Mff 083 12 dicembre 2016

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Magazine For Fashion

Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

n. 83. Novembre/dicembre 2016. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

international edition

Donatella Versace con Gigi Hadid in Versace. Foto Tommy Ton

the wowness donatella versace @ versace

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Magazine For Fashion

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n. 83. Novembre/dicembre 2016. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

David Koma e Karlie Kloss in Mugler. Foto Tommy Ton

david koma @ mugler

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Magazine For Fashion

n. 83. Novembre/dicembre 2016. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

Johnny Coca e tre modelle vestite con look Mulberry. Foto Tommy Ton

the wowness Johnny Coca @ mulberry

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Magazine For Fashion

n. 83. Novembre/dicembre 2016. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

Jack McCollough, Lazaro Hernandez e una modella in Proenza Schouler. Foto Tommy Ton

the wowness Jack McCollough e Lazaro Hernandez @ Proenza Schouler

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Foto Stefano Roncato

Balmain

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Chanel

Kenzo

Versus Versace

Delpozo

Erdem

Balenciaga

Rodarte

Fenty x Puma

Proenza Schouler

Dsquared2

Gucci

Alexander McQueen

Missoni

N°21

openview

the wowness by STEFANO RONCATO

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J.W.Anderson

Giorgio Armani

Ascoltare... Porgere l'orecchio e ascoltare. Il mantra di stagione, troppo spesso dimenticato anche in un passato recente, torna prepotente. Perché per capire la tendenza o per comprendere il mercato, per avventurarsi nel nuovo digitale o per interpretare le richieste dei buyer è sufficiente una sola azione: ascoltare. E il nuovo numero di MFF - Magazine For Fashion, dedicato alle collezioni donna per la primavera-estate 2017, ha iniziato il suo racconto proprio partendo dall’ascolto, dono speciale e potente strumento con cui tratteggiare il futuro. Partendo dall’occhio di un fotografo come Tommy Ton, intento da sempre ad ascoltare il brusio dello street-style e chiamato a immortalare quattro storie personali, piene di segreti oggi svelati. In primis Queen Donatella Versace, con la sua ironia contagiosa e il suo esercito di valchirie web, guidato da Gigi Hadid. Poi Johnny Coca, che stagione dopo stagione sta ascoltando la lunga storia di Mulberry per farla propria. O ancora Jack McCollough e Lazaro Hernandez, che hanno costruito la loro Proenza Schouler ascoltando una fiaba decisamente personale. Fino a David Koma, che ha voluto Karlie Kloss e Taylor Hill per dipingere la nuova Mugler 4.0. Storie uniche, come quella di Rei Kawakubo e della sua Comme des garçons, il cui genio sarà celebrato il prossimo anno al Met-Metropolitan Museum of Art di New York con una grande mostra, un onore toccato solo un'altra volta a un designer vivente, Yves Saint-Laurent. Storie speciali, come quella di Chiara Ferragni & co, che da semplici fashion blogger hanno costruito piccoli imperi diventando imprenditrici digital. Storie ancora da scrivere, come quelle degli otto debuttanti che animeranno il nuovo menswear. Iniziando nuove storie, pronte per essere ascoltate.

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ARMANI.COM



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contents spring-summer 2017

28 e 29

openview Stefano Roncato

56 self-portrait. HAN CHONG Ludovica Tofanelli

46 e 47 facecool Angelo Ruggeri

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attico. gilda ambrosio & giorgia tordini Chiara Bottoni

48 e 49 Moodboard Ludovica Tofanelli

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delpozo. josep font Francesca Manuzzi

50 departures Ludovica Tofanelli

62 e 63

buyers picks Francesca Manuzzi e Michela Zio

52 e 53 waiting for Ludovica Tofanelli

64 quick chat Angelo Ruggeri

54 family business Francesca Manuzzi

66 e 67 models Angelo Ruggeri

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il finale di vetements

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contents spring-summer 2017

68 a-venue Francesca Manuzzi 70 e 71 accessor-hype Angelo Ruggeri 72 a 81 donatella versace @ versace Stefano Roncato Foto Tommy Ton

98 a 107 Jack McCollough e Lazaro Hernandez @ proenza schouler Stefano Roncato Foto Tommy Ton 108 a 113 first raw Foto Stefano Roncato 114 e 115 influencer S.p.a. Ludovica Tofanelli

82 a 89 david koma @ mugler Stefano Roncato Foto Tommy Ton

116 e 117 the fashion genius Rosario Morabito

90 a 97 JOHNNY COCA @ mulberry Stefano Roncato Foto Tommy Ton

118 a 127 the best FENDI GUCCI

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il finale di alexander wang

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contents spring-summer 2017

PRADA JUNYA WATANABE AZZEDINE Alaïa CHANEL DOLCE & GABBANA BALENCIAGA VALENTINO ALEXANDER MCQUEEN 129 a 148 trends spread love poptical trench supersize bathsuit lettering patch couture

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pinky check-it bloom shining

un momento di anya hindmarch

151 e 153 grooming Francesca Manuzzi 154 a 159 International & Address

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Kate Moss, Icon

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il finale di alberta ferretti

in covers

contents spring-summer 2017

donatella versace e gigi hadid in versace

david koma e karlie kloss con un OUTFIT mugler

johnny coca e modelle con look mulberry

Jack McCollough, Lazaro Hernandez e una modella in abiti proenza schouler

Servizi di Stefano Roncato FOTO Tommy Ton @ Thecollectiveshift

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#1 think bold


#3 make yourself heard


#10 dream big


#6 stay sweet


#17 give back


#46 stay soft


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PEOPLE

facecool

Un racconto in dieci tappe tra arte e musica, cinema e design. Alla ricerca di personaggi che stanno riscrivendo il concetto di creatività. Talenti con un cool factor da scoprire. By Angelo Ruggeri

Diego Buongiorno WORK: composer & producer / FOR: himself / WHERE: Rome Una vita dedicata alla musica. Diego Buongiorno ama comporre fin da quando era piccolo: inizia da autodidatta, poi passa a diversi generi e scuole, senza mai terminare i corsi, perché «la voglia di creare e le idee sono sempre più forti della teoria». Oggi lavora tra Roma, Reykjavík e Los Angeles. Nella sua carriera, ha collaborato con Magnolia, Fox, Endemol, Sky, Mediaset e Rai. Per il mondo della moda, tra le altre, ha composto la colonna sonora per la sfilata della prima collezione haute couture di Francesco Scognamiglio a Parigi, oltre a quella per il défilé della a-i 2016/17, durante Milano moda donna dello scorso febbraio.

Francesco Carrozzini WORK: photographer & director / FOR: himself / WHERE: NYC & Los Angeles La sua più grande passione? Realizzare ritratti dallo stile cinematografico. La sua carriera inizia nel 2001, a soli 19 anni, mentre ancora frequentava la facoltà di filosofia, quando realizza un promo per Mtv Italia. Da allora ha diretto cortometraggi, documentari, spot pubblicitari e video musicali presentati in concorsi quali la Mostra del cinema di Venezia e il Leone d’oro di Cannes. Ha fotografato personalità come Robert De Niro, Kanye West, Beyoncé e l’artista Jeff Koons. A settembre ha presentato a Venezia il film documentario Franca. Chaos and creation, dedicato alla vita di sua madre, Franca Sozzani, direttore di Vogue Italia.

Ana Gimeno WORK: fashion coordinator & creator / FOR: The Gigi women collection Il suo mondo è legato al visual, in ogni sua accezione. Di origine catalana, Ana Gimeno Brugada ha vissuto nella sua Barcellona negli anni dell’esplosione dei primi designer spagnoli, per poi trasferirsi a Milano e Parigi. Successivamente, ha lavorato con diversi brand internazionali, tra tutte Dries Van Noten, per la quale ha collaborato per oltre quindici anni. Oggi realizza un altro sogno, curando la prima collezione donna per la p/e 2017 del marchio The Gigi di Pierluigi e Mario Boglioli. Studiata e customizzata mixando diversi codici identificativi dell’abbigliamento essenziale. Che creano capi rinnovati, trasversali e interscambiabili.

Glen Luchford WORK: photographer / FOR: himself / WHERE: NYC Considerato uno dei più importanti fotografi di moda del 2016, anche grazie alle campagne pubblicitarie per Gucci nell’era Alessandro Michele, Luchford debutta nel mondo della fotografia a soli 15 anni, nel 1989, scattando la band The stone roses per il magazine The face. Diventa assistente del fotografo David Sims e inizia a collaborare con la stylist Melanie Ward, esponenti del movimento grunge, grazie ai quali trova il suo stile. Nel 2000 presenta il lungometraggio From here to where. Ma la sua creatività non si ferma alla fotografia: l’anno scorso, infatti, ha inaugurato il suo primo hotel a Venice Beach.

Alec Monopoly WORK: artist / FOR: himself / WHERE: Los Angeles I suoi graffiti pop sono apprezzati in tutto il mondo. E non appaiono solo sui muri delle metropoli più famose, ma arrivano su borse griffate, realizzate in pelli pregiate, per renderle uniche. Secondo Artnet, Alec Monopoly è uno dei dieci Most searched artists on the web, grazie alla sua signature riconoscibile, la riproduzione di Monopoly man, ispirato allo stockbroker Bernie Madoff. I suoi lavori sono esposti nelle gallerie più famose di New York, all’Art basel di Miami e sono collezionate dalle celebrity, tra tutte Justin Bibier. Che nel 2013 le ha perfino utilizzate per pubblicizzare il suo concerto-documentario Justin Bibier’s Believe.

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Marco Nardella Romagnoli WORK: fashion advisor / FOR: Ministero dello sviluppo economico È il nuovo fashion advisor del ministero italiano dello Sviluppo Economico. Si occuperà di tutte le attività e i progetti relativi al Sistema moda, collaborando in particolare con il sottosegretario Ivan Scalfarotto. Nato a Napoli, laurea in Economia e commercio e master in Comunicazione d’impresa Asfor publitalia ’80. Inizia a lavorare nella moda in Columbus/BB seguendo clienti come Bally e Burberry prorsum. Poi nel Gruppo IT holding, come responsabile comunicazione di Romeo Gigli, quindi in Gilmar group e in Attila. Nel gennaio 2010 entra in Valentino fashion group come worldwide communications and marketing director.

Nicola Pozzani WORK: fragrance consultant & bespoke perfumer / WHERE: London Definisce la sua missione «perfume gipsy», ovvero viaggiare per il mondo e cercare di migliorare la vita delle persone attraverso l’esperienza del profumo. Dopo aver studiato con Jean-Claude Ellena (ex inhouse perfumer di Hermès), fonda l’agenzia di consulenza S sense a Londra e diventa relatore di arte e design olfattivi presso il London college of fashion, Ual e la Bern university of arts. Viene chiamato in Arabia Saudita per progettare e inaugurare la prima profumeria di nicchia del regno, L’Odore. Oggi, è bespoke perfumer per Floris London, la storica profumeria che vanta clienti del calibro della Regina Elisabetta II.

Horst Simco WORK: rapper / FOR: himself / WHERE: Los Angeles Denti d’oro con diamanti, tatuaggi all-over, catene, anelli bling bling e un hairstyle d’avanguardia, che rappresenta le sue molteplici personalità. Horst Christian Simco aka Jody Highroller aka Riff Raff è uno dei rapper più famosi d’America. Nato a Houston nel 1982, nel 2005 inizia a produrre cd amatoriali rappando su beat di altri artisti e vendendoli nei centri commerciali. Grazie a MySpace, YouTube e WorldStarHipHop, arriva alla casa discografica Swishahouse che gli permette di firmare il primo contratto. Da allora, ama scrivere canzoni, intitolandole come i marchi di moda più famosi, tra tutti Marc Jacobs e Dolce & Gabbana.

Chris Stamp WORK: founder & creative director / FOR: Stampd / WHERE: Los Angeles Nato ad Aspen in Colorado e vissuto a San Diego fino al liceo, Chris Stamp decide di frequentare il college in Sain Luis Obispo e studiare graphic design. Ed è proprio qui, negli ultimi sei mesi di corso, che ha l’idea di fondare il marchio Stampd, che all’inizio doveva essere un brand specializzato in sneakers. Tornato in California, a Los Angeles, concretizza il suo business. E il popolo della West coast impazzisce per le sue creazioni minimal-street. Soprattutto le celebrity, tra tutte Will.i.am. Recentemente è stato contattato da Puma per realizzare una capsule collection di abbigliamento e accessori. Sold out in pochissimi giorni.

Grace Wales Bonner WORK: designer & creative director / FOR: Wales Bonner / WHERE: London Grace Wales Bonner, 25 anni, è la vincitrice del Lvmh prize for young fashion designers 2016. Nel 2014 si diploma presso la Central Saint Martins e con la collezione Afrique vince il L’Oréal professionel talent award. Le sue creazioni esplorano la rappresentazione dell’identità e della sensualità black. E prendono ispirazione dalla letteratura, dalla storia e dalle teorie critiche, grazie alle quali raggiunge un nuovo concetto di lusso. Nel 2015 si aggiudica anche il British fashion award come miglior designer emergente ed è protagonista dell’exhibition curata da Hans Ulrich Obrist per la Serpentine transformation marathon.

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backstage

MOODBOARD

FEMMINISMO E FEMMINILITÀ. QUELLO DI MARIA GRAZIA CHIURI PER LA NUOVA DIOR È IL RACCONTO DI UNA COUTURE SPORTIVA CHE PARLA ALLE DONNE. BY LUDOVICA TOFANELLI

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Girl power. È Maria Grazia Chiuri a plasmare il nuovo volto della donna Dior. Donandogli la forma di una femminilità che ha tutta la voglia di esprimere se stessa. «Mi sono posta come una donna che per la prima volta ha un’occasione del genere. E che deve parlare delle donne d’oggi con il suo punto di vista», ha spiegato la stessa Chiuri nel backstage della sfilata. Le intenzioni della prima donna alla guida della maison di avenue Montaigne sono più che chiare. Sono dichiarative. Lo gridano le parole impresse a caratteri cubitali nel moodboard: «We should all be feminists». Impresse anche su una T-shirt che ha infiammato lo show. Parole che appartengono alla scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Aidichie, presente al défilé. Questa è la Dio(r)evolution, è l’apertura alle donne, è la rivendicazione del proprio essere. «Oggi le donne non sono sempre uguali dalla mattina alla sera. Non hanno bisogno solo di vestirsi, ma con i vestiti esprimono loro stesse, come si sentono nelle varie situazioni». Così la spring-summer 2017 immaginata da Chiuri si fa portatrice di un

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messaggio esplicito e contestualizzato nell’oggi, ma non solo. Perché il futuro non può esistere senza il passato. E allora compare una costellazione di elementi che raccontano il mondo prima dell'arrivo della designer. A partire da quella simbologia così importante per monsieur Dior, tra divinazione e fatalismo. Simboli come il numero 8, le stelle, le carte e le api saltano all’occhio in questo racconto visivo. Senza fermarsi alla storia del fondatore, ma proseguendo ad esplorare l’estetica dei suoi successori. «Ci sono altri talenti, grandi designer che fanno parte dell’immaginario di Dior perché l’hanno costruito. Da Marc Bohan che è poco conosciuto. A Yves Saint-Laurent. A Gianfranco Ferré. John Galliano per la mia generazione è stato un forte

riferimento. E oltre a Raf Simons, anche Hedi Slimane». Per ciascuno di loro Maria Grazia Chiuri ritrova alcuni elementi chiave e li traduce in una visione fresca e personale. Senza tralasciare la sua italianità. Si profila così la Roma umbertina nei riferimenti a L’innocente di Luchino Visconti, tra aristocrazia e scherma. Quella scherma che oggi rappresenta un’eccellenza italiana, capace di dare il meglio di se stessa proprio al femminile. La couture diventa dinamicità negli elementi sportivi, ma anche praticità quando irrompono i dettagli street. Una concatenazione di immagini che rende tangibile l'impalpabilità della maison di Lvmh. E racconta il lato pop delle girls di oggi che sono eclettiche, emblematiche, fiere. E un po’ sbarazzine.

sopra, il moodboard della sfilata dior spring-summer 2017

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FASHION MOMENTS

departures

au revoir. uscite di scena che preannunciano blasonati giri di poltrone previsti nella prossima stagione. Un sestetto di addii importanti, guidati da cambi strategici di business e di creatività. by ludovica tofanelli

Adrien Caillalaud e Alexis Martial @ Carven

Arthur Arbesser @ Iceberg

Arruolati a marzo 2015, Adrien Caillalaud e Alexis Martial lasciano Carven firmando come ultima collezione la primavera-estate 2017. Prima di approdare alla maison fondata da Carmen de Tommaso, i due stilisti si erano conosciuti alla scuola di moda Atelier Chardon Savard di Parigi e avevano successivamente lavorato da Givenchy. Per poi spostarsi entrambi da Iceberg, dove Martial era stato chiamato come direttore creativo della donna, mentre Caillalaud era entrato all’interno dell’ufficio stile.

Due collezioni all’attivo per Arthur Arbesser alla direzione creativa di Iceberg. Lo stilista, salito al timone del brand con la p-e 2016, lascia oggi la griffe nelle mani di James Long, già direttore creativo del menswear. Il focus di Arbesser rimane la linea con il suo nome.

Consuelo Castiglioni @ Marni Un addio sussurrato e chiacchierato negli ultimi mesi. Poi l’annuncio ufficiale, sigillato dalle parole stesse di Consuelo Castiglioni: «È arrivato ora il momento di dedicarmi alla mia vita privata». La designer lascia la sua Marni, griffe che aveva fondato oltre vent’anni fa e che guidava secondo la sua filosofia estetica, affiancata dal marito Gianni Castiglioni, presidente del brand. Con l’uscita di entrambi dal marchio, oggi controllato da Otb di Renzo Rosso, si prospetta la nuova era sotto la guida stilistica di Francesco Risso.

Justin O’Shea @ Brioni Una direzione creativa lampo. Justin O’Shea arriva ad aprile, porta Brioni in passerella a luglio durante la settimana dell’haute couture, cambia il logo della maison e chiama i Metallica per l’adv. A settembre l’addio, dovuto principalmente a divergenze di visioni sul business con il management del marchio del gruppo Kering. Sei mesi in cui l’ex fashion director di MyTheresa.com ha cercato di imprimere la sua visione rock-goth e digital oriented.

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Arnaud Maillard e Alvaro Castejón @ Azzaro Azzaro si separa da Arnaud Maillard e Alvaro Castejón. Nei tre anni passati a guidare la maison il duo creativo è riuscito a riportare la griffe alla couture, riaprendo il salone parigino di rue Saint-Honoré e sfilando durante l’alta moda della Ville Lumière. Dopo l’addio il duo spagnolo porta avanti il proprio progetto di moda con la linea Alvaro lanciata nel 2009.

Peter Dundas @ Roberto Cavalli Un sodalizio creativo giunto al capolinea in tre stagioni. Dopo aver lasciato la direzione creativa di Emilio Pucci, Peter Dundas aveva preso in mano le redini di Roberto Cavalli, succedendo al fondatore della griffe e debuttando con la spring-summer 2016. Lo stesso Roberto Cavalli aveva deciso di farsi da parte creativamente e lasciar carta bianca al designer norvegese. Che ha tuttavia detto addio alla griffe, nel pieno della ristrutturazione aziendale, nell’arco di un anno e mezzo.

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FASHION MOMENTS

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otto NOMI HOT PRONTI A REGALARE NUOVA LINFA CREATIVA AL PANORAMA DEL MENSWEAR. DOPO RUMORS, INDISCREZIONI E GIRI DI POLTRONE ECCO I DEBUTTANTI DELLA FALL-WINTER 2017/18. BY LUDOVICA TOFANELLI

Alessandro Sartori @ Ermenegildo Zegna Back to Sartori. Ermenegildo Zegna si affida interamente alla direzione artistica di Alessandro Sartori, che aveva guidato la label Z Zegna per otto anni fino al 2011, per poi lasciare la maison conquistando il trono di Berluti. Ora, nel post Stefano Pilati, lo stilista rientra nel gruppo assumendo la supervisione di tutte le collezioni, inclusa l'etichetta couture, per raccontare una visione a 360 gradi.

PIERPAOLO PICCIOLI @ VALENTINO La sfida in singolo al maschile. Pierpaolo Piccioli tiene fede alla sua promessa e traghetta verso nuovi lidi la sua Valentino. Con un passato da Fendi e 17 anni all’interno della maison condivisi con Maria Grazia Chiuri, guidando insieme negli ultimi otto la creatività della griffe, Piccioli ha appena debuttato come unico direttore creativo di Valentino sulla passerella parigina del womenswear. Ora è arrivato il turno dell’uomo, per portare la sua visione personale anche nell’universo maschile della griffe.

Anthony Vaccarello @ Yves Saint Laurent Anthony Vaccarello firma il nuovo volto di Yves Saint Laurent. Il designer belga, che ha iniziato il suo percorso creativo da Fendi per poi essere accolto da Donatella Versace alla guida di Versus, ha cambiato rotta ed è volato a Parigi per raccogliere il testimone di Hedi Slimane. Debuttando con la donna all’insegna della continuità storica, tra rockeggianti 80s e citazioni passate in chiave street. L’attesa si rivolge quindi tutta ora sull’uomo con lo show in programma il prossimo gennaio.

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Francesco Risso @ Marni Cédric Charlier Sarà Milano ad accogliere il debutto nel menswear di Cédric Charlier. Con un passato negli uffici stile di Céline, Jean Paul Knott e Lanvin, il designer belga ha guidato per quattro stagioni, dal 2009 al 2011, la creatività di Cacharel. Per poi lanciare nel 2012 il suo brand omonimo, svelando a Parigi la sua prima collezione femminile. Ora, per il suo capitolo maschile, lo stilista sceglie di portare in passerella il dialogo tra uomo e donna con uno show dedicato alle due collezioni, oggi prodotte da Aeffe. «Mi sono sempre ispirato al guardaroba maschile per le collezioni donna», ha spiegato il creativo, che svelerà la sua proposta fall winter 2017/18 il 16 gennaio in occasione di Milano moda uomo.

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Haider Ackermann @ Berluti Haider Ackermann si prepara a svelare il nuovo universo estetico di Berluti. «Questa maison eccelle per l’essenza del luxury menswear e intraprendere quest’avventura è di grande ispirazione per me», ha raccontato il designer, in arrivo dopo l’addio di Alessandro Sartori, volato da Ermenegildo Zegna. Da Berluti porterà il suo concetto estetico costruito attorno alla sua label, lanciata nel 1994 con la donna e arricchita nel 2003 dal menswear.

Sarà il primo direttore creativo di Marni dopo Consuelo Castiglioni. Uscita la fondatrice, che aveva creato il marchio oltre vent’anni fa, arriva così il giovane Francesco Risso. Alle sue spalle una formazione tra il Polimoda di Firenze, il Fit-Fashion institute of technology di New York e la Central Saint Martins di Londra. E a seguire gli uffici stile di Anna Molinari, Alessandro Dell’Acqua e Malo. Fino ad approdare nel 2008 da Prada, dove ha lavorato per le collezioni sfilata donna e i progetti speciali. Il suo debutto ufficiale da Marni avverrà quindi con lo show maschile, cominciando però già a imprimere la sua visione con la pre-collezione.

Guillaume Meilland @ Salvatore Ferragamo

Lee Wood @ Dirk Bikkembergs

Un percorso nella moda uomo iniziato nel 2002 attraverso una serie di collaborazioni, passando per lo sportswear uomo di Yves Saint Laurent fino a divenire senior designer del menswear di Lanvin. Con questo background Guillaume Meilland fa il suo ingresso negli uffici stile di Salvatore Ferragamo, in qualità di design director delle collezioni ready-to-wear uomo. «Si tratta di una sfida importante e il mio impegno sarà quello di creare delle collezioni uomo attuali e proiettate nel futuro, guardando alla storia e all’heritage del marchio», ha spiegato lo stilista, pronto a compiere il suo debutto in passerella a gennaio. E completando così il board creativo della maison fiorentina insieme a Fulvio Rigoni e Paul Andrew, rispettivamente alla guida del womenswear e delle calzature donna.

Sedici anni al fianco di Donatella Versace e poi il lancio della propria label L72, avvenuto nel 2013 per poi vincere nel 2015 il premio Who is on next?. Lee Wood si porta dietro questo bagaglio per intraprendere la nuova sfida alla direzione di Dirk Bikkembergs. Il creativo è stato chiamato per seguire tutte le linee, preparandosi a svelare la sua prima proposta maschile nella cornice di Milano moda uomo.

