Cittadini & Salute Agosto 2013

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Mario

Dionisi Cari amici lettori, A leggere le notizie sulla Sanità, inserite sempre di

Si prevede la perdita di duemila posti di lavoro.

taglio basso, c’è da piangere o da ridere. Dipende

Forse il lavoratore licenziato nel privato è conside-

Si parla di “Patto per la salute”. Ma se il vocabola-

un disoccupato di serie B? Che sia classificato gene-

dall’umore di partenza.

rio mi aiuta un patto deve esser siglato da almeno

due contraenti. Uno deve essere il cittadino, l’altro il

mondo della Sanità: medici, personale paramedico pubblico e privato, tra cui, non ultima, la diagnostica specialistica ... Almeno questo!

Esiste, invece, un convitato di pietra che assorbe

rato dal mondo politico e amministrativo pubblico ticamente precario? Probabilmente il disinteresse per questo settore è determinato dalla mancanza di

regia politica sul nuovo che la Sanità è riuscita ad esprimere negli ultimi venti anni. E questo è de-

terminato dalla diagnostica e dalla tecnologia.

Questa svista oggi la paga l’impresa che lavora

questi due protagonisti e li annulla finendo per rap-

nella sanità per essersi affermata. E a pagare sono

blico che da una parte si picca di rappresentare gli

Quindi chi dovrebbero essere i contraenti di que-

presentare sé stesso. Parlo dell’amministratore pub-

i lavoratori.

interessi dei cittadini e dall’altra essendo il depositario

sto patto? Il problema è stabilire qual è la sanità che

la macchina burocratico-amministrativa. A ben ve-

nologia raggiunte. Quindi, individuare lo standard

E in tutto questo, cosa fa il ministro della salute?

vello irrinunciabile. Successivamente, organizzare il

delle grandi scelte in tema di Sanità rappresenta anche

dere, questo convitato di pietra è l’unico protagonista.

Abbatte le tariffe della diagnostica del 46%. Questo

taglio porterebbe alle casse regionali meno dello

0,5% della spesa sanitaria regionale! Il minor rimborso alle eccellenze, secondo i burocrati di Stato è

il miglior risparmio.

Quindi a pari quantità di servizi, per via delle ta-

riffe più basse, le casse delle strutture pubbliche

avranno minor incasso. E allora che risparmio sarà? Nulla cambierà economicamente.

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dobbiamo dare, dato il livello di conoscenze e di tec-

di assistenza sanitaria da dare ai cittadini come li-

modo di dare questi servizi utilizzando le risorse

presenti in una società complessa che non può trovare nell’organizzazione statale l’unica risposta.

Si devono tagliare i carrozzoni para sanitari e gli amici di merenda infiltrati nella sanità.

Secondo logica questa strada è l’unica percorribile.

È utopistica? Forse, ma non ne vedo altre.

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ATTUALITÀ È questo il tema del convegno organizzato dall’Osservatorio Sanità e Salute il 17 luglio alla Sala Atti Parlamentari del Senato della Repubblica che ha evidenziato le principali riflessioni in campo scientifico, sociologico ed economico per attuare una regolamentazione bilanciata. Sostanzialmente concorde il parere delle istituzioni: la sperimentazione sul campo delle sigarette elettroniche dimostra grandi risultati nella lotta al fumo da tabacco, pertanto si auspica che il legislatore formuli iniziative di legge a sostegno. L’On. Ignazio Abrignani, Vice Presidente della X Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo della Camera dei Deputati, nel suo intervento ha evidenziato che la sigaretta elettronica rappresenta un mutamento culturale nell’approccio al fumo tradizionale. “Per quanto riguarda gli aspetti fiscali bisognerebbe scongiurare che questo tipo di prodotto sia trattato come un prodotto del tabacco. Peraltro un mercato che si offre a dare nuovi posti di lavoro e un po’ di respiro alla nostra economia malata va tutelato e guardato in maniera molto più rispettosa”. Secondo la Senatrice Maria Rizzotti, Vice Presidente della XII Commissione Igiene e Sanità del Senato, l’imposta proposta dal decreto legge andrebbe applicata solo ai liquidi e non agli apparecchi.

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Perché privarsi di

“La sigaretta elettronica non deve essere una nuova vacca da mungere, ma c’è bisogno di “L’imposta del 58,5% sposterebbe i consumi sul mercato illegale impedendo così di raggiungere gli obiettivi di gettito prefissati. È paradossale, inoltre, che un decreto che mira a tutelare l’occupazione vada a svantaggio della crescita occupazionale. Bisogna agire con urgenza per moderare un atto legislativo che rischia di danneggiare non solo il comparto ma anche la libertà di scelta del consumatore”. “La sfida che abbiamo lanciato con quest’iniziativa - ha affermato il Presidente Cesare Cursi, Presidente dell’Osservatorio Sanità e Salute - è quella di ragionare su un possibile percorso normativo che regolamenti questa categoria di prodotti in maniera bilanciata ed efficace”. Roberta Pacifici, Direttore OssFad, ha messo in evidenza come l’avvento della sigaretta elettronica abbia cambiato molto nelle abitudini dei fumatori ed abbia raccolto su di sé molte aspettative per uscire dalla dipendenza del tabagismo. A fare da filo conduttore del Convegno i risultati di due recenti studi scientifici: il primo, su aspetti sanitari, realizzato dalla Fondazione I-Think, il secondo su aspetti di natura fiscale elaborato dall’Istituto Bruno Leoni.

