Faip2014 elisabetta giordano

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LUMH – F.A.I.P. Verso la Matrice d’Eccellenza

LE MIE RADICI DI DONNA … “la migliore espressione di ciò che io sono” di Elisabetta Giordano

Tesi di Esame Counselour Pedagogico Relazionale Ischia 24 – 25 Agosto 2014


Relatori: Dott.ssa Liliana Minutoli Dott.ssa Donatella SalvĂ Dott.ssa Annamaria Prinzivalli

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INDICE

1. Ipotesi per un ritorno a casa 2. Uno sguardo al vissuto inconsapevole 3. Aprirsi alla Consapevolezza 4. Ruoli Empirici di riferimento e loro alterazioni

5. Riconoscersi nella Metamorfosi 6. Un esempio di Amore

7. Perdonarsi e perdonare 8. Verso la Matrice d’Eccellenza

9. Conclusioni 10. Progetto Sperimentazione Counseling 2


Queste pagine sono dedicate a mio padre che con il suo silenzioso, paziente, costante esempio ha inciso nel mio cuore il senso profondo dell’Amore tracciando tanti anni fa la strada per un mio possibile ritorno a casa!

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GRATITUDINE In queste pagine che seguono, vi è il concentrato di tre anni di percorso, iniziato per caso... per offrirmi una nuova opportunità professionale, un'alternativa ad un lavoro non scelto e poco in sintonia con me. Un percorso che si è invece manifestato, rivelato con gioia, una incredibile opportunità di crescita personale, un viaggio dell'anima e del corpo alla ricerca delle mie radici di donna, della mia vera essenza, del mio diritto di genere, della mia Matrice d'Eccellenza... Durante il viaggio tanti compagni, tante altre anime in cerca di sé, che hanno accompagnato questa ricerca di nuove terre sulle quali vivere, sentire e sperimentare un nuovo fluire. Altri invece l’hanno amorevolmente guidata e permessa. Ed è a tutti loro che desidero offrire un pensiero. A Liliana che mi ha accolto senza riserve, sin dal mio ingresso nel percorso. A Donatella delicata, discreta, concreta presenza della quale, ricordo indelebile, resta l'abbraccio alla fine della prima attività di seminario che annientò tutte le mie certezze.

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A Filippa che come uno specchio ha rimandato parti di me ancora sconosciute. A Giacoma, per i nostri “confronti”, occasione di riflessione sul nostro lato Yang. A Giosuè, per la delicatezza del suo essere e la tenerezza dei suoi abbracci nei quali mi sono spesso consolata. A Giuseppe che mi ha aiutato a riscoprire la mia femminilità… la mia “leggerezza di farfalla”. A Maria Concetta, il mio adorato piccolo grillo, che in questi anni ho visto sbocciare come un fiore a primavera. A Maria Giovanna, per i suoi occhi spesso lucidi che mi hanno sussurrato più di mille parole. A Oriana, per la sua anima che piano piano in questi anni ha smesso di bisbigliare e adesso canta. A Samanda che all'inizio ho sentito tanto figlia e che oggi sento amica preziosa. A Sofia, silenziosa e schiva creatura, dalla quale ho imparato ad andare oltre le apparenze. A tutti voi va la mia gratitudine ed il mio nuovo modo di sentire l'Amore.

Elisabetta

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Prefazione Questi tre anni, sono stati come un'opera di bonifica al mio giardino interiore, ridotto ormai ad un cumulo di sterpaglie, dove nessun fiore poteva trovare spazio per fiorire, nessun insetto veniva a portare il suo colore. Da tempo ormai lo osservavo da lontano, senza trovare la forza e la voglia di sistemarlo... di ridargli il suo senso. Poi un giorno, spinta dalla necessità di uno spazio “in natura” per me... ho iniziato! Scavare e ripulire, mi ha affaticato in principio... spesso mi sono dovuta fermare. Mi sono chiesta più volte, se ormai ne valesse la pena. Fra sassi, terriccio e sterpaglie ho trovato di tutto. Vecchi dolori dimenticati dalla mente ma non dal cuore, disegni scoloriti e bruciacchiati di vecchi progetti andati in fumo, foto sbiadite di persone incontrate e mai conosciute veramente, ricordi ormai dimenticati, vecchi semi che non avevano mai potuto germogliare per mancanza di luce e cura. Ma in mezzo a tanta desolazione, anche e soprattutto, tesori preziosi, che stavano lì da sempre, che non avevo mai immaginato potessero esserci. Tutto era lì, in attesa da anni, di essere riportato alla luce. E in primavera, approfittando della mia ritrovata energia, ho finalmente iniziato a seminare! Ed oggi, che tanti verdi germogli e colorati boccioli, ricoprono e colorano il mio nuovo giardino... sdraiata sulla fresca erba, respiro forte… sento il brusio degli insetti, il vento muove i miei pensieri e mi godo in amore il frutto di tanta meravigliosa fatica!

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Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente sé stessa e percepisce la propria vita. (Hermann Hesse)

1. IPOTESI PER UN RITORNO A CASA

L'amore porta di accesso al libero fluire… …strada di ritorno alla mia Matrice d’Eccellenza

Oggi so essere vero, quel che afferma il prof. M. Hardy: che iniziamo ad accumulare, ciò che egli definisce un "debito empirico", per mancanza di amore o per una insufficiente qualità d'amore, che ci viene offerta dai nostri genitori nei primi anni della nostra vita. So anche, che è proprio questa assente o insufficiente qualità d'amore che, piano piano, giorno dopo giorno, ci fa deviare dal nostro stato d'eccellenza iniziale, da quando veniamo al mondo, piccoli e puri, in attesa, in "richiesta" di amore. Ed allora, alla luce di questa consapevolezza, mi sento di affermare che la chiave, la porta di accesso, la via, per "ritornare a casa”, alla mia Matrice d’ Eccellenza, è l'amore!!!

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Mi viene da pensare infatti, ai rimedi omeopatici: la malattia viene curata, introducendo in dosi infinitesimali, qualcosa, che ha a che fare con la malattia stessa, con ciò che l'ha generata, qualcosa che ha la stessa Matrice. Ed allora supportata da ciò che ho e sto ancora sperimentando, alla luce delle mie nuove consapevolezze, mi sento di affermare che, per riprendermi tutto ciò che mi appartiene per "diritto empirico", per tornare a me, alla mia parte più autentica, io posso accedervi soltanto attraverso l'amore. Ma non più con l'amore che mi arriva da altri, non sono più una bambina, non posso più stare qui ad aspettare che l'amore arrivi da fuori, per guarirmi o per riscattare il mio debito. Adesso io l'amore lo voglio e lo posso agire verso di me, dando un nuovo senso al vuoto che c'era e che adesso sono in grado di riempire. Perché, attraverso l'amore per me, imparo ad amare in modo “sano” anche al di fuori di me... gli altri, e posso sentire l'amore degli altri non più come un bisogno, ma come una libera scelta del cuore e una libera scelta dell’altro. Ed è così che l'amore acquista una diversa "qualità", un'altra consistenza, e diventa il nuovo "indicatore" della strada che sto percorrendo per tornare a me. Ed è attraverso l'amore per me, attraverso le sue nuove qualità… attraverso l'amore nella sua reale, vera, massima espressione, che posso permettermi di guardare al mio "zainetto", ai miei "debiti", ai miei dolori, in modo diverso. Attraverso l'amore per me, elimino il bisogno, smetto di sentirmi abbandonata... vittima, inizio a riconoscere la mia luce, persa nell'ombra, alla quale ho permesso di prendere il sopravvento. Sento la grandezza di ciò che sono e di tanto altro che posso ancora essere, la mia sacralità... e questo mi dà fiducia, mi dà la forza necessaria per potere guardare con occhi diversi, a tutto ciò che di doloroso e pesante ho accumulato in tanti anni. Ed è questa diversa qualità d'amore, a rendere più leggera anche l'assunzione delle mie responsabilità, il farmi carico del mio “debito”, che per quanto non generato da me, anche se generato dalla cattiva qualità d'amore ricevuta dai miei genitori, adesso mi appartiene... "è roba mia"... e dare la colpa ad altri, non mi serve, né mi basta più. Risalire al primo generatore di questo debito, partendo dai miei genitori, mi porterebbe su una strada a ritroso che non è più funzionale a ciò che 8


desidero per me, ed anzi mi fa guardare a chi mi ha preceduto, a chi ha lasciato dietro di sé questa pesante eredità (genitori, nonni, bisnonni ...) con compassione e amore, perché adesso so che loro non hanno avuto la mia opportunità e perché no... anche il mio coraggio! E alla luce di questa nuova consapevolezza, di questo nuovo sentire, la responsabilità posso prendermela io, senza sentirmi per questo appesantita, piegata, perché adesso so che la responsabilità non è un peso, non è qualcosa che passivamente accetto, non mi viene “addossata” da altri. La responsabilità è un mio atto attivo. Sono io che prendo in carico, per libera scelta, qualcosa che pur generata da altri è stata mantenuta e accresciuta da me, con il mio non vedere, con il mio vedere e rimuovere, con le mie strategie funzionali al non soffrire, al non “farmi carico” quando sarebbe stato il momento. Nel mio nuovo sentire, attraverso la mia acquisita consapevolezza, presente allo scorrere più o meno fluido della mia esistenza, sento che tutto ciò che porto nel gioco, per quanto generato da altri, oggi dipende da me; questo mi permette di agire un cambiamento, anzi una trasformazione, lenta, con pause più o meno lunghe, ma costante e determinata, per affrancarmi anche se, probabilmente solo in parte, dal debito che ho accumulato; cercando di vivere in sintonia con l'ordine delle cose, con il mio autentico sentire, nel mio ruolo naturalmente predisposto per me... donna! Ed è ancora attraverso l'amore per me, che ogni giorno imparo a preservarmi da ciò che mi allontana dal mio stato naturale, dal mio libero fluire, e mi apro a ciò che l’Ordine mi consente, mi dà il diritto di essere; “ancorandomi" con naturale amorevolezza a ciò che non mi fa fatica agire, a ciò che è sano per me. Non è più necessario che mi sforzi, per sostenere "ruoli" e "compiti" che non mi appartengono, non mi sono richiesti; non "devo" essere ciò che non sono, non "devo" mettere in scena qualcosa di diverso da me; ciò che è in sintonia con la mia anima è la sola cosa giusta. Soltanto così, permetto a lei, alla mia anima di non arrendersi, di non morire, di non cedere il suo potere, le permetto di assaporare quella pace, quel rilassato e morbido vivere che le appartiene per diritto di genere. Non le faccio combattere battaglie interiori alla conquista di ruoli e modelli difformi al suo "essere"... io e lei siamo la stessa cosa! Nel "libero fluire", ciò che sento di agire è nell'ordine naturale delle cose.

