Mff85 maggio 2017

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Magazine For Fashion

Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

n. 85. MAGGIO 2017. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

international edition

Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci. Foto Ronan Gallagher

the wowness alessandro michele @ gucci

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Magazine For Fashion

n. 85. MAGGIO 2017. Solo in abbinamento con MF/Mercati Finanziari - IT Euro 5,00 (3,00 + 2,00) trimestrale

Maria Grazia Chiuri con due modelle in Dior haute couture. Foto Ko-Ta Shouji

international edition

Supplemento al numero odierno di MF/Mercati Finanziari. Spedizione in abbonamento postale L. 46/2004 art. 1 C. 1 DCB Milano

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the wowness maria grazia chiuri @ dior

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Foto Stefano Roncato

Dolce&Gabbana

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Versace

Emilio Pucci

Marni

Fendi

Balenciaga

Elie Saab

Prada

Salvatore Ferragamo

Chanel

Miu Miu

Mulberry

Jeremy Scott

Emporio Armani

Moschino

Sacai

Moncler gamme rouge

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the wowness by STEFANO RONCATO

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Guardare il mondo attraverso delle lenti colorate. Che esaltino la luce, il colore, quelle tinte di una nuova primavera che sta sbocciando. Una primavera di libertĂ di espressione, di grandi cambiamenti, di sorrisi di fronte a quello che di nuovo si sta prospettando. Di sorprese, di schemi che vanno in pezzi e di speranza rinnovata. PerchĂŠ il sistema della moda sta cambiando le regole, o meglio chi ha qualcosa da dire sta lasciando il segno seguendo vie molto personali. Con passione ma anche con divertimento. Agli appuntamenti tradizionali si affiancano momenti worldwide. Le sfilate co-ed, le cruise che impazzano sul globo. La nuova Milano, il desiderio di anticipare le sfilate per un next step con il retail. L'alta moda che esce dai confini tradizionali dei templi couture per approdare nelle strade. Di Tokyo, di Pechino, cuori pulsanti da un'estetica senza barriere. Come rimanere impermeabili? Il mondo non basta, citando un celebre film. Non basta neanche secondo MFF-Magazine For Fashion. Che ha incominciato a volare oltre gli schemi prestabiliti per dar voce a quei racconti che fanno anche un po' sognare. Con due emblemi che diventano protagonisti delle coverstory. Uno shooting intimo e una lunga, intensa chiacchierata con Alessandro Michele per respirare un po' del suo giardino d'alchimista da Gucci. Ricordi, emozioni, amore, passione, business, sogni. Parole da ascoltare, parole da tatuarsi nella mente, contengono l'anima contemporanea. Come quelle di Maria Grazia Chiuri, prima donna a disegnare l'universo femminile di Dior. Inaugurando una revolution estetica che ha esaltato il Dna della maison e che ha appena preso le tinte di una cherry blossom con lo show nel Sol Levante. Prossima tappa Los Angeles, la cittĂ degli angeli. Che aggiungono sempre un sorriso al loro sguardo.

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contents fall-winter 2017/18

18 e 19

openview Stefano Roncato

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Simone rocha Francesca Manuzzi

30 e 31 facecool Angelo Ruggeri

48 AQUAZZURA. EDGARDO OSORIO Angelo Ruggeri

32 e 33 Moodboard Ludovica Tofanelli

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Rosamosario. carlotta danti Francesca Manuzzi

35 e 36 WAITING FOR Ludovica Tofanelli

52 e 53

buyers picks Francesca Manuzzi e Michela Zio

38 family business Francesca Manuzzi

54 quick chat Angelo Ruggeri

44 e 45 OFF white c/o Virgil Abloh Valentina Nuzzi

56 e 57 models Angelo Ruggeri

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il finale di stella mccartney

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contents fall-winter 2017/18

58 a-venue Francesca Manuzzi

86 e 87 ANTICIPARE LE SFILATE Fabio Gibellino

60 e 61 Accessor-hype Angelo Ruggeri

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62 a 75 alessandro michele @ gucci Stefano Roncato Foto Ronan Gallagher

98 e 99 DAVANTI ALLA TV CON VEZZOLI Giampietro Baudo

76 a 83 MARIA GRAZIA CHIURI @ DIOR Stefano Roncato Foto Ko-Ta Shouji 84 e 85 the next milano Milena Bello

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il finale di philosophy di lorenzo serafini

first raw Foto Stefano Roncato

100 a 111 the best Dries Van Noten Balenciaga Calvin Klein Dolce&Gabbana Comme des garรงons Valentino Miu Miu

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contents fall-winter 2017/18

Louis Vuitton Loewe Proenza Schouler Mary Katrantzou Msgm

133 e 135 groom SERVICE Francesca Manuzzi

il finale di molly goddard

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Andy Warhol: Ambulance Disaster, 1963-64 Š The Andy Warhol Foundation / ARS Calvin Klein: Classic Denim Jeans (Archival Originals, 1980) and Classic Denim Jeans (Archival Originals, 1982) Photographed at The Andy Warhol Museum, Pittsburgh

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il finale di marc jacobs

in covers

contents fall-winter 2017/18

alessandro michele, direttore creativo di gucci

Maria Grazia Chiuri con due modelle in Dior haute couture

foto: ronan gallagher

Foto: Ko-Ta Shouji

Servizi di Stefano Roncato

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PEOPLE

facecool

Un racconto in dieci tappe tra arte e moda, musica e design. Alla ricerca di personaggi che stanno riscrivendo il concetto di creatività. Talenti con un cool factor da scoprire. By Angelo Ruggeri

EMANUELE BICOCCHI WORK: JEWELS DESIGNER / FOR: HIMSELF / WHERE: MILAN Amore, famiglia e passione per il bello. Sono questi i valori di Emanuele Bicocchi. Il designer conosce l’artigianalità da piccolo, lavorando nella bottega orafa dei genitori. All’età di 18 anni comincia a collaborare con grandi maison, sviluppando con loro diverse collezioni di accessori. Assieme a Giulia Diamanti, sua compagna di vita e al suocero Gino Diamanti, a 23 anni crea la sua prima collezione di gioielli con l’obiettivo di: «Realizzare oggetti che accompagnino l'uomo nella sua vita, con carattere e personalità». Oggi, i suoi gioielli sono amati dalle celebrity più famose, come Zayn Malik e Machine Gun Kelly.

URS FISHER WORK: ARTIST / FOR: HIMSELF / WHERE: NYC È stato definito dai critici del settore un’artista ingombrante quando, al New museum of contemporary art di New York nel 2009, sconvolse tre piani interi. O quando, tre anni dopo, chiese a François-Henri Pinault due piani di Palazzo Grassi per un’installazione. Non solo. Dai colleghi è stato anche soprannominato: «Il Cattelan svizzero» per la sua passione per la pop art, come l’artista di Padova. Fisher è un creativo a 360 gradi: ama dipingere, scolpire e realizzare installazioni. Oltre a collaborare con il mondo della moda. Per lo show autunno-inverno 2017/18 di Marc Jacobs, infatti, ha creato tutti i gioielli bling bling indossati in passerella.

ANTONIO GARDONI WORK: PERFUME MAKER / FOR: BOGUE PROFUMO / WHERE: BRESCIA Laureato in architettura, Antonio Gardoni ha sempre avuto una passione per il design di prodotto. Nel 2010 un amico gli regala un distillatore ad acqua e inizia ad avvicinarsi al mondo delle fragranze. Dopo anni di studi e distillazioni, diventa uno dei più quotati profumieri e decide di fondare l’etichetta Bogue profumo. Che oggi conta due fragranze uniche, Maai e O/e. Inoltre, partecipa a numerosi progetti, come Cadavre exquise in collaborazione con Bruno Fazzolari, Maai-Scent of mistery ricreando il profumo per la protagonista del film omonimo degli anni 60 e l'esposizione «Making the body think–Scent philosophy» di Lisbona.

MICHAEL HALPERN WORK: FASHION DESIGNER / FOR: HALPERN / WHERE: London Paillettes, colori pop, patchwork creativi e riflessi luminosi. Quattro semplici concetti per definire il suo stile. Tanto amato dalle celebrity più famose di Los Angeles, fra tutte Beyoncé. E da qualche suo collega, in primis Donatella Versace che lo ha chiamato a collaborare per la sua linea di haute couture Atelier Versace. Michael Halpern, 29enne, si è diplomato alla Central Saint Martins di Londra lo scorso anno, presentando la sua prima collezione durante lo show organizzato dalla scuola. Mentre lo scorso febbraio ha debuttato sulle passerelle della London fashion week con una collezione elettrizzante, dal retrogusto 70s.

GABRIELA HEARST WORK: FASHION DESIGNER / FOR: HERSELF / WHERE: NYC È nata in Uruguay ed è cresciuta nel ranch di famiglia: «Tra cavalli e bovini», come lei stessa ama raccontare. Dopo più di dieci anni di studio ed esperienze nel design, nell’autunno del 2015 ha fondato il suo marchio omonimo. Con l’obiettivo di realizzare capi impeccabili, utilizzando materiali di alta qualità e seguendo un processo di produzione: «Lento e riflessivo, senza scendere a compromessi». Che lo scorso gennaio le ha fatto vincere l’International Woolmark prize per la categoria womenswear, con una collezione declinata in trench moderni, abiti da sera abbinati a giacche da baseball e sciarpe multicolor dal profumo etnico.

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JACK & JACK WORK: POPSTARS & INFLUENCERS / FOR: THEMSELVES / WHERE: LOS ANGELES «Quasi fratelli», così si definiscono. Nell’estate 2013, Jack Johnson e Jack Gilinsky sono diventati famosi pubblicando video comici della durata di sei secondi usando l'app Vine. Amavano entrambi cantare e, con l’aiuto di Turner e Travis Eakins, loro compagni di scuola, hanno iniziato la carriera nel mondo della musica. Il loro primo singolo Distance è stato rilasciato nel gennaio del 2014 e si è subito piazzato in settima posizione su Itunes Usa nel genere hip-hop. Oggi il loro profilo Instagram è seguito da più di 2,5 milioni di follower. Che amano il loro stile cool, e spesso firmato Balmain e Rochas homme.

AUSTIN MAHONE WORK: POPSTAR & INFLUENCER / FOR: HIMSELF / WHERE: MIAMI Più di 10 milioni di follower su Instagram. E quasi 3 milioni di fan che lo seguono sul suo canale di Youtube. Austin Mahone, classe 1996, è stata una delle star protagoniste dello show autunno-inverno 2017/18 di Dolce & Gabbana. Proprio con una sua performance, infatti, è cominciato il défilé dedicato al womenswear. Nato in Texas, ha iniziato la sua carriera pubblicando video di rap e hip-hop con il suo migliore amico Alex Costancio. In soli sei anni, è diventato una delle teen-popstar più famose del globo. E, per questo motivo, è stato soprannominato dagli addetti al settore il secondo Bieber.

BESTE E MERVE MANASTIR WORK: ACCESSORIES DESIGNERS / FOR: MANU ATELIER / WHERE: ISTANBUL Sorelle e business partner. Con una passione per la pelletteria, fin da quando erano piccole. Dal 1961, il papà, infatti, è uno dei primi produttori e artigiani della pelle in Turchia. Beste e Serve Manastir hanno fondato il marchio di accessori Manu atelier nel febbraio del 2014. Successivamente, hanno trasformato l’heritage paterno e il valore dell’hand-made in Istanbul in un vero e proprio business internazionale di grande successo. A tal punto da elevare il marchio a incubatore di talenti. Ovvero una factory capace di disegnare, produrre e distribuire articoli di pelletteria anche per altri brand emergenti.

BAV TAILOR WORK: FASHION DESIGNER / FOR: HERSELF / WHERE: LONDON È di origini indiane, ma è nata a Londra. L’educazione ricevuta dalla sua famiglia e i viaggi che ha compiuto l’hanno condotta a vivere in diversi continenti, entrando in contatto con culture e religioni differenti, donandole un’innata sensibilità nei confronti dell’umanità. E dell’ecosostenibilità. Dopo la laurea in business economics e un master in fashion marketing management, Bav Tailor si è specializzata in fashion design a Milano e, nel 2015, ha fondato il suo marchio omonimo che lei stessa definisce: «Sustainable luxury brand». Ovvero un brand che realizza capi in materiali naturali rispettando gli standard etici in tema di lavoro.

MOMO WANG WORK: FASHION DESIGNER / FOR: MUSEUM OF FRIENDSHIP / WHERE: LONDON Il suo marchio racconta la storia di due grandi amiche che crescono e si vestono insieme. Ogni capo che indossano diventa così testimone della storia della loro amicizia. Dopo la laurea presso la Central Saint Martins di Londra grazie a una borsa di studio ottenuta ai L’Oréal professional talents awards, nel febbraio del 2014 Momo Wang ha fondato il brand Museum of friendship, venduto oggi in tutto il mondo. La designer è fermamente convinta che grazie a internet ogni creativo possa lavorare ovunque e che le differenze culturali siano per tutti fonte di ispirazione. Proprio come lo sono state per lei nel passato.

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backstage

MOODBOARD

il glamour in versione ribelle. lorenzo serafini delinea per philosophy una femminilità dicotomica, tra liz taylor e le mods gang. By Ludovica Tofanelli

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Rebel at heart. La fall-winter 2017/18 firmata Philosophy di Lorenzo Serafini è un racconto visivo che rilegge il neo-romanticismo in una nuova versione ribelle. Una femminilità che si sdoppia tra impalpabili volant e car coat effetto gomma. E che si ricongiunge trovando compimento nella figura di una contemporary girl dallo spirito retrò, che indossa mini dress a balze e li abbina a stivaletti di vernice. «Mi ha sempre affascinato la dualità dell’animo delle donne. La dolcezza e l’audacia. L’innocenza e la sensualità. La grazia e la determinazione». Così lo stilista ha tracciato l’identità del suo womenswear del prossimo inverno portata in passerella dalla griffe del gruppo Aeffe, dando forma a un collage dicotomico dal sottofondo brit. Da una parte l’essenza glamour di un’icona del cinema hollywoodiano dalle origini londinesi, Liz Taylor. Emblema di una sensualità 50s racchiusa nei frame di quello storico film che l’ha vista protagonista nel 1958, La gatta sul tetto che scotta. Dall’altra uno scenario opposto e contrastante del panorama inglese,

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quello rappresentato dalle ribelli mods gang, che proprio alla fine degli anni 50 cominciavano a prender forma nella subcultura giovanile del mondo underground. «Questo mio nuovo racconto per Philosophy immagina una giovane Liz Taylor che incontra lo spirito ribelle dei mods. È la mia celebrazione della seduzione femminile e la sua indipendenza. Un contrasto inatteso tra eleganza intramontabile e twist modernista». La ribellione dell'essere timeless. E del tingere il glamour senza tempo di elementi ribelli a contrasto. Per un insieme accattivante ed elegante di frammenti visual, che ritraggono la sensualità femminile in una doppia accezione. La vita è in primo piano, stretta nelle piccole cinte. Le gambe si scoprono,

mostrandosi a ogni passo. I décolleté sono messi in risalto dalle strutturate scollature. Tutto si gioca sulle silhouette, tra elementi maschili da Teddy boy e crop top elegantemente fetish, voluminose gonne a corolla e mini bustier dall’accentuata sexiness. Fino ai bianchi visoni dei cappottini bon ton e all’avvolgente maglieria. Così quelle immaginate dal creativo, alla guida estetica del brand da due anni, sono queen sovversive che racchiudono in sé charme e grunge, battendosi delicatamente a suon di sguardi. Vantano occhi felini, portano acconciature scompigliatamente raccolte e si muovono consapevoli delle proprie forme. E l’innocenza della bellezza si fa consapevolmente sbarazzina.

sopra, il moodboard della sfilata philosophy di lorenzo serafini fall-winter 2017/18

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FASHION MOMENTS

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NOMI HOT PRONTI A REGALARE NUOVA LINFA CREATIVA AL womeNSWEAR e alla moda uomo. DOPO RUMORS, INDISCREZIONI E GIRI DI POLTRONE ECCO i prossimi debutti attesi in passerella. BY LUDOVICA TOFANELLI

Clare Waight Keller @ Givenchy Un cambio di direzione creativa tanto atteso quanto chiacchierato. Dopo sei anni alla guida estetica di Chloé, Clare Waight Keller lascia la maison controllata da Richemont per portare la sua visione stilistica da Givenchy, prendendo così il posto ricoperto per 12 anni da Riccardo Tisci. «Lo stile sicuro di Hubert de Givenchy mi ha sempre ispirato e sono molto grata per l'opportunità di entrare a far parte della storia di questa maison leggendaria». Con queste parole la designer sancisce il suo ingresso ai vertici della griffe parigina, assumendo il controllo del prêt-à-porter donna, uomo, accessori e dell’alta moda. Il debutto a settembre, nella cornice della Ville lumière, con l’obiettivo di tornare alle radici couture e chic della maison.

Maxime Simoëns @ Azzaro Marco Colagrossi @ Emanuel Ungaro Una rivoluzione interna che ha toccato lo stile tanto quanto la produzione. Dopo l’addio a Fausto Puglisi come direttore creativo e al produttore Modalis, Emanuel Ungaro chiama come nuova guida stilistica Marco Colagrossi, affidando al contempo la realizzazione dei propri capi a Cieffe. Con un passato tra gli uffici stile di Dolce & Gabbana e Giorgio Armani, Colagrossi arriva ai vertici della griffe parigina, che fa capo alla statunitense Aimz, portandosi dietro un mix di lusso, femminilità e senso del colore. Plasmerà la nuova Ungaro a partire dalla resort 2018, che sarà svelata a Parigi il prossimo giugno.

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Una virata estetica che arriva in occasione dei 50 anni della maison. Azzaro, dopo la separazione dal duo creativo formato da Arnaud Maillard e Alvaro Castejón, apre le sue porte alla direzione stilistica di Maxime Simoëns. Alle sue spalle collaborazioni con Jean-Paul Gaultier, Balenciaga, Dior ed Elie Saab, fino al più recente lancio del suo marchio street e urban dedicato al menswear, M.X Maxime Simoëns. Per Azzaro firmerà couture, ready-to-wear e accessori, interpretando l’heritage della maison: «Attraverso delle collezioni strong per uomo e donna». L’attesa è tutta per luglio, quando Simoëns farà il suo esordio durante la settimana della moda parigina dedicata all’haute couture.

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Lucie e Luke Meier @ Jil Sander Sono i coniugi Lucie e Luke Meier a prendere in mano la guida estetica di Jil Sander. La griffe del gruppo Onward, dopo mesi di indiscrezioni, ha infatti scelto il duo di stilisti per sostituire Rodolfo Paglialunga. «Siamo orgogliosi ed onorati di entrare a far parte di questo bellissimo brand. Avere poi l’opportunità di lavorare l’uno a fianco all’altra rende il tutto ancor più speciale», hanno raccontato i due creativi, lui con un passato da Supreme a New York e co-fondatore di Oamc, di cui è attualmente direttore creativo, e lei ex Dior, dove ha ricoperto il ruolo di co-creative director insieme a Serge Ruffieux prima dell'arrivo di Maria Grazia Chiuri. I due designer inizieranno a definire la nuova filosofia del brand già a partire dalla resort 2018, per poi debuttare in passerella con la collezione primavera-estate 2018, nel primo show co-ed del marchio.

Efisio Marras @ I'm Isola Marras Family affair. È un passaggio di testimone da padre in figlio quello che avviene in casa Marras. Efisio Rocco Marras compie ufficialmente il suo ingresso in qualità di direttore creativo da I’m Isola Marras, la contemporary label fondata dal padre Antonio Marras, che rimane invece alla guida della prima linea che prende il suo nome. Il giovane designer, in questa nuova esperienza, si porta dietro studi presso rinomate scuole internazionali, dalla Parsons School of Design di Parigi alla Central St. Martins di Londra, con una laurea in fotografia e liberal arts conseguita nella Ville lumière. Dopo aver dato i suoi primi input con la collezione autunno-inverno 201718, Efisio Marras svelerà appieno la sua visione estetica con la primavera-estate 2018. Obiettivo, oltre all’espansione retail, quello di rafforzare l'identità estrosa, funny e romantica di I’m Isola Marras secondo un’attitude più easy.

Natacha Ramsay-Levy @ Chloé Hello from the other side. Se Clare Waight Keller, dopo sei anni alla guida estetica di Chloé, vola da Givenchy, arriva Natacha Ramsay-Levy a regalare nuova linfa creativa alla maison di Richemont. «Voglio farmi interprete di una moda che esalti la personalità di chi la indossa, che crei un’attitudine, senza mai imporre un look», ha spiegato la giovane creativa, ex braccio destro di Nicolas Ghesquière, che aveva affiancato prima da Balenciaga e poi da Louis Vuitton, dove ricopriva il ruolo di senior designer. A sigillare il suo debutto sarà la spring-summer 2018, che la creativa porterà in passerella a settembre durante la fashion week parigina.

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Family BUSINESS q&a with Nicolò and Carlotta Oddi

Sono fratelli e sono Alanui. Nicolò e Carlotta Oddi, oltre al cognome, hanno un progetto comune, nato con un cardigan trovato in un mercatino a Pasadena in California. Lui impegnato nel commerciale dell’azienda di famiglia, lei fashion editor di Vogue Japan, tre stagioni fa hanno fondato una storia personale, che profuma di tiaré e parla del savoir faire italiano. Alanui, impunturato a navetta sull’etichetta, come solo i grandi ancora fanno, in hawaiiano significa lungo viaggio. Un lungo viaggio insieme. Fratelli e soci in affari. Com’è successo? Nicolò: È stato Alanui ad aver trovato noi… Quando Carlotta è tornata da un roadtrip alle Hawaii e nelle foto aveva sempre questo cardigan anni 60-70 trovato in un mercatino. Alanui è come una coperta di Linus, che si carica di emozioni. In cashmere Cariaggi, confezionata in 12-15 ore dalla stessa azienda toscana di Chanel ed Hermès. Ora siamo in 120 negozi. Carlotta: Siamo in ballo e si balla alla grande. Com'è lavorare insieme? N: Non hai filtri. C’è estrema fiducia, ma se hai la giornata storta è manifestata al 100%. Io faccio il commerciale, lei la direzione creativa, forse se disegnassimo entrambi la collezione, ci tireremmo i capelli. C: Se ci sono fashion drama si condividono. Andiamo nella stessa direzione senza pestarci i piedi. Cos’avete in comune oltre al cognome? N e C: La voglia di fare e l'umiltà, frutto dell'educazione che ci hanno dato. Una caratteristica positiva dell’altro? N: È creativa. C: Lui è diplomatico, io sono molto più istintiva. E una negativa? N: Non saprei, se non che siamo molto permalosi entrambi. C: Lui è soprannominato Furio (il personaggio molto preciso del film Bianco, rosso e Verdone, ndr), ma non è un difetto. Avete un mentore? N: Nostro padre. Finita ragioneria, il 1° settembre lavoravo in magazzino, nell'azienda di famiglia di prodotti termotecnici. Mi ha fatto fare la gavetta. C: Papà e Anna (Dello Russo, di cui è stata l'assistente per cinque anni, ndr).