In dettaglio, gli interrogativi principali su cui si è discusso riguardano da un lato la natura del prodotto, dall’altro la sua possibile tassazione. La proposta normativa in Italia, infatti, alla luce del nuovo decreto legge (76/2013) che si appresta a compiere il suo iter parlamentare equipara di fatto le sigarette elettroniche in tutto e per tutto alle sigarette tradizionali, delineando per esse lo stesso livello di tassazione. A livello europeo, invece, nel testo di revisione della Direttiva sui prodotti del tabacco, concordato dai Ministri della Salute riunitisi nel Consiglio di Sanità, si prevede che i prodotti che contengono nicotina oltre certi livelli debbano essere autorizzati come farmaci. In controtendenza con il legislatore, gli studi presentati oggi hanno evidenziato che ad elevati livelli di tassazione corrispondono necessariamente aumenti di prezzo: il tutto a discapito di quella grande fascia di consumatori che si rivolge alla sigaretta elettronica anche come alternativa meno dispendiosa alle sigarette tradizionali. Non solo: una fiscalità sproporzionata penalizzerebbe paradossalmente proprio le entrate per il Governo perché cambierebbero le modalità d’acquisto a faw w w .ci tta d i ni es a l ute.i t


un’opportunità?

un inquadramento giuridico chiaro della sua funzione sociale e di tutela per la salute” vore del mercato online o addirittura del mercato illecito, comportando di conseguenza l’annullamento di un nucleo economico costituito da 3.000 imprese e 5.000 lavoratori. “Il decreto legge in questione - ha evidenziato il professor Antonio Giordano, Membro del Comitato Scientifico di I-Think - non tiene conto della potenziale minore dannosità del prodotto né tanto meno della sua natura ibrida che le differenzia anche dai prodotti farmaceutici”. “Prima di proporre una tassazione simile a quella delle sigarette tradizionali - ha aggiunto l’Avv. Serena Sileoni, Vice Direttore dell’Istituto Bruno Leoni - bisogna chiedersi se i due prodotti siano così similari da giustificare l’equiparazione fiscale. Similitudine talmente dubbia che in Europa propendono più a considerarle - ad alcune condizioni - prodotti medicinali. Inoltre, il legislatore dovrebbe anche domandarsi, prima di introdurre un’altra ennesima tassazione, se l’inasprimento fiscale non porterà tra gli altri effetti a un aumento del contrabbando o comunque a una diminuzione dell’attuale consumo, riducendo le stime di entrate”. w w w .ci tta d i ni es a l ute.i t

Quindi, l’incontro del 17 luglio alla Sala degli Atti parlamentari ha messo in luce i rischi che una normativa miope e non costruita tenendo in considerazione l’effettiva natura ibrida del prodotto potrebbe provocare. Una proposta normativa lungimirante ha il dovere, invece, di valutare le notevoli opportunità che la sigaretta elettronica può rappresentare per lo Stato e l’intero Paese sia in termini di beneficio sanitario che di gettito per l’Erario. Una normativa che deve nascere sulla base di un attento processo di analisi che evidenzi sia gli eventuali profili di rischio che il prodotto porta con sé sia tutti i suoi aspetti positivi per garantire ai fumatori un’alternativa, meno rischiosa, al consumo di tabacco. Ma mentre si sta cercando una quadra legislativa tra Unione Europea e normativa italiana e si vuole capire se le sigarette elettroniche abbiano una valenza curativa, c’è conflitto di attribuzione su chi le deve vendere. La regolamentazione rimbalza da Unione Europea e stati nazionali. E l’Italia come al solito è nel caos. Secondo il commissario europeo alla Salute Tonio Borg la maggior parte

delle sigarette elettroniche sul mercato dovrebbe avere un’autorizzazione di tipo farmaceutico. In questo caso dovrebbe essere almeno come primo momento di distribuzione, la farmacia l’elemento distributore. Borg ha risposto ad un’interrogazione del parlamentare europeo Niccolò Rinaldi. Chiaro che è completamente assente l’analisi rischio-beneficio. Come potrebbe essere considerato prodotto farmaceutico è una questione che rimanda alla natura stesso del prodotto avente in sé qualità reali o presunte di modificazione in comportamenti atti a migliorare la propria salute. (Ciò perché se la sigaretta elettronica fosse considerato un semplice hobby non ci sarebbe bisogno di autorizzazioni farmaceutiche, solo l’attestazione di una non esponenziale dannosità per la salute). In tal senso Borg scrive e dice in una nota dell’agenzia Ansa: “buone prassi di fabbricazione” e quello “rispettare il sistema di farmacovigilanza dell’Ue”, e ancora, sempre secondo quanto riferito in una nota dell’agenzia Ansa: “Le sigarette elettroniche contenenti livelli di nicotina superiori a determinate soglie, identificate basandosi sul tenore di nicotina delle terapie sostitutive di tale sostanza che sono già state autorizzate all’immissione sul mercato dagli Stati membri, rientrerebbero nel quadro legislativo dei prodotti medicinali”. Beatrice Portinari