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Le mie parti luce e ombra convivono in armonia: l'amore come il senso di abbandono, la gioia come la tristezza, il coraggio come la paura, permettendomi di volta in volta di accogliere ogni parte di me. Ed ogni mio stato e presenza e consapevolezza, mi danno il senso, il segnale, “l'indicazione”, di dove mi trovo, permettendomi di tornare a me ogni volta che sarà necessario e richiesto perché funzionale alla situazione. Ed in questo "libero fluire", che porta già in sé, come un suono onomatopeico... questo ondeggiare, questa morbida risacca... che mi culla, mi rasserena, mi fa sentire al sicuro, al giusto posto, io posso essere me stessa… "la migliore espressione di ciò che io sono".

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L'inconsapevolezza dell'essere porta l'uomo a non riconoscere ciò che è. Antonio De Santis

2. UNO SGUARDO AL VISSUTO INCONSAPEVOLE

Si procede per anni, nella inconsapevole convinzione di vivere nell’unico modo possibile e di portare avanti il proprio “progetto di vita”. Si nasce più o meno voluti, in una famiglia più o meno “normale”, si cresce, ci si innamora, ci si sposa, si fanno dei figli, si lavora, ci si relaziona quotidianamente con altri che come noi vivono più o meno con le stesse modalità, anche loro più o meno inconsapevolmente convinti di portare avanti il progetto della loro vita. Tutto sembra nella norma, ci sembra di “scegliere” e seguire un processo tanto fisiologico quanto ineluttabile di avanzamento, di realizzazione, tutti

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protesi verso un futuro più o meno programmato, verso aspirazioni, speranze, aspettative, sogni. Poi più o meno improvvisamente, qualcosa di forte o anche no, un conflitto, una separazione, un abbandono o semplicemente un senso latente di insoddisfazione, oppure un sottile malessere o una rabbia incontenibile, o ancora la paura, l’ansia, ci comunicano in maniera più o meno comprensibile per noi che qualcosa non va, che qualcosa non è come avevamo pensato “dovesse” essere o come avevamo previsto “dovesse” evolversi. Ed improvvisamente tutto ciò che fino a quel momento dava almeno in apparenza un significato alla nostra esistenza, perde il suo senso, lasciandoci in un vuoto spaventoso. E dire che durante questi anni percorsi in fretta, protesi in avanti, protesi verso… proprio a te, di piccoli o grandi segni ne sono arrivati, è solo che non gli hai dato peso, un po’ perché non li hai avvertiti o letti per ciò che erano, un po’ perché quando poi li hai intravisti ti hanno fatto paura, hai pensato che non dandogli peso e ascolto, così come erano arrivati se ne sarebbero andati, lasciandoti in pace a continuare la tua vita, la tua corsa. Infine quando accumulandosi, strada facendo, hanno cominciato a pesare, hai iniziato ad "allenarti” per resistere alla fatica, mettendo in atto una serie di strategie che pur aumentando apparentemente la tua forza nel “sopportare”, ti toglievano ogni giorno qualcosa di tuo, un tuo preciso diritto/dovere… il tuo diritto alla felicità, all’armonia, i tuoi diritti di genere. Hai iniziato allora a cercare, con la mente, i motivi di quello che cominciavi a vedere sempre più come un fallimento; hai cercato sempre con la mente, di comprendere dove avevi sbagliato, quale “destino” ti era stato nemico, quale “sfortuna”, “disgrazia” ti fosse capitata, e perché proprio a te! E da questa apparente presa di coscienza ancora personale non empirica, limitata inizialmente solo ad una elaborazione mentale, ha cominciato ad innescarsi un processo di ricerca, o meglio tanti processi di disamina e ricerca delle cause che avessero potuto determinare ciò che in quel momento era nella tua vita, ciò che era la tua vita, ma soprattutto ciò che eri tu! Non ancora però una presa di coscienza vera, autentica, legata al tuo “sentire” profondo, di cosa sia accaduto, perché tu del "sentire" non sai ancora proprio niente; per te è ancora un concetto limitato all' "udire", neanche all’ascolto, magari udire con un po’ più di attenzione, ma con le “orecchie”.

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Ancora del tempo è dovuto trascorrere, altri dolori e "sfortune" hanno dovuto invadere la tua vita, hai dovuto cedere del tutto il tuo "potere", ogni meravigliosa parte di te, ogni tuo diritto di genere. Ti sei ritrovata a vivere in un ruolo non tuo, a fare i conti con emozioni, sensazioni del corpo e dell'anima non in armonia con te, ed hai iniziato a “capire”, non ancora “comprendere”, quanto realmente ti fossi allontanata dal tuo reale “essere”, dal tuo vero progetto di vita, da ciò che scoprirai più avanti essere: qualcosa al di sopra di te, al di là delle tue convinzioni fino ad oggi, ovvero ciò che un ordine” ben preciso ha previsto per te. Per anni questo processo è stato come un girare su te stessa, ripercorrendo sempre gli stessi schemi mentali, come un solco inciso su un disco, cercando sempre un colpevole cui attribuire le cause di questa infelicità di questo malessere, pensando di essere vittima di qualcuno o di qualcosa. Quello che allora pensavi essere “felicità”, continuavi a cercarlo al di fuori di te, negli altri, nelle cose… ovunque, tranne che in te. Quanti anni passati così, in un torpore, in un limbo, dove tutto sembrava passarti accanto, senza mai entrarti dentro, senza mai viverlo realmente. Oggi comprendi il perché della quasi totale assenza di ricordi, non è un fatto legato a carenza di memoria, come hai creduto per anni, ma bensì al non essere stata dentro le cose che accadevano, le vivevi da spettatrice, non le “costruivi”, lasciavi che accadessero, senza mai partecipare al progetto. Non hai mai pensato che le cause, non fossero da ricercare in ciò che stava attraversando la tua vita in quel preciso momento, ma che potessero venire da molto lontano, sin dai tuoi primi momenti di vita. E quindi continuavi a guardarti intorno, tentando di “sviscerare” le ragioni dell’accadimento del momento. Chissà per quanti anni ancora tutto ciò sarebbe andato avanti così, se improvvisamente la vita non ti avesse offerto la possibilità di aprirti ad altro, di cominciare a guardare a tutto ciò con altri occhi, con altri strumenti, da un’altra prospettiva. E’ stata ancora una volta l’insoddisfazione, la tua non realizzazione nel lavoro a farti ricercare una strada diversa; e per la prima volta, piuttosto che “piangerti addosso”, hai iniziato a progettare e costruire con le tue mani qualcosa per te, dando “ascolto” a ciò che desideravi in quel momento. Altro. Ed è stato così che hai incontrato il Prof. M. Hardy e la sua scuola di Counseling.

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Dapprima nella tua assoluta inconsapevolezza hai pensato si trattasse di un semplice corso di studi, che potesse abilitarti ad una professione che sentivi comunque in sintonia con ciò che ti sarebbe piaciuto fare: essere di aiuto agli altri. Già in passato avevi sentito forte questa spinta, tanto da dedicarti per alcuni anni al volontariato in ospedale, appoggiandoti ad una comunità religiosa con la quale avevi condiviso anche il percorso spirituale. Ma tutto ciò senza pensare minimamente al fatto che, per poter guidare qualcuno, sostenerlo, aiutarlo a trovare in sé risorse per affrontare momenti di difficoltà, dovessi per prima tu, essere “libera”, da pesi e condizionamenti di anni vissuti inconsapevolmente. Che tenerezza per il piccolo essere, per la bambina che ancora eri allora. Ed è così che è iniziato il tuo viaggio che avresti scoperto in seguito essere, un viaggio di ritorno a casa.

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Avanzare sul sottile filo della consapevolezza come un equilibrista imparando a dare attenzione ad ogni piccolo soffio di vento, stringendo al cuore i tuoi dolori e le tue gioie guardando sempre avanti perché adesso sai dove vuoi andare

3. APRIRSI ALLA CONSAPEVOLEZZA Questo processo, brevemente esposto e semplificato, che occupa poche pagine, che ha invece occupato quasi per intero la mia vita, altro non è che quel processo che il Prof. M. Hardy, nella sua Grammatica dell’Essere definisce “Metamorfosi Empirica”. Un processo lento ma continuo che ti avvia ad una condizione di deterioramento o “degrado”, ad una progressiva perdita di valore del sé, ad un allontanamento da ciò che autenticamente avresti dovuto essere, che sei stata un tempo ormai lontanissimo. “Degrado”, un termine con accezione assolutamente negativa nel suo significato generale, che acquista una valenza ancor più pesante se riferito al proprio essere, un termine la cui sola lettura, il cui solo suono, mi dà ancora oggi i brividi.

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Per comprendere come si inneschi, come abbia inizio questo processo di allontanamento da ciò che è la “Matrice Empirica Genuina” per ogni essere umano, cosa lo determini, quale sia la causa, è necessario approcciarsi e comprendere cosa ci sia dietro questo allontanamento, che è già un “effetto” di qualcosa che abbiamo disatteso, omesso, non attenzionato. E’ necessario pertanto prendere atto di qualcosa fino ad oggi a noi sconosciuto, l’Ordine Empirico. E’ davvero difficile per noi accettare che qualcosa che non conosciamo possa condizionare la nostra esistenza; che vi sia qualcosa che, “al di sopra di noi” e spesso in contrasto con le nostre convinzioni, regoli ogni nostro moto, azione, stato emotivo dell’essere. Tuttavia non possiamo far altro che arrenderci all’evidenza, quando, iniziando un percorso di consapevolezza, cominciamo a guardare ai fatti e alle loro conseguenze nella nostra vita, non più come qualcosa di casuale, ma come a un processo ineluttabile che si innesca quando ci si allontana da quest’Ordine e dalle sue regole. Cosa intende realmente il prof. M. Hardy per Ordine Empirico? Se vogliamo farci guidare semplicemente dal significato delle due parole, per Ordine come recita il vocabolario per uno dei suoi molteplici significati, si intende: “Disposizione, assetto di qualcosa secondo un criterio razionale, pratico, “funzionale”. Mentre per Empirico possiamo intendere per semplificare: legato all’esperienza. Possiamo perciò dire, che per “Ordine Empirico” si può intendere, quell’insieme di “regole” preesistenti, evolutesi in migliaia di anni, che dovremmo utilizzare come guida, che ci indicano la strada da percorrere, ci permettono di fluire liberamente all’interno degli eventi di qualsivoglia natura, permettendoci di comprenderli ed accoglierli per ciò che sono e di viverli in armonia con la nostra vera e genuina essenza. In questo muoverci, in questo libero fluire, all’interno di queste regole, all’interno di questi che possiamo definire cardini dell’ordine, permane comunque il nostro libero arbitrio. Intendo dire che l’ordine non ci obbliga a scegliere quale modalità mettere in atto, non ci giudica per come stiamo operando, non ci punisce se agiamo in maniera difforme a quanto previsto da lui, ci segnala però l’infrazione delle regole, attribuendoci un “debito” e ci obbliga, cosa importante ed impegnativa, ad una assunzione di responsabilità di ciò che agiamo.