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Il suo luogo del cuore e quello che le ricordi l’altro? N: Io sono legato alla California, a Los Angeles. Carlotta ama le Maldive. C: Mi piacciono i suoi profumi e la natura. Sono super affascinata dal mondo marino e posso stare su un'isola per un mese. Lui è Los Angeles. Quanto conta il digital oggi? N: Quando Anna Dello Russo ha postato Alanui sui suoi social i risultati si sono visti. Le è piaciuta l'idea dei fratelli, ci ha spronato e dato consigli. C: Tutti vivono su Instagram. È una vetrina 24 ore su 24, a portata di ampliamento di mano, quale oggi è il cellulare. Abbiamo avuto la fortuna di avere il supporto di Anna, così come di Alessandra Ambrosio e altri amici e io e le mie colleghe siamo state fotografate durante le fashion week. Avete un'icona? N: Phil Knight, il fondatore della Nike. Sto leggendo il suo libro e ci sono dettagli che mi fanno pensare. È nato a Portland, gli stava stretta e ha iniziato un viaggio, con prima tappa alle Hawaii. Ha passione per lo sport, la corsa e la necessità di fare seeding, che per lui era trovare atleti acerbi per fargli mettere le Nike ai piedi. Spero siano di buon auspicio. C: Coco Chanel, per il suo apporto alla moda. Ho visitato la residenza di Parigi... Che mondo straordinario. Le simmetrie, gli elementi doppi e i dettagli, come la sua giacca, con la catena che corre sul fondo per farla cadere perfettamente. O il fatto che dormisse al Ritz e prima che tornasse nell’appartamento spruzzassero il profumo. Il momento migliore insieme? N e C: Il sold out in tre ore su Net-a-porter e vedere Alanui da Colette. Come vi vedete nel futuro? N: Andrei a Los Angeles domani, ma Alanui è un bambino da accudire. C: In ufficio a Malibu o Maui, perché le Maldive sono troppo fuori rotta. Un ricordo che avete di voi bambini? N: Avevo fatto un castello di carte altissimo, ci lavoravo da giorni, è passata lei e me l’ha spaccato tutto. C: Si metteva la maschera dell’Uomo tigre, mi chiamava in camera e faceva «Buh». Pianto assicurato. Francesca Manuzzi

da sinistra, Nicolò e Carlotta Oddi

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OFF white c/o Virgil Abloh interview by valentina nuzzi

Un modello per le nuove generazioni. Per far comprendere ai giovani che i sogni, quelli più autentici e viscerali, si possono realizzare anche senza una formazione accademica. È questo che Virgil Abloh, mente creativa dietro al successo dello streetwear brand Off-white, si pone ogni giorno come obiettivo. Oggi, si destreggia tra le sue attività di stilista, interior designer e dee-jay. Con un sogno nel cassetto: rilanciare una grande maison del lusso grazie al suo inconfondibile street touch. Lei viene dal mondo dell'architettura. Com'è arrivato a fare moda? Ho studiato architettura per approcciare il mondo del design in generale. Quello che mi piace della moda rispetto alla progettazione è il suo ritmo, il fatto di avere tante idee e poterle realizzare rapidamente. Tante volte l'ispirazione è comune, ciò che cambia è il modo di svilupparla. Ha detto che le piacerebbe dirigere una grande casa di moda... Qualche preferenza? No, sono aperto a ogni possibilità. Penso che ciascuna maison abbia una storia che la rende unica. Se dovessi ricevere un'offerta concreta, comincerei riflettendo su come trasmettere il Dna del marchio attraverso qualcosa di rilevante dal punto di vista contemporaneo. Come è avvenuto di recente da Balenciaga grazie all’ingresso di Demna Gvasalia. A giugno porterà la sua Off-white a Firenze in occasione di Pitti immagine uomo. Com'è nato questo progetto? Sono stato approcciato dall'organizzazione e mi sono sentito onorato di ricevere la possibilità di presentare il mio lavoro in una cornice simile. Ci ero stato prima, ma solo per fare ricerca. Cosa presenterà esattamente? Pitti immagine uomo ha una tradizione molto forte nel campo del tailoring maschile. Per questo ho deciso di rendergli omaggio aggiungendo un tocco sartoriale alle mie creazioni streetwear. Probabilmente farò sfilare uomo e donna sulla stessa passerella. Nel 2015 è stato tra i finalisti dell'Lvmh prize. Le piacerebbe se il suo brand passasse nelle mani di un colosso del lusso? Non è tra le mie priorità. Per me l'importante è essere il creative director di una grande casa di moda, sia che il brand faccia capo a un grande gruppo o meno. Questo non cambierebbe la mia traiettoria. Off-white è un sistema, al di là del design e io sono il direttore creativo di un sistema. Essere più grandi a mio avviso non significa raggiungere un obiettivo più grande. Ho comunque un team di partner a Milano, ovvero New guard. Potremmo dire che faccio già parte di un gruppo in quel senso. Lei si presta spesso a collaborazioni creative. Qual è stata la migliore fino ad oggi? Golden goose, Chrome hearts e Moncler. Le collaborazioni consentono di modernizzare il look di un brand e tengono i consumatori sempre eccitati. È stimolante collaborare con persone specializzate in un determinato business, vedere i Dna di due marchi che si fondono. Oggi l'identità di un brand non è più un fatto religioso. Molti suoi colleghi stanno lavorando in tandem con Supreme. Le piacerebbe calvalcare quest'onda? Non ne sono certo. Conosco bene il team creativo di Supreme, ma non credo sia necessario collaborare per due identità come le nostre. Ma se me lo offrissero, non rifiuterei l'opportunità. Lo streetwear sta vivendo un momento d'oro nel fashion system... Perché? È bello vedere che uno stile che fino a qualche anno fa non era nemmeno percepito come

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moda ora è stato abbracciato dall'high fashion. Ma alla fine si tratta solo di prodotto. Credo che le persone guardino lo streetwear con occhi diversi perché le fa sentire parte di un sistema. Qual è la sua relazione con Kanye West? Conosco Kanye da quasi 15 anni ormai. Siamo due persone estremamente creative: lui ha il suo progetto Yeezy e io Off-white. Per Yeezy, mi considero il suo assistente. È lui il responsabile di una generazione intera di ragazzi che crede di poter diventare fashion designer senza alcun background formale. Con West ha svolto un’internship da Fendi... Cosa ricorda di quell'esperienza? Abbiamo lavorato alla linea menswear accanto a Silvia Venturini Fendi. È stata un'esperienza grandiosa. Ci ha insegnato come nasce una collezione e a gestire tutti i contatti che ci stanno intorno. Mi è piaciuto anche vivere a Roma. Amo l'Italia. Tra i suoi progetti futuri c'è anche la collaborazione con un hotel in Asia. Cosa può rivelare a riguardo? È un'idea in fase di sviluppo ancora top secret. Ma in futuro mi piacerebbe molto aprire un hotel in una località remota dell'Europa o in una vibrante città asiatica. È molto attivo sui social media. Che ruolo hanno nella sua vita? È una maniera formidabile per comunicare direttamente con il pubblico. Nella moda, danno alle persone l'opportunità di comprendere a fondo un brand, il suo mood, l'idea che vi sta dietro. I social rappresentano oggi quello che la pubblicità è stata un tempo. Da dove deriva il nome Off-white? È una parola non descrittiva che ho scelto per potergli conferire la mia personale definizione. Per me rappresenta qualcosa che si trova nel mezzo tra il bianco e il nero. Non è grigio, come sarebbe logico, ma è una sfumatura di bianco. Una metafora di come mi sento. Lei si diletta anche come dee-jay... Ho cominciato quando avevo 17 anni. Per me è essenziale per trovare ispirazione, soprattutto nel design. Le mie referenze principali arrivano proprio dalla musica, la club culture, la vita notturna. È fondamentale per me osservare le persone e immedesimarmi nei loro mondi diversi. Per questo nei miei set spazio dall'elettronica all'hip hop fino al rock'n'roll. Qual è la sua relazione con i fan? È un rapporto simbiotico. Sono molto conscio di dove vengo e di quello che ho raggiunto. Quindi per me parte del mio compito è educare le nuove generazioni e mostrargli che anche loro possono farcela, che non necessitano di una formazione accademica per raggiungere i loro sogni. Mi piacerebbe essere un esempio in questo senso. Come affronta le critiche? Le ascolto e le accolgo. Mi aiutano a riflettere e sviluppare idee migliori. Cosa si prova a essere un fashion designer nell'America di Trump? Lo trovo stimolante. Nel senso che fa riflettere sulla libertà di espressione. Personalmente, ho capito che trattare le persone con rispetto a prescindere dal loro background, origine o genere sia importante. E voglio che questo messaggio passi anche alle generazioni più giovani. Ha un sogno? Ho trascorso molto tempo cercando di raggiungere i miei sogni e sono molto contento dei progetti che ho in questo momento. Il mio sogno ora è mantenerli e farli crescere.

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nella foto, un ritratto di Virgil Abloh

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simone rocha interview by francesca manuzzi

Metà cinese, metà irlandese. In un prato lussureggiante di radici poliglotte, sboccia l’avanguardia di Simone Rocha. Un «giardino all’inferno» à la Diana Vreeland, rigoglioso di pensieri e intarsiato di dettagli preziosi. Popolato da una fashion army ricamata a mano. Tra le righe della designer nata a Dublino nel 1986, si narrano le leggende di miti letterari. Riecheggia un flebile spirito da women’s march e un vigore aereo che ha conquistato i buyer di Dover street market, Colette e 10 Corso Como. Oltre a premi, come il British womenswear designer award ai Fashion awards 2016, stesso riconoscimento conferito al padre John Rocha nel 1993. La storia di una dinastia dal tratto potente. Ha fatto sfilare un'armata di donne di tutte le età. Perché questa scelta? Mi piace pensare allo show come un momento in cui portare le persone per dieci minuti in un luogo che descriva come ti senti attraverso i vestiti. E oggi sto lavorando a una moda inclusiva, per figure femminili iconiche, senza tempo, come Benedetta Barzini. Questo perché nei miei negozi entrano nonne, madri, figlie e sorelle. È complicato incanalare la mia cliente in un range di età, soprattutto considerando che le donne sono interessate ai pezzi speciali, piuttosto che alla moda di per sé. C'è una grande differenza. Ha radici cino-irlandesi. Cosa predomina nella sua creatività? Fa tutto parte di ciò che sono chiaramente. Ma l'Irlanda ha una forte influenza su di me. Dalla sua natura imponente, fino alle persone che la abitano. È dove sono cresciuta e mi sono formata. È un luogo speciale. Ha un mentore? Ho fatto il Fashion Ma alla Central Saint Martins di Londra sotto la guida di Louise Wilson. Ha avuto un grande impatto sulla mia vita prima e dopo gli studi. Dal giorno uno, del debutto alla London fashion week nel settembre del 2010, grazie a questi insegnamenti,

non ho mai cambiato i miei codici. La confezione tradizionale è mixata a tessuti e materiali contemporanei così come a pezzi ricamati a mano, intarsiati con il Perspex, in un contrasto profondo tra potenza e anima romantica. Ogni collezione è un’evoluzione della stessa idea, tant’è che il moodboard fatto la prima stagione non cambia, ma cresce di anno in anno. Oggi la dinastia Rocha si è allargata. Cos'è cambiato? La nascita di mia figlia (Valentine Ming, ndr) mi ha fatta diventare decisamente più organizzata. Sono una grande creatrice di liste e controllo continuamente la mia agenda. E pubblico su Instagram i momenti della mia vita che amo, personali e lavorativi. Cosa la ispira? Amo artisti come Louise Bourgeois e Francis Bacon. Londra stessa e il Regno Unito supportano molto la creatività e ne sono un esempio musei e gallerie straordinarie come la Hauser & Wirth, la Tate Modern e la National gallery of Ireland, che visito spesso. Perché l'arte, le installazioni e il design sono i miei superpoteri. Come si traducono nelle collezioni? Ho un team incredibile nel mio studio di Londra. Lavoriamo duramente nello sviluppo delle collezioni in house. Devono essere pezzi che piacciano in primis a me, che vesto Simone Rocha per la maggior parte della vita e sempre con le scarpe basse. Quali sono i momenti migliori dall'inizio della sua carriera? Aprire i miei store di Londra e New York. Il primo a Mayfair nell'agosto del 2015 e a febbraio scorso in Wooster street. La mia più grande soddisfazione. Il desiderio per il futuro? Vedere il business crescere, soprattutto a livello retail, ma anche spingere la collezione sempre più avanti. Nonostante la nostra forza rimanga poter dire no.

in alto, un ritratto di simone rocha

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AQUAZZURA

EDGARDO OSORIO. by ANGELO RUGGERI Sempre in viaggio. Tra Firenze, Parigi, Milano, Londra, Miami, Monaco e New York dove abita. Da un continente all’altro, in cerca di esperienze di vita creative. Edgardo Osorio cerca di viverle al 100%, in ogni cosa che fa, in ogni sketch che disegna, in ogni materiale che seleziona. La sua passione per la moda, per la modernità e per l’artigianalità deluxe, dopo dieci anni di esperienze nel settore gli ha permesso, nel 2011, di fondare il marchio di calzature Aquazzura. Rigorosamente made in Italy, ogni scarpa è un inno alla manifattura più pregiata ed è realizzata da mani esperte di artigiani. I quali, come se seguissero una vera e propria formula magica, creano, stagione dopo stagione, calzature sexy e femminili ma allo stesso tempo comode, che vengono vendute oggi in oltre 58 nazioni. Tre parole per definire il suo concetto di moda? Eleganza, sensualità e modernità. Come è iniziata la sua carriera nel mondo della moda? Tutto è iniziato quando avevo 13 anni. Sono sempre stato attratto dal mondo del lusso, della creatività e del design. Penso sia stata mia mamma a passarmi questa attitude, lei è un'arredatrice d’interni. Dopo gli studi presso il London college of fashion e la Central Saint Martins, ho iniziato a disegnare, prima come stagista e poi come professionista. Quando è nato il marchio Aquazzura? Perché questo nome? È nato nel 2011. In quel periodo lavoravo come consulente per alcune maison di moda in Italia e nel mondo. Ero stanco di disegnare per altri. Mi sono detto: «Ora è il momento giusto, il mondo della moda ha bisogno di un cambio generazionale». Ricordo benissimo il trend di allora, plateau e tacchi altissimi. Ma le donne non riuscivano a camminare. E ai matrimoni le mie amiche continuavano a lamentarsi delle scarpe. C’era bisogno di qualcosa di nuovo, bello, sofisticato. Ma anche di elegante e portabile. In vacanza a Capri,

l’ispirazione: dedicare le mie creazioni al mare, alla Costiera amalfitana baciata dal sole, all’acqua azzurra. «Aquazzura», per rendere il nome più internazionale. Ed è anche il mio colore preferito. Mi ricorda la magia della Dolce vita, dell’Italia nella sua bellezza. Qualche sua cliente ha confermato come le sue scarpe siano femminili, sexy e allo stesso tempo comode. Come fa a unire queste due caratteristiche? È stata una sfida. Volevo creare una scarpa di lusso confortevole. Non mi sono focalizzato solo sul design e sul materiale, ma anche sulla vestibilità. Ci sono voluti molti studi per rendere le mie creazioni leggerissime e ben calzabili, ma ne sono davvero molto soddisfatto. Qual è stata la più grande soddisfazione dall’inizio della sua carriera lavorativa? Quando ho iniziato a cercare la location per il flagship di Aquazzura a New York. Un sogno che si realizzava. «Sono sulla Madison avenue, non ci credo», continuavo a ripetere. Oggi, il marchio conta sei monomarca e quattro shop in shop in tutto il mondo. Quale celebrity indossa al meglio le sue creazioni? Qualche ricordo in particolare? Forse Julianne Moore e Nicole Kidman. Quando ho fondato Aquazzura, non avevo budget e non potevo regalare scarpe alle celebrity. Ma Emma Watson si innamorò così tanto del prodotto che mandò al mio staff i dati della sua carta di credito per acquistarle. Progetti lavorativi per il futuro? Recentemente ho lanciato la linea di calzature per bambini, in versione mini rispetto a quelle degli adulti. Mi piacerebbe creare presto la collezione uomo e accessori. In fatto di retail, invece, prossimamente apriremo un nuovo flagship store in California. Come si vede tra vent'anni? Prima di tutto, in ottima salute. E Aquazzura sarà diventato un marchio lifestyle conosciuto a livello globale, che proporrà occhiali, profumi e perfino prodotti beauty.

in alto, un ritratto di EDGARDO OSORIO

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rosamosario

carlotta danti. interview by francesca manuzzi Un loft sul Naviglio di Milano. E un grande lampadario chandelier dà il benvenuto nel tempio di Carlotta Danti, la lingerie queen. La mente di Rosamosario prende spazio in un laboratorio opulento, tra sete e pizzi preziosi. I suoi feticci hanno stregato il fascino mediorientale, celeb come Rihanna e Madonna e i buyer dei department store internazionali. «Dicono che io sia la ragazza dell'East London che lavora sui Navigli, perché ho preferito iniziare lentamente. Ora ho la maturità mentale e di prodotto per fare il salto». Perché il nome Rosamosario? Dovevo costruire una storia, creare un nome alla Ferragamo. Rosamosario è un nome arcaico, sembra uno scioglilingua, suona bene e se lo scrivi male diventa rosa, amo, aria. Com'è iniziata la sua carriera? A diciott'anni mi sono trasferita in Cumbria, poi a Londra. Ero borghese, conoscevo solo l'eleganza italiana e ho iniziato a lavorare da Vivienne Westwood, nell'anarchia completa. Viaggiavo con lei e mi parlava di Mick Jagger, di David Bowie. Anita Pallenberg passava dall'ufficio con la bici, Peter Pilotto faceva il window display. Era un mondo fantastico e quando l'ho reincontrata dopo aver lanciato la mia etichetta, mi ha detto che avrei dovuto studiare finanza, fare due anni alla Columbia university, così sarei stata più preparata a parlare di business. Perché la finanza? Gli uomini della finanza, di Goldman Sachs ad esempio, ti massacrano il sogno. Nella moda siamo impulsivi, la finanza ti dà la forza e la coerenza per incanalare la fatica nella visione. Invece è tornata in Italia… Milano è la scuola dell'obbligo, se ce la fai qua, il resto è una passeggiata. L'Italia è l'hub del lusso e io volevo un business à la Brunello Cucinelli, che è partito dalla fabbrica. A Londra è diverso, mi ricordo che quando Joe Corré, il figlio di Vivienne, aveva lanciato Agent provoca-

teur su un'idea del fratello Ben Westwood, fotografo di porno, all'apertura dello store c'erano Naomi Campbell, Kate Moss… La forza di Londra è questo network, super social. A Milano non esiste, la forza qua è il know-how produttivo. Perché la lingerie invece dell'abbigliamento? C'era meno competizione. Oggi posso pensare di entrare nel ready to wear, grazie alla brand awareness che ho costruito su pigiama, kimono e body in tessuto serico. Nel 2008 André Leon Talley mi chiedeva dove avrei messo tutte queste vestaglie di pizzo e io ho iniziato a fare il door to door nelle redazioni. Sono arrivati gli editoriali con Kate Moss, il visual dell'album Lemonade di Beyoncé e il video Neended me di Rihanna. Un posto nei grandi department store e un universo Middle east da scoprire, che mi ha fatto passare il Natale con donne mediorientali in un'oasi nel deserto. Sono delle icone, hanno una cultura di prodotto altissima, nascono con il made-to-measure e la loro femminilità è rendersi belle per uscire anche solo un'ora. Crede nel digitale? È una grande soddisfazione svegliarsi la mattina e vedere che l'e-commerce, che stiamo per rilanciare, ha macinato. Instagram costringe la moda a essere cool, ma bisogna saper selezionare il personaggio giusto per raggiungere il proprio target. In Medio Oriente, Huda Kattan (@ hudabeauty) è una star, ha più follower delle nostre Instagram girls. Ha un'icona? Monica Bellucci. E non per il suo aspetto fisico. È la donna della società moderna, con un marito che esce con una ragazzina di 19 anni per fare lo smacco alla donna più bella del mondo. Ha un sogno? Voglio una casa-fabbrica con la piscina a sfioro in campagna. Voglio andare a lavorare con il mulo, altroché yoga.

IN ALTO, un ritratto di carlotta danti

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MAKE LOVE NOT WALLS

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best item

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LA PAROLA AI compratori worldwide PER STILARE LA NUOVA CLASSIFICA DEI MUST HAVE tra SFILATE E showroom. BY Francesca MAnuzzi e michela zio

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2 Thanks to: Stella Falautano @ A piedi nudi nel parco, Claudio Antonioli @ Antonioli, Tonino Asselta @ Asselta, Bruna Casella @ Bernardelli, Rosy Biffi @ Biffi, Studio Avesani representatives @ Club21, Gino Cuccuini @ Cuccuini, Luigi D’Aniello @ D’Aniello, Mario Dell'Oglio @ Dell’Oglio, Massimo Degli Effetti @ Degli effetti, Daniela e Michela Novelli @ Divo, Christine Ellis, Palmira Sorgetti @ E.t. & Marianne, Candice Fragis @ Farfetch, Folli follie buying team, Daniela Kraler @ Franz Kraler, Gianni Peroni @ G&B, Raffaele Galiano @ Galiano, Giovanna Gaudenzi @ Gaudenzi, Annalisa Di Servo @ Gibot, Federico Giglio @ Giglio, Sabina Zabberoni @ Julian fashion, Cesare Tadolini @ L’incontro, Jacopo Tonelli @ L’inde les palais, Carla Zalla @ Le Noir, Paolo Mantovani @ Mantovani, Elizabeth Leventhal @ Moda Operandi, mythresa.com buying team, Lisa Aiken @ Net-a-porter, Federico Donin @ Nia, Tiberio Pellegrinelli, Roberta Valentini @ Penelope, Roopal Patel @ Saks Fifth avenue, Giordano Ollari @ So Milano, Flaminio Soncini, Beppe Angiolini @ Sugar, Patrick Devlin @ Style.com, Giacomo Vannuccini @ Tricot, Angela Vitale @ Vitale, Veronica Vincenti @ Wise

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Dolce&gabbana

color-fur

dries van noten 100th show

cappa couture burberry

giovani signore

pants ellery

Attico

Miu Miu

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best accessories

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new names

stivali

BALENCIAGA

rejina pyo

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CALVIN KLEIN

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Fendi

Céline

Isabel Marant

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point of view

quick chat

Un'intervista doppia ad alta velocità. Domande e risposte rapide con una coppia di big player del fashion accessories design. Per scoprire quali sono i punti chiave del loro lavoro. By Angelo Ruggeri

diego dolcini Shoe designer

pierre hardy Shoe designer

Definisca il suo lavoro con tre parole. Creativo, terapeutico ed energetico.

Contemporaneità, tensione e grafica.

Quando è iniziata la sua passione per le scarpe? Da bambino credo, quando vedevo i piedini delle Barbie delle mie compagne di scuola. Ne ero affascinato.

Avevo 12 o 13 anni e in spiaggia, durante le vacanze, ho iniziato a disegnare scarpe. Poi, col tempo, ho fatto vedere gli sketch ai miei amici che lavoravano nel mondo della moda.

È cambiato il fashion system oggi rispetto a quando ha iniziato la sua carriera? Sì, moltissimo. È quasi irriconoscibile sia nei tempi che nelle modalità. Oggi ci sono collezioni che si susseguono senza interruzione, tra progetti speciali e uscite stagionali. La stessa comunicazione e il suo utilizzo si evolvono costantemente. La creatività è sempre stimolata da nuove e continue richieste da parte del mercato e dei nuovi consumatori.

Assolutamente sì. È cambiato moltissimo. Oggi è più dinamico, agitato. Vent’anni fa gli accessori non erano considerati così importanti. Servivano per completare i look. Oggi invece sono una delle categorie merceologiche che mantiene vivo ciascun brand. E che esprime al 100% la personalità del consumatore.

Per chi disegna calzature oggi? Per Balmain Paris con Olivier Rousteing.

Per il mio marchio omonimo e per Hermès, da oltre 25 anni.

Come ha influito l’avvento dei social media sul suo modo di lavorare? I social media hanno permesso a chiunque di dire la propria in tema di moda. Ogni giorno si vede l’ascesa di un nuovo fenomeno e «stare sul pezzo» è quasi un imperativo per ogni designer che guarda con curiosità al futuro.

Sì, ma non troppo. Non hanno cambiato l’essenza e l’immagine del mio marchio. Sono fortunato perché i miei prodotti sono tutti molto fotogenici e quindi perfetti da condividere sui social network. I quali sono diventati un nuovo modo di comunicare in libertà.

C'è un segreto per realizzare una scarpa bella e allo stesso tempo comoda? Il segreto è l’esperienza che si acquisisce col tempo, fatta di lavoro svolto con passione e dedizione. La bellezza di una scarpa poi è una cosa individuale dettata dalla sensibilità di ciascuno. Il suo comfort, invece, è dato dalla tecnica e dalla maestranza nel costruirla.

Sinceramente, non so se esista un segreto. Il mio lavoro è quello di disegnare e realizzare scarpe bellissime, irresistibili, per i miei clienti. La comodità arriva dopo, durante la produzione.

Quanto è importante la scelta della scarpa giusta in un look? Così come un buon vino esalta i sapori di un piatto, la scarpa giusta consolida l’estetica dell’outfit. Gli accessori oggi non sono poi così «accessori»: hanno sapori e design accattivanti con i quali si può giocare moltissimo.

È importantissimo. La scelta di un paio di scarpe rispetto a un altro può modificare completamente lo stile di un look. E così anche la personalità che il consumatore vuole trasmettere.

Una sua ossessione? L’equilibrio.

L’attenzione al dettaglio, alla forma, ai colori.

Cosa ama di più del suo lavoro? Amo tanti aspetti. Il primo fra tutti è quello del viaggio. Il mio lavoro richiede dinamicità, fisica e mentale, non posso permettermi di fossilizzarmi. Mi attraggono anche tutte le declinazioni nel mondo dell’artigianalità, dell’arte, dell’architettura e della musica.

Amo l’emozione che provo ogni giorno, la dinamicità e la possibilità di cambiare mood e sensazione ogni stagione.

Cosa invece non ama del suo lavoro? Come in tutti i lavori, esiste quella parte di burocrazia e formalità che a volte limita il processo creativo, ma bisogna prenderla come stimolo per nuove sfide.

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Forse la troppa velocità del settore. Ma a volte è decisamente divertente... Lo devo proprio ammettere.

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REPORT

models

Le esclusive, i volti piĂš richiesti e i nomi nuovi dalle sfilate fallwinter 2017/18. Secondo il parere di casting director internazionali, per rivelare le modelle piĂš cool della stagione. By Angelo Ruggeri

best exclusive

Chane Husselmann Versace

Kris Grikaite Prada

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Rianne van Rompaey Louis Vuitton

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most bookable

Jess PW Nina Ricci

Jessie Bloemendaal Valentino

He Cong Dior

Camille Hurel Elie Saab

Lea Julian

Carolina Herrera

new faces

Lex Herl

Isabel Marant

Aira Ferreira Tory Burch

Michelle Gutknecht Manuela Sanchez Giambattista Valli

Paco Rabanne

Emm Arruda

Salvatore Ferragamo

THANKS TO: MARIA GIULIA AZARIO, MAURILIO CARNINO @ MTC CASTING INC., VANESSA CONTINI, DANILO DI PASQUALE, GISELLA GENNA, ADAM HINDLE @ ADAM HINDLE CASTING, CATERINA MATTEUCCI @ RANDOM PRODUCTION, GIUSY NATALE, DANIEL PEDDLE E DREW DASENT @ THE SECRET GALLERY INC., ARDEA PEDERZOLI @ MARABINI BAIOCCHI, BARBARA PFISTER @ BARBARA PFISTER CASTING, ARIANNA PRADARELLI @ ARIANNA PRADARELLI CASTING, SIMONE BART ROCCHIETTI @ SIMO BART CASTING, ALEXANDRA SANDBERG, CAMILLA TISI @ TO THE MOON STUDIO

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set design

a-venue

super architetture, installazioni teatrali e opere d'arte. ecco i migliori allestimenti iconici ideati da progettisti deluxe. BY Francesca Manuzzi

chanel

ÂŤCHANEL Ground ControlÂť

louis vuitton

calvin klein

set-up by Es Devlin

installation by Sterling Ruby

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designed by saint laurent

designed by balenciaga

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time capsule

accessor-hype hit list bags

Pezzi cult fall-winter 2017/18. Una selezione di borse, scarpe e tips destinati a diventare i must-have della stagione. By Angelo Ruggeri hit list shoes

CHANEL

isabel marant

BALENCIAGA

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loewe

chanel

SAINT LAURENT

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hit list tips

MARCO DE VINCENZO

GUCCI

DOLCE&GABBANA

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DIOR

valentino

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gucci alessandro michele

T

esta piegata, capovolta. Per guardare quel dipinto con fregi e fiori scovato da un’occhiata fortunata al soffitto di un appartamento nobile. E trasformato in un tableau che ora compare alle spalle di Alessandro Michele. Viene divorato dal mosaico grafico della stanza. Brilla come incastonato in una wunderkammer mentale. Sembra seguire il destino di uno di quegli «Oggetti con l’anima» di cui parla il designer, che ama portarsi dietro per tracciare quel racconto che ha riacceso la fiamma di Gucci. Amato, discusso, senza vie di mezzo, sicuramente di successo. Una fiamma che brucia. Le tappe, prima di tutto, vista la velocità virale del cambiamento. Brucia anche la pelle, in uno scrub estetico che ha portato a rileggere la moda con un terremoto visivo. «Non penso di essere l’inventore o di aver detto qualcosa di così strampalato», ha spiegato a MFFMagazine For Fashion Alessandro Michele. «È come quando fai quel film in cui si parla di quella storia d’amore che tutti avrebbero voluto vedere ma solo tu avevi i mezzi per farlo». Nell’aria c’è qualcosa di istintivo, un atto creativo, un’esigenza di cambiamento che ha conquistato. Negli abiti all’insegna della self expression, nella comunicazione, nel modo di vedere

il business con un’azienda che ha creduto nella nuova mission creando una case history. Tra sfilate co-ed come esigenza di racconto e cruise itineranti che a giorni tornano a celebrare Firenze. Nelle campagne pubblicitarie che mixano onirico e street style, per un sogno urbano. In quei casting dirompenti che infrangono le chart dot com e inseriscono visi inusuali. Attori, artisti, musicisti, fotografi come nell’ultimo show milanese, dove in passerella sono saliti Silvia Calderoni e Valerio Sirna, Zora Sicher o Maxime Sokolinski, fratello di Soko. Camminano in quel giardino d’alchimista, come Alessandro Michele chiama il suo regno di ricerca. Una scatola cinetica che trasforma il movimento delle particelle in energia. Qual è il primo bilancio di questi anni alla guida di Gucci? Sono due anni e mezzo. Non si sa, sono come le relazioni, non capisci se sono pochi. Ma poi la percezione è come di averne fatti dieci, invece è talmente bello che sembra tutto recentissimo. Il bilancio è positivo, quello più positivo è quello con me stesso. Sono contento, non pianificando niente ho cercato di fare le cose di pancia, che restituiscono moltissimo. Le persone capiscono che non c’è un progetto dietro. Che succede qualcosa in cui metti la vita, la tua persona, te stesso.