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Family BUSINESS

q&a with Antonia Giacinti and Maurizio Purificato

«Il cuore abbinato al business». Questo il marketing mix del duo GiacintiPurificato. La guru del retail Antonia e il marito Maurizio oggi rappresentano il sigillo di un successo. Lei occupata nella sua «bottega», come la definisce, con il buying, le vetrine smart e indipendenti, dal 1999. Lui prima in Condé Nast, nel momento del lancio di Vanity Fair e dal 2007 alla guida del menswear targato Antonia. Tra le loro creature, oltre la figlia Margherita, hanno dato vita nel 2013 al nuovo Antonia di Palazzo Cagnola in via Cusani, la piattaforma e-commerce, al neonato mega store di Macao e la scommessa di Antonia@Excelsior Milano. Sono una coppia che sembra non perdere un solo secondo di vita. Che ha la capacità di costruire un department store da zero e di riconoscere cosa appartenga al giorno prima. Perché, come hanno raccontato in quest’intervista, «essere esclusivi significa arrivare prima degli altri, anche alla rottura di qualcosa». Una cosa che avete in comune. Antonia Giacinti: La fame, goduta, sudata. Fame di successo e possesso, non di denaro. È fame di essere riconosciuti nel mondo come persone che lasceranno un segno per Milano. Maurizio Purificato: La volontà di creare un'esperienza unica. Chi entra nei nostri spazi retail internazionali deve esserne affascinato. Un pregio dell'altro. AG: Io sono sentimento, sono una testa calda. Lui è business, è pragmatico. E oggi abbiamo un business fatto con il cuore. Anche se cerchiamo di non mescolare lavoro e vita privata, io sono emiliana, mi piace condividere e vorrei tutti a cena con noi ogni sera. MP: Antonia è la miglior buyer al mondo. La soddisfazione più grande? AG: Excelsior. Abbiamo fatto capire al mondo che siamo capaci di curare un department store con il buon gusto italiano. Realizzando un progetto di nicchia, mettendoci il cuore, utilizzando il retaggio pop di Coin. Perché tutto dev'essere fatto con tanto amore, come fosse tuo.

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MP: L'apertura dello store Antonia di 3 mila metri a Macao per approcciare la Cina, a cui sono legato, anche come cultura dello shopping. Qual è la sua ossessione oggi? AG: Il tempo che passa. MP: Il web. Qual è la ricetta del successo? AG: Credo tantissimo nelle buone energie. Quando respiro aria di muffa ho bisogno di capire cosa mi opprime lo sterno. Può essere una moquette sporca o un brand che non voglio più comprare. Perché essere esclusivi significa anche arrivare prima degli altri alla rottura di qualcosa. MP: Avere una moglie visionaria. Il consiglio migliore che vi siate dati? AG: Stiamo insieme tutta la vita. Anche se sfido qualsiasi coppia a lavorare insieme. MP: Comprare come se fosse per il nostro guardaroba personale. Un ricordo dell'altro? AG: Un viaggio organizzato il 29 dicembre di 14 anni fa a Los Roques. Fatto con la follia di ragazzi di 35 anni. Abbiamo preso un aereo con un pilota che guidava con il braccio fuori dal finestrino e navigato con uno skipper sconosciuto per le isole. Solo conchiglie e lingue di sabbia. MP: Madonna, gli anni 80 e il suo stile mi riportano ad Antonia. Cosa vede nel futuro? AG: I negozi scompariranno. Tra vent'anni si parlerà solo di e-commerce. Rimarranno i negozi per chi vuole fare un’esperienza e per entrare avremo un codice d’accesso, una tessera, con sempre più esclusività, perché il mass market non ha portato buoni frutti. MP: Oltre al web, io e Antonia abbiamo tanti progetti. Uno in particolare su Milano sarà realizzato tra un paio di anni. Farà la differenza e sarà la destination più cool di Milano, non solo per il fashion. Francesca Manuzzi

da sinistra, Antonia Giacinti e Maurizio Purificato

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MOSCHINO BOUTIQUE via Sant’Andrea 25 - Milano

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SELF-PORTRAIT

HAN CHONG. interview by ludovica tofanelli Dreams come true. Quello di Han Chong è l’entusiasmo di chi vive la moda come un sogno che si sta realizzando. Come qualcosa che prende forma di giorno in giorno attraverso dedizione e determinazione. Con una buona dose funny. Così il creativo dietro alla label londinese Self-portrait riesce a trasmettere le sensazioni positive del suo mondo frenetico e dinamico, senza perder l’occasione di strappare un sorriso a chi ha di fronte. L’anima di uno dei brand emergenti più cool e seguiti del momento è un giovane malesiano trapiantato a Londra e volato fino a New York per svelare la sua nuova collezione che coniuga l’approccio luxury all’accessibilità. Continuando così la conquista step by step della sua young generation al femminile. Sempre in versione romanticamente 2.0. Con la collezione spring-summer 2017 ha trasmesso una grande voglia di crescere… In che modo lo sta facendo? È vero, con la nuova collezione estiva presentata a New York ho voluto dare qualcosa in più… Ed evolvermi. Mi sono posto come obiettivo quello di crescere e portare a un nuovo livello Self-portrait, mantenendo comunque l’approccio di una moda accessibile, ma ricercata. Arrivato a questo punto per me è divenuto fondamentale offrire più opzioni alle mie clienti. Dare loro modo di scegliere tra capi diversi per creare un guardaroba completo. Per questo è stato importante introdurre nuovi capi dalla vestibilità casual e non solo abiti legati alle occasioni speciali… Le ragazze non indossano solo cocktail dress e abiti da sera. In termini stilistici come ha tradotto questo obiettivo? Attraverso silhouette strutturate e una continua ricerca a livello di design. Aggiungendo una novità a cui tengo molto che sono i dettagli tailoring… E trasformando così una camicia in qualcosa di femminile. Per dare una nuova direzione ai capi, mantenendo comunque allo stesso tempo quel concept romantico che permea il brand dalla sua nascita. L’obiettivo

non era stravolgere o cambiare direzione, ma piuttosto arricchire ciò che ho fatto fino a questo momento. Tra celebrities, stampa e influencer si è creato un grande seguito intorno a Selfportrait… Come vive tutto ciò? Da questo punto di vista è davvero tutto nuovo per me… Non posso negare di essere felice ed entusiasta del grande supporto che sto ricevendo, dalle attrici e cantanti che scelgono i miei capi, ai giornalisti che mostrano sempre più interesse. Ma in realtà, a livello personale, non è qualcosa a cui penso troppo. Cerco di prendere questo mondo in modo molto cauto! Sto vivendo le cose così come vengono, pensando soprattutto ai miei obiettivi. E portare la sua label a New York cosa ha significato? Io vengo dalla Malesia e Self-portrait è stata fondata a Londra. New York è un sogno ed è la città che probabilmente si adatta meglio al brand. Sia in termini di stile che di mercato. Organizzare l’evento durante la fashion week newyorkese è stata una scelta pensata. È una città aperta alla moda contemporary. E poi c’è da considerare che gli Stati Uniti sono un mercato davvero grande e ricettivo, dove per me è importante sviluppare la presenza e la percezione del marchio. Quali sono quindi i suoi progetti futuri? Siamo presenti in 350 store nel mondo, la distribuzione è qualcosa che prendo davvero sul serio e con impegno. Come anche la produzione, perché cerco di offrire un design ricercato mantenendo prezzi accessibili. Per me a questo punto è importante continuare a capire e mantenere le relazioni con i buyer. Il feedback è fondamentale. E ora cosa la aspetta? Ad essere sincero… Le vacanze. Ho intenzione di viaggiare un po’ in giro per l’Asia.

IN ALTO, un ritratto di Han Chong

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attico

gilda ambrosio & giorgia tordini. interview by chiara bottoni Gilda e Giorgia. Due amiche, due web influencer. Due ragazze italiane dall’appeal internazionale che di moda ne hanno masticata parecchia restando perlopiù dietro i riflettori prima di cimentarsi, con un successo da loro stesse insperato, in un progetto tutto personale, che ha visto la luce all’inizio del 2016. Si chiama Attico e racconta una storia speciale, che nasce dalla sintesi di due opposti che si attraggono: i caratteri e lo stile di Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini. Attico. Perché questo nome e da dove è nato il desiderio di lanciare un progetto personale? Dopo aver maturato una certa esperienza nel mondo della moda, restando perlopiù dietro i riflettori, ci sentivamo pronte per mettere le nostre facce su un progetto tutto nuovo. Creare la prima collezione è stato molto più facile che trovare un nome per il marchio. Abbiamo iniziato a pensare a quale fosse la dimora ideale per le nostre donne, elitarie ma easy. E così è nato il nome Attico, che rimanda anche alla tipologia di prodotto che ha caratterizzato la prima collezione: vestaglie e sottovesti, estrapolate dal loro uso abituale per entrare nella quotidianità. Siete amiche. Cosa vi accomuna e cosa vi distingue? Siamo due opposti che si attraggono. Ci compensiamo vicendevolmente e siamo accomunate dal desiderio di lavorare insieme per far crescere il nostro marchio. C’è qualcosa su cui proprio non andate d’accordo? La tipologia di donna da scegliere quando facciamo i casting. Forse risolveremo questo problema solo scegliendo due donne differenti! E invece su cosa vi trovate in perfetta sintonia? Su tutto il resto, in realtà. Ci fidiamo molto l’una dell’altra. La sintonia tra le persone si crea solo grazie alla fiducia.

Quanto dell’una e quanto dell’altra c’è nel mondo di Attico? Attico è il mix perfetto tra l’universo di Gilda e quello di Giorgia. Dell’una c’è l’amore per il colore, dell’altra la sensualità. Ci sono il surreale e la realtà. Il disordine e la perfezione. Perché una donna dovrebbe avere nel suo guardaroba almeno un pezzo della vostra collezione? Per appartenere a un mondo che vogliamo rappresentare. Siamo solo alla seconda stagione ma già abbiamo posto le basi per rivolgerci a target e tipologie di donna differenti. Quanto vi sta aiutando l’essere delle digital influencer nel comunicare il progetto? Il web è importantissimo. Le persone riconoscono il brand soprattutto attraverso noi stesse. Come aneddoto, ci piace raccontare il fatto che Net-a-porter ci abbia contattate 15 minuti dopo che avevamo postato una nostra foto insieme, senza che nemmeno ancora avessimo comunicato il progetto. Siete internazionali ma legate all’Italia. Qual è il valore aggiunto dell’italianità? La creatività, prima di tutto. In Italia possiamo maturare una cultura speciale nell’ambito della moda. E poi c’è il made in Italy, che è un valore inestimabile. Net-a-porter vi ha chiesto di realizzare una collezione speciale per la stagione delle feste. È un punto di partenza o un punto d’arrivo? Un punto di partenza ma anche un punto di arrivo. Net-a-porter ha creduto in noi sin dall’inizio. Sono un team stupendo, che ci sta supportando su più fronti. Il vostro sogno per il marchio di qui a dieci anni... Siamo in continua trasformazione. Il nostro desiderio è quello di portare Attico a essere un lifestyle brand a 360°. Non solo, quindi, abbigliamento, borse, scarpe e accessori... Il primo step di questa crescita dovrà essere lo sviluppo dell’e-commerce.

IN ALTO, da sinistra, Giorgia Tordini e Gilda Ambrosio

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delpozo

josep font. interview by francesca manuzzi Un giardino delle meraviglie. Animato da una nuova tribù di mademoiselle architettoniche. Sul disegno di Josep Font, artefice del dolce stil novo di Delpozo, si innestano abiti sgorganti di fiori, intrisi di un romanticismo razionale. Il creativo-architetto sta traghettando il brand dell’orbita di Perfumes & Diseño group in una nuova dimensione internazionale, preservando il savoir faire couture e i dettami dell’Ecole Lesage di Parigi. Sta scrivendo dal 2012 un nuovo capitolo della storia della maison fondata a Madrid da Jesús del Pozo nel 1974. E si respira un’aria fragrante, come la natura incontaminata de L’Empordà. Font sta coltivando un sentiero in fiore, rigoglioso d'heritage, nel paese in cui la moda fast assume un carattere sempre più potente. Qual è il bilancio dopo quattro anni di lavoro? Il brand è sempre più riconosciuto. Siamo presenti dall’inizio su Moda operandi e Net-a-porter e il network sta crescendo. Da due collezioni all’anno ora ne facciamo quattro, cui si sono aggiunti gli accessori. È un’avventura incredibile, in cui ho messo anima e cuore. Com’è iniziata la sua carriera? Da ragazzo accompagnavo mia madre a Barcellona nelle boutique di haute couture. Non avrebbe mai comprato qualcosa che non mi piacesse. Ma non ho studiato moda, sono un architetto. Tutto è iniziato quando ho vinto un contest a Parigi e la mia famiglia, che non sapeva nulla, l'ha scoperto perché mio zio ha mostrato a mio padre un giornale in cui apparivo. Qual è l’idea più rivoluzionaria di Delpozo? Preservare l’eredità del craftsmanship. Non per tornare al passato, ma per tutelare il futuro. La Spagna è ricca di heritage manifatturiero, dal ricamo alla lavorazione di vimini e feltro ed è compito della comunità creativa perpetrare queste tecniche. Sono parte di ciò che siamo. Com'è strutturato il processo creativo? Siamo una piccola famiglia, di dieci persone. A inizio stagione condivido con loro due input

d'ispirazione, che cerco in gallerie d'arte, sui social e nella natura. Il design nasce invece dagli sketch o modellando il tessuto sul corpo. E faccio fitting ogni settimana per capire l’evoluzione del capo. Se potessi lavorerei sulla collezione all’infinito. Sono un perfezionista. Tre momenti migliori dall’inizio del viaggio da Delpozo. La prima collezione presentata al parco El Capricho, l’apertura del flagship a Madrid e la vetrina di Natale da Bergdorf Goodman. Ma mi piace pensare che il meglio deve ancora venire. Cosa la ispira? Un'icona è Jean Seberg. Quell’aura di mistero che la circondava le dava un’allure speciale. Ma ciò che mi ispira davvero sono piante e fiori. Una persona da tenere d'occhio è invece Isabel Martinez, una digital art director con cui abbiamo collaborato in diverse occasioni. Qual è il suo mantra fashion? Dietro la moda c’è sempre irrequietezza. Oggi è più utile rilasciare quest’intervista o scrivere su un social network? Durante la settimana leggo solo le news che incendiano i social media e Twitter, non ho tempo per dilungarmi. Instagram è invece la piattaforma ideale per la moda, un canvas su cui scovare utenti che non hanno altri canali a disposizione. I giornali e le interviste stampate oggi sono il lusso di potersi sedere di sabato mattina e leggere. Abbiamo bisogno di entrambi. Vedremo novità per Delpozo nel futuro prossimo? In maggio abbiamo aperto il nostro store di Londra e stiamo cercando la prossima location. E per gli ultimi due anni ho lavorato a una fragranza che penso sarà pronta tra 2017 e 2018. Ha un sogno? Avere tempo da passare nella mia casa nelle campagne del nord della Cataluña, a L’Empordà, che è una sorta di Provenza o di Cinque Terre spagnole. Rilassarmi e godermi la natura.

IN ALTO, un ritratto di josep font

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report

buyers picks

b e s t mood

best item

DOLCE & GABBANA

FELPE VETEMENTS

GUCCI

ABITO MIDI

SAINT LAURENT

ATHLEISURE

cinque domande a negozi italiani e compratori worldwide. in una classifica che seleziona le loro impressioni tra fiere e passerelle. BY Francesca Manuzzi e Michela Zio

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2 Thanks to: Stella Falautano @ A piedi nudi nel parco (Firenze), Angela Vitale @ Angela Vitale (Crotone), Claudio Antonioli @ Antonioli (Milano), Tonino Asselta @ Asselta (Bari), Bruna Casella @ Bernardelli (Mantova), Rosy Biffi @ Biffi (Milano), Christine Ellis, Susanna Avesani @ Club 21 (Singapore), Elisabetta Giannini @ Cose (Cremona), Luigi D’Aniello @ D’Aniello (Napoli), Mario Dell'Oglio e Vera Werber @ Dell’Oglio (Palermo), Massimo Degli Effetti @ Degli effetti (Roma), Palmira Sorgetti @ Et e Marianne (Termoli), Candice Fragis @ Farfetch (Londra), Folli Follie buying team, Daniela Kraler @ Franz Kraler (Cortina d’Ampezzo), Giuseppe Trovato @ G. Fortini Rossetti (Catania), Gianni Peroni @ G&B (Flero), Raffaele Galiano @ Galiano (Napoli), Annalisa Di Siervi @ Gibot (Roma), Gigi Tropea @ Gigi Tropea (Catania), Federico Giglio @ Giglio (Palermo), Sabina Zabberoni @ Julian fashion (Milano Marittima), Cesare Tadolini @ L’incontro (Modena), Jacopo Tonnelli @ L’inde le palais (Bologna), Angela Adani @ La boutique di Adani (Modena), Carla Zalla @ Le Noir (Cortina d'Ampezzo), Lelia Giacomelli @ Lungolivigno (Livigno), Paolo Mantovani @ Mantovani (San Giovanni Valdarno), mytheresa.com buying team, Federico Donin @ Nia (Roma), Pancrazio Parisi @ Parisi (Taormina), Roberta Valentini @ Penelope (Brescia), Giordano Ollari @ So Milano (Milano), Aldo Carpinteri @ Stefania mode (Trapani), Beppe Angiolini @ Sugar (Arezzo), Tiberio Pellegrinelli, Paolo Locati @ Wise (Cremona)

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N°21

Miu Miu

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best accessories

b e s t loo k

n e w nam e s

CHLOé NILE BAG

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SCARPE FLAT

VALENTINO

Magda Butrym

BORSE J.W.ANDERSON

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point of view

quick chat

Un'intervista doppia ad alta velocità. Domande e risposte rapide con una coppia di big player del fashion buying. Per scoprire quali sono i punti chiave del loro lavoro creativo. By Angelo Ruggeri

S A R AH R UT S O N Vice president of global buying / Net-a-porter

A D R IA N A S A R A L V O Buying manager Italia / The Lane Crawford Joyce Group

Come è cambiato il mondo della moda oggi rispetto a quando ha iniziato il suo lavoro? Quando ho iniziato, il consumatore era solito entrare in un negozio e guardare il prodotto per la prima volta. Oggi il cliente entra nello store che già conosce la collezione, grazie a internet, e quindi è sempre più esigente e desideroso di novità.

Quando ho cominciato a collaborare con Joyce, questo concept store era l'unico negozio importante a Hong Kong. E, al suo interno, si vendevano tutti i grandi marchi italiani. I budget di buying crescevano del 30-40% ogni anno… Ora non è più così.

L’avvento dei social media ha cambiato il suo modo di lavorare? Se sì, come? Sì. I social media sono uno strumento incredibile per fare business. Entri in contatto con un pubblico enorme con un semplice click. Inoltre, il ciclo dei contenuti di Instagram non dura più di due ore, quindi puoi vedere ciò che il consumatore desidera in tempo reale.

Sicuramente. Io e il mio team li utilizziamo per fare ricerca, per vedere cosa piace alla gente, per capire quali sono le nuove tendenze. Inoltre, a Hong Kong, contattiamo i clienti via WeChat o Whatsapp. E creiamo così un canale di comunicazione diretta.

Cosa ne pensa del see now-buy now? I nostri clienti viaggiano costantemente e vivono in emisferi diversi con climi diversi. Quindi, il nostro buying non può essere limitato alle stagioni generiche.

Non penso abbia molto senso nel market dei luxury brand. Lo percepisco un po’ come fosse un pronto moda.

Cosa le piace di più del suo lavoro? Il mondo della moda è in continua evoluzione e mi piace far parte di questi cambiamenti. Il mio ruolo è diviso tra business ricco di numeri e budget e creatività. Un giusto equilibrio.

L’energia, l’essere sempre un passo avanti, proiettati nel futuro. La moda non è fatta di soli abiti e accessori, ma di un vero e proprio lifestyle.

Cosa non le piace, invece, del suo lavoro? L’essere spesso lontani da famiglia e amici, anche per i troppi viaggi. Per me è una vera sfida.

L'arroganza e la mancanza di professionalità con cui, qualche volta, mi devo confrontare.

In che modo fa ricerca per scovare nuovi designer e marchi? Che tool utilizza? Utilizzo i social media per fare ricerca e ricevere feedback istantanei da parte dei clienti. Ma bisogna fare attenzione a riconoscere i designer di talento e i marchi fondamentali per il business. Il mio obiettivo è individuare quelli che possano crescere e durare nel tempo.

Mi servo di internet e di tutti i social media. E mi piace parlare con i miei studenti internazionali (è anche docente presso l’Istituto Marangoni di Milano, ndr) e osservare tutto ciò che è possibile, come l’arte e il cinema. Sempre con molta, moltissima curiosità.

Come vede il futuro delle vendite di moda? Credo che i consumatori continueranno ad acquistare sempre più velocemente dai propri smartphone, quindi è importante che le piattaforme online di shopping siano un passo avanti rispetto alle esigenze dei clienti. Inoltre, sarà sempre più necessaria una shop emotional experience, come il nostro nuovo progetto The net set dedicato al «social commerce»: ogni cliente può collegarsi al marchio desiderato o chiedere consigli al nostro Style council, formato da donne cool di tutto il mondo.

Temo che qualcosa stia davvero cambiando nel fashion system. Nel futuro, forse, i buyer non viaggeranno più così a lungo, non faranno più così tanti appuntamenti durante le fashion week. E forse inizieranno a comprare stando davanti ai loro computer. Ma penso che tutto questo sia assolutamente sbagliato, perché è davvero molto importante toccare con mano ciascun capo, poterlo indossarlo, viverlo nel suo essere e poterlo percepire a 360 gradi.

Uno dei momenti più belli della sua carriera? Quando scopro un marchio nuovo che nessuno ha ancora trovato. E lo vedo crescere, diventare sempre più forte e stabile. E questo, per me, è una sensazione incredibile.

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Quando la signora Joyce Ma, fondatrice del concept store Joyce, mi chiese, di persona, di iniziare a lavorare per lei.