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REGIONE LAZIO

Trapianti nel Lazio, ci si organizza! Aperta su Facebook una postazione, per dire che “donare gli organi è un atto di amore”. Ma nel frattempo si deve pensare al rientro dal debito Necessario sia attivato l’accesso a terapie all’avanguardia per un ampio numero di pazienti del Lazio. Giovedì 25 luglio è stato presentato presso la Sala Aniene della Regione Lazio lo studio condotto dal Censis per l’Agenzia Regionale del Lazio per i Trapianti e le patologie connesse sulla possibilità di realizzare un laboratorio GMP (Good Manufactoring Practice) a Roma. Lo studio esamina la fattibilità nel Lazio di una Cell Factory per la produzione di tessuto cutaneo e cartilagineo. Al momento non ci sono strutture assimilabili in tutto il Centro-Sud e le aziende sanitarie e gli ospedali del Lazio sono costretti a rivolgersi a laboratori operanti nel Nord del Paese, con un evidente

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esborso di risorse del Servizio sanitario nazionale a beneficio di altri territori. Lo studio di fattibilità economica ha messo in luce come la realizzazione di una Cell Factory GMP ripagherebbe i propri costi di attivazione e di gestione in un periodo di attività di 5-7 anni. Nell’ente regione della Capitale si pensa anche al rientro del deficit sanitario. Al Lazio sono andati, solo per la Sanità, 832 milioni di euro. Lo stanziamento è destinato al 2013, a stabilirlo il Ministero dell’Economia e delle Finanze. L’obiettivo è quello di sempre: pagare i debiti del Servizio sanitario nazionale contratti nel Lazio. La Regione ha così ottenuto 45 milioni di euro aggiuntivi rispetto ai 786 milioni e 741 mila euro inizialmente assegnati.

Il contratto per l’anticipazione di liquidità da spendere a questo indirizzo è stato siglato l’11 luglio. Si potranno pagare i fornitori, dando nuova liquidità alle imprese che si muovono nel settore specifico della Sanità. Il presidente Nicola Zingaretti ha dichiarato: “Considero significativo che in questo caso, come anche per il contratto che ci ha visto attribuire nelle scorse settimane i 924 milioni per i debiti non sanitari la Regione Lazio sia arrivata alla stipula degli atti con il Ministero per prima, in segno di rispetto e di attenzione per le difficoltà che il sistema produttivo e il tessuto sociale che i nostri territori stanno attraversando”. Giovanna Visconti

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CURIOSITÀ

Anastacia vince il cancro per la seconda volta Lo ha annunciato su Twitter. La prima volta era stato nel 2003 Il nuovo tumore al seno l’aveva costretta a sospendere il tour, nel febbraio scorso. Ha quarantaquattro anni e dice con giusta esultanza, facendosi fotografare in posa da combattente, di esserne uscita. Secondo l’Airc (Associazione italiana ricerca cancro), il tumore al seno colpisce 1 donna su 8 nell’arco della vita. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 29 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne. È la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile, con un tasso di mortalità del 16 per cento di tutti i decessi per causa oncologica. La prevenzione è possibile. Sempre secondo l’Airc si possono ridurre i rischi di ammalarsi con un comportamento attento e con pochi esami di controllo elencati. È bene fare esercizio fisico e alimentarsi con pochi grassi e molti vegetali (frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori). Anche allattare i figli aiuta a combattere il tumore del seno, perché l’allattamento consente alla cellula del seno di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche.

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La mammografia è il metodo attualmente più efficace per la diagnosi precoce. L’Osservatorio nazionale screening, dipendente dal Ministero, suggerisce una mammografia ogni due anni, dai 50 ai 69 anni di età, ma la cadenza può variare a seconda delle considerazioni del medico sulla storia personale di ogni donna. Nelle donne che hanno avuto una madre o una sorella malata in genere si comincia prima, verso i 40-45 anni. Si tratta, di uno dei casi in cui la diagnostica è parte sostanziale della cura. Prendendo a campioni i dati italiani, perché solo in questo modo potremmo avere una stima orientabile effettivamente e una dimensione della malattia i cui esiti debbo esser visti con ottimismo, le donne con un tumore al seno diagnosticato in fase precoce hanno una probabilità di guarire sono 9 casi su 10. Passati cinque anni di verifiche, la malattia viene dichiarata sconfitta. I dati della sopravvivenza danno ovunque una proiezione di continuo miglioramento. Ma non bisogna mettersi la testa sotto la sabbia. Bisogna agire per tempo. La diagnosi precoce è fondamentale. Piccarda Donati

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Ospedale Regina Apostolorum Ospedale Regina Apostolorum Via San Francesco d'Assisi, 50 00041 Albano Laziale (Roma)

Dott. Enrico Scala

Allergologia e Immunologia Ospedale Regina Apostolorum

www.reginaapostolorum.com nfo@reginaapostolorum.it

CUP 06.93298000

Allergici si nasce… o ci si diventa? Di allergia si può morire o semplicemente “campar male”? Le allergie si curano? …passano? …possono tornare?

Quante volte incertezze ed angosce sono dovute a una cat-

tiva informazione o a errate convinzioni, mentre la consape-

volezza dei propri problemi e la conoscenza delle strategie per

affrontarli correttamente spesso risiede in semplici procedure,

che si trovano magari proprio dietro l’angolo!