Vedi che fuori diventa più o meno una specie di tribù dove la gente è coinvolta e la cosa strana è che io mi sento come se avessi avuto un’intuizione che tutti avevano. Ha tirato fuori qualcosa che si sentiva sottopelle… Esatto. Non penso di essere l’inventore o di aver detto qualcosa di così strampalato. È come quando fai quel film in cui si parla di quella storia d’amore che tutti avrebbero voluto vedere ma solo tu avevi i mezzi per farlo. Tutti sognano lo stesso film che tu volevi fare. Dal punto di vista emotivo sono molto soddisfatto. È un lavoro faticoso ma se sei soddisfatto è tutto più bello. Poi c’è sempre qualcuno che dice che non gli piace. Ma quello è normale. Come si confronta con le critiche? Le danno fastidio, le legge, le ignora, le servono… Le critiche mi piacciono. Quando sei completamente compiaciuto, spesso e volentieri, si torna al rapporto d’amore. Non puoi sempre sentirti dire: «Quanto ti amo, quanto sei bello» e non c’è mai nessuno che ti dica qualcosa che ti faccia anche progredire. Uno ti critica e ci pensi. «Son bravo e son bello però questa cosa la potrei limare». A me piacciono quando sono costruttive. È bello quando chi scrive, scrive sui giornali

servizio stefano roncato foto Ronan Gallagher

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e abbandona altri luoghi. La scrittura va rispettata, il giornale è stato l’istituzione dell’umanità, è il proseguo dell’enciclopedia, di Gutenberg, della scrittura. Fa veramente parte della storia dell’umanità. Chi ha il potere di avere una penna in mano, ovunque essa sia, è una cosa che rimane lì, non sparisce, non è un social che a un certo punto si può bloccare o togliere. La scrittura è come una preghiera. Non sono solo parole, dentro ci sono una storia, un racconto, una riflessione. È un piccolo sermone, per questo dico che è come una preghiera. Nelle collezioni, a volte i designer dichiarano di partire da un punto ma in sfilata quello che arriva a chi è davanti è un altro…. È una cosa bella. Se non ci fosse nessuno che ti guarda e che ti critica, se così vogliamo dire, sarebbe come fare un compito a scuola e nessuno ti dà il voto. Dici, perché l’ho fatto? Non credo alla gente che dice di non leggere, di non essere interessato. Ed è giusto che ci sia questa interazione bella o brutta che sia. Noi siamo esseri umani, ci gestiamo in un certo modo e gli amici, fidanzati, conoscenti e colleghi ne traggono delle conclusioni. È il gioco della vita, non siamo chiusi in uno stanzino da soli. Produrre la moda, scrivere un libro, fare un album o una canzone, una pièce teatrale è la stessa cosa. Ovvio che vuoi sapere cosa la gente ne pensa. Nel mio caso, sono stato contento perché in genere le persone mi hanno accolto e io oggi non posso che dire di essere felice. Poi ce ne sono due o tre cui non piaccio, non piaccio mai, però io li accolgo. Parlava di libertà, di poter esprimere quello che si vuole. E lei come hai affrontato la sua libertà da Gucci? Spaventato? Contento? Ero contento, perché inconsapevole. Non ho pensato che la libertà mi spingesse alla deriva, faccio male, mi mandano via. Io l’ho amata moltissimo, non ho proprio avuto nulla che mi abbia bloccato o paralizzato di fronte a una libertà estrema. Facendo anche lunghe chiacchierate con Vanni (Attili, professore alla Sapienza di Roma, compagno di Michele, ndr), mi dice come la mia non sia netta. Lui si è accorto che quando ho dei paletti, dei limiti, escono le cose migliori. La mia libertà un pelo forzata è ancora meglio. Perché mi sforzo di più. E poi non sono in un oceano aperto. È un grande mare dove però so che se mi muovo in modo sbagliato o se non m’ingegno, rischio di andare contro un pezzo di mare dove non ce la faccio. Lì la libertà c’è ma con dei confini, che fanno sì che io mi sforzi al massimo per dare espressione a quello che voglio dire. Forse una libertà e qualche paletto sono due ingredienti che fanno bene alla creatività. Perché la scelta di cambiare radicalmente il marchio e di farlo molto suo? Non avrei saputo fare altro. Ho agito così perché credo molto nella creatività. Io non so bene cosa sia questa parola, creatività. L’espressione di un punto di vista. Ho pilotato tutta la mia vita esprimendo un punto di vista. Anche nelle mie cose personali, nella mia casa, nelle mie passeggiate. Ho sempre idea di voler dare voce a quello che vedo nella mia testa. Questo era un altro di quei percorsi dove io, una volta che mi hanno dato la bacchetta del direttore d’orchestra, ho fatto quello che faccio passeggiando. Ho fatto una passeggiata che mi permettesse di vedere, di scoprire, di condividere con chi cammina con me le cose che avevano corrispondenza nel

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contemporaneo, nella mia idea di bellezza, nella mia idea del brand. E poi anche la mia idea della moda, di un settore che ho avvicinato più di vent'anni fa e del quale ero un po’ stufo. Mi sembrava che gli fosse stata sottratta quella cosa che noi chiamiamo creatività, che è un punto di vista. Fare la moda è un atto creativo. Il primo passo è stato quindi riportare la creatività? La moda era a un punto di stanca? Secondo me lo è ancora. Ci sono tanti indizi di qualcosa che sta cambiando ma non è ancora avvenuto quello che probabilmente avverrà. Comunque nella moda, malgrado questo, c’è qualcuno che sostiene di doversi rimettere a fare dei bei vestiti oppure di dover pensare alle settimane della moda. Diciamoci la verità, questo sarà ribaltato, come la nomenclatura che diamo a questi eventi. Il mondo è cambiato alla velocità della luce. Dal telefono a gettoni adesso viaggiamo con Ipad, Iphone. Ora siamo alla settimana della moda di Milano, di Parigi, al darsi gli appuntamenti. È un linguaggio che non è cambiato da ottanta, settant’anni, da Firenze in poi era quello il sistema. Credo che avverrà per forza perché non si può tenere mutilato o privato di qualcosa un settore che è sempre in movimento. Un linguaggio che è estremamente dinamico. Una sorta di contraddizione… Esattamente. Però c’è qualcuno che ha paura e continua a voler tornare a fare le ruches, i vestiti bellini. Ma la moda non è vestiti, quelli sono la scusa per parlarne. I vestiti li abbiamo tutti. Le ruches le hanno fatte prima di me, io ho detto cose banali. I fiori li hanno fatti tutti, io ho solo espresso il mio punto di vista. Dico sempre di essere un manierista. Sono cresciuto professionalmente negli anni '90, ho visto tante cose, ovviamente sono figlio di un’era, di un’epoca, della cultura che ho messo insieme. Un mosaico che ho assunto in vent’anni di libri, di lavoro. Ho lavorato con Karl (Lagerfeld, ndr), ho lavorato con Tom (Ford, ndr). Sono andato in fiera ho comprato libri d’epoca, ho collezionato. E tutto quello diventa un racconto. Non c’è niente di nuovo. Non ho detto di aver fatto un abito con quattro maniche. Gli anni 90 erano anche strani. Per metà un po’ Versace e il massimalismo, per l’altra Calvin Klein, il minimalismo, Jil Sander, Helmut Lang. Un crash molto forte… Precisamente nominiamo una serie di tribù. Volevi essere rasato, minimale, indossavi certi abiti per essere qualcosa di specifico. Eri come iscritto a un club. Negli anni 90 si faceva tutto diverso. Oggi si fa tutto tutti uguale. E lei cosa vuol fare con la sua moda, qual è il suo scopo? Non ne ho uno preciso. L’unica cosa è che tanto più è aderente il racconto di Gucci, tanto più io sono sincero. Non credo al trend, non è la lunghezza della gonna, il colore come tanti anni fa. Il trend è solo l’atto. Dal mio punto di vista l'unicità è data dall'atto creativo, si, l’atto da dove inizia tutto. Se c’è un uccellino o un fiore, è più autentico perché l’atto è autentico. Una volta qualcuno della stampa italiana mi ha chiesto se io fossi il detonatore. Continuo a dire che non ho detonato niente. Trova che ancora non sia scattata una competizione positiva? Qualcuno che mi venga incontro in un altro modo... Ma io sarei aperto perché l’arringa è bella quando c’è qualcun altro. Non è che mi faccia piacere che sia andato via Hedi (Slimane,

ndr) da Saint Laurent. Per me Hedi prima torna e meglio è. Ma altri nomi che le piacciono, con quell’atto creativo originale che citava? Osservo quello che fa Demna (Gvasalia, ndr) perché è interessante. Ho amato molto l’ultimo show perché la sua mano è sempre la stessa, è molto sincero, anche quando qualcuno dice che è troppo Margiela. In verità quello non significa niente. Non puoi dire che il Ghirlandaio fosse troppo Botticelli e il Botticelli fosse troppo il Ghirlandaio. Cosa mi interessa? Perché alla fine il risultato è una cosa pazzesca. La moda continua ancora a parlare di cose che non interessano a nessuno, non è neanche così libera. C’è la caccia all’errore. Lui mi piace molto perché ha assorbito una lezione, ci ha messo molto del suo, il suo lavoro più personale di così non si può. Fa bene. È una persona porosa che si lascia attraversare. Balenciaga in questo momento non è mai stato così tanto Balenciaga. Nello spirito soprattutto… È proprio nello spirito. Questa stagione ha messo dentro monsieur Cristobal. E vuole correggere le anatomie. Alcune leggerissime, alcune pesantissime. C’è questa idea del volume che deforma il corpo, com’era un po’ l’idea di monsieur stesso. E i giapponesi, Rei Kawakubo di Comme des garçons, Junya Watanabe… Lei (Rei Kawakubo, ndr) è come una sfinge. Può lanciare qualunque tipo di sfida con l’indovinello. Non sono neanche interessato a sapere il senso dei suoi indovinelli. È talmente misterioso quello che fa lei, che non puoi non amarlo. Ha nominato la sfinge e nella sua sfilata compare una piramide nell’allestimento… Ho messo la piramide perché quando lavoro galleggio in una terra di mezzo. Non tocco mai le cose, poi le tocco e le dimentico, ho una logica tutta mia. Da alchimista. Nel senso che ti convinci di poter fare delle cose con delle altre. Ci sono due o tre argomenti che mi avevano ossessionato. Di nuovo tutti questi fiori perché sono adorante della natura domata dall’uomo, della natura selvaggia, dei giardini, delle foreste, del linguaggio di animali, delle cose che non si capiscono, dai sessi che non si capiscono. Delle bellezze che non sono chiare. È un mondo alchemico ma anche esoterico. Non so bene che significato dare a quei casting di ragazzi che non sono precisamente belli. Hanno un bel addominale ma una faccia bruttissima. O bellissima… Un brivido di sensualità in effetti si è visto stavolta… Quel ragazzo è arrivato e sembrava avesse appena finito di studiare in biblioteca. Prova un jumpsuit di maglia e diventa una specie di Apollo. Nonostante quella tuta infantile o erotica, da rockstar, da Kiss e quella faccia lì che non avevo pensato fosse così. E come quando conosci qualcuno in un locale. Si spoglia oppure ti tocca e capisci che non è un nerd ma il dio del sesso. In questa terra di mezzo che ogni volta è il mio esperimento, cercavo di creare un circuito dove introdurre tutto come in un tritacarne. Dall’altra parte escono cose con uno sguardo contemporaneo, apparentemente sono brutte poi diventano meravigliose. Lavoro tanto sullo spazio, l’ho disegnato con le mie mani per far capire meglio. Dico sempre di sentirmi un po’ un architetto o uno scenografo mancato. Ho messo al centro la piramide perché è un simbolo alchimico, magico, importante, è un po’ la rifrazione del sole, la luce che fa cam-

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biare le cose. E sopra il galletto che regolava il vento. Perché poi tutti questi agenti fanno in modo che succeda qualcosa nella nostra vita. Vengo investito dal vento ma il mio vento non è quello reale, è quello delle cose che succedono. Tento di stare in mezzo a questo vento che passa. E di mettere insieme ciò che mi arriva un po’ da tutte le parti. Secondo me chi fa questo lavoro sta in mezzo a questo giardino alchemico. Dove tutto prende forma all’interno di questo tuo laboratorio. La luce, la gente, il vento, i giardini. Diceva di passare molto tempo a osservare la persone anche al bar... Lo faccio ancora. Cerca di capire o immaginare la loro storia? Sì. Perché una è vestita così o l’altra che aspetta. Non riesco mai a leggere un libro quando sono al bar. Lo porto ma poi ascolto le discussioni degli altri. Sono appassionato di tante cose ma quella che mi interessa di più è l’umanità. Quando vado in un posto, quasi sempre d’estate, m’immagino come sia l’inverno in quel luogo o in quella strada. Semplicemente perché l’inverno per me è la rappresentazione del quotidiano, tutto torna al suo posto. Cosa succede dietro quelle finestre? Come ha reagito la strada alla sua moda? Le vendite le hanno dato ragione, la gente sta comprando. Secondo me all’inizio non ha capito poi adesso ha apprezzato. Semplicemente perché puoi comprarti una cosa di Gucci ed essere della mia tribù. Significa che puoi comprarti una cosa di Gucci e le altre 100 mila di chi ti pare. Non c’è un obbligo di total look, non è una passerella che t’inviti ad acquistare per forza. T’invita a scegliere perché vieni accecato come in un tesoretto di un bambino. Però dopo t’ispira di andare al vintage o in un altro posto. Non è un circolo chiuso, è un circuito virtuoso che ti fa apprezzare cose che non stanno neanche nella moda. È come una porta? Anche secondo me. Poi se entri in negozio, ti va di comprare uno di quei giocattoli. Però se vai in un vivaio o in un giardino, non è che vuoi per forza il fiore di quel giardino. Puoi riprodurlo, magari ti viene voglia di andare in un vivaio, nel tuo. La strada ha reagito bene nel senso che ha risposto con grande libertà. Si vedono anche cose orrende, ma, diciamo la verità, abbiamo bisogno anche di cose orrende. A cosa servono? Per lasciare che le cose siano come devono essere. Non puoi manipolare l’umanità. Non puoi credere che l’umanità sia tutta uguale a un unico modello. Se qualcuno sbaglia, che sbagli pure. Perché la convinzione che la moda sia un’istitutrice che impone dei diktat è un’idea antica. Come diceva, la moda deve cambiare… La moda deve dare dei vestiti e dei suggerimenti in momenti diversi e non solo in quelli istituiti ottant’anni fa. E se poi le persone non vogliono essere tutte photoshoppate, tutte che sembrano aver perso 20 chili in un solo secondo, è anche giusto che sia così. Se c’è una cosa bella nell’idea di essere vivi, è la diversità. Io se non sapessi che uscendo di casa vedo cose che non vorrei vedere, non uscirei proprio. Per questo ha modulato il concetto della sua collezione come self expression? Totalmente. A me non interessa nulla che le persone vengano a comprare da Gucci. Voglio che lo spettacolo di Gucci sug-

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gerisca alle persone. Che faccia venir loro voglia di esprimersi. Se il mio naso non è quel naso ma ho personalità, perché non me lo posso mettere il cappello che mi scopre il viso? È stato questo il segreto del successo che ha avuto? Parlare all’umanità, alla persona? Forse sì. Forse quello che ha probabilmente creato più interesse è stata l’idea di un’esplosione di energia. Questo mi rappresenta, adoro l’idea di cambiare le giornate. Se non sono totalmente in sintonia, mi cambiò il colore della maglia, mi taglio i capelli. Mi piacciono i colori, la mia casa mi coccola. L’idea della moda che ho ti mette in connessione con il fatto di stare bene E si può stare bene con l’idea di essere una bellezza diversa. È una cosa magnifica. Sentirsi belli per non corrispondere al canone inventato da qualcun altro. È un regalo che ti fai. Anche il discorso dei canoni era tipico della moda. Ora va Kate Moss, fra due anni un’altra super model… Ma non li vogliamo neanche sapere i loro nomi. Perché quando sei al bar, se vedi una bella ragazza e una che è brutta, non badi a come si chiama. È interessante che nella moda ci sia una sorta di neorealismo. È una necessità, un’urgenza. Dopo tutto questa idea del finto, vedere una foto dove c’è davvero la luce del sole, dove c’è una ragazza vera che la settimana prima ha dato un esame e solo perché ho voglia di fare una cosa diversa viene sul set con me, restituisce a quell’immagine e a quell’immaginario qualcosa di più autentico. Ci credi di più. Se mi dai un’immagine in cui non m’identifico, forse non la guardo neanche più. A proposito di immagine, quel sogno che porta nelle campagne advertising, come i felini che camminano per strada a Roma... Ma non le capita di sognare delle cose strane? Quasi tutti lo fanno. Io sogno di avere una scimmia a casa, il pony nano. Sogno di essere un’altra cosa, di innamorarmi di uno che legge un libro sulla fontana di Trevi. In fondo la città è uno dei luoghi che ti fa sognare di più. Quando cammini per strada vedi delle cose e altre le immagini. Nelle campagne ci metto la mia immaginazione. Per ridere, dico sempre di avere un’immaginazione disturbata, nel senso che penso che ci sia sempre qualcosa che la disturbi. L’ordine che le persone cercano di dare a tutto è assolutamente il disordine che crea nelle persone. L’unico vero ordine è il disordine. E si porta dietro questo disordine anche quando crea una collezione? Lo porto dietro sempre. Inizio da qualcosa, nuoto nel disordine. Sono ordinato perché il mio disordine ha un ordine. Ho un disordine d’intenti. Per mettere insieme quella storia, utilizzo una serie di strumenti che di solito non vanno d’accordo tra loro. È come se per fare un concerto di musica classica usassi sia le pentole sia i violoncelli. E allora io cerco di metterli in accordo. Ovvio che poi ti tiri dietro tanto. Io sono un insaziabile, ci sono dei momenti dove tolgono tutto e quindi rimetto tutto. Ma è un atto così legato a un momento. Quando inizi a raccontare dove sei, più lo racconti, più vedi cose che non avevi visto. Quando arrivi a Milano, pensi a come far capire quello che devi dire. Inizi il film. È una cosa complicata, molto faticosa. A volte perdi la notte, il giorno, il pranzo, ti dimentichi pure di mangiare. Alla fine cerchi la musica che faccia capire

alle persone, non che accompagni i vestiti. Cerchi la musica e l’effetto scenico che ti introduca dove dici tu. Ma lei disegna, fa ricerca... Come si muove dal punto di vista operativo? Faccio una grande ricerca di immagini e di parole. Perché alcune immagini arrivano dalle parole scritte. Poi c’è anche del vintage perché vado a curiosare, ma il mio vintage sono tante cose. Sono decorazione di pareti, sono pezze, tessuti. Ho un grande archivio di cose che sono frammenti dal passato. Le guardo e riguardo. Poi ci sono anche i vestiti. È un vintage allargato? È una porta, una maniglia. Il piede di un mobile. È un dipinto. È una cosa che non mi ricordo bene ma poi la rifacciamo e ci accorgiamo che diventa completamente diversa. È un modo per rimettere insieme un immaginario che secondo me appartiene moltissimo all’idea che c’è adesso della bellezza. Se ci si pensa, la bellezza e il racconto appartengono a frammenti di mille racconti. Non è uno. Anche perché si è tutti sempre bersagliati da talmente tante ispirazioni... Non ce la fai neanche a essere una cosa sola. È evidente che ci metto una rockstar e una che prima era in libreria. Una che è stata lasciata, una che si sente una dea, una che si sente una geisha. E comunque non ci si sente tutte queste cose? A seconda del momento… Uno apre l’iPad e un giorno si sente Beyoncé. Ma dopo una settimana hai bisogno di essere in un posto dove stare a pensare o a chiacchierare. Sei rock’ n’ roll perché magari passi due giorni da solo a leggere. Fra poco sfilerete a Firenze. Dove è nata la scelta di portare in giro le cruise e avere uno show co-ed? Sta cambiando sistema, come diceva prima? Il mio cambiamento è prettamente legato a un’esigenza personale. Finché ci sono io qui con Marco (Bizzarri, ceo di Gucci, ndr), chiedo a lui le cose che mi servono per seguire il mio percorso. Adoro l’idea che ci sia un business dietro, è una cosa che mi diverte tantissimo. L’idea che tutto parta in modo genuino da un’idea anche folle è interessante, ma io non voglio servire il mercato. Non voglio fare due show perché serve fare due show. Voglio fare una sfilata perché è l’unico modo per rappresentare quello che ho in mente. E poi sono stato contento perché hanno abbracciato, hanno lavorato in modo che tornasse funzionale anche a loro. Però sono stato il primo a dire: «Io non posso più fare due show perché per me dividere gli uomini e le donne in due scatole non è più possibile». Stare nello stesso posto non è possibile. Perché io non voglio stare sempre nello stesso posto neanche nella mia vita. Non è che la moda deve cambiare perché dobbiamo cambiare il business. La moda deve cambiare perché la moda è stata un’espressione dei cambiamenti. Non voglio essere banale e raccontare i cambiamenti della società, ma di chi deve dire qualcosa. Non posso girare un film a New York se devo parlare di Berlino. Non posso utilizzare tutti maschi e tutte femmine perché c’è qualcuno che compra. A me non interessa cosa comprano. Poi se non va bene così, io me ne vado. Perché tanto io ho altre cose da fare. Chi lo vuole fare questo lavoro che è durissimo? Dove ti spellano. Quanto è difficile questo lavoro?