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featuring Caroline Vreeland shop at santonishoes.com

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REPORT

models

Le esclusive, i volti piĂš richiesti e i nomi nuovi dalle sfilate springsummer 2017. Secondo il parere di casting director internazionali, per rivelare le modelle piĂš cool della stagione. By Angelo Ruggeri

best exclusive

Mag Cysewska Saint Laurent

Kris Grikaite Prada

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Giulia Maenza Versace

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most bookable

Faretta Mugler

Vittoria Ceretti

Jess PW

Camille Hurel

Jessie Bloemendaal

Cara Taylor

Zhenya Migovych

Alexandra Micu

Mckenna Hellam

Fendi

Dior

Emanuel Ungaro

Alexander McQueen

new faces

Ellen Rosa Miu Miu

Alexander Wang

Peter Pilotto

Louis Vuitton

Missoni

THANKS TO: MARIA GIULIA AZARIO, MAURILIO CARNINO @ MTC CASTING INC., MARIA VANESSA CONTINI, DANILO DI PASQUALE, GISELLA GENNA, ADAM HINDLE @ADAM HINDLE CASTING, CATERINA MATTEUCCI @ RANDOM PRODUCTION, GIUSY NATALE, DANIEL PEDDLE E DREW DASENT @ THE SECRET GALLERY INC., ARDEA PEDERZOLI @MARABINI BAIOCCHI, BARBARA PFISTER @ BARBARA PFISTER CASTING, ARIANNA PRADARELLI @ ARIANNA PRADARELLI CASTING, SIMONE BART ROCCHIETTI @ SIMO BART CASTING, ALEXANDRA SANDBERG, CAMILLA TISI @ TO THE MOON STUDIO

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set design

a-venue

super architetture, installazioni teatrali e opere d'arte. ecco i migliori allestimenti iconici ideati da progettisti deluxe. BY Francesca Manuzzi

dries van noten

Installation «iced flowers» by Azuma Makoto, produced by Villa Eugénie

philipp plein

lacoste

«Alice in ghettoland» Designed and produced by Simon Costin & Ordo production

Designed and produced by Bureau Betak

Dolce & gabbana

rodarte

«Tropico italiano» Designed and produced by Dolce & Gabbana

Designed and produced by Bureau Betak

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time capsule

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PEZZI CULT SPRING-SUMMER 2017. UNA SELEZIONE DI BORSE, SCARPE E TIPS DESTINATI A DIVENTARE I MUST-HAVE DELLA STAGIONE. BY ANGELO RUGGERI hit list shoes

balmain

dolce & gabbana

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louis vuitton

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prada

salvatore ferragamo

miu miu

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bana

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hit list tips

gucci

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chanel

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saint laurent

valentino

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versace donatella versace

servizio stefano roncato foto tommy ton @ THECOLLECTIVESHIFT

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È come un soffio di profumo a occhi chiusi. Evoca, incuriosisce, magnetizza. Sarà il suo cognome da Olimpo della moda. Sarà il suo nome che basta da solo. Potrebbe incutere un po’ di timore ma è proprio lei a rompere indugi e abbattere barriere. Perché Donatella Versace ha una prima, grande dote. La simpatia. Coinvolgente e ironica, dalla risata calda e contagiosa, che svela una mente acuta e intelligente. «Come mi definisco? Prima di tutto donna. E in quanto tale, posso essere ciò che voglio, direttore artistico, stilista, imprenditrice, madre, amica…». Interesting. Inattaccabile. Le sue parole hanno un soundtrack naturale. Un glamour innato e istantaneo. Parla e click, non c’è scampo, diventi subito un piccolo fan. Sembra di entrare in un video musicale di Madonna, di Elton John, di Lady Gaga, di Zayn Malik, con cui inizierà una collaborazione per la linea Versus. Pensi al suo biondo iconico dai riflessi diamonds and pearls come canterebbe Prince, che ha spesso composto per la colonna sonora dei suoi défilé, altro amico storico di casa Versace. La maison con uno sguardo che incanta. Con le sue donne trasformate in dee con un vestito. Con le star stregate da silhouette femminili. Con le creazione delle celebri supermodelle, capitanate da Naomi Campbell in pedana all’ultimo show. Che è sempre una garanzia, un crash tachicardico. Una prova per Alpha men con un cast che ha magnetizzato tutta la monarchia estetica, un dizionario da fashion goddess. A Adriana Lima, Anna Ewers… Uno stuolo turba-sogni chiuso, tanto per citarne una non proprio a caso, da Gigi Hadid, ultima imperatrice del mondo digitale, sirena carismatica di Instagram. Nonché fidanzata di Mr. Malik. Perché da Versace si guarda avanti, il sogno continua. È difficile essere Donatella Versace? No, perché sono me stessa. Difficile è tentare di essere chi non sei. Essere veri, autentici con se stessi è la cosa più importante. Come si definirebbe? Stilista, imprenditrice... Mi definisco prima di tutto donna. E, in quanto tale, posso essere ciò che voglio, direttore artistico, stilista, imprenditrice, madre, amica… Ha ribadito più volte la necessità di raccontare la forza delle donne…E lei, si ritiene una donna forte? Essere forte non significa essere invulnerabili. Anche una donna forte ha le sue debolezze ma questo non la rende debole, la rende umana. Essere una donna forte per me significa giocare seguendo le proprie regole, spostare i limiti e infrangere le barriere, superare le proprie debolezze e combattere per quello in cui credi. Qual è il suo primo ricordo nella moda? Sono nata in una famiglia dove creatività e artigianalità sono tutto. Mia madre era una sarta e la tradizione italiana del taglio, della forma e della qualità sono state parte della mia vita fin dai miei primissimi ricordi. Avete una storia che ha appassionato. Momenti folgoranti e momenti più difficili come la morte di suo fratello Gianni… Le pesa guardare indietro? Abbiamo vissuto momenti di grande crescita e momenti di difficoltà. Ma siamo riusciti a sollevarci e cogliere l’opportunità per rinnovarci e rivoluzionare il nostro modo di fare moda. Infatti, ogni marchio di moda, come ogni azienda, deve rinnovarsi se vuole avere successo. Quanto conta essere una famiglia per avere affrontato la vostra storia? Essere una famiglia conta sempre in qualsiasi storia. Io sono fortunata perché il mio brand è anche la mia famiglia. In Versace ridiamo, lavoriamo duro, litighiamo, facciamo pace. È una famiglia ed è anche più grande perché ne fanno parte anche i miei amici. In che momento oggi è la maison della Medusa? Versace è un luogo d’incredibile energia, è un luogo dedicato alla creatività. Cosa le ha fatto capire che qualcosa stava cambiando e che stavate tornando al top? La chiave è l’evoluzione, il cambiamento. Mettersi in discussione e cercare sempre di andare oltre. Com’è cambiata la maison dall’era di Gianni a quella attuale? Le aziende di moda stanno vivendo un momento di profondo cambiamento, tra più significativi degli ultimi vent’anni. Internet ha permesso al lusso di diventare a «disposizione» di tutti e ha spalancato ai giovani le porte della moda: le notizie si trovano in rete. Si compra, si chiede consiglio alle amiche, si condividono gli acquisti. Tutto si fa online. In questo scenario, non solo i marchi devono saper interpretare i cambiamenti. Tutti i protagonisti della moda devono evolvere. Lei è anche una grande talent scout. È orgogliosa di aver lavorato con stilisti giovani che hanno fatto strada come Jonathan Anderson, Christopher Kane e Anthony Vaccarello? I giovani designer sono la mia passione. Adoro lavorare con loro e, mentre lavoriamo, insegnare e imparare da loro. Mi piace incontrarli proprio quando si laureano perché mi permettono di confrontarmi con un mondo che non vedo tutti i giorni. Quali giovani designer apprezza in questo momento? Qualche italiano? Non apprezzo solo i giovani designer conosciuti, ce ne sono altri che lavorano nel mio ufficio stile di Milano: giovani laureati provenienti da scuole di design di tutto il mondo. Con loro condivido passione, energia e creatività. Nella moda ci sono stilisti famosi e riconosciuti pub-

blicamente, ma ce ne sono anche molti dietro le quinte che contribuiscono a rendere la moda quello che è oggi. Il loro lavoro è fondamentale. E tra i grandi designer, chi apprezza? Karl Lagerfeld, Miuccia Prada, Riccardo Tisci… la mia idea di moda è un’idea di alleanza creativa. Avete inventato le top model anni 90. Quale ricordo ha di quelle donne che incantavano il mondo? Donne incredibili, forti e senza paura. Con Gigi Hadid, Bella Hadid and co… Siamo di fronte a una nuova generazione di supermodelle? Forse sì in un certo senso, ma in un modo diverso da prima. Hanno un nuovo potere, una voce ancora più forte e un’immagine proiettata in tutto il mondo attraverso internet. Chi sono le Linda, Cindy e Christy di oggi? Gigi e Bella Hadid, Kendal Jenner, Irina Shayk, Taylor Hill… Nella sua ultima sfilata ha ribadito un casting full of stars. Tra cui Naomi Campbell… Quanto conta un line up importante come il suo? La selezione delle modelle è fondamentale, dai volti noti a quelli nuovi. Ognuna deve avere individualità e personalità. Non è solo il corpo, ma l’attitudine, l’energia, la passione. Sulla passerella cerco di portare figure femminili diverse e uniche tra loro. Con Versus inizierete a collaborare con Zayn Malik… Perché la scelta di una celebrity? Perché no? Zayn è una delle più forti personalità presenti sulla scena mondiale. La prima volta che ci siamo incontrati mi ha subito detto quanto amasse la moda. Ho pensato che sarebbe stato fantastico poter lavorare assieme a una nuova collezione per Versus Versace. Zayn ha un enorme numero di fan in tutto il mondo, sono sicura che ci seguiranno. Cosa cercano o vedono ora i giovani in voi? Ho sempre pensato alla moda come una celebrazione della gioia di vivere e di trasformare e ogni attimo in qualcosa di unico. Versace ha sempre parlato di libertà e di creatività. La libertà e il diritto di essere se stessi, indipendentemente da chi sei e da chi ami. Come definirebbe in tre parole Versace oggi? Passione, creatività e innovazione. Come nasce una sua collezione? Cosa le serve come ispirazione? Sono ispirata da tutto quello che mi circonda, dal mondo intero e dalle donne che lo vivono. Sono un’osservatrice, guardo il presente e penso al futuro. Guardo le donne di oggi, come si vestono, cosa cercano, cosa vogliono nella vita. Sono le donne del presente a ispirarmi e mi spingono a creare collezioni per loro e per il modo in cui vivono la loro vita. Qual è il mood dietro la sfilata? Lo sportswear è il futuro della moda, renderlo unico e lussuoso è la mia sfida, questa stagione. Questa collezione riguarda una sola cosa, la libertà. Libertà di movimento. Libertà di agire. Libertà di essere chiunque tu voglia essere. Proprio come nelle parole della musica della sfilata: «This show, this show is for the women taking chances / Take the leap, if we do nothing, we get nothing». Cosa prova quando vede degli stilemi Versace omaggiati su altre passerelle? Se ti citano significa che hai fatto la cosa giusta, no? È appena uscito un suo libro… Cosa racconta? Cosa rappresenta per lei? È molto importante per me. Racconta Versace attraverso i miei occhi, racconta il mio lavoro di questi anni e tutta la passione e l’amore che ho. Ho avuto la fortuna di collaborare con persone dal talento straordinario in ogni campo artistico e sono tutte in quelle pagine. Lei è famosa, amica delle star. Ma poi è in grado di rendersi «invisibile» senza troppe uscite mondane se non quelle legate al lavoro. Quanto conta la sua privacy e la sua vita privata? Credo che valga per tutti, ci sono cose che amo condividere del mio lavoro e della mia vita, ce ne sono altre invece che sono solo mie. E come coniuga questo con l’apertura del suo account Instagram, dove ormai è molto seguita? Sono così felice di aver raggiunto un milione di follower in così poco tempo. Credo in una moda che parla a tutti in ogni parte del mondo. Basta con le vecchie regole, la moda deve essere qualcosa che unisce, un’alleanza globale. Ho visitato il quartier generale di Instagram in California e da lì il passo è stato breve. Il mio interesse per la tecnologia è sempre più grande. Amo il futuro e penso in continuazione a quale sarà il prossimo passo. Chi vuole guardare sempre al passato? È passato. Andiamo avanti. Quale immagine non pubblicherebbe mai? Una foto che non rispecchi quello in cui credo. Le pesa essere diventato un personaggio pubblico, citato anche in televisione? Fa parte del mio lavoro. E certe volte mi diverto anche. Immaginatevi che noia se ci prendessimo tutti troppo sul serio. Full translation at page 154

Stylist: Jacob Kjeldgaard; Hair: Guido Palau; Make up: Pat McGrath; Models: Adriana Lima @ Elite; Bella Hadid, Gigi Hadid @ Img; Stella Maxwell @ The Lions; Bette Franke, Giulia Maenza @ Why Not; Anna Ewers, Doutzen Kroes, Hanne Gaby Odiele, Iselin Steiro, Anne V @ Women; Casting director: Piergiorgio del Moro; POST PRODUCTION: Hannah Kuo; Looks: Versace spring-summer 2017

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Un percorso da bambino prodigio. Sicuramente David Koma ha bruciato le tappe. Georgiano di nascita, scuola d’arte a San Pietroburgo a sette anni, dove in seguito ha aperto il suo primo atelier. La prima collezione già nel suo teen moment. Poi la Central Saint Martin’s. I premi vinti, il lancio ufficiale della sua linea. E l’approdo alla guida creativa nella fashion house fondata da Thierry Mugler. «In un posto come Londra ci sono molte librerie dove puoi studiare fashion history. A San Pietroburgo no, ma trovai un documentario su Thierry Mugler dove veniva mostrata una retrospettiva di tutta la sua collezione. E così è stato il mio primo amore, il primo designer che ho potuto conoscere così profondamente». Non ha perso tempo, sviluppa in parallelo il brand con il suo nome e ha creato il suo esercito di Mugler angels. A colpi di fisici healty, visi da regine di Instagram, digital eye e un mesh up di business e creatività. Tutto nato quando decise di non giocare a tennis come invece avrebbe voluto suo padre. «I’m fashion, dissi. Ero giovane e fiero di me». Lei è molto giovane, la sua prima collezione risale a quando era teenager? Sì, non so bene come sia successo. Volevo disegnare già da quando ero molto piccolo. Poi ho cominciato la scuola d’arte quando avevo circa 7-8 anni, a quei tempi vivevo a San Pietroburgo. Mi sono diplomato all’high school quando avevo 15 anni e al tempo avevo già la mia collezione. Verso i 12-13 anni avevo infatti letto la pubblicità di una fashion competition per studenti, non per children in realtà… Piuttosto veloce… Bisognava disegnare tra i 3 e i 6 outfit e io ho preparato tre coat. È stato molto divertente perché non credevano avessi realmente quell’età. Un paio d’anni dopo di me hanno introdotto la regola per cui se non eri uno studente non potevi partecipare a quel genere di competition. I loved it... Ho cominciato a fare application per tutte le competition esistenti nel Paese. Così in un paio di anni, arrivato ai 15, ho pensato: «Ok, sono pronto per il mio fashion show». Così ho aperto il mio atelier a San Pietroburgo e ho cominciato ad assumere persone. Poi ho deciso di fermarmi, lasciare tutto, trasferirmi a Londra e iniziare gli studi alla Central Saint Martins. Ho completato i tre anni di BA e poi il Master di due anni. Ad insegnarmi è stata la leggendaria Louise Wilson, che è venuta a mancare. Lei era il mio eroe, era incredibile. Mi ha davvero aiutato, mi ha permesso di credere in me stesso. Quando mi sono diplomato al master la mia collezione MA ha ottenuto abbastanza successo e molta attenzione da stampa e buyer. È andata in vendita da Browns, che ha comprato l’intera collezione. Poi ho vinto gli Harrods design awards e le collezioni sono andate in vetrina… E così è ricominciato tutto di nuovo. E la sua famiglia? Nessuno di loro faceva parte della moda e non erano nemmeno legati al mondo dell’arte. Erano invece più vicini allo sport. Mia mamma era ginnasta e geologa. Mio padre era un giocatore di calcio con una laurea in economia. Lui voleva che praticassi tennis e ci ho provato, dai 4 ai 12 anni. Poi mi son detto: «I’m in fashion». E ho trovato la mia voce per esprimere il fatto che non volessi giocare. Ero fiero di me. Come è avvenuto il contatto con Mugler? Ho iniziato con la collezione MA nel 2009, quindi è arrivata David Koma, lo studio a Londra. Ho iniziato a lavorare. A un certo punto sono stato avvicinato da quelli di Mugler per diventare

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direttore creativo. È stato davvero surreale. Quando ero quattordicenne, in un’intervista, mi è stato chiesto quale fosse la casa di moda per cui volevo lavorare… E io risposi Thierry Mugler. Per questo genere di lavori non puoi fare application, se succede, succede. Ha mai incontrato Thierry? No, non ho mai avuto questo genere di conversazione con lui, ma mi piacerebbe molto. Lavora a Berlino e segue progetti differenti. È un incredibile designer, che ha avuto la capacità di creare questo nuovo universo di Thierry Mugler, che è differente, riconoscibile. Forte. È incredibile poterne fare parte. Quali sono oggi altri designer che la ispirano? Quando studiavo c’erano diverse persone a influenzarmi… Ovviamente Thierry Mugler. Amo Pierre Cardin, amo Geoffrey Beene, Azzedine Alaïa, Courrèges e Claude Montana. Anni 60 e 80… Sì, esattamente. Gli anni 60 sono molto importanti per me. Qualcosa del modo di vivere, del divertimento. Quel retrofuturism che amo molto. Con gli anni 80 invece c’è questa esposizione esagerata delle forme femminili, l’idea delle super model. È la combinazione del minimalismo grafico dei 60s con il corpo della fine degli 80s e inizio 90s che funziona per me. Quest’attitude è riconoscibile nelle sue collezioni? C’è sempre un’influenza 60s. È il mio ingrediente preferito, non importa cosa stia cucinando, c’è sempre un po’ di 60s. Credo dia sempre un twist speciale, soprattutto quando si lavora con silhouette, quando esplori l’atleticisimo e la sensualità, con il filtro dei 60s c’è un twist interessante. C’è un po’ di sport, di arte, di futuro… È interessante anche perché Thierry Mugler appartiene a un'azienda beauty e quindi si esplora anche in questo settore. Come descriverebbe le silhouette dell’ultima collezione? È ispirata a questo mondo underwater. Sono stato affascinato in particolare da quelle bellissime creature che sono gli squali. Le trovo misteriose, pericolose e belle. E la loro silhouette è molto Mugler. È stata una collezione divertente, sia io che il mio team ci siamo divertiti e abbiamo festeggiato. A volte con tutte le stagioni che si susseguono, con pre-fall, resort, diventa pesante. Quindi per l’estate ho detto «Let’s enjoy» e ne sono contento. Differenze tra i capi per muoversi in sfilata e quelli per una pre-collezione destinati a un lookbook? È qualcosa che sicuramente influisce su silhouette e lunghezze. In generale amo l’high speed del catwalk, ne amo l’energia, la musica e la velocità. Ma non trovo appropriate linee lunghe e strette quando ci si muove molto velocemente. Con pre-fall e resort, visto che saranno presentate in un formato molto diverso, non ne tengo così conto. Quando disegno, non è importante che il risultato sia bello solo per la realtà, ma è super importante considerare il digital eye. Controllo sempre attraverso la macchina fotografica. Se non trasmette la giusta impressione, la stessa sensazione che si ha nella realtà, allora lo mettiamo in discussione e ci rilavoriamo. Cosa pensa o dice quando vede che l’immagine funziona? Durante il processo non sono molto espressivo, sono molto concentrato. Ma quando tutto è finito, allora lì mi sento di dire qualcosa, posso essere eccitato e felice. Le collezioni sono le mie little babies… Il momento in cui sono più contento è quando vedo i vestiti sulle modelle, su belle ragazze.

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In passerella o sulla strada? In entrambi i casi. Quando vedo il line-up nel backstage… Soprattutto a Parigi dove ci sono tante bellissime ragazze… Lavoriamo molto duramente per avere un casting incredibile. Quel momento è il più exciting per me. E per quanto riguarda Karlie Kloss e Taylor Hill? Karlie è estremamente speciale per me. La prima volta in cui l’ho incontrata sono rimasto abbagliato. Lei ha questa grazia, è misteriosa, powerful. Molto intellettuale, coraggiosa, charming. Taylor è una nuova ragazza, la adoro. Ricordo quando un paio di stagioni fa ha iniziato con i primi show. E il modo in cui è continuata a crescere divenendo una donna. La sua bellezza si sta aprendo e sta diventando sempre più forte. Le piace il mondo digital? Sì, ma non ne sono ossessionato. Sicuramente oggi siamo tutti coinvolti e attivi sui social media. Io non lo sono troppo, ma abbastanza da essere consapevole di ciò che succede. Non mi sento così tanto di condividere la mia vita. Non credo ci sia nulla di sbagliato, mi piace quando le persone condividono se ciò però avviene in modo naturale. A me non viene in mente. Non mi viene nemmeno in mente il perché qualcuno dovrebbe voler vedere il momento che sto vivendo. Avete aperto lo store a Parigi… State sviluppando una strategia per il brand in una direzione precisa? Era importante aprire il flagship a Parigi per portare sotto lo stesso tetto abbigliamento, profumi, accessori e avere uno store fisico dove esprimere la mia visione. Dove condividere l’universo Mugler. What’s next? Idealmente, nuovi store. Abbiamo lanciato le borse un anno fa e stanno andando benissimo. Mi piacerebbe quindi sviluppare il lato accessori del business. Le scarpe? Non domani, ma sì. E per quel che riguarda i profumi? Sono coinvolto anche in questo. Da quando sono entrato da Mugler si è rafforzata l’idea di unire sempre più beauty e fashion. Per questo c’è stato il rebranding, con un solo logo per entrambi, visto che per molti hanno lo hanno avuto diverso. Ora li abbiamo raccolti sotto il nome Mugler. Avete anche un nuovo volto per Angel? Sì, si chiama Angel muse. Il volto è Georgia May Jagger. Lei è molto cool, sono importanti anche i ricordi legati a sua madre (Jerry Hall, ndr). Era incredibile, la storia così continua con la figlia. Chi sarebbe la sua angel se lei potesse scegliere ora? Non posso sceglierne una sola… Potrei avere un gruppo, un angel army magari. Oggi i grandi gruppi assumono i designer, li tengono per 2-3 anni poi li cambiano.. Cosa sta succedendo al sistema? È troppo veloce? Credo sia interessante il fatto che stiano arrivando tanti nuovi designer. Ed è interessante far

parte di questo grande cambiamento. Sono sempre curioso, spero che qualcosa di buono emerga da tutto questo scambio di designer, di see now buy now e di tutto ciò che sta succedendo. Non so quale sia la ragione dietro la decisione di molti brand di cambiare gli stilisti ogni giorno. Ma è interessante essere parte di una nuova generazione di designer che lavora a livello globale, in diverse città ed è bello vedere come la settimana della moda di Parigi assuma così un volto fresco. Lei lavora su più collezioni, la sua, quella di Mugler… A questo proposito una volta ha menzionato Karl Lagerfeld.. È sicuramente una persona che ho idealizzato. Non solo io in realtà. Mr genius della moda, il guru di tutti noi. Penso a lui ogni volta che sento di volermi lamentare di quanto difficile sia fare così tante cose, di non avere tempo. E poi penso che Karl lo fa e lo fa da tanti anni così bene. Se Karl può fare così tanto allora io posso fare la mia piccola parte ed esserne felice. Un’altra cosa che dicono di lei è che i suoi capi vendono bene… Io capisco le donne e loro capiscono me… C’è questa comunicazione. Quando loro vedono i capi li capiscono, si sentono bene nei vestiti che disegno. Supportano e comprendono la storia che racconto. Per questo credo di riuscire a vendere. Anche perché oggi vendere è qualcosa che viene richiesto... Non importa quanto creativo tu sia. Certamente la moda senza creatività non ha senso, ma noi lavoriamo nel fashion business e il business a volte assume la stessa importanza della creatività. È complicato ma è bello quando entrambi i mondi funzionano e si supportino. La storia di Mugler è sicuramente couture related, ma ciò che stiamo facendo ora è ready-to-wear ed è qualcosa che bisogna considerare. Nella nuova collezione ci sono influenze sportswear e swimwear, c’è un approccio daywear, ma tutti i dettagli, le rifiniture, i tessuti sono couture. C’è un mix per creare questo equilibrio. Dove produce le collezioni? Il 90% è made in France, il che è piuttosto costoso. Il knitwear è italiano, la pelle direi 50% tra Italia e Francia. Ora che ci stiamo espandendo stiamo pensando di spostarci anche in altri Paesi, ma all’inizio ho voluto avere le cose sotto il controllo il più possibile. E comunque amo il tag Made in France. Perché avete anche aggiunto Parigi al logo? Amo Parigi e siamo qui. Quindi ho pensato che essendo Mugler fosse giusto dargli una destination, la sua casa. Sta pensando di espandere anche la sua collezione? Certo, per me è interessante lavorare per due brand differenti in due città diverse. Ogni settimana mi sposto da Parigi a Londra con il treno. Ho un incredibile team da David Koma e anche da Thierry Mugler. Senza di loro non potrei fare tutto quello che faccio. Full translation at page 154

Styling: Clare Richardson; hair: James Pecis; make up: Sally Branka for Clarins; models: Taylor Hill e Karlie Kloss @ Img; set design and production: OBO global; casting director: Noah Shelley @ AM casting; music: Mode F; POST PRODUCTION: Hannah Kuo; looks: Mugler spring-summer 2017