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Per quanto questa possa apparire una definizione schematica di un processo di causa/effetto alquanto semplicistico e poco in sintonia con le nostre convinzioni personali, a sostegno di ciò che può apparire come l’enunciazione di una serie di argomentazioni teoriche, c’è invece il vissuto, con i suoi effetti spesso disastrosi, che si manifestano nella vita di ognuno di noi, che ignaro delle regole dell’Ordine, inconsapevolmente le disattende. Siamo infatti convinti di poter essere noi, con il nostro libero arbitrio, con il nostro creare regole personali, con il nostro legittimare ogni regola esterna all’Ordine, vivendo soltanto con ciò che è in accordo con le nostre convinzioni erroneamente acquisite, a poter determinare la nostra vita, aspettandoci, pretendendo da essa, il miglior risultato. Ma cosa prevede l’Ordine per noi? Quali sono queste regole che continuiamo a infrangere costantemente, non dandoci il permesso di accedere al “libero fluire”? La più importante e base di ogni altra considerazione, è il nostro diritto/dovere di genere, e cioè l’insieme di quelle qualità, quegli attributi peculiari, che l’ordine attribuisce ad ogni sesso biologico, per il solo fatto di appartenervi, lo caratterizza se donna o uomo, yin o yang, lo connota, lo distingue l’uno dall’altro, per le loro precise e imprescindibili qualità e responsabilità. Sembra davvero un discorso anacronistico, in una società come la nostra dove per decenni si è combattuto per “diminuire” queste differenze, per renderle sempre meno evidenti, una società che ha cercato costantemente la parità di genere, che ha fortemente voluto annullare, se non cancellare, le diversità, ritenendo ciò una conquista civile e doverosa, partendo certamente da presupposti condivisibili, ma “sfumando” via via l’unico importante senso di questa parità, legata a ben altro che non a uno scambio di ruoli. Ma lui, l’Ordine, non solo non prescinde da queste differenze, ne fa proprio la base di ogni altra sua regola, definendo il “codice empirico” per ogni sesso biologico. Una donna, dal momento del suo concepimento porta in sé un suo meraviglioso corredo di qualità e peculiarità che vengono da lontano, per il solo fatto di appartenere alla “tribù delle donne” e la fanno essere non soltanto meravigliosamente diversa dall’uomo, ma la rendono per così dire “funzionale” a lui. Quel lui che porta con sé un altrettanto meraviglioso corredo di qualità e peculiarità, per il solo fatto di appartenere al “cerchio degli uomini”, qualità che vengono anch’esse da molto lontano e lo rendono altrettanto funzionale

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a lei, in uno scambio libero e amorevole dove ognuno può essere in sintonia con sé e con l’altro, nella realizzazione di un progetto personale e anche comune di vita, nella naturale realizzazione della procreazione. Quanto è riposante il solo enunciarlo questo modello! Eppure quando è il momento di attuare questo “libero scambio”, quando entriamo in una relazione, ci ritroviamo quasi sempre, tranne rarissime eccezioni, completamente stravolti, trasformati, inadeguati, altro, avendo lasciato via via per strada pezzi del nostro corredo, sostituiti con pezzi che non ci appartengono. Questo accade sia all’uomo che alla donna, perché chi avrebbe dovuto attivare, nutrire, sostenere inizialmente questo patrimonio, i nostri genitori, non hanno adeguatamente svolto il loro compito, non ci hanno permesso di utilizzare questi doni, che sono “valori universali” dell’Ordine, la loro “consegna” è stata inadeguata e fuori dall’Ordine, per quanto pur sempre per noi, una consegna d’amore. Il prof. M. Hardy, usa la metafora delle candeline, corredo prezioso di ogni creatura che si trova a nascere da due genitori, che hanno, anzi avrebbero il compito di accendere, una per una, queste candeline consegnando così al figlio: risorse, possibilità, sicurezze… in altre parole amore e futuro. Ma questo in realtà accade, non voglio dire mai, ma raramente. In questa “accensione di candeline”, i nostri genitori infatti, portano nel gioco la loro consegna “d’amore”, per meglio dire, il debito che la consegna dei loro genitori ha a sua volta generato, e così via via a ritroso fino al primo generatore di questo debito. Ed è su queste basi distorte, su questi messaggi falsati, su questi esempi disarmonici, che il bambino crescendo comincerà a nutrire un altro sé, non più in sintonia con il suo autentico e naturale sentire, ma guidato da schemi genitoriali che farà suoi nonostante li percepisca dolorosi e pesanti, perché non può disattendere ciò che lui sente, comunque, come una consegna d’amore. E paradossalmente, per quanto durante l’infanzia, l’Ordine gli riconosca l’innocenza come diritto, ne diventa ugualmente “responsabile”, il suo “adattarsi”, il suo “accogliere” per amore, lo rende inconsapevolmente coresponsabile del suo futuro alterato. Perché all’Ordine non importa la nostra buona fede, non importa che non conosciamo altro che quella modalità, che non siamo stati direttamente noi a generare il nostro debito, perché per l’Ordine, è comunque una personale

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responsabilità: per il bambino accettare una consegna alterata, per il genitore, l’adulto, non avere guardato al proprio debito, non avervi posto rimedio. E così sarà, fino a quando qualcuno non si assumerà, l’onere del riscatto. “Pulire il testimone”, così dice il Prof. M. Hardy, ed io lo accolgo così: fermarsi, ascoltarsi, comprendere e mettere in atto tutto ciò che è in nostro potere per fermare questo processo doloroso, per andare a riprendere ciò che abbiamo lasciato per strada! Qualcosa che fino ad un recente passato, poteva considerarsi un’utopia. Per chi ci ha preceduto infatti, è stato davvero difficile se non impossibile, aprirsi ad una presa d’atto dei propri schemi, limiti, errori, o quanto meno questa è stata una possibilità riservata a pochi. Altri bisogni primari occupavano tutto il tempo, e ben poco ne restava per prendersi cura di sé e del proprio sentire. I percorsi di consapevolezza personale erano qualcosa di assolutamente impensabile. Oggi, mi riferisco a questi ultimi decenni, qualcuno ha cominciato ad aprire strade di più facile accesso, a dare peso, importanza, a questo antico interrogarsi dell’uomo, su chi siamo e per cosa siamo stati creati, ciò che desideriamo essere, ciò che per noi è indispensabile essere per vivere in armonia, al di là di ciò che il tempo che viviamo e la società ci chiedono. Sì, in questo “pulire il testimone” c’è il riscatto di intere generazioni a cui questo non è stato concesso, per i più svariati motivi.

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4. RUOLI EMPIRICI DI RIFERIMENTO E LORO ALTERAZIONI

Ma torniamo a ciò che l’Ordine prevede per ogni sesso biologico. Nella sua Grammatica dell’essere, il Prof. M. Hardy traccia, definisce, i vari profili empirici per ogni sesso biologico, partendo da ciò che egli definisce “Matrice d’Eccellenza”, delineando via via le varie alterazioni. I profili di base, quelli che dovrebbero essere per l’Ordine il modello di riferimento unico e indispensabile, per l’accesso al libero fluire per la donna e per l’uomo sono: Donna Yin integrata e Uomo Yang integrato. Si tratta appunto di “modelli”, portatori di diritti e doveri empirici, nati dal processo evolutivo della specie, che “detengono” i principi naturali del femminile e del maschile, la loro integrazione e i relativi diritti/doveri di ogni singola natura. Tali modelli, difficilmente raggiungibili, hanno comunque il compito, lo scopo, di fornire un riferimento verso il quale tendere, per accedere alla propria “Matrice Genuina”. Non è semplice riassumere, per ogni profilo empirico, la vasta gamma di qualità e attributi, che lo connotano; da quello utopico di “eccellenza”, a

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quello che viene considerato come massima “alterazione”, passando attraverso quelli per così dire “intermedi”. Profili che contengono ancora qualità, caratteristiche, del profilo precedente con aggiunta di altre del profilo di “degrado” successivo, che via via compaiono, con il persistere dell’infrazione, o anche no. Quei passaggi da un profilo di degrado ad un altro, conseguenza di alterazioni che si creano e manifestano anche per un disequilibrio fra la carica primaria e secondaria, passaggi che il Prof. M. Hardy definisce “Metamorfosi Empirica”. Per Metamorfosi si intende, un processo di avanzamento e allontanamento progressivo dalla propria Matrice d’Eccellenza, determinato dal porre in essere, l’agire, il reiterare, comportamenti difformi, lontani da ciò che connota, secondo l’Ordine, il profilo integrato. Cercherò di riassumere brevemente, per quanto possibile, i vari profili, dello Yin, vista la quantità di variabili che intervengono a determinare il progredire della Metamorfosi, dal momento dell’inizio dell’ “infrazione”, all’acquisizione del debito. Donna Yin Integrata Come già detto, trattasi del profilo di eccellenza per lo Yin, quindi ancora fuori dalla Metamorfosi. In esso troviamo tutti i principi base empirici più significativi del codice femminile, sia in luce che in ombra e a determinare “l’eccellenza” è proprio il perfetto integrarsi, l’accettazione totale e profonda delle due parti. Nessuna opzione di scelta è infatti concessa, non possiamo accogliere ciò che ci piace, non accettando ciò che riteniamo scomodo… ma è! L’aderire totalmente al codice yin, con ciò che questo comporta, permette alla donna di essere, non soltanto nel suo preciso ruolo, in armonia con sé, non soltanto le permettono di svolgere tutte quelle funzione per le quali la natura stessa l’ha creata, ma la rendono funzionale all’uomo, si integrano insomma con le qualità dell’Uomo Yang integrato, massima espressione del sesso biologico maschile, permettendogli di porre in essere, di dare un senso profondo alle sue peculiarità, che possono così diventare funzionali per lei e per il progetto empirico comune. Tale ruolo, come ho già detto, rappresenta soltanto un punto di riferimento al quale la donna deve tendere, in quanto l’essere realmente in questo ruolo, presupporrebbe l’aver ricevuto dai genitori una qualità d’amore sufficiente ai fini empirici, non avere subito infrazioni, non avere accumulato debito, la qual cosa risulta assolutamente improbabile. 21


Pertanto nella realtà, trattasi più di un ruolo-modello al quale ambire, più una guida, che uno stato d’essere. A caratterizzare questo ruolo è la perfetta sinergia tra la carica primaria yin e la carica secondaria yang che in esso convivono. La donna yin integrata infatti, è l’unica in grado, attraverso il suo libero fluire, di accedere alla sua carica primaria e secondaria, in sintonia con ciò che la carica empirica della situazione richiede. Per realizzare ciò, il profilo integrato, la donna yin integrata in questo caso, utilizza come guida la propria coscienza empirica, ben diversa dalla coscienza personale. La coscienza empirica infatti, non inquinata dai nostri parametri distorti, funge proprio da “organo di collegamento” tra il sistema e l’uomo, mettendo questi, in relazione con i parametri dell’ordine, con le sue linee guida, facendoglieli percepire, permettendogli di confrontare la situazione da affrontare con ciò che è funzionale, necessario agire in conformità a questi parametri. Pur accedendo principalmente alla sua carica primaria Yin, lei ha comunque la necessità di integrarla con quella secondaria Yang. Tale integrazione le permette infatti, di dare forza e convinzione al suo operare, agire, porre in essere. Una “applicazione” per così dire, maggiormente significativa della carica secondaria yang nella donna, è ciò che il prof. M. Hardy, definisce il “lato yang dell’amore”. Trovo questa cosa davvero straordinaria. Mi piace molto questo “lato yang dell’amore”. Possiamo infatti dire, che da sempre, l’amore associato al femminile, è stato considerato come qualcosa di lezioso, sdolcinato, romantico, lieve… qualcosa che non potrebbe mai bastare a “sostenere” senza venirne schiacciato, tutto ciò che l’amore di una donna prevede, muove, quando si trova nel suo ruolo naturale, integrato. Alla forza di cui necessita il suo amore, per poter essere così naturalmente incondizionato. Pertanto, l’integrazione, l’aggiunta della carica secondaria yang, agisce come forza propulsiva, fa da “amplificatore” delle sue qualità yin, aiuta la carica primaria ad esprimersi ai massimi livelli, alla massima intensità,