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Molto. Sono sempre con gli occhi da qualche parte, sono assente. Faccio fatica ad avere tempo per me, per la mia vita privata, che s’intreccia con quella cosa che tutti chiamano lavoro. Che per me non è lavoro. Non lo fai per soldi. È come se tu fossi schiavo di qualcosa. Sono schiavo del mio lavoro, ma nel senso buono del termine, rappresenta un pezzo del racconto della mia vita. Non lo faccio per andare in un posto o in un altro alla fine dell’anno. Non salgo sui jet privati. La mia vita è la stessa di prima, non cambia niente. Si sono aggiunte delle cose molto belle però, ripeto, non sono su questo carro per fare un lavoro, ne potrei trovare altri di lavori veri. Dico sempre che sei in gestazione. Sei incinto per un po’ di mesi. Cammini e non sai come fare a tenere questa pancia, devi partorire. Poi non vedi l’ora di vederlo questo figlio. E cosa prova nel backstage? Qual è il momento più forte di questo parto creativo? È quando vedo prima di tutto il film, quando ci sto lavorando sopra. Dopo tre giorni prende corpo e lì mi emoziono così tanto che divento instancabile. Non dormo, non mangio, voglio solo fare l’amore con questa cosa. Mentre il momento più bello alla fine è l’inizio, quando parte la musica e vedo muoversi quella macchina barocca. Mi verrebbe quasi sempre da piangere. Prima tutto sembrava impossibile. Esce la prima ragazza o il primo ragazzo. Sento la gente che sta guardando ed è la cosa più bella. Voi che venite a vedere la sfilata, siete il pezzo forte di tutto. Non è vero che lo faccio per me stesso, lo faccio perché voi possiate guardarlo. Mi piace così tanto che ho il desiderio di condividerlo. Condividere fa pensare ai social. Ma la moda non è ormai troppo imbrigliata da collezioni e pre-collezioni, look book, campagne, video, Instagram, Oscar? Cerco di occuparmi di tutto, guardo e in qualche maniera supervisiono tutto. Devo dire che il mio linguaggio è così difficile a volte, ma anche così chiaro, che ci sono delle persone che lo allargano. È un mondo espanso quindi non possiamo parlare una lingua sola perché sarebbe riduttivo. Personalmente vorrei rallentarla, vorrei che le persone si soffermassero di più nel guardare certe cose. Dal punto di vista creativo è la scusa, realizzerei una cosa al giorno, sono bulimico del produrre. Mi dà soddisfazione, mi piace, è come una specie di Divina commedia che non finisce mai. Però mi rendo conto che bisogna anche stare attenti. È importante anche che ogni tanto si allenti un po’ questa iperproduzione, questo essere per forza da tutte le parti. Perché non sono uno che è da tutte le parti quindi mi piace che uno se le vada anche un po’ a cercare le cose. Come dicevamo prima, è giusto che uno vada dal giornalaio con i soldini e comprarsi i giornali. Perché è molto diverso dal fare un’apparizione Mariana sulla tavoletta. Uno deve uscire di casa. Bisogna sempre stare a metà strada. Ma non troppo da

una parte o dall’altra. Uscire e mai stare nello stesso posto, diceva. Dove le piacerebbe andare a sfilare? In un posto dove mai andrei. A volte lavoro con un contraddittorio continuo, adoro innamorarmi delle cose che non mi sono mai piaciute. I leggings non m’interessano? Allora li trasformo in una cosa che mi piace. Forse andrei in un posto lontano perché odio viaggiare. Faticoso da raggiungere, dove non andrei. Un luogo che mi raccontassero, a me piace sempre immaginare. In alcuni posti non ci vado appositamente perché li preferisco immaginati che fisici. Ha citato la parola business, non è terrorizzato come alcuni creativi? Io per niente. Non mi fa paura, è una conseguenza del lavoro che faccio. E non me ne interesso più di tanto, perché devo fare il mio. In questo momento non voglio concentrarmi su niente che sia business. Lo conosco, so cos’è e, ripeto, sono in una fase della mia vita in cui quelli che sembrano miei nemici li voglio abbracciare. A me non fa paura, il business non ce l’ho nel letto. È da un’altra parte. A volte si fa finta che non ci sia… Sono molto bravi in azienda. Non mi stressano, non ne sento mai parlare. Hanno un po’ capito come sono e sanno che non sono contro. Che mi piacciono i negozi, che pure io faccio shopping, ogni tanto anche di vestiti. Ma compra anche i marchi degli altri? Sì ma in questo momento metto molte cose mie. A volte me le rifaccio ancora un po’ più diverse perché mi piacciono di più. Compro tanto degli altri e mi piace mettermelo. Ma proprio degli altri, delle altre persone. Chissà cosa ci hanno fatto... È attratto dall’umanità? Quando mi raccontano la storia di un oggetto e scopro che è appartenuto a qualcuno o ha nascosto la vita di qualcuno, lo compro subito. Come gli Horcrux di Harry Potter, oggetti che contengono l’anima… Gli oggetti contengono l’anima di tutte le persone che li hanno posseduti. Come le case. E lei ha un oggetto magico? L’ho avuto per tanti anni. Mio padre faceva lo scultore e scolpiva cose che mi proteggessero. Come una pietra di fiume quando ero bambino, con una civetta e un vecchio. La tenevo sempre vicino al letto, poi è stata rubata. Il destino però ti fa dei regali che ti servono in qualche modo per difenderti dai mostri. Quelli che hai da piccolo sotto il letto, da grande stanno nelle persone, chi non ti vuole bene o la paura di fare qualcosa. Poi è arrivato Vanni. Quando ci siamo incontrati, io non ero in un momento felice, ero molto toccato da alcune brutte cose che mi avevano fatto riflettere. Lui aveva passato tanto tempo in

un villaggio di nativi canadesi e aveva conosciuto degli sciamani. La prima volta che ci siamo visti, è venuto da me al mio compleanno e mi ha portato un fungo incartato. Sembrava un tappo di sughero, in realtà gli era stato regalato in questo villaggio. Era il fungo delle lacrime, che loro bruciano perché dicono essere magico. Fa ritornare indietro le lacrime e non ti fa più piangere. Il fungo piange per te. L’ho conservato in un sacchetto che tengo in camera da letto, in un posto che conosco solo io. Sento che questo fungo mi ha difeso dopo le cose di mio papà. Sa perché? Perché Vanni ha creduto che mi proteggesse. In verità mi protegge lui. Parla di lacrime. Cosa sono? Sono potenti perché quando le vedi, capisci che è stato toccato il fondo della tua sensibilità. Viviamo molto di cose che tocchiamo. Molto spesso finché non le tocchi non ci credi. Le lacrime sono belle perché quando arrivano hai la prova come se fossi un ispettore, hai un indizio, le stai toccando. Come quando ti chiedi se gli Ufo esistono o meno. Sì, li ho visti, li ho toccati. Quando piangi le lacrime escono, sono meravigliose perché ti fanno toccare la felicità, il dispiacere di essere stato felice. Sono una cosa bella, da trattare con grande rispetto. Il corpo le produce perché deve farti toccare quella cosa che altrimenti non sfioreresti. Forse è l’anima, quella cosa che pure gli antichi chiamano anima. Non lo so neanche io. È invece tempo di sorrisi per Milano che sembra beneficiare dell’effetto Gucci... Lo spero, perché a differenza di tante persone che vogliono creare strane competizioni, io amo molto Milano. Una città, un posto magico dove sono successe delle cose meravigliose. E come tutti i luoghi magici, come l’Acropoli di Atene, Milano ha le vestigia di un momento che io spero torni. Perché è un pezzo della storia della nostra bellezza. Milano negli anni 80 e 90 è tanto quanto il Rinascimento di Firenze. E cosa sarebbe necessario fare per ritornare a questo momento dorato? La aprirei tantissimo verso l’esterno. Milano ha bisogno di tanto vento che la attraversi. Ci sono troppi paraventi che la vogliono tenere chiusa, o per i milanesi o per chi ha paura di confrontarsi con l’esterno. Milano era molto bella quando non era più degli italiani. Ma dell’Europa, di chi ci voleva venire, era di tutti. Quando andavi in via della Spiga, non era per vedere le scarpe, ma chi ci passeggiava. Gente folle. C’era qualunque cosa, non la settimana di questo o quello. La vita di una città non è legata a un evento. Si sfila per sfilare, il cocktail per il cocktail. Ma a noi cosa interessa dei cocktail? Gli eventi non interessano a nessuno. È giusto che Milano si ripopoli di altra energia perché quello che conta è la vita reale. Le persone ci devono vivere. Full translation at page 136

Models: VICTORIA SCHONS @ Fashion; MATTHIJS DEIJL @ KNOWN MODEL MANAGEMENT; ALINE DENTLER e JAY WRIGHT @ NEXT; KAY SMETSERS @ Special Management; MADS TEGLER @ Tomorrow Is Another Day; ANDREI LIVIU SCORTANU @ Why Not; Photo Assistant: Vincenzo Liazza; Producer: Marco Gentile @ artplus Look: gucci fall-winter 2017/18

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n racconto che inizia da lei. Un sorriso. Una risata contagiosa. Gli occhi svelti, che guardano senza squadrare. Gli anelli come messaggi avvolti sulle dita. E quel biondo, assoluto, leggero. Come la leggerezza che Maria Grazia Chiuri rievoca a più riprese raccontando la sua nuova avventura da Dior. Non si può dire che sia facile, in effetti. Una maison dai natali creativi importanti e dalle dimensioni business che non passano inosservate, al centro di alte onde estetiche e di recenti manovre finanziarie da parte della corazzata del lusso Lvmh. Tra flash di fotografi, red carpet, vetrine, celebrity, negozi e sfilate anche worldwide. Come la recente alta moda portata a Tokyo e la prossima avventura della resort a Los Angeles. Una macchina dalla forza d’inerzia che comunque non ha resistito ad aprire il suo cuore al fascino di un refresh veloce come lo schioccare delle dita. È bastata una parola, J’Adior. Click. «Penso alla donna di oggi. Voglio parlare con i ragazzi, con la millennials generation», ha raccontato a MFF-Magazine For Fashion Maria Grazia Chiuri, direttore artistico delle collezioni donna di haute couture, pret-àporter e accessori della fashion house francese, «in fondo quello che mi viene chiesto è di muovere questo brand verso il futuro, quindi il dialogo è con loro. Io sono ora, loro sono domani». La Dio(r)evolution è iniziata senza dimenticare il passato. Come testimonierà la mostra che il prossimo luglio verrà inaugurata per celebrare i 70 anni della maison, dal suo fondatore fino all’arrivo di Chiuri. Per far fondere heritage and tomorrow. Come è stato portare l’alta moda a Tokyo? È la prima volta che ci sfilavo. Comunque sentivo che il momento era un po’ speciale. Al di là che lo show si è svolto sul tetto del Ginza six, c’era tutta la moda. Tutti quanti aprivano il negozio in questo mall, praticamente sembrava che la moda italiana e francese si fosse trasferita a Tokyo… Quanto è importante il Giappone? È storicamente importante, perché è il mercato più adulto dove la moda è percepita e capita da sempre. Sicuramente strategico perché riuscire lì significa che si riconosce il tuo lavoro. D’altra parte su quel mercato c’è stato anche in passato, negli anni 80, un aspetto colonizzante quando non era così maturo. Oggi in realtà tutte le aziende devono investire in modo diverso, far conoscere i valori dell’azienda. Sono stata tante volte in Giappone, anche a Kyoto. Mi piace molto perché è un Paese dove c’è una forte attenzione alla tradizione, ma anche una spinta alla modernità. Mi ricorda Londra, con la regina e i punk. Mi piacciono i Paesi dove convivono diversi aspetti. È stimolante. L’imperatore, le geishe fino alle cibernetiche. E poi la lingua, con un po’ di Lost in traslation. Fra poco andrete a sfilare a Los Angeles. C’è un’inversione, ossia portare la moda fisicamente alla gente?

Tutti quanti, non solo noi ma tutti i brand, stanno in qualche modo cercando di dialogare con le persone locali. È questo il discorso, portare la moda in loco. Non nego che questo implichi uno sforzo notevole. Non è una passeggiata. Un’organizzazione efficace, tempi di lavorazione. Molto bello ma molto impegnativo. A proposito di impegno, ma un primo bilancio di questo periodo da Dior? Positivo. Personalmente positivo, onestamente mi diverto. Ho questa grande fortuna in questo momento della mia vita. Voglio fare la moda perché mi diverte. Va bene così. Cosa prova a essere la prima designer donna da Dior, fino ad ora sempre in mano a uomini? Non ci penso. Più che altro voglio provare a fare qualcosa che parli alle donne. E che in qualche modo aiuti le donne a non farsi definire dagli altri meno che mai dalla moda ma che si definiscano da sole. Io adoro le donne. Per me è una cosa personale quello che sto facendo, è un dialogo tra me e mia figlia. Cosa vuole dire a sua figlia? Che si deve definire da sola. Non dagli altri. Che la moda deve usarla come gioco, a modo suo. Libera di essere come vuole. Quindi libertà... Quanto è importante oggi? È essenziale. Di questa cosa mi sono resa conto quando sono cresciuti i miei figli. Anch’io che pensavo di essere piuttosto libera, comunque sono stata influenzata da stereotipi, dall’educazione, dal sistema. Non siamo in realtà così liberi dal giudizio degli altri. E questo non è bene. Devi ragionare con la tua testa, seguire il tuo istinto, avere i tuoi punti di vista. Bisogna avere il coraggio di essere se stessi ma è molto difficile. Immediatamente ti senti messo all’angolo e diventa un limite alla tua creatività, alla tua felicità. Vorrei che i miei figli fossero felici. E per esserlo non ti devi far imprigionare da queste cose. Devi almeno provarci. E lei è felice con questa avventura? Molto, se no non la farei. Perché costa un sacrificio, essere in una città che non è la mia, aver lasciato persone a cui voglio bene, ho dovuto fare delle scelte. Anche d’impegno fisico. Dal lunedì al venerdì sono a Parigi. Poi nel weekend a Roma. Come è stato il cambiamento di lavorare in una grande azienda francese? Le aziende francesi sono diverse da quelle italiane anche se hanno punti in comune. Le francesi sanno valorizzare il loro heritage. La forza delle italiane è la capacità di mettersi in gioco, di essere flessibili. Sto cercando di mettere insieme il meglio delle due culture. Alla sua prima sfilata diceva di aver recuperato l’heritage di tutti i designer che si erano avvicendati dopo monsieur… Secondo me in un’azienda che ha 70 anni devi essere per forza un curatore. Non puoi fare finta che ci sia stato un buco dopo i dieci

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anni di monsieur Dior. Mi sembra anacronistico, come cancellare sessant’anni. Il decennio di Dior è stato fondamentale, era il fondatore e ha dato l’imprimatur a questa azienda. E più lo conosco, più capisco che fosse un genio. L’ha resa immediatamente worldwide. Nel 1947, due anni dopo la guerra, ha sfilato in Australia. Poi era in città come Buenos Aires, Havana, New York. C’era un opuscolo, creato dopo i primi sei anni, con tutte le sue sedi, grafici con la crescita, i profumi, le etichette. Chapeau. Dall’altra parte ci sono stati altri 60 anni. Per la mia generazione, il riferimento in Dior era John Galliano. Da italiana ricordo benissimo Gianfranco Ferré, dove tra l’altro ci lavoravano delle mie amiche. Marc Bohan ha fatto tantissimo in Dior. Non puoi chiudere gli occhi su un più recente Raf Simons. Fondamentale Hedi Slimane, inutile dirlo, ha creato Dior homme, ha cambiato l’estetica sull’uomo. Mi sembra anacronistico non essere lucidi rispetto a questi talenti ed è doveroso agire come curatore. Ribadisco, questo non è il mio brand, sono qui a fare il direttore artistico. Ma poi ci sarà un futuro. Cosa ha significato aver parlato di femminismo partendo da un palcoscenico come quello di Dior? Onestamente ho parlato di femminismo perché quando sono arrivata da Dior, si sottolineava molto l’aspetto di marchio femminile, espressione di femminilità. Era lo slogan. Lui diceva che le donne sono come un fiore. Io da donna ho pensato a cosa oggi vogliano le donne e vogliono delle pari opportunità. La generazione di mia madre ha lottato per pari opportunità, io ne sono stata una beneficiaria, l’ho dato per scontato. Come acquisite, come non ci fosse più bisogno di parlarne. A un certo punto, una doccia fredda, non è vero, non è stato acquisito. Siamo come eravamo. Bisognerà ricominciare a parlarne, tanto, di tolleranza, di pari opportunità. Sono stata fortunata. Prima con la mia famiglia e poi lavorando da Fendi, con cinque donne. Cosa le ha lasciato lavorare con le Fendi e Valentino? Sono ancora in contatto con le sorelle, con Anna, Paola, Carla. Ovviamente anche con Silvia. C’è un forte affetto, riconosco loro di avermi fatto imparare tanto. È importante lavorare con i fondatori di un’azienda, ti spiegano, ti fanno capire come funziona tutto. Quando le incontro è come se non fosse passato neanche un giorno. Ho imparato molto anche da Valentino e da Giancarlo Giammetti. Un altro tipo di approccio, mi hanno trasmesso la loro esperienza di fondatori. Non nego di essere stata svelta a comprenderla. Una cosa loro che si ricorderà? Valentino è la determinazione. È l’uomo con meno dubbi che io abbia mai conosciuto in vita mia. Le signore sono tutte un mettersi in discussione in modo costruttivo. Uno scambio continuo, il non lasciare mai un’idea per la stagione seguente. Meglio farla subito, mai perdere l’attimo. Dopo Valentino con Pierpaolo Piccioli, come è stato essere in prima fila da sola? Non mi sento sola. C’è un grande staff che mi supporta, con cui mi relaziono, con tante persone di diverse provenienze, cultura, lingua. È un’azienda più internazionale, si parlano francese, inglese e italiano. Uno dà sempre per scontato come la parola abbia un grande valore. Avere lo stesso linguaggio facilita. È più complesso ma è anche stimolante. E io sono una persona molto curiosa. Il mercato ha accolto bene il suo arrivo. Come è stata la sua Dio(r)evolution? Onestamente la prima sfilata è stata fatta senza pensare. Neanche quattro settimane, puro istinto. Ho pensato solo a come tutti dicano come quest’azienda rappresenti femminilità e donne. Io dico come sono le donne oggi. Molto personale. Ci sono tanti aspetti che mi appartengono. Sono formata con un’idea di moda molto di qualità, di craftmanship. E anche un aspetto pop che fa parte della mia generazione. Dall’altra parte questo dialogo costante con i miei

figli. Sono il mio riferimento, sono le generazioni future. Non parlo con me, parlo con loro. Parlando con loro capisco me. Per cui mi mettono in discussione. Era talmente personale che non me ne rendevo conto. Sono istintiva. È bello vedere che la gente capisce questo cambiamento? Non sapevo se avrebbero capito. Avevo urgenza di fare quello che sentivo. In fondo in questo momento sto lavorando così. Urgenza di fare e dire. Probabilmente dipende all’età. Sono in un momento della mia vita dove fai perché ti va di farlo. Con estrema leggerezza. Anche nel backstage sembra avere questa leggerezza… Tutto fuorché stressata. Posso essere stanca perché c’è tanto da fare. Non è stress ma entusiasmo di realizzare tutto. La moda deve essere divertente, è un lavoro piacevole, creativo. E poi, vivere a Parigi, mi sento una studentessa fuori sede. All’epoca di Fendi vivevo a Firenze con il mio fidanzato d’allora, oggi marito, e ho fatto avanti indietro con Roma per otto anni. D’improvviso ritorni a quel tipo di vita, inviti le persone a casa per cena, una casa che non è quella di famiglia. Torno a vivere come quando avevo 25 anni. Lo dico anche ai ragazzi che lavorano in ufficio. Impronta femminile, brio e determinazione. Un complimento, dicono che da Dior sia arrivata la «valanga rosa»... Sempre per la solita leggerezza che mi accompagna, o per beata incoscienza, non me ne sono resa conto. Se c’era qualche paletto, io non l’ho proprio visto. Non ho fatto tante riflessioni. Anzi, mi sono sembrati tutti molto disponibili. È un aspetto positivo. Energia, trascinare… Era estate quando sono arrivata qui. C’era solo un mese per fare la collezione. Era divertente. Non sento che sto lavorando, è questa la verità. Come se ti danno un gioco nuovo. Però con la consapevolezza di saper giocare. Il primo momento che è stata colpita da Dior? Le dimensioni mi hanno scioccato all’inizio. E devo essere onesta, oltre a Sidney Toledano anche l’ufficio stampa mi ha supportato molto. Èuna macchina molto grande, ci vuole tempo per capire. Che effetto fa vedere alcuni dei suoi pezzi già sold-out? Sono contenta. Significa che le cose piacciono. La più grande soddisfazione è vedere che le persone amano quello che fai. Lo comprano, lo mettono. Sono molto orgogliosa. Questo ti carica di responsabilità, di rifare bene. Alla fine nessun designer è mai soddisfatto. Ho questo rischio, mi viene dall’educazione, ho avuto una madre molto esigente. Si può fare meglio. Invece è bello imparare a fermarsi cinque minuti, felici e soddisfatti. E poi ricominciare. È vero che ci sono uomini che comprano Dior? È bello, ho visto ragazzi con le T-shirt, giacche, borse o i pezzi da scherma. Ma ci sono anche donne che vanno a comprare le sneakers di Dior homme. Io stessa negli anni 90 indossavo pantaloni in tecno raso blu di Prada da uomo. Mi sembra normalissimo che uno si compri quello che gli piace. E J’Adior? Era sicura che funzionasse? Non ho pensato se potesse funzionare o meno. L’ho fatto, non l’ho detto a nessuno. Perché banalmente è cambiato il linguaggio, reso più sintetico da Instagram che non ha mutato solo la moda e l’immagine. È una delle cose con cui combatto di più con mio figlio e mia figlia. Cosa mi dicono? Che uso troppe parole. Una parola per riassumere un concetto… Come fai a dire J’adore Dior. Dici J’Adior È nato nella cucina della mia casa a Roma, dove stavamo lavorando. La cosa che più mi piace è che devi un po’ contestualizzare e concettualizzare quello che stai facendo. Chi è il tuo interlocutore? Voglio parlare con questi ragazzi, queste donne, con la millennials generation. In fondo quello che mi viene chiesto è di muovere questo brand verso il futuro, quindi il dialogo è con loro. Io sono ora, loro sono domani. Full translation at page 136

Hair: Guido Palau; Make up: Peter Philips; Models: Ruth Bell, Lea Julian, Yuka Mannami @ Elite; Miu Kawashima, Faye Nielsen @ Image Tokyo; Mona Matsuoka, Mariana Zaragoza @ Img; Zhenya Migovych @ MP; Blanca Padilla @ Next; Michelle Gutknecht @ Oui; Caroline Schurch; Aira Ferreira @ Supreme; Akira Inuma @ Trapeziste; Isabella Ridolfi @ Viva; Camille Hurel, Brittany Noon, Jing Wen @ Women; Casting director: Michelle Lee; Looks: Dior haute couture spring-summer 2017

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the next milano

NEL MESE DI settembre, il capoluogo lombardo accoglierà sotto lo stesso tetto tutti i principali appuntamenti della moda made in italy. dalle fiere di settore alla fashion week donna, che culminerà con il green award. By milena bello Il nuovo rinascimento della moda italiana passa per l'Expo dell’eleganza, primo segno tangibile di un made in Italy che ha scelto di fare squadra. Di certo la prossima stagione autunnale rappresenterà una tappa di imprescindibile importanza per tutto il mondo della moda, dalle associazioni di categoria alle maison, dalle istituzioni ai buyer. Gli occhi sono puntati su Milano. A settembre prenderà il via la nuova fashion week in versione allargata e studiata per raccontare a tutto il mondo, sia ai compratori sia alla platea più ampia degli estimatori del made in Italy, cosa c’è dietro la manifattura italiana che ha portato l’Italia a imporsi nel mondo con la sua creatività, alta qualità e innovazione. Per la prima volta nella più recente storia del fashion italiano, il calendario della moda di settembre vedrà susseguirsi in un unicum temporale tutti i principali appuntamenti del fashion. Un maxi evento che prenderà il via il 17 settembre con le fiere delle calzature e pelletteria TheMicam e Mipel, seguita poi dalla fashion week di Milano moda donna (dal 20 al 26 settembre), dalla nuova manifestazione TheOneMilano (dal 22 al 25) e dai saloni Super e White (dal 23 al 25), ma non solo. Negli stessi giorni, ed è la grande novità del progetto, saranno infatti presenti anche eventi collaterali legati ai settori della gioielleria, dell'eyewear, del tessile e della cosmetica che per questioni di calendario o perché tengono le rassegne in altre sedi non possono essere presenti direttamente all’appuntamento di settembre con i loro saloni. La regia del progetto sarà unica ed è stata affidata a Davide Rampello, già presidente della Triennale e curatore, durante Expo 2015, dell’installazione Panorama, nata proprio per raccontare l’eccellenza della manifattura italiana. Per gli addetti ai lavori, gli ingredienti per un successo ci sono tutti. Comunque vada a livello di numeri e partecipazione, rappresenta una svolta epocale e una novità nel panorama internazionale. La kermesse che prenderà l’avvio in autunno è frutto del lavoro istituzionale e degli auspici del MiSe-Ministero dello Sviluppo economico. Era la fine del 2015 quando venne istituito il primo Comitato per la moda e l’accessorio che comprendeva, fin dall’inizio, i rappresentanti del tessile, della moda e degli accessori (Altagamma, Altaroma, Cfmi-Centro di Firenze per la moda italiana, Cnmi-Camera nazionale della moda italiana, Fiamp-Federazione italiana accessorio moda e persona, Milano unica, TheMicam, Mido, Mifur, Mipel, Origin, Pitti, Vicenza Oro/Oro Arezzo e Smi-Sistema moda Italia). Obiettivo del tavolo era quello di definire le linee guida per lo sviluppo del comparto, concordare con il Governo il sostegno istituzionale necessario a portare avanti le diverse iniziative per: «Garantire l’implementazione dei progetti chiave, fondamentali per riaffermare la leadership del sistema della moda». A tessere le fila del progetto c’era l’allora vice-ministro allo Sviluppo economico, Carlo Calenda che fin da subito confermò l’ipotesi annunciata una manciata di mesi prima di un maxi appuntamento che riunisse sotto un’unica egida tutto il mondo della moda. Nonostante gli alti auspici in pochi, in realtà, scommettevano sulla concreta fattibilità di un progetto di questo tipo. Poi i repentini cambiamenti in atto a livello macroeconomico ma anche del sistema moda (l’accorpamento delle sfilate uomo/donna, l’attacco internazionale del see-now-buy-now, il rallentamento di alcuni mercati da cui provenivano i buyer chiave

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Qui Sotto, lA CONFERENZA che ha sancito la nascita di CONFINDUSTRIA MODA CON claudio MARENZI, riccardo braccialini E cirillo MARCOLIN. Nelle altre immagini di queste pagine, dall'alto, in senso orario, L'INSTALLAZIONE PANORAMA ITALIA IN PIAZZA GAE AULENTI DURANTE EXPO2015 REALIZZATA DA DAVIDE RAMPELLO; Il battesimo di the GREEN CARPET AWARDS con carlo CAPASA, LIVIA FIRTH e Michele scannavini; il tavolo DELLA CONSULTA DELLA MODA; un RITRATTO di IVAN SCALFAROTTO; la top model Gigi Hadid in piazza duomo a Milano durante il lancio del progetto tommyxgigi

delle fiere italiane e il contrattacco delle altre città della moda, da Parigi a Londra e New York) hanno finalmente dato una spinta a favore di questa idea. L'espressione chiave è diventata una sola: «Fare sistema». E, soprattutto, mettere il made in Italy e l’Italia in particolare al centro di un’unica strategia, lasciando in disparte i campanilismi che da sempre hanno caratterizzato i diversi protagonisti della moda italiana. Tre città italiane si spartiscono l’offerta della moda. Firenze si conferma così quartier generale della moda maschile, Roma dello scouting dei giovani e Milano capitale della moda donna, nonché punto di partenza della rivoluzione del fashion. Poco più di un anno dopo è iniziato il conto alla rovescia per settembre. «L’Italia è l’unico Paese al mondo a ospitare la filiera nel suo insieme, dal filato ai tessuti, dalle confezioni all’accessorio», ha ricordato il sottosegretario allo Sviluppo economico Ivan Scalfarotto. «L’idea è che questa nuova impostazione di settimana della moda allargata diventi permanente. Dopo l’estate, inizieremo a lavorare sul timing e sugli eventi del 2018, anche in accordo con Fiera di Milano», ha aggiunto il sottosegretario. Un’ulteriore spinta al progetto è arrivata con la nascita, a fine marzo, di Confindustria moda, la maxi federazione del settore allargato del fashion che accorpa sotto un unico ombrello tutte le associazioni confindustriali della moda (Smi-Sistema moda Italia, Fiamp-Federazione Italiana dell'accessorio moda e Persona, Aimpes-Associazione italiana manifatturieri pellettieri e succedanei, Aip-Associazione italiana pellicceria, Anfao-Associazione nazionale fabbricanti articoli ottici, Assocalzaturifici, Federorafi e a breve Unic-Unione nazionale industria conciaria che resteranno comunque in vita sotto l’egida della nuova federazione). L’istituzione, che prevede un'alternanza alla presidenza tra Smi e Fiamp, sarà operativa in realtà dal prossimo anno ma l’appuntamento con la fashion week di settembre rappresenterà una sorta di banco di prova per la nuova istituzione. «La maxi fashion week autunnale sarà un grande passo in avanti», ha sottolineato a caldo Claudio Marenzi, nominato primo presidente della neonata confederazione (Marenzi è anche il numero uno di Pitti immagine e di Smi). «Quella di settembre rappresenta una nuova e importante concretizzazione dell’importanza di fare sistema, coagulando associazioni diverse che hanno in comune tematiche simili. È la stessa ragione per cui abbiamo dato vita a Confindustria moda, che ci aiuterà a pesare di più all’estero e in Italia. L’unificazione del calendario delle fiere è un passo avanti nell’ottica di rendere sempre più attraente e competitiva l’offerta delle migliaia di imprese che ci rendono orgogliosi di camminare tra le vetrine di tutto il mondo». Ne è convinta anche Annarita Pilotti, presidente di Assocalzaturifici, secondo cui: «L’84ª edizione di theMicam si aprirà all’insegna dei migliori auspici perché per la prima volta la fiera avrà l’ultimo giorno di manifestazione in sovrapposizione alle sfilate milanesi. Questa contemporaneità, un’occasione unica che coinvolgerà per la prima volta tutti gli attori della filiera fashion, ci rende orgogliosi e rappresenta un traguardo importante. Creare sinergie fra le eccellenze del Made in Italy renderà Milano capitale della moda a 360 gradi». Un percorso che, secondo Carlo Capasa, presidente di Cnmi-Camera nazionale della moda italiana, ha già reso il capoluogo lombardo: «Il vero place to be... La nostra fashion week si sta rafforzando moltissimo con marchi nuovi e grazie alla ricerca e alla collaborazione tra tutti gli attori del sistema e le istituzioni», ha commentato Capasa. «Straordinario è anche il lavoro che stanno facendo le fiere in questa direzione. Una sinergia che prenderà ancora più corpo in occasione della prossima fashion week di settembre, quando i saloni di settore si svolgeranno a ridosso della settimana della moda e porteranno in città un numero ancora maggiore di visitatori. Un evento nel segno della collaborazione, che contribuisce a rendere unico e speciale il settore della moda nella nostra città e nel nostro Paese». E Cnmi sarà in prima linea nel percorso di trasformazione con un evento esclusivo dedicato alla tematica della sostenibilità, The green carpet fashion awards, in programma al Teatro alla Scala la sera del 24 settembre. Anche le istituzioni sono attese a consacrare il nuovo corso del fashion. Come ormai da tradizione, la settimana della moda potrebbe vedere tra i suoi ospiti anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.