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«Perché ho imparato l’italiano? Per parlare con i fornitori. Per comunicare e avere quello che ci si aspetta. Bisogna essere flessibili». Johnny Coca ha un primo grande dono, l’immediatezza. Un’illuminante linearità di pensiero. Racconta quel suo modo di lavorare che l’ha portato oggi a essere il front man di Mulberry, dopo un curriculum blasonato nel mondo degli accessori. Tra Louis Vuitton all’epoca Marc Jacobs e Céline in due fasi, sia con Michael Kors sia con Phoebe Philo. Un background internazionale per lo stilista spagnolo nato a Siviglia, trasferitosi a Parigi per studiare arte, architettura e design all'École nationale des Beaux-arts e all’École Boulle, ossia un’antica scuola dove si realizzano i mobili per Versailles. «Mentre studiavo, lavoravo come freelance per realizzare le vetrine di Vuitton a Parigi. Intanto disegnavo borse e ho fatto uno squillo a Yves Carcelle per mostrargli i miei schizzi. Mi ha richiamato mezz’ora dopo e mi ha chiesto di iniziare subito. Mi dividevo metà Louis Vuitton, metà scuola». Il suo segreto per un accessorio vincente? «Cerco l’iconic function. Sarà la mia cultura nel fatto di immaginare anche mobili, ma alla fine disegnare una borsa è come disegnare una piccola casa». Diceva che tornare da Céline è dipeso dalla sintonia che si è creata con Phoebe Philo. Com’è stato lavorare con lei? È molto intelligente. Quello che io m’aspettavo di fare era in linea con quello che lei si aspettava di avere. Quando vai in una casa di moda, devi sforzarti di seguire il mood. Con Phoebe mi piaceva che non ci fosse mai stato nessuno sforzo. Io ero su una direzione più design, architettura, definito. Preciso nelle proporzioni. Come quando fai il disegno di un tavolo, di una lampada è tutto legato alla proporzione, al colore, ai materiali. Dopo 15 anni lavorati nella pelletteria era bello pensare il prodotto in modo diverso. Non prendere un vintage e rifare. Ma capire con lo studio e il team come portare una novità nella costruzione, nell’uso. Che la gente non si aspettava in termini di look. Come nasce una it bag? La prima cosa è la costruzione. Dopo penso a cosa ci si aspetti come uso. Per me è infatti più iconic l’uso che non il prodotto finale. Voglio lavorare su una caban, su una shopping. Già questa è un’iconic function, non un’iconic shape. Sembra una visione più d’architettura o di industrial design … Puoi fare i disegni ma poi quella borsa a cosa serve? Parto da una bowling, da una Bugatti, quella è la funzionalità e il volume. E ripenso a come portare una costruzione molto più moderna, più unexpected rispetto agli altri. Perché è quello che fa la differenza tra un marchio e un altro. O è tutto quello che si appoggia sopra. O è legato al volume e alla costruzione. Per il successo di una borsa, non devi mai pensare che fai una it bag. È il cliente che sceglie e rende un prodotto iconic. Un mix tra il suo lavoro e il cliente finale quindi? Una relazione. Alle volte puoi disegnare qualcosa di spettacolare. Ma il prezzo è sbagliato, la funzionalità difficile. Bello ma in termine di uso non è così facile. Prendiamo la Caban di Louis Vuitton, la Kelly o la Birkin di Hermès, la Peekaboo di Fendi. Come si aprono e si chiudono, la lunghezza della tracolla. La funzionalità, la comodità sono un valore in più. Assieme al fattore costo. Sono tutti elementi che interagiscono. Il prezzo è un fattore determinante? C’è molta competizione. Il volume di una borsa è legato al prezzo definito sul mercato. Se sei fuori, ci sono tanti che arrivano con un prezzo più aggressivo. Quali borse hanno segnato la storia della moda? Dal momento che un prodotto rimane anni e anni, si può pensare in modo più temporale. Un prodotto che può vivere tra i 10 e i 15 anni ha capito tutto in termini di look, di effetto. Prendiamo la Birkin di Hermès. Le proporzioni, l’uso e il look sono molto facili. La Speedy di Vuitton è molto comoda. Ma anche la vecchia Jackie di Gucci, la hobo bag. Alcune sono delle basi di referenza che possono vivere e rimanere per anni. Alla fine ognuna ha la sua funzionalità e il proprio uso. Tengo corsi alla Saint Martins school di Londra ed è il modo di approcciare che spiego. Ho lanciato un progetto. Ognuno deve pensare una shape, non all’iconic bag ma all’iconic function. Come si traduce la sua visione da Mulberry? È molto interessante perché Mulberry ha due fabbriche con 600 persone per la produzione in Inghilterra, coprendo circa il 60% del totale. Abbiamo anche dei piccoli produttori in Italia. Per me era un valore, se hai la tua fabbrica puoi fare, negoziare, giocare su ogni punto di quando fai un disegno. Inoltre è un marchio così emblematico per gli inglesi, sono affascinati, è come un loro bambino. Quando una figlia finisce la scuola e va all’università, il primo regalo che fanno mamma e papà è una borsa Mulberry. Fa parte della cultura inglese, per questo voglio proteggere il marchio. Io sono arrivato per rinnovarlo, portarlo a livello internazionale. Il mercato era più basato sul cliente inglese. Come arrivare a portare questo marchio su un vivere internazionale, più moda, più trendy. E in quali step si traducono? Intanto rinforzare il prodotto e la comunicazione, rendendola più internazionale. Sto lavorando sul nuovo concept delle boutique nel mondo e prepariamo lo sviluppo del marchio in Asia. Al profumo ci pensiamo ma non abbiamo ancora deciso. E poi rinforzare il mondo dell’uomo, dove già abbiamo la pelletteria che comunque è abbastanza importante in termini di vendita.

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Ma sto lavorando su prodotti e abbigliamento un po’ più unisex. Prima comunque consolidare la donna e dopo nel futuro vediamo. Vent’anni fa Mulberry faceva già collezione uomo... Dove nasce la sua ispirazione? Realizzo un moodboard con quello che mi piace, legato alla cultura inglese e più personale. Vado a fare ricerca nei mercati vintage, in biblioteca, esco e guardo la gente in strada. Come un giorno vedendo due gruppi di studenti con le uniformi, che andavano a scuola vestiti uguali come i giapponesi. Ed è diventato un elemento. In più referenze che mi piacciono. Ero già impazzito per questo mondo del kilt, del tartan, della pelletteria, del biker. Questo mondo pop rock mi piaceva già anni fa. Un po’ di provocazione… Molto inglese anche questo… C’è una cosa strana. A Londra quando esci ognuno vuole essere molto diverso dall’altro. A Milano è più sofisticato milanese. Quando vai nella fabbrica Mulberry quelli che montano le borse sono coperti di tatuaggi, con i capelli colorati. Ho pensato, dove sono finito? Per anni ha lavorato al fianco di grandi talenti. Com’è stato il passaggio a direttore creativo? Ero contento di avere una visione a 360 gradi e avere anche l’abbigliamento. Realizzavo scarpe, borse, gioielli, mi mancava proprio di finire sui vestiti... Tutti questi prodotti erano legati a una silhouette di una donna, alla fine era divertente avere il look totale. Avevo già nella mia cultura una visione globale, avere una consistenza globale su ogni cosa. Sulla comunicazione, l’immagine, il packaging. Alla fine tutto dev’essere legato a un mondo coerente. Cosa ha pensato alla prima sfilata? Mi ero impegnato così tanto sulla pre-collezione, che sulla sfilata ho lavorato in modo veloce. Dopo il primo show, ero sorpreso della reazione globale della press, molto positiva. Sulla seconda sfilata, ho preso più tempo per lavorarci. Volevo tutti gli elementi bilanciati. Com’è la sua donna Mulberry? Ha un carattere molto forte. Con un’attitudine moderna che viene dalla strada, perché ha qualcosa di vero. È il cool moderno inglese. Da McQueen te lo immagini più spettacolare e poetico. Il nostro è più underground. Cosa pensa dei movimenti degli stilisti tra le maison? È molto personale. Se uno va via, lo fa per una ragione particolare. O perché non è in linea con la visione globale. O perché è stufo e ha voglia di provare qualcosa di diverso. È vero che il non rimanere tanto tempo, rende difficile vedere un ritorno su quello che hai fatto. Io sono rimasto molti anni su ogni marchio per vedere più a lungo termine. Ogni scelta di un designer che va via è personale e non commerciale. Non è perché sei pagato più o meno, i designer non cambiano per soldi. Ogni creatore nella moda fa tutto legato al suo cuore. Se non stai bene dentro, non puoi stare bene fuori. Com’è la sua vita digitale e il rapporto con i social media? Abbiamo un dipartimento che segue quello. Non ho Facebook, Instagram, non ho nulla. La mia vita è la mia vita personale. Non faccio vedere ogni secondo. Dal momento che lavoro su un marchio, lavoro per il marchio. Preferisco interagire con il dipartimento digitale, per portare l’immagine o la comunicazione che mi piace. Non voglio essere la vetrina per tutti. A chi interessa che vado a Ibiza per le vacanze? Come è stato lavorare in questa sfilata con Lotta Volkova, che è un po’ la stylist del momento? È divertente, ride spesso. A volte ci sono stylist che sono più principesse. Ti viene da chiedere: «Ma tu da dove vieni?». Siamo qui per lavorare non per fare il tuo show. Mi piace la sua visione, è sveglia e simpatica con chiunque. Dice buongiorno a tutti e non a uno solo, quando entra in una sala dove ci sono in giro 20 persone. Mi piace questo suo mondo fuori, provocatorio. Ha un carattere ed è forte. Ha un punto di vista preciso ma s’interagisce, si arriva a un bilanciamento tra quello che pensa lei e penso io. Rispetta il marchio. Cosa le dà fastidio della moda oggi? Direi di avere più tempo ed essere meno di fretta. Avere più tempo per fare le cose bene e di qualità. E legate alla direzione che hai scelto di intraprendere. Alle volte non hai finito una cosa che devi già iniziare quella seguente. Lei è nato con gli accessori, da sempre gran parte del turnover delle aziende. Quindi capisce anche di numeri... Come sono cambiate le logiche commerciali anche in relazione all’online? Gli accessori sono il valore più importante per la maggior parte dei marchi. Con l’e-commerce, c’è un mondo parallelo che vende prodotto. È fondamentale non essere finti, ma onesti sulla qualità, sul prodotto e sul prezzo. Più un marchio è onesto, più ha successo. Se quello che ti arriva è diverso in termini di qualità, alla fine la gente parla molto. Quindi proteggere quello che fai e dare il massimo in quello che il cliente aspetta. Un sogno da realizzare? Sto bene. Il fatto che io abbia una visione a 360 gradi su tutto è già una bella cosa, è il mio sogno. Ma soprattutto, che funzioni quello che faccia o dove vada. Non porto mai il successo su di me, in modo personale, ma sul marchio. Ci vuole onestà verso il posto di lavoro. Full translation at page 154

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Creative director: Johnny Coca ; Stylist: Lotta Volkova @ Management artists; Hair: Gary Gill @ Streeters; Make up: Inge Grognard @ Jed root; Models: Lily Standefer @ Dilan Cicek; Sofie Hemmet @ Elite; Mayka Merino, Eva Varlamova @ Img; Chanel De Leon Gomez @ Marilyn; Liene Podina @ MP; Bella Dunn @ Ford; Odette Pavlova @ Next; Phillips Humphrey, Lara Mullen @ Oui Management; Maren Behringer, Annabel Longden @ Premier; Georgia Howorth, Isabella Ridolfi, Helena Severin @ Viva; Production: Villa Eugénie; Casting director: Patrizia Pilotti; POST PRODUCTION: Hannah Kuo; Looks: Mulberry summer 2017

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proenza schouler Jack McCollough e Lazaro Hernandez

servizio stefano roncato foto tommy ton @ THECOLLECTIVESHIFT Quando si siedono al tavolo, scatta subito the now feeling. Attitudine rilassata, da nuova generazione. Concretezza e creatività dell’oggi. Quell’easy americano disarmante nella sua consapevolezza. T-shirt e consigli di amministrazione. Niente divismi o cicatrici di quell’interesse mediatico che li segue sin dall’inizio. Ridono complici, parlano di tutto, si potrebbe passare ore a vederli interagire. In un caleidoscopio che esplode le personalità di Jack McCollough e Lazaro Hernandez ricomponendole in quel vortice estetico che hanno creato. Al secolo Proenza Schouler. Marchio fenomeno della scena newyorkese, con un percorso scandito da acuti visivi e da una storia che ha sempre due chiavi di lettura. Intellettuale e pop. Da un lato, una mission estetica dove convergono youth culture, arte e sperimentazioni materiche. Dall’altro, i due protagonisti che si incontrano in un club all’epoca in cui studiavano nella stessa scuola nella Grande mela. Diventano una coppia nella vita e un duo creativo, giovani e belli come attori, corteggiati da buyer ma anche da grandi maison. Un dream da manuale, ma loro rompono gli schemi ancora una volta. Colpiscono perché non sembrano cedere a facili lusinghe. E guadagnano punti anche quando sembrano sinceramente messi in imbarazzo dalla prima fashion domanda, che altri amerebbero. È vero che sono loro due i cool guys in town? «Sarebbe una novità per noi, non riteniamo di essere così cool. Next question, please?». Got it. Mescolate arte, tessuti tecnici… Da dove viene la vostra ispirazione? Arriva davvero da ovunque. Non siamo una heritage brand che è in giro da un centinaio d’anni. Per noi non sono neanche 15, siamo in giro solo dagli ultimi dieci anni, o circa. Quindi non dobbiamo trattare con una grande eredità o un enorme archivio, ispirazioni o idee da cui pescare. Attingiamo dalle nostre vite. La nostra ispirazione è molto autobiografica, cose che guardiamo, dove siamo stati e cosa abbiamo visto, quello che troviamo interessante al

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momento. Cerchiamo di vedere il più possibile, di viaggiare il più possibile. Esperienze. Ecco perché è molto autobiografica. Guardi la collezione e puoi dire dove siamo al momento. In passato le collezioni erano un po’ più tematiche e molto basate sul viaggio, cosa che è avvenuta meno negli ultimi due anni. Continuiamo a viaggiare dopo ogni show, ma è più viaggiare, andare in qualche posto diverso, risposare la mente. Siete soddisfatti quando finisce uno show? O siete già nel mood di qualcosa di nuovo? Dopo, sempre soddisfatti. Quando arriviamo a una sfilata, non siamo mai non confident. Siamo preparati, l’abbiamo capita. Ma tutti e due dobbiamo fare un passo indietro e guardare da una prospettiva oggettiva. Dopo uno show devi in un certo senso rifiutarlo, riusciamo a guardarlo forse dopo un anno. Ci vuole tempo per metabolizzare? Siamo ancora troppo attaccati per vedere gli errori. Possiamo guardare ora l’ultima spring. State dicendo quanto di voi stessi ci sia nelle vostre collezioni. Ma è facile lavorare insieme? It’s tricky, complicato. Intanto perché tutto è soggettivo e non esiste un giusto o sbagliato. È puramente basato sulle nostre emozioni e su come ci sentiamo rispetto a qualcosa. Quindi è difficile spiegare perché sei attratto e cosa ti piaccia. E ciascuno potrebbe essere attirato da qualcosa di diverso. Non puoi convincere qualcuno, o sei attratto o non lo sei, è personale. È difficile a volte arrivare allo stesso punto, convincersi a vicenda dell’idea dell’altro. Ci sono molte cose che dobbiamo fare e decidere insieme. Questa è la parte più complicata. Allo stesso tempo, ciò rende davvero successful quello che facciamo ed è il mix delle nostre due idee che si uniscono. Formano qualcosa forse più grande della semplice somma delle due parti.

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Normalmente due persone si sentono piu sicure insieme… Essere parte di un duo rende più facile alcuni aspetti. Apparizioni pubbliche, talk, eventi. Sembrerebbe strano farli da soli. Come vi siete sentiti quando alcune grandi maison vi hanno corteggiato? Si parlava di Valentino a un certo punto, poi di Lvmh… È interessante e ti fa sentire bene, si tratta dell’offerta di lavori importanti. A volte ti viene da dire: «Oh, dovrei farlo, forse è interessante». Ma semplicemente non puoi fare due cose alla volta, specialmente in una couture house. Devi seguire dall’alta moda all’underwear senza contare che hai Proenza Schouler a New York e il resto in giro per il mondo. It’s crazy. Non sappiamo come facciano altri designer, non siamo i tipi che dicono «blue, red, short, long!». Siamo focused, siamo coinvolti direttamente su tutto. Già solo una collezione è così impegnativa per noi che l’idea di realizzarne 17 l’anno non è il nostro modo di lavorare. Quindi meglio dire no perché preferite concentrarvi sul vostro brand? Assolutamente. C’è qualcosa di affascinante nel lavorare per un marchio più grande. Più risorse, creare idee e girarci introno, molta libertà. Allo stesso tempo sei un dipendente della società e c’è anche qui comunque una mancanza di libertà. Senza contare che nei grandi marchi ti possono licenziare in un momento. Se poteste scegliere liberamente voi il nome da disegnare, c’è la possibilità che cambiate idea? Dipende. A volte forse potrebbe arrivare qualcosa che sia molto convincente. You never know. Fate qualche nome… Versace! (parla Hernandez, ndr). Sono di Miami, I’m a Versace guy, ho un’inclinazione speciale per quel marchio. Sarebbe molto divertente.

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E poi? Penso sarebbe bello fare Margiela (parla McCollough, ndr), hanno un incredibile archivio. Versace e Margiela. Ancora una volta le vostre due personalità che emergono? È quello che è Proenza Schouler. In un’intervista dichiaravate come uno di voi è bianco e l’altro è nero. Per questo Proenza è grigio… Non ci potrebbe essere Proenza se ci fosse solo uno di noi. È il mix che funziona. Partendo dal vostro nome. Perché avete scelto i nomi da nubile delle vostre madri per battezzare il brand? Non avevamo un’altra idea (scherzano, ndr). Avevamo circa due settimane per creare il marchio. Era parte della nostra thesis collection studiavamo insieme alla Parsons. Barneys ha visto la collezione e l’ha comprata in maggio con consegna a settembre. Avevamo quindi due mesi e mezzo per capire come fare la produzione o il sizing. Dovevamo realizzare un’etichetta molto velocemente e dovevamo arrivare con un nome. Abbiamo pensato McCollough Hernandez, Hernandez McCollough, Jack & Lazaro… Quindi è arrivato Proenza Schouler. Il suono era un po’ strano, anche un po’ europeo, noi eravamo così giovani, 23 anni. Abbiamo scelto questo e iniziato a lavorare sul logo. Come pronunciarlo? Esistono anche dei tutorial su Youtube… Dovremmo cambiarlo in «Skooler» per renderlo più facile (scherzano, ndr). È un cognome tedesco quindi forse originariamente era pronunciato come «shoes». Ma quando mia madre è venuta in America, ha iniziato ad avere questo suono (parla McCollough, ndr). Comunque onestamente, ci piace il fatto che la gente non riesca a pronunciare il nome di un brand. Ce ne sono molti, Saint Laurent, Loewe o Hermès. È bello che non lo dicano bene, troppo

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perfetto non è interessante. Sembrate divertirvi mentre lavorate… Perché no. Non è una tortura. Dove vi siete incontrati? In un club chiamato Life, qui a Manhattan. Circa 13 anni fa. E di strada insieme ne avete fatta. Prossimo step per l’azienda? Stiamo preparando il lancio di una fragranza con L’Oréal, per il 2018. Abbiamo iniziato a lavorarci un anno e mezzo fa ma si sa come sia un lungo processo. Ci vuole molto tempo, ci sono molti test da fare. Stiamo programmando un grande lancio, vogliamo che tutto sia perfetto. C’è il nome, il packaging, la donna, la campagna, la storia dietro… Per vendere oggi serve sempre di più uno storytelling... Qual è la storia di Proenza Schouler? Siamo fashion, arte, cultura contemporanea, curiosità, energia. Siamo orientati all’oggi. La moda dovrebbe essere il riflesso del momento. Ed è questo che ci interessa, riflettere la cultura e le nostre esperienze. È meglio guardare all’oggi o a al domani? Pensiamo all’oggi. Vivendo il presente, per quanto possibile. Non troppo proiettati in avanti, non troppo legati a quello che è stato. Just live the moment. Questo si riflette anche nelle vostre collezioni, dove non si vedono citazioni precise? Non c’è uno stile per noi, non c’è retro. Tutto ciò non è neanche consapevole, è solo quello in cui siamo interessati. E la sfilata della spring-summer?

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È difficile parlarne adesso, siamo già così dentro la prossima stagione che è difficile guardarsi dietro, anche se non era molto tempo fa. È stata un’esplorazione di tecniche e di idee random come spirito, energia, velocità e movimento. Volevamo tornare ai colori. Abbiamo giocato con le pieghe. È un collage di idee. Molto spontaneo. Come un moodboard vivente? Sì, l’abbiamo fatto evolvere naturalmente. Volevamo cambiare da quello che abbiamo realizzato nell'ultimo paio d’anni. Forse chiudere quel capitolo e aprirne uno nuovo. Ora abbiamo un nuovo spirito. Più libero. Più liberi da cosa? Dal good taste. Che vuol dire che volevamo tornare indietro a molte cose. Per un po’ abbiamo lavorato su una direzione good taste, più minimal. Più pulita. Più chic. Ora volevamo liberarci e tornare al colore, all’energia. Più instinctive, più primal, primitivo. Quando create prendete in considerazione anche strategie commerciali? Se iniziamo a fare over-analyzing, quelle sono le collezioni o i look che non sono mai un successo. Non funziona per noi mettersi a pensare se questo farà bene, se serve un certo pezzo o un certo tessuto, se abbiamo bisogno di limare. Per esempio, questa stagione è la migliore da sempre. E il menswear? Mai valutato? Ci abbiamo pensato ma siamo già molto impegnati. Siamo focalizzati sulla donna e sugli accessori. Siamo presi anche da board e budget meeting e altre cose che non ci lasciano tempo per l’uomo. Vedremo, forse. Vorremmo il menswear per ragioni egoistiche. Anche per noi stessi. Full translation at page 154

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Styling: Marie Chaix; Hair: Anthony Turner for Bumble and bumble; Make up: Diane Kendal and the Mac pro team; Nails: Honey for China glaze; Models: Mica Arganaraz @ Dna; Luisana Gonzalez @ Ford; Kiki Willems @ Img; Grace Hartzel, Selena Forrest, Lorena Maraschi, Lineisy Montero, Binx Walton, Jay Wright @ Next; Elsa Sylvan @ Photogenics; Marine Deleeuw, Alice Metza, Yasmin Wijnaldum @ The society; Sora Choi @ Wilhelmina; Ina Jensen @ Women; Casting director: Ashley Brokaw; POST PRODUCTION: Hannah Kuo; Looks: Proenza Schouler spring-summer 2017

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portfolio

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BRIVIDI DIGITALI dalla prima fila. Tra MOMENTI ICONICI, ambientazioni spettacolari E NUOVE ossessionI VISIVE. Racchiuse nelle pagine di un diario-album. PER catturare lo zeitgeist. photo by stefano roncato

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FAUSTO PUGLISI

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PHILIPP PLEIN

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DOLCE & GABBANA

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EMPORIO ARMANI

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SAINT LAURENT

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business view

INFLUENCER S.p.A. dal dominio dei fashion blog a quello dei social media, le pioniere della moda 2.0 compiono oggi il nuovo passo con l'imprenditoria. e fondano le proprie società, tra chi lancia brand e agenzie digital. By Ludovica Tofanelli The next step. È il passaggio da influencer a imprenditrici. Quello che in Italia hanno compiuto nomi come Chiara Ferragni, Gilda Ambrosio ed Eleonora Carisi. Star dei social media che hanno avuto la capacità di catturare e nutrire il proprio seguito, alimentando quel mercato di influencer che entro il 2020 varrà tra i 5 e i 10 miliardi di dollari, come sottolineano i dati dell’agenzia di marketing californiana MediaKix. Giovani protagoniste del web che ora intraprendono nuovi percorsi. Se qualche anno fa c’è stato il passaggio da blogger a influencer, oggi l’evoluzione sta nel tradurre il background digital in attività imprenditoriali. Dalla condivisione di outfit alla costituzione di società. E le italiane sono in prima fila. A partire dal duo formato da Giorgia Tordini e Gilda Ambrosio, che un anno fa hanno dato vita al loro brand di abbigliamento Attico, che già vanta collaborazioni ad hoc con realtà come Net-aporter. «Entrambe avevamo piena conoscenza del mondo dell'imprenditoria, ancor prima di essere considerate delle influencer, o qualsiasi definizione si voglia utilizzare. Lavoravamo già nel settore e, in qualche modo, eravamo imprenditrici di noi stesse», hanno raccontato le due business partner, inserendosi in quella nicchia che ha avuto la capacità di portarsi dietro il vissuto dei social media per tradurlo in nuove forme imprenditoriali. Perché, c’è da sottolineare, già l’attività di influencer genera ricavi notevoli. I fee richiesti variano generalmente in base al numero di follower, ma sono strettamente legati anche al tipo d’immagine veicolata e alla credibilità. Per un singolo post sponsorizzato su Instagram le cifre partono dai 500-1.500 dollari per chi conta qualche centinaio di migliaia di followers, fino ai 20 mila e oltre di chi supera il milione di seguaci. Un vero e proprio mercato basato sull'incidenza dei social media, che le influencer, però, hanno tradotto attraverso nuove chiavi interpretative per supportare le proprie attività e non sono quelle dei marchi già noti. «Da quando ho lanciato il blog a oggi sono cambiate molte cose e la moda è stata protagonista di una vera rivoluzione. Io sono felice dei traguardi che abbiamo raggiunto... E di esser sempre stata me stessa», ha spiegato Chiara Ferragni, forte di un seguito che su Instagram supera i 7 milioni di follower. I ricavi della sua The blonde salad hanno raggiunto nel 2015 i 10 milioni di euro, un totale che include comunque le vendite della linea di calzature Chiara Ferragni collection,