Da oggi presso l’Ospedale Regina Apostolorum, in Albano,

è possibile effettuare un’indagine innovativa che permette di

diagnosticare - o escludere - allergie altrimenti non individua-

bili: il test ISAC. Con ISAC è possibile, infatti, studiare le al-

lergie tramite molecole e non estratti, rendendo più

approfondita la conoscenza del profilo di reattività IgE del pa-

ziente, aiutando a correggere comportamenti errati e a evitare prescrizioni terapeutiche inaccurate o non necessarie. Qualche esempio?

Le Allergie Alimentari (NON le intolleranze, per carità!).

un rischio solo in determinate circostanze o qualcosa di cui non curarsi affatto!

Altro esempio, le Allergie Ambientali. Succede talvolta che si

scelga di vaccinare un paziente, e dopo anni di costose terapie

non venga registrato alcun beneficio. Questo fallimento spesso è

legato, più che a una carenza del vaccino, a una errata diagnosi.

Prima di prescrivere un vaccino, infatti, bisogna sincerarsi del-

l’effettiva reattività alle molecole genuine di quella fonte biolo-

gica. È sempre più frequente il riscontro di positività a più

estratti allergenici, che, una volta studiati sotto il profilo mole-

colare, rivelano sorprendenti quadri di mono-reattività associata al riconoscimento di molecole (Polcalcine) presenti in tutti i pol-

lini. Più semplicemente, si può essere allergici ad una sola cosa

ma sembrare, con i test “classici”, positivi a tutto!

Che dire dell’allergia agli Acari della polvere? Talvolta si os-

Al giorno d’oggi dire ad una persona che è allergica alla pesca,

servano reazioni gravi dopo assunzione di crostacei (che degli

pesca. Magari solo un po’ di prurito in bocca se si mangia il me-

avviene solo in caso di reattività alle Tropomiosine, che la dia-

NON basta più! Potrebbe non esserci nessun problema con la lone, perché la positività alla pesca in realtà deriva dal ricono-

scimento di alcune proteine (Profiline) ubiquitarie nel mondo vegetale, ma non in grado di dare reazioni consistenti. Oppure,

la positività potrebbe essere seguita da una reazione, anche vio-

lenta, alla bocca, talora con gonfiori, pruriti locali, ma SOLO se

viene mangiato il frutto fresco, e non con succhi o marmellate,

perché la molecola responsabile (PR-10) è termolabile, non in

grado quindi di dare allergie una volta denaturata dalla cottura

o da trattamenti industriali.

Oppure, fortunatamente più raramente, la reattività alla pe-

acari, in quanto “artropodi” son lontani “parenti”), ma questo gnostica molecolare può evidenziare.

E parlando di Anisakis simplex, un nematode che può deter-

minare in caso di assunzione di pesce crudo (o non corretta-

mente “abbattuto”) sia infestazioni che vere e proprie reazioni

allergiche, ancora una volta, la positività all’estratto non basta per far diagnosi, mentre la presenza di IgE verso la molecola ge-

nuina Ani s 1, può essere determinante per riconoscere i pazienti

veramente allergici.

Gli esempi sarebbero innumerevoli (gli allergici al gatto in re-

altà allergici ai cani, quelli positivi al cane in realtà allergici alla

sca, potrebbe essere dovuta al riconoscimento delle “proteine

polvere, quelli allergici alle graminacee che sono positivi, ma

cora più severe in caso di assunzione di marmellate o succhi di

molecole glicidiche che sono positivi ma non allergici agli ime-

parole una stessa positività può significare un estremo pericolo,

rezza, basterebbe solo girare dietro l’angolo…

del trasferimento Lipidico”, con gravi reazioni sistemiche, an-

frutta, stante la stabilità di questo gruppo di molecole. In poche

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non allergici al lattice della gomma, quelli che hanno IgE verso

notteri e via dicendo), mentre talvolta per fare un po’ di chia-

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SPORT Più donne che uomini amano il fitness. Il gentil sesso vince col 69%. La metà hanno un’età compresa tra i 35 e i 54 anni. Ma allenarsi in palestra significa cose diverse tra loro. Il fitness si chiama stretching al 97% dei praticanti abituali, il balance training al 95%, il cardio (step e tapis roulant) arriva all’88%, Pilates al 74% e la nuova tendenza del fusion al 77%. Da questi numeri pubblicati da un importante centro di ricerca e monitoraggio degli Stati Uniti, si evince facilmente che gli affezionati della palestra seguono diverse discipline e diversificano. Il culturismo e il mito del fisico scolpito sembra segnare il passo sul primato del benessere fisico che si ottiene con piccoli, continui, esercizi ripetuti che si effettuano in tempi anche più prolungati. Ritorna lo sport inteso in senso più complesso dei movimenti. Come nell’antica Grecia: kettlebells. Ma l’apporto della tecnica appare sempre prominente: un mini-software stabilisce il livello di grasso e di muscoli. Quindi se il modo di allenarsi è cambiato, come per la cura dalla malattia, subentra una selezione sempre più soggettiva tra varie discipline. Ma il dogma dello sport per la cura della salute appare sempre più un dato indiscutibile. Questo vale anche per l’efficienza del cervello, come della reattività neurologica. In altri termini, lo sport praticato riaccende la mente. Arrivano altre conferme sull’attività sportiva per