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anticipare le sfilate

Presentare e consegnare prima le collezioni uomo e donna. all'orizzonte, una RIVOLUZIONE NEI calendari per dare più tempo di vendita ai negozi. By fabio gibellino Doveva essere la stagione delle grandi rivoluzioni, della consacrazione del see now-buy now e del passaggio alle passerelle co-ed. Invece il tour sfilate dell’autunno-inverno 2017 ha preso tempo, rivelandosi come un nuovo momento di transizione. E lo ha fatto giustamente, perché se è vero che il sistema moda abbia evidentemente bisogno di una risposta alle nuove dinamiche di mercato, è altrettanto vero che questa non può arrivare a colpi di slogan. Così non è un caso che a pagare dazio sia stato il Cfda-Council of fashion designers of America, che ha messo in scena una New York fashion week che verrà ricordata solo per le assenze e per il flop del suo ormai ex nuovo dogma: quel ready to buy che a conti fatti in pochi hanno seguito davvero. Per contro, l’idea di presentare nello stesso momento le collezioni uomo e donna sembra essere una via che, seppur da discutere, sia percorribile, anche se resta un argomento di secondo piano rispetto alla protagonista

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assoluta degli ultimi dibattiti: che è l’anticipazione dei calendari. Su quello che è il presente, e come potrebbe essere il futuro, qualche risposta è arrivata dall’asse Milano-Parigi. Città che sono rimaste aderenti a una più sobria realtà del lusso, per spettacolarizzazione degli show, pur senza rinunciare a qualche tocco sperimentale. Così se Parigi, nella sua rincorsa all’egemonia dello stile, ha accolto il prêt-à-porter di Vetements, Rodarte e Proenza Schouler nel calendario dell’alta moda di luglio, Milano, che pur qualitativamente combattiva fatica un po’ a recuperare l’appeal dei tempi d’oro, ha spinto di più sul progetto co-ed, soprattutto sulla scia dell’effetto Alessandro Michele da Gucci. A riassumere il momento è intervenuto Riccardo Grassi, presidente di Riccardo Grassi showroom: «Penso che le fashion week stiano aspettando gli effetti del co-edited uomo donna, comunque a mio giudizio New York è stata debolissima, con un calendario pieno senza nessuna ragione, salvo Raf Simons per Calvin Klein. Londra è sempre interessante per i giovani, ma ha avuto una totale assenza di buyer, mentre la concretezza e le proposte, anche se diverse, di Milano e Parigi, sono risultate vincenti». Sulla stessa lunghezza d’onda è Mario Dell'Oglio, presidente della Camera italiana buyer moda: «C’è stata una fortissima concentrazione su Milano e Parigi perché l’appeal su New York e Londra è un po’ calato, e il see nowbuy now non ha avuto grosso seguito. Gli americani hanno provato e non ci sono riusciti, ma se ci si basa solo sul marketing non può funzionare, perché la moda ha bisogno di creatività e creazione, che non si possono inventare in 30 secondi». D’altronde sul made to order, anche Moschino, vero precursore della proposta, è piuttosto scettico. E Massimo Ferretti, presidente esecutivo di Aeffe, è stato chiaro: «Non riteniamo di voler estendere questo approccio all’intera collezione, né sarebbe fattibile, data la ricercatezza dei tessuti, la complessità delle lavorazioni e l’estensione della collezione. Il lusso deve rispettare specifici tempi di produzione e di consegna se vogliamo preservare la creatività offrendola a un livello di qualità adeguato». Concetto che aveva espresso a suo tempo anche Giorgio Armani, quando aveva detto: «Perché questa rivoluzione sia effettiva e permanente bisognerà intervenire a ogni altezza della filiera in modo da creare un meccanismo operante. Vorrei solo che il riallineamento dei tempi della presentazione e quelli della vendita in negozio avvenisse con intelligenza, equilibrio e grande utilità». Un po’ più d’incertezza invece gira

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intorno al concetto di co-ed, perché se da una parte, oltre alle logiche creative, ci si trova davanti ad alcune considerazioni di bilancio, come ha spiegato a suo tempo Marco Bizzarri, presidente e ceo di Gucci, «mantenere due calendari distinti e separati è più il risultato di un retaggio della tradizione che una scelta pratica», dall’altra, Dell’Oglio, nutre un po’ di scetticismo perché: «È un’operazione che rischia di diventare una proposta di lifestyle e non di stile in senso stretto, poi non va dimenticato che la concentrazione di un buyer, con sfilate solo donna, o uomo, è completamente diversa; qualche contaminazione ci sta, ma non di più». Mentre per Riccardo Grassi: «Non credo si possa generalizzare, credo però che il sempre maggior potere delle collezioni street e high contemporary vada sempre più in questa direzione». A mettere tutti d’accordo ci pensa invece il calendario, quello dei 12 mesi. L’ipotesi dell’anticipazione delle sfilate aveva avuto tra i suoi pionieri Guram Gvasalia, ceo di Vetements, che qualche mese fa aveva proposto: «Di presentare la primavera-estate a gennaio, di consegnarla a febbraio, di venderla sino alla fine di agosto e vendere successivamente l'autunno-inverno dal 1° settembre sino alla fine di febbraio». A seguirne le orme, sono poi arrivati i Proenza Schouler, spinti dalla necessità di anticipare le consegne nei negozi per evitare che gli acquisti dei buyer si sbilancino verso le pre-collezioni. Per una linea di pensiero che non ha potuto che trovare appoggio dal numero uno della camera dei buyer: «Auspicherei di portare tutte le sfilate donna a luglio per evitare l’attuale stacco, che influenza pesantemente le consegne. Il mercato della donna è fatto di grande anticipazione e a maggio è quasi concluso. Poi anticiperei anche l’uomo di una o due settimane e la donna di marzo a metà febbraio». Con Riccardo Grassi pronto ad aggiungere che: «Per ciò che sento dai clienti, riorganizzare le date delle sfilate anticipandole di almeno un mese, se non due, sarebbe una grande, e obbligata, rivoluzione, perché ormai i sell through si combattono sulle consegne anticipate». In conclusione, per Mario Dell’Oglio: «Ci vuole uno sforzo da parte di tutti, a cominciare dai grandi brand, perché ci sia un calendario equilibrato con finestre ben precise, perché fare sei, sette viaggi per le campagne vendita è uno sforzo inutile». Mentre Riccardo Grassi chiude sottolineando come: «Milano sembra più propensa al cambiamento, ma attendiamo la prossima tornata per vedere cosa succederà».

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DA SINISTRA, IN SENSO ORARIO, IL FINALE DELLO SHOW FALL-WINTER 2017/18 DI VETEMENTS; UN RITRATTO DI MARIO DELL'OGLIO; UN RITRATTO DI RICCARDO GRASSI; Kate E Laura MULLEAVY DI RODARTE; Jack McCollough E Lazaro Hernandez DI PROENZA SCHOULER

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BRIVIDI DIGITALI dalla prima fila. Tra MOMENTI ICONICI, ambientazioni spettacolari E NUOVE ossessionI VISIVE. Racchiuse nelle pagine di un diario-album. PER catturare lo zeitgeist. photo by stefano roncato

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Tommyxgigi

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venice beach, la

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davanti alla tv con Vezzoli L'artista conquista la Fondazione Prada con «TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai». indagando sulla produzione anarchica dei 70s e Scegliendo Raffaella Carrà come Icona. by Giampietro Baudo

in questa pagina, dall'alto: l'opera di Fabio Mauri Il televisore che piange del 1972 (Courtesy the Estate of Fabio Mauri and Hauser & Wirth), il collage di Nanni Balestrini Non capiterà mai più del 1969 (Collezione Archivio di Nuova Scrittura) e un momento del programma Terza B: Facciamo l'appello del 1971 con Enzo Biagi, in primo piano e, a sinistra, Renato Guttuso (Courtesy Rai Teche)

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«La televisione va velocissima e stare dietro a quello che vi accade dentro è una cosa che deve prevedere una certa esperienza». Parole sante quelle di Raffaella Carrà, tra le grandi protagoniste della tv italiana e soprattutto regina della «TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai», progetto concepito da Francesco Vezzoli in tandem con la Fondazione Prada di Milano e sviluppato in collaborazione con la Rai. In scena dal 9 maggio al 24 settembre l’exhibition, che sarà battezzata in preview la sera del 7 maggio dopo la prima sfilata resort di Prada, sarà una esplorazione della produzione televisiva targata seventies attraverso gli occhi dell’artista bresciano, da sempre interessato a unire citazioni storiche all'arte antica con omaggi alla cultura pop, tra tv e cinema. «Tutto è nato da una conversazione con la signora Miuccia Prada e dalle riflessioni che insieme facevamo sulla televisione di quegli anni... È stata lei a dirmi di iniziare questo racconto. Io sono un ragazzino cresciuto davanti alla tv, che ha formato la mia sensibilità e che è stata la baby-sitter della mia generazione. Il mio primo ricordo è il divano di casa di nonna e io davanti allo schermo a guardare Milleluci», ha spiegato l'artista, che nella sua carriera ha lavorato con figure come Franca Valeri, Iva Zanicchi e Valentina Cortese ma anche con Bianca Jagger, Milla Jovovich, Benicio del Toro, Courtney Love, Barbara Bouchet o Adriana Asti. «Ho preso i programmi della mia giovinezza: L’Albero degli zoccoli, Cristo si è fermato a Eboli con Gian Maria Volontè, Alberto Lupo che canta con Mina e Mina insieme ad Adriano Celentano, Pinocchio di Luigi Comencini, poi Raffaella Carrà, Roberto Rossellini, le gemelle Kessler o Pier Paolo Pasolini. E ho cucito tutto insieme. La televisione negli anni 70 era tutto per l’Italia... Era un racconto di intrattenimento, cronaca nera, costume e società. Era l’autorità assoluta. Trasmissioni come Milleluci raggiungevano 30 milioni di persone, programmi come Portobello parlavano a 23-25 milioni di telespettatori. Lascia o raddoppia aveva un pubblico incredibile. La tv era l’autorità... Ricordo le mie zie che quando parlavano di qualcosa si dicevano: «L’ha detto il telegiornale» come se fosse una verità assoluta. In quel periodo la Rai era il racconto di un quotidiano dai lineamenti tragici ma era anche l’intrattenimento e il divertimento di un periodo buio. La tv consolava l’Italia in un momento difficile». Partendo da questi assunti, Vezzoli ha lavorato alla creazione di una sequenza di associazioni visive e semantiche, pronta a conquistare gli spazi della galleria Nord, del Podium e della galleria Sud della fondazione di Largo Isarco. Il percorso espositivo, ideato in tandem con Mathias Augustyniak e Michael Amzalag dello studio da M/M (Paris), sarà un viaggio ludico tra ricordi e sensazioni, immagini video, materiali provenienti dagli archivi delle Teche Rai, dipinti, sculture e installazioni, selezionati con il supporto curatoriale di Cristiana Perrella e la consulenza scientifica di Massimo Bernardini e Marco Senaldi. In un cammino di tre sezioni in cui verrà sviscerata la relazione della televisione pubblica italiana con l’arte, la politica e l’intrattenimento. A completare il percorso sarà un libro-album, edito da Fondazione Prada, che includerà testi di teorici e critici d’arte, di studiosi e professionisti della tv italiana e internazionale. «Questo lavoro è stato un viaggio incredibile alla scoperta di un mondo fantastico e immaginifico», ha poi aggiunto, «in quegli anni la produzione televisiva italiana aveva un sapore anarchico e rivoluzionario, come in nessun altro Paese... Se guardiamo agli Usa, all’Inghilterra o alla Francia nessun canale trasmetteva qualcosa di così speciale come accadeva in Italia. Quello che ho scovato negli archivi è qualcosa di incredibile. Se dovessi identificare cinque frames unici forse sceglierei Stryx di Enzo Trapani, un programma avanguardista e fuori dagli schemi per quegli anni, con Patty Pravo che cantava nuda o Grace Jones che si esibiva ammicando sotto la doccia. Poi Milleluci, come esempio di intrattenimento classico dal sapore Broadway. Gli episodi di cronaca nera come l’assassinio di Aldo Moro... In quegli anni fatti di questa portata sono stati vissuti attraverso gli schermi della televisione. E poi, senza considerare i film esclusivi che produceva la Rai ma che venivano proiettati al cinema, direi le trasmissioni di confronto. Un vero dibattito. Ricordo un video dove Maurizio Costanzo intervistava Susanna Agnelli con Rino Gaetano che entrava in scena e iniziava a cantare contro i poteri forti innescando un dialogo concreto e un costruttivo confronto politico. Un vero talk show, che oggi è una cosa impensabile». A dominare la scena di una tv: «Unica e strepitosa», una sola regina. «Raffaella Carrà, e non perché io si ossessionato da lei... Credo che in quegli anni sia stata davvero un’icona rivoluzionaria. Nel ’78, quando in Italia imperversavano battaglie per l’aborto o il divorzio, lei cantava dagli schermi della tv Tanti auguri (Com’è bello far l’amore da Trieste in giù) dall’Italia in miniatura. Quelle immagini e quei testi hanno avuto un ruolo socio-politico importantissimo per la cultura italiana», ha aggiunto l'artista bresciano che nel racconto ha voluto anche: «Documentare gli Anni di piombo senza giustapporre ad essi nessuna opera figurativa, come invece abbiamo fatto altrove unendo i video con le opere di artisti come Alighiero Boetti, Alberto Burri, Giorgio de Chirico e Renato Guttuso. E ancora con le opere di Tomaso Binga/Bianca Pucciarelli in Menna e Paola Mattioli. O con le creazioni di Lisetta Carmi, che in quegli anni fotografa e documentava il mondo dei travestiti italiani, e le opere di Elisabetta Catalano, che ha lavorato con Michelangelo Pistoletto o Sandro Chia», ha proseguito Vezzoli che concluderà il racconto artistico-pop della mostra all’interno del Cinema della Fondazione Prada, con la proiezione di un montaggio di estratti televisivi e con l’installazione Applausi di Gianni Pettena, targata 1968: un invito ironico rivolto al visitatore che vive la doppia e ambigua condizione di spettatore tv e pubblico di una retrospettiva. «La qualità del materiale conservato nelle teche della Rai è assoluta e la Fondazione Prada il museo più anarchico e qualificato d’Europa per farci una mostra... Io devo davvero ringraziare il gruppo Prada che mi ha dato modo di mettere in piedi un pecorso interessante ma anche funny, folle e surreale. Un’indagine pop e vera sul costume contemporaneo», ha aggiunto ancora. «Penso che la musealità contemporanea proponga molte mostre noiose e pochi progetti davvero interessanti. Credo che la gente voglia progetti come questi, con un senso critico sull’oggi. Solo che ci vuole coraggio nel pensarli e ospitarli. E io penso che la Fondazione Prada, che tiene a bada la mia follia, abbia dimostrato un grande coraggio sostenendo questa mostra». Prossimo step di questa indagine sul contemporaneo. «Lavorando sempre sul versante dell’entertainment, che da industria considerata leggera è diventata oggi pesante, adorerei lavorare sull’universo di Hollywood. Se l’Academy mi chiamasse e mi facesse utilizzare il loro materiale d’archivio sarebbe un sogno... Perché credo che la gente normale abbia voglia di racconti di questo tipo. La madre di tutte le contaminazioni è stata la mostra del Lacma dedicata a Salvador Dalí e al cinema («Dalì: Painting & Film» del 2007, ndr). È stato il primo passo di quel percorso di contaminazione globale che caratterizza la cultura di oggi... Ecco, penso che il futuro museale sia fatto di exhibition strane come questa. Coraggiose e provocatorie, capaci di raccontare il contemporaneo sociale e di aiutare lo spettatore a riflettere. Senza pesantezze e concettualisimi esasperati. Ma con leggerenzza e grande divertimento».

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Qui sopra, Raffaella CarrĂ a Canzonissima nel 1971 (Courtesy Rai Teche). In basso, l'opera di Gianni Pettena Applausi del 1968 (Courtesy of the artist)

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The Best

dries van noten Cento show. Ăˆ questo il traguardo raggiunto da Dries Van Noten con la sua sfilata parigina dedicata all’autunno-inverno 2017/18. Un anniversario importante, che il designer belga ha scelto di celebrare portando in passerella le sue muse. Di ieri e di oggi: da Amber Valletta a Caroline de Maigret, passando per Kirsten Owen, Hanne Gaby Odiele o Mica Arganaraz. Una fashion family allargata ed eterogenea, che indossa creazioni tributo alla storia estetica del marchio. Abiti fluidi caratterizzati da macro stampe, geometriche o floreali; coat o trench dalle linee over; completi presi in prestito dal guardaroba maschile e boyfriend jeans o luminosi suit in pelle metallizzata. In una collezione che sfida il concetto di genere, dando vita a una nuova eleganza intellettuale.

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MFF-Magazine For Fashion | 101

The Best

balenciaga Spazi underground asettici. Rivestiti di moquette perlata monogrammata. Un’agorà immensa, punteggiata di colonne in cemento e circondata da un perimetro di sedie da ufficio. Un atelier 3.0 nel concept irriverente e provocatorio del direttore creativo di Balenciaga, Demna Gvasalia. Che con la collezione autunno-inverno 2017/18 rende omaggio alle origini couture di monsieur Cristobal nell’anno del centenario della fondazione. In passerella sfilano creazioni che salutano il ritorno della maison nell’universo dell’alta moda in una scansione di abiti made to order, creati recuperando silhouette e tessuti d'archivio. Come i coat con l’abbottonatura scomposta, le maxi bag performanti e le bluse di raso con il back mutuato dalle biker jacket.

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102 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

calvin klein Una riflessione creativa sull’America. Sulle note delle canzoni di David Bowie. È questo il punto di partenza per la collezione-debutto di Raf Simons per Calvin Klein. «Queste creazioni riflettono al 100% quello che ci circonda», ha spiegato il nuovo chief creative officer del marchio, «grazie alle persone diverse che amano stili e dress code diversi. È il futuro, il passato, l’art déco, la città, l’American west che si mixano insieme. Per dare vita a una nuova realtà. Che rappresenta l’unione di caratteri differenti e di individui diversi, proprio come l’America stessa propone». Sulla passerella, sfilano silhouette dalle linee pulite e dai colori a contrasto, tubini sci-fi con piume imbrigliate e pellicce coperte da coat plastificati.

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MFF-Magazine For Fashion | 103

The Best

dolce&gabbana Un nuovo rinascimento. Un cambiamento storico e sociale che arriva dalla strada. Per una nuova generazione, legata indissolubilmente al mondo di internet e dei social media. Quella dei millennials (e non delle modelle) che sfilano sulla passerella. «È un esperimento sociale. Uno spunto di riflessione sul sociale, sull’idea di usa e getta della moda», hanno spiegato Domenico Dolce e Stefano Gabbana, menti creative a capo della griffe. «Abbiamo cercato di rispettare le identità di ciascuno. Abbiamo raccontato fisicità e personalità provenienti da tutto il mondo». Sul catwalk sfilano capispalla realizzati con maxi patchwork svolazzanti, pellicce a orso, abiti sensuali con ricami gioiello e piumini oversize impreziositi da stampe pop.

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104 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

comme des garÇons

«The future of silhouette». Ovvero un mantra semplice ed elementare sotteso al racconto di Rei Kawakubo, anima creativa di Comme des garçons. Uno storytelling moderno scandito da 18 sculture avanguardiste, degne di un percorso museale. Creazioni artsy e non abiti, ma vere e proprie riflessioni sul corpo femminile, sui tagli, sulle forme e sull’architettura umana. Corpi ingigantiti, gonfiati, protetti da armature di tessuto. E sagome bitorzolute di lana infeltrita, con morbidi prismi di pelle martellata. Che si evolvono in ghirigori di pizzo, creazioni monumentali realizzate in carta da pacco e sontuose strutture sferiche di argento specchiato. Ai piedi, sneakers minimal, frutto della partnership con Nike.

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MFF-Magazine For Fashion | 105

The Best

valentino Un crash estetico tra abiti aerei con tagli a ruota, stampe pop, numeri multicolor e fiori di feltro che sbocciano ton sur ton. «Ho voluto raccontare un romanticismo pop, nato dall’incontro dello stile irresistibile vittoriano e il mondo degli astrattismi Memphis di Nathalie Du Pasquier», ha raccontato Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino. Un romanticismo moderno, di oggi. Now romanticism. Con qualche tocco fetish e sovversivo, a tratti irrequieto. Come gli stivali alti indossati in passerella, con una striscia di pelle scoperta sul retro. Che stridono volutamente con la leggerezza delle nuove silhouette fluide e delicate degli abiti, declinati in una palette di nuances scolorita dall’acido.

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106 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

miu miu Il Palais d’Iéna è rivestito di pelliccia lilla. E accoglie le new girl di Miu miu in una marcia ribelle. Tra glamour, esagerazione e follia creativa. «Mi sono interrogata sulla pazzia del fashion davanti all’ignoto», ha raccontato Miuccia Prada, «ho voluto riscoprire il gusto del divertimento in questo momento difficile per la società, mandando in scena una sfilata esagerata, divertente, ma alla mia maniera». Sulla passerella del marchio avant-garde di Prada sfilano cappotti crazy dai colli giganti in faux fur dai colori a contrasto, percorsi da maxi bottoni 70s e stretti da cinture con fibbie di cristalli. E cappelli funky, booties e guanti enormi da donna delle nevi, accessori immancabili affinché i look siano «strange, esagerati, nuovi e vistosi».

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MFF-Magazine For Fashion | 107

The Best

louis vuitton Un palcoscenico d’eccezione, la Cour Marly nel cuore del Louvre. Qui, va in scena il défilé della collezione femminile autunno-inverno 2017/18 disegnata da Nicolas Ghesquière per Louis Vuitton. Con una parata di look dal profumo folkish e figli di un concettualismo sperimentale, che resta però fedele alle radici viaggiatrici della maison francese, ricche di souvenir unici. Come gli accenti di tradizione slava, le tracce di sportswear made in Usa, le borchiature da wild west, le pellicce da tribù eschimese e le fantasie da nativo americano. Dove l’urbanwear metropolitano gioca con il denim. Dove il fascino peccaminoso francese esplora morbidi pellami hard. Dove il maschile serpeggia nelle silhouette androgine.

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108 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

loewe Una serra sospesa nell’oscurità, che diventa una wunderkammer tecnologica una volta accessi i led che incorniciano la passerella. «Sono partito dall’idea di drama, quella stessa sensazione che provi quando entri in uno spazio con emozioni nascoste», ha raccontato Jonathan Anderson, alla guida del marchio spagnolo di Lvmh, «le stesse che provo quando passeggio sul Sunset boulevard, ricco di celebrity e attrici famose». Sul catwalk va in scena un viaggio creativo a 360 gradi, dai tratti cinematografici, dedicato a femme dalle linee allungate, con abiti che diventano souvenir sofisticati. Ricchi di pois grandi e piccoli, mixati anche nello stesso capo. E di grafiche vintage e malinconiche.

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MFF-Magazine For Fashion | 109

The Best

proenza schouler Un omaggio alla New York underground. Metropoli tanto amata da Jack McCollough e Lazaro Hernandez, il duo creativo a capo di Proenza Schouler. Luogo per le loro collezioni-collisioni d’ispirazioni tra arte, musica e realtà. Una passerella coraggiosa che sembra gridare a gran voce: «No weakness. Ma forza». Le forme sono abbondanti con il cappotto maschile. Compare il logo, su fasce e tiranti dal sapore sportivo. Gli abiti di pelle sono lucidi: «Un po’ effetto trash», come li definiscono i due designer. Sono fluidi, con pennellate di colore imprecise e silhouette sempre sbilanciate e volutamente imperfette. Con maniche asimmetriche e doppiature per nuovi equilibri. Perché: «Nulla è mai perfettamente al centro».

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110 | MFF-Magazine For Fashion

The Best

mary katrantzou Un vero e proprio film d’animazione, come Fantasia. La designer greca Mary Katrantzou ha costruito un’epopea versione 3D, sulla matrice del classico Disney del 1940. E, proprio con la major produttrice del cartone animato made in Usa, ha rimasterizzato in versione digitale un regno fantastico, in cui vivono fiori ballerini e cigni che nidificano su completi casacca-pantalone, bordati di velluto. Oltre a fauni di paillettes che riposano su abiti da principessa delle favole, ispirati al noir forties. E pellicce sfumate di rosa, impreziosite da maxi bottoni floreali. Gli abiti di canutiglie sgorgano dal metal mash. Mentre i plastron di velluto sono arrichiti di gioielli brillanti. Un gioco creativo in cui la natura ha la meglio.