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che genera circa il 70% del fatturato. Numeri destinati a crescere grazie allo spirito imprenditoriale di Ferragni e del suo socio e ceo Riccardo Pozzoli. Prospettiva del duo è quello di chiudere il 2016 con un incremento dei ricavi del 70%. Dopo il lancio nel 2009, il blog personale si è trasformato in una piattaforma lifestyle a 360 gradi. Nel 2013 è poi arrivato il brand di scarpe e pochi mesi fa è stato il turno del nuovo canale e-commerce. Uno spazio per lo shopping online dove The blonde salad propone prodotti creati in esclusiva con marchi come N°21, Msgm e Delfina Delettrez. «Quando tutto è iniziato non ci aspettavamo risultati simili… Ma piano piano abbiamo cominciato a strutturarci come un’azienda, trovando nuovi modi per comunicare e crescere. Oggi abbiamo un team di circa 25 persone che porta avanti una vera piattaforma lifestyle. E non parlo di piattaforma in termini tecnici», ha raccontato lo stesso Pozzoli. A strutturarsi sono stati anche Eleonora Carisi, Paolo Stella e Ivano Marino, che insieme hanno creato la loro agenzia digital dal nome Grumble creative. «In un certo momento della nostra vita ci siamo ritrovati appartenenti a un medesimo mondo, un mondo che proponeva un linguaggio di comunicazione completamente nuovo. Con il passare del tempo e dell'euforia iniziale, abbiamo intuito e sentito l'esigenza di incanalare le nostre idee e capacità in questo nuovo lavoro cercando di capire come applicare su larga scala un know how imparato sul campo». Detto, fatto. Il trio ha tradotto la propria capacità di conquistare il pubblico social in un’attività business, mettendo in campo le proprie esperienze reali per far da consulenti ai brand. «Ci siamo confrontati davanti a un caffè, raggiungendo la conclusione che, se eravamo in grado di parlare di noi a un pubblico così vasto, potevamo utilizzare il medesimo linguaggio per far parlare i brand del lusso con cui lavoravamo… Oggi le aziende sono consapevoli che la brand awareness si crea prevalentemente sui social network». Un’ondata evolutiva che gli stessi brand stanno cercando di cavalcare, inseguendo gli influencer attraverso investimenti sempre più sostanziosi. Secondo uno studio di Fashion & beauty monitor, condotto in collaborazione con Econsultancy e che ha coinvolto circa 350 professionisti del fashion marketing tra Usa e Uk, il 57% degli intervistati ha dichiarato all’attivo un piano strategico a supporto dell’influencer marketing. Un quarto

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di questi investe tra il 30 e il 70% del proprio marketing budget nelle attività con i pionieri dei social media. Cifra in costante crescita, considerando che un ulteriore 21% ha in programma di finanziare questo genere di progetti entro un anno. Le stesse Ambrosio e Tordini, alla guida di un team di nove persone con la loro Attico, hanno posto l’accento sull’importanza del loro mondo social e del legame con l’online: «Conoscere il mondo del web per noi è solo un vantaggio. Essere conosciute o riconosciute ci aiuta sia in termini di credibilità che di vendita del prodotto. Il cliente finale ha bisogno di identificarsi in un mondo, in un gruppo e, in questo caso, senza voler essere presuntuose, si rivede in noi». Aggiungendo inoltre come «i social sono in questo momento storico fondamentali e questo ci permette di estendere la conoscenza del nostro brand a livello globale, supportando anche i clienti che acquistano

online, che per noi sono importantissimi». Ma gli esempi italiani non sono gli unici. Sul mercato statunitense si è infatti affacciata Rumy Neely, fondatrice del blog Fashiontoast.com, che ha lanciato la sua label Are you am I, già indossata da modelle e icone fashion come Kendall Jenner e Bella Hadid. Accanto a lei è comparsa poi Danielle Bernstein, la newyorkese dietro a Weworewhat.com, che ha dato vita al proprio marchio Second skin overalls. O ancora Leandra Medine, founder di Manrepeller.com, divenuto oggi a tutti gli effetti uno spazio editoriale online con un team di oltre 15 persone. Un cambiamento di rotta o piuttosto un’evoluzione. Nell’era della rivoluzione 4.0, in cui i brand cercano di trovare la loro risposta nella digitalizzazione, gli influencer fanno il percorso al contrario. E forti di una propria base digital già consolidata lanciano le loro imprese di moda. Sempre con un risvolto social.

Nella pagina accanto, chiara ferragni con una scarpa della collezione che porta il suo nome. sopra, da sinistra, gilda ambrosio e giorgia tordini con alcuni capi della collezione attico. in basso, da sinistra, eleonora carisi, ivano marino e Paolo stella , i tre fondatori di grumble creative

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overview

the fashion genius

Il met di new york celebra rei kawakubo e il mito di Comme des Garçons con una grande retrospettiva dedicata all'esplorazione dei limiti. by Rosario Morabito

in queste pagine, dall'alto in senso orario, alcuni scatti d'archivio realizzati da paolo roversi di abiti comme des garçons dalle stagioni F/w 2015, s/s 2016, s/s 2014 e s/s 1997

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«An untrained fashion designer». Così Wikipedia, la fonte d’informazione enciclopedica dell’era Internet, descrive Rei Kawakubo, classe 1942, leggenda vivente della moda e anima della maison giapponese Comme des garçons. Un bel paradosso, considerando che quella mancanza di training formale si sarebbe rivelata, nel corso della vita e della carriera della designer, un punto di forza e una chiave di lettura di tutta la sua epopea stilistica. Tanto che oggi, all’età di 74 anni, Kawakubo è l’unica designer vivente cui il Met-Metropolitan museum di New York dedicherà una retrospettiva. E prima di lei questo onore è toccato soltanto a Yves Saint Laurent. La mostra «Rei Kawakubo / Comme des Garçons» aprirà infatti i battenti il 2 maggio 2017 e resterà aperta al pubblico per tutto il periodo estivo, fino al 4 settembre, ispirando anche il prossimo Met gala. Nella tradizione del museo newyorkese, si tratta di un’esposizione che è già evento e che punterà i riflettori sull’approccio della designer alla moda, sempre incentrato sullo spazio interstiziale fra realtà date, coi loro limiti. Da sempre, infatti, la moda di Comme des garçons si configura come un processo continuo di ricerca e sperimentazione a cavallo fra il sé e l’altro, fra oggetto e soggetto, un dialogo costante e acceso tra moda e anti-moda. Fin dal 1973. anno in cui fondò a Tokyo il marchio Comme des garçons, Rei Kawakubo ha sfidato le convenzioni rielaborandole, forse proprio perché libera da una formazione scolastica di settore. Anno dopo anno, collezione dopo collezione, Comme diventava un brand con un linguaggio proprio in fatto di estetica, con qualcosa di nuovo da dire sulla nozione stessa del bello, di cosa sia o meno di buon gusto e, in ultima analisi, sulla nozione di cosa fosse «moda». Non solo: a oltre 40 anni dalla fondazione, Comme des garçons è forse la griffe che meglio di qualunque altra ha trovato quell’alchimia fra arte, moda e società dei consumi, nonché l’autorità per non deragliare mai dal proprio universo estetico, al di là di trend di stagione e ossessioni culturali del momento. Un valore aggiunto su cui la Kawakubo ha saputo capitalizzare con lungimiranza imprenditoriale, trasformando la sua vision in un brand lifestyle a tutto tondo, dal successo commerciale globale. Comme des garçons ha infatti lasciato un traccia importante anche sulla scena retail, sia con i Guerrilla store, una serie di pop-up che hanno aperto e chiuso fra il 2004 e il 2008 in città diversissime fra loro come Berlino, Reykjavik, Varsavia o Beirut, sia con Dover street market, il multibrand lanciato a Londra sempre nel 2004 che ha dato nuova linfa al concetto di destination store.

«Nel mescolare i confini tra arte e moda, Rei Kawakaubo ci spinge a pensare l’abbigliamento in modo differente», ha spiegato Thomas P. Campbell, direttore e ceo del Met. «Il nostro curatore, Andrew Bolton, dovrà allestire abiti che sembrano sculture, in una mostra che rimette in discussione le nostre idee sul ruolo della moda nella cultura contemporanea». Considerazioni confermate dallo stesso Bolton, che nel descrivere l’impianto concettuale della mostra ha spiegato come: «Il lavoro di Rei Kawakubo fa in modo che pensiamo alla moda come un luogo di creazione continua, di ri-creazione ibrida, riuscendo a definire l’estetica dei nostri tempi». La mostra, infatti, procederà per temi e non cronologicamente, mettendo assieme capi femminili per un totale di 120 pezzi a partire dalla prima sfilata parigina del 1981. Il fil rouge che detterà i vari ensemble è il concetto di «in-betweenness», ossia lo spazio che si interpone fra due limiti. Non solo quelli politici, il maschile-femminile e le convenzioni associate alla nozione di gender, ma anche quelli geopolitici: l’Oriente da cui Kawakubo proviene e in cui risiede, l’Occidente in cui il suo discorso-moda incontra il favore del settore, accedendo a un pubblico mondiale. Nei capi in mostra c’è poi il dualismo fra passato (l’heritage giapponese, una storia del costume dissonante rispetto a quella europea, eppure complementare nell’esotismo della sua poesia e nel rigore della sua forma) e un presente fatto di contemporaneità sincretiche, in cui convive tutto e il contrario di tutto, che Rei Kawakubo è riuscita a decifrare e tradurre in un codice vestimentario. Non si saprà mai se è stato il tempo a darle ragione, o se una sensibilità creativa fuori dal comune le abbia consentito, fin dagli esordi, di percepire il futuro e sintonizzarsi su di esso, in una costante anticipazione di quello che sarebbe venuto. Come ha dichiarato lei stessa: «Ho sempre ricercato un modo di pensare il design che fosse nuovo, attraverso la negazione di valori prestabiliti, delle convenzioni, e di tutto quello che viene comunemente accettato come la norma». E nel tempo i punti fermi che ne hanno ispirato ogni decisione stilistica sono quelli cui altri designer non sono mai arrivati. Fare dell’abito un mezzo di sintesi culturale, un’opera d’arte indossabile, porre la questione dell’abitare i vestiti e poi, con questi, lo spazio circostante: tutte mission impossible per alcuni e riflessione ciclica per Rei Kawakubo. «I tipi di espressione da sempre più importanti per me», ha concluso lei stessa, commentando la mostra, «sono la fusione, il disequilibrio, il non finito, l’eliminazione e l’assenza d’intenti». In altre parole, tales of in-betweenness.

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The Best

fendi Opulenza e dettagli sporty. Labbra glitterate, codini e mollette piramidali in cima alla testa di eroine cartoon. Funny e rococò. In bilico tra iperdecorativismo e performance. La collezione è un omaggio a una moderna Marie Antoinette, che alle crinoline preferisce uno shirt dress nudo sulla schiena e con maniche goffrate. Che sfoggia con disinvoltura un paio di trainer in maglia con tanto di calzino. E che mixa decori imperiali a tessuti tecnici. Le maxi gonne ricamate in fil coupÊ sono indossate con top smilzi. Mentre i pantaloni da jogging ricordano le culotte nascoste sotto gonnelloni settecenteschi. Infine gli abiti grembiule, che sono tenuti insieme da nastri fluttuanti. E fiocchi coccarda ricamati sui colletti delle sottovesti, indossate sopra le camicie.

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The Best

gucci Una fairy tale sfaccettata, think pink, che si ispira a una disco ball dall’allure gotico noir, ricca di fumo soffuso. Il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, racconta un'estate ricca e opulenta, grazie alla sua carica ipervisiva. In tutti i capi, la materia e i volumi si espandono. Ricami d’antan e pelle spalmata, citazioni 70s ed extreme 80s impreziosiscono i look. Grazie a fogge di animali, perle su mocassini taccati e ciabatte dal platform ad altare. Oltre a grafiche uniche, che riproducono le illustrazioni dell’artista Jayde Fish, scoperto dallo stesso designer su Instagram. Infine, i volant sulle silhouette aeree degli abiti lunghi e multistrato si mixano con citazioni orientali e stampe manifesto. Come le scritte «Hollywood» o «cemetery» sulla vita degli abiti.

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The Best

prada Una collezione che sembra raccontare di un glamour introspettivo. Grazie a: «Un’eleganza un po’ sbagliata, riportata all’oggi e alle sue contraddizioni, al bello, al brutto», ha spiegato Miuccia Prada. «La collaborazione con David O. Russell (che ha realizzato il cortometraggio Past forward, presentato con dei frame durante lo show, ndr) nasce da un confronto sullo stesso tipo di pensiero sensibile, semplice, umano e passionale. Con un’ossessione per queste donne di varie razze, tutte femminili. Con un’attrazione per le cose che contano nella vita. L’amore o la paura nei rapporti». In passerella, grigio e cammello. E contrapposizioni di stampe geometriche e floreali. New ugly chic in chiave tridimensionale. Grazie anche a isole di piumette e grandi tag di velcro, che rompono le silhouette, strizzandole addosso. E regalano un twist moderno a ciascun pezzo classico.

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JUNYA WATANABE Una collezione xtreme. Come la stampa iconica di stagione che appare su T-shirt e gonne. Junya Watanabe colpisce l’immaginario con quella sua visione anticonformista e punk. Capelli pericolosi, sparati e appuntiti. Trucco virato al nero, dirty sulle tempie, anche con un accenno di mascherina. Come i replicanti in fuga di Blade runner ma di passaggio in una strada di Berlino. O in un club di Tokyo. Che compiono una distorsione del guardaroba. Creando origami tridimensionali, aculei architettonici, tagliati come gonne, stole e cappe. In passerella torna il denim, mixato alla pelle o tagliato corto negli shorts. Mentre i pantaloni si coprono con un pavÊ di borchie, le stesse che impreziosiscono gli stivaletti bassi.

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The Best

AZZEDINE ALAÏA

Profumo 60s. Che regala al défilé un’attitude da ragazza ye-ye unita a un retrogusto snobbish e artsy. Scadito da un trionfo cromatico di tinture forti. In un vortice d’arte che evoca opere di Pier Mondrian, di Jim Harris o di Kris Ruhs, oltre ad alcuni dipinti cinetici. «Quando creo non inizio mai da un’idea precisa o da una referenza. Mi lascio trasportare dalle emozioni», ha spiegato Alaïa. «Questa stagione ci sono il colore, la fluidità, le sovrapposizioni, le stampe e il rosso. Avevo voglia di un racconto gioioso». Una parata di amazzoni dal volto semplice. Che indossano pelle dark tagliata in sbieco, cupole svuotate e intarsiate da finestre geometriche di vedo non vedo. E frangiature folk ricamate di borchie rock’n’roll.

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The Best

chanel Robot griffati doppia C. In un sala-database da far invidia a Steve Jobs e Bill Gates. Ricco di monitor tech, fibre ottiche annodate e arricciate, con pareti da server informatico. Dai quali vengono generati angeli digitali che corrono in skate sulla rete. Indossando cappellini girati, guanti, scarpe basse traforate, borse led, gonne morbide e grandi bluse di maglia portate sulle spalle. Le fantasie rigate e quadrettate hanno una matrice da circuito integrato. Mentre i ricami si ispirano a chip di ultima generazione. «È quella che io chiamo intimate technology», ha spiegato Karl Lagerfeld. «Ho voluto che questa collezione non fosse una retrospettiva ma una visione del mondo attuale, di un universo dove siamo dipendenti dalla tecnologia».

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124 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

dolce & gabbana

Sullo sfondo la scritta «Tropico italiano», impreziosita da palme e banani. Un remix 3.0 della tarantella, con ballerini napoletani di breakdance che invadono la passerella. E poi croci e ricami sulle giacche da majorette, madonne ed etichette di pelati new warholiani. «Da Napoli alla Sicilia, sono tutte le nostre cose», hanno spiegato Domenico Dolce e Stefano Gabbana. «Cibo, colori, sapori, famiglia, gelato, drink, mandolino, pizza. Parole ovvie per noi italiani che le viviamo. Ma non per tutti quanti. Tutto quello che a noi sembra ovvio all’internazionale non è più così». I look sono funny e coinvolgenti. Grazie alle lucine e alle fibre ottiche fluorescenti su cerchietti, coroncine e perfino sui tacchi delle scarpe.

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MFF-Magazine For Fashion | 125

The Best

balenciaga Anno 1958. È questo il momento storico da cui è partito Demna Gvasalia per realizzare la collezione spring-summer 2017. Proprio quando monsieur Cristobal Balenciaga sperimentava il gazar per i suoi abiti scultorei e monumentali, entrati nella storia del costume. O quando la tecnologia tessile salutava la texture elastica Spandex. «Ho voluto esplorare quel sottile legame tra la haute couture e il feticismo. Perché l’alta moda è feticcio di lusso», ha raccontato il designer. Il gioco è un’oscillazione sottile tra le atmosfere ovattate degli atelier e le luci peccaminose dei club underground di Londra e Berlino. Il tutto impreziosito da borse gigantesche, tute effetto Diabolik in cromie accecanti e giacche con spalline powerful.

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126 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

valentino

«Sono partito dai miei valori, dalla mia identità estetica», ha spiegato il designer Pierpaolo Piccioli alla prima prova come mente creativa unica a capo della maison romana. «Ho cambiato data e location, volevo essere libero di vivere questo momento e che altri lo guardassero con un’altra prospettiva. Sono dove ho scelto di essere e volevo che tutto questo venisse fuori». Un new Rinascimento tra cuori e spade. Un eden floreale, con uccelli e fantasie, che diventano ricami deluxe e stampe disegnate ad hoc da Zandra Rhodes. Con linee che si allungano, sfiorano terra e citano i 70s. Rese uniche grazie a patchwork preziosi, che si arricchiscono di piccole borse con catenelle. E del nuovo oggetto cult, il portarossetto trasformato in una micro bag.

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MFF-Magazine For Fashion | 127

The Best

ALEXANDER MCQUEEN Un’isola immaginaria come passerella, cosparsa di tappeti. Circondati da sassi e ghiaia che non spaventano le guerriere celtiche immaginate dal direttore creativo Sarah Burton. Che indossano anfibi e stivali con rinforzi in metallo. Con i capelli schiacciati, appena tolti dall’elmo. I gioielli bling bling, ricchi di riflessi d’argento cromato, penzolano da corpetti di pelle nera, che sono indossati insieme ai kilt, su completi maschili con giacche come marsine militari. Prima nero, buio e oscurità, declinati in tartan notturno, con frange di cristalli noir legati indissolubilmente alle giacche. Poi luce, con le fantasie fiorate e luminose, all over, declinate in ricami su vesti trasparenti. Su stivaletti e perfino sul denim, che diventa deluxe.

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MFF-Magazine For Fashion | 129

Gucci

Dior

Rodarte

Fausto Puglisi

Y/project

trends

Michael Kors

J.W.Anderson

SPREAD LOVE Peter Pilotto

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Ashish

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130 | MFF-Magazine For Fashion

Emilio Pucci

Versace

Fausto Puglisi

Prada

Esteban Cortazar

Givenchy

Carven

Byblos Milano

Etro

trends

poptical

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MFF-Magazine For Fashion | 131

Issey Miyake

Arthur Arbesser

J.W.Anderson

ChloĂŠ

Isabel Marant

Marco de Vincenzo

Chanel

Lacoste

Mary Katrantzou

Miu Miu

Trussardi

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132 | MFF-Magazine For Fashion

Balenciaga

Michael Kors

Dior

Maison Margiela

Public school

Fendi

Dion Lee

trends

TRENCH Junya Watanabe

Creatures of the wind

Moschino

Valentino

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134 | MFF-Magazine For Fashion

Comme des garรงons

Dolce & Gabbana

Dsquared2

Marc Jacobs

trends

supersize

Salvatore Ferragamo

Elie Saab

Junya Watanabe

Hussein Chalayan

Ashley Williams Marques Almeida

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J.W.Anderson

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MFF-Magazine For Fashion | 135

Jacquemus

Louis Vuitton

Loewe

Céline Balenciaga

Simone Rocha

Gareth Pugh

Saint Laurent

Emanuel Ungaro

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136 | MFF-Magazine For Fashion

Michael Kors

Max Mara

Moschino

Anya Hindmarch

trends

BATHSUIT Chiara Boni La petite robe

Philipp Plein

Elisabetta Franchi

Tommy Hilfiger

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Miu Miu

Maison Margiela

Les copains

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138 | MFF-Magazine For Fashion

Dior

Tommy Hilfiger

Haider Ackermann Junya Watanabe

trends

LETTERING Ashley Williams

Paco Rabanne

Loewe

Hood by air

Stella McCartney

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Dolce & Gabbana

Maison Margiela

House of Holland

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140 | MFF-Magazine For Fashion

N°21

Moncler gamme rouge

Issey Miyake

Marc Jacobs

Loewe

Emporio Armani

Alexander McQueen

trends

patch couture Antonio Marras

Acne studios

Off-White

Christopher Kane

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142 | MFF-Magazine For Fashion

Hermès

Ralph Lauren

Valentino

Lutz Huelle

Givenchy

Lacoste

Gucci

Emporio Armani

trends

pinky Topshop unique

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Trussardi

Salvatore Ferragamo

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MFF-Magazine For Fashion | 143

Paul Smith

Diesel black gold

CĂŠline Balenciaga

Emilio Pucci

Chanel

Fendi

Ermanno Scervino

Blumarine

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144 | MFF-Magazine For Fashion

Prada

Alexander McQueen

Pringle of Scotland

Maison Margiela

Msgm

Laura Biagiotti

Sacai

Comme des garรงons

trends

Paul Smith

CHECK-IT

Acne studios

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146 | MFF-Magazine For Fashion

Thom Browne

Diesel black gold

Ermanno Scervino

Giorgio Armani Salvatore Ferragamo

Dries Van Noten

Giambattista Valli

Fay

trends

BLOOM Paul Smith

Blumarine

Isabel Marant

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MFF-Magazine For Fashion | 147

Moschino

Moncler gamme rouge

Dolce & Gabbana

Emporio Armani

Fendi

Philosophy di Lorenzo Serafini

Lanvin

Blugirl

Altuzarra Alberta Ferretti

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148 | MFF-Magazine For Fashion

Giorgio Armani

Jeremy Scott

Nina Ricci

Ralph Lauren

Balmain

Marc Jacobs

trends

SHINING Thom Browne

Louis Vuitton

Genny

Paco Rabanne

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Elie Saab

Gucci

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International Festival of Fashion and Photography at Hyères Première Vision Prize Céline Méteil Ragne Kikas Grand Jury Prize Première Vision Satu Maaranen Kenta Matsushige Annelie Schubert Wataru Tominaga

7-9 Feb. 2017

premierevision.com

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© Julien Weber/Agent Mel

CREATE, INSPIRE, SHARE.