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Cambia il fitness

La nuova tendenza che arriva dagli Stati Uniti privilegia la scelta personale tra vari tipi di allenamento la salute del cervello dal prestigioso periodico Journal of Neuroscience. Oramai è notorio. Lo sport è talmente celebrato in ogni notiziario sulla salute da farne un nuovo totem. La novità più sostanziale di questa ricerca però riguarda il fatto che l’attività fisica consente ai neuroni di non recedere. Una conferma per quanto riguarda la plasticità del muscolo cerebrale, in grado di adattarsi a stili di vita e alla tipologia di organismo che dà specifiche sollecitazioni. Si dirà: l’effetto generale dello sport nel funzionamento del cervello si ravvisa anche nelle esperienze più ordinarie. Non serve una sperimentazione coi topi per attestarlo. Ma il fatto di veder ottimizzare la funzionalità interna della struttura cerebrale, tanto da renderlo più reattivo alle sollecitazioni, consiste nella vera novità. Ma a dare conforto al partito dei detrattori della fatica è arrivato un articolo pubblicato su una prestigioso periodico di ricerca scientifica: Nature. Ma a ben vedere, non è tanto in quel che l’articolo dice, quanto nella traduzione pratica che è stata data degli effetti di una ricerca per la quale certi risultati sono raggiungibili con una pillola. Siamo ad un livello di ricerca iniziale servita più che altro a vedere se sussistono dei metodi per dare

soluzioni alla diabilità, ma il risultato della ricerca, molto volgarizzato, si è diffuso in tutto il mondo della rete e nei notiziari più conosciuti. Il farmaco si chiama Rev-erb-alpha. Con questo farmaco il corpo consuma ossigeno, abbassa il colesterolo, aumenta il metabolismo. Controlla l’alternarsi di veglia e riposo. Non è uno spot. Si tratta dell’ulteriore applicazione di una ricerca che già aveva dato buoni frutti in precedenza. Le sperimentazioni sui piccoli amici roditori hanno dimostrato una loro maggiore attività fisica, una volta somministrato il farmaco. La formulazione chimica, se confermati gli effetti, postrebbe essere una grande risposta per coloro che hanno disabilità temporanee o definitive. Un modo per non avere contro-effetti in altri valori corporei. E d’altra parte, diciamolo, consiste nella vittoria finale dei pigri, degli ironici, di coloro che deridevano gli amici attenti alla palestra, al fitness, all’esercizio dimagrante. Ma prima di far sognare i pigri professionali, un problema legato al legame tra pillole e attività sportiva è dato dagli integratori alimentari. Il mercato di questi prodotti registra da anni un incremento costante: dai dati che ci sono stati forniti dalle associazioni di caw w w .ci tta d i ni es a l ute.i t


per la salute

con pesi più leggeri. Ma attenzione a non tentare scorciatoie con cattivi integratori tegoria del settore risulta che da giugno 2012 a maggio di quest’anno il mercato degli integratori ha sviluppato un valore pari a 1.939,5 milioni di euro (+4,5% rispetto all’anno precedente) per un totale di 142,8 milioni di confezioni vendute (+4,7% rispetto all’anno precedente). Da un lato questo dato ci conforta, perché è indice di un settore che subisce meno degli altri l’attuale situazione economica, dall’altro ci spinge a dedicare la massima attenzione alla sicurezza dei prodotti sul mercato. L’alimentazione, se conforme a corrette abitudini, fornisce tutti i nutrienti necessari per praticare sport in modo adeguato. Gli integratori nel novanta per cento dei casi non servono. Anzi, sono dannosi. Si tratta quasi sempre di com-

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posti di minerali oppure si tratta di vitamine o aminoacidi (proteine). Spesso si presentano come bibite energetiche o estratti vegetali. Prenderli alla cieca significa farsi del male denunciano una sostanziale pigrizia per non saper attendere i tempi giusti che consentono di arrivare a determinati obiettivi. Quindi, se proprio si decide di alimentarsi in questo modo, è bene consultare un nutrizionista. Il problema è che per molti prodotti di questo tipo ancora non esiste un’attenta casistica dei tipi di reattività, essendo spesso produzioni lanciate sul mercato allo scopo di avere il primato della performance chimico-nutrizionale. Difficilmente, a meno che non si tratti di prodotti molto consolidati e acquistabili in farmacia, si tratta di so-

stanze i cui possibili effetti sono stati sperimentati interamente. Bisogna, quindi, fare molta attenzione nel comprare questi prodotti in palestra o dall’amico ben informato. Ma in molti casi non è neanche i il problema del prodotto in sé, bensì delle quantità ingerite per fare incetta di una misura energetica in grado di anticipare le tappe dell’allenamento. Questo non assolve il prodotto in sé perché la cultura del prodotto nasce proprio in questa ansia da performance superficiale: mostrare un colpo scolpito anche se non sono stati raggiunti i gradini per arrivare a determinati risultati. L’obiettivo di questo tipo di prodotti, almeno i più leciti, consiste nell’aiutare il corpo ad alzare il metabolismo dei meccanismi che partecipano alla produzione di ATP, che è l’energia delle cellule. Parliamo di prodotti legali. Il problema è che anche questo tipo di integratori minano il concetto di competizione leale e sono vietati da ogni federazione sportiva. Alagia Fleschi