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MFF-Magazine For Fashion | 111

The Best

msgm Un défilé che si trasforma, look dopo look, in un episodio della serie tv I segreti di Twin peaks, cosparso di simboli come solo David Lynch saprebbe fare. «In questa collezione, ho tradotto il mondo del regista e scrittore statunitense, formato da locandine e immagini», ha spiegato Massimo Giorgetti, anima del marchio. Dagli outfit noir, che velano il corpo di gonne a corolla, top e blazer in pizzo nero, alle rose fotografiche create con gli screenshot dell’iPhone ritoccati per abiti in tulle di poliestere giapponese plissettato. «Un ritorno alle origini e al mio mondo. Un’evoluzione-involuzione». Che si traduce in stripes su completi sartoriali, motivi chevron su bluse e abiti, frange da pon pon girl e aquile che spiccano il volo su varsity jacket.

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MFF-Magazine For Fashion | 113

Emporio Armani

Miu Miu

Dolce&Gabbana

Narciso Rodriguez

Moschino

trends

pvc

Calvin Klein

Emilio Pucci

Arthur Arbesser

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114 | MFF-Magazine For Fashion

Balmain

Rochas

Etro

Emilio Pucci

Cividini

Edun

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Jeremy Scott

Sacai

Angelo Marani

Mila Schรถn

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MFF-Magazine For Fashion | 115

Michael Kors

Au jour le jour

Marco De Vincenzo

Junya Watanabe

Blugirl

Isabel Marant

Dolce&Gabbana

trends

sauvage Salvatore Ferragamo

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Les copains

Alexander Wang

Krizia

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116 | MFF-Magazine For Fashion

Louis Vuitton

Yeezy

Msgm

Giacobino

Dries Van Noten

Maison Margiela

Dior

Public school

Off-white

Isabel Marant

Philipp Plein

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MFF-Magazine For Fashion | 117

Calvin Klein

Stella McCartney

Versus

Versace

trends

denim

Sacai

Iceberg

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Alexis Mabille

Diesel black gold

Alexander Wang

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118 | MFF-Magazine For Fashion

Comme des garรงons

Genny

Mugler

Chanel

J.W.Anderson

Attico

Chiara Boni La petite robe

Y/project

Philipp Plein Ettore Bilotta

Balenciaga

trends

galactica

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120 | MFF-Magazine For Fashion

Moncler gamme rouge

Dolce&Gabbana

Max Mara

Giambattista Valli Blumarine

Marni

Louis Vuitton

Emporio Armani

Michael Kors

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Dries Van Noten

Prada

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MFF-Magazine For Fashion | 121

Byblos Milano

Fendi

Genny

Msgm

Maria Grazia Severi

Miu Miu

Giorgio Armani

Santoni

trends

Laura Biagiotti

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peluches

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122 | MFF-Magazine For Fashion

Etro

Alexander McQueen

Golden goose deluxe brand Fendi

trends

folk

Valentino

Erdem

Gucci Ports 1961

Byblos Milano

Peter Pilotto

Isabel Marant

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124 | MFF-Magazine For Fashion

Balenciaga

Maison Margiela

Andrew GN

Mila Schรถn

Emporio Armani

Michael Kors

Loewe

trends

polka dot Giambattista Valli

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Jacquemus

Francesco Scognamiglio

Ermanno Scervino

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C

M

Y

CM

MY

CY

CMY

K


126 | MFF-Magazine For Fashion

Mary Katrantzou

Prada

Emporio Armani

Moschino

Giorgio Armani

Byblos Milano

trends

fringe John Galliano

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Marco De Vincenzo

Vivienne Westwood

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MFF-Magazine For Fashion | 127

Jeremy Scott

Rochas

Michael Kors

Balmain

Emilio Pucci

Roccobarocco

Nina Ricci Marni

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Cividini

Sacai

Thom Browne

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128 | MFF-Magazine For Fashion

Marc Jacobs

Saint Laurent

Mulberry

Coach

Hermès

Prada

Kenzo

trends

70s

Acne studios

Nina Ricci

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Lemaire

Lacoste

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130 | MFF-Magazine For Fashion

Jil Sander

Emilio Pucci

Redemption

Valentino

Versace

Blumarine

Elisabetta Franchi

Attico

Dior

Oscar de la Renta

Gucci

trends

shiny 130_MODA_Shiny.indd 130

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beauty

grooming

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Maison Margiela

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beauty

grooming

makeover. Un racconto di bellezza che si muove dietro le quinte. Mixando effetti speciali, suggestioni da sfilata e tips backstage. by Francesca Manuzzi Chanel

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136 | MFF-Magazine For Fashion

international

english gucci - alessandro michele Story by Stefano Roncato Photos by Ronan Gallagher We tilt back our head to view a painting of arabesques and flowers - discovered by an attentive eye in the closets of a noble home, and now transformed as part of a tableau, appearing at the shoulders of Alessandro Michele. The graphic mosaic of the room engulfs the painting, like a jewel set in a mental Wunderkammer. This has to be one of the "soul objects" carried through life, which the designer describes as part of writing the story that has relit the Gucci flame. A designer loved, criticized, uncompromised, and clearly successful. It's a flame glowing hot, fanned by the viral speed of changes. The skin glows too: here, design takes an aesthetic scrub, causing a seismic rereading in the fashion sphere. "I don't feel like I've invented anything or said something so wild," explains Alessandro Michele for MFF-Magazine For Fashion. " It's like when you make that film about the kind of love story everyone wanted to see but only you had the real means to make it." In the air there's something instinctive, a creative act, a winning need for change; in clothing inspired by self-expression, in communication, in the way of seeing business, within a company that now offers a case history of how to believe in a new mission. From the demand for co-ed runways to itinerant resort-wear shows - "coming soon" to Florence - to publicity campaigns that blend self-indulgence with street style in urban dreams; in disruptive casting with unexpected faces that send social media off the charts: actors, artists, musicians, photographers - like in the Milan show, where Silvia Calderoni, Valerio Sirna, Zora Sicher and Maxime Sokolinski, Soko's brother, climbed onto the runway. All strolling within the creative domain of Alessandro Michele's alchemical garden... his laboratory, a kinetic chamber that transforms particles of movement into energy. What are the results from these first years at the helm of Gucci? It's been two-and-a-half years. You don't count them: it's like relationships, you don't know if it's been a long time. The feeling is of having done ten years, but it's all so beautiful that it seems very recent. The results are positive, and the most positive ones are in me: I'm content. Without planning anything, I simply tried to do the things that I felt deep down, and they yield so much. People understand that there's no hidden plan; that something's happening where you're investing your life, your person, yourself. You see that beyond yourself, people around are more or less becoming a tribe, with the people involved: the strange thing is that I feel as if I've shared a hunch that everyone had. You operated on gut feeling... Exactly. I don't feel like I've invented anything or said something so wild. It's like when you make that film about the kind of love story everyone wanted to see but only you had the real means to make it: everyone dreaming the same film that you wanted to make. Emotionally speaking, I feel greatly rewarded. It's tiring work but if you feel rewarded it's all great. Then there's always someone who says they don't like it. But that's normal. How do you deal with criticism: does it bother you? Do you read it, ignore it, use it... I like critics. Take a love story again, where you're completely gratified. But you can't always hear "I love you so much, you're so great," and never have anyone that says things that make you progress. Someone criticizes you, and you think, "I'm good, and I look fine, but I could sharpen up this bit." I like it when the criticism is constructive, particularly when the critics write for the print media and drop the other ones. Their writing has to be respected. Newspapers were the institution of humanity, the descendants of the encyclopedia, of Gutenberg, of writing. Print enters in human history. Whoever has the power to take pen in hand, wherever they're published, writes something that lasts. It doesn't disappear, but it isn't social media, that eventually gets blocked or deleted. Writing is like a prayer. It isn't just words, there's a story inside, a narrative, a deeper consideration, a small sermon - that's why it's like a prayer. Sometimes the designers say they started creating from a certain reference, but the viewer at the show doesn't always get it right... That's a good thing. If there weren't anyone commenting and criticizing, it would be like doing your exams without ever getting marks. You'd feel like "What's the use?" I don't believe the people that say they never read anything and don't care. It's right that we have this interaction with critics, good or bad. We're all human beings: we act in a certain way, and our friends, lovers, colleagues and acquaintances will react in certain ways. We're not sitting in our little room alone, we're here in the game of life. Obviously you need to know what people think. Personally I'm satisfied, because people have welcomed me and clearly I feel content. A few people are never going to be happy, but I welcome that. You mentioned freedom to be able to express what you want. How did you feel about your freedom with Gucci? Frightened? Happy? I was happy. I wasn't apprehensive; I knew that freedom won't push me over the edge or hurt me, or that they'd get rid of me. I loved it: there was nothing at all that that could block or paralyze me given such extreme freedom. But in talking it over at length with Vanni [Vanni Attili, Michele's partner, urban-planning professor at University of Rome], he says my freedom doesn't really seem so absolute. He's realized that when I have some limits, some stops, it brings out the best things. The fact that my liberty is a bit restricted is even better, because I try harder. Anyway I'm not completely at open sea. It's a big sea, but if I make the wrong move or fool myself, then I risk getting into waters where I'm not going to make it. So, there's liberty but it has boundaries, and that makes me give everything I have to express what I want to say. So, maybe freedom and a few limits are both things good for creativity. Why did you decide to change the brand so radically and to make it so much your own?

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I wouldn't know how to do anything else. I did that because I believe strongly in creativity. I'm not too sure what to make of the word, "creativity." It's the expression of a point of view. I've lived my whole life exploring a point of view, including in my personal life, in my home, even in my walks. I've always wanted to be able to express what I see in my head. This is another case of those roads where, once they'd given me the orchestra director's baton, I did when I'm walking. I took a route that would allow me to see, to discover, to share with the ones walking with me: to share things that relate with the contemporary, with my idea of beauty, with my idea of the brand. To share my idea of fashion, a sector where I started out 20 years ago, but which was making me a bit fed up. It seemed to me that it had lost what call creativity, which is a point of view. Doing fashion is a creative act. So, was it the first step to bring back creativity? Was fashion stalling? It still is. There are indications that something's changing, but I think we're still waiting for what's really going to happen. In spite of that, we still have people in fashion who say we should get back to making beautiful clothing or that we should take care of fashion weeks. We have to face the truth that this is going to be revolutionized, including the names we give these events. The world is changing at light speed: from coin-operated payphones to iPads and iPhones. We're still busy with Milan Fashion Week, with Paris, with setting up appointments. It's a language that hasn't changed for 70 or 80 years; since Florence onward, it's been this system. I think it's going to happen out of necessity, because you can't keep such an extremely dynamic sector cut off or detained from something essential. Fashion is an extremely dynamic language. It's almost a contradiction... Exactly. But people are still afraid, still want to get back making pleats, to making nice clothes. But fashion isn't clothes, it's the reason for talking about them. We all have clothing. People used pleats before me: I did something completely ordinary. Everybody makes flowers, I just expressed my point of view. I always say I'm a mannerist. I came of age professionally in the 1990s, I've seen a lot of things - obviously I'm the child of a certain era, an epoch, of the culture I've accumulated. A mosaic that I've built up over 20 years of reading, of work. I worked with Karl [Lagerfeld], with Tom [Ford]. I went to the fairs and I bought period publications, I collected books, and I read them. And all that becomes a narrative. There's nothing new. I don't think I've made a dress with four sleeves. The 1990s were strange. From one hand Versace and its maximalism, from the other hand Calvin Klein, minimalism, Jil Sander, Helmut Lang. A big crash... Precisely. What we're doing is listing a series of tribes. You wanted to look good, be minimal? You wore certain clothes to be something specific. It was like joining a club. In the 1990s they did everything differently. Now everything we do is the same. So, what do you want do with your design? What's your goal? I don't have a specific goal. The only thing is the more it's true to the Gucci story, the more sincere I am. I don't believe in trends. It isn't about the length of the dress, or the color, like years ago. The trend is just the act. My view is that the uniqueness is given by the creative act: the one that initiates everything. If there's a bird or a flower, it's genuine when the act is genuine. Someone in the Italian press once asked me if I was "the detonator." I still say I've never detonated anything. So, you're still looking for healthy competition? Someone to enter into another kind of dialogue. I'd welcome that, because the exchange is great when there's someone else. I was really disappointed when Hedi [Slimane] left Saint Laurent. For me, the sooner Hedi comes back the better. Are there other names you like, with that original creative act you've mentioned? I watch what Demna [Gvasalia] is doing, because it's interesting. I loved her last show because she always maintains the same touch. It's very sincere, in spite of a few people saying it's too Margiela. That doesn't mean a thing. You can't say that Ghirlandaio was too Botticelli and that Botticelli was too Ghirlandaio. What do I care? Because in the end she produces wild results. Fashion continues to talk about things that don't interest anyone. It isn't even very free. People look for mistakes to pick on. I like Demna because he's learned something and has put in so much of himself. He couldn't make his work more personal. He's doing well. He's an open person, open to the current of things. And Balenciaga... It's never been so Balenciaga as now. Especially in the spirit... It's really in the spirit of it. This season Monsieur Cristobal really put everything into it. And he's correcting body shapes: some really heavy, some very light. There's this idea of volumes that deform the body, a bit like Balenciaga's own idea. And the Japanese designers: Rei Kawakubo of Comme des garçons, Junya Watanabe... She [Kawakubo] is a sphinx. She'll put out any kind of challenge, like a riddle. I'm not even interested in understanding her riddles. Everything she does is so inscrutable that you just can't help loving it. You mentioned the sphinx, and you put a pyramid in your show... I used a pyramid because, when I work, I'm floating in a kind of middle earth. I never touch on things, but then I touch on them and I forget them. I have my own logic: the logic of an alchemist. What I mean is you convince yourself you can make something from another thing. Two or three themes have obsessed me. All these flowers again, because they're perfumed with the nature tamed by man, with wild nature, gardens, forests, the languages of animals, with the things we don't understand, with the sexes we don't understand, with beauty that's not obvious. It's an alchemical world but also an esoteric one. I don't really know what meaning we should give to casting all those kids who aren't exactly beautiful. They have beautiful bodies but terrible faces, or maybe really beautiful... There was a touch of sensuality this time... That boy came in and he seemed like he'd come straight from the library. He tries on a knit jumpsuit and he turns into Apollo, in spite of the infantile or erotic outfit, the rock star, the Kiss outfit... and that face I hadn't imagined could be like that. It's like when you meet someone in a club. They undress or touch you, and you realize they're not a nerd but a sexual god. In this middle earth that I'm always exploring, I've tried to create a circuit where I could put

in everything, like in a meat grinder. What comes out is a contemporary look: things that seem ugly but then become marvelous. I work a lot with space. I designed it with my own hands so I could understand it better. I always say I feel a bit like an architect or a would-be scenographer. I put the pyramid at the center because it's an alchemical, magical, powerful symbol, like refraction of the sun, the light that transforms things. On top of that I put the weathervane that moves with the wind, because these are all agents that make things happen in our lives. I try to stand in the center of this wind that passes and gather up a bit of what comes from all directions. I feel that whoever really does this work is in the middle of this alchemical garden, where everything takes form in this laboratory. Light, people, wind, gardens: you once said you spend a lot of time observing people, even in cafés... I still do. Do you try to imagine or understand their stories? Yes: why a person is dressed like that, or why they're waiting. I can never read a book in a café. I take one but then I listen in on conversations. I'm passionate about a lot, but the thing that interests me above all is humanity. When I go somewhere, which is almost always in summer, I imagine what that place or that street is like in winter. Because winter for me is the time of daily life, when everything returns to its place... "What's happening behind that window?" How did the street react to your fashion? Sales are going well, people are buying. I think at the beginning people didn't understand, but now they welcome it, simply because you can buy one Gucci thing and belong to my tribe. It means you can buy one Gucci piece and still get the other 100,000 things from whoever you want. There's no obligation of a total look. It isn't a runway that's saying you have to buy. It invites to choose something because you'll be accepted, like a child's special circle. And then you're inspired to go to a vintage shop, or somewhere else. It isn't a closed circuit, but instead it's a virtuous circle that makes you value things that don't have anything to do with fashion. Is it like a doorway? I think so. If you go to a certain shop, you go because you want to buy some kind of toy. But when you go to a plant nursery or a garden, it isn't like you necessarily want the flowers from that specific garden. Maybe you could reproduce it. Maybe you get the urge to go to a different plant nursery, or your regular nursery. The street has reacted well in the sense of responding with great freedom. People also see really ugly things, but let's be honest: We need awful things, too. What are they good for? To let things be the way they have to be. You can't manipulate humanity, decide that all humanity will fit in a single mold. If someone wants to make a mistake, let them go ahead, because the idea that fashion is a governess, imposing diktats, is an old idea. Like you were saying, fashion has to change... Fashion has to offer clothes and suggestions at different moments, not just the ones set up 80 years ago. And if people don't all want to be Photoshopped, don't all want to look like they've lost 20 kilos overnight, then that's just fine. If there's one thing beautiful about life, it's diversity. If I knew that when I left the house, I'd never see things I didn't want to see, I'd never go out. That's why you created your collection around the concept of self-expression? Absolutely. I don't care at all if people come to buy Gucci. I want the Gucci show to encourage people; to make them want to express themselves. If my nose isn't the right nose but I have personality, why can't I wear a hat that shows my face? Is that the secret of the success you're having? Speaking to humanity, to the individual? Maybe. Probably what interested people the most is the idea of an explosion of energy. That's my idea of things. I love the idea of changing with the moment. If I'm not completely in sync with the moment, I change the color of my top, I cut my hair. I love colors, and my house pampers me. My idea is that fashion puts you in connection with the fact that you're okay, and you can be okay with the idea of being a different beauty. It's wonderful to feel you're beautiful without adhering to standards invented by someone else. You're giving yourself a gift. The idea of standards was so typical in fashion. This year it's Kate Moss, two years later another supermodel... People don't even want to hear their names. Because when you're at the bar, whether you see a beautiful girl or an ugly one, you don't care what she's called. It's interesting that there's a kind of neorealism in fashion at the moment. There's a need for it; an urgency. After all, this idea of fakes, seeing a photo where there's real sunlight, where there's a real girl who last week was busy studying but just wants to come on set with me to do something different: that gives the image and the imagery something more authentic. We believe in it more. If you keep giving me images I can't identify with, maybe I won't even look anymore. Talking about image: that dream you bring into your campaigns, like the tigers and lions walking on the streets of Rome? But don't you ever dream strange things? Almost everyone does. I dream of having a monkey in the house, or a midget pony. I dream of being something else, of falling in love with someone who reads a book on top of the Fountain of Trevi. In fact, the city is one of the places that make you dream the most. When you walk the streets, you see things and you imagine different ones. I put my imagination into the campaigns. For a joke, I say I have a disturbed imagination, in the sense that there's always something disturbing it. The order that people try to impose on things is absolutely what creates disorder in people. The only true order is disorder. Do you bring this disorder to your collections too? I always do. When I start something, I'm immersed in disorder. I'm organized because my disorder has an order. I have disordered goals. To put together a story, I use a set of instruments that usually don't go together, as if you were going to do a concert using both pots and pans and violins. And then I try to put everything in tune. Obviously you have to give up on a lot. I'm an insatiable type: there are moments when I take out everything and start all over. It's an act that's so tied to the moment. When you start to describe where you are, the more you see things that you hadn't seen. When you arrive in Milan, you try to figure out how you can make people understand what you have to say, and the film starts. It's a complicated way to work,

very tiring. Sometimes I spend whole nights, days, miss meals, completely forget to eat. Toward the end you look for music that can help people understand, not to accompany the clothes. You look for music and the scenic effect that it introduces in you, where I need it. But you design, do research... How do you work, operationally? I do a lot of research in images and words, because some images arrive from the written word. I also look around in vintage, but by "vintage" I mean a lot of things: wall decorations, scraps, fabrics. I have a big archive of fragments from the past. I look at them again and again. Then there's the clothing. Is that a wider vintage? It's a door, a doorknob, the foot from a piece of furniture, a painting. It's something I can't completely remember, but then we make it again, we realize it's become something completely different. It's a way of assembling an imagery that, to me, has a lot to do with the idea of beauty at the moment. If we think of beauty, it's a story that pertains to thousands of fragments of stories. It isn't just one story. Even because everyone's always surrounded by so many inspirations... It's impossible to be just one thing alone. Obviously I put in a rock star and a person just out of the library; one that got left out and one that feels like a goddess, one that feels like a geisha. Anyway, don't we feel all these things? Depending on the moment... Someone opens up their iPad one day and they feel like Beyoncé. But the next week they need to be somewhere they can think, or talk. Maybe you really rock when you spend days on your own, reading. The show in Florence is coming up soon. Where did you get the idea to take your cruise collection abroad and do a co-ed show? Is the system changing, like you said earlier? My changes derive purely from a personal need. As long as I'm here with Marco [Marco Bizzarri, Gucci CEO], what I ask from him is the things I need to follow my path. I love the idea that there's a business behind all this; that's something that I really enjoy. The idea that everything genuinely starts from an idea, even a crazy idea, is what appeals. I don't want to just serve the market. I don't intend to do two shows, just because you need to do two shows. I wanted to do one show because it's the only way to express what I have in mind. And I was pleased because the company welcomed it and worked to make it functional for them too. But I was the one that said: "I can't do two shows, because for me putting men and women into two separate boxes in no longer possible." Staying stuck in the same situation isn't possible, because I don't want to stay stuck in one situation in my life either. It isn't that fashion has to change to because we have to change the business. Fashion has to change because it's always been an expression of changes: I can't be so obvious as to say it's about social changes; it's really about people who just need to say something. I can't shoot a film in New York if it's about Berlin, and I can't use all men, all women, just because we have buyers. I'm not interested in what they buy. And if that doesn't work, then I'll leave, because I have other things to do. Who else wants to take on this punishing work, where you're skinned alive? How difficult is your job? Very. I'm always thinking of two things at once... absently. It's a struggle to have time for myself, for my private life, which gets intertwined with what we all call work. But for me it isn't work. You don't do it for the money. You're like a slave to something: I'm a slave to my work, but in the good sense. It's a piece in the story of my life. I don't do it to get to some holiday destination at the end of the year. I don't get onto a private jet. My life is the same as before; nothing has changed. I've gained some beautiful things, but I'm not on this train just to work, nor could I find some other "real" work. I always say that I'm in gestation. You're pregnant for a few months; you walk but you don't know you can stand this stomach, you've got to give birth. Then you can't wait to see the child. And what do you feel the backstage? What's the best moment of this creative birth? It's when you see the whole film for the first time, when you're working on putting it together. After three days it takes form, and I get so emotional I become unstoppable. I don't sleep, don't eat, I only want to make love with this thing. But in the end the most beautiful part is the beginning, when the music starts and you see this baroque machine start moving. I'm moved almost to tears. At first everything seemed impossible, then the first girl or the first boy comes out. I feel the people watching and it's the most beautiful thing. It's people like you that come to see the show that are best of all. It isn't true that I do it for myself; I do it so that you can see. I love it so much that I want to share it. "Sharing" makes me think of social networks. But isn't fashion already too bound up in collections and pre-collections, look books, PR campaigns, videos, Instagram, awards? I try to take be involved in everything; I watch over things and somehow I manage to supervise it all. I admit my language is so difficult at times, but also so precise, that people sometimes interpret it mistakenly. It's such a vast world that it would be impossibly reductive to speak a single language. Personally I'd like to slow the process down; I'd like people to have more time to look at certain things. From the creative view it's an excuse. I could produce things every day. I'm bulimic with production: it gives me satisfaction, I enjoy it, like a Divine Comedy that never ends. But I also realize you have to be careful. It's important to slow down this hyper-productivity every now and then, this needing to be everywhere. Because I'm not the kind of person who's all over the place; I also like being able to get away a bit and look for things. Like I was saying earlier, it's good for you go to the newsstand and buy a newspaper with your own coins, because it's a lot different from creating the apparition of Mary on your tablet. You have to get out of the house. You've always got to find a middle ground, not overbalanced one way or another. Get out and around, not stay in the same place, you're saying. Where would you like to do a show? Somewhere I'd never go. Sometimes I work in continuous contradiction; I adore getting to love things I never liked. Leggings don't interest me? Then I'll transform them into something I like. Maybe I'd go somewhere far, because I hate travelling: someplace hard to get to, where I wouldn't go. A place that would tell me something. I've always loved imagining: there are certain places where I purposely wouldn't go, because I prefer imagined places more than