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MFF-Magazine For Fashion | 151

beauty

grooming

makeover. Un racconto di bellezza che si muove dietro le quinte. Mixando effetti speciali, suggestioni da sfilata e tips backstage. by Francesca Manuzzi Marc Jacobs

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01. DIANA VREELAND. Fragranza Outrageous outrageously vibrant; 02. VIKTOR & ROLF. Profumo Flowerbomb in edizione limitata; 03. TOM FORD. Eau de parfum Orchid soleil; 04. CHANEL. Profumo fiorito-fruttato Chance Eau tendre; 05. PRADA. Fragranza Candy kiss; 06. DIOR. Miss Dior absolutely blooming

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MFF-Magazine For Fashion | 153

beauty

grooming

makeover. Un racconto di bellezza che si muove dietro le quinte. Mixando effetti speciali, suggestioni da sfilata e tips backstage. by Francesca Manuzzi Chanel

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01. NARS. Crema illuminante Illuminator Copacabana; 02. GIORGIO ARMANI. Lipstick Lip magnet 501 Eccentrico; 03. GUCCI. Matita Impact smokey eye pencil Sunstone; 04. DAVINES. Tonico anti-umidità Blowdry primer; 05. ESTÉE LAUDER. Priming moisture balm Genuine glow; 06. MAC. Blush Magic dust powder Yum yum yum

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154 | MFF-Magazine For Fashion

international

english Versace - Donatella Versace Story by Stefano Roncato Photos by Tommy Ton @ Thecollectiveshift Like breathing in a whiff of perfume with your eyes closed: evocative,intriguing, magnetic. It must be her surname, the Olympus of fashion. It must be her first name, instantly recognizable even when uttered on its own. She could incite a little bit of terror but she’s the one who dispels doubt and breaks down barriers because Donatella Versace has one great gift, she’s really nice. Engaging and ironic with a warm infectious laugh that reveals a sharp, intelligent mind. “How would I define myself? First of all as a woman, even though I can be anything I want: artistic director, designer, entrepreneur, mother, friend…” Interesting, flawless. Her words have a natural soundtrack to them. An innate and instantaneous glamour. Speak to her and you immediately become a fan. It’s like being in a music video by Madonna, Elton John, Lady Gaga or Zayn Malik, who she will start collaborating with on the Versus Versace line. Think of her iconic blonde hair flecked with diamonds and pearls as Prince would sing, an artist she often uses for the soundtrack to her shows and another old friend of the house of Versace. The maison with an enchanting ring to it. With its women that are transformed into gods just by slipping on a dress, the bewitching stars of the female silhouette. With the creation of celebrated supermodels, led by Naomi Campbell at the front of the last catwalk show, always guaranteed to set pulses racing. A cast of noble beauties that would be a test for any alpha male, a dictionary of fashion goddesses. A for Adriana Lima, Anna Ewers….a storm of stunners, just to mention one you may have heard of, Gigi Hadid, the latest digital Empress, charismatic siren of Instagram as well as girlfriend of the aforementioned Mr. Malik. Because Versace looks forward, and the dream continues. Is it difficult being Donatella Versace? No because I’m myself. Difficult is trying to be something you’re not. To be truthful and authentic with yourself is the most important thing. How would you define yourself? Designer, Entrepreneur…. First and foremost I define myself as a woman. I can also be anything I want, artistic director, designer, entrepreneur, mother, friend…. You’ve reiterated the need to talk about the strength of women…..Do you think of yourself as a strong woman? Being strong doesn’t mean being invulnerable. Even a strong woman has her weaknesses but that doesn’t make her weak, it makes her human. Being a strong woman for me means to play the game following the rules, pushing the limits and breaking down barriers, overcoming weaknesses and fighting for what you believe in. What’s your first fashion memory? I was born into a family where creativity and artisan skill are everything. My mother was a tailor and the Italian tradition of the cut, the shape and the quality were part of my life, right from my very first memories. Your family has a passionate history. Dazzling moments as well as other more difficult moments, like the death of your brother Gianni...is it hard to look back? We’ve lived through moments of huge growth as well as more difficult moments but, we’ve always managed to lift our spirits and take the opportunity to reinvent and revolutionize our way of creating fashion. In fact every fashion brand, just like every company, has to reinvent itself if it wants to succeed. How much do you think being a family has counted towards your history? Being a family always matters in every history. I am lucky because my brand is also my family. In Versace, we laugh and we work hard,

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we fight and we reconcile. It is a family and it is also an extended one, it includes my friends as well. What phase is the maison of Medusa in right now? Versace is a place of incredible energy, a place dedicated to creativity. What was it that made you understand something was changing and the brand was on its way back to the top? The key is evolution and change. Reflecting, evaluating then trying to go beyond that and move forward. What has changed at the house since the era of Gianni? Fashion companies are going through a moment of profound change, one of the most significant in the last 20 years. The internet has made luxury “available” to all and has opened the door to lots of young people, all the latest news is now published online. You can shop, make friends, share your purchases: Everything is done online. This is a change that brands have to interpret. All the major names in fashion have to evolve. You are also a great talent scout. Are you proud of having worked with young, successful designers like Jonathan Anderson, Christopher Kane and Anthony Vaccarello? Young designers are my passion. I love working with them, while we work I can teach as well as learn from them. I like to meet them right after they’ve graduated because it allows me to be part of a world that I don’t get to see every day. Which young designers are you looking at right now? Any Italians? I don’t just like young well known designers, there are others who work in my design team in Milan, young graduates who come from design schools all over the world. I share my passion, energy and creativity with them. In the world of fashion there are famous designers who are recognized publicly, but there are also lots behind the scenes who contribute and make fashion what it is today. Their work is fundamental. Out of the big names, which do you like? Karl Lagerfeld, Miuccia Prada, Riccardo Tisci… that’s my idea of fashion, an idea of a creative alliance. Versace invented the top model in the 90’s. What do you remember about those women who captivated the world? Incredible women, strong and fearless. With Gigi Hadid, Bella Hadid and Co… are we on the cusp of a new generation of supermodels? Perhaps in a certain sense yes, but in a different way to before. They have a new power, an even stronger voice and an image that is projected at the world through the internet. Who are the Linda, Cindy and Chrisy of today? Gigi and Bella Hadid, Kendall Jenner, Irina Shayk, Taylor Hill… For your last catwalk show, you chose a cast of VIP’s among which was Naomi Campbell...How important is it to have a line up as star-studded as yours? The model selection is fundamental, from established to new faces. Each one has to be unique and have personality. It’s not just about their bodies, but also their attitude, energy and passion. I try to make my runway a mix of women, each one different and unique. You’re about to start a collaboration with Zayn Malik on the Versus line….why did you choose a celebrity? Why not? Zayn is one of the strongest characters on the global scene. The first time we met he told me how much he loved fashion. I thought it would be great for us to work together on a new collection for Versus Versace. Zayn has an enormous number of fans all over the world, I am sure they’ll all follow us. What are young people looking for or what do they see in Versace? I’ve always thought of fashion as a celebration of life and transformation, every moment is unique. Versace has always represented liberty and creativity. Freedom is the right to be yourself, independently of who you are and who you love. How would you define the Versace of today in three words?

Passion, creativity and innovation. What is the starting point for your collections? Where do you take your inspiration from? I am inspired by everything around me, the whole world and the women who live in it. I like to observe, I look at the present and I think of the future. I look at women today, how they dress, what they’re looking for, how they want to live their lives. Modern women inspire me and push me to create collections for them and the world in which they live. What’s the mood behind the catwalk collection? Sportswear is the future of fashion, making it unique and luxurious is my challenge this season. This collection looks at one thing, freedom. Freedom of movement, freedom to act, freedom to be whoever you want to be. Just like the words in the music at the show, “This show, this show is for the women taking chances / Take the leap, if we do nothing, we get nothing.” How do you feel when you see Versace inspired pieces on other catwalks? If they’re quoting you it means you’re doing something right, no? Your book just came out….what does it talk about? What does represent to you? It is really important for me. It tells the story of Versace through my eyes, it tells the story of my current work, all my passion and love. I have been lucky to collaborate with extremely talented people in every artistic field and they fill the pages of this book. You are famous, a friend of the stars but you’re also able to make yourself “invisible”, not often appearing in the press unless it’s work related. How important is your privacy and your private life? I believe it matters to everyone, there are some things that I love to share about my work and my life, there are others that are just for me. How do you combine this with opening your own Instagram account where you have a lot of followers? I am so happy to have reached one million followers in such a short space of time. I believe in fashion that speaks to all parts of the world. Enough with the old rules, fashion has to be something that unites people, a global alliance. I went to the Instagram offices in California and from there it just took off, my interest in technology just continues to grow. I love the future and I’m always thinking about what will come next. Who wants to always look at the past? It’s over. Let’s move ahead. What picture would you never publish? A photo that doesn’t reflect what I believe in. Do you find it difficult to be a public figure who is even quoted on television? It’s part of my job. Sometimes I even have fun. Imagine how boring it would be if we all took ourselves too seriously. Mugler - David Koma Story by Stefano Roncato Photos by Tommy Ton @ Thecollectiveshift The path of a prodigious child. David Koma was definitely ahead of his time. Georgian by birth, then art school at the age of 7 in St. Petersburg, where he opened his first atelier, already producing his first collection during his teens. Then Central St Martin’s. Then the first triumphs, the official launch of his own label and taking the creative helm of the fashion house founded by Thierry Mugler. “In a place like London there are lots of libraries where you can study fashion history. Not in St. Petersburg, there I found a document on Thierry Mugler showing a retrospective of all his collections and so it became my first love, the first designer I knew so much about.” He didn’t waste any time, developing his namesake label at the same time as the Mugler angels. All healthy bodies, the faces of the Queens of Instagram, a digital eye and a mash up of business and creativity. It all started when he decided to stop playing tennis like his father wanted him to, “‘I’m fashion,’ I said. ‘I am young and proud of who I am.’” You’re very young and you created your first collection when you were just a teenager?

Yes, I’m not quite sure how it happened. I wanted to design right from when I was little. I started at art school when I was about 7 or 8 years old, when I lived in St Petersburg. Then, I graduated from high school at 15, by that time I already had my first collection. When I was about 12 or 13 years old, I saw an ad for a fashion competition for students, it wasn’t really for children… That was quick… Applicants had to design between 3 to 6 outfits, I made 3 coats. It was funny because they didn’t believe I was so young. A couple of years later they introduced a rule to stop you taking part in that type of competition unless you were a student. I loved it...I started to apply to all the competitions in the country. After a couple of years, when I was about 15 years old, I thought, “OK, I’m ready for my first fashion show” so I opened my own atelier in St. Petersburg and I started hiring people. Then I decided to stop, leave everything and move to London to start studying at Central Saint Martins. I finished the three year BA program and then the two year Masters program. The legendary, late Louise Wilson was my teacher, she was my hero, she was incredible. She really helped me, she let me believe in myself. When I graduated from the Masters program, my MA collection was successful and got a lot of attention from the press and buyers. It went on sale in Browns, who bought the whole collection. Then I won the Harrods design award and the collection was on display in the store windows… that’s how everything started again. What about your family? None of them are in the fashion world, they’re not even connected to the world of art. They were closer to sport. My mum was a gymnast and geologist. My father was a football player with a degree in economics. He wanted me to play tennis, I tried from 4 - 12 years old, then I said to myself, “I’m in fashion.” And I found my voice, to express that I didn’t want to play tennis. I was proud of myself. How did you come into contact with Mugler? It started with the MA collection in 2009, so the David Koma studio moved to London. I started working. At a certain point I came into contact with Mugler to talk about being Creative Director. It was really surreal. When I was 14 years old, in an interview, I was asked which fashion house I would like to work for… and I said Thierry Mugler. In this line of work you can’t apply, what happens, happens. Have you ever met Thierry? No I’ve never had this kind of conversation with him, but I’d really like to. He works in Berlin and follows different projects. He is an incredible designer who’s been able to create this new universe of Thierry Mugler which is unique and instantly recognizable. Strong. It’s amazing to be a part of it. Who are the other designers that inspire you at the moment? When I was studying there were different people who influenced me….obviously Thierry Mugler, I love Pierre Cardin, Geoffrey Beene, Azzedine Alaïa, Courrèges and Claude Montana. So the Sixties and Eighties… Yes, exactly. The 60’s are really important to me. Something about the lifestyle, the way they had fun. That retrofuturism which I really love. With the 80’s there’s this exaggerated display of the feminine form, the idea of the super model. The combination of the minimalist graphics of the 60’s and the body at the end of the 80’s, early 90’s is what works for me. Does this attitude come out in your collections? There’s always a 60’s influence. It’s my favourite ingredient, no matter what’s cooking, there’s always a bit of 60’s in there. I think it always adds a special twist, above all when working with silhouettes, when exploring athleticism and sensuality, with a 60’s filter there’s an interesting twist. There’s a bit of sport, art and future… It’s also interesting because Thierry Mugler is part of a beauty company so that is another area that’s open for exploration. How would you describe the silhouette in the last collection? It’s inspired by an underwater world. I became particularly fascinated with sharks. I find them

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mysterious, dangerous and beautiful. Their silhouette is very Mugler. It was a fun collection, both myself and my team had fun, it was a celebration for us. Sometimes, as all the seasons come in such quick succession, with pre-fall, resort, it can be tough, so for summer I said, “Let’s enjoy” and I’m happy with the results. What’s the difference between the pieces designed for the runway and those for the pre-collections that will be presented in a lookbook? It’s definitely something that influences the silhouette and the length. Generally, I love the frenetic nature of the catwalk, I love the energy, the music and the speed. But, I don’t think long, straight lines are appropriate when you’re moving so fast. With pre-fall and resort, as they’ll be presented in a totally different way, I don’t think about it as much when I design, it’s not important that the results only look good in real life, it’s also super important to consider the digital eye. I always look at them from behind the lens of the camera. If they don’t give off the right impression, the same sensation that they have in real life, then we re-evaluate them and re-work them. What do you think and say when you see that an image works? I’m not very expressive during the process, I’m very focused. When everything is done, then I feel like I can say something, I can be exited and happy. The collections are my little babies... the moment I’m happiest is when I see the clothes on the models, on beautiful girls. On the catwalk or on the street? Both. When I see the line-up backstage…. above all in Paris where there are so many beautiful girls… We work really hard to have an amazing casting. That’s the most exciting moment for me. What about Karlie Kloss and Taylor Hill? Karlie is really special to me. The first time I met her I was totally dazzled. She has this grace and mystery which is powerful. She’s very smart, bold and charming. Taylor is a new girl and I adore her. I remember a couple of seasons ago when she did her first shows and the way she has continued to grow and become a woman. Her beauty is blossoming and she’s becoming much stronger. Do you like the digital world? Yes but I’m not obsessed. Today, we are definitely all engaged and active on social media. I’m not that much, but enough to know what’s going on. I don’t feel so involved that I want to share my life. I don’t think there’s anything wrong with doing it, I like it when people share if that’s what comes naturally to them. I just don’t think to do it. I don’t even think about the reason why someone would want to see what I’m up to at that moment in time. You’ve opened the store in Paris...Are you developing the brand strategy to go in a precise direction? It was important to open the flagship store in Paris in order to have everything - clothes, perfume and accessories - under one roof and to have a physical store where I could express my vision. To share the Mugler universe. What’s next? Ideally, new stores. We launched the bag line a year ago and it’s doing really well. So I would like to develop the accessories side of the business. Shoes? Not tomorrow, but yes. And what about the perfumes? I’m involved in those too. Since I started at Mugler the idea of uniting beauty and fashion has been reinforced more and more. For this reason, there was the rebranding using one logo for everything, as before many lines used different ones, now we’ve brought them all together under the Mugler name. Have you also found a new face for Angel? Yes, yes it’s called Angel muse. The face is Georgia May Jagger. She’s really cool, it’s also important to remember the connection to her mother (Jerry Hall, ndr). She’s amazing, and the story continues with the daughter. Who would be your angel if you had to choose right now? I wouldn’t be able to just choose one… I would have a group, an angel army maybe. Today, the big fashion houses hire designers, they keep them for 2 or 3 years and then they change them? What’s

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happening in the fashion system? Is it moving too quickly? I think it’s interesting that there are so many young designers and it’s interesting to be part of this change. I am always curious, I hope something good will come out of all these designers changing places, from see now, buy now and everything that is going on. I don’t know the reason behind the decision to keep switching designers all the time. It is interesting to be part of the new generation of designers who work on a global scale, in different cities, it’s amazing to see how fashion week in Paris has taken on a fresh face. You work on more than one collection - your own, the one for Mugler - when talking about this you’ve mentioned Karl Lagerfeld… He is definitely a person I’ve idolized, but it’s not really me: Mr. Fashion Genius, the guru of all of us. I always think of him when I hear myself talking about how difficult it is to do so many different things and not having enough time. Then I think of Karl who does it, and has done it so well for so many years. If Karl can do so much then I can do my small part and be happy. Another thing they say about you is that your collections sell well... I understand women and they understand me. There’s this dialogue. When they see my clothes they understand, they feel good in the pieces I design. They support and understand the story I’m telling. That’s why I think they sell. Also because today, selling well is a prerequisite… It doesn’t matter how creative you are. Of course fashion doesn’t have meaning without creativity but we work in the fashion business and the business is sometimes as important as the creative side. It’s complicated but great when both worlds work together and support each other. The Mugler history is definitely couture related, but what we’re making right now is ready-to-wear and that’s something which needs to be taken into account. In the new collection there are sportswear and swimwear influences, there is a daywear approach but all the details, finishings and fabrics are couture. There’s this mix which creates a balance. Where is the collection produced? It’s 90% made in France, which is quite costly. The knitwear is Italian, I would say that the leather is 50% from Italy and France. Now that we’re expanding we’re thinking of moving into other countries, but at the beginning I wanted to have everything as under control as possible. I also love the “Made in France” tag. Why did you add Paris to the logo? I love Paris and we’re here, so I thought being Mugler - it was right to give it a destination, its own home. Are you thinking about expanding your own collection? Of course, it’s interesting for me to work for two different brands in two different cities. Every week I go from Paris to London on the train. I have an incredible team at David Koma and at Thierry Mugler, without them I couldn’t do everything I do. Mulberry - Johnny Coca Story by Stefano Roncato Photos by Tommy Ton @ Thecollectiveshift “Why did I learn Italian? So that I could speak to suppliers. To be able to communicate and get what was needed. It’s good to be flexible.” Johnny Coca has one great gift, immediacy. An enlightened, linear way of thinking. He talks about his way of working, which has led him to his present role as the frontman of Mulberry, after building a resume at some of the most elite names in the world of accessories. From Louis Vuitton in the days of Marc Jacobs to Céline, both the phase with Michael Kors and later with Phoebe Philo. An international background for the Spanish designer, born in Seville, who moved to Paris to study art, architecture and design at the École nationale des Beaux-arts and the École Boulle, the ancient school that makes the furniture for Versailles. “While I was studying, I was working freelance on the window displays for Vuitton in Paris. I was also drawing designs for handbags

so, I called Yves Carcelle to show him my sketches. He called me back after half an hour and asked me to start right away. I had to split my time: half at Louis Vuitton, half at school.” His secret for a winning accessory? “I look for iconic function. It’s because of my background in furniture design, in the end designing a bag is like designing a small home.” You said that your decision to go back to Céline was based on the syntonic relationship you had created with Phoebe Philo. What was it like to work with her? She is very intelligent. What I wanted to create was totally in line with what she wanted to have. When you enter a fashion house, it can sometimes be a challenge to follow the mood. With Phoebe, I liked that it never felt forced. I wanted to go in a direction that focused on design, architecture and was clearly defined. Precise proportions. Like when you design a table or a lamp, everything relates to proportion, color, and materials. After 15 years working in leather goods, it was great to be able to think of the product in a different way. Not just taking vintage references and remaking them but understanding with the studio and the team, cooking up something new in the construction and function. People didn’t expect that in terms of aesthetics. How is an “it” bag born? Firstly, it’s about the construction. After that you have to think about how it will be used. In fact, for me the most iconic element is how the bag will be used, not the final product. If I want to work on a caban or on a shopping, it’s the function that’s iconic, not the shape. That sounds like an idea that is similar to architecture or industrial design... You can design a bag but then, what’s its use? If I start with a bowling bag, a Bugatti, these styles are about functionality and size. Then think about how to make the construction more modern and unique. That’s the difference between one brand and another: Or it’s everything that rests on top of this, or it’s about the volume and the construction. To make a bag successful, you shouldn't think about making an “it” bag. It is the client who chooses to make the product iconic. So, it’s a combination of your work and the client? A mix. Sometimes you can design something spectacular but if the price isn’t right, the functionality is difficult. A beautiful product but not that easy to use. Let’s take Louis Vuitton’s Caban, the Kelly or the Birkin at Hermès, or Fendi’s Peekaboo. How they open and close, the length of the strap. The functionality, how easy they are to wear are bonus points. Together with the price. They are all elements that interact with one another. Is price a determining factor? There’s a lot of competition. The size of a bag is linked to its market value. If you don’t stay within a certain price range, others will come in at a more competitive price point. Which bags have defined the history of fashion? From the moment a product carries over year after year, you can start thinking about it in terms of time. A product that can last between 10 to 15 years has grasped something in terms of style and effect. Look at the Birkin by Hermès. The proportions, the functionality and the look are all very easy-to-wear. The Vuitton Speedy is really easy to use. Even the old Jackie by Gucci, the hobo bag. Some of these styles become points of reference that endure for years. In the end each one has its own function and use. I teach courses at Central St. Martins in London and this is the approach I explain there. I’ve given them a project, each one of the students has to think about a shape, not about an iconic bag but an iconic function instead. How do you translate your vision at Mulberry? It’s really interesting because Mulberry has two factories with 600 people working on production in England, covering around 60% of the total output. We also work with small producers in Italy. For me this is a great value, if you have two factories you can make, negotiate, play around with each point of a design. Mulberry is also a symbolic label for the English, they’re enthralled, like it’s their child. When a child finishes school and goes to university,

the first gift from their parents is a Mulberry bag. It is part of English culture, which is why I want to protect the brand. I have come in to reinvigorate it, take it to an international level. Their core market was English clients, now we have to make the brand international, more fashion conscious, more trendy. What steps does that translate into? To start, reinforcing the product and communications, making it more international. I am working on a new concept for the boutiques worldwide and preparing to develop the market in Asia. We’re thinking about perfume but haven’t decided on anything just yet. Build out the men’s line, where we already have leather goods which are important in terms of sales. I am working on products and clothing that are a bit more unisex. However, first we have to consolidate women’s and then we’ll see. Twenty years ago Mulberry was already making menswear collections… Where do you take your inspiration from? I create a moodboard of what I like, attached to English culture and personal references. I do research trips to vintage markets, libraries, people watching on the street. One day I saw two groups of students in uniform, going to school all dressed the same like the Japanese. This became an element. I like a lot of references. I’d already gone mad for the world of kilts, tartans, leather and bikers. I’ve lived in a world of punk rock for years. A little bit provocative…. That’s also very English…. It’s strange. When you go out in London you want to be different from the others. In Milan, the Milanese are more sophisticated. When you go to a Mulberry factory, the workers putting together the bags are covered in tattoos with colorful hair. I thought, where am I? For years you’ve worked alongside big talents. What was it like taking the step and becoming Creative Director? I’m happy to now have a 360 degree vision and to have the clothing line as well. I’ve created shoes, bags, jewelry but I was missing clothing. All these products relate to the silhouette of a woman, in the end it’s fun to have the total look. Thanks to my background, my vision is already global, having a global outlook on everything from communications to image and packaging. In the end everything has to relate to the modern world. What did you think of the first runway show? I was so busy with the pre-collection that I only worked quickly on the catwalk part. After the show, I was surprised by the international press response that was really positive. I’ve taken more time to work on the second show. I wanted to balance all the elements. What’s your Mulberry woman like? She’s got a strong character and a modern attitude that comes from the street, because she has something real about her. It is a modern, cool English woman. From McQueen you imagine something more spectacular and poetic, ours is more underground. What do you think of all the designer musical chairs going on between the fashion houses? It’s very personal. If someone leaves, they do it for a particular reason: Or because they are not in line with the global vision, or because they are fed up and they want to try something different. It’s true that not staying in one house for a long time makes it difficult to see the return on what you’ve done. I have always stayed at each brand for many years to see how things worked long term. When a designer leaves it is personal, not commercial. It’s not because you’re paid more or less, designers don’t change for money. The creators in fashion think from the heart. If you’re not happy on the inside, you can’t be happy on the outside. What’s your digital profile like and what kind of relationship do you have with social media? We have a department that follows it all. I don’t have Facebook or Instagram, I don’t have anything. My life is my personal life. I don’t show what I’m up to every second. From the moment I start working for a brand, I work for the brand. I prefer to interact with the digital department, take them image and pieces I like. I don’t want to be the spoke-