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rendendo le qualità del femminile determinate, forti, inarrestabili, ma sempre nelle peculiarità del femminile. Mi fa davvero sentire la grandezza di ciò che può essere una donna, quando è perfettamente integrata, in sintonia con il suo ruolo, nel libero fluire. Questo libero fluire, all’interno del quale, la donna si muove con naturalezza, donandosi per il puro piacere di donarsi a chi le sta intorno, offrendo a chi entra in relazione con lei, tutte le meravigliose qualità che questa condizione d’essere porta con sé: dedizione, dolcezza, cura, accoglienza, arrendevolezza, purezza, spiritualità, ingenuità, fiducia, contenimento, flessibilità. Per semplificare, la donna yin integrata, è l’unica ad agire in modo adeguato all’interno di ogni situazione, restando nel suo ruolo, ponendo in essere attraverso le sue “qualita”, i suoi comportamenti, il suo fare, le modalità di azione che le competono per diritto di genere. Sostenendole anche con la sua carica secondaria yang. Moto principale della donna yin integrata è la Forza Incondizionata, attraverso la quale essa è in grado di accedere alla totalità delle sue altre qualità. Tale forza infatti le permette di mettere in atto le funzioni previste dall’Ordine per lei: accoglienza, dedizione, forza che sostiene, amore incondizionato etc… che integrate da altre sue peculiarità, come la morbidezza, fluidità, la flessibilità, la capacità di contenimento, le permettono di accedere al Potere Liquido. Trattasi di un potere davvero particolare, che porta già nel suo nome, quella “fluidità” di movimento dell’anima, attraverso il quale è possibile per la donna non “impattare” con le cose e le circostanze; quell’essere capace di adattarsi come fa l’acqua quando incontra un ostacolo, essere pronta a sfiorare e seguirne la forma, quell’ essere disponibile anche a cambiare direzione, trovare un’altra strada, per raggiungere la stessa finalità, la stessa meta; ma anche il decidere di rinunciarvi, “arrendersi”, se questo dovesse significare portarla “fuori da sé”. L’arrendevolezza, la più importante, funzionale e catalizzante di molti altri talenti, intesa certamente non come resa, abbandono, ma come capacità di accogliere ogni cosa in maniera incondizionata, non certo per debolezza o incapacità, ma per libera scelta; in un lasciare andare, quando l’alternativa è un conflitto sterile, in un sapere attendere un momento più adatto.

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Questa capacità di saper lasciare andare, di non sapere come operare in quel preciso momento, di saper stare in attesa, le permette anche l’accettazione dei suoi limiti, dei suoi così detti “diritti d’ombra” (tendenza a postergare le scelte, a subire temporaneamente scelte altrui), e a mio parere, le permette anche la comprensione dei limiti dell’altro e la loro accettazione. Insomma un autentico “potere femminile”, molto diverso dal concetto di “potere” che appartiene al maschile; un potere, quello liquido, che utilizza la flessibilità piuttosto che l’essere rigido e intransigente. Come ripetuto più volte in precedenza, questo modello di donna integrata, rappresenta appunto, qualcosa a cui ambire, tendere. E impossibile infatti, che una donna raggiunga l’età adulta senza avere accumulato un debito, acceso per una serie di infrazioni agite dai genitori e mantenute da lei stessa, continuando a vivere con modalità apprese durante la sua vita, da chi l’ha cresciuta. Pertanto, in virtù di questa considerazione, il ruolo meno frequente e meno riscontrabile in età adulta, anche se paradossalmente il più auspicabile, è quello della Donna Yin Alterata.

Donna Yin Alterata Essa rappresenta il punto di partenza del processo di degrado, cioè il primo stadio della Metamorfosi Empirica femminile, anche il più lieve, ed è il ruolo che la donna quasi sempre ha iniziato ad agire da bambina; ruolo caratterizzato da una carica yin potenzialmente ancora sana, ma una carica secondaria yang che si va indebolendo. La debolezza di carica yang (animus debole), infatti, non le permette, per così dire, di sostenere le sue qualità yin, la sua carica primaria con determinazione e convinzione, ragione per cui questa perde la propria intensità e luce. Per quanto il debito accumulato dalla yin alterata è ancora di modesta entità, il processo di avanzamento del degrado prosegue abbastanza velocemente anche senza acquisizione di ulteriore debito; in breve tempo diventa inevitabile il passaggio al profilo di degrado successivo quello della donna finta yin. L’indicatore di questo profilo è la paura, che non le permette di essere autenticamente aperta e disponibile; il suo sentirsi vittima e indifesa, che non le consente neanche di assumersi le proprie responsabilità empiriche.

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L’ansia, la fa arretrare davanti ad ogni ostacolo, la sua paura infatti si manifesta in ogni circostanza, nei confronti della vita, delle relazioni, della sessualità e della morte. Nella coppia non riesce ad essere compagna, mantiene il ruolo di figlia, quindi di dipendenza affettiva, ma confonde questo attaccamento morboso al compagno, con l’amore. Scambia l’amore per sacrificio, ed attraverso il suo “servire” compagno e figli, in maniera compulsiva, si convince di dare troppo e comincia a rinfacciare e covare rancore. Il suo sì, non è incondizionato, è semplicemente una strategia vitale, un suo meccanismo di difesa per acquisire consensi. La sua dedizione e l’apparente capacità di arrendersi, sono frutto di paura e hanno lo scopo di evitare il senso di colpa; sono inoltre, manifestazione dell’incapacità di sostenere le proprie scelte e decisioni. Con il passare del tempo, la rabbia comincia a farsi sempre più strada, trasforma la donna da vittima, in vittima rabbiosa, facendola avanzare nel suo processo di degrado, di metamorfosi, facendola traghettare al ruolo successivo, quello della Donna Finta Yin. Donna finta Yin Per quanto, abbia separato il profilo della donna finta yin da quello della donna yin alterata, tale divisione non è poi così netta, come in effetti in nessuno dei profili. Durante il passaggio alla fase successiva di degrado, infatti, caratteristiche del profilo di degrado precedente, si “fondono”, per così dire, a caratteristiche del profilo di degrado successivo, facendo stazionare la donna, per periodi più o meno lunghi, in quella fase detta “cuspide”, dove si evidenzia un’oscillazione fra i due profili. Ciò mi dà la sensazione di un qualcosa che tenderebbe per “istinto naturale” a non farci avanzare nel processo di degrado. Ma questa è una mia considerazione personale. Nella donna finta yin, agli indicatori del profilo yin alterato, altri indicatori si aggiungono e si manifestano: il rancore, il risentimento, il senso di vendetta e rivalsa, e la rabbia non più trattenuta che comincia a manifestarsi. Tutti indicatori, che cominciano a dare alla donna finta yin che li agisce, un senso di sicurezza e di potere, facendola sentire risoluta e determinata, “traghettandola” al ruolo di degrado successivo. 25


Donna finta Yang E’ ancora una vittima rabbiosa, rancore e risentimento sono gli indicatori principali di questo profilo empirico, ancora più avanzato nel suo degrado. Manifesta sicurezza di sé in ogni situazione, sa parlare a proprio sostegno e tutto il suo fare è mirato al proprio personale vantaggio; per lei il fine giustifica l’utilizzo di ogni mezzo. Manca di tutti i principi guida del femminile, non accede all’amore incondizionato, alla forza che sostiene né alla morbidezza e all’accoglienza. Non si fida, è incapace di abbandonarsi. Nell’accudimento dei figli tende a renderli presto indipendenti, il suo amore è condizionato, non è capace di dispensare carezze e attenzioni. Il suo amore passa più attraverso il fare che l’essere, rifiuta la leggerezza e la spensieratezza. Lei è vitale non vivace. Non riesce a contenere più la sua rabbia e attribuisce sempre colpe e responsabilità ad altri. Controlla, gestisce, giudica, critica, disapprova e punisce. E’ intrappolata nel ruolo empirico della figlia, della bambina capricciosa e rabbiosa, suscettibile e sempre in richiesta. Pur non essendo in grado di interpretare la gran parte dei principi yin, la seduzione è invece una delle sue armi vincenti. Avvicina comunque solo uomini disposti a subire; l’uomo finto yin la compensa perfettamente. Di lui apprezza la dolcezza, la sensibilità e disponibilità; con lui, lei incarna il ruolo maschile trasformandosi in carnefice. Si pone come seduttrice ma non femminile; la sua femminilità è appariscente e aggressiva. E’ arrogante e invadente, prende, convinta che tutto le sia dovuto; vive di diritti auto arrogati. Si compiace della sua immagine di donna di potere. Risolve i problemi altrui ma chiede in cambio cura e attenzione. E’ ambiziosa, sfidante, organizzata, competitiva, efficiente ed opportunista. Dotata di forza impietosa, si riconosce nei parametri yang.

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Donna Yang Ho già concluso la stesura della tesi e questo spazio dedicato al profilo della donna yang , ultima irreversibile fase del processo di degrado, ultimo stadio della Metamorfosi, è ancora da svolgere: spazio vuoto! Il famigerato punto di non ritorno. Razionalmente mi ero riproposta di affrontare l’argomento, dopo avere approfondito ulteriormente la parte teorica, per cercare di comprendere ancor meglio, non tanto le caratteristiche, le peculiarità di questo profilo abbastanza “simile” a quello della finta yang, quanto per cercare di “sentire”, come una donna possa arrivare a tanto degrado, senza trovare “un modo” per fermarsi. Non posso nascondere, il turbamento che mi provoca, “visitare”, scrivere, di questo “profilo”, parlare di ciò che forse, un giorno non poi così lontano, avrebbe potuto appartenermi se tante cose non avessero iniziato a “muoversi”, a “lavorare” dentro di me, iniziando a “ricostruire” , piuttosto che continuare a distruggere. Affrontarlo in questo momento, nel quale ho iniziato a riscoprire l’amore, la luce, la bellezza, l’armonia che porta con sé il vivere consapevole, cercando di sperimentare quotidianamente il libero fluire, per quanto mi sia solo appena “affacciata”, mi fa sentire quanto sia qualcosa che “incombe” a nostra insaputa, come una devastante possibilità. Mi fa rendere conto, di quanto possa diventare “il vivere” di chi non riesce nell’arco della propria esistenza, ad offrirsi l’opportunità di un risveglio, di un guardare a se stessi in altro modo. Pertanto desidero limitarmi a dire quanto questo “ultimo stadio” del processo di degrado, sia la resa totale al “non essere”, al non vivere autenticamente, al non accedere a tutto ciò che una donna ha la possibilità di sperimentare, se soltanto si dà il permesso di essere ciò per cui è stata creata, restando semplicemente in sintonia con la propria anima, con i propri diritti/doveri di genere. Perché sì, è davvero la morte dell’anima, la resa inconsapevole ma incondizionata… al nulla. 27


Ciò che connota questo profilo è la totale assenza di una Coscienza Empirica, che pur essendo comune a tutti gli altri profili alterati, è “aggravata” dall’assenza totale di ogni principio Yin. L’amore, esiste solo a condizione che… Il compagno è qualcosa, non qualcuno che fa da sfondo, da ornamento, a ciò che lei “deve” vivere da “protagonista”. La determinazione, la forza, la costanza, sono applicate alla lotta. L’altro, chiunque esso sia, è semplicemente il mezzo per un suo scopo. Critica e giudizio, sono i suoi parametri. L’elenco potrebbe continuare e per quanto i “tratti” di questo profilo, siano comuni al profilo della donna finta yang, ciò che lo differenzia è… l’assenza di speranza… di una possibile presa d’atto ed un successivo possibile recupero. Nessuna possibilità di riconversione. Desidero considerarlo un profilo ipotetico di riferimento, come quello della donna yin integrata, ma un riferimento al quale non tendere mai, un riferimento per ciò che non dovremmo mai “rischiare” di essere!