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MFF-Magazine For Fashion | 137 physical ones. You mentioned the word 'business': aren't you frightened of that, like some other creative people? Not at all. It's a consequence of the work I do and it doesn't frighten me. I'm not so involved in it, because I have my own job to do. At the moment I don't want to concentrate at all on the business aspects. I know what they are, know what it's about, and I repeat that I'm in a stage of my life where I want to embrace the things and people that seem to be my enemies. I'm not scared of it, but I don't have to sleep with business. That's a different part. Some people pretend it doesn't exist… The people in the company are really good. They don't stress me, I never hear it discussed. They've more or less understood what I'm like and they know I'm not against them, that I like the stores, that even I go shopping, sometimes even for clothes. But do you buy other brands too? Yes, but at the moment I buy a lot of my own things. Sometimes I change them still a bit different, because I like them more that way. I buy a lot of things from other people and I like to wear them, and I mean things that really belonged to other people. Who knows how they used them... Are you attracted by humanity? When people tell me about an object, and I discover that it belonged to someone or that it contains the life of a person in some way, I buy it right away. Like the Horcruxes in "Harry Potter," which contain the soul... Objects contain the souls of all the people who've owned them, just like houses do. Do you have a magic object? I had one for many years. My father was a sculptor and he sculpted things to protect me, like a river-stone when I was a child, with an old man and a little owl. I always kept it near my bed, then it was stolen. But destiny offers you new gifts that serve somehow in protecting you from monsters. The monsters under the bed when you were a child become people when you get older, ones that try to harm you, or the fear of doing things. For me, Vanni arrived. I wasn't in a good state when we met, I was very disturbed by some ugly things, which made me pause for a moment. He'd spent a lot of time in a village of indigenous Canadians and he'd gotten to know some shamans. The first time we met, he came to my birthday party and he brought me a mushroom, wrapped up. It looked like a bottle cork, but really it was given to him in this village. It's the mushroom of tears, which they burn over the fire for its powers. It makes the tears go away and you don't weep again: the mushroom weeps for you. I keep it in a bag, in the bedroom, in a place that only I know. I feel like the mushroom protects me, now that I'm missing the things from my father. You know why? Because Vanni believed it would protect me. Really it's him that protects me. You are talking about tears. What are they exactly? They're powerful, because when you see them you know you've been touched in the deepest part of your feelings. We experience a lot of things through touch. Often we don't believe without touch. When tears come it's beautiful because you've got proof, as if you were an inspector looking for evidence. Now you have the clue, by touch. Like when they ask if UFOs exist or not and people say yes, I've seen them, I've touched them. When you cry, when tears emerge, they're wonderful, because they're the touch of happiness, of the sadness of having been happy. They're a beautiful thing, to be treated with great respect. The body produces them to allow you to touch things that otherwise you wouldn't even approach: maybe it's the soul, what the ancients called the soul. It's a difficult question to answer. But it's a happy time for Milan, because it seems to be benefiting from the Gucci effect? I hope so, because unlike a lot of people that want to favor strange competitions, I love Milan. It's a magical city, a place where wonderful things have happened. Like all magical places, like the Athens Acropolis, Milan still maintains vestiges of times past, which I hope can return, because it's a piece of the story of our beauty. Milan in the 1980s and 1990s was just like the Renaissance in Florence. And what would it be necessary to do to go back to that golden era? I'd really open it up to abroad. Milan needs exposure to new currents, to winds that can course through. Too many people set up wind-screens to try to keep it closed, either to protect the people in Milan or because of fears of confronting the outside world. Milan was beautiful when it didn't just belong to the Italians, but to Europe, to whoever wanted to come. It was for everyone. When you strolled along Via della Spiga, it wasn't to see the shoes but the people. Crazy people. There was everything, not just the week of this or that. You can't reduce the life of the city to just the event. People put on runways to have runways, cocktails to have cocktail, but what do we care about cocktails? Events don't interest anyone. Milan needs to repopulate itself with different energies, because what counts is real life. People have to live. dior - maria grazia chiuri Story by Stefano Roncato Photos by Ko-Ta Shouji It's a story that begins with her; with a smile... an infectious laugh. The eyes are quick; they look without judging. The rings are like messages wrapped around her fingers, and there's that absolutely light-weight blonde. It's like the lightness that Maria Grazia Chiuri recalls on several occa-sions while talking about her new adventure at Dior. It can't be said that it's easy, in fact. An important creative maison and a business size that doesn't go unnoticed, at the center of high aesthetic waves and recent financial maneuvers by the luxury Lvmh armor. Between flashes of photographers, red carpet, shop windows, celebrities, shops and fashion shows all over the world. Like the recent high fashion brought to Tokyo and the next adventure of the resort in Los Angeles. A machine with inertial force that did not resist to opening its heart to the charm of a quick refresh, just like popping its fingers. It took just a word: J'Adior. Click. "I think of today's woman. I want to talk to the boys, to the millennial generation," Maria Grazia Chiuri, artistic director of the women's haute couture, pret-à-porter and accessories of the French fashion house, told MFF-Magazine For Fashion. "After all, I'm being asked to drive this brand to the future, so I need to talk to them. I'm now, they're tomorrow." The Dio(r)evolution started without forgetting the past. This will be evident in the show to be inaugurated next July to celebrate the 70 years of the maison, from its

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founder until the arrival of Chiuri. The mission is to merge heritage and tomorrow. What was it like to take high fashion to Tokyo? It was the first time I had walked the catwalk. However, I felt that the moment was a bit special. Apart from the fact that the show took place on the roof of Ginza Six, the entire fashion world was there. Everyone was opening their shops in this mall, and it seemed as if Italian and French fashion had moved to Tokyo... How important is Japan? It's historically important because it's the most adult market, where fashion has always been perceived and understood. Definitely strategic, because succeeding there means that your work is recognized. On the other hand, there has been a colonizing appearance also in the past, in the 1980's, when it wasn't so mature. Today, in fact, all companies have to invest in a different way, to give awareness of the values of the company. I've been to Japan many times, even to Kyoto. I really like it because it's a country that places a strong focus on tradition, but also pushes for modernity. It reminds me of London, with the queen and the punks. I like countries where different aspects coexist. It's stimulating. From the emperor to the geisha on up to the cybernetics. And then there's the language, with a twist of "Lost in Translation." You'll soon be in Los Angeles. Is there a turnaround, that is, to physically bring fashion to people? All of us, not just us but all brands, are in some way trying to talk to local people. This is the talk, bringing fashion on the spot. I don't deny that this implies a remarkable effort. It's not an easy ride. An effective organization, working times. Very nice, but very demanding. Talking about commitment, how about a first evaluation of this period at Dior? Positive. Personally positive, I honestly enjoy it. I'm very lucky at this time of my life. I want to work with fashion because I enjoy it. It's okay as it is. How does it feel to be the first female designer of Dior, so far always in the hands of men? I don't think about it. More than anything else, I want to try to do something that communicates with women. And that somehow helps women not to be defined by others or by fashion, but to define themselves alone. I love women. What I'm doing is a personal thing for me, it's a dialogue be-tween me and my daughter. What do you want to tell your daughter? That she has to define herself. Not to be defined by others. That fashion should be used as a game, in her own way. Free to be as she feels like. So, freedom... How important is it today? That is essential. I realized this when my children grew up. I also thought I was quite free, however, we were influenced by stereotypes, education, and the system. We aren't really so free from the judgment of others. And that isn't good. You have to reason with your head, follow your instinct and have your point of view. You need the courage to be yourself, but it's very difficult. You immediately feel cornered, and it becomes a limit to your creativity; to your happiness. I wish my children were happy, but to be so, you must not be imprisoned by these things. You must at least give it a try. And is she happy about this adventure? Very much, otherwise I wouldn't do it. Because it takes a lot of sacrifice, being in a city that isn't mine, leaving the people I love, I had to make choices. Even physical commitment. From Monday to Friday I'm in Paris; then, at the weekend, in Rome. How was the change to start working for a big French company? French companies are different from Italian ones, although they have points in common. The French can value their heritage. The strength of Italians is the ability to get involved, to be flexible. I'm trying to put the best of both cultures together. At your first show, you said you had recovered the heritage of all the designers who had come after Monsieur... In my opinion, in a company that's 70 years old, you must be a curator. You can't pretend that there has been a hole after ten years of Monsieur Dior. It seems anachronistic, like erasing sixty years. Dior's decade was fundamental, he was the founder and he gave the imprimatur to this com-pany. And the more I get to know him, the more I understand he was a genius. He immediately made it worldwide. In 1947, two years after the war, he showed in Australia. Then he was in cities like Buenos Aires, Havana, New York. There was a brochure, created after the first six years, with all his branches, growth charts, perfumes, labels. Chapeau. On the other hand, there was another 60 years. For my generation, the reference in Dior was John Galliano. As an Italian I remember Gianfranco Ferré very well, and, by the way, some friends of mine worked there. Marc Bohan did a lot at Dior. You can't close your eyes to a more recent Raf Simons. Hedi Slimane was fundamental, needless to say. He created Dior Homme and changed the aesthetics for men. It seems anachronistic to me not to be lucid with respect to these talents and it's necessary to act as a curator. I repeat this isn't my brand, I'm here to become the artistic director. But then there will be a future. What did it mean to talk about feminism from a stage like Dior's? I honestly talked about feminism because when I came to Dior, it was very much emphasized by the appearance of a female brand, an expression of femininity. It was the slogan. He said that women are like a flower. As a woman I thought of what women want today and they want equal opportunities. My mother's generation fought for equal opportunities, and I was a beneficiary, but I took it for granted. As if once you get them, you no longer need to talk about them. At one point, a cold shower. It isn't true, it wasn't acquired. We are the way we were. It will be necessary to start talking, again about tolerance and about equal opportunities. I was lucky, first with my family and then working for Fendi with five women. What did you keep from working with Fendi and Valentino? I'm still in touch with the sisters; with Anna, Paola and Carla, and obviously also with Silvia. There's a strong affection, I recognize that they've taught me so much. It's important to work with a company's founders. They explain it to you; they tell you how everything works. When I meet them it's as if not even one day has passed. I also learned a lot from Valentino and Giancarlo Giammetti. Another kind of approach is that they shared their founders' experience with me. I don't deny that I was quick to understand it. What is one thing about them you'll remember?

Valentino is determination itself. He is the man with the fewest doubts I've ever met in my life. The ladies are all about questioning themselves in a constructive way. It's a continuous exchange, never leaving an idea for the next season. It's better to do it right now, never lose the moment. After Valentino with Pierpaolo Piccioli, what was it like to be under the spotlight alone? I don't feel alone. There's a great staff that supports me, with whom I relate, with so many people from different backgrounds, cultures and languages. It's a more international company. French, English and Italian are spoken here. One always takes for granted how the words are of great value. Speaking the same language makes it easier. It's more complex but also stimulating. And I'm a very curious person. The market has well received your arrival. How was your Dio(r)evolution? Honestly, the first show was made without thinking. Not even four weeks, pure instinct. I just thought of how everyone says this company repre-sents femininity and women. I say how women are today. Very personal. There are so many aspects that belong to me. I was formed with ideas of very high quality; of craftsmanship. There's also a pop aspect that's part of my generation. On the other hand, there’s this constant dialogue with my children. They're my reference, they're future generations. I don't talk to myself, but I talk to them. In speaking to them, I understand myself. So, I question myself. It was so personal that I did not realize it. I'm instinctive. Is it nice to see people understand this change? I did not know if they would understand. I needed to do what I felt like. After all, in this moment I'm working this way. Urgency to do and say. It probably depends on the age. I'm in that moment of my life in which you do things because you feel like doing them. Very lightly. Even in the backstage, you seem to have this lightness... Everything but stressed. I can be tired because there is so much to do. It isn't stress, but enthusiasm to accomplish everything. Fashion has to be fun, it's a nice, creative job. And then, living in Paris, I feel like a transfer student. At the time of Fendi, I lived in Florence with my fiancée at that time, my husband nowadays, and I traveled to and from Rome for eight years. Suddenly you come back to that kind of life, invite people home for din-ner, a home that isn't a family home. I came back to live as when I was 25 years old. I also say it to the guys who work in the office. Feminine imprint, sparkle and determination. A compliment, they say the "pink avalanche" has arrived at Dior... Always for the usual lightness that accompanies me, or for blissful ciousness, I did not realize it. If there was any obstacle, I did not even see it. I did not reflect too much. Actually, they all seemed very available. That is a good thing. Energy, drag... It was summer when I arrived here. There was only one month to make the collection. It was fun. I don't feel that I'm working, that's the truth. It's as if they give you a new game. But with the awareness of being able to play. The first moment you were impressed by Dior? The size shocked me at the beginning. I must be honest. Besides Sidney Toledano, the press office has also provided a lot of support. It's a very big machine, it takes time to understand. How does it feel to see some of your pieces already sold out? I'm glad. It means they're appealing. The greatest satisfaction is seeing that people love what you do. They buy it, they wear it. I'm very proud. This fills you with responsibility, to do it well again. At the end, no designer is ever satisfied. I have this risk, and it comes from my education. I had a very demanding mother. It can be done better. Instead, it's great to learn to stop for five minutes, happy and satisfied. And then start over. Is it true that there are men who buy Dior? It's nice, I saw guys with T-shirts, jackets, bags or fencers. But there are also women who buy Dior Homme sneakers. I myself, in the 90's, was wearing male blue techno satin Prada trousers. It seems very normal to me that people buy what they feel like. And J'Adior? Were you sure it would work? I did not think whether it could work or not. I did it, I did not tell anyone. Because language has simply changed. It was made more synthetic by Instagram, which has not only changed fashion but image as well. It's one of the things I argue about the most with my son and daughter. What do they tell me? That I use too many words. A word to summarize this concept... How do you say J'adore Dior? You say J'Adior. It was born in the kitchen of my home in Rome, where we were working. The thing I like most is that you have to contextualize and conceptualize what you're doing. Who is your interlocutor? I want to talk to these guys, these women, to the mil-lennial generation. After all, I'm being asked to drive this brand to the future, so I need to talk to them. I'm now, they're tomorrow."

中文 gucci - alessandro michele 撰文:Stefano Roncato 摄影:ronan gallagher 我低下头又倒转着头来看这幅出现在这间贵族公寓天花 板上的绘画。它充满了装饰和花朵,在Alessandro Michele的背后就像是一个表格,跟房间里的几何马赛 克融为一体,在想象中的珍奇屋里令人向往不已。如设 计师所说,它就像是一件“拥有灵魂的物品”。设计师喜 欢带着这些物品来追随故事的足迹,那个重新点燃古驰 的火焰的故事。Alessandro或是让人热爱,或是备受 争议,没有中间地带,当然他也是成功的。古驰的火焰 在燃烧。首先要考虑的是形势,因为变化很快。这个火 焰的热度能够灼伤皮肤,以一种视觉震撼使时尚脱胎换 骨。“我不认为自己是发明者或者说了什么古怪的事情” ,Alessandro Michele这么对MFF-时尚杂志说。“ 就像你拍摄了一部爱情故事的电影,所有人都想看到, 但是只有你有能力把它拍摄出来”。在空气中有一些关于 本能的东西,一个创新行为,一个改变的需要,他成功 了。不论是对打着自我表达旗号的服装,还是在沟通通讯

以及公司商业方面,公司都对这个新使命给与了信任, 来建立一个新品牌故事。男女共存的走秀和不久将巡演 回到佛罗伦萨的邮轮服装系列,还有混合梦幻风和街头 风格的广告活动,组成了一个都市梦想。使用的模特们 打破了固有的模型,拥有不一样的脸孔。如最近的米兰 秀一样,这次秀也云集了演员、艺术家、音乐家、摄影 师们,在台上走过了Silvia Calderoni 和 Valerio Sirna, Zora Sicher 还有Soko的兄弟—— Maxime Sokolinski。他们在炼金花园里漫步,Alessandro Michele把其时尚研究称为炼金花园,因为他认为这是 一个把粒子的运动转换成能量的动力盒子。 您对自己这几年领导引导古驰的初步评估是什么? 我在这里两年半了。目前还不知道,因为像人际关系一 样,想要了解的话,时间还是太短了。但是又觉得好像 已经做完了十年的工作量,所有的一切都如此美妙,因 此感觉像是最近刚做的一样。我的初步评估是好的,对 自己也非常满意。我很高兴,在没有计划的情况下,顺 应自己的直觉做事情,效果非常好。人们明白在此背后 没有一个特别组织的项目,而是一个人生命、个性和自 我的投入。外面像是变成了一个部落,人人参与,而让 人惊奇的是我觉得我的想法就是大家的想法。 您把内心的感觉表现出来了…. 是的。我不认为自己是发明者或者说了什么古怪的事 情。就像你拍摄了一部爱情故事的电影,所有人都想看 到,但是只有你有能力把它拍摄出来。所有人都梦想着 你想拍摄的电影。从感情的角度来说,我很满意。这是 一个很累人的工作,但是如果你对其满意的话感觉就会 非常美好。然后总是会有人说不喜欢,但这是正常的。 您对批评是怎样反应的?会令您烦恼,您会看,不理 睬,对您有益…. 我喜欢别人的批评。当你自我感觉完好的时候,经常就 像回到恋爱关系一样,你不可能总是听人说:“我多么爱 你,你是多么的英俊”而听不到任何能让你进步的不好的 事情。你听到批评,然后自我检讨:“我很棒,很英俊但 是这件事情还可以做的更好”。我喜欢有建设性的批评。 喜欢书写的批评,写在报纸上而不是以其他的形式。书 写值得人们的尊重而报纸是人类的文明创造,是百科全 书和Gutenberg活字印刷术以及写作的延伸,是人类 历史的一部分。用笔写出的东西,不管在哪里都会留下 痕迹,不会消失,不是一个可以封锁或者删除的社交网 络。写作就像祈祷,它们不只是字,里面还包含了历史, 故事和反思。写作就像讲道,所以我才会说它像祈祷。 在时尚系列里,有时候设计师声称从某一点开始,而走 秀时展示在人们面前的却是另一个…. 这是一件美好的事情。如果没人看你,没人批评你,如 此就像是在学校考试而无人给你打分,你就会想,我为 什么要做?我不相信人们不看,不感兴趣,这个互动是 正确的,不管是好的还是坏的。我们是人,有自己的处 理方式,然后我们的朋友、恋人、熟人和同事从中得出 结论。这是一个人生游戏,我们没有被锁在一个小房间 里。设计时尚,写一本书,制作专辑或者一首歌,还是 制作一出戏剧都是一样的。当然你想知道人们是怎么想 的。就我而言,我很高兴因为一般人们都很欢迎我,我 对此觉得很快乐。有两三个不喜欢我的人,一直都不喜 欢,但是我也接受。 您讲到自由,自由地表达自己的想法。您如何对待自己 在古驰的自由发挥?害怕?高兴? 我以前是高兴的,因为无知所以无畏。我没有想过自由 发挥会让我远离目标,如果我做得不好,他们会让我离 开。我对此热爱不已,在极致的自由前,没有任何东西 能阻止我或者让我畏缩不前。我和Vanni促膝长谈时 (Vanni Attili是罗马大学教授,Michele的伴侣, 编者按),他说我的想法不准确,因为他注意到,我在 规定和限制下能够设计出更好的作品。我的自由加上一 点强制效果会更好,因为那样我会更加努力。还有我并 不是在一个开放的海洋里,而是在一个大点的海里,在 此如果我做错一步或者不尽力而为,会有触礁的风险。 在古驰自由是有的,但是有界限,这样我可以尽自己最 大的努力把想法表现出来。也许自由加上规限是创意的 两种有益成分。 为什么您选择从根本上改变品牌,使它带着您的风格? 我不会做别的。我这么做的原因是对创意的信任。我并 不很清楚创意这个词确切代表什么。我认为是表达一个 观点。我的一生都在表达观点,即使是在私人物品中, 在我的房子里,或者在漫步时。我总是想把在自己脑袋 中看到的东西叙述出来。选择改变品牌是我在拿到公司 的指挥棒后,向前看时所做的另一个决定。在这个过程 中我能够看到,了解并且和身边的人一起分享有关现代 化的事物,以及我对美学和公司品牌,还有我对时尚的 感想,当时我在这个行业已经工作二十多年并且有点厌 倦了,我感觉好像创意——也就是新观点,已经从这个 行业消失了。投身时尚界本身就是一个创新行为。 所以您的第一步就是重启创意?当时时尚是到了一个“ 累”点吗? 我认为如今还是。有许多线索表明时尚在改变,但是将 发生的还没发生。尽管如此,在时尚界还是有人认为需 要重新投入到设计漂亮衣服或者时装周里。说实话,这 个理论将被推翻,就如我们为这些活动所赋予的名字一 样。世界正在以光速发生变化,从投币公用电话到现在 的Ipad, Iphone。如今的时装行业最重要的活动就是 时装周,如米兰时装周,巴黎时装周等等。这个形式七/ 八十年来都未改变。我认为改变是必然的,因为你不可 能分割一个极致生动的行业或者从中剥夺什么。时装周 在持续改变。 有点矛盾… 没错。然而还是有人会害怕,坚持设计褶边和漂亮的衣 服。时尚并不只是衣服,设计衣服只是借口。衣服我们 所有人都有。在我之前有人设计褶边衣服,我觉得很平 庸。花的图案所有人都有设计,而我的设计只表述了自 己对其的观点。我总说自己是一个矫饰主义者。我的经 验来自90年代,在那我看到了很多东西。很显然,我是 一个时代、一个年代和其文化组合所产成的子嗣,是二 十年的阅读和工作所组成的马赛克。我和Karl(Karl Lagerfeld,编者按)一起工作过,和Tom(Tom Ford,编者按)一起工作过,我去展会购买并收藏以前 的书籍。所有这些构成了一个故事,没有什么新意,我 并没有设计一件四个袖子的衣服。 90年代是一个奇怪的时代。一半是范思哲风格和极多主 义,另一半则是卡尔文·克雷恩(Calvin Klein)风 格,极简主义,吉尔·桑达(Jil Sander)风格和海尔 姆特·朗(Helmut Lang)风格。很强烈的对比… 确切的来说,我们把其分称为部落。你想剃光头,有着 极致简单的风格,那么你就会穿一些具体表现特色的服 装,就好像加入一个俱乐部一样。90年代的设计都不一 样,而如今的设计则都是一样的。 您想用您的时尚做什么,您的目的是什么? 我没有一个确切的目的。唯一一点是古驰的故事越贴近 人生,我就越真实。我不相信潮流,不像多年前那样跟 随裙子的长度或者一种颜色来设计服装。对我来说,潮 流只是一种形式,独一无二来自创新行为,是的,创意 是一切的开端。一只鸟或者一朵花是真实的,因为它们 有真实的反映。有一次意大利媒体问我是不是一个引爆 器,我坚持自己并没有引爆任何东西。 您认为有建设性的竞争还没有产生吗? 我认为这是别人欢迎我的另一种方式。但我会对其张 开手臂,因为在辩论会上有别人才会有趣。对我来说

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138 | MFF-Magazine For Fashion Hedi(Hedi Slimane,编者按)离开圣罗兰(Saint Laurent)并不是一件让人高兴的事,我希望他能尽 快回归。 关于您先前讲的有创新行为的人,您能提几个喜欢的名 字吗? 我观察Demna(Demna Gvasalia,编者按)的设计 因为他很有趣。我非常喜爱他的最后一场秀,因为风格一 直没变,很真实,尽管有人说太像马吉拉(Margiela) 的风格。事实上,这并不意味什么,你不能说基尔兰达约 (Ghirlandaio)的风格太像波提切利(Botticelli)或者说波提切利的风格太像基尔兰达约。这跟我有什 么关系? 重要的是最终的成果作品令人疯狂。时尚持续谈 论无人问津的事情,不是这么随便的,会有人挑错。我喜 欢他,因为他吸收了教训,投入了很多的自我,不可能更 加个性化了,他做得很好,他是一位求学若渴的人。巴黎 世家(Balenciaga)品牌从未像现在这样具有巴黎世 家的风格。尤其在精神方面… 正是关于精神方面,这一季他加入了克里斯托瓦尔(Cristobal)先生的想法,来纠正设计作品的形状,这些作 品的线条有一些很轻微,而有一些则很重。这个使用体积 来扭曲身体曲线的想法正是当初里斯托瓦尔先生的想法。 还有日本人,如宛若男孩(Comme des garçons)品 牌的川久保玲,渡边淳弥等等… 她(川久保玲,编者按)就像是一座狮身人面像,可以用 猜谜的形式进行任何挑战。我甚至对她谜语的含义不感兴 趣,因为她的设计是如此的神秘,你无法不爱上它们。 您提到狮身人面像而且在您的时装秀上出现了一座金字 塔… 我放置了一座金字塔是因为我工作时就像是漂浮在一个中 间地段里。我从不碰触,碰触后就忘记它,我有自己的逻 辑。就像炼金,指的是你认为自己可以用一些东西来做另 一些东西。我对两三个主题很痴迷。这季所有这些花是因 为我钟爱人类统治下的大自然,野生自然,花园,森林, 动物的语言,不能理解的事物,不能互相理解的两性以及 不清晰的美。这是一个炼金世界,很深奥。我不知道如何 给那些走秀的男孩定位,确切地说他们并不英俊,他们的 腹肌很美但是脸孔很难看。当然有些脸孔很好看… 事实上在这次的秀场上我们看到了震撼人心的性感… 那个到来的男孩像是刚在图书馆学习完,他试穿了一件针 织连身衣后就像是变成了男神阿波罗。这套衣服使他变 得幼稚或者性感,像摇滚明星,带着Kiss乐团风格或者 使他的脸给人一种不同的感受。就如同你在酒吧认识一个 人,他脱去衣服或者碰触你后,你明白他不是一个书呆子 而是性爱之神。另一方面是现代化的设计,表面很难看但 是会变得很美很精彩。我对秀场的设置投入很多,为了让 人更好地理解,我亲自设计,我一直都觉得自己有一点建 筑师或者舞台设计师的天赋。在秀场中间我放置了一座金 字塔,因为这是一个炼金象征,很神奇,很重要,能够反 射阳光——能够转化事物的阳光。我在上面放了一个调节 风向的公鸡风向标。所有这些因素将使我们的生活发生什 么。风将吹向我,当然这股风不是真实的而是指将发生的 事情,在风吹来时,我会位于其中,试着做到面面俱到。 我认为做这份工作的人就像是立在一个炼金花园里,在此 将所有东西成形。 灯光、人物、风、花园。您说过您在酒吧也花很多时间 来观察人们... 我还在做。 您会试着了解或者想象他们的故事吗? 是的。为什么她这么穿或者她在等待什么人。我在酒吧 的时候一直都看不了书。我带着书但还是会听别人的谈 话。我热爱很多东西但是最感兴趣的是人性。当我去一 个地方的时候,几乎总是在夏天,我会想象这个地方或 者这条街在冬天的时候是怎样的。很简单,因为冬天对我 来说代表日常生活,所有的事物都会归位。在那些窗户 后面会发生什么? 公众对您的时尚设计是怎样反应的? 销售成绩肯定了您的 工作,人们在购买。 我认为在一开始他们不理解,然后现在欣赏了。很简单, 因为你可以买一件古驰然后成为我们部落的一分子。意 思是说你可以买一件古驰和其他任何品牌的10万件衣饰, 不需要一个整体古驰形象,这不是一场强制你购买而是邀 请你选择的走秀,就像孩子在宝藏面前眼花缭乱。然后 会吸引你去看复古服装或者去其他地方。这不是一个 封 闭的圈子,而是一个能让你欣赏甚至跟时尚无关的事物 的良性循环。 就像一扇门一样? 我也这样认为。你进入一家店就会想购买一件小玩意,但 是你进入一个苗圃或者花园里,不一定要拥有这个园里的 花。你可以自己种植,也许会想走入自己的苗圃。公众的 反响很好,很自由。在时尚界也有一些很丑陋的设计,但 是,说句实话,我们也需要丑陋的设计。 有什么作用吗? 为了使事物该怎样还怎样。你不可能操纵人心,不可能 认为人心会一样,具有一个单一的模式。如何有人做错 了,让他错。因为认定时尚具有特定的教条是一个古老 的观点。 就像您说的,时尚必须改变… 时尚必须为不同时期提供服装和建议,而不只是那些八十 年前规定的。还有如果不是所有人都想经过photoshop 美化,看起来像是一秒内瘦了20公斤,这也是理所当然 的。如果活着有什么美好的话,那就是多样性。如果我知 道离开家我会看到不想看的东西,我将不会出门。 为此您把您系列的理论定为自我表达? 完全正确。我对人们来古驰购买不感兴趣,我想要古驰 的走秀能够建议人们,鼓励他们表达自我。如果我的鼻 子不完美但是很有个性,那我为什么不能戴一个能使人 看清脸的帽子呢? 这就是您获得成功的秘诀吗? 向人群和个人讲述表达自我? 也许是的。也许引起更多兴趣的是一个能量爆发的观点。 这就是我,我喜欢能够改变每天的气氛。如果我自我感觉 不和谐,我会换件不同颜色的上衣,也可能去剪头发。我 喜欢颜色,我的房子很舒服。我对时尚的想法就是能够拥 有良好的自我感觉,而作为一种不同的美,你可以自我感 觉良好。这是一种神奇的感觉。觉得自己美丽,而不是来 迎合别人制定的模型形象,这是你给自己的礼物。模型形 象也是时尚的一个典型现象,现在流行凯特·莫斯,两年 后将会流行另一位超模… 但是我们甚至不想知道她们的名字。因为当你在酒吧的时 候,你看到一位美丽和另一位不美的女孩,你不会在乎她 叫什么名字。很有意思,时尚里有一种新现实主义,这是 必要,紧迫的。在所有这些虚假之后,看到一张拥有真正 阳光的照片,里面有一位女孩,一周前刚考过试,只是 想要做点不同的事情所以才来到场地,使这个画面和想象 更加真实,使人更加信服。如果你给我一张没有个性的图 像,也许我不会看。 说到图像,能谈谈您在广告里所表达的幻想吗,例如野兽 行走在罗马街道中? 您不会幻想奇怪的东西吗? 几乎所有人都会。我幻想在家 里拥有一只猴子,一匹侏儒小马,幻想自己成为另一样 东西,幻想自己爱上一个坐在特莱维喷泉上阅读的人。 说到底,城市是最能让人幻想的地方。当你在路上行走 的时候,你看到一些事物然后想象另一些。在广告里我 投入了自己的想象。供你一笑,我一直都说自己有一个干 扰的想象力,意思是我的想象力一直在被打扰。人们自 己制造的混乱其实就是他们认为的紧紧有条。混乱是唯 一真正的整齐。