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CURIOSITÀ

Gli occhi di Maradona

Operato per presbiopia il più grande calciatore di tutti i tempi. Notevolmente avanzate le tecniche, ma spesso gli effetti non sono per sempre Non avremmo mai potuto accettare il “Pibe de Oro” con gli occhialetti. Quell’angelo dalla faccia sporca inventore di Football, amato e odiato con la stessa intensità, si è sottoposto ad un intervento per correggere la presbiopia. L’intervento si è svolto nella clinica di Mendoza, sul versante orientale delle Ande argentine. La grandezza di questo personaggio consiste, ancor oggi, di far diventare notizia ogni sua attività che esce dall’ordinario anche se si tratta di deviazione dovuta alla tutela della salute. Non si conoscono i motivi per cui Maradona abbia fatto questa scelta non accettando così l’incedere degli anni che riguarda ogni persona sopra i cinquanta. Né perché se ne sia data notizia. Non appaiono estremi di pubblicità per l’istituto di cura che eseguirà il piccolo intervento. Maradona è Maradona. E tutto quel che fa si cosparge di un’aura da personaggio nefando e terribile. Maradona ha 53 anni. La presbiopia, in media, inizia a dare i suoi cenni con la difficile lettura da vicino quando si sono superati i quaranta anni di età. La presbiopia oggi si tratta con diversi tipi di correzione chirurgica. Ci sono quattro modi di intervenire chirurgicamente. Effettivamente utili sono tre.

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La prima attraverso lenti intraoculari accomodative o multifocali diffrattive. Si tratta della misura più efficace ma non è per tutti. Il paziente tipo non deve avere un astigmatismo molto forte e la sua pupilla non deve superare i sei millimetri. Il buon esito e l’effetto dell’intervento ha una durata variabile, a seconda dall’età del paziente. In sostanza la sua buona riuscita dipende dalla capacità di contrarsi del muscolo ciliare. Un altro trattamento molto praticato consiste nel laser ad eccimeri fotoablativo multifocale. Questa metodica implica un trattamento laser che copre solo il 15% dell’area pupillare. In questo caso la pupilla deve oscillare da due a sei millimetri. Il buon esito però si affievolisce negli anni. In alcuni casi che non riescono ad essere previsti c’è l’incapacità di utilizzare la visione multifocale, filtrando le immagini di disturbo. Il terzo metodo consiste nell’incurvare la cornea con bruciature laser. Si effettuano sulla circonferenza della cornea più esterna che si trova tra sei e nove millimetri dal centro. Ma anche questo metodo che si chiama Cheroplastica conduttiva dura appena due anni, in media. Dolcino da Novara

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ATTUALITÀ

Si torna alla Sanità per pochi

Il risultato del XVI Rapporto Pit Salute predisposto da Cittadinanza Attiva. La Sanità deve tematizzare l’apporto indispensabile della tecnologia nella sua produttività Più di mille euro spesi di tasca propria per i farmaci, altri novecento per avere prodotti di qualità o in quantità accettabili se si ha bisogno di protesi o altri ausili. Se poi si ha la necessità di accudire un familiare anziano, occorrono 14 mila euro per assisterlo in una struttura residenziale o, in alternativa, 8 mila e più per avvalersi ai servizi di una badante. Il rapporto 2013 è stato elaborato con le 27.491 segnalazioni pervenute nel 2012 agli sportelli Pit Salute da parte dei cittadini. Il protagonista è il farmaco. I cittadini sono costretti a pagare una differenza di prezzo maggiore tra il generico e il griffato. I pazienti, in particolare quelli affetti da patologia cronica e rara, devono pagare di tasca propria farmaci in fascia C, arrivando a spendere in media all’anno 1.127 euro, o parafarmaci (1.297 euro), nonostante siano per loro indispensabili e insostituibili, e ne debbano fare uso per tutta la vita. Dopo i farmaci, il problema più segnalato (nel 24,4% dei casi) sono le prestazioni in intramoenia, quelle pagate privatamente dai cittadini perché erogate dai medici del Ssn in regime libero w w w .ci tta d i ni es a l ute.i t

professionale, alle quali si è spesso costretti a ricorrere per evitare liste d’attesa di mesi e mesi che rischierebbero di compromettere irrimediabilmente le cure. Al terzo posto i ticket su diagnostica e specialistica (16,3% delle segnalazioni). In termini di gravosità economica, va quindi ricordata l’assistenza protesica e integrativa (6,9% delle segnalazioni): i cittadini sono costretti a pagare in media fino a 944 euro annui per avere prodotti di qualità o in quantità accettabili. Ma anche l’accesso gratuito a dispositivi innovativi, personalizzati e di qualità è risultato in pratica interdetto ai cittadini: per ottenerli, è necessario pagare di tasca propria cifre davvero elevate. I pazienti stomizzati, ad esempio, sono costretti a utilizzare dispositivi di qualità scadente, con pesanti ricadute sullo stato di salute e sulla qualità della vita ma anche - e il dato appare paradossale - con conseguenti, elevati costi aggiuntivi per il Ssn. Quando poi in una famiglia è presente un invalido un anziano o una persona non autosufficiente, osserva il rapporto, i problemi crescono esponenzialmente: strutture residenziali dai costi esorbitanti (problema indicato nel 7,6% delle segnalazioni), per le quali i cittadini arrivano a pa-