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5. RICONOSCERSI NELLA METAMORFOSI Enunciare, raccontare, applicare questo procedere inconsapevole sulla strada della Metamorfosi, ad un essere umano, mi ha dato fino a poco tempo fa, una sensazione di troppa “schematicità”, di qualcosa di troppo rigido, razionale, quasi senza speranza, visto che in fondo si parla della trasformazione e della perdita di valore di un’anima. Ma in questi anni di “lavoro” su di me, anni nei quali ho ripercorso a ritroso la mia esistenza quasi come su un binario parallelo, permettendomi così di guardare con la giusta distanza agli accadimenti della mia vita passata, mi sono resa conto che questo processo, io l’ho fatto quasi tutto… in ogni suo “passaggio” mi ritrovo e mi riconosco perfettamente. Mi sono fatta, in ogni sua sfaccettatura, negli anni della resa totale alla volontà di mia madre, dall’infanzia all’adolescenza inoltrata, la Sindrome della Brava Bambina, che mi ha portata fino all’ età adulta a vivere nel ruolo della donna yin alterata.

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E guardando indietro, all’inizio della mia “Metamorfosi”, scorgo, come tutto ciò ha avuto inizio. Vedo come sin dai primi anni della mia vita ho dovuto imparare a mettere in scena tante me. Dapprima ho cercato di essere ciò che “la mamma” voleva, pensando di conquistare così il suo amore, tanto importante per me: essere accettata e amata è stato l’unico desiderio di quei lunghi anni. E sono stata brava in questo, anni di allenamento mi hanno reso maestra; con mia madre mi sono sempre relazionata così, ho messo da parte i miei desideri, la mia voglia di essere me, i miei sogni; ho fatto diventare miei, i suoi sogni, i suoi desideri e dentro mi sentivo soddisfatta nell’assecondare ogni sua richiesta, perché questo mi dava, mi garantiva la sua approvazione, il suo amore. Niente poteva rendermi più felice allora. Sapevo persino “lenire”, “evitare” le sue ansie, che a suo dire dipendevano da me, dai miei comportamenti: troppo vivaci, troppo allegri; assumendomi anche la responsabilità della sua serenità, come se questa dipendesse dal mio modo di essere. Negli anni della mia infanzia prima e della mia adolescenza in seguito, è stata lei a “gestire” ogni “mia” scelta e anche il mio sentire. Dalla “selezione” degli amici da frequentare, ai miei primi amori, al corso di studi, “vestendo” ogni sua scelta per me, con la solita frase: lo faccio per te, per il tuo bene! Aggiungendo al dolore del subire le sue scelte, la sensazione di essere anche ingrata per il non sentire ciò che sentiva lei. Ricordo come fosse oggi, la sua decisione di allontanarmi da Liliana, una bambina (avevamo 11 anni) che io consideravo la mia migliore amica, perché i suoi genitori la lasciavano troppo libera… non era certo un buon esempio per me! Quanto dolore nel non potere più condividere con lei quei pomeriggi di confidenze e risate senza un perché! Ma neanche allora trovai il coraggio di ribellarmi, cercai anzi, giorno per giorno, di convincermi che infondo aveva ragione! Perché il soffrire per le continue rinunce, era sempre meno importante che deluderla, che rischiare di perdere il suo amore.

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Perché per me c’era sempre qualcosa di più importante di me, qualcosa di più grande, “il suo amore”, il renderla orgogliosa di me! E questo è solo uno dei tanti episodi che mi ritornano alla mente, perché tutto ciò che ha riguardato la mia vita, in quegli anni, si è svolto con le stesse modalità. E con il passare del tempo, tutto ciò, mi ha causato sempre più un inconsapevole disagio, quasi un senso di sdoppiamento, di “scissione”. Da una parte ciò che ancora “pulsava” in me con la sua autenticità, il desiderio di essere riconosciuta, accettata, accolta per ciò che realmente fossi; dall’altra, la sensazione che tutto ciò non bastasse, non rientrasse nelle aspettative di chi doveva prendersi cura di me, di chi avrebbe dovuto amarmi così com’ero! E cosa ben peggiore, ho cominciato a guardare a tutte quelle meravigliose qualità e peculiarità che avevo dentro, di cui la vita mi aveva fatto dono, come a qualcosa di inadatto, non sufficiente, non idoneo, non funzionale a ciò che mi era richiesto; addirittura come qualcosa di cui vergognarmi. Ho vissuto la mia allegria, la mia gioia, la mia vivacità e leggerezza, come qualcosa di esagerato, non consono ad una ragazzina di “buona famiglia”. Sono stata per quasi vent’anni della mia vita una “brava bambina”, con tutto ciò che lo stare in questo ruolo ha portato con se: tristezza, frustrazione, senso di impotenza e tanto altro che trovo oggi in queste pagine della Grammatica dell’Essere, dove vengono definiti i ruoli della donna yin integrata, le sue alterazioni e il “percorso” che ti avvia e conduce a queste alterazioni. Ciò che per anni mi ha creato tanto dolore, è stata la presa d’atto che alcune “scelte”, operate in età più adulta, con la stessa modalità di assecondare le aspettative di qualcun altro per essere amata, in alcuni casi hanno coinvolto altri, marito, figli, che hanno finito con il pagare un conto non loro. Inoltre l’odierna consapevolezza che tali scelte non hanno fatto altro che farmi avanzare in questo processo di “degrado”, spingendomi pian piano nel ruolo della finta yin, quando a vent’anni ho conosciuto l’uomo che ho sposato e con il quale ho messo al mondo due meravigliose creature. E durante gli anni di matrimonio, ancora un’altra spinta in avanti nella mia Metamorfosi, diventando finta yang negli anni del conflitto di coppia; anni nei quali ho continuato ad agire le mie modalità di bambina: essere sempre in richiesta d’amore, aspettarmi sempre qualcosa, senza mai

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preoccuparmi di sapere se ciò che offrivo nel rapporto fosse ciò che era nel mio ruolo; convinta di dare comunque tutto il mio amore, almeno ciò che credevo allora essere amore. Ed intanto cominciavo a sperimentare la rabbia, la critica continua, il senso di rivalsa, era come se stessi facendo pagare a lui, mio marito, la “sopraffazione” subita da mia madre. Sono stati anni nei quali ho combattuto una battaglia della quale non ricordo neanche più quale fosse l’esatto oggetto del contendere… o forse lo ricordo, soltanto che adesso mi sembra davvero impossibile l’aver dato tanto peso, valore, significato, a situazioni, fatti che non andavano di certo affrontati, vissuti, agiti, con quelle modalità. Davvero penso di aver quasi del tutto abbandonato ogni mio diritto/dovere di genere. E’ stata una lotta continua per cambiare l’altro, per riportalo ad un modello che non gli apparteneva, non poteva appartenergli, ma che io volevo ad ogni costo, assolutamente convinta di essere nel giusto, alla luce dei miei distorti parametri di allora. Senza capire, comprendere, che anche lui portava su di sé dolore e frustrazione che i suoi genitori gli avevano “passato”. Chiedevo ad un uomo di essere ciò che non poteva essere, cercando di adattarlo alla mia visione di marito, di padre, di uomo, guardando solo alle mie aspettative disattese, senza vedere le sue aspettative disattese da parte mia, i suoi reali e legittimi “diritti”. E cosa ancora più terribile, aver vissuto chiedendoci cose che non potevamo donarci l’un l’altro; chiedendoci di stare in un ruolo che non poteva appartenerci, che ha finito con lo sfinirci e svuotarci di ogni bellezza. Nessun “bonus”, come lo chiama il prof. M. Hardy, potevamo offrirci, nessuno spazio c’era in noi per potere accogliere con amore una parte dell’ombra dell’altro, eravamo soltanto pieni del nostro dolore ed ogni piccolo diritto d’ombra dell’altro ci appariva come qualcosa di inaccettabile, una vera e propria invasione da combattere, arrestare ad ogni costo. Avere spazio per l’altro infatti, accettarne la sua “ombra”, presuppone l’avere affrontato il proprio passato, il proprio dolore, averlo elaborato, creando spazio per contenere. Ma la mia assoluta inesperienza nella relazione, la mia assoluta inesperienza nell’affrontare in generale la vita e la mia inconsapevolezza, non potevano permettermi di comprendere quali fossero i suoi naturali 32