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sperson for everything. Who cares if I go on holiday to Ibiza? What was it like working with Lotta Volkova for the the show, given that she is the stylist of the moment? She’s fun, she laughs a lot. Sometimes stylists can be more like little princesses, they come up to you and ask, “Where did you come from?”. We’re here to work on the show, not to be the show. I like her vision, she is smart and nice to everyone. She says good morning to everyone, not just some people, even when she walks into a room and there are 20 people there. I like her world, it’s out there, provocative. She has a personality and it’s strong. She has a clear point of view but she is able to interact, she can balance what she thinks with what I do and she respects the brand. What annoys you about the current fashion system? I would say having more time and being less rushed. To have more time to create things well and to a high standard. It’s linked to the direction you’ve chosen to explore. Sometimes you haven’t finished one thing and you have to start with the next. Your formation is in accessories, always an area of large turnover for companies. So you also understand numbers...How has commercial planning changed in general and in relation to online? Accessories are the most important aspect for the majority of brands. With e-commerce there is a parallel world that sells product. It is essential to not have copies and fakes, be honest about the quality, the product and the price. The more a brand is honest, the more successful it will be. If what you get is very different in terms of quality, word gets around, people talk a lot. So protect what you do and give the most to your clients. A dream to accomplish? Right now, I’m good. The fact that I have a 360 degree vision on everything is already a great thing, and it’s my dream. But, above all, I would like what I do and wherever I go to work out well. I never show off my own successes, in a personal sense, I project them onto the label. It’s good to be honest towards your work. Proenza Schouler - Jack McCollough & Lazaro Hernandez Story by Stefano Roncato Photos by Tommy Ton @ Thecollectiveshift As soon as they sit down there’s an instant spark. The laid back attitude of a new generation, the certainty and creativity that’s so relevant today. That easy going american, disarming in his knowledge, T-shirts and management advice. No mysticism or scars to intrigue the media, who have followed them since the very beginning. A complicit laugh, conversations that span a variety of topics, you could spend hours watching them interact. In a kaleidoscopic explosion, the personalities of Jack McCollough and Lazaro Hernandez reform in their own aesthetic vortex. Welcome to the era of Proenza Schouler, the phenomenal brand on the New York scene, forging a path sprinkled with acute visuals and a history that has always contained two key words: Intellectual and pop. On one hand, an aesthetic mission where youth culture, art and material expression converge. On the other, two leading men who met in a club when they were both studying at the same school in the Big Apple. They became a couple for life and a creative duo, young and handsome like two actors, courted by buyers and big fashion houses alike. A textbook fairytale, then they break with convention yet again. They’re striking because they don’t look like the types who give in to flattery. They score bonus points when they seem genuinely embarrassed by a question which others would relish: Is it true that you two are the cool guys in town? “That would be news to us, we don’t think of ourselves as that cool. Next question, please?” OK, got it. You mix art and technical fabrics... Where do you take your inspiration from? It comes from everywhere really. We’re not a heritage brand that’s been around for

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hundreds of years - our brand isn’t even 15 years old - we’re only been around for about the last 10 years. This means we don’t have to deal with a weighty history, an enormous archive, references and ideas to pick from. We draw inspiration from our lives, it’s really autobiographical, the things we see, where we’ve been, what we’ve seen, what we find interesting at a certain time. We try to see as much as possible, to travel as much as possible. Accrue experiences. This is why the brand is so autobiographical. You can look at the collection and see where we are in that particular moment. In the past the collections were a little more schematic and heavily based on travel, something that’s happened less in the last two years. We still go away after every show, but it’s more like travelling now, going to a different place to rest the mind. Are you satisfied when you finish a show or are you already in the mood for something new? Afterwards we’re always satisfied. When we get to a show we’re never confident. We are prepared, we understand what we have to do but both of us have to take a step back and look at it from an objective point of view. After a show, you have to reject it in a certain way, we probably manage to look at it again after a year or so. So you need time to digest? We’re still too attached to see the errors. Right now, we can look at last Spring. You talk about how much of yourselves is in each collection, is it easy to work together? It’s tricky, complicated because everything is subjective, there’s no such thing as right or wrong. It’s based purely on our emotions and how each of us feels about something. So it can be difficult to explain why you’re attracted to something or what makes you like it. Each of us could be attracted to something different. You can’t convince someone, or you’re attracted or you’re not, it’s personal. Sometimes it’s difficult to get to the same point, convince each other about certain ideas. There are a lot of things that we have to do and decide together. That’s the most complicated part. At the same time it makes what we do successful, it is the combination of our ideas, perhaps they make something greater than the sum of the two parts. Normally two people feel more secure together… Being part of a duo makes some aspects easier: public appearances, talks, events. It would be strange to do them on our own. How did you both feel when some of the big fashion houses approached you? There was talk of Valentino at one point, then LVMH... It’s interesting and it makes you feel good talking about important job offers. Sometimes you’d like to say, “Oh I should do it, maybe it’ll be interesting.” But you simply can’t do two things at once, especially for a couture house, you have to follow everything from high fashion to underwear without even accounting for Proenza Schouler in New York, and then spend the rest of the time travelling around the world. It’s crazy. We don’t know how other designers do it, we’re not the kind of designers who can say, “blue, red, short, long!” We’re focused, we’re directly involved in everything. When one collection is already so demanding for us, the idea of having to create 17 a year... it’s just not our way of working. So it’s better to say no and concentrate on your own brand? Absolutely. There’s something alluring about working for a big label. More resources, developing and exploring different ideas, lots of freedom. At the same time, you’re the employee of a company and there’s an inherent lack of freedom in that, and the big fashion houses can get rid of you in a second. If you could both choose the brand, would that make you change your minds? That depends. Sometimes, something very convenient can come up. You never know. Give us some names… Hernandez: Versace! I’m from Miami, I’m a Versace guy. I have a special inclination towards that particular brand, I think it would be really fun. Any others?

McCollough: I think it would be amazing to do Margiela, they have an incredible archive. Versace & Margiela. Yet again, you can see both of your personalities. That’s what Proenza Schouler is. In an interview, you once said that one of you is white and the other is black, so Proenza is grey…. Proenza couldn’t exist with just one of us. It’s the mix that works. Starting with the brand’s name, why did you choose to use your mothers’ maiden names? [Jokingly] We didn’t have any other ideas. We had about two weeks to create the brand. It was part of our thesis collection when we were studying at Parsons, Barneys saw the collection, they bought it in May with delivery in September. We had two and a half months to understand how to do the production and sizing. We had to create a label Jack & Lazaro….so we arrived at Proenza Schouler. It sounded a bit strange, a bit European, we were so young, 23 years old. We just chose it and got to work on the logo. There are tutorials on how to pronounce the brand’s name on YouTube… [Jokingly] We should change it to “Skooler” to make it easier! McCollough: It’s a German surname, so perhaps it was originally pronounced like “shoes” but when my mom came to America it started to have this sound. Anyway, honestly we like the fact that people can’t pronounce the name of the brand. There are lots: Saint Laurent, Loewe or Hermès. It’s nice that they don’t say it right, too perfect isn’t interesting. It seems like you have fun while you work… Why not, it’s not torture. Where did you meet? In a club called life, here in Manhattan around 13 years ago. You’ve come a long way together. What’s the next step for the company. We’re getting ready to launch a fragrance with L’Oréal in 2018. We started working on it a year and a half ago but it’s a long process. You need a lot of time, there’s a lot of testing. We’re planning a big launch, we want everything to be perfect. There’s the name, the packaging, the woman, the campaign, the whole story behind it... In order to sell today you always need a bit of storytelling. What is the story behind Proenza Schouler? We’re fashion, art, contemporary culture, curiosity and energy. We are focused on today. Fashion should reflect the current moment. That’s what we’re interested in, reflecting culture and our experiences. Is it better to look at today or tomorrow? We think about today. Living in the present as much as possible. Not too focused on the future, not too attached to the past. Is this also reflected in your collections as you never see precise references? There’s not one set style for us, there’s no opposite. That doesn’t exist, it’s just about what we’re interesting in. And what about the spring-summer show? It’s difficult to talk about it now as we’re already so far into next season that it’s hard to look back, even though it wasn’t that long ago. It was a technical exploration mixed with random ideas like spirit, energy, speed, and movement. We wanted to return to color. We played with pleats and a collage of ideas. Very spontaneous. Like a living moodboard? Yes, we let it evolve naturally. We wanted a change from what we’d created in the last couple of years. Perhaps closing that chapter and opening a new one. Now we have a new spirit that’s more free. Free from what? From good taste. We want to go back to many things, for a while we’ve worked towards good taste, more minimal, more clean, more chic. Now we want to liberate ourselves and return to color and energy, more instinctive, more primal, primitive. Do you take commercial strategy into consideration during the creative process? Whenever we’ve started to over-analyze,

those have ended up being the collections or the looks that don’t do well. Thinking about if it will be well received doesn’t work for us, if we need a certain style or a certain fabric, if we need to shave it down. For example, this season is the best yet. What about menswear, have you ever considered it? We’ve thought about it but we’re already so busy. We’re focused on women and accessories. We’re also involved in board and budget meetings and other things that don’t leave us time for menswear. We’ll see, perhaps. We’d like to do menswear for egotistical reasons, as well as for ourselves.

中文 Versace - Donatella Versace 撰文:Stefano Roncato 摄影:Tommy Ton @ Thecollectiveshift 像闭着眼闻香水的芬芳一样。 唤醒,激起好 奇心,引人入胜。可能是因为她的姓氏来自 时尚界的奥林匹斯,又或者她自己的名字就 已足够了。也许她的盛名会让人有点紧张然 而正是她消融了隔阂并打开了话茬。多纳泰 拉•范思哲拥有的第一个天赋是幽默。她醒 目,俏皮,拥有温暖和具有感染力的笑声, 透露出敏锐和睿智的思想。«怎么描述我自己 呢? 我首先是一个女人,作为一个女人我能扮 演任何角色,艺术总监,设计师,企业家, 母亲,朋友...... »。有趣,无懈可击。 她的话是一篇天然的乐章,有着与生俱来和 立竿见影的魅力。一击就中,你无可避免 地就成她的粉丝。就如同进入麦当娜、艾尔 顿·约翰、Lady Gaga或者赞恩·马利克 的音乐视频里 一样!(多纳泰拉•范思哲不 久将会和赞恩·马利克为Versus系列展开 合作)。想象着她标志性的金发,如Prince 歌中所唱的:拥有像钻石和珍珠一样的光 泽。Prince是范思哲时装公司的老朋友,他 经常为范思哲的一些时装秀作曲。范思哲是 一家引人入胜的公司。 它的女人们衣着华丽如女神。让明星们迷惑 的女性曲线。范思哲创造出的知名超模, 其中 最有名的是走过最近一场秀的世界超模Naomi Campbell。她是一个保障,让人心跳 加速。范思哲的时尚女神们吸引着所有的审 美贵族,是阿尔法男人的挑战。如超模阿德 里亚娜-利马,安娜·尤尔斯,都是让人心 猿意马尤物。随意指出一个名字,Gigi Hadid,她是数码世界的女王,Instagram中 动人心弦的美人鱼,也是马利克先生的女朋 友。范思哲一直在向前看,梦想仍在继续。 作为多纳泰拉•范思哲难吗? 不难,因为我只做自己。困难的是假装成为 别人。作为真实的人是最重要的。 怎么描述您呢? 设计师,企业家。。 我首先是一个女人,作为一个女人我能扮演 任何角色,艺术总监,设计师,企业家,母 亲,朋友...... 您常常强调宣传女人力量的必要性......您认为 您是一个刚强的女人吗? 作为刚强不意味着无懈可击。一个刚强的女 人也有其弱点,但这并不能使其软弱,而是 使其拥有人性。作为一个刚强的女人对我来 说意味着按照自己的规则行事,超越自己, 打破障碍,克服弱点,并为自己的信仰而 战。 关于时尚您的第一份记忆是什么? 我出生于一个创意和手工意味着所有的家 庭。我的母亲是裁缝,意大利传统的裁剪, 造型和品质从我的最初记忆起一直就是我生 活的一部分。 你们有一个令人感动的故事。经历过耀眼的 时刻也有过艰难的时刻如您哥哥Gianni的 去世...回忆过去会让您困扰吗? 我们经历过巨大的成长也有过困难的时刻。 但是我们站起来了并借着机会更新和彻底改 变了我们的时尚方式。其实,每一个时尚品 牌,像任何一个企业,必须更新才能获得成 功。 您的家庭如何帮助您面对困难? 在每个故事中家庭总是最重要的。我很幸 运,因为我的品牌也是我的家庭。在范思哲 时装屋里我们欢笑,努力工作,有时也会争 辩,但最终还是会和解。这是一个家庭, 更是一个大家庭,因为我的朋友们也隶属其 中。 目前,Medusa时尚公司的情形是怎样的? 范思哲是一个具有不可思议力量的地方,是 一个致力于创作的地方。

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是什么让您意识到事情正在发生变化以及你 们正在重新回到顶端? 关键是进步和改变。自我检讨以及尽量走得 更远。 范思哲时装屋从Gianni时期到现在有什么 改变? 时尚公司们正在经历20年来最重大的深刻变 化。网络让所有人能够接近奢侈品的世界并 且为年青人大开方便之门: 新闻可以在网上找 到。可以购物,询问朋友的意见,分享购买 的产品。在网上什么都可以做。在这个环境 内,不只品牌们必需了解这些变化。所有时 尚业的主角都需要进步。 您也是一位人才发掘者。您对自己和后来取 得成功的一些年轻设计师如Johnathan Anderson, Christopher Kane 和 Anthony Vaccarello的合作感到自豪吗? 年轻设计师是我最喜欢的。我很喜欢和他们 合作,并且在工作中教导他们,也从他们 那学到东西。我喜欢结识刚毕业的设计师们 因为这能使我和一个不经常碰到的世界做比 较。 现在您最赏识的年轻设计师有哪些?有没有 来自意大利的? 我不只欣赏知名的年轻设计师,还有其他的 设计师也在我米兰的办公室工作: 他们是来自 全球各设计学院的毕业生。我和他们分享热 情,活力和创意。在时尚行业有人所周知著 名的设计师,但也有很多其他后台工作者的 努力才使时尚行业达到了现在的样子。他们 的工作也很重要。 在著名的设计师中,您最欣赏的是谁? Karl Lagerfeld, Miuccia Prada, Riccardo Tisci…我的时尚理念就是创意 联盟的观念。 你们创造了90年代的超模。关于使全世界着 迷的女人们您有什么记忆? 不可思议的女人们,坚强,勇敢。 和Gigi Hadid, Bella Hadid 等超模一 起,我们面对的是一个新的超模时代吗? 在某种意义上可能是,但和以前不一样。通 过网络她们拥有了一个新的权利,一个更有 力的声音和一个全球放映的影像。 谁是如今的Linda, Cindy 和 Christy? 在您最后一个时装秀上您挑选的满是明星。 其中也包括Naomi Campbell。。。拥有 一个有影响力的团队对您来说有多重要? 模特的挑选是非常重要的:从有名的模特到 新面孔,每个人都必须是唯一并且有个性 的。不只是身材,还有态度,活力和热情。 在T台走秀上我希望带来的是不一样的独一无 二的女性形象。 为了Versus这个系列您会跟Zayn Malik 开始合作。为什么选择了一个明星? 何乐而不为呢?Zayn 拥有世界上最坚强的 性格之一。我们第一次认识的时侯他就告诉 我他是多么地热爱时尚,因此我想到跟他一 起为Versus Versace的新系列合作该是一 个非常棒的主意。Zayn 在全球拥有众多的 歌迷,我确信他们都会支持我们。 您觉得现在的年轻人想在您身上看到或者找 到什么? 我一直认为时尚是为了庆祝生活的乐趣并把 每个时刻转变成唯一而存在的。Versace 一 直在谈论着自由和创意。每个人都有作为自 己的自由和权利,无论你是谁或者你爱谁。 如何用三个词来表达如今的Versace? 热情,创意和创新。 您的系列是如何产生的? 您需要的创作灵感 是什么? 我的灵感来自我的周边,整个世界和生活在 其中的女人们。我是一个观察者,观察现在 并思考未来。我观察如今的女人们,看她们 如何穿衣,寻找什么,需要什么。当下的女 人们给我灵感并促使我为她们和她们的生活 方式创作时尚系列。 时装秀的气氛是怎样的? 运动装是时尚的未来,把它做成唯一和奢华 是我本季的挑战。这个系列只跟一件事有 关,那就是自由。行动自由,表达自由,自 由成为想成为的人。正如时装秀中音乐里放 得: «这个演出,这个演出是为了女人把握机 会/ 飞跃吧,如果我们什么都不做,那就什 么都得不到»。 当您在别的走秀上看到范思哲式的特征您有 什么感觉? 如果他们使用了你的特征那意味着你做对 了,不是吗? 您的一本书刚刚发布…讲述的是什么? 对您来 说代表什么? 对我来说很重要。通过我的眼睛讲述范思 哲,讲述了我这些年以来的工作和我所有的 热情和爱意。我很幸运,在艺术的各个领域 能和拥有非凡才能的人物合作,这些都记录 在书里。 您很有名,是明星们的朋友。但是你能够把 自己变成«无形»,除了工作不出席太多的世

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俗应酬吗? 我相信所有人都一样,关于我的工作和生 活,有些事情我喜欢和人分享,相反得有些 则只属于我个人。 那关于您目前已经广受关注的Instagram 账号, 您会如何应付? 我很高兴短短时日就达到了一百万的追随 者。我相信时尚能在世界的每个角落对所有 人表达。旧规则已经足够了,时尚必须是可 以团结的东西,一个全球联盟。我在加利 福尼亚参观了Instagram的总部,从那迈 出这一步是短暂的。我对科技的兴趣越来越 大。我热爱未来并且止不住想下一步会是什 么。总是看着过去的人?过去已经过去。我 们要往前走。 什么样的图像您一定不会发布? 不能体现我所信仰的东西的照片。 成为在电视中也会提到的公众人物对您会是 一个负担吗? 那也是我工作的一部分。有时候也能成为我 的乐趣。试想一下,如果把一切都看得太严 肃那有多么无聊啊。 Mugler - David Koma 撰文:Stefano Roncato 摄影:Tommy Ton @ Thecollectiveshift David Koma 的成长历程可谓是神童养成 记。出生于格鲁吉亚,七岁时他进入圣彼得 堡美术学校就读。正是在这里,他创办了他 的第一件工作室。在十几岁时,他就设计了 他的第一个服装系列。之后他就进入了中央 圣马丁设计学院就读,获得各种奖项,正式 推出他的服装。他正是Thierry Mugler 创办的时尚品牌的新创意总监。“在像伦敦 这样的城市,有许许多多的书店供你学习 时尚历史。但在圣彼得堡并不具备这些条 件。但幸运的是我找到了一部关于Thierry Mugler的纪录片,记载了他一生的作品。 他是我第一个如此深入了解的设计师,这也 是我与这个品牌的“初恋”。”他没有浪费时 间,一方面他拓展自己的品牌,另一方面他 创造了他的“Mugler天使军队”。她们拥有 健康的身材,Instagram女王的面孔,数 码眼,是商务与创造力的混合体。从他选择 偏离父亲的期望,放弃打网球的那一刻起, 是说有一切的开始。“我说:我就是时尚。当 时的我年轻并且以自己为荣。” 您非常的年轻,您的第一套服装系列是青少 年时期设计的吗? 是的,我也不知道具体是怎么发生的。从我 很小的时候起,我就有设计的欲望。而后, 在我七,八岁的时候, 我进入了美术学校。 当时,我生活在圣彼得堡。我从高中毕业的 时候是15岁,当时我已经设计了我人生中的 第一个系列。在我12 -13岁的时候,我在杂志 上看到了一篇针对学生的设计比赛广告。实 际上它并不针对儿童…… 一切都发生的如此之快…… 当时要求设计三件或六件作品,我设计了三 件大衣。非常有意思的是,他们当时不相信 我的真实年龄。在我参加比赛两年后他们加 了一条规定:如果你不是这个专业的学生是 没有资格参加这类比赛的。我爱死它了…… 从那时起我报名了全国所有可以参加的比 赛。就这样,在15岁的时候我想:Ok,我 的个人时装秀已经准备就绪。就这样,我 在圣彼得堡开了我的第一件工作室,并且开 始招人。然后我决定停止一切,放弃所有的 东西,搬去伦敦开始中央圣马丁设计学院的 课程。我获得了三年的本科以及两年的研究 生学位。我当时的老师,是传奇的Louise Wilson,而后不幸过世…… 她是我的英 雄,如此的不可思议。她帮助了我许多,并 让我相信我自己的能力。当我从研究生毕业 的时候,我的毕业系列作品成功的吸引了媒 体和买手的注意力。最后,Browns购买 了我整套系列。后来我获得了Harrods设 计比赛的优胜,我一系列作品被陈列到了百 货大楼的橱窗…… 就这样,一切又重新开 始了。 那你的家庭呢? 我家里没有任何人是时尚界出身的,甚至与 艺术界都挂不上钩。他们更接近体育界。我 的母亲是体操运动员以及地质学家。我的父 亲则是拥有经济学位的足球运动员。他希望 我能打网球,而我也如他的愿尝试了,从四 岁到十二岁。然后我对自己说:“我是时尚 界的人。”最终我以我自己的语言告诉他们 我对网球并不敢兴趣。当时的我对自己十分 骄傲。 您是怎么认识Mugler的? 2009年是我的起点,我的MA毕业系列引领我 创办了我伦敦的工作室,David Koma。我 开始了工作。 有一天,Mugler的人找上了

我并让我成为他们的创意总监。这一切都感 觉如此不真实。在我14岁的时候,有一次采 访有人问我我最想去那一个时尚品牌工作。 而我当时的回答就是Thierry Mugler。 对于这类型的工作你没办法提出申请,该发 生的时候,就发生了。 您当面见过Thierry吗? 没有,我从没有机会跟他谈论这方面的事 情,但我非常希望能见到他。他在柏林跟进 不同的项目。他是个惊人的设计师。他打造 了Thierry Mugler这个新的世界,如此 的不同,强烈,并且可识别。能成为这个品 牌的一部分,是如此的不可思议。 如今给予您灵感的还有哪些设计师? 在我读书的时候有不少的人影响了我…… 为 首的当然是Thierry Mugler。我还非常 喜欢Pierre Cardin, Geoffrey Beene, Azzedine Alaia, Courreges和Claude Montana. 六十和八十年代…… 是的,正是这样。六十年代对我来讲非常重 要。我非常喜欢当时那种复古未来主义的生 活以及娱乐方式。而八十年代则是女性形态 的夸张突出,超级名模就是在那时诞生的。 对我而言六十年代的图形极简主义与八十年 代末和九十年代初期的身材相结合,才是最 优。 这个态度能在您的服装系列里凸显出来吗? 总是有六十年代的影响。不管我在做什么佳 肴,它都是我最爱的成分,总是有那么一点 六十年代。我认为,它能带来特别的结合, 尤其是在塑造轮廓的时候,在你探索健美和 性感的时候,六十年代的过滤镜能给带来有 趣的效果。立面有运动,艺术,未来…… 它 之所以有趣,也是因为Thierry Mugler 所属的是一间化妆品公司,所以也可以在这 个领域探讨。 您是怎样描述您的最后一个系列的? 它的灵感来自于水下世界。我尤其被鲨鱼这 种美丽的生物所吸引。我认为它们神秘,危 险并且美丽。并且它们的轮廓非常Mugler。这个系列非常的有意思,不管是我还 是我的团队都很开心。有的时候,一个系列 紧接着一个系列的设计,加上秋季预告系列 和度假款是非常辛苦的。所以我就说那夏季 系列让我们享受吧,我对此非常的高兴。 用于走秀的和用于收录在广告册里的预告服 装有什么区别? 毫无疑问的会对轮廓和长度有不同的要求。 一般来说我非常喜欢走秀是的快节奏。我 爱它的能量,它的音乐,以及它的速度。当 我不认为窄长的线条适用于如此高速度的行 走。由于呈现形式的不同,我在秋季预告系 列和度假款上会忽略这个问题。在我设计的 时候,不光在现实中要漂亮,数码过滤过的 视角也是非常重要的。 我总是会通过相机的 摄像头审查。如果它不能传达正确的感觉, 它在现实中给人的感觉,那我会重新讨论并 制作。 当您看到完美的照片时有什么想法或者会说 什么吗? 在制作过程中我并不会表达太多感情,我非 常的专注。当所有工作都结束时,我才会发 表一些感受,我可能会高兴或者兴奋。我的 服装系列都是我的小宝宝们…… 当然,我最 开心的时候还是看到我的作品被模特,漂亮 姑娘们穿在神桑拿的那一刻。 在T台上还是街头? 两个都是。当我在后台看到模特们整装待发 的时候……尤其是在巴黎,那里有许多美丽 的女孩…… 为了能打造一场不可思议的秀, 我们都非常努力的工作。那就是最让我兴奋 的时刻。 那您对Karlie Kloss或Taylor Hill有什 么评价? Karlie对我来说非常非常的特别。在我第 一次见到她的时候,她的光彩就使我眼花 缭乱。她有一种与生俱来的气质,即神秘 又充满能量。但又非常睿智,勇敢,有魅 力。Taylor是个新人,我非常喜欢她。我 还记得她最初的几场秀,是在两个季度之 前。还有她是如何继续成长,长成为女人 的。她的美丽正在伸展,变得越来越强烈。 您喜欢数码的世界吗? 是的,但并不是很执着。当然今天我们所有 人都在社交媒体上互动。我并不是特别积 极,但足以让我知道现在正在发生的事情。 我并不热衷与别人分享我的私人生活。而且 我并不认为这有什么错。我喜欢人与人之间 顺其自然的分享。我不太能理解为什么别人 会对当时发生在我身上的事情感兴趣。 你们在巴黎开了商店……你们对于这个品牌 有明确的发展策略吗? 在巴黎开旗舰店是很重要的。这样可以把服 装,香水以及配饰综合在一家店里。并有 一个实体空间让我发挥我的见解。同是分享 Mugler的世界。