gare in media all’anno 14 mila euro. Gli assegni di cura eliminati o ridotti drasticamente negli importi e l’insufficiente assistenza domiciliare costringono le famiglie a rivolgersi a badanti privati, determinando un aggravio di costi notevole che arriva in media a circa 8.500 euro annui. In sostanza, non c’era bisogno di un altro studio per confermare una realtà che oramai è semplicemente alla portata di tutti. Il sistema universalistico sul quale si spende la Costituzione repubblicana è rimasto alle secche dei primi decenni della sua storia. Quando sono intervenuti livelli sempre più alti di tecnologia con la quale effettuare cure adeguate, quando ci si è attardati a trovare un governo adatto al sistema sanitario, senza averlo ancora trovato, le spese eccessive, i doppioni in termini di tipo di prestazioni nei singoli territori, sono l’effetto che si doveva prevedere. Altro discorso riguarda, invece, l’aggiornamento tecnologico dei sistemi di cura attraverso i quali non si dà Sanità nel terzo millennio. Il momento in cui le prestazioni di queste macchine saranno appannaggio di coloro che possono pagare non si calcano gli effetti per il degrado del sistema paese. Pia de’ Tolomei

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CURIOSITÀ

Il cuore che fa morire

Le affezioni cardiache restano la prima causa di morte. Un dato che contrasta coi grandi risultati tecnologici ottenuti in cardiologia. Ma una difesa d’ufficio per i cardiologi c’è Cinquantacinque milioni di morti in un anno per causa del cuore. I dati censiti sono quelli del 2011. Responsabile, anche, cattiva alimentazione, vita sedentaria, vizio del fumo e alcol, quel che più impressiona è che dopo cinquanta anni di campagne pubblicitarie per la diffusione della conoscenza sulle prime cause di morte resti invariato il primato alla pompa cardiaca. Prima causa, ischemia cardiaca. Di questa affezione muoiono sono morte 7,1 milioni di persone nell’anno registrato. Al secondo posto dell’inquietante classifica c’è l’ictus (6,2) e le infezioni respiratorie (3,2) con le broncopneumopatie al quarto posto. La malattie cardiache costituivano l’11,2% delle morti nel 2000, “fetta” che ora è aumentata al 12,9, e lo stesso andamento hanno avuto gli ictus, dal 10,6 all’11,4%. Esce dai primi dieci anni, la tubercolosi. Salgono i tumori, il diabete e gli incidenti stradali. Nell’ordine: settimo, ottavo e nono posto. Anche l’Aids, con 1,7 milioni di vittime l’anno, ha una sua configurazione come malattia grave e ordinaria.

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Entra in classifica, al decimo posto, anche la voce incidenti stradali, che sono causa di morte, ogni giorno, per 3.500 persone nel mondo con un totale di 1,3 milioni pari al 2,3% tra il complessivo delle cause dei decessi. È chiaro che i grandi progressi sia in sede chirurgica che in sede diagnostica hanno dato un grande sostegno ai sistemi di cura cardiologica. Non si spiega diversamente questo triste primato delle malattie cardiologiche. D’altra parte è pur vero che questa dissertazione potrebbe essere un nonsense perché essendo il cuore il centro nevralgico del sistema di vita ad esso si attribuiscono le diverse cause di decesso. Le statistiche dovrebbero esser ben lette e interpretate per capire se in ogni caso così registrato la causa del decesso debba attribuirsi effettivamente a natura cardiopatica. Altro argomento a sostegno del lavoro dei cardiologi consiste nel fatto che i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità riguardando la maggior parte del sistema terraqueo non tengono a sufficiente conto delle condizioni nelle quali si muovono i sistemi sanitari di società avanzate tecnologicamente. Vanni Fucci

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CURIOSITÀ

Riabilitate le sigarette?

Particolato atmosferico contribuisce all’incidenza del cancro al polmone in Europa Anni fa era stato un grande comico a preconizzare una conoscenza di questo tipo. Si trattava di una battuta umoristica per dipingere il suo pessimismo comico anche in caso di notizia positiva. “E se nel 2315 ci svegliassimo per sentirci raccontare che il fumo non aveva mai fatto male a nessuno?” Non possiamo dire di essersi avvicinati neanche lontanamente a questa conclusione, ma è possibile che gli effetti cancerogeni del fumo siano ridimensionati e proprio per l’organo al quale evidentemente la cattiva abitudine procura più danni: i polmoni. Quindi, forse, si era puntato l’indice accusatore alle sigarette in modo forse eccessivo. Le sigarette portano gravi danni, ma non sono la causa maggiore di affezioni cancerose al polmone. Lo dice uno studio europeo molto approfondito che coinvolge trecentomila persone. Si attesta che la più alta concentrazione di inquinanti nell’aria rischia di esser causa di un tumore al polmone. Si tratta di una ricerca molto attenta e particolareggiata, non delle tesi di giovani ricercatori facilmente divulgabili nei sistemi di comunicazione.