“diritti/doveri”, ma neanche i miei naturali “diritti/doveri” all’interno della coppia; né potevano permetterci scelte consapevoli. L’unico modello di donna e moglie a cui potevo rifarmi era quello di mia madre, che era stata una donna “finta yan”, come madre e come moglie. Oggi so, che né io né lui, potevamo agire qualcosa di diverso da ciò che abbiamo agito allora. E il sentimento che ci aveva unito, pur non avendo le qualità complete che l’amore prevede, oggi lo so, ha finito per fiaccarsi, cedere e diventare altro. Ed anche dopo la conclusione del mio matrimonio, ho continuato a “muovermi” sempre nella stessa direzione, con l’assunzione di responsabilità che a ripensare adesso, non mi competevano, non mi appartenevano; responsabilità che mi hanno ulteriormente allontanato da me, in un delirio di onnipotenza che mi dava la convinzione di avere capito esattamente cosa fosse necessario agire in ogni situazione e che solo io sapevo agire per il meglio. Sono davvero andata oltre, credo di essermi avvicinata a quel punto di non ritorno di cui parla il prof. M. Hardy; a quel punto al di là del quale l’anima si arrende e smette di guidarti, smette di farsi sentire, si chiude in se stessa perché sfiancata, impoverita, svilita. A quel punto nel quale, sono solo rabbia e senso di vuoto e frustrazione ad impadronirsi di te, a guidare la tua vita e tutte le tue scelte, ammesso che di scelte si possa parlare. Ormai leggevo la realtà, filtrata sempre attraverso un parametro distorto, per potermi adeguare al quale, mi era necessario agire comportamenti sempre più distorti e inadeguati. Il mio copione personale, stabilizzatosi negli anni, mi aveva totalmente sostituito, aveva preso il posto di una potenziale me. Oggi dopo questi anni di lavoro su di me, credo di aver compreso cosa mi abbia impedito di proseguire ad oltranza questo terribile e pericoloso “gioco”, cosa mi abbia permesso di non distruggere completamente parti fondamentali e luce di me, salvandomi da un “degrado” irrecuperabile. E’ stato l’amore. L’amore per i miei figli prima di ogni altro, “l’istinto naturale” dell’essere madre sopravvissuto a tutto; unico punto fermo della mia esistenza di quegli anni, dove punti fermi non avevo più. L’amore materno mi ha tenuta ancorata al senso “istintivo” dell’amore, per quanto inquinato da ansie e paure e da un modello educativo materno 33


ricevuto, che mi faceva escludere con arroganza, per eccesso di protezione, per convinzione di sapere soltanto io cosa fosse meglio, ogni intervento del padre, per me troppo rigido, troppo esigente nei loro confronti. Questo che io definisco “istinto naturale” non mi ha mai abbandonato neanche nei momenti peggiori; nonostante tutto ciò che si agitava dentro, con loro riuscivo ad essere amorevole e paziente. Soltanto con loro sembravo essere in armonia e amore, mai rabbia, mai disattenzione o trascuratezza; un senso di protezione, forse anche eccessivo, ma di sicuro autentico, che non ha comunque evitato loro di soffrire, di acquisire il loro “debito” e gli ha impedito di crescere e svilupparsi, alla luce di modelli equilibrati. E poi, credo sia stata lei, la piccola Elisabetta, la parte più pura e autentica di me, che in tutti questi anni è stata lì in un angolo stringendo forte a sé, “il ricordo” dei suoi doni preziosi, del suo cuore puro; è stata lei a spingere, a non arrendersi, a far sì che non tutto andasse perduto, a cercare una via d’uscita, a permettere infine che una donna autentica potesse con il tempo, iniziare a vedere la luce.

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6. UN ESEMPIO DI AMORE Ma c’è qualcun altro, in particolare, al quale sicuramente sento di dare un riconoscimento speciale, un grande essere che, senza che me ne rendessi conto, ha tracciato tanti anni fa, la strada per un mio possibile ritorno a casa. Qualcuno che senza far troppo rumore, in paziente silenzio, in costante presenza, ha inciso giorno dopo giorno nel mio cuore, il senso profondo dell’amore e dell’amare. Qualcuno del quale ho cominciato a comprendere l’importanza, il valore, l’esempio vero e profondo, in età più adulta, pur avendolo sentito forte dentro di me sin da piccola. Mio padre. Figura amorevole, silenziosa e discreta che da sempre ha accompagnato me, mia madre e i miei fratelli. Per anni ha vissuto all’ombra di mia madre, donna forte e determinata che ha gestito anche ogni sua scelta, impedendogli di svolgere il suo ruolo di marito e padre e impedendo a noi figli di comprendere chi lui fosse. Sono dovuti passare anni, perché potessi accorgermi del meraviglioso essere che è. 35


E’ coinciso con l’anno della mia maturità; ad allora risale il primo dialogo profondo, il primo incontro delle nostre anime. Non ci avevo più pensato forse da allora, ma mi torna alla mente con grande chiarezza adesso. Eravamo in macchina ed improvvisamente lui mi chiese cosa pensavo di fare, quale facoltà universitaria avrei scelto per proseguire i miei studi. E da questa semplice domanda, si aprì un mondo su di lui; mi parlò della grande stima e delle grandi aspirazioni che aveva per me, del suo ritenermi intelligente, capace, piena di tutto ciò che occorreva per prendere in mano la mia vita e farne ciò che desideravo. Allora non capii il suo messaggio delicato e tra le righe; mi stava chiedendo di fare scelte precise solo per me; mi stava chiedendo di affrancarmi da mia madre; ma io non lo capii allora e ho continuato a non capirlo per molti anni, anni nei quali però il nostro rapporto cambiò, divenne profondo e di grande intesa. Ed ebbi così l’opportunità di conoscerlo a fondo. Non voleva entrare in conflitto con mia madre, non voleva sminuirla ai miei occhi, ma desiderava farmi sentire che lui era con me, che lui credeva in me. Scoprii la sua forza, la sua grandezza, che per anni erano state offuscate dall’ “invadenza” di mia madre che lo aveva escluso, tenuto fuori dal suo ruolo. Scoprii che ciò che mia madre chiamava debolezza era soltanto il profondo rispetto che lui aveva ed ha ancora per ognuno di noi. Il suo non intervenire mai, il suo non imporre mai nulla, il suo accettare tutto con e per amore. Lei, mia madre, gli contestava la sua mancanza di ambizione nel lavoro, le sue mancate prese di posizione nei confronti dei suoi fratelli, il suo non entrare mai in conflitto e tanto altro. Soltanto oggi vedo con chiarezza che questa comunque è stata la sua forza. Ha permesso a noi, di non vivere in un clima di conflitto continuo, ma più di tutto ha dimostrato il suo amore incondizionato nei confronti di mia madre e nostri. Si, forse è stato un uomo che la Grammatica dell’essere connota come uomo

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finto Yin, ma ritengo che abbia fatto davvero del suo meglio per darci un esempio di amore; quell’amore che si manifesta come può, all’interno di un contesto che è ormai consolidato su regole e schemi imposti dalla più forte. E’ stato un uomo che ha tenuto fede alle proprie scelte, che ha tenuto in considerazione ciò che è, cercando di fare sempre il possibile con ciò che le sue qualità, le sue risorse, il suo essere gli consentivano. Ancora oggi, dall’alto dei suoi 86 anni, nulla è cambiato in lui. Continua ad occuparsi amorevolmente di mia madre, che pur avanti negli anni e molto sofferente, non ha dismesso le sue “antiche modalità”, offrendole il suo amore con lo stesso silenzioso fare. Mi piace pensare che piuttosto che un uomo finto yin, sia stato un uomo; che avesse dentro tanto di quello spazio da accogliere con amore, le ombre di tutti; offrendo a tutti noi un enorme “bonus”. Io lo vedo così! Ed è a lui che desidero essere grata per il senso di questo “amore” che piano piano, giorno dopo giorno, sto riscoprendo per me e per gli altri. Per la pazienza che sto ritrovando ogni giorno nel “restaurare” ciò che si era pian piano sgretolato e ritrovare ciò che avevo perso. Per la mia ritrovata capacità di perdonare e andare avanti. Per la pacatezza dei miei nuovi modi di agire. Per il mio non sentirmi più debole nell’arrendermi agli eventi che non posso cambiare. Per l’accettare le mie sconfitte come esperienza illuminante. Per la freschezza e l’entusiasmo che la mia anima ha mantenuto nonostante tutto. Per la mia ritrovata voglia di vivere. Questo è stato il suo silenzioso esempio, il suo dono… ed io gli sono grata!

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7.

Perdonarsi e Perdonare Tutte queste considerazioni sul mio vissuto di figlia, di moglie e di madre, frutto di una nuova consapevolezza, di un nuovo sentire acquisiti in questi anni di lavoro su di me, mi hanno aperto, anche ad una maggior comprensione verso mia madre che, senza volerlo, tanto dolore ha causato alla “piccola Elisabetta”. Hanno riportato alla mia mente le sue rare “condivisioni” di ciò che era stato il suo vissuto di bambina non voluta, non amata. A quanto poco spazio lei abbia avuto, a quanto si sia sentita spesso inadeguata, non compresa; alla durezza e al gelo di sua madre. E tutto ciò mi riporta al suo dolore, me lo fa percepire nel profondo, perché con il tempo è diventato il mio dolore. Nel suo essere madre e moglie, nel suo essere, lei non ha fatto altro che utilizzare, mettere in atto, come in seguito ho fatto anch’io, ciò che aveva imparato da sua madre. E ripensando ai racconti della “madre di mia madre”, ritrovo anche lì lo stesso dolore, le stesse attese disattese, la stessa percezione di “non amore”. Ed in entrambe, lo stesso punto di arrivo, “anestesia dell’anima”, che fino a qualche tempo fa io definivo durezza.

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Questa durezza, questa anestesia che avrebbero potuto diventare le mie, se non mi fossi aperta ad altro, se la mia “bambina interiore” non avesse spinto così tanto in questi anni, senza arrendersi mai, per andare a riprendere il suo prezioso corredo. Se l’esempio di mio padre non si fosse così profondamente consolidato in me, per venir fuori appena gli ho dato una possibilità di farlo. Ho ancora nitido nella testa e nel cuore ciò che il Prof. Hardy mi disse alla fine di un’attività, riguardo alla mia apparente morbidezza di donna, che comunque dentro, nascondeva ancora una “vittima rabbiosa”! Non credo di avere provato mai prima un dolore più intenso, la mia anima si è annichilita, ho visto con chiarezza ciò che io stessa stavo permettendo ancora, annientare tutto il bello di me, tutti quei meravigliosi doni che la vita mi aveva fatto per non arrendermi al dolore, per non saperlo accogliere, cullare, affinché si sentisse accettato, compreso, lenito e perdonato. Quanto male mi ha fatto comprendere che il mio, fosse l’ultimo stadio che poteva avviarmi verso un processo di non ritorno. Ed è stato proprio lì che ho sentito di volermi fermare, di volermi arrendere al mio dolore. I giorni a seguire sono stati davvero devastanti! Con quelle semplici ma lapidarie parole fu come se il Prof. M. Hardy l’avesse in un certo senso liberata quella rabbia. Non riuscivo a darmi pace; oggi penso che a farmi più male fosse la sensazione di essere stata scoperta, la sensazione che la brava bambina avesse già da tempo, abdicato definitivamente in favore della rabbia e che non la celasse più ne riuscisse più a contenerla. In mezzo, certo, tra la brava bambina che ero stata e la donna rabbiosa che stavo diventando o forse ero già diventata, tante altre fasi c’erano state, ma come sempre non le avevo sapute cogliere, ma soprattutto non ero stata in grado di affrontare l’unico vero nodo, l’unica vera causa di tutto: l’accettazione del dolore che era stato compagno della mia vita e perdonare me stessa, più del perdonare chi questo dolore inconsapevolmente aveva causato. Ho cominciato così a guardare alla mia passiva accettazione di quanto mi veniva richiesto negli anni della mia infanzia con compassione e amore e non più con rabbia e senso di colpa, per avere permesso ad altri di “abusare”

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della mia debolezza, della mia incapacità di arrestare, arginare le loro modalità, per il mio semplice, naturale, istintivo bisogno di essere amata. E all’improvviso, dopo tanti anni di lentezza, di attesa, di rinuncia, di paura, ho davvero sentito nel più profondo di me che non avevo più tempo per l’attesa, era necessario fare. E questa “illuminazione” ha come dato un’accelerazione, al mio processo di perdono. In pochi mesi ho fatto ciò che in tutta la mia esistenza non ero riuscita a fare… andare incontro al mio dolore, prenderlo fra le mie braccia con amore, cullarlo e alla fine si… anche benedirlo. Si proprio così, anche benedirlo, perché accoglierlo e perdonarlo, mi ha permesso di comprendere mia madre; mi ha permesso di cogliere il senso autentico e profondo di ciò che è stata la mia vita. Accogliendo il mio dolore con amore, ho potuto desiderare dal profondo del mio cuore la gioia; sentire la necessità di amarmi, prendermi cura di me, della mia anima ed anche del mio corpo che insieme mi permettono di riconoscermi. So che può sembrare strano, difficile da comprendere, ma l’ho sentito improvvisamente “utile”, necessario; ho sentito che in fondo aveva il suo senso. E’ la semplice e terribile manifestazione del rinnegare sé stessi, il risultato del non riconoscersi e darsi un valore, del non accogliersi per ciò che si è, del non vedere ciò che puoi essere se semplicemente e con amore lo desideri. E illuminata da questa nuova luce, da questa nuova consapevolezza, sono riuscita a perdonarmi e perdonare gli altri, non è stato più neanche necessario. Adesso so, che soltanto aprendomi al passato, accogliendolo con amore per ciò che è stato e non per ciò che avrebbe potuto essere o avrei voluto che fosse, mi apro al presente e preparo solide basi per il mio futuro.