下一步呢? 理想的情况是开新的店。一年前我们推出了 手提包而且反响不错。所以我很想拓展配 饰这一商业板块。那鞋子呢?不会是明天推 出,但也在不久的将来。 那关于香水呢? 我也参与了这一部分。当我加入到Mugler 的时候就有进一步结合美妆与时尚的想法。 这就是为什么有了品牌重塑,用一个商标来 代表两个部分。写在它们被重新整合在了 Mugler的品牌下。 你们的天使也加盟了新的面孔? 是的。她被命名为Angel muse。她是 Georgia May Jagger。她非常的酷。而 且她与母亲(Jerry Hall, ndr)的记忆也 非常重要。这非常的不可思议,这个故事从 母亲传承到女儿。 如果现在您可以选择,您希望谁能成为您的 天使? 我没有办法只选择一个人……我可以选择一 个天使军团。 如今比较大的品牌都会每两三年换设计 师……体制正在改变吗?这太快了吗? 我认为大量新设计师的到来是非常有意思的 一点。我觉得可以直接参与到这个巨大的改 变中是非常有意思的。 我很好奇,我希望从 这一系列的设计师更换和改变中能诞生出有 益处的东西。我并不知道为什么很多品牌选 择天天换设计师。但能成为全球化的新一代 设计师是件很有意思的事情。 能在不同的城 市工作。而且能看到巴黎时装周的新气象也 很有意思。 您同时设计不同的系列,您自己 的,Mugler的…… 关于这点您有一次提到 了Karl Lagerfeld…… 他是一个被我理想化了的人。实际上不光是 我。时尚界的天才先生,我们所有人的大 师。我们次想要抱怨没时间,还有同时做很 多事有多难的时候我就想到他。然后我就想 到Karl他这么多年一直持续做着这些事情, 还做的很好。如果Karl可以做那么多,那 我也能做好我小小的一部分,并且为此感到 高兴。 还有另外一件关于您的传言,那就是您的衣 服卖的很好…… 我理解女性们的需求,同时她们也理解 我…… 我们之间有着沟通。她们看到我的 设计时,她们可以理解。而且穿戴我的服装 使她们刚觉良好。她们支持并且理解我所讲 述的故事。这就是为什么我相信能有好的销 量。 这也是因为销量是很重要的…… 不管你有多能创新。当然,没有创新的时 尚没有意义。但是我们为时尚商业工作, 有时候商业与创新同样重要。要让这两个 世界互相扶持是很困难的,但是非常有意 思。Mugler的历史是与高定密切链接的, 但如今我们也专注与成衣。在新的系列里有 运动服和泳衣的影响,有日装的影子,但所 有的细节和面料都是高定的。这个平衡里混 合了多种元素。 您的服装是在哪里生产的? 90%都在法国,所以非常昂贵。毛衣是在意 大利生产的,皮革50%在意大利和50%在法 国。现在我们在拓展市场的同时也考虑过把 生产线挪到其他国家,但最初我想能多些掌 控。总而言之,我很喜欢Made in France 的商标。 为什么你们在商标上加了巴黎? 我爱巴黎而且我们在这里。所以我想应该要 给Mugler一个目的地,一个家。 您也在考虑拓展自己的品牌吗? 当然。对我来讲可以为两个不同的品牌在 两个不同的城市工作很有意思。每周我都 乘火车从巴黎到伦敦。我有一个不可思议 的团队致力于David Koma和Thierry Mugler。如果没有他们,我是没有办法做 所有这些我正在做的事情。 Mulberry - Johnny Coca 撰文:Stefano Roncato 摄影:Tommy Ton @ Thecollectiveshift «我为什么学会了意大利语? 为了和供应商们 交谈。为了沟通和得到我们所期望的,你必 须是灵活的»。Johnny Coca的第一个优点 是直接。一条清晰明亮的思路。他向我们讲 述了他的工作方式,让其在时尚配饰的领域 中取得成功后,成为Mulberry的领头人。 他为路易•威登工作过,当时由马克•雅可布 执掌,并两次为赛琳工作,分别由迈克•高仕 和Phoebe Philo执掌。出生于Siviglia 的西班牙设计师拥有一个国际来历,他搬到 巴黎在國立高等美術學院和在高等应用艺术 学院-布尔学院学习艺术,建筑和设计。布尔

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学院是一个古老的学院,为凡尔赛宫制造家 具。«我一边学习,一边作为自由职业者为巴 黎的路易•威登设计橱窗。与此同时,我也设 计包袋,我给Yves Carcelle打了一个电 话,向他展示了我的草图。半小时后他给我 回了电话并要求我立即开始合作。我的时间 一半分给路易•威登,一半分给学校»。实现 一个成功的配饰您有什么秘诀? «我寻求流行 指標功能。也许是我的职业病,但我觉得设 计一个包袋就如同设计一间小房子一样»。 您说过回到赛琳的原因是由于和Phoebe Philo相处融洽。与她合作是怎样的? 她很聪明。我想做的符合她的期望。当你进 入一个时装屋,你必须努力遵循其时尚品 味。我喜欢和Phoebe合作,没有任何的勉 强。我追寻的方向更设计化,更建筑化,更 明确,比例精确。 就如设计一张桌子,一盏 灯,都与比例,颜色和材料有关。经过15年 的皮革工作,我很高兴能以不同的方式来想 象产品。不是重做一件复古产品。而是通过 研究和团队的努力创造出构造和用处上的原 创产品。在外观上别人没有想到的。 一个It 包是如何产生的? 第一点就是构造。然后想象可以期待什么用 处。对我来说产品的用处比其本身更具有标 志性。我想制作一个cabas包,一种购物 包。这就已经是一个标志性的功能,而不是 一个标志性的外形。 这个理念似乎更像建筑式或者工业设计式… 你可以做出设计图,但是然后那个包的用 处呢? 从保龄包和宝加力包开始,指得就是 其功能和容量。想着如何使一个产品的构造 更现代化,更让人意想不到。这就是一个 品牌和另一个品牌的区别。要不就是以上指 出的,要不就是和容量和构造有关。一个包 的成功,绝不能是你认为自己在制作一个It 包, 而是由客户来选择和承认其为一个标志 性产品。 所以这是您的工作和最终客户的融合? 只是有关。有时候你可以让人做出精彩的设 计图,但是价格不对,不易使用。美丽,但 在使用方面不是那么容易。就拿路易•威登的 cabas包,爱玛仕的凯莉包或者铂金包和芬 迪的Peekaboo包来说: 如何打开和关上, 斜挎链的长度, 拥有附加价值的功能性和舒适 性, 算上价格, 所有元素都是相连的。 价格是一个决定性的因素吗? 竞争很强。一个包的销量取决于市场规定的 价格。如果你不符合,会有很多竞争者带来 更具冲击力的价格。 哪些包在时尚历史上留下了轨迹? 由于一个产品长期存在,可以在长期阶段上 考虑。一个可以存在从10 年到15 年的产品是 成功的,不管是在外形上还是在成果上。就 拿爱玛仕的铂金包来说,它的比例,使用功 能和外观是非常容易辨认的。路易•威登的 Speedy手袋非常舒适。古驰以前的贾姬, 流浪汉包也一样。有些成为了长期存在的参 考依据。到最后每个包都有其特定的功能和 用处。 我在伦敦的中央圣马丁艺术学院举办 了培训班,解释如何接近时尚界并启动了一 个项目。要求每个人都必须想象一个样式, 不是指标志性的包而是标志性的功能。 您如何在Mulberry 诠释您的理念? 很有意思,因为Mulberry有两个工厂, 有600人在英国生产,涵盖了其总生产量的 60%。我们在意大利也有小型生产厂家。对 我来说这是一个优势,如果你有自己的工 厂,你可以就设计图的任何一点制作,商谈 和交涉。对英国人来说,这是一个有象征性 的品牌,他们为它着迷,把它当成自己的孩 子。当一个女儿高中毕业上大学的时候,父 母给予的第一个礼物就是Mulberry的包。 它是英国文化的一部分,所以他们要保护这 个品牌。我来是为了更新品牌,将其带到国 际水平。其市场以前主要是英国客户。我的 目标是将其带到国际市场,使其更时尚,更 潮流。 有哪些步骤? 首先加强产品和传销,使其更国际化。我正 在计划发展世界精品店的一个新概念并为品 牌在亚洲的发展做准备。关于香水我们正在 考虑不过还没决定。然后就是加强男装,在 这个区域我们已经有皮制产品,在销售方面 占了挺重要的一部分。我正在发展更中性的 产品和时装。当然首先巩固女装,别的以后 再看。Mulberry 20年前就已经生产男装 系列了… 您的灵感是从哪里产生的? 我会把我喜欢的做成一个情绪板,考虑到更 个性化的英国文化。我会去复古市场和图书 馆调查,观看路上的行人。就如有一天,我 看到两群学生穿着相同的制服去上学,就像 日本学生们一样。他们变成了我的灵感。我 喜欢的有很多可以作为参考。我对苏格兰短 裙,格子呢,皮制品,摩托骑士装痴迷。 以 前很喜欢这个流行摇滚的世界。为时尚加点

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挑衅… 这个也很英国式… 很奇怪。在伦敦当你出门的时候每个人都要 跟别人很不一样。在米兰,米兰人更精致一 点。当你进入Mulberry工厂时,制包的工 人满是纹身和染发。当时我的想法是,我到 了哪里? 您多年来和一直和天才设计师们合作。您对 自己过渡成为创作总监有什么想法? 加上时装,我很高兴能够在时尚产品中拥有 360度全方面的视角。我做过鞋子,包,珠 宝,正好还差时装.. 所有这些产品都跟女人 的外形有关,我觉得达到整体外观很有趣。 由于我的工作经验,我可以在每个方面都有 全方位的观念: 不管是在传销上,形象上还 是在包装上。最主要的是它们最终能够连成 一贯。 在您的第一个时装秀上,您想到了什么? 我是如此的忙于预告系列,关于时装秀草草 的就计划完了。第一场秀后,我对媒体的总 体反响很惊讶,非常正面。很第二场时装秀 我多投入了一些时间。我希望所有的元素都 能平衡。 您印象中的Mulberry女人是什么样的? 性格很强。真实,拥有来自马路的现代化的 态度。是现代英式“酷”. McQueen 的女人更 精彩和诗意。我们的更 “underground” 。 您怎么看待各个时装屋设计师的流动? 每个人都不一样。要走的人都会有一个特别 的原因。或是跟总体观念不一致,或是觉 得腻了想尝试新事物。当然也有一个事实就 是,不长久停留很难看到回报。我在每一个 品牌都停留了很长时间,就是为了看长期会 有什么效果。每个选择走的设计师都是因为 私人原因而不是经济原因。不是工资多少的 问题,设计师们不会为了钱而改变。时尚界 的创作者们做的所有事情都随心。如果一个 人内心不舒服,也不会对他的工作环境感到 满意。 您的数码人生以及和社交媒体的关系是怎 样的? 我们有一个专门的部门。我没有Facebook, 没有Instagram,什么都没有。我的人生 是我个人的人生。我不会每一刻显示自己。 当我为一个品牌工作的时候,我只为品牌 努力。我更喜欢和专业部门互动,带出我喜 欢的品牌形象和传销方式。我不想成为所有 人的展示橱窗。谁会对我去伊维萨岛度假感 兴趣? 时装展洛塔•沃爾科娃 (Lotta Volkova), 她正是最近時尚界的代表性设计師? 她很有趣,笑口常开。有时候有的设计师更 像是公主。你会想问«你从哪里来的?» 我们 来这里是为了工作,不是为了看你的个人表 演。我喜欢她的理念,她聪明并对每个人都 很友好。当她进入有20个人的大厅时,不会 只跟一个人而是会跟所有人打招呼。 如今的时尚界有什么困扰您的吗? 能有更多的时间和少点匆忙。有更多的时间 把东西做好和保证质量。那是跟选择的方向 有关的。有时候你还没有完成一件事就已经 要开始下一件了。 您从做时尚配饰开始,一直以来为公司带来 大部分的营业额。所以您也懂得数目...考虑 到和线上销售的关系,现在的商业逻辑变成 怎样的了? 对于大多数的品牌来说,配饰代表着最重要 的价值。电子商务是一个销售产品的平行空 间。不参假是最关键的,在产品,质量和价 格上诚实。一个品牌越诚实就越成功。如果 人们收到的产品质量不一样,会口口相传。 因此需要保护你的工作并给予客户所能期待 的最好。 需要实现的梦想? 还好。能够拥有对一切事物的360度全观对 我来说已经是一件好事,是我的梦想。最主 要的是我做的工作有效,不管我去哪里。我 不会把成功归功于自己,对我个人而言,功 劳是品牌的。对工作的地方需要保持诚实的 态度。 Proenza Schouler Jack McCollough e Lazaro Hernandez 撰文:Stefano Roncato 摄影:Tommy Ton @ Thecollectiveshift 当我们一围桌而坐,马上就感受到了一种现 代感。来自新一代的轻松态度。现代化的具 体性和创造力。那种使人下意识放下戒心的 美国式随和。 穿着T恤衫,提着管理建议。对于一直追随 他们的媒体,他们并无任何生分或者裂痕。 他们笑得暧昧,什么都说,你可以花几个小 时看他们互动。他们的关系就像一个万花

筒,倒出了杰克•麦科洛和拉扎罗•埃尔南德 斯的个性,然后再在其创造的审美漩涡里重 新组合。他们因为普罗恩萨•施罗,一个不同 凡响的纽约品牌而广为人知,品牌历程定位 来自强烈的视觉感官和拥有两种解读方式的 历史。睿智和流行。 一方面,是一个汇集了青年文化,艺术和布 材实验的审美使命。 另一方面,在纽约同 个学校上学期间两个主角在一个俱乐部里碰 见,成为一对生活中的情侣以及一个创作二 人组,他们年轻,像演员一样英俊,被买家 们和知名时装屋追捧着。一个完美的梦,然 而他们再一次打破常规。因为不满足于虚 浮的奉承而让人咋舌不已。就连很多人热爱 的,而似乎让他们真心感到尴尬的第一个时 尚问题也能为他们加分。他们两个是城镇里 的酷男孩,是真的吗? « 这对我们来说是一个 新的讯息,我们不认为自己很酷。请问下一 个问题是什么? »。明白了。 你们结合艺术,技术面料…你们的灵感是从 哪里产生的? 来自任何地方。我们不是一个流行了百多年 的历史遗留品牌。我们的品牌历史还不到15 年,大概只有10年。所以我们不需要和一个 重要的遗产或者巨大的系列存档打交道并从 中取得灵感或者思路。我们从生活中汲取灵 感。我们的灵感是非常个人的,它来自我们 的观察, 去过的地方和见到的事物,以及当 时我们觉得有趣的事物。我们尽可能的多看 一些,多旅游一些地方。体验。这就是为什 么它是非常个人的。 看着一个系列,就能说出我们当时去的地 方。以前的系列更具有主题性,大多数都跟 旅行有关,最近两年少了一点。每个时装展 后我们还是会接着旅行,但只是旅游,去其 他地方,让头脑休息。 时装展后,你们感到满意吗? 或者你们已经 有了新的思路? 时装展后,我们一直都很满意。到了时装秀 的时候,我们从来不会不自信。我们有了准 备,我们了解它。但是我们两人必须后退一 步从客观的角度来看。时装展后,在某种意 义上来说你必须拒绝观看它,也许一年后我 们会再看。 需要时间来消化吗? 对于找出错误我们还是太近了,现在我们可 以观看最后一期的春装展。 你们说在你们的系列里包含了很多的自我。 你们在一起工作容易吗? 很棘手,很复杂。 首先,因为一切都是主 观的,不存在正确或是错误。纯粹基于我们 的感情和对东西的感觉。所以很难解释你为 什么会被吸引和你喜欢什么。每个人都可以 被不同的东西吸引。你无法说服别人被吸引 或者不被吸引,那是个人的感觉。有时候很 难达到同一点,说服彼此同意另一个人的观 点。有很多事情需要我们同时去做和决定。 这是最复杂的部分。与此同时,真正使我们 获得成功的正是我们观点的融合, 它将我们 联系在一起。它们融合形成的东西可能比两 个分开部分的总合还要强大。 通常两个人组会使人感觉更自信… 作为二人组的一员在某些方面更有利,如公 开露面,讲座,活动。一个人参加这些活动 会显得有点奇怪。 当一些重要的时装屋追捧你们,你们感觉 如何? 指得是某段时间华伦天奴,然后是酩 悦·轩尼诗-路易·威登集团… 有趣而且使人感觉良好,是一个重要的工作 机会。有时你会想说: «哦,我应该去做,也 许会很有趣»。但是人不能同时做两件事情, 特别是在一间时装屋中,你同时要管理很多 项目,从高级时装到内衣,更不用说普罗 恩萨·施罗还有在纽约的一家服装店和其它 分布在世界各地的。要疯了。我们不知道其 他设计师是怎么做得,我们不是只说“蓝, 红,短,长”的人。我们专注 、全程直接参 与。对我们来讲一个系列已经很忙碌了更不 要说想着一年创作17个了,那不符合我们的 工作方式。 所以最好还是拒绝,因为你们更想要专注于 你们自己的品牌吗? 那是肯定的。为一个更大的品牌工作有其令 人着迷的特点。你可以拥有更多的资源,提 出创意然后绕着创意清晰思路,拥有很多的 自由。与此同时,你是公司的一名员工,在 此也会有一定的自由限制。且不说大型时装 公司有一天可能会解雇你。 假如你们可以自由选择为哪一个品牌设计, 会不会改变主意? 要看情况。有时候也许会收到非常具有说服 力的提案。世事难料。 你们指一些名字吧… 范思哲! (埃尔南德斯说,编者按)。我来自迈 阿密,我是一个Versace guy,我特别倾 向于那一个品牌。那将是很有趣的。 还有吗?

我觉得为马吉拉设计将是很有意思的(麦科洛 说,编者按),这个时装公司拥有一个不可思 议的系列档案。 范思哲和马吉拉。在此再次显示出了你们两 个不同的个性吗? 这就是普罗恩萨·施罗。 在接受采访时你们声明你们其中一员是白色 的,另一员是黑色的。为此普罗恩萨是灰 色的… 如果只有我们其中一人普罗恩萨就不可能存 在。这是一个成功的组合。 关于品牌的名称,你们为什么选择了自己母 亲婚前的姓名来为品牌命名? 当时我们没有其它主意(他们在开玩笑,编 者按)。我们只有大约两个星期的时间来 打造品牌,那是在帕森设计学院一起读书时 我们论文集的一部分。巴尼斯在看过我们 的系列后,5月份买进9月份就要我们交货。 所以我们只有两个半月来决定如何生产或 sizing。我们必需快速地成立一个品牌并 且需要一个名称。我们想过麦科洛埃尔南德 斯,杰克&拉扎罗…然后想到了普罗恩萨· 施罗。发音会有点奇怪,甚至有点“欧洲式” ,那时我们是如此的年轻,只有23岁。我们 选择了这个名称,然后开始专注于商标。 品牌名称如何发音?在Youtube上有一些 教程... 为了更容易的发音,我们应该将其更改 为“Skooler”(他们在开玩笑,编者按) 。施罗是一个德国姓氏,所以也许它的原本 发音为“shoes”。但是,当我的母亲来到美 国,它开始有了这样的发音 (麦科洛说,编 者按)。然而坦率地说,我们喜欢人们不能 正确发音一个品牌的名称。这样的品牌名称 有很多,例如洛朗,罗意威或者爱马仕。发 音不准也蛮好的,太完美了会无趣。 工作的时候你们像是过得挺愉快的… 为什么不?工作不是一种折磨。 你们是在哪里认识的? 在曼哈顿这边,一家叫 Life的俱乐部里。 大概13年以前。 一路走来,你们已经有了很多的进步。公司 的下一步是什么? 我们正在和莱雅合作准备将在 2018 年2月推 出一款香水。我们一半年前开始这个项目但 是众所周知这是一个漫长的过程:需要很长 时间,完成很多的测试。我们正在准备一个 很大的推出计划,想要做到尽善尽美:有 名称,包装,模特,广告,品牌背后故事的 介绍… 现如今为了销售,讲述品牌故事越来越重 要… Proenza Schouler 的故事是怎样 的? 我们的公司是时尚,艺术,现代文化,好奇 心,活力。我们面向当代。时尚必须是时代 现象的倒影。这就是我们的目的:体现我们 的文化和经历。 把握今日或者展望未来:哪个更好? 把握今日吧。尽可能地活在当下。不要太 执着于未来,也不要太困守于过去, 活在当 下。 一般的系列其中不会有确切的指示,这个想 法也会体现在你们的系列中吗? 我们没有一个固定好的风格,无需回顾以前 的系列。所有这些也并不是特意的,只是我 们感兴趣的。 那关于春夏时装秀呢? 现在说有点难,我们的思路已经全情投入在 下一个时装系列里因此很难回顾以前的时装 秀,虽然那只是不久前。这是一个对各种各 样的技术和想法的探索,如热情,活力,速 度和行动。我们绕着褶皱设计过,现在想回 到颜色。这是一个很自然的想法拼贴。 就像一个活着的情绪版吗? 对,我们由它自然发展。我们想改变,与最 近两年来的创造不同。也许会合上旧的篇章 并且开始一段新的。现在的我们拥有一个新 的灵魂,比以前更自由。 更自由指的是从哪方面? 高雅的品味。意思就是我们想回到很多方 面。我们沿着好品味的方向工作了一段时 间,更简洁,更时尚。现在我们想回到颜色 和活力。更直觉,更原始。 你们创作时也会考虑到商业战略吗? 如果我们开始过渡分析,一般来说那些系列 或者风格是不会成功的。考虑一个系列是否 会成功,是否需要使用某种特定布料和特定 价格,是否需要限制,这个方式对我们是没 有用的。例如,今年这个系列是一直以来最 好的系列。 那男装呢?你们从来没有考虑过吗? 我们想到了但是已经太忙了。我们专注于女 装和饰品而且也忙于参加董事会会议和预算 会议和其他事情,因此没有时间做男装。可 能以后有一天会。我们想要做男装是为了私 人的原因,也是为了我们自己。

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Responsabile Moda e Design Stefano Roncato (sroncato@class.it) Grafica Valentina Gigante (vgigante@class.it) Hanno collaborato moda & testi Francesca Manuzzi, Angelo Ruggeri, Chiara Bottoni, Rosario Morabito, Ludovica Tofanelli, Michela Zio foto

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