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I casi di tumore sono stati analizzati in relazione all’inquinamento atmosferico a cui erano soggetti le persone analizzate. L’inquinamento da polveri sottili tossiche (particolato PM 10 e PM 2,5) ha rilevato che ogni incremento di dieci microgrammi di PM 10 per metro cubo presenti nell’aria comporta una crescita del rischio di tumore al polmone di circa il 22%. Tale percentuale sale al 51% per una particolare tipologia di tumore, l’adenocarcinoma. Particolarmente penalizzate le persone stanziali che vivono a ridosso di aree specificamente inquinate. E non bisogna certo essere fumatori per contrarre questa malattia. Basta respirare aria cattiva. Ma d’altro canto il fumo è additato come causa di cancro anche quando il senso comune ascrive motivazioni determinate dall’aria che si respira. È il caso dell’Ilva di Taranto dove nella relazione del commissario Enrico Bondi pubblicata il 14 luglio sui giornali si ascrive al fumo di sigarette e all’alcol il numero di tumori superiore alla media nella provincia di Brindisi. La cosa ha chiaramente generato polemiche, ma non per difesa delle sigarette bensì dalla motivazione in totale controtendenza. Pia de’ Tolomei

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“Fermate il Metodo Stamina!” A scriverlo in un editoriale è il periodico Nature. “Vannoni non è un medico qualificato, ma un docente di Psicologia Generale presso l’Università di Udine. (…) Egli respinge l’unico vero test finora della sua terapia, dai medici di Trieste, dicendo che l’esito è stato negativo perché hanno usato GMP”. In quintessenza è il contenuto dell’editoriale pubblicato dal prestigioso periodico scientifico inglese il 9 luglio. “Qualsiasi terapia in uno studio clinico richiede molta più trasparenza. Ha anche bisogno di una solida base teorica per il motivo per cui dovrebbe funzionare, sostenuta da prove scientifiche, sia pubblicato o presentato in modo confidenziale per l’autorità competente, l’Agenzia Italiana del Farmaco. Vannoni non ha fornito questo. Infatti, non vi è alcuna prova convincente in letteratura che evidenzia come le cellule staminali mesenchimali presenti nel midollo osseo che possono generare osso, cartilagine, grasso, possano produrre nervo o qualsiasi altro tipo di cellula alla base della sua cura”. E poi gli inglesi ci vanno giù pesante, me per definire il metodo italiano, più che il Metodo Stamina. “La sperimentazione umana non è eticamente giustificata per risolvere differenze giuridiche di opinione”. Il dibattito che imperversa è solo all’inizio. Sì, perché sulla bontà del cosiddetto metodo Stamina non ci sono risultati fede-degni, ma di parole se ne producono a dismisura. Su questo abbrivio di un dibattito che imperverserà per almeno tre mesi, il 10 luglio sanitario si è caratterizzato sulla prima accensione delle micce contro il cosiddetto Metodo Stamina.

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Il primo a parlare, ma in modo ecumenico, è il presidente della commissione Sanità al Senato, Luigi D’Ambrosio Lettieri (Pdl). “Proprio in considerazione del fatto che la chiarezza sul rapporto rischio-beneficio e la introduzione di protocolli sicuri per l’uso di cellule staminali mesenchimali nella cura di malattie inguaribili - ha detto il senatore - ci auguriamo che a breve sia accolta la richiesta di svolgimento di una indagine conoscitiva sull’argomento depositata, a nome del gruppo Pdl, in Commissione Sanità”. Esce dal distacco il ministro della Salute Beatrice Lorenzin parlando di sperimentazione di un metodo privo di ogni evidenza scientifica che ha esposto le decisioni assunte al riguardo dalle autorità sanitarie del nostro Paese alle critiche unanimi della comunità scientifica internazionale. Ed anche l’ex ministro e onocologo Umberto Veronesi a dare la voce dell’autorevolezza che non salva nessuno. Tantomeno il governo che colpevolizza quando parla di “consueto vizio di dare ascolto alla piazza”. Stigmatizza la decisione di finanziare questa ricerca nonostante “le serie perplessità” sul metodo Stamina espresse da tutto il mondo scientifico internazionale. “Penso che dovrebbe condividere con la scienza regole limpide e precise. Invece no”, sostiene l’oncologo. “Si ripete per la cura con cellule staminali lo stesso canovaccio delle vicende Bonifacio e Di Bella. I giudici che entrano a gamba tesa per far ottenere la cura alle famiglie, un magistrato che invece scoperchia retroscena inquietanti”. C’è da dire altro?

Angelo Nardi

Mensile di informazione Socio-Sanitaria Editore e Direttore Generale Mario Dionisi Direttore Responsabile Angelo Nardi Redazione Via Carlo Del Prete, 6 Tel. 0774.081389 Stampa Fotolito Moggio strada Galli, 5 Villa Adriana (Roma). Registrazione n. 31 del 29/06/2010 presso il Tribunale di Tivoli. Tutte le collaborazioni sono considerate a titolo gratuito, salvo accordi scritti con l’editore. Tutto il materiale cartaceo e fotografico consegnato alla redazione, non verrà restituito. Chiuso il 01/08/2013

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