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Amo tutto ciò che è stato, tutto ciò che non è più il dolore che ormai non mi duole, l’antica e erronea fede l’ieri che ha lasciato dolore, quello che ha lasciato allegria solo perché è stato, è volato… e oggi è già un altro giorno Fernando Pessoa 8. VERSO LA MATRICE D’ECCELLENZA Ed eccomi arrivata al nucleo centrale della mia tesi ed anche della mia vita: “Verso la Matrice d’Eccellenza”. Già, la Matrice d’Eccellenza, punto cruciale, progetto, inizio di un nuovo viaggio, per chi come me, desidera riappropriarsi delle proprie naturali radici di genere, del proprio autentico sentire e vivere. Negli anni del mio percorso è stata qualcosa alla quale ho dato poca considerazione. Probabilmente, l’inconscia consapevolezza di esserne assolutamente fuori e lontana, non mi permetteva di guardarla né con la dovuta attenzione né come qualcosa che mi potesse mai riguardare.

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Quando con il prof. M. Hardy concordammo l’argomento della mia tesi e lui mi propose questo titolo, io gli feci presente che la mia intenzione era di fare una tesi sull’amore. Motivai tale scelta, dicendogli che lo sentivo forte come argomento, perché era stato il fil-rouge della mia vita, in tutte le sue forme e sfaccettature, pur distorte. Anche se come bisogno, anche se vissuto in maniera confusa con parametri alterati, l’argomento mi era sicuramente più “familiare”, più di quello proposto da lui. Ne parlammo per un po’, ma alla fine, dopo avere ascoltato le mie spiegazioni, concluse con la sua autorevolezza, che questo era ciò che lui trovava adatto come tema della tesi per me. Ormai avevo imparato, diciamo a mie spese, che non si era mai sbagliato, nel leggere oltre ciò che io stessa riuscivo a vedere di me, e per quanto non molto soddisfatta di dover modificare il mio “programma”, l’accettai come atto di fiducia. Era il mese di Settembre! Passò ancora del tempo prima di cominciare seriamente a prendere in considerazione di iniziare. Ma tutte le volte che cercavo di mettermi seduta e di scrivere qualcosa, il risultato era sempre lo stesso… nulla. Con il tempo cominciai a comprendere le ragioni di questo vuoto assoluto della mente rispetto all’argomento. Ma cosa potevo scrivere io di non meramente teorico su questo argomento? il mio vivere, il mio essere, dopo due anni di lavoro su di me, era davvero un disastro! Quella rabbia che per anni ero riuscita a contenere, aveva preso il sopravvento; tutto quello scavare, cercare, sentire attraverso le esperienze vissute, avevano proprio rotto tutti gli argini che ancora trattenevano il dolore, ed io, ero davvero nel momento peggiore di sempre. Cominciavo a non piacermi più, a non sopportare più il male che il prendere atto di ciò che fossi diventata mi creava… e la rabbia, che negli anni del “degrado” avevo elargito soltanto ad alcuni “eletti”, soltanto in alcune circostanze, si manifestava adesso continuamente. Persino i miei compagni di “cerchio”, che ho sempre amato e rispettato, visto come risorse, mi facevano davvero arrabbiare.

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Entrare in dinamica, anche durante una semplice conversazione con i miei parenti durante le riunioni della domenica, sembrava essere così naturale! La prova che per anni la mia rabbia era stata assolutamente trattenuta, non palese ai più, la leggevo nei visi sgomenti di chi mi osservava durante la mia “performance”. Adesso, che anche attraverso la stesura della tesi mi è stato possibile ripercorrere quasi ogni fase di questo cammino, ogni nuova consapevolezza, dare un ordine e un significato ad ogni piccola cosa accaduta, vissuta, comprendo che altro non è stato, tutto il viaggio, che un preparare giorno per giorno, il mio possibile ritorno alla Matrice d’Eccellenza. Mi accorgo, solo adesso, di quanto tutto il “fare” sia stato funzionale e propedeutico a questo e come abbia cominciato da un po’ a dare i suoi frutti. Giorno dopo giorno, sto prendendo atto di quante cose: pensieri, convinzioni, abitudini, illusioni, aspettative si sono e si stiano ancora trasformando. Di quanto abbia “imparato”, fatto mio, quasi senza accorgermene all’inizio, un nuovo modo di sentire, di pensare e di agire. L’aver guardato al mio vissuto inconsapevole, cominciando a trovare un riscontro, a dare un nome ai miei comportamenti e alle mie azioni; confrontarmi con i ruoli empirici di riferimento, riconoscendomi nei passaggi della metamorfosi; ripartire da dove tutto ciò aveva avuto inizio tanti anni fa, non più con la mente ma con il mio sentire, ha trasformato la mia visione delle cose, la mia prospettiva. Credo di avere acquisito così gli strumenti e aver iniziato ciò, che nella Grammatica dell’Essere, nel paragrafo relativo alla Risoluzione Sistemica, il Prof. M. Hardy definisce: Processo di Riconversione, cioè di “yinghizzazione” o “yanghizzazione”, che rende possibile riconvertire il proprio stato empirico alterato in uno più vicino al libero fluire. Per accedere a tale processo è stato necessario iniziare ad “evadere” il mio debito personale, affrontando, trasformando il dolore, che ho continuato a rinnegare per anni. E questo adesso posso dirlo per esperienza, è stato possibile soltanto all’interno del percorso di evoluzione personale che ho fatto, attraverso la guida di “anime competenti”; altrimenti avrei continuato a rimestare sempre le stesse cose, con i medesimi schemi. E’ infatti praticamente impossibile trasformare qualcosa della quale continuiamo a rinnegare l’esistenza; è necessario che qualcuno sia in grado

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di farcelo vedere, toccare con mano, per poi poterlo accettare, il nostro dolore. Ed io lo so bene, per buona parte della mia vita il mio dolore non l’ho voluto accogliere, non ho voluto vederlo, non mi sono potuta perdonare; e finché non l’ho visto, accolto e mi sono perdonata, non mi sono “schiodata” da dov’ero. Attraverso questo “guardare guidato” dentro di me, ho iniziato a vedere i miei schemi, i miei copioni, le modalità “contro sistemiche” del mio agire, il mio non riconoscermi e quindi, il mio dovermi quotidianamente “inventare” qualcuno da “impersonare”. E’ stato necessario acquisire e collegarmi ad un tipo di coscienza diversa da quella che mi era appartenuta fino ad ora. Quella mia personale, infatti, visti i miei parametri distorti filtrati dal mio debito, mi ha tenuto per anni distante dai miei diritti/doveri di genere, ma soprattutto dalla possibilità di acquisire consapevolezza di ciò. Soltanto attraverso la “Coscienza Empirica”, come la chiama il prof. M. Hardy, possiamo infatti percepire quanto i nostri comportamenti, il nostro agire, siano “lontani” dalle regole dell’Ordine per un nostro “libero Fluire”, e quanto questa lontananza ci precluda l’accesso alla nostra Matrice Genuina. Adesso che sono arrivata qui al punto in cui sono, a distanza di mesi, ritornando con la mente alla conversazione con il prof. Hardy sul tema della tesi: per me l’amore, per lui la Matrice d’Eccellenza, mi rendo conto, che lui come sempre ha visto molto più di me e come alla fine entrambe le cose si sono rivelate strettamente legate e imprescindibili l’uno dall’altra. Non si può percorrere la strada per la Matrice d’Eccellenza se non attraversando per gradi e con coraggio tutti i passaggi: vedere, accogliere, perdonare, il tutto con amore! Come ho ipotizzato infatti nel primo capitolo della tesi “Ipotesi per un ritorno a casa”, quello che io ritengo indispensabile, la strada, la porta d’accesso, la chiave per accedere alla mia Matrice d’Eccellenza, è l’amore. E visto ciò che ho sperimentato e vissuto, posso solo confermarlo, almeno per me, almeno per ciò che riguarda il mio percorso di “riconversione”. Ho iniziato dall’amore per me e da questo, tutto il resto si è manifestato per ciò che era ed è.

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Alla luce dell’amore, della spinta che esso produce, all’apertura del cuore e dell’anima che porta con sé, possiamo per così dire “spianare” ogni strada, rendere più leggera e accettabile ogni cosa; ci si apre all’essenza di sé e degli altri; si percepisce tutto nella sua bellezza e importanza, persino il dolore. Amarsi rende possibile accogliere ogni cosa, luce o ombra che sia; gioiosa o dolorosa, solo per il fatto che ci sia nella tua vita, solo per il fatto che ti appartenga. L’amore è davvero “l’indicatore” di un nuovo autentico vivere, l’espressione massima di ogni essere umano, che desideri qualcosa di “vero” per sé e per la sua vita. Ma è proprio lo stabilire un rapporto d’amore con noi la cosa che paradossalmente ci risulta più difficile, ma è anche l’unica che dà un senso, un valore, anche all’amore per gli altri e a tutto il resto. Noi non ci amiamo, e più proclamiamo di essere contenti di noi, soddisfatti di ciò che siamo, orgogliosi del nostro essere e vivere, più questo si rivela un raccontarsela. Per me è stato proprio così negli anni in cui ho vestito i miei ruoli alterati, soprattutto nei panni della donna finta yang, dove indipendenza, possibilità di scelta e gestione “in solitaria” della mia vita, mi hanno dato quasi un senso di onnipotenza; continuavo a ripetermelo, quasi a dovermene convincere: io valgo, sono davvero in gamba, mi piaccio e quindi mi “devo” amare. Ma quando ho iniziato a guardarmi dentro con lealtà verso me stessa e consapevolezza e soprattutto con altri “parametri” e strumenti, ho compreso che non soltanto non mi piacevo, ma soprattutto non mi amavo. Del resto, ripensandoci, cosa ci può essere di amabile, in una donna che non sa neanche chi sia realmente, sempre in lotta con tutto, che maschera e copre i propri limiti ed errori con altri limiti ed errori? E’ questo infatti che ci costringe a fare un vivere alterato, coprire ciò che è autenticamente inaccettabile con altro autenticamente inaccettabile. Mi affatica solo il doverlo ripensare e scrivere. Non potevo certo amarmi con la mia rigida, inflessibile e inconscia critica alle mie debolezze e fragilità del passato, alle mie paure, ai miei errori, al mio dolore.