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您在设计系列时会携带这种混乱吗? 我一直都携带着。我从某样东西开始,在混乱中游荡。我 条理清楚是因为我的混乱具有条理。我故意制造混乱。为 了组成一个故事,我使用的工具一般彼此不合适,就象是 使用锅和大提琴来开古典音乐会,然后我会让它们彼此适 应。很明显会有很多工作。我不容易满足,有时候他们会 把我的想法全盘推翻而我则再次提出。这跟一个时刻紧紧 相连。当你开始讲述自己在哪里,你越说就越能看到以前 没有看到的东西。你来到米兰,回想如何让人明白你想说 的。然后开始制作电影,这是一个非常复杂的事情,很累 人,有时候你会错过夜晚,白天,午餐,我甚至会忘记吃 饭。最终你会寻找能使人明白而不是陪伴服装的音乐,我 寻找能使人到达我希望他到达的音乐和舞台效果。 您又设计,又研究...您在操作方面是怎么运作的? 我研究大量的图像和文字,因为一些图案来自书写的文 字,然后还有复古服饰因为我会去好奇的走走看看,我的 复古里有很多东西,可以是墙壁装饰也可以是一卷布料。 我有一个很大的看了又看的档案库,是关于过去的片断 的。然后还有服装。 是一个扩大的复古领域吗? 是一扇门,一个手把,一个柜脚,一幅画。我记不清是什 么但是我们重新设计然后发现它变得完全不一样。这是一 个把想象的图案重新组合,我认为这个图案属于如今的美 学。当你想到美的时候,这个故事将变成属于很多故事的 片断,而不只是一个故事。 也因为人们一直都受到如此多灵感的冲击? 你做不到只叙述一个故事。我会明显地代入一位摇滚明 星,一位刚从图书馆出来的学生,一位刚分手的女孩,一 位觉得自己是女神,还有一位觉得自己是艺妓。你没有 这些人的感觉吗? 根据时间段… 一个人打开iPad然后有一天觉得自己是碧昂丝 (Beyoncé),但是一个星期以后你会需要一个能够思 考或者聊天的地方。也许你觉得自己是摇滚明星正是因为 独自阅读了两天。 不久你们将会在佛罗伦萨走秀。把邮轮系列带到四处并且 男女共存的走秀,这个决定是从哪里产生的? 如您上面说 的,您在改变系统方式吗? 我的改变纯粹是一个个人需要。只要我还和 Marco(Marco Bizzarri,古驰的ceo,编者按)一 起工作,我会跟他反映自己的工作所需。我喜欢想到幕后 有一个商业,这个想法使我很开心。想到所有的一切都纯 粹地始于一个也许疯狂的想法,很有意思。但是我不想为 市场服务,我不想组织两场秀因为需要走两场秀,我组织 这场秀是因为这是能够把我的想法表现出来的唯一方式。 然后我很高兴,因为商业部门理解并且做到了使这场秀也 实用于商业方面。不过我是第一个说: “我不要组织两场秀 因为对我来说,不可能再把男女分在两个盒子里”。停止 在一个地方是不可能的,因为我在自己的生命里也不想一 直待在同一个的地方。时尚需要改变不是因为我们需要改 变经营方法。时尚需要改变因为时尚是变化的一种表现。 我不想说些关于社会变化的陈腔滥调,而只是想要表达自 己的观点。如果我需要拍摄一部关于柏林的电影,我不可 能在纽约拍摄。我不能使用所有的男士或者所有女士因为 有人购买,我对人们购买什么不感兴趣。如果这样不行, 我会离开。反正我还有很多其他事情。谁会想做这份难上 加难的工作? 被人剥削到底。 这份工作有多难? 很难。我的眼睛总在不停的看,不专注在此。我很难有自 己的时间,私人安排,它们都和工作交织在一起。对我来 说这不是一份工作,不是为了钱,就像是一样东西的奴 隶。我是我工作的奴隶,当然指的是好的方面,它代表了 我生命故事的一部分。我不是为了去一个地方或者年底去 另一个地方而工作,我不上私人飞机。我的生活跟以前一 样,没有改变。只是加入了一些美好的事情,在此我再次 重复,我上这条船不是为了做一份工作,我可以找到其他 真正的工作。我总说做这份工作就像是在妊娠。怀孕几个 月,走在路上不知道怎么保持这个肚子因为要生了。然后 你等不及要看这个孩子。 您在后台有什么感觉? 这个创作诞生最强烈的时刻是哪 个时候? 首先是当我看到电影的时候,在我还在拍摄的时候。三天 后电影成形,那时我是如此的激动,变得不眠不休。我 不睡,不吃,只想专注于此。其实对我来说最美好的时 刻就是开始的时候,当音乐开始,一切启动,我几乎热泪 盈眶。之前一切都像是不能实现。走出来第一个女孩或 者男孩,我感受到人们正在观看,这是最美好的感觉。来 观看走秀的你们是整场的亮点。我不是为了自己而做, 我计划这场秀是因为你们能够看到它。我是这么地喜欢 它,想和人分享。 说到分享让人联想到社交平台。但是时尚不是已经很 忙碌了吗,在时尚系列和预告系列,造型照,广告,视 频,Instagram, 奥斯卡等等吗? 我尽量处理所有的事情,我查看并且做到监督所有的一 切。我的语言有时候是如此的困难,又是如此的清晰,有 人把它丰富化。这是一个正在扩张的世界,所以我们不能 只说一种语言,因为那样太轻描淡写了。就我个人而言, 我想慢下来,我希望人们能够多停下来看看。从创意的角 度来看,这是一个借口,我可以每天实现一件设计,我是 一个工作狂。这给我满足感,我很喜欢,就像是一本永远 不会结束的《神曲》。然而我也明白,我们必须小心。有 时候使这个生产过剩,必须面面俱到的行业慢一点也是很 重要的。因为我并不面面俱到,所以我喜欢有人去寻找其 他东西。如之前说到的,一个人到报摊上用零钱买报纸是 正当的,因为不同于昙花一现,一个人需要走出家门,处 在中间位置,不特别靠近一边,也不特别靠近另一边。 您说,走出来并且永远不要停留在同一个地方。您喜欢 去哪里走秀? 去一个我个人不会去的地方。有时候我在持续矛盾的情 况下工作,我喜欢爱上从来都不喜欢的东西。我对打底 裤不感兴趣? 那我就把它转变成一个我喜欢的东西。也许 我会去一个很远的地方,很难到达,因为我讨厌旅行, 一般不会去那里。一个人们讲述给我听的地方,我总是 喜欢想象,有些地方我故意不去因为比起真实看到我更 喜欢想象。 您谈到商业这个词,您不像一些设计师那样害怕这个 词吗? 我一点都不害怕,这是我工作的一个结果。我对此不是 特别感兴趣,因为我必须先做好自己的工作。此时,我 不想关注任何有关商业的事情。我认识它,知道那是什 么。再说,我的生命正处在一个想拥抱那些像是我敌人 的人的阶段。我不害怕,商业并不在我的关注中,它在 另一个地方。 有时候会假装商业并不存在… 我公司的同事非常优秀。他们不会给我压力,我从来都没 有听他们谈起过。他们有点了解我是怎样的,知道我并不 反对,知道我也喜欢商店,逛街,有时候也买衣服。 您也买其他品牌的衣服吗? 是的但是这一段时间我穿很多自己设计的衣服。有时候我 会把自己穿的做地更不同一点,那样我会更喜欢。我买很 多别人的衣服,也喜欢穿上它们,这里我说别人,指的是 别人穿过的衣服。谁知道他们用衣服做了什么... 您被人性吸引吗? 当人们向我介绍一件物品的故事的时候,如果我发现它 曾经属于什么人或者隐藏着什么人的一生,我会马上买 下来。

就像《哈里·波特》里的魂器,包含灵魂的物品… 包含了所有拥有者灵魂的物品,就像一个人的房子。 您有一件神奇的物品吗? 我有过很多年。我的父亲是一位雕塑家,他的雕塑说是可 以保护我。那件物品就像是一块河边的石头,当时我还是 一个孩子,上面雕刻着一只猫头鹰和一个老人,我一直都 把它放在我的床边,后来它被偷了。不过命运会送给你需 要的礼物,来保护你对抗怪兽。你小时候这些怪兽在床底 下,长大后就在人心里,在那些不喜欢你的人的心里或者 在你自己对做什么事情的害怕里。然后Vanni来了。我 们见面的时候,我并不处在一个快乐的阶段,当时我被一 些不好的事情触动,让我反思。他在一个加拿大本土人村 庄里度过一段很长的时间并且认识了萨满巫师。我们第一 次见面的时候,他在我的生日宴会上给我带来了一个包着 的蘑菇。看起来像是一个软木塞,那其实是他在这个村庄 里收到的礼物。他说萨满巫师称它为眼泪菇,是神奇的, 因为烧过后会把眼泪带走而你则再也不用哭泣,蘑菇会 代替你哭。我把它保存在卧室的一个袋子里,一个只有我 知道的地方。我觉得在父亲的雕塑之后,这个蘑菇保护了 我。知道为什么吗? 因为Vanni相信蘑菇会保护我。其实 保护我的是他自己。 您说眼泪。那是什么? 它们很强大因为当你看到它们的时候,会明白你最深的感 情被触动了。我们生活在能够触摸的物体中。很多时候, 你直到碰触到才会相信。眼泪很美因为当它们到来的时 候,你有证据,就像是一位督察,你有线索证明你在碰触 它们。就像当你问自己飞碟是否存在的时候。是的,我看 到它们了,碰触到它们了。你哭泣的时候眼泪流下来,这 很美好因为你碰触到了幸福,在为得到幸福而伤感。这是 美好的,需要给与极大的尊重。身体产生眼泪因为它要让 你去碰触不会碰触的东西。也许是灵魂,古代人也把它称 之为灵魂。我也不知道。 相反地,对米兰来说这是一个欢乐时刻因为受益于古驰 带来的效果... 我希望是,因为跟很多想要发起奇怪竞争的人不同,我非 常喜爱米兰。这是一个神奇的城市,在此发生了很多美 好的事情。像所有的神奇地方一样,如雅典卫城一样, 米兰留有我希望能够回归的时代痕迹。它是我们美学历 史的一部分。80和90年代的米兰可以媲美佛罗伦萨的文 艺复兴时期。 让这个黄金时代回归必须要做什么? 我会让它向外界大开方便之门。米兰需要借助很多东风。 有太多的挡风板想关闭米兰,或是因为米兰人或是因为害 怕面对外界的人。米兰曾经很美丽,在它不属于意大利 人的时候,当时它属于欧洲,属于想到来的人,属于所有 人。去Spiga街不是为了看鞋,而是为了看在那漫步的, 奇怪疯狂的人,那时候什么都有,而不仅仅是这个周或者 那个周。一座城市的生活不能跟一个活动连在一起。走秀 单纯地就是为了走秀,参加鸡尾酒会就是为了参加鸡尾酒 会。但是我们对鸡尾酒会感兴趣吗? 没人对活动感兴趣。 米兰充满其他能量是好事因为真实生活才是最重要的。人 们生活在其中。 dior - maria grazia chiuri 撰文:Stefano Roncato 摄影:Ko-Ta Shouji 这个故事从她开始。一个微笑,一个感染人的笑声,灵动 的眼睛,看人不需注目,手指上的戒指像在传达信息,还 有她的金发,纯净,轻飘。就像Maria Grazia Chiuri 多次提到的,关于她对Dior新旅程的轻描淡写。不能说 是容易的。一个拥有不容忽视规模的品牌,在此产生了重 要的设计师,它处在美学变化和Lvmh集团最近金融操作 的中心。“我相像着如今的女性,我想和少年,千禧一代 谈话”,Maria Grazia Chiuri对MFF-时尚杂志如此说 道,她是这家法国时装屋的艺术总监,负责高端女装系 列,成衣和配饰,“说到底,我在此的工作就是让品牌走 向未来,所以需要和年轻一代沟通。我属于现在而他们则 是未来” 。在不忘记过去的前提下进步(改变)开始了。 即将在七月开幕的展会就是一个证明,以此来庆祝时装屋 70周年纪念,从它的创始人一直记录到Chiuri的到来。 把公司遗产和明天结合在一起。 把高级时装带到东京是怎样的? 那是我第一次在东京走秀。我感觉到那是一个特别的时 刻。除了秀场是设置在Ginza six的屋顶以外,所有时尚 都在。所有品牌都在这家商场开店,就像是意大利和法国 时尚都搬到了东京… 日本有多重要? 具有重要的历史意义,因为是最成熟的市场,在此时尚总 能被感受到和理解。肯定具有战略性意义因为在这里成 功意味着你的工作得到了肯定。另一方面,在过去80年代 的时候,在这个市场有过一个殖民局面,还并不是这么成 熟。事实上,如今所有公司都必须以不同的方式投资,使 人认识到公司的价值。我去过很多次日本,也去过京都。 我很喜欢这个国家因为这里很注重传统,却又推动一点现 代化发展。让我想到伦敦的女皇和混混。我喜欢多方面并 存的国家,很刺激。天皇,艺妓到控制论。然后还有语 言,就像《迷失东京》电影所表现的一样。 不久你们将在洛杉矶走秀。将会是一个逆转,也就是把时 尚真实带到人们中间吗? 所有人,不仅是我们还有所有的品牌,他们正在尝试和当 地人沟通。就是这个目的,把时尚带到当地。我不否认这 意味着需要相当大的努力,并不容易,需要有效的组织和 足够的时间。很美好但是事情也很多,很吃力。 说到事情,Dior这段时间的初步评估是怎样的? 很好。对我个人来说很好,坦白地说,我很开心。在我生 命的这个阶段我很幸运。我投身时尚界因为它使我开心。 这样就可以了。 到目前为止Dior一直是由男性主导的,作为这个品牌的 第一位女性设计师,您的感觉是怎样的? 我不考虑。我最想尝试的是能够传达给女性的事情,可以 帮助女性为自己定义,而不是被别人,更甚者被时尚定 义。我热爱女性。对我来讲,这是一个非常个人的工作, 是我与我女儿之间的对话。 您想告诉您女儿什么? 告诉她为自己定义,而不是被别人定义,她必须把时尚当 作一种游戏,以自己的方式,自由地成为自己心中所想。 所以目前自由有多重要? 它是至关重要的。我儿女长大的时候我才意识到。我也以 为自己相当自由,然而一个人会被定型观念、教育、制 度影响。 事实上,我们不是那么自由,能够免于别人的 评论。这不是一件好事。你必须要独立思考,跟随你的直 觉,拥有自己的观点。 你需要有作为自己的勇气,这很难,因为你会立即感觉 到被孤立,你的创造力,你的幸福可能会被限制。我希 望我的孩子们幸福。为此,你不能被这些事情禁锢。你 至少需要尝试。 您对这次机遇感到开心吗? 很开心,否则我不会做,因为住在另一座城市,离开我爱 的人对我来说是一种牺牲,我不得不做出选择。还有身体 疲劳,我从星期一到星期五在巴黎。 然后周末在罗马。 在一家大型法国公司工作对您来讲有什么变化? 法国公司与意大利公司不同,虽然都有其共同点。法国公 司知道如何把其遗产发扬光大,而意大利公司的实力则是 迎接挑战,做适当的变通。我正在努力把两种文化的最好

方面组合在一起。 在您的第一次时装秀上,您说您追回了继Dior先生之后 公司所有设计师的遗产… 对我来讲,在一家拥有70年历史的公司里,你必须成为 一位保管员。你不能假装继Dior先生的10年之后就什么 都没发生了,我认为是不合时宜的,就像删除了六十年 的历史。 Dior先生的十年是至关重要的,他是公司的创始人,确 认了其风格。我知道的越多,就越了解到他是一个天才。 他立刻把公司国际化。 1947年,战争结束两年后,他就在澳大利亚走秀,然后还 去过布宜诺斯艾利斯,哈瓦那,纽约等其它城市。有一本 小册子,在公司成立六年后发行,里面记载了公司所有的 办事处,企业增长图形,香水和标签。Chapeau (在此 我向他脱帽致敬)。 然后还有其后的60年,对于我这一代,John Galliano 就是Dior的代表。作为意大利人,我很清楚地记得 Gianfranco Ferré,我的朋友们为他工作过。 Marc Bohan为Dior做了很多,还有最近的Raf Simons也不容忽视。Hedi Slimane很重要,不用多 说,他创造了Dior homme,改变了男人的审美。我认 为不承认这些人的成绩是不合时宜的,成为一位保管员是 天经地义的。在此我再次重复,这不是我的品牌,我是它 的艺术总监,但谁能知道未来会如何... 在Dior这样的大型舞台上讲女权主义,对您来说意味 着什么? 坦白地说,我讲女权主义是因为我来到Dior的时候,品 牌正在重点关注女装和女性气质的表达。那是它的标语。 Dior先生曾说女人就像一朵花。作为女人我想到如今女 人想要什么——她们要平等机会。我母亲的那一代为了争 取平等机会而抗争过,而我则是受益人,我把这一切看成 是理所当然的,认为是已取得的成绩,不需再说。 然后,仿佛一盆冷水当头浇下,我意识到这不是真的,成 绩还未取得。如今的我们和以前一样。我们必须重新讨 论,讨论宽容,讨论平等机会。我很幸运,首先因为我的 家人,然后因为在Fendi和五个女人的合作。 与Fendi和Valentino的合作为您留下了什么? 我与Fendi的Anna, Paola和Carla姐妹们仍然在联 系,当然也有Silvia。我们之间有深厚的感情,我承认她 们让我学到了很多。与公司的创始人们一起工作很重要, 她们会为你解释,让你了解一切如何运作。 当我们见面的时候,好像一天也没有过去。我从Valentino和Giancarlo Giammetti那也学到了很多。他 们具有另一种态度,向我传达了作为创始人的经验。我不 否认,我很快地就了解了这些经验。 您会记得的一件关于他们的事情是什么? Valentino的决心,他是我生活中所认识的最自信的 人。Fendi的女人们都会以建设性的方式自我反省,她 们持续互相交流想法,为了下一季的系列不让任何创意溜 走,最好是马上就做,不要错过时刻。 在跟Valentino的Pierpaolo Piccioli合作过之后, 一个人站在第一线上是怎样的? 我没觉得自己是一个人。我有一个出色的团队来帮助我, 我和很多不同国籍,文化和语言的同事们友好相处。那是 一个国际化的企业,讲法语,英语和意大利语。人们一直 都认为语言是理所当然的,其实语言很可贵,讲同种语言 是一种便利。在讲不同语言的公司里工作会更复杂,但是 也更刺激,而我是一个很好奇的人。 市场很欢迎您的到来。您的进步(转变)是怎样的? 说句实话,组织第一场秀时我没有想太多。四个星期还不 到就完成了,纯靠直觉。我只想过,如人们所说,如何使 这个公司代表女性和女性气质。我说的是如今的女性,这 是我非常个人的观点。我是多方面的:我是在时尚就是高 质量,就是手工工艺这样的观点里长大的;我有属于我 这一代人的pop(流行)的一面;在另一方面,我坚持和 我的儿女们沟通,他们是我的参照点,是未来。我不跟自 己说,跟他们说,在谈话中我能够了解自己,然后检讨自 己。那是如此地具有个人性,我自己都没有意识到。我是 一个非常相信直觉的人。 看到人们理解这个变化您开心吗? 我不知道他们是否理解了。我迫切需要做自己心里感受到 的。基本上,我这段时间的工作都是这样的。迫切地想 做,想说。也许是年龄的关系。我正处在一个因为想做才 做的生命阶段。极端轻描淡写。 您在后台好像也轻描淡写… 除了压力我什么都有。我会累因为有很多事情要做。这不 是压力而是想要实现一切的热情。时尚必须是有趣的,是 一份舒心,有创意的工作。还有,在巴黎生活,我觉得自 己像是一个出外求学的学生。我为Fendi工作的时候,我 在佛罗伦萨和我当时的男朋友,现在的丈夫生活在一起, 来回奔走罗马八年。我一下子又回到了那样的生活,我邀 请人来家里晚餐,这个房子不是我家庭的房子。我回到了 25岁时的生活。我对公司同事也这么说。 女性的手笔,充满活力和决心。有一句恭维的话,他们说 Dior迎来了“粉红雪崩” ... 感谢我一直都有的轻描淡写和幸运的无知,我没有意识到 这一点。如果有什么界限,我还没有看到。我没有做过很 多的反省,相反地,我觉得他们都很乐意帮助。 这是一件好事。能量,鼓动… 我来到这里的时候是夏天。离做系列只剩一个月。很有意 思。我没有感觉到自己是在工作,以为那才是真实的生 活。就像是你拿到一个新玩具,不过你已经知道怎么玩。 您首次被Dior触动是什么时候? 它的结构之大让我震惊。而且说实话,除了Sidney Toledano之外,新闻部也给了我很大的支持。这是一 个非常大型的机器,需要时间来了解。 看到您的一些作品已经售罄有什么感受? 我很高兴。这意味着人们喜爱它们。我最大的满足是看到 人们喜爱我的作品。购买并穿上。我很自豪。这赋予我责 任感,想再创新高。说到底没有任何设计师是完全满足 的。我也有这个风险,它来自我的教育,我的母亲非常严 厉。觉得可以做得更好。相反地,我觉得学着停止五分钟 也可以很美好,能让人快乐和满足,然后再重新开始。 有男士买Dior,这是真的吗? 很美好,我看到过少年穿着T恤,外套,拿着包或者击 剑用品。还有一些去购买Dior男式sneakers球鞋的女 士。90年代时我也一样,我穿过Prada的男式蓝色绸缎 裤子。我认为一个人去购买自己喜欢的东西很平常。 那J’adior呢? 您确定有效吗? 我没有想过是否会有效。我做了,没有告诉任何人。因 为Instagram不仅改变了时尚和图像,还改变了语言用 词,使其变得更精简。这是我和我的子女最有争议的事情 之一。他们说什么? 说我使用太多词语。 用一个词来总结这个概念… 怎么能够读J’adore Dior。你会说J’adior。这个词诞 自我在罗马的房子,当时我们在工作。我最喜欢的是需要 把自己所做的结合和概念化一下。谁是你的代言人? 我想 和这些少年,女士以及千禧一代谈话。说到底,我在此的 工作就是让品牌走向未来,所以需要和年轻一代沟通。我 属于现在而他们则是未来。

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MFF

Magazine For Fashion

Direttore Giampietro Baudo (gbaudo@class.it)

Responsabile Moda e Design Stefano Roncato (sroncato@class.it) Grafica Valentina Gigante (vgigante@class.it) Hanno collaborato moda & testi Francesca Manuzzi, Valentina Nuzzi, Angelo Ruggeri, Milena Bello, Fabio Gibellino, Roberta Maddalena, Ludovica Tofanelli, Michela Zio foto

Carin Backoff, Vanni Bassetti, Tine Claerhout, Robert Fairer, Greg Kessler, Craig McDean, Steven Meisel, Fabien Montique, Paolo Roversi, Karim Sadli, Olivier Saillant, Francisc Ten, Sonny Vandevelde

Presidente Gualtiero Brugger Vice Presidente e Amministratore Delegato Paolo Panerai Vice Presidenti Pierluigi Magnaschi, Luca Panerai Consigliere Delegato Gabriele Capolino Consigliere per le Strategie e lo Sviluppo Angelo Sajeva Consigliere (Chief Luxury Coordinator) Mariangela Bonatto Concessionaria Pubblicità Class Pubblicità spa Direzione Generale: Milano, via Burigozzo 8 - tel. 02 58219522 Sede legale e amministrativa: Milano, via Burigozzo 5 - tel. 02 58219.1 Sede di Roma: via Cristoforo Colombo 456 - tel. 06 69760887 - fax 06 59465500 Presidente, Angelo Sajeva Vice Presidenti, Mariangela Bonatto, Andrea Salvati, Gianalberto Zapponini Vice Direttore Generale Stampa e Web, Business, Stefano Maggini Vice Direttore Generale TV e TelesiaTv, Consumer, Giovanni Russo Per Informazioni Commerciali: mprestileo@class.it Class Editori spa Direzione e Redazione 20122 Milano, via Burigozzo 5 - tel. 02 58219.1 - fax 02 58317429 Amministrazione e abbonamenti: 20122 Milano, via Burigozzo 5 tel. 02 58219285 - 02 5821929 - fax 02 58317622 Registrazione al Tribunale di Milano n. 210 del 19/4/86 Distribuzione Italia: Erinne srl - via Burigozzo 5, 20122 Milano - tel. 02 58219.1 Responsabile Dati Personali Class Editori spa, via Burigozzo 5, 20122 Milano Stampa: G. Canale & C. S.p.A. viale Liguria 24, 10071 Borgaro (To) Supplemento a MF - Spedizione in a.p. 45%, articolo 2, comma 20/b, legge 662/96 - Filiale di Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 266 del 14/4/89 Direttore responsabile Paolo Panerai

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