillizzarli un pò. I rockabilly hanno questi simboli: fiamme, leopardi, riferimenti chic, il dado da gioco io ce l’ho sulla 16


chitarra, sono simboli rock and roll, la sorte, l’ otto, l’infinito sono tutti simboli della vita e della morte. La chitarra è una Gretsch l’ho comprata in America, a Las Vegas, c’è l’ho tatuata sul braccio, sulla spalla e tra poco me ne compro un’altra. È una chitarra con un suono unico. L’altro giorno ho fatto un conto, da quando suono ho avuto una cinquantina di chitarre di varie marche, ma come la Gretsch non c’è nessuna. Non è uno strumento limitato solo a questo genere, io ci ho suonato pure il blues. Va benissimo, sono quei suoni che ti devono piacere e poi è quella con cui mi trovo meglio di tutte perché io suono misto, suono con il peltro e con le dita. Per me la chitarra è la Gretsch è la più antica. La Fender è nata nel 1950, la Gretsch Company risale al 1883, inizialmente costruivano tamburelli, ma passarono ai banjo e ai tamburi prima di cominciare una seria produzione di chitarre jazz nei primi anni ‘30. Ma, proprio come

garantire che ti stende. È un tipo di musica che richiede un’esecuzione veloce ma nello stesso tempo precisa. Nel blues hai tempo di ragionare sui fraseggi, nel rockabilly no, il fraseggio lo devi avere in testa ancora prima di suonarlo, forse si avvicina di più alla tecnica del jazz. Nel rockabilly la mano suona in differita con la mente.

le macchine americane, molte Gretsch ‘’classiche’’ vengono dagli anni ‘50, quando la compagnia chiamo’ quello che era forse il più’ famoso musicista del tempo, il chitarrista country swing Chet Atkins.

rockabilly ha un suo modo di essere trasgressivo nei testi anche se un pò più velato, meno diretto, è fatto di metafore, di doppi sensi. Penso che basterebbe pubblicizzarlo un po’ di più per fare avvicinare i ragazzi.

Pensi che la difficoltà tecnica possa essere una delle cause per cui sono pochissime le band di giovanissimi che iniziano suonando rockabilly? No è solo perché è poco conosciuto a differenza del rock, del blues. Pensa solo a quante band di ragazzi suonano heavy metal che li senti suonare a velocità incredibili e pensi come cazzo fanno? eppure i ragazzi lo suonano perché lo conoscono. Anche il

È vero che è difficile suonare il rockabilly? Si molto, viene considerato una musica di serie B rispetto ad esempio al blues dove senti la chitarra con delle parti di assoli molto lunghi, nel rockabilli è tutto più tirato. Stai dietro uno swing per tre minuti, stasera noi suoniamo, vieni e ci vedrai suonare per due ore e non ci fermiamo mai. Suonare swing per due ore chitarra, contrabbasso e batteria ti posso

Abbiamo detto che è un genere poco conosciuto, proporlo ai gestori dei locali è difficoltoso? Oggi la crisi si sente, purtroppo la musica ci costa, se avessi suonato folk, mi sarebbe bastata una chitarra acustica qualsiasi, invece purtroppo o per fortuna abbiamo una strumentazione che ha dei costi notevoli, molti pezzi sono vintage come ad esempio 17


esita a dirmi ok non mi piace rifallo. È un pò come un direttore di orchestra ha una visione dell’insieme che ti permette di dare e raggiungere il massimo. Poi è da tanto che suoniamo e abbiamo chiaro quello che vogliamo fare è difficile che restiamo sul pezzo per tanto tempo. Fate sessioni di presa singole o suonate insieme in presa diretta? Suoni rockabilly, suoni rock and roll, non puoi suonare prima la batteria e poi la traccia della chitarra, non esiste. Il bello è suonare live e per noi ormai è semplice, abbiamo un’intesa perfetta, basso e batteria s’incastrano alla perfezione e a Luca non resta che rifinire. Sembra semplice no? In realtà noi siamo nati live. Pensa non abbiamo neanche la sala prova, i pezzi nuovi li proviamo direttamente live nelle serate dentro i locali dove suoniamo. I pezzi li testiamo in diretta valutando anche la reazione del pubblico. In effetti questa situazione ci ha spinto a fare pezzi nostri, quando vedi le persoil mio amplificatore che è del 1967. Ma al di là della ne che ballano su un tuo pezzo, si divertono, portano strumentazione e gli anni di studio sugli strumenti? il tempo, ti vengono i brividi. il tempo che c’impegna? i dischi, i dvd, i viaggi, le litigate con le mogli? Non ha un costo tutto questo? Le prossime serate live dei turbolenti? Tu gestore del logale non puoi decidere quando mi Le puoi trovare sul nostro sito http://www.myspace. devi dare. Quando vengo nel tuo locale e ti chiedo com/iturbolenti come ti dicevo prima se riuscissimo ad una birra, non faccio mica io il prezzo! Chiedimi avere un manager, uno che ci producesse, allora sì quando prendo, se ritieni che non rientra nel budget che potremmo suonare anche tutti i giorni. del locale pazienza. E guarda che almeno il 70% del- Devi avere un’agente che ti trova le serate dalla Sile volte ci richiamano. Abbiamo suonato in acustico cilia al Piemonte solo così puoi pensare davvero di anche in alcune enoteche. C’è da dire che una volta fare un tour promozionale del disco. entrati in un locale ci si ritorna. Il fatto di essere in tre aiuta, possiamo arrivare montare gli strumenti e L’intervista finisce qui, intanto stasera accogliendo suonare anche senza sound-ceck. l’invito di Luca andrò a vederli suonare dal vivo per vedere se davvero sono così Turbolenti come ci hanAvete già una data per l’uscita del disco? no raccontato. Io dopo averci passato un paio d’ore Se continuiamo così credo che per marzo 2009, insieme non ho dubbi nel crederlo. A proposito i loro sì primavera 2009 sia fattibile. Venendo qui da nomi veri sono Luca Marzella (chitarra) Roberto 451fahrenheit, abbiamo trovato professionalità. Passeri (contabbasso) Alessandro Anelli (batteria), Marcello (il fonico dello studio) ci stà dando parec- ma mi raccomando chiamateli solo con i loro nomi chio, la bravura di un fonico è quando riesce a pren- d’arte. Sono ragazzi Turbolenti. dere e a farti tirare fuori quello che hai di buono da dare. Riesce a capire ad esempio come suono e non LP 18



Greta

Live Experience

Insardi

Sabato 29 Novembre è stata la prima serata dell’innovativo progetto dello studio 451 Fahrenheit denominato Live Experience. Il progetto è nato dall’intuizione dei titolari che semplicemente hanno pensato di mettere a disposizione di musicisti e nuovi talenti l’opportunità di esibirsi live... registrando la serata. La registrazione, successivamente mixata, viene inserita all’interno del portale di e-commerce yetmusic.com.

Giovanissima pianista (17 anni) è stata l’apripista del progetto Live Experience sabato 29 novembre con un concerto per solo piano interpretando un programma di composizioni di Beethoven. Ora, devi intervistare una giovanissima pianista, che fai? ti organizzi una serie di domande sull’emozioni che prova a suonare in pubblico, se è nervosa sapendo che l’esibizione verrà registrata... e via così. Avevamo deciso di fare l’intervista prima del concerto, ma poi, per una serie di motivi, abbiamo concordato di incontrarci subito dopo il concerto. Per cui mi sono accomodato nelle prime file dell’Auditorium curioso di vederla in azione. Lei entra dopo una breve presentazione del direttore artistico, Loreto Gismondi, vestita come si addice ad una “concertista” ma neanche l’abito importante riesce a mascherare la giovanissima età. Ma è solo un momento poi si siede dietro al piano e in un attimo la metamorfosi si compie. Un mare di note fluide, precise, passionali si irradiano nella sala e tutto sembra sospeso, immobile. La cosa che più ti sorprende è l’assoluto trasporto e padronanza dello strumento. L’assoluto controllo e nello stesso tempo trasporto con cui esegue il programma.

Un’idea innovativa che permette soprattutto ai giovani talenti di poter registrare la propria musica e commercializzarla. Inoltre l’ingresso al pubblico è rigorosamente gratuito, limitatamente ai posti disponibili. Naturalmente noi di Clatter non potevamo farci sfuggire l’occasione per incontrare gli artisti che si alterneranno nelle serate. I dettagli per partecipare agli eventi potete trovarli sul sito www.451fahrenheit

Il concerto termina e dopo il bis dovuto ai presenti che non si sono risparmati nell’applaudirla e i saluti del dopo concerto, ci siamo rintanati insieme al direttore artistico e il suo maestro nella sala regia per l’intervista. A questo punto messo da parte il moleskine con gli appunti preparati ho acceso il registratore por20


tatile. Allora iniziamo da principio, da quando suoni il pianoforte? Ridendo io ho iniziato quando avevo quattro anni e mezzo.

Ho notato durante il concerto che spesso suoni con gli occhi chiusi, facendoti trasportare completamente dalla musica. Noi dobbiamo completamente immergerci in quello che facciamo...

A quattro anni e mezzo già davi i primi colpi sulla tastiera del piano? Beh si, lo facevo per gioco, cantavo anche, poi invece qualcuno, tra cui il mio maestro Claudio di Tofano, hanno notato che avevo qualcosa di particolare e quindi ho iniziato a suonare il pianoforte e... niente da lì è iniziato.

Ma non deve essere poi così semplice, non sempre gli interpreti riescono a essere così in sintonia con lo strumento come appariva dalla tua esecuzione Però è uno degli obiettivi a cui un pianista deve ambire, cioè quello di sentirsi totalmente trasportato da quello che fa e non pensare a chi ti ascolta.

Che sensazione hai quando suoni di fronte al pubPer cui hai iniziato a studiare pianoforte a… blico, davvero è come se non ci fosse? Sei anni, a sei anni ho iniziato a studiare seriamente Beh comunque il pubblico c’è, quindi ne avverti la pianoforte. presenza, la tensione c’è sempre anche dopo tanti concerti. La tua prima esibizione la ricordi? Beh si… la prima in assoluta, si a cinque anni e poi i Visto che suoni senza spartito, hai un metodo, sesaggi di fine anno della scuola di musica. gui uno schema mentale durante le esecuzioni? Dipende a volte, soprattutto con pezzi che non ho Lo scorso anno sei stata protagonista della serata mai ascoltato oppure che non conosco bene mando a di gala dell’associazione degli ex alunni del tuo memoria proprio battuta per battuta liceo (Liceo Classico Turriziani di Frosinone ndr) con notevole successo tra l’altro. Quindi hai una memoria visiva dello spartito Si è vero e debbo dirti che hanno noleggiato per Sia visiva sia dal punto di vista armonico. La mel’occasione un bel pianoforte. moria uditiva mi serve soprattutto per le cose che 21


già suono che già conosco, anche se comunque, bisogna sempre fare un lavoro minuzioso perché non sai mai quello che potrebbe succedere in concerto e, durante l’esecuzione devi sapere sempre dove sei, non puoi affidarti solo all’orecchio e basta.

to. Nonostante siano poche note, paradossalmente la difficoltà è proprio nel trarre il massimo da quelle poche note.

In un programma ideale di concerto sceglieresti più autori russi che non Haydn e Mozart? Solo un programma con Haydn, Bach e Mozart forse sarebbe anche un po’ pesante per il pubblico e sicuramente difficile da sostenere per tutto il concer-

Sei giovanissima nel tuo futuro vedi la musica? Spero di continuare sicuramente.

Quante ore trascorri giornalmente al piano? È fondamentale l’applicazione giornaliera. Dedico il più possibile al pianoforte, considerando che io vado Praticamente hai sempre davanti lo spartito Si, sempre. L’obiettivo è quello di sapere sempre anche a scuola quindi il tempo lo devo ripartire anche per lo studio, così qualche ora la rubo anche la dove stai durante l’esecuzione. mattina. Cosa pensi del fenomeno Allevi? Ha sicuramente il merito di avvicinare i giovani al Fammi capire la mattina prima di andare a scuopianoforte e alla musica classica a cui sembrano es- la studi musica? Certo, mi alzo alle 6.30 e alle 6.45 inizio, ho la forsere assolutamente refrattari tuna di avere la scuola a dieci minuti da casa quindi Qual è il tuo autore preferito quello che ti dà più volendo posso uscire anche alle otto e un quarto. emozioni suonando Fino a poco tempo fa ero innamorata di Mendels- Oltre la musica classica ascolti altro? sohn, cristallino… anche se è un romantico l’in- Certo fluenza di Bach comunque si avverte. Riesce a mettere insieme elementi del romanticismo con quelli Allora fuori i nomi più scolastici legati alla tradizione, al contrappunto, Il pop mi è sempre piaciuto da quando ero piccola alla fuga però ultimamente sto apprezzando molto non amo quei cantanti o gruppi costruiti per le clasgli autori russi di fine ‘800 inizio ‘900 Rachmaninov sifiche e … basta. I nomi? dipende ci sono periodi che mi prende magari una canzone che mandano in Rimskij-Korsakov. Sono autori molto difficili, proprio dal punto di vista continuazione alla radio e allora me la ritrova a cantecnico ma con delle armonie bellissime. Ti danno tare, però debbo dire che non ho particolari prefedelle sensazioni, è sempre molto passionale la mu- renze. sica. Va bene niente nomi. Diciamo che ascolti un po’ Per cui ami interpretare maggiormente musi- di tutto che che ti danno delle emozioni, quindi Mozart, Si, le canzoni del momento per svagarmi un po’. Haydn restano un po’ lontano Comunque debbo dire che sia Mozart che Bach, che Invece hai mai suonato qualcosa di diverso dalla Haydn sono autori bellissimi. Certo sono tutt’altra musica classica? cosa rispetto a Skrjabin. Sono indispensabili nella Purtroppo no, è una mia grande lacuna, mi servirebformazione, se prima non studi Mozart, Bach non fai be molto per sciogliermi. Molti me lo consigliano, in realtà ho poco tempo. Skrjabin però da un punto di vista di emozioni.

L’obiettivo è una carriera concertistica? Beh si, intanto però completare gli studi classici e si22


curamente universitari, scegliendo magari una facoltà che non mi distragga troppo dallo studio del pianoforte e che mi dia una possibilità lavorativa che non sia troppo lontana dai miei interessi, perché non si sa mai, non è certissimo o quantomeno semplice riuscire. Questo restare con i piedi per terra è molto bello per una ragazza di 17 anni Certo l’obiettivo è diventare concertista di professione, però non si sa mai, meglio avere anche un piano B. Interrompiamo qui, mi saluta con un sorriso cordiale e a me non resta che ringraziarla per le emozioni che ci ha regalato in una serata incantevole.

Greta Insardi Nasce a Pontecorvo (Fr) nel 1991. Manifesta fin da giovanissima una spiccata sensibilità musicale ed un precocissimo talento per il piano-forte, tanto che intrapresi a soli quattro anni gli studi musicali con i Maestri Daniela Mizzoni e Claudio Di Tofano, a sei anni risulta già vincitrice del primo premio al Concorso Nazionale “Daniele Paris” a Cassino e ad otto anni vince il primo premio assoluto nei concorsi Nazionali “Daniele Paris di Cassino e “Giulio Rospigliosi” di Lamporecchio. A nove anni si afferma nuovamente vincendo il primo premio assoluto al concorso Nazionale “Rospigliosi”. Negli stessi anni è vincitrice del primo premio ai concorsi nazionali: J.S. Bach” - Sestri Levante, ”La tastiera d’Argento” - Roma, Castiglion Fiorentino. A nove anni viene affidata alla guida del Prof. M° Cesare Marinacci, già allievo di Franco Scala e Sergio Fiorentino, pianista, musicologo e compositore, docente univer-sitario presso il Pontificium Institutum Musicae Sacrae in Roma, che la segue tutt’ora. A undici anni viene ammessa a frequentare i corsi della prestigiosa Accademia Pianistica Internazionale “Incontri col Maestro” di Imola, che frequenta attualmente, sotto l’insigne guida del Maestro Franco Scala, ove partecipa a corsi e seminari tenuti da alcuni tra i massimi interpreti del panorama musicale. Ha infatti partecipato attivamente a masterclasses con pianisti e concertisti di fama internazionale: Vladimir Ashkenazy, Zoltan Kocsis, Andrea Lucchesini, Marcello Abbado. Frequenta dal 2000 i corsi di perfezionamento pianistico estivi organizzati dall’Accademia a Bardonecchia e Baselga di Pinè, seguendo contemporaneamente seminari di studio e di approfondimento di storia della musica con i Professori Giorgio Pugliaro e Piero Rattalino. Le sono state conferite dall’Accademia di Imola borse di studio per gli anni 2003 - 2004 – 2005 – 2006 -2007, dalla Pro Loco di Patrica (Fr) la borsa di studio “Licinio Refice”, ed un attestato di merito dall’Associazione ex alunni del Liceo Classico Turriziani di Frosinone del quale attualmente frequenta il IV anno. Il 26 Ottobre u.s. è stata insignita dall’Accademia Bonifaciana di Anagni del “Premio Nazionale Bonificio VIII”, VI edizione definendola “ uno dei più limpidi talenti musicali lustro alla nostra terra”. Ha regolarmente conseguito il massimo dei voti e la lode in tutti gli esami accademici del conservatorio Rossini di Pesaro e L. Refice di Frosinone nella classe del M° Rita Cosmi. Fin da giovanissima svolge attività concertistica che l’ha portata tra le altre ad esibirsi a Bardonecchia e Baselga di Pinè in concerti estivi, presso la “Sala Mariele Ventre” di Imola, nell’ambito della manifestazione “Le tastiere raccontano”e localmente a Frosinone , ad Alatri nella sala del “Palazzo Conti Gentili”, nel Palazzo Ducale di Atina, Gran teatro Città di Fiuggi .In giugno ha partecipato alla maratona pianistica “ Beethoven 32” tenutasi a Bologna il 20 ed il 21 giugno u.s., nell’ambito della festa Europea della musica. L’evento, in prima mondiale, ha avuto notevole risonanza sulla stampa (il Resto del Carlino,il Corriere della Sera, la Repubblica).Sue interpretazioni sono state trasmesse tra le altre dalla Radio Vaticana.

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Iniziamo con Lorenzo Sbaraglia, diplomato presso il Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila in viola, violino e… musica jazz? Si è vero, ho fatto un piccolo excursus nella musica jazz tanto per conoscerla. Nonostante gli impegni come musicista classico, ho sempre continuato a suonarla, il jazz è un altro mondo che un musicista classico oggi deve conoscere perché la musica moderna si è evoluta ed ha preso parecchie cose del jazz quindi è giusto. Avere una contaminazione da altri stili Certo, è importantissimo. Tecnicamente è molto diverso suonare il jazz e la musica classica Per noi è difficile prendere il jazz, avere lo stesso accento, gli stessi ritmi, come dire lo stesso linguaggio dei musicisti jazz per i musicisti classici è difficilissimo.

Anthea String Trio

È più schematica la musica classica come impostazione, come tecnica nell’esecuzione dei brani. Schematica nel senso che è più quadrata, è scritto tutto nella musica classica ciò che si deve fare è come se fosse un’improvvisazione scritta. Nella musica classica devi fare più interpretazione. Non che nel jazz non ci sia interpretazione, nei temi e nelle note ti costruisci al momento tutto ciò che invece nella musica classica è tutto scritto. Quando è nato il progetto del trio e perché avete scelto questa particolare formazione. Flavia Di Tommaso È nato a novembre del 2007 quindi è molto giovane, è nato per una casualità perché lei (Shu Jeong Won) è coreana di Seul e casualmente si trova in Italia per un periodo di perfezionamento al conservatorio, la famosa laurea, e quindi nonostante sia già una professionista bravissima e affermata (leggere il curricula) ha voluto concedersi questo ennesimo titolo di studio. Diciamo che lo studio è la principale professione dei musicisti classici. 24


FDT Lei è molto brava, ci eravamo gia conosciute e così mi sono permessa di chiederle se gli andava di suonare insieme e lei molto generosamente ha accettato. Inoltre c’era anche questa collaborazione con Lorenzo e alla fine è nato un trio, doveva esserci anche il pianoforte, ma i pianisti sono difficili, sono soggetti difficili. LS È nato un trio e non un quartetto perché siamo in tre e ci gestiamo meglio. FDT Voleva essere un quartetto con il pianoforte invece è rimasto un trio, però abbiamo scoperto che è andata bene così perché il trio d’archi ha un repertorio bellissimo e poco suonato. Tecnicamente è molto difficile perché le parti sono più impegnative, sono meno distribuite che in un quartetto d’archi, quindi ci sono più responsabilità di tutti e tre, è difficile per l’intonazione, per una serie di motivi, in un quartetto d’archi con due violini il materiale si distribuisce in un’altra maniera. Invece qui ognuno ha la sua responsabilità sullo strumento FDT Esatto, in pratica siamo come tre solisti. C’è un vantaggio a suonare con il trio d’archi che noi stiamo scoprendo e stiamo vivendo, ed è quello di poter collaborare con musicisti bravi per fornirgli un trio di base. Per esempio abbia-

mo un progetto con Maurizio Bignardelli che è un bravissimo flautista e con lui stiamo preparando un programma per trio d’archi e flauto su tutto il repertorio italiano del ‘700 e dell’800, quindi è una cosa interessante, è una formazione che si può prestare a tante combinazioni. Oppure stiamo preparando un altro progetto che abbiamo proposto con una soprano, insomma è una formazione versatile. Inoltre ti puoi spostare senza grossi problemi, non hai l’ingombro del pianoforte e anche per la società concertistica può essere un vantaggio evitando una serie di costi come il noleggio e l’accordatura che un piano inevitabilmente comporta. Insomma il Trio, tutto sommato si è rivelato una scelta vincente. LS Si, poi con la musica da camera il musicista di musica classica cresce, acquista esperienze, capacità tecniche. Perché la musica da camera è molto complicata dal punto di vista tecnico . FDT Penso sia la dimensione naturale di tutti i musicisti insomma a parte i solisti. Durante il concerto avevi detto qualcosa sui brani, sul lavoro fatto da Mozart me la puoi rispiegare? FDT In pratica Mozart ha fatto un lavoro su Bach che riguarda il trio d’archi e ha preso delle composizioni di Bach da tre fonti diverse una è clavicembalo ben temperato quella raccolta di due volumi immensa come dice appunto il nome: per clavicembalo, che è composto da preludi e fughe e poi un altro dall’arte della fuga e poi un’altra fonte è le suonate per organo a tre voci. Mozart ha attinto da queste tre fonti per creare un gruppo di sei composizioni rispettivamente il preludio e fuga e facendo questo lavoro interessante. Mozart di originale per trio d’archi mi pare abbia scritto un solo divertimento. Un divertimento che comunque è uno dei più im25


portanti pezzi del repertorio classico, però ne ha scritto uno mentre invece di quartetti ne ha scritti decine e decine LS Ha scritto pure quartetti con il flauto per flauto. FDT Ha scritto quartetti considerando il trio d’archi più flauto. Il trio d’archi è Beethoven. Diciamo che Beethoven nel trio d’archi è paragonabile all’importanza di un Dante Alighieri nella letteratura italiana. Shubert il pezzo di stasera era un pezzo originale, concepito per trio d’archi. LS Poi bisogna andare a Hindemith (Compositore, violista e direttore d’orchestra, tedesco nasce nel 1895ad Hanau ndr) forse pure qualcun altro che ancora stiamo scoprendo. FDT Si, si scoprendo noi perché stiamo lavorando con questo trio però ci sono trii importanti, un trio che abbiamo nel repertorio e che è poco suonato è un trio di Berkeley un autore inglese del ’900, però non è una formazione per cui tutti scrivono, scrivono pochissimo ed è interessante che Mozart solo per questa formazione abbia addirittura attinto delle opere di Bach rielaborandole per il trio d’archi. Il violino, la viola e il violoncello sono nati come strumenti solisti? FDT Io penso che siano nati come strumenti d’elite, a parte il violino che è sempre stato uno strumento molto popolare. Però se uno guarda nel filone della musica colta, intendendo il filone di quella musica ad uso e consumo

ANTHEA STRING TRIO è nato nell’ottobre del 2007 ed è composto da Flavia Di Tomasso al violino, Lorenzo Sbaraglia alla viola e Shu Jeong Won al violoncello. I musicisti, che si sono affermati separatamente in percorsi artistici diversi, si sono misurati con questa formazione in un repertorio difficile ed eterogeneo, che spazia dalla musica classica alla musica contemporanea. Il Trio, pur essendo di recente formazione, è già impegnato in una programmazione concertistica fino al 2009 e vanta nel proprio repertorio la dedica di composizioni originali.

FLAVIA DI TOMASSO Diplomata in Violino al Conservatorio di Musica “S. Cecilia” di Roma con Claudio Buccarella, in Viola e Musica da Camera presso il Conservatorio di Musica “O. Respighi” di Latina, si è perfezionata con Antonio Salvatore, Bernard Gregor Smith, Domenico Nordio, Francesco Manara, Massimo Marin e con Pier Narciso Masi in Musica da Camera presso l’Accademia di Imola. Ha lavorato per diversi anni con il Conservatorio “O. Respighi” di Latina nella la classe di Quartetto e collabora con varie orchestre. Attualmente concentra la sua attività nella Musica da Camera, dedicandosi anche alla musica in teatro ed esibendosi in formazioni che vanno dal duo al quintetto in importanti festivals. LORENZO SBARAGLIA Diplomato in Viola, in Violino e in Musica Jazz presso il Conservatorio “A. Casella” de L’Aquila, si è perfezionato con Fabrizio De Melis, Danilo Rossi e Bruno Giuranna. Ha fatto parte dell’Orchestra Giovanile Italiana e de L’International Orchestra Institue Attergau, l’orchestra giovanile patrocinata dalla Vienna Philharmonic Orchestra. È risultato idoneo all’audizione per prima e viola di fila indetta dal teatro G. Verdi di Sassari nel 2002 e nel febbraio 2004 è risultato idoneo all’audizione per viola indetta da “I Solisti Aquilani” con i quali tuttora collabora svolgendo attività concertistica in Italia e all’estero oltre a varie incisioni discografiche (per la BONGIOVANNI musiche di Franco 26

Margola). Collabora con l’Orchestra Regionale del Lazio e con l’orchestra “L. Cherubini” di Piacenza. Ricopre il ruolo di prima viola presso l’orchestra “Camerata Italica” fondata da Giorgio Carnini. Ha inciso per la PHOENIX musiche di Albino Taggeo. SHU JEONG WON Nata a Seoul nel 1980, ha iniziato gli studi musicali presso la scuola superiore artistica di Dukwon a Seoul. Presso il Conservatorio Cattolico di Seouldove si è diplomata nel 1996 sotto la guida dei maestri Yang SunWon e Lee Kyeong-Jin nella Corea del Sud. Si è diplomata con il massimo dei voti e lode presso il Conservatorio “O.Respighi” di Latina con Vincenzo Cavallo. Si è perfezionata con Francesco Strano all’Accedemia “S. Cecilia” di Roma, con Andrea Noferini all’Accademia di Pescara e con Rohan De Saram all’Accademia Chigiana di Siena. E’ vincitrice di importanti concorsi: a Seoul (1°Premio e 1°Premio assoluto), a Fusignano (1°Premio e 1°Premio assoluto), a Lamezia Terme (1°Premio assoluto al Concorso “A.M.A.Calabria”), World Orchestra, Giornale di Musica a Seoul, ed è stata miglior violoncellista nel 1999 a Fusignano. Svolge attività concertistica come solista e in varie formazioni cameristiche in Italia e in Corea, inoltre è stata invitata da “A.Gi.Mus.” per esibirsi con Katia Kapua. Insegna al Conservatorio Korea-America a Seoul, ed ha ricoperto per diversi anni il ruolo di primo violoncello nell’Orchestra Seoul Philharmonic.


delle classi ricche, aristocratiche perchè sono quelle che nella storia, hanno poi dato vita a tutti questi compositori, non esistono composizioni per orchestra dalla nascita di questo repertorio classico. Esistono invece molte composizioni per quartetto, per trio oppure per gruppo da camera. Vivaldi è uno dei primi che ha scritto per orchestra d’archi ed erano orchestre molto ridotte, poi man mano nel tempo si sono allargate e Beethoven è stato uno dei primi ad usare una grande orchestra. Inizialmente sono nati come strumenti per essere usati nelle corti, per fare ambienti o musica da camera. Violino Viola, e Violoncello sono strumenti che i non addetti ai lavori spesso confondono, soprattutto il Violino con La Viola, mi spieghi che differenze ci sono? LS Si, come dici si somigliano anche tecnicamente. I più vicini sono viola e violino si suonano con la stessa tecnica, cambia la grandezza e le note, la viola sta una quinta sotto rispetto al violino di corde di accordatura, poi c’è il violoncello che è una ottava sotto la viola. FDT Prendendo ad esempio la tastiera del pianoforte che può arrivare da una nota molto bassa a una nota molto alta, se noi prendiamo il contrabbasso, il violoncello, la viola e il violino in ugual misura arriviamo dalla nota bassa del pianoforte fino alle note alte. Diciamo sezionando, virtualmente la tastiera in quattro? FDT Esatto, sezionando magari con qualche incastro ricopriamo un po’, il contrabbasso ha una tessitura, si chiama così, una tessitura molto bassa, il violoncello anche ma - non so se uno ha l’idea del cigno che ha questo tema bellissimo - può andare in note più acute quasi come il violino sicuramente da un bravo violoncellista. La viola corrisponde a quella che nel canto è una voce di contralto, il violino corrisponde a quella che nel canto può essere del soprano e il violoncello a metà tra il tenore e il basso tenore. Il contrabbasso è proprio un basso. Più è basso il suono che produce e più è grande lo strumento. Mi racconti dell’esperienza fatta in Palestina? FDT Abbiamo partecipato ad un progetto della Comunità Europea molto bello, un progetto in Palestina, la Ucodep è una ong che lavora per la Comunità Europea È un progetto che si è svolto nell’arco di un anno. La Palestina ha una situazione abbastanza drammatica, è uno stato non riconosciuto, occupato dagli israeliani. Gli abitanti della Palestina sono privi di ogni diritto che noi come occidentali dovremmo riconoscere, diritti quale la libertà di pensiero, la libertà di movimento, la libertà di avere una casa, la libertà di istruzione, di studio. La Comunità Europea sta finanziando tanti progetti insieme a questa ong 27

Dall’alto in basso: Flavia Di Tomasso, Lorenzo Sbaraglia, Shu Jeong Won


per aiutare perlomeno i bambini, perché sono gli unici su cui si può investire per il futuro. In Palestina c’è il muro, come c’era a Berlino, solo che è lungo tutta la Palestina, essendoci chiaramente problemi di spostamento, hanno pensato di portare gli insegnanti di conservatorio nei villaggi, hanno creato le strutture in questi villaggi sperduti in condizioni immaginabili, hanno costruito delle aule bellissime, hanno dato i violini a questi bambini e bambine, per insegnare a suonare. Noi facevamo parte di una commissione di verifica, dopo un anno dall’inizio del progetto, per vedere che cosa avessero imparato questi bambini. Abbiamo lavorato con loro, fatto un concerto, è stata davvero una bella esperienza, importante e strana perché la Palestina ha esigenze più urgenti che la musica. Sappiamo che anche la musica fa la sua parte, anzi certe volte si sostituisce a quello che dovrebbe essere il compito della politica, basta vedere tutti i concerti organizzati per il mondo per i diritti umani, raccolta fondi e quant’altro. FDT Per i bambini avere l’opportunità di suonare uno strumento, e magari sognare di fare qualcosa di importante come musicista invece che con le armi, è importante. Progetti futuri del trio? FDT Studio. Studiare, studiare, studiare. Speriamo di migliorare e migliorare. LS Fra un anno andiamo in Corea, abbiamo un anno di tempo per essere all’altezza della tourné in Corea. Invece, Shu Jeong Won, come è la situazione dei musicisti in Corea? È una situazione come quella italiana? Una volta diventati musicisti c’è mercato, si suona, c’è l’opportunità di il musicista di professione? SJW Direi che a differenza dell’Italia c’è tanta possibilità per suonare, ci sono tanti musicisti. Soprattutto in Seul ci sono tanti teatri e fanno quasi tutti i giorni concerti. C’è più opportunità. Ci sono orchestre in cui inserirsi per suonare. SJW Si, si assolutamente le opportunità sono maggiori. Cos’è che non funziona da noi. FDT Ci sono le orchestre ma sono poche, rispetto ai musicisti diplomati ogni anno sono poche e capisci che non c’è spazio per tutti. LS Ci dovrebbero essere meno conservatori e più orchestre, molti ragazzi escono dal conservatorio ma non hanno niente. Già nel conservatorio l’orchestra viene sempre a mancare, quindi, di conseguenza il ragazzo esce a volte diplomato ma, non ha mai fatto orchestra e non ha 28

mai suonato in pubblico. FDT È difficile anche migliorarsi. Se uno suonasse tanto, sicuramente migliorerebbe professionalmente e tecnicamente. Vivere di musica è possibile? FDT Più che vivere, sopravvivere. Poi ci sono vari gradi di sopravvivenza, bisogna poi capire cosa si intende. Perché oggi penso che sia un po’ difficile avere una qualsiasi alternativa, non mi pare che non fare il musicista porti a qualcosa. Quindi alla fine devo dire la verità forse è meglio sopravvivere come musicista che sopravvivere da precario. LS Questa sopravvivenza fa sì che i rapporti tra musicisti diventino più agguerriti e cattivi, creando dei contrasti a volte inutili e questo, sicuramente, va tutto a discapito della musica. FDT Siamo in un periodo in cui coloro che lavorano nel campo della musica dovrebbero aiutarsi l’uno con l’altro, tra qualcuno succede. Oggi siamo qui da 451Fahrenheit che tramite Loreto (Gismondi direttore artistico degli eventi in programma ndr) ci ha invitato, uno mette a disposizione una ricchezza che ha, se facessero tutti così sarebbe forse più semplice promuoversi e promuovere la musica. È una situazione creata se volete anche dai conservatori, perchè in realtà poi il conservatorio, come dicevate prima, non è che finiti gli studi proponga dei progetti o programmi d’inserimen-


to per i diplomati. LS Il conservatorio è un isola che esiste e finisce al suo interno. Poi esci da quell’isola e dici: e adesso? ero cullato, ero tranquillo, ero il migliore poi esci fuori e il mondo è totalmente diverso o inesistente. Anche gli insegnanti molto spesso non ti aiutano proprio nel cercare, nel farti capire che se devi uscire , avere esperienze al di fuori, e invece dicono no, no va bene rimani dentro che è caldo, comodo. È un mondo un po’ fuori dalla realtà e poi è un ambiente molto vecchio. FDT E poi in Italia non si insegna una cosa perché non siamo tutti fatti per essere dei solisti non si insegna che la musica è una cosa molto più semplice e quando vai all’estero puoi trovare il grande musicista che è una persona tranquillissima, modesta cosa che in Italia anche il più scapestrato musicista è un pallone gonfiato spesso e volentieri, perché non si ha l’idea della musica come un fatto di socializzazione, noi suoniamo poco la musica anche a livello popolare, non abbiamo questa vita impregnata di musica a parte la chitarra quindi non abbiamo una cultura LS All’estero dottori, operai si ritrovano la sera in piccoli centri e fanno musica classica anche solo a livello dilettantesco per divertirsi. Qui invece pianisti, violinisti devono diventare per forza solisti quando invece potrebbero avere un ruolo più tranquillo per godersi la musica. Poi magari puoi sempre fare altri studi per ampliare le competenze sullo strumento o altro, è sempre importante aspirare a migliorarsi. Questo in Italia succede un po’ in tutti i settori della musica. FDT Anche perché non si insegna la musica nelle scuole, perché non c’è neanche nelle nostre famiglie il fatto di suonare uno strumento. All’estero tutti nelle famiglie suonano uno strumento. LS La maggior parte dei musicisti ha un genitore che già suona o comunque ama la musica. Già da bambino impari a conoscere la musica poi decidi di suonare la chitarra, il violino o altro, non si può continuare ad affidarsi al caso. Il problema è che ci vorrebbe più cultura, più apprezzamento per le arti, ci vorrebbe un lavoro alla base, ma questo è un’altra storia FDT Si oggi ci sono tanti altri problemi più importanti della musica. Bene ragazzi, io più che farvi gli auguri per la vostra professione non saprei che dirvi, se non ringraziarvi per la magnifica serata. FDT Noi vogliamo ringraziare la struttura 451 Fahrenheit per averci dato questa opportunità a noi e ad altri musicisti che ci hanno preceduto e seguiranno nelle prossime serate. È una iniziativa molto bella e al momento credo unica. Un grazie particolare al fonico Marcello Pau 29

che ha eseguito la registrazione del concerto con grande competenza e professionalità. Grazie a tutti. Non mi stupirò mai della modestia che riscontro ogni volta nei musicisti classici. Persone che davvero hanno un bagaglio culturale, tecnico frutto di anni di studio e, che diciamoci la verità potrebbero tirarsela alla grande, invece sono sempre disponibili (salvo rare eccezioni, ma lo sappiamo l’arroganza dilaga e non risparmia nessun settore) gentili e quando è ora di salutarsi dispiace sempre un pò interrompere la conversazione. Quando li vedo andar via riponendo con cura gli strumenti nelle auto mi viene da chiedermi ma chi glielo fa fare? Ma la risposta è insita in loro stessi: la musica!


Fatti e opinioni: l’attualità ripensata

Avevo chiesto al Prof. Donfrancesco, ex Preside (da poco in pensione) del Liceo Classico Turriziani di Frosinone, di commentare i recenti provvedimenti presi dal Ministro Gelmini in materia di scuola. Alla fine, grazie agli anni trascorsi “in prima linea” e alla notevole esperienza didattica acquisita, ne è uscito qualcosa di più di un semplice articolo (e questo me lo aspettavo). Un’ analisi attenta e dettagliata sui vari aspetti che interagiscono su più livelli nel complesso campo dell’educazione scolastica. Abbiamo deciso di pubblicarla integralmente in due puntate. Quella che segue è la prima parte. 30


La scuola è da tempo sotto i riflettori quotidiani. “Il crollo della scuola italiana”, così titolava di recente, in prima pagina e a caratteri cubitali, La Stampa di Torino nel commentare i risultati di un’indagine sulla scuola condotta in 57 Paesi OCSE e non OCSE, nella cui graduatoria l’Italia occupa il non esaltante 36° posto (e, infatti, nell’occhiello annunciava “Un flop le ultime riforme. I nostri studenti tra i peggiori d’Europa”). Ma non sono meno drastici gli altri giornali e mezzi di comunicazione. “In classe si fa di tutto meno che studiare”, scriveva Anna Oliviero Ferrari su Il Messaggero del 5 dicembre 2007 e sullo stesso giornale, il 15 settembre scorso, Vincenzo Cerami invocava “una vera rinascita” della scuola italiana. Mario Pirani, su la Repubblica del 12 marzo 2007, era altrettanto allarmato e faceva appello alla classe politica: “Ridateci la possibilità di educare i giovani”. In televisione, il 13 marzo scorso, il noto linguista Tullio De Mauro, già ministro della Pubblica Istruzione, parlava di “basso livello di istruzione dei giovani”, precisando: “Le cose vanno molto male”. Nello stesso periodo Raffaele Simone, un altro illustre linguista, dichiarava: “Occorre ricominciare dall’ABC. Ecco la sfida della scuola”. Si può citare pure un recente libro denuncia, La fab-

brica degli ignoranti, del popolare presentatore televisivo Giovanni Floris, per il quale “la fabbrica degli ignoranti è la scuola italiana, …presa nel suo complesso, valutata per quello che costa e per quello che produce” (e l’affermazione non è solo provocatoria). Fatte queste premesse, è difficile formulare la diagnosi della grave malattia che ha colpito, ormai da più anni, la “le mitologie consumistiche della scuola italiaed è anconostra società tolgono carisma e na ra più difficile importanza al sapere” individuare la 31

terapia d’urto per debellarne i sintomi. Eppure il pianeta scuola è continuamente oggetto di analisi, attenzioni e proposte di “cure” e tutti (non solo i due contrapposti schieramenti politici) sostengono che è urgente correre ai ripari ed evitare ulteriori danni. Le ultime misure emanate dal Governo e le vibrate contestazioni che ne sono seguite rappresentano solo l’iceberg del grave problema. Peraltro, vuoi per motivi politico-sindacali vuoi per motivi pedagogici, non si trova mai l’accordo sulle misure da adottare. Si veda il caso del


cale riforma che all’improvviso possa porre fine allo stato comatoso in cui versa la scuola italiana). E, nel proporre i necessari rimedi, si parte quasi sempre dall’analisi delle carenze (o presunte carenze) dell’attuale sistema scolastico dal punto di vista pedagogico e socio-culturale. Così in questi ultimi decenni ogni Ministro della Pubblica Istruzione si è sentito in dovere di presentare la sua “ricetta”, anche se è sempre mancato un serio confronto con la scuola reale, quella vissuta quotidianamente da centinaia di migliaia di docenti e da milioni di famiglie. Le carenze Si concorda in genere sul fatto che Si parla dunque di riforma o, me- la scuola continua a perdere digniglio, di riforme (perché è impen- tà e autorevolezza perché “le misabile predisporre un’unica, radi- tologie consumistiche della nostra “maestro unico”: c’è che sostiene che è “difficile trovare in un unico docente tutte le conoscenze e le competenze necessarie” e dunque “fa bene ai bambini adeguare il proprio carattere alle diverse personalità degli insegnanti” e c’è invece chi ritiene che l’era della scuola “ammortizzatore sociale” è finita ed è da irresponsabili tentare di perpetuarla e riproporre ostinatamente le ricette che hanno condotto all’attuale situazione (aumento dell’organico degli insegnanti oltre il necessario).

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società tolgono carisma e importanza al sapere”. Si sostiene che una buona scuola, anche oggi, dovrebbe far sì che i giovani acquisiscano alcune abilità elementari come il leggere, il capire quel che si legge, il calcolare e l’impostare la soluzione di un problema (è un po’ il concetto di “tornare ai fondamentali”). Si sollecita il ritorno al rigore, all’etica scolastica, all’idea che “studiare non è necessariamente divertente o facile”. In effetti è noto quanto negli ultimi anni sia diventata sempre più modesta e approssimativa la prepara-

“severità non riforme”


zione degli alunni che si iscrivono alle scuole superiori (sia pure con lodevoli eccezioni) riguardo alle capacità di comprensione e di uso della lingua italiana. Non parliamo poi della competenza nelle relative strutture morfosintattiche, che risulta quasi sempre povera e inadeguata. È da considerare, infatti, che solo sulla base di una discreta o buona conoscenza della lingua materna, sia nell’esposizione orale che nell’elaborazione scritta, possa essere impostato un serio insegnamento e apprendimento di tutte le altre discipline, in considerazione della fondamentale funzione comunicativa della lingua nazionale. Dal punto di vista didattico si pone l’accento sulla “perdita di rigore degli studi e sul generale perdonismo che da decenni domina nella scuola”. In particolare, nella scuola secondaria di 1° e di 2° grado si è rilevato che i tradizionali contenuti disciplinari sono stati spesso sacrificati a favore di attività alternative o aggiuntive di dubbia valenza formativa. Qualche anno fa fu l’ex ministro Fioroni a parlare, proprio qui in provincia di Frosinone, della scuola “progettificio” fatta di attività spesso programmate e realizzate a tutto danno delle normali e indispensabili lezioni curricolari. In verità si è trattato, e si tratta ancora, di attività intraprese con l’obiettivo – di per sé apprezzabile – di ampliare e migliorare le opportunità educative dei giovani, ma a un certo punto non ci si è resi conto che l’aspetto ludico e socia-

lizzante ha preso il sopravvento sulla missione prioritaria della scuola, che è quella di fornire conoscenze e competenze.

I recenti provvedimenti

Di recente sono stati emanati ulteriori provvedimenti concernenti il mondo della scuola. L’attuale Ministro Mariastella Gelmini ha fatto parlare e continua a far parlare di sé per le riforme introdotte o da introdurre, anche nel campo universitario. A dire il vero, si potrebbe dire paradossalmente che, pur in presenza di una scuola che non va, non ci sarebbe bisogno di riforme… “Severità, non riforme”, scriveva lo scorso anno Luigi La Spina su La Stampa. In realtà bisognerebbe evitare generalizzazioni ingiuste, perché in Italia ci sono ancora professori eccellenti, giovani che studiano seriamente e famiglie veramente interessate a dare una valida istruzione ai propri figli. Non servirebbero quindi grosse riforme. Ci vorrebbe solo un capovolgimento di mentalità in tutti coloro che vivono sul pianeta scuola. Basterebbe, ad esempio, che i genitori cominciassero a protestare decisamente non perché i loro figli studiano troppo, ma perché studiano poco e male o perché i loro insegnanti non li fanno studiare seriamente. Basterebbe liberarsi di professori (e presidi) poco o per nulla capaci, a volte palesemente ignoranti e ignavi, che compromettono il futuro dei ragazzi a loro affidati. Basterebbe tornare a un esame di maturità veramente rigoroso e far 33


sì che gli studenti siano in grado di affrontare serenamente e proficuamente la prosecuzione degli studi. Dalla riforma Gelmini traspare, comunque, qualcosa di nuovo, e fors’anche di positivo, anche perché in parte si è tenuto conto di quanto già predisposto dal precedente Governo. È valida la proposta riduzione del numero delle discipline di studio in taluni tipi di istituti tecnici (il che si è verificato, in passato, soprattutto sotto la spinta corporativa dei docenti) e del carico orario settimanale obbligatorio (non si possono tenere gli studenti in classe per 7-8 ore) con la conseguenza di prevedere non più di 30 ore settimanali di lezione articolate in un nucleo di materie fondamentali per tutti più una significativa quota di materie opzionali. Va apprezzato anche

l’annunciato riordino della scuola secondaria superiore ove sono attualmente presenti 750 indirizzi di scuola secondaria superiore e 510 tipi di sperimentazione. Sono state accolte con favore altre previsioni, come quella di poter seguire l’insegnamento della lingua inglese, nella scuola media, per le 3 ore settimanali curricolari e per ulteriori 2 ore (attualmente previste per la seconda lingua straniera). Per la scuola superiore è stata altresì confermata la possibilità (presente nell’attuale ordinamento) di seguire, nell’ultimo anno di corso, l’insegnamento in inglese di una disciplina non linguistica compresa nell’orario obbligatorio o nell’orario obbligatorio a scelta dello studente (insegnamento veicolato in lingua). Qualcosa in più potrà essere disposto in sede di emanazione dei decreti attuati34

vi per il nuovo ordinamento della scuola superiore: è auspicabile, ad esempio, l’introduzione nei Licei di talune discipline di attualità come il Diritto e l’Economia. È stato rilevato, tuttavia, che il Ministro non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo per quanto riguarda la questione del “maestro unico o prevalente”. Dopo i primi annunci, salutati con un certo favore da Mario Pirani su la Repubblica e Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, la Gelmini ha fatto un po’ marcia indietro e ha ripiegato sull’inedita figura della “riforma facoltativa” (orari flessibili, con più maestri, a seconda delle scelte dei genitori).

Le famiglie

Una buona riforma, è ovvio, avrebbe bisogno di un ampio consenso delle forze politiche, sociali


e culturali. Dovrebbe essere cioè hanno bisogno di genitori dotati una riforma condivisa, politica- di una personalità che gli studiosi mente “bipartisan”, come si usa anglosassoni definiscono hardy, dire oggidì. E dovrebbe trovare una personalità forte, consapevole d’accordo anche il sindacato del- del ruolo degli adulti nella sociela scuola, che - ha scritto Attilio tà, capace di affrontare gli eventi Oliva su Il Corriere della Sera – senza farsene sopraffare. …. E la “non può più avere, come di fatto scuola deve ritornare ad essere il finora ha avuto, una pesantissima luogo dove, anche attraverso la influenza sull’organizzazione del disciplina, si trasmettono i valori servizio”. del merito, della solidarietà, della Sono molte le storture che carat- responsabilità, del ben fare e della terizzano l’attuale sistema scola- fiducia nel futuro”. stico. C’è, in primis, la necessità La scuola invocata, insomma, di assicurare la regolare presenza è quella che assolve in pieno il degli studenti a scuola (soprattutto proprio ruolo istituzionale ed è nella scuola secondaria di 2° gra- in grado di formare i giovani, do). Va contenuta la spasmodica autodifesa dello “le mitologie consumistiche delstudente e va inla nostra società tolgono carivece recuperata la sma e importanza al sapere” responsabilità dei genitori, che troppo spesso diventano i sindacalisti che altrimenti si ritrovano spesso o gli avvocati dei loro figli e sca- logorati e demotivati e vanno inricano le loro colpe sulla scuola e contro a delusioni e disillusioni. È sui docenti. La scuola non può più una scuola che trasmette il sapere assolvere il ruolo di “supplenza ed educa alla convivenza, alla resociale” o di “baby-sitteraggio” sponsabilità e all’autodisciplina. È (come è stato efficacemente sot- una scuola che non è né di destra tolineato e deve quindi tornare a né di sinistra, ma la base necessasvolgere la propria funzione edu- ria perché tutte le parti politiche cativa e formativa in senso spe- possano operare veramente per il cifico. Ha scritto Giovanni Bollea bene comune. su Il Messaggero del 4 agosto 2008: “La battaglia della scuola Le responsabilità del pedadeve essere affrontata, combattu- gogismo ta e vinta dall’alleanza tra genito- Una scuola seria dovrebbe dire ri, consapevoli del proprio ruolo “basta” anche a tante procedure e delle proprie responsabilità, e di sapore burocratico (e personaguna scuola che ritorni ad essere gi collegati) che hanno condotto il luogo dove si insegnano e si all’attuale situazione. Non si può trasmettono i valori. …I ragazzi più considerare unico referente e 35


“è allora necessario tornare a una scuola che ripristini sicuri sistemi di selezione meritocratica”

“consulente” quell’insieme psico – pedagogico – docimologico che ha dominato la scuola per 30 anni. Quella scuola si può considerare finita e sarebbe da irresponsabili tentare di perpetuarla o riproporla sulla base degli stessi principi, spesso fumosi e privi di reale apporto didattico. Occorre dire “basta” anche a chi pensa ancora a una scuola contrassegnata da una pesante demagogia egualitarista. Non è vero che oggi abbiamo una scuola di classe o di élite. Semmai, ha osservato Giorgio Israel su Il Messaggero del 15 settembre 2008, abbiamo appiattato tutti verso il livello più basso e abbiamo creato una scuola dequalificata “che lascia soltanto ai figli dei colti e dei ricchi la possibilità di andare avanti…”! È allora necessario tornare a una scuola che ripristini sicuri sistemi di selezione meritocratica e sia in grado di adottare tutte quelle misure (anche a carattere sanzionatorio) che possano assicurare la sereni36

tà della vita scolastica ed evitare comportamenti anomali o fenomeni di bullismo. Bisognerebbe avere il coraggio, ad esempio, di dire “basta” ai trillanti telefonini multisuono e multifunzione che disturbano non poco la vita della classe! Occorre dire “basta” a tutto ciò che non va e che è stato la causa del presente malessere della scuola italiana. “Basta” con una scuola fatta di tante buone intenzioni (quelle contenute nei P.O.F.), di crediti e di debiti formativi (come non accennare alla confusione sulle modalità e sui tempi di recupero?), di funzioni strumentali e di progetti - attività aggiuntive, di R. S. U., di contrattazione decentrata e di autovalutazione d’Istituto. Basta con una scuola che si crogiola in miriadi di offerte formative e che deve badare, più che alla didattica, a pesanti o impossibili forme di autogestione concernenti la sicurezza, la privacy, la prevenzione incendi, l’agibilità degli


edifici, la carta dei servizi…. Si dovrebbe dire “basta” – dispiace osservarlo - anche a una didattica infarcita di troppo pedagogismo. Si pensi alla malconcepita e malgestita dimensione collegiale della professione docente, mai sentita ed attuata in toto, alla “modularizzazione” dell’insegnamento, al portfolio, all’apprendimento cooperativo, alle tassonomie, agli indicatori topologici, alle analisi della spazialità (ho citato dei termini a caso), ecc. Vale la pena riportare, a questo riguardo, alcune considerazioni apparse su la Repubblica a firma di Mario Pirani: “Quel che colpisce è il balbettio, le inutili dissertazioni sociologiche, la confessione di resa che viene da chi dovrebbe avere il coraggio di prendere concrete misure di contrasto … Si è prigionieri di un devastante pensiero pedagogico e di cascami ideologici permissivi”. Ma si può citare altro. “Spesso le indicazioni metodologiche – ha scritto Giorgio Israel – sono una raccolta di vacuità scritte in uno stile pedagoghese insopportabile che propongono obiettivi assurdi (come , per il ciclo elementare, la capacità di valutare gli effetti delle decisioni e delle azioni dell’uomo sui sistemi territoriali” o, per il ciclo superiore “ di riconoscere i concetti di sistema e di complessità nelle sue varie forme”. Nessuno dice una parola su ciò che concretamente si dovrebbe fare al di fuori delle solite e noiose riunioni in cui si parla di programmazione, di verifiche, di collegialità, di condivisioni e di interazio-

ni, che spesso servono solo a perdere e a far perdere tempo (e lo dice chi per molti anni ha promosso o “preteso” tali adempimenti). Si continua a disquisire e “sfidarsi” in nome del sacrosanto principio didattico della “centralità” dell’alunno, nel contrapporre conoscenze e competenze, nel voler stabilire la preminenza del saper fare sul conoscere o viceversa (anche se, a ben vedere, non ci può né ci deve essere alcuna contrapposizione tra il sapere e il saper fare). Si arriva, insomma, ad esaltare la demagogia della pedagogia… Ma nessuno osa mai dire “no” agli studenti che si rifiutano di essere interrogati “senza preavviso”, a coloro che chiamano i genitori con il cellulare se qualcosa (spesso un’interrogazione) va male e ai genitori che, in questi casi, si precipitano a scuola non per rimproverare o rasserenare il proprio figlio, ma per redarguire il professore che ha causato quel “dramma”. E allora anche la pedagogia dovrebbe riassumere il ruolo che le è proprio. Dovrebbe dire a tutti gli “attori” del sistema, a chiare lettere, che si va a scuola per insegnare e imparare in modo serio e fruttuoso e che è inutile ricorrere a sotterfugi e scappatoie per rendere facile il proprio compito. (...)

La seconda e ultima parte dell’articolo verrà pubblicata sul prossimo numero di Clatter. 37


arte: incontri, mostre, recensioni e quant’altro

Italo

Scelza Quattro chiacchiere nello studio di Supino del maestro che ci racconta la storia dell’arte... dal 1960 in poi.

Inizialmente dovevamo incontrarci per parlare della sua esperienza in Africa di qualche anno fa, sfociata poi in una (bellissima) mostra sui Masai. Invece un incontro che doveva durare una mezz’ora si è trasformato nel primo di una serie nel suo studio di Supino, durante i quali ci racconta la storia affascinante dell’arte vissuta in prima persona dagli anni 60 in poi. Iniziamo dall’arte degli anni 60 in quel periodo la cultura era predominante a sinistra, lo è ancora, ma allora era decisamente a sinistra, i movimenti artistici di destra non esistevano proprio. Per cui possiamo dire che la cultura di sinistra nasce negli anni 60? Non c’è una data precisa in verità. Ma era vero oppure è stata solo una definizione generalista per catalogare un periodo storico? In linea di massima era vero, i media e la maggior parte delle 38

opinioni degli intellettuali erano di sinistra, bisogna tener presente che il fascismo era finito solo da qualche decennio e se mai ci fossero stati la storia li aveva messi da parte. Si potrebbe pensare oggi che c’è la destra al governo che ci sia anche un movimento culturale di destra, non è così. Se vai a vedere la stragrande maggioranza di scrittori, pittori, artisti sono tutti di sinistra. Curiosa questa cosa, ma forse è così perché la destra non è stata mai percepita come un movimento sociale, popolare. Poi la pittura e la cultura in genere guardava l’America. Con l’avvento della pop art, la best generation la cultura underground, nascono autori di nicchia e c’è la diffusione delle filosofie orientali. Il panorama culturale è in fermento. Vero, ma come spieghi che dopo un momento di ascesa inarrestabile questi movimenti, ad esempio la beat generation, sono implosi. Il sistema a un certo punto ha collassato. Ma vedi storicamente è sempre successo che gli avvenimenti vengono superati per fare posto a nuove idee a nuovi modi di pensare, per cui direi che non sono implose, ma semplicemente si sono evolute. Noi per esempio stiamo registrando questo incontro per una rivista online, cosa che un progetto così pochi anni fa non l’avresti mai immaginato. In questi ultimi anni forse qualcosa sta cambiando per esempio il segretario della quadriennale Romana, esponente di A.N. e no-


minato dal governo, ha tra i suoi selezionatori tutti giovani storici di sinistra, come vedi il rapporto è sempre a sinistra. Tornando ai movimenti di quegli anni anche se è improprio fare discorsi di destra o di sinistra, resta il fatto che proprio in quegli anni venivamo spesso invitati a partecipare a mostre collettive organizzate dai partiti (di sinistra ndr) ma non si prendeva un soldo, diciamo che ne ricavavamo una “gratificazione intellettuale” dovuta alla condivisione delle idee. In America questa dicotomia della cultura tra destra e sinistra esisteva? No, o almeno non così netta. Si è scoperto nel tempo che la CIA, pare abbia contribuito a gestire le sorti del mercato dell’arte.

Renato Guttuso - www.guttuso.com

toriche e letterarie. C’era questo gruppo di pittori figurativi come Renzo Calabria, Vespigniani, Guttuso, anche se Guttuso era molto avanti, lo chiamavamo l’imperatore, all’epoca era già molto apprezzato. Un disegno di Guttuso da una parte all’altra di piazza del popolo, diciamo da Rosati che era il ritrovo degli intelletuali di sinistra a Canova dove c’era il ritrovo della borghesia, si tramutava in assegno, per darti idea del mercato che aveva Guttuso a Roma. C’è un mio amico Ettore Masci, un pittore molto interessante, che sosteneva, chiaramente in maniera ironica, che avremmo dovuto chiedere i danni a Guttuso per il

Perché questo interesse da parte della CIA a turbare il mercato dell’arte? Perché si riteneva che la pittura, iconica, (figurativa) in Europa era rappresentativa di quel realismo socialista vicino alle ideologie dell’est. Oggi le informazioni, grazie a mezzi come internet, canali satellitari viaggiano in tempo reale, dandoci l’opportunità di conoscere culture e renderci partecipi di eventi geograficamente a noi distanti. In quegli anni non deve essere stato semplice, vivendo in provincia, percepire i cambiamenti sociali. Effettivamente, benché si avvertissero, venendo dalla provincia (da Avellino ndr) si vivevano un pò come dire… di riflesso. Fu grazie ad Antonello Trombadori che venne qui in provincia e mi convinse ad andare a Roma perché riteneva che avessi i presupposti giusti per avere un ruolo personale all’interno del movimento artistico della capitale. E io segui il suo consiglio con molto coraggio. Poi il movimento rivoluzionario del 68 che ci ha fatto sognare e nello stesso tempo ci ha segnati un pò tutti. Come ti ho detto prima, sono momenti, che inevitabilmente sono destinati a cambiare, ad evolversi, comunque belli ed intensi nell’istante in cui li vivi. Ma che aria si respirava in una città come Roma? Roma era una città VIVA con le varie correnti pit39


“quasi”monopolio nel mercato dell’arte. Poi c’era il cinema. Roma era la città di Fellini, di Moravia, di Pasolini. Ricordo che il cinema era una grande azienda che dava lavoro a trecentomila persone.

qui a Supino. Fu lui a suggerirmi la campagna di Supino come luogo ideale per dipingere. A Supino c’era anche Aldo Turchiato che era allora un pittore di avanguardia e viveva qui, poi ha venduto ed è tornato a Roma. Pensa che Turchiato in quel periodo in cui viveva a Supino partecipò e vinse la quadriennale. Tutto questo per dire che era un momento magico per l’arte e non solo.

A cinecittà ci aveva messo mano Andreotti, fu grazie a lui che arrivarono le prime grandi produzioni americane. Non lo so, Andreotti metteva mano un pò da per tutto. Cinecittà nacque per volere del duce (l’Istituto Luce diventato, grazie ai cionegiornali dell’epoca, un archivio storico dell’epoca. ndr) perché avrebbe voluto osannare con le produzioni cinematografiche il proprio regime. Ma a Roma c’erano i pittori di varie correnti, autori astratti e figurativi che in qualche modo convivevano. Frequentavano i salotti dei borghesi di sinistra romani, le famose terrazze romane di Marzotto, di Ripa di Meana, Sargentini, famiglie benestanti di Roma che avevano il piacere di invitare gli artisti.

Parallelamente in quel periodo, in America, nacque il movimento della pop art. A Venezia nel ’62 esposero gli artisti della pop art. Andammo a Venezia a vedere la biennale, eravamo giovani, e ci trovammo davanti a questi quadri immensi, a delle figure ripetitive. Cercavamo di capire il senso di tutto ciò. Il senso era l’infinito, perché Marilin Monroe, apparteneva già al mito… per sempre, era come la coca cola, famosa in tutto il mondo. Erano icone che appartenevano a tutti grazie ai media che ne avevano diffuso l’immagine.

Insomma in qualche modo c’era una serie A e una serie B degli artisti. Si però noi avevamo alle spalle persone come Martini, che aveva messo su una delle più belle gallerie di Roma. Avevamo dei critici come Dario Micacchi, Tonino Trombadori, a Roma c’era Duilio Morosini che è stato anche qui a Supino. Era un grande critico del Corriere della Sera che prese casa in campagna

È stato quello il momento in cui è nata l’interazione tra l’arte e i media? Si, assolutamente, i media erano il collegamento con la gente. Ma sai dove ho compreso realmente la forza della pop art? quando sono andato a New York. Tra l’84 e l’85 mi sono ritrovato al moma di New York a vedere un antologica di Andy Wharol. Al40


l’uscita dalla mostra, fuori dal museo, ho incrociato un uomo di colore che trasportava una rete, credimi immensa, piena di lattine vuote di coca cola, di aranciata, icone che avevo appena ammirato in galleria reinterpretate da Wharol. È stata un’emozione, loro stavano dipingendo la vita e noi invece ancora a rappresentare la lotta di classe, legati agli ideali del ‘68, c’era qualcosa che non funzionava.

LP

Possiamo dire Italo che l’ideologia, forse, alla fine ha impastoiato l’estro di voi artisti in quel periodo. Questa, è una bella domanda, in un certo senso si, soprattutto quando sei giovane. Ma poi si cresce, si acquisisce l’esperienza e la maturità che ti aiuta nel percorso artistico. Mi ricordo l’emozione di una mostra del gruppo cinque, organizzata in occasione di una visita a Frosinone di Carlo Levi. Partecipai con un quadro sull’affrancazione delle terre, ero giovane e c’è sempre timidezza quando sei di fronte ad un maestro, una persona di cultura come Carlo Levi, così descrivendogli il quadro, quasi giustificandomi, gli dissi: “è sull’affrancazione delle terre ma non ho raffigurato i contadini”. Carlo Levi, di rimando: “meno male, perché non è necessario che tu per far vedere un contadino che soffre debba fare il suo ritratto che piange”. Voglio dire che poi la voglia, la necessità di sperimentare nuovi linguaggi, è insita nell’artista e difficilmente può essere condizionata da eventi esterni. Per inciso, il quadro vinse il primo premio di centomila lire, all’epoca equivalevano a due miei stipendi di insegnante. Bisogna dire che l’influenza politica in Italia ha funzionato in tutti i campi dell’arte ma anche in alcuni settori professionali, mi riferisco al teatro, alla musica, al cinema che hai citato prima. Ma, certe cose vanno dette, ormai a bocca ferma, quelle poche volte che la destra ha tentato di escludere la sinistra da eventi sono venute fuori cose poche dignitose. Ora la comunicazione è confusa è un momento di transizione dove i vari linguaggi si sovrappongono e gli schemi classici saltano. Ma forse anche qui è solo un momento di transizione, forse c’è bisogno di sviluppare nuovi linguaggi e soprattutto costruire nuovi schemi di valutazione, ma magari ne parliamo la prossima volta. 41


Italo Scelza, pittore e docente di pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma. Negli anni ‘50 è a Napoli per ragioni di studio. Nel 1960 soggiorna in Ciociaria, per poi trasferirsi a Roma. Nel 1970 prende studio a Milano. Dal 1962 è presente senza interruzioni nelle più importanti gallerie italiane. Sempre attento nell’annotazione del momento sociale dell’arte, è un nome ricorrente nelle mostre di forte tensione storica. I suoi primi interventi sul territorio iniziano nel 1973 a Gualdo Tadino (Immaginazione e Potere - Editori Riuniti), nel 1974 a Saronno (L’Uomo e la città), (Festival Mondiale della Gioventù di Berlino), nel 1979 (Le Piazze di Messina: Ipotesi per un gioco), nel 1980 (De Umbris Idearum - La Macchina della Memoria di Giordano Bruno). è specialista della venerazione per la memoria storica come tale ma rivissuta, e riedificata con lo spirito inquieto e dialettico della cultura contemporanea. A questo proposito si possono citare due interventi importanti: Gli Stucchi Colorati dal Sole (lettura del fiammeggiante Barocco di Catania) con testimonianza di Paolo Portoghesi e La Piazza diventò Teatro rigenerazione della possente manifestazione dei Gigli di Nola. Nel 1986 partecipa alla XI Quadriennale con un grande trittico Gli Uomini della Ricostruzione e nello stesso momento dipinge un altro trittico Il Gioco degli Scuri.

Italo Italo

Scelza Scelza

biografia

biografia

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Nel 1989 inizia l’esperienza americana soggiornando prima in Canada tenendo una mostra personale a Toronto e poi in California tenendo una mostra in S. Francisco. Le sue opere sono in molte collezioni pubbliche e private sia in Italia che in Europa. Negli ultimi due anni Italo Scelza rilegge pittoricamente La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, l’opera ottocentesca nella quale il grande pittore francese avverte il dramma dell’uomo di oggi. Scelza vive attualmente tra Roma e il suo studio di campagna in Ciociaria nel territorio di Supino. Tra i suoi ultimi studi interessante la sua ricerca su Leonardo in collaborazione con il Prof. Carlo Pedretti, con il patrocinio dell’Hammer Museum di Los Angeles e un ciclo di opere sul popolo Masai.


ottanta e non sentirli 31 43


M-I-C-K-E-Y M-O-U-S-E!

Strano percorso di un topo che incarna il sogno americano, celebrato da filmaker del calibro di Stanley Kubrick che lo consacra nel finale di Full Metal Jacket facendo cantare ai marines l’inno del club di topolino. Niente male per un topo nato nel 1928 da un immigrato irlandese che non era riuscito neppure a prendere il diploma di liceo. Un topo tosto che resiste impavido anche all’assalto delle nuove tecnologie come videogame e web. Combatte imperterrito l’attacco impari di schiere di supereroi, vampiri, mutanti che ormai occupano schermi grandi e piccoli.

La trasformazione in eroe difensore del bene avvienne durante la grande depressione che l’economia aveva provocato (ma guarda un pò) nel 32. Essa obbligò Disney a ridisegnare le attitudini del topo come protagonista positivo che potesse aiutare a risollevare il morale. Un cavaliere senza macchia e senza paure chiamato a salvare Topolinia da ladri e malfattori.

Fu questo forse la causa del flop di Fantasia (almeno al suo debutto) che ripropose un topo imbranato e pasticcione, contravvenendo alle attese di un pubblico che lo aveva identificato “nell’eroe americano” Strano percorso dicevamo, nei suoi primi passi dise- per eccellenza. gnati da Walt Disney e animati da Ub Iwerk, prima Ma dopo aver sfiorato il disastro, la geniale intuidella presentazione ufficiale e della distribuzione il zione di Disney trasformò una landa desolata a sud 18 novembre del 1928 di Steamboat Willie, “Mino di Los Angeles nel primo parco di divertimento: del vaporetto”, il topastro era un tipetto poco rac- Disneyland, rilanciando definitivamente il topo nelcomandabile e Minnie, che conobbe in un locale lo- l’immaginario di un’intera generazione. sco come la “Cantina argentina”, dove lei ballava il tango e civettava con un tipaccio zoppo, con una Strano destino di un topo nato discolo, insignito delgamba di legno, (che diverrà negli anni il nemico/ lo stato di eroe americano e finito per approdare in amico di topolino) era una topina sveglia e civettuo- Italia. la. Nello stesso cartoon il topastro, poco eticamente, Da quando ricordo i primi “topolino” che ci si scamsi presenta scaraventando fuori bordo un pappagallo biava con il giro di amici le storie erano già italianizpetulante con un gesto che oggi indignerebbe più di zate, così come i disegni della città di topolinia più un animalista. tipica alle nostre città che non alle metropoli ameri44


cane. Anche il profilo caratteriale di Topolino e dei suoi amici era tipicamente italianizzato, così come i titoli degli album che parodiavano i film polizieschi in voga negli anni 70 o parafrasavano i titoli della tradizione letteraria italiana, fino ad arrivare ai nostri giorni con l’alter ego del giornalista Mollica e di Totti. Prima ancora degli avatar di second life. Come spiega il direttore di Topolino, la milanese quarantenne Valentina De Poli su la domenica di repubblica: «La “comunità” Disney a Milano è composta da circa duecento fra sceneggiatori e disegnatori. In redazione siamo una quindicina, più i collaboratori… ». Topolino in ottant’anni ha percorso, interpretato, incarnato il vissuto storico e sociale che ha interessato il popolo americano ed europeo integrandosi e “globalizzandosi” in un percorso che lo porta, oggi, all’apertura in Cina della sua Disneyland. Non male per un topastro di ottant’anni... e allora ancora una volta intoniamo la Mickey Mouse Club March (parole e musica di Jimmie Dodd, 1955) Who’s the leader of the club That’s made for you and me? M-I-C-K-E-Y M-O-U-S-E! Hey there, hi there, ho there, You’re as welcome as can be! M-I-C-K-E-Y M-O-U-S-E! Mickey mouse! Mickey Mouse! Forever let us hold our banner high! (High, high, high!) Come along and sing the song and join our jamboree! M-I-C-K-E-Y M-O-U-S-E! e buon compleanno!!!

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cinema: in sala e dalla rete. Apriamo questa rubrica seguendo lo spirito con cui è nata Clatter e cioè di dare visibilità (nei limiti del mezzo, senza essere ambiziosi) a progetti alternativi che magari non trovano la giusta attenzione sui media tradizionali. Senza per questo rinunciare, quando ci capita, di pubblicare interviste o interventi di personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura famosi.

http://ilmiofilm.wordpress.com/ A dire il vero TORNO SUBITO è diventato un caso ed è stato ripreso ampiamente dai media. Giustamente. Perché il film, che si scarica gratuitamente dalla rete in diversi formati compreso l’alta definizione, è bello! È girato con perizia e sicurezza, ha una bella fotografia vincendo alla grande per qualità su molte produzioni che ci propinano le varie reti RAI e Mediaset. Gli attori sono bravi e mi sembra quasi ingiusto evidenziare i due protagonisti Tiziano Scrocca Alberto, Federico Battilocchio Michele. Il film è liberamente tratto dal racconto “la Scimmia” di Pietro Grosso (Trent’anni. Scrive da quando ne ha otto. Ama gli scrittori americani, Hemingway, Salinger... Ha frequentato la Scuola Holden, poi ha pubblicato una triade di racconti che ha avuto molti elogi). Abbiamo provato a contattare il regista Simone Damiani e ci riproveremo per avere una vera intervista. Quello che segue sono alcune considerazioni fatte dagli autori che abbiamo riprese dal loro sito e riportiamo per “dovere di cronaca”. Non siamo una casa di produzione. Non siamo una associazione. Siamo solo un gruppo di giovani professionisti del settore cinematografico che hanno un solo scopo nella vita: dimostrare che si può fare cinema senza essere “figli di…” e senza “darla a…”. 46

«Torno Subito» sceneggiato e diretto da Simone Damiani


Come l’abbiamo fatto? Per noi, fare cinema vuol dire partecipare ad uno sport di squadra. E la formazione che vince non è quella fatta di fuoriclasse, magari talentuosi ma egoisti. Il team vincente è quello dove si riesce a “fare squadra” … dove tutti rispettano il proprio ruolo e quello degli altri… dove i campioni danno una mano alle “schiappe”… dove i gol sono più importanti dei dribbling… dove non ci si preoccupa dei risultati, ma si gioca con la consapevolezza che con tanto impegno e con un po’ di culo i risultati arrivano ! Nessuno di noi credeva che ci saremmo riusciti quando ci siamo incontrati per la prima volta. Era un freddo sabato pomeriggio di Dicembre. Grazie ai social network ci siamo cercati e ci siamo trovati. Ed è successo. Abbiamo “fatto” un film. L’abbiamo immaginato, l’abbiamo girato e l’abbiamo montato. Ora dobbiamo distribuirlo . E vogliamo farlo sfruttando la rete, grazie alla collaborazione di tutti quelli che hanno fatto del web le propria seconda casa e lo conoscono come le proprie tasche. Il film è stato girato in alta definizione reale . Questo formato permette un eventuale gonfiaggio in pellicola senza che l’immagine appaia sgranata, in vista dell’eventuale distribuzione cinematografica. Quanto è costato? Il nostro lungometraggio è costato: nulla! Nessuno di noi ha percepito alcuna retribuzione per il film. Anzi. Tutti hanno messo a disposizione del progetto quello che avevano da condividere. C’è chi ci ha messo la macchina da presa, chi l’attrezzatura fonica, chi la propria esperienza oppure semplicemente la propria gastrite. La nostra paga è il progetto stesso; il fatto di costituire una squadra di lavoro efficiente sarà una opportunità concreta di svolgere lavori retribuiti in un prossimo futuro. Oltre a voler fare un buon lavoro, la nostra attenzione è stata rivolta all’ecologia. Questo film ha infatti avuto un BASSO IMPATTO sull’ambiente. Piuttosto che i comuni supporti magnetici o ottici, che vanno sostituiti spesso, abbiamo optato per un sistema di registrazione che sfruttasse delle memorie flash, riutilizzabili per infinite volte. Inoltre, ogni oggetto che appare nel film è stato recuperato in cantine polverose o mercatini dell’usato. La troupe, invece dei canonici cinemobile, si è spostata utilizzando mezzi pubblici; quando impossibile, si è adottato il car sharing.

LA TROUPE: Simone Damiani Regista, sceneggiatore; Francesca Sofia Allegra Aiuto regista, montatore, collaborazione alla sceneggiatura; Barbara Di Micco Direttore di produzione; Fabio Tibaldi Operatore, Direttore della Fotografia; Antonino Musco Fonico di presa diretta; Luca Damiani Scenografo; Fabrizio Federico Scenografo; Marco Ciafarone Assistente alla regia; Sebastiano Greco Assistente alla regia; Maurizio Pagni Aiuto di produzione; Giulio Diberti Macchinista; Carlo Tagnesi Assistente al montaggio; Francesca Buffardi Assistente di produzione; Valentina Barone Assistente di produzione. IL CAST: Tiziano Scrocca Alberto; Federico Battilocchio Michele; Anna Bellato Miranda; Michela Andreozzi Zia di Michele; Luca Damiani Lavavetri; Armando Vertorano Garzone; Martina Angelini Carla; Giorgia Panico Ginecologa; Lara Scifoni Segretaria della ginecologa; Luca, Azzurra e Matteo Profili Scolari; Gabriele Tarantino Agente di commercio; Claudia Orofino Agente di commercio; Antonella Del Vecchio Mamma di Michele; Valerio Mandrici Turista; Elena Mari Turista; Ivana Cortiani Adele; Patrizio De Paolis Fausto; Antonino Musco Cameriere; Roberto Bartolini Ristoratore; Giorgia Scifoni Attrice; Andrea Guerini Attore; Attilio Monti Attore; Emiliano Giammaria Attore; Luca Grossi Attore; Paola Cardenas Attrice; Leonardo Sulpizi Figlio del custode; Aisha Sulpizi Bambina in auto

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biblioteca: libri, recensioni e quant’altro Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia Tiziano Terzani l’ho incontrato nelle pagine del suo libro “Un altro giro di giostra” e nonostante il tema del libro non trattasse uno dei suoi famosi reportage, rimasi colpito dallo spessore umano del personaggio Terzani che affiorava da quelle pagine. Oggi i libri precedentemente pubblicati li ho comprati e letti (quasi) tutti e sono stati una lezione di storia sugli avvenimenti trattati e, al contempo, una lezione di vita. Ciò che mi ha colpito da subito di Terzani è la capacità di analisi trasversale degli avvenimenti; la capacità di mettere in discussione le proprie convinzioni di fronte all’evidenza dei fatti. Capire per poter raccontare e spiegare, è un po’ questa l’essenza del racconto per Terzani.

Tiziano Terzani - Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia con uno scritto di Angela Terzani Staude 336 pag., 14,88 € Edizioni Longanesi 2008 (Il Cammeo n.478)

Fantasmi è frutto del lavoro di riordino di Angela Terzani Staude del materiale sulla Cambogia, un paese amatissimo in cui il giornalista toscano ha vissuto a lungo, tornandoci più volte nella sua vita. Per oltre trent’anni, dal 1972 al 2004, è vissuto in Estremo Oriente come corrispondente di Der Spiegel e collaboratore de L’Espresso, La Repubblica e il Corriere della Sera, raccontando con articoli e libri, tutti editi da Longanesi, i grandi eventi asiatici di cui è stato testimone. La Cambogia, un paese in cui ha avuto luogo uno dei più grandi genocidi del Novecento, il terzo eccidio nella storia del secolo perpetuato da cambogiani contro se stessi. Nei dispacci raccolti nel libro emergono i lati oscuri della storia socio-politica cambogiana (il libro contiene gli scritti datati prima e dopo l’olocausto), segnati dal regime terribile di Pol Pot e la decimazione del paese per mano dei khmer rossi, raccontato con assoluta lucidità nonostante gli orrori della storia fossero lì davanti i suoi occhi. 48


La prefazione del libro è uno scrit- i paesi dell’Africa e dell’Asia combattevano per liberarsi dalle nazioni to della signora Terzani che rac- occidentali. conta il rapporto di Tiziano con la Cambogia e di cui vi trascrivo Nel 1954, Vietnam, Laos e Cambogia, i tre paesi dell’Indocina, ottenl’inizio. nero l’indipendenza dopo una lunga guerra combattuta contro i francesi. Gli Accordi di Ginevra mettevano fine a quella prima guerra d’IndoTIZIANO IN CAMBOGIA cina, ma lasciavano il Vietnam diviso tra Nord comunista, con capitale Di Angela Terzani Staude Hanoi e presidente Ho Chi Minh, e Sud prò-americano con capitale Saigon. La guerra fra le due parti, entrambe decise a riunificare il paeLa Cambogia è stata un grande se sotto la propria guida, cominciò già alla fine degli anni Cinquanta e amore di Tiziano e come ogni divenne una guerra americana quando nel 1965 il presidente Johnson amore lo ha fatto anche soffrire. mandò i primi marines nel Sud Vietnam “per arrestare l’avanzata del Gli anni in cui la frequenta sono comunismo nel mondo”. quelli centrali della sua vita e le vicende che la travolgono divenQuesta seconda guerra d’Indocina, di solito chiamata la guerra in tano per lui emblematiche del Vietnam, ma che dal 1970 coinvolgeva anche i due Stati confinanti, il male che la politica può fare al- Laos e la Cambogia, ha infiammato la nostra generazione. Come tanti l’uomo. Scopre in Cambogia una studenti, operai e intellettuali nell’Europa e America di allora, anche civiltà armoniosa, piena di belle noi eravamo di sinistra e come tutti quelli che credevano nel diritto tradizioni nel momento stesso in all’indipendenza dei popoli, anche noi abbiamo marciato e protestato cui sta per scomparire. Vede nel- contro la guerra in Vietnam. Fu così che alla fine del suo praticantato al le rovine dei templi di Angkor la quotidiano di Milano il Giorno Tiziano decise che era il conflitto in Ingrandezza dell’uomo e vede la sua docina che voleva coprire. E quando nessun giornale si disse disposto barbarie durante la guerra civile. a mandarlo in Asia, decidemmo di andarci per conto nostro. Con i khmer rossi il sogno sociali- Arrivammo a Singapore all’inizio del 1972 con due bambini piccolissta con cui era partito per l’Asia si simi e quattro valige. trasforma in incubo. Siccome con (…) la Cambogia si apre e venticinque anni dopo si chiude la sua vita di Tiziano Terzani corrispondente dall’Asia, sembra quasi che la sua storia personale e quella recente cambogiana siano andate di pari passo, che l’una abbia inseguito i meandri dell’altra. I nostri erano ancora i tempi della guerra fredda che nel dopoguerra divideva il mondo in due blocchi: quello del Mondo libero guidato dagli Stati Uniti; e quello socialista dietro la Cortina di ferro, sotto l’egida dell’Unione Sovietica. Erano anche i tempi della decolonizzazione, delle guerre che 49


«Non so come si fa a non divertirsi. Sto per morire e mi diverto. E ho intenzione di divertirmi per ogni singolo giorno che mi resta. Perché non c’è altro modo di vivere» Randy Pausch

.Mi ritrovo a girare in libreria tra gli scaffali e lo vedo tra altri libri un pò anomalo nel formato e con una sovracopertina bianca con scritte grigie e arancione: Randy Pausch con Jeffrey Zaslow L’ultima lezione La vita spiegata da un uomo che muore. Avevo sentito parlare di un video su internet di un giovane professore malato di cancro che si congeda dal suo campus e dai suoi studenti con un ultima lezione… fine. Confesso che non avevo cercato il video ne tanto meno approfondito l’argomento. Lo acquisto. Lo leggo in un paio di giorni. Ho un amico pugile che una volta mi ha detto che il colpo peggiore sul ring è ricevere un pugno sotto al mento, ti cedono le gambe e in un attimo sei a tappeto. Ecco credo che l’effetto per il lettore del libro possa essere questo, solo che non si finisce a tappeto ma, in compenso, ci sente abbastanza idioti nel sentirsi raccontare la bellezza delle cose comuni che ognuno di noi fa durante il giorno, cose come giocare con i figli, lavorare con i propri collaboratori, fare una passeggiata e mille altre azioni “banali” da un uomo di 47 anni nella cui vita irrompe il cancro condannandolo senza appello. Eppure nonostante la crudele realtà che piegherebbe le gambe a chiunque, riesce ad affrontare i suoi ultimi giorni con serenità e gioia. La gioia di chi si ritiene “fortunato” di sapere il tempo che gli rimane a disposizione e che ne

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fa tesoro per sé e per la propria famiglia, non pensando che quell’ultima lezione, lasciata nelle intenzioni come eredità per i suoi figli, ci regali anche a noi sconosciuti lettori suggerimenti per ristabilire la scala delle priorità e valori nelle nostre vite. « I muri non servono per fermare chi davvero desidera davvero qualcosa. Esistono per fermare gli altri». L’ultima lezione l’ha intitolata “Realizzare davvero i sogni dell’infanzia” ecco il senso della vita per Randy è racchiuso tutta in questa frase, e dalle pagine del libro è chiaro che lui li ha realizzati e il cancro che lo ha portato via è stato un incidente di percorso che può capitare, ma che nulla toglie a ciò che si è vissuto.

Randy Pausch con Jeffrey Zaslow L’ultima lezione La vita spiegata da un uomo che muore. Rizzoli editore, Euro 15,00

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Note in rete: segnalati o scovati nella rete Carmine

Fanigliulo

“Ma la cosa più bella che hai scoperto in tutti questi viaggi sono questi Occhi, grandi come il mare… Io ho già visto l’alba entrare negli occhi tuoi… allora guardo dentro gli occhi tuoi e vedo amore…” In queste parole, stralciate da una delle canzoni più belle, una di quelle che ci piacerebbe dedicare a chi amiamo, ritroviamo una sua caratteristica di sempre: i sentimenti profondi, grandi come il mare, “pieni di parole vere che nessuno sa”. Non è un CD che parla solo d’amore, pur dedicando all’amore più grande del mondo, l’Amore che verrà nella dolce attesa della maternità, il ritmo quasi cullante di ballata. Così ancora nei 9 brani che lo compongono ritroviamo l’amore grande alla vita, alle città ed atmosfere nuove, addirittura

alla Lunà, in un’atmosfera resa davvero lunare dalla rielaborazione strumentale con cui Carmine fa suo questo interessante brano in vernacolo di Claudio De Vittorio. Ma l’amore più grande e vero, il viaggio più interessante che Carmine compie e condivide con noi, attraversa il mondo della musica. La SUA musica. Quella che non dice solo nei testi, nel Diario di bordo che con travolgente atmosfera mediterranea chiude il CD, nei “ricordi che non vanno via”, ma dentro ogni singola nota. Carmine è artista eclettico e solidamente formato, si porta dentro la musica di Baglioni come i corali di Bach, è capace di suonare e improvvisare alla tastiera ma anche d’eseguire alla viola un’impeccabile quartetto di Beethoven. E allora propone sonorità eleganti con la scelta di inserire il quartetto d’archi, caposaldo delle composizioni classiche, che s’alterna o si fonde col pianoforte, asseconda ritmicamente le percussioni o s’intreccia armonicamente assieme a chitarre e fisarmonica… Volutamente solo archi nel Preludio al viaggio, per proporre quel tema musicale che gli risuonava dentro sin da adolescente, quasi il leit-motiv di questo viaggio in molteplici mondi sonori, e che ritroviamo sviluppato in seguito. Cosi è una sorpresa il ritmo quasi spensierato con cui subito dopo la sua voce ci fa intraprendere Il Viaggio, col pizzicato ritmico degli archi e l’atmosfera amplificata in eco del ritornello. In cammino per le vie di Roma a tempo di valzer, quasi a ritrovare la storia antica di questi “palazzi e musei” nei timbri degli strumenti classici. Un viaggio che spicca il volo attraverso le ali 52

della “farfalla variopinta” della poesia L’emigrante, sottolineata dal tema iniziale, qui rielaborato per rendere sempre vario ma coerente il percorso. Le radici di tutto però le ho ritrovate nel brano centrale, quasi un’autobiografia a partire dall’inserimento del ritmo di pizzica, così caro al nostro Salento, alternato ad un’interessante giro di basso che sostiene gli archi. Il viaggio inizia da “un tempo che più non verrà”, quello degli anni di scuola in cui “già nasceva dentro questo mio cuore un po’ di libertà.. la musica”; c’è chi parte c’è chi resta, E siamo noi “che ci guardiamo un po’ più grandi”, come ci racconta Carmine, che davvero ha “messo in musica la sua realtà”. Grazie per averla voluta condividere con noi.

URL MySpace: http://www.myspace. com/ carminefanigliulo Sito Web del gruppo carminefanigliulo.it Influenze: Dalla musica da camera a quella cantautorale, passando per i Beatles Etichetta:unsigned


Psicosuono

album – “Aut Aut”, finanziato dall’etichetta indipendente Ambrosiana e realizzato grazie alla preziosa collaborazione del produttore artistico Livio Magnini (Bluvertigo, Giorgia, Jetlag, Rezophonic). “Aut Aut”: o questo, o quello. Gli Psicosuono hanno deciso di utilizzare l’espressione latina come titolo del loro primo album, allo scopo di indicare sin dall’inizio il filo conduttore che lega le canzoni in esso contenute: la scelta.

Gli Psicosuono nascono nel 2004 a Paderno Dugnano (MI) su iniziativa di Stefano De Marchi e di Elisabetta Giglioli. Con la collaborazione di Emanuele Luisi e di Antonello Colamonaco prende vita un progetto rock originale aperto a contaminazioni jazz, blues, funky e classiche, dichiaratamente ispirato all’atmosfera progressive internazionale degli anni ‘70. Il nome “Psicosuono” é evidentemente un neologismo coniato per indicare la volontà della formazione di esplorare – attraverso un suono originale ed evocativo – gli spazi misteriosi e reconditi della psiche e dell’animo umano. La ricerca artisticopsicologica degli Psicosuono si riflette anche nei testi delle loro canzoni, poesie in lingua italiana aperte alla più libera interpretazione di chiunque le desideri leggere o ascoltare. Gli Psicosuono si presentano al pubblico nel 2008 con il loro primo

Il genere dei brani, rock progressive aperto a contaminazioni di vario tipo (funky, jazz, pop...), esprime con le sue sfaccettature la continua alternativa che si pone all’ascoltatore – coinvolto in atmosfere alle volte sognanti, in altri casi misteriose, ipnotiche o surreali. I testi delle canzoni, poesie in lingua italiana, sono pregni di allegorie e metafore che consentono – a seconda dell’esperienza e della sensibilità del singolo ascoltatore – interpretazioni differenti dello stesso brano. Gli Psicosuono manifestano con questo album la loro passione per il rock degli anni Settanta, periodo che ha visto fiorire fenomeni quali Pink Floyd, PFM e Genesis – a cui il gruppo si ispira. Non mancano però le novità, derivanti dalle contaminazioni moderne e da un modo originale di interpretare il Rock in lingua italiana. “Aut Aut” vuole quindi essere una riscoperta in musica del valore dello scegliere nella vita di tutti i giorni, perchè 53

solo attraverso l’esercizio della scelta – ad ogni livello – ci si può considerare uomini liberi. I brani di “Aut Aut” sono al momento in rotazione radiofonica sia in Italia che su alcune emittenti estere - Venezuela, Illinois, Grecia; l’album – edito da Salazoo Edizioni Musicali – è disponibile nei negozi della catena “Venus”, ed è scaricabile on-line sui maggiori stores digitali (tramite la casa distributrice Pirames International).

URL MySpace: http://www.myspace. com/psicosuono Sito Web del gruppo:psicosuono. com Componenti del gruppo: Elisabetta Giglioli (vocalist, keyboards and percussion), Stefano De Marchi (guitars), Antonello Colamonaco (bass), Emanuele Luisi (drums, percussion). FOR MORE INFO info@psicosuono. com; elisabetta@psicosuono.com; stefano@psicosuono.com Tipo di etichetta:Major


C L AT T E R

w w w. c l a t t e r. c o m

Amy Humphrey bassista e Joe Hayes batterista, sono i componenti del gruppo Clatter. Confesso di essere incappato sul loro sito: www.clatter.com per caso, volevo registrare anche il dominio.com, ma non solo era già preso, ma era di una band formata da un batterista e da un(a) bassista. Quando si dice il caso. Clatter è una formazione atipica nel panorama dei gruppi di musica Rock . In molti non credevano possibile il progetto di Hayes di suonare musica rock progressive senza almeno un chitarrista. Ma lo scetticismo ha reso ancora più determinata la coppia a rendere credibile il progetto. I singoli talenti di Hayes alla batteria e di Humphrey al basso e voce, ha fatto sì che il duo si trasformasse in una band a tutti gli effetti, ricreando un sound pieno e avvolgente. Una sezione ritmica agile e vigorosa al servizio della voce di Amy. La maturità è giunta con l’album Monarch con una dozzina di canzoni in equilibrio costante tra l’aggressività della sezione rit54


mica e l’emotività dei testi efficacemente riprodotti dalla voce di Amy. Il loro è un sound in continua evoluzione e, il fatto di essere difficilmente catalogabili, alla fine si rivela la loro forza. Il loro incontro risale ai tempi universitari (Kansas University). Grazie ad un amico in comune, chitarrista, formarono un trio, un progetto che non ebbe grande fortuna, ma servì comunque a far conoscere i due. Dopo le rispettive laure: Hayes in letteratura inglese e Humphrey sia in letteratura francese che russa, nei primi anni 90, con la scena grunge in piena evoluzione si trasferiscono a Seattle. I due formano un quartetto e dopo una breve esperienza con il produttore Don Gilmore (Linkin Park e Good Charlotte) tornano nel midwest, rilevando la fattoria del nonno di Hayes in una zona rurale chiamata Bunceton (300 abitanti). Nonostante le difficoltà degli spostamenti per i concerti, l’isolamento fa bene alla creatività della band. Il loro approccio al rock è qualcosa di completamente unico nel suo genere. L’idea di aggiungere distorsori e altri effetti sul basso per renderlo più simile ad una chitarra senza perderne l’identità ha creato un suono davvero cool. Dopo il primo lavoro del 2003 “Blinded By Vision”, si è arrivati nel 2007 con l’album “Monarch” ad un suono più melodico grazie ad un lavoro meticoloso sulla voce oltre che sugli strumenti.

www.clatter.com Monarch 2006

Una visione così innovativa si estende anche nella promozione del nuovo album e internet si rivela il mezzo vincente per farsi conoscere al di fuori dei propri confini. Si tratta di una band in cui unità e individualità sembra camminare mano nella mano, una band per chi cerca qualcosa fuori dalle classiche Top 10. Restiamo in attesa del prossimo album. 55


Ephemeris

Alternative | Rock | New Wave “…Le produzioni degli Ephemeris si dividono in composizioni elettriche dove le chitarre, il ritmo, e il suono saturo la fanno da padrone; e brani acustici dove invece prevale tutto il tepore del suono caldo di una chitarra acustica e di una ritmica appena sfiorata. Questa dicotomia porta alla naturale nascita di pezzi ibridi che racchiudono in sé tutta la poetica del gruppo…” Gli Ephemeris attualmente sono Sara Mazzer (voce), Moret Antonio (chitarre), Davide Soldan (basso), Stefano Costella (batteria), Ambra De Polo (pianoforte, tastiere) e Giulia Galasso (violino). Il progetto nasce nell’hinterland Trevigiano nella primavera 2003 dall’idea di Sara, Antonio e Davide. Il background musicale di ciascun componente del gruppo è molto vario e si estende dal rock/prog alla classica, dal folk alla musica acustica, per arrivare fino al metal. Sperimentando, l’obiettivo è quello di creare uno stile ibrido

che misceli tutti questi generi. Il risultato prende forma in una struttura crossover moderna che varia dalla potenza dei suoni distorti all’atmosfera più rilassata e intima della dimensione acustica. Nel 2004 gli Ephemeris auto-producono il loro primo demo di 3 brani. Nel febbraio 2006 entrano in studio presso l’ArianivaStudio di Maurizio Carraro per dare vita a “Dipinta di sole”, un full-lenght totalmente auto-prodotto di 9 tracce, otto in italiano ed una in latino. Il cd, distribuito quasi esclusivamente ai concerti, vende quasi 200 copie nella sola prima settimana dall’uscita; ottiene anche varie recensioni su webzine e magazine del settore. Nel frattempo il gruppo, oltre alle performance live, continua a comporre brani, anche con testi in inglese. Il 2007 segna vari cambiamenti con l’arrivo di Stefano alla batteria, Ambra al pianoforte e Giulia al violino. I nuovi elementi danno un contributo tecnico/artistico importante 56

per la riuscita sia dei nuovi brani che delle precedenti produzioni. In quel periodo c’è l’accordo con Alkemist Fanatix Europe per la gestione del management e della promozione; la collaborazione porterà gli Ephemeris alla firma di un contratto di produzione artistica con Black Fading/Action Directe, label indipendente ideata e concepita da Cristiano Santini, ex lead vocal dei Disciplinatha, band di riferimento nel panorama underground italiano durante gli anni 90, e svariate produzioni come produttore artistico, sound engineer, remixer per svariate band: C.S.I – Soerba – Luciferme – Argine, ecc.. Tra ottobre e novembre 2007 inizia, con Black Fading, la pre-produzione ai brani che andranno a comporre il primo album ufficiale della band, che verrà registrato presso il Morphing Studio (Bologna) nei primi mesi del 2008. L’uscita del disco è prevista per l’nizio 2009.

www.ephemerisrock.it www.myspace.com/ephemerisrock


rock/pop: Paolo Conte, Anna Oxa, Gianni Morandi, Tulliåo De Piscopo, Alexia, Elio delle le Storie Tese, Cheryl Porter, Carl Anderson ed altri. Con tutti questi musicisti ha inciso oltre 30 cd ed ha suonato nei più importanti festival e teatri del mondo in Italia, Svizzera, Francia, Brasile, Canada, Germania, Ecuador, Inghilterra, Spagna, Austria, Belgio, Grecia, India, Lussemburgo, Olanda, Macedonia, Polonia e Usa. Dal 1995 comincia a suonare in varie formazioni del batterista

dei progetti: “Solo”(con chitarre acustiche), “Trio” con (Riccardo Fioravanti e Stefano Bagnoli) e co-leader dell’“Italian duet” con Danila Satragno, “Trio Bobo” con Christian Meyer e Faso. Lo stile di Alessio Menconi coniuga energia e lirismo, tradizione e innovazione ed è ciò lo rende uno dei più apprezzati chitarristi sulla scena.

Alessio Menconi chitarra e composizione Alessio Menconi nato a Genova, studia da autodidatta e dall’86 suona professionalmente. È vincitore del premio AICS JAZZ al Gran Prix du Jazz nel 1992 e del premio Eddie Lang a Monteroduni nel 1993 come miglior chitarrista jazz italiano. Sulla scena da vent’anni, Alessio Menconi ha maturato grandi esperienze al fianco di moltissimi artisti americani ed europei del calibro di Billy Cobham, Danny Gottlieb, Daniel Humair, Marcio Montarroyos, Adrienne West, Carl Anderson, Peter Washington, Albert “Tootie” Heath, Red Holloway, Franco Ambrosetti, Gary Bartz, Bob Mover, Gary Husband. Alessio Menconi ha dato il suo apporto ad artisti internazionali anche in ambito

Billy Cobham e dallo stesso anno al 2004 suona con Paolo Conte, sia in studio che in vari tour mondiali. Nel 2003 ha partecipato come unico italiano ad una compilation su Jimi Hendrix in compagnia di Robben Ford, Steve Lukather, Hiram Bullock, Larry Coryell e ultimamente intraprende, in trio, tour in India, Brasile ed Ecuador. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive sia Rai che Mediaset ed a varie colonne sonore per cinema e teatro. Dal 2006 è docente di chitarra jazz al conservatorio “Ghedini” di Cuneo e “Paganini” di Genova. Dopo molti anni di collaborazioni prestigiose, attualmente è leader 57

www.alessiomenconi.com www.myspace.com/alessiomenconi


scanner: l’informazione (scannerizzata) dai media. copertina dicembre 2008 Rolling Stone

Appreziamo e plaudiamo la scelta di Rolling Stone di nominare

Roberto

Saviano Rockstar dell’Anno

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IL CONIGLIO È TORNATO...

Bettie Page è entrata nel mito! A volte il destino si diverte a incrociare gli eventi a dicembre è tornato in edicola il primo numero dell’edizione italiana di Playboy, completamente rinnovato nella grafica e nella linea editoriale. Contemporaneamente è venuta a mancare Bettie Page, all’anagrafe Betty Mae Page (Nashville, 22 aprile 1923 – Los Angeles, 11 dicembre 2008), modella statunitense conosciuta per essere stata una delle prime e più note pin-up. Nel gennaio 1955 Hugh Hefner la scelse per essere “coniglietta” del mese. Le sue foto in bikini o in impalpabili completi di biancheria intima, senza disdegnare pose e abbigliamenti sadomaso furono un preludio alla rivoluzione sessuale degli anni ’60. La pelle levigata, gli occhi blu profondo, la chioma corvina, il sorriso innocente e l’aria di ragazza della porta accanto sono stati i suoi marchi di fabbrica e, allo stesso tempo, una combinazione fascinosa esplosiva, tanto da fare di lei una leggenda. Il suo primo portfolio da pin-up è del 1950 ad opera di Jerry Tibbs, un ufficiale di polizia con l’hobby della fotografia. Nel 1952, Irving Klaw la cerca per il suo “Movie Star News”, unico e famosissimo catalogo di pin-up, con ambientazioni inerenti il bondage, il sadomaso o il fetish. Si ritirò dalle scene nel 1957. www.bettiepage.com 59


BONO UOMO DELL’ANNO

UN NOBEL PER BONO Bono degli U2 ha ricevuto l’onoreficenza per il suo impegno a favore dell’Africa, in occasione della cerimonia parigina di venerdì 12 dicembre, il premio

‘Nobel per la Pace’ come Uomo dell’Anno per “il suo impegno contro la crescita del debito estero, della povertà e dei problemi in Africa”. jpdigital’s photostream

Durante la cerimonia ha dichiarato, riferendosi alle illustri personalità politiche: “Io sono solo una rockstar, carica di premi, voi siete quelli che devono lavorare sul serio”.

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OBAMA SU WWW.FLICKR.COM

UOMO DELL’ANNO 2008 PER IL TIME

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