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Non ci può essere amore nella critica e nel giudizio; non può esserci amore nel non accogliersi, non consolarsi e non perdonarsi; non può esserci amore senza un’anima viva, sveglia, in armonia, che faccia da compagna a questo amore. Ed è stato necessario cercarlo dentro di me questo amore autentico, andare a “ripescarlo” nel profondo, dove qualcuno ci aveva messo un seme, dove la mia bambina lo aveva custodito per tanti anni, dove era rimasto ad aspettare, in attesa di poter germogliare. E’ stato questo il grande passaggio, iniziare davvero ad amarmi, così com’ero; piena di dolore, arrabbiata con me e col mondo, sfiduciata circa il mio valore, le mie risorse e i risultati non soddisfacenti della mia vita. E’ difficile descrivere, raccontare questo passaggio; questo traghettare lento e forse per un po’ anche inconsapevole, perché ancora non lo percepivo con chiarezza, né nel suo significato né dove mi avrebbe portata. Io lo considero il miracolo della mia vita! Perché oltre alle mie nuove consapevolezze, relative al mio essere, alla cura per la mia anima, mi ha permesso di sentire anche il mio corpo, che per anni avevo percepito totalmente staccato, scollegato da me e che con il passare degli anni si era trasformato anche lui. In poco tempo senza che io decidessi nulla razionalmente, qualcosa dentro di me ha cominciato a chiedere altro. Da cose importanti e profonde relative a sentimenti e relazioni, a semplici abitudini quotidiane, quasi tutto si è trasformato, anche il mio modo di alimentarmi; lo scegliere cosa mangiare, il tempo e la cura nella preparazione, sono diventati amorevoli. Ho iniziato ad apparecchiare la mia tavola per il pranzo e la cena, anche se spesso sono da sola, piuttosto che aprire il frigo e prendere la prima cosa che mi capita. Accendere delle candele la sera e mettere un po’ di musica, senza aspettare un’occasione speciale. Ho iniziato a prendermi cura di alcune piante di orchidee regalatemi tempo prima che giacevano in un angolo, alle quali mettevo frettolosamente un po’ d’acqua quando quasi sentivo i loro lamenti, ed in poco tempo sono fiorite, quasi a significarmi che senza cura e amore, non nasce e non cresce nulla.

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So che ad alcuni, ciò che dico farà sorridere, può sembrare davvero ingenuo, ma credo di aver compreso anche, che ognuno di noi può inventarsi una sua “ricetta”, qualcosa che funzioni per lui, qualcosa che faccia attivare e mettere in moto l’amore per sé. E pian piano, lui è arrivato… e quante cose sono cambiate! Anche la rabbia sembra essersi ritirata, ha smesso di essere protagonista assoluta, si è fatta da parte e ha trovato anche lei un suo spazio; ha cambiato senso e significato; perché amarsi, darsi un valore, sentire la propria sacralità, riconoscersi accettando i propri limiti, i propri errori, ti permette di guardare a te ed anche “all’altro”, chiunque esso sia, con amorevolezza e compassione, rendendo più semplice la comprensione e l’accoglienza. Amarsi, ti fa sentire la necessità di “allinearti” a ciò che è “sano per te”, a ciò che è “nell’ordine delle cose”, a ciò che “non ti fa fatica agire”, ti permette di avvicinarti e gustare quanto sia riposante il “libero fluire”. Non è semplice, ma possibile! Non è semplice, ma vivere “fuori” di noi lo è ancor meno, è solo che ci siamo più abituati, lo conosciamo meglio questo agire, ma costa tanta energia e fatica, per nessun risultato auspicabile. Mi è capitato proprio qualche mese fa di ascoltare un’intervista a Neal Donal Walsch, che parla del suo libro “Conversazioni con Dio”. C’è una parte in cui dice che forse basterebbe chiedersi ogni volta prima di agire: “cosa farebbe l’amore?”. Certo, si potrebbe obiettare che questa scelta in funzione dell’amore, potrebbe riportarci a vecchi schemi, che potrebbero ritorcersi contro di noi nuovamente. Mi viene in mente, infatti, la “consegna” dei nostri genitori che noi accogliamo anche se alterata, perché la consideriamo un consegna d’amore. Per cui chiedersi “cosa farebbe l’amore” potrebbe farci nuovamente sbagliare, farci ripercorrere strade frutto di scelte non in armonia con noi, non in sintonia con il nostro autentico essere e sentire, solo in funzione di una richiesta che viene dall’altro. Ma non siamo più bambini, quell’ “ingenuo” accogliere ogni cosa anche a costo della nostra “vita”, non può più appartenerci; a questo serve il nostro

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essere uomini e donne integrati, a questo serve la nostra consapevolezza e soprattutto l’amore per noi. Ed è in funzione di questo, del rispettare e amare noi stessi per primi, che operare le altre scelte in amore e con amore anche all’esterno, non potrà danneggiarci. Man mano che scrivo rileggo ciò che ho scritto… e mi commuovo, davvero tanta emozione mi procura il “sentirmi” così dopo tanti anni! Oggi sento di aver fatto il mio “giro di boa”; questa che ho appena iniziato a percorrere è la strada per ritornare a me, e per quanto la Matrice d’Eccellenza sia lontana, probabilmente irraggiungibile, il tendere verso… ha portato già i suoi frutti e sono certa che altri ne arriveranno. Questa, è oggi la mia consapevolezza!

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10. CONCLUSIONI Si completa una parte di ciò che ho sempre amato definire in questi anni, un “viaggio dell’anima e del corpo”. Sono scesa ad una stazione con il mio nuovo splendido bagaglio. Tre anni sono trascorsi e oggi posso dire, non invano. Tante emozioni contrastanti li hanno connotati; anni vissuti intensamente con alti e bassi in tutti i sensi, alternando momenti di grande consapevolezza e presenza a momenti di scoraggiamento e di “andar fuori”; momenti di grande pace interiore e fiducia a momenti di rabbia, per la vita passata, sprecata. Ma li ho vissuti tutti, la prova è che ricordo ogni cosa, ogni emozione, ogni sconfitta, ogni vittoria, ogni piccolo passo in avanti e lo scivolare nuovamente all’indietro risucchiata dalla paura e dal dolore. Il completamento della tesi, alla quale ho lavorato con impegno e cuore, fa da sigillo ad un periodo che comunque si completa, si chiude. Non certo perché sono arrivata, non certo perché il viaggio della mia crescita, della mia vita sia giunto ad una meta, ma perché si chiude un

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cerchio, che avevo appena iniziato a tratteggiare tanti anni fa, rimasto sospeso in attesa di essere completato… Comprendere! E proprio mentre scrivo, mi sale al cuore più di una considerazione. Se avessi elaborato questa tesi e queste conclusioni appena sei mesi fa, tutto sarebbe stato diverso; il sentire mie nel profondo, alcune parti della teoria empirica, le mie considerazioni sul mio vissuto, il mio sguardo su di me, la mia percezione di me. Giorno dopo giorno, infatti, durante la stesura di questa tesi, continuamente nuove “illuminazioni” e aperture sono arrivate, e se dovessi riscriverla tra qualche mese, altre ancora sono certa vedrebbero la luce. E’ come se in questi anni di percorso non avessi fatto altro che “alimentarmi” senza immaginare, senza pensare, forse anche senza credere fino in fondo che tutto ciò avrebbe “nutrito” lentamente la mia anima e in che modo lo avrebbe fatto. Ed in questa fase di riposo e di riflessione gli effetti di questo nutrimento si stanno palesando. Cose fino a qualche tempo fa impensate e impensabili, sono divenute realtà, le ho fatte mie, come si dice si sono “sedimentate”. Ed oggi si manifestano in tutta la loro nutriente luce. Ora comprendo anche perché, all’inizio di questo ultimo anno di corso, ho deciso di frequentare, oltre il percorso prestabilito, anche alcuni Seminari del prof. M. Hardy, a Bologna. Quello che ad alcuni è sembrato un eccesso, un’esagerazione, quasi un volermi fare del male con il rischio di invalidare, pregiudicare tutti i piccoli passi fatti, è stato solo frutto di un mio sentire profondo che la mente non ha percepito e quindi anche io razionalmente non ho compreso in quel momento. Sentivo soltanto di non volermi fermare, di non poter “sprecare” altro tempo. Ho avuto la sensazione al ritorno da alcuni Seminari alquanto “tosti”, di essere diventata quasi masochista nei miei confronti, di andare proprio a cercarlo il dolore, di andare lì, per toccare con forza, parti di me che stavano già bruciando.

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Ma oggi, posso solo essere grata a me per essere stata capace, finalmente, dopo anni di paura, di sperimentare il coraggio che può definirsi tale, solo quando affronti qualcosa che ti fa veramente paura, proprio quando ne hai più paura. E sono grata dal profondo del mio cuore a chi mi ha guidato in questo viaggio su terre assolutamente sconosciute, fornendomi strumenti che ho cercato pian piano di imparare ad usare. Unica mia certezza, la fiducia totale in chi mi ha guidato in questo viaggio. In questi ultimi mesi, dove la trasformazione ha cominciato a manifestarsi in maniera più chiara, mi sono guardata spesso allo specchio e ciò che ho visto, ha cominciato a piacermi. Anima, cuore e corpo si sono ritrovati, in un’unione armonica e gentile. Ed io mi guardo e finalmente mi riconosco. Cosa sono oggi, chi sono io in questo momento? … … semplicemente una donna consapevole che altre prove l’attendono, che altre gioie e dolori verranno; che gioie, dolori e persone del passato adesso sono amorevolmente custoditi nel suo cuore, a ricordare che nella vita è necessario accogliere ogni cosa, come dono irrinunciabile. La novità qual’è ... che ho appena iniziato a percorrere la mia strada di ritorno a casa; in questo viaggio di ritorno, sono con me, io ci sono, e farò tutto il possibile per esserci sempre!

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9. PROGETTO DI SPERIMENTAZIONE Mi ascolto… mi sento… io sono… Il corso di studi prevedeva alla fine del triennio un tirocinio finale di dieci ore, nel quale sviluppare un progetto relativo ad una attività di Counseling. A tale proposito, ho scelto di svolgere il progetto all’interno della scuola dove lavoro, il Liceo Classico G. Meli di Palermo, rivolgendomi ad alunni delle classi quinte, maggiorenni. Ho ritenuto di accogliere non più di dieci adesioni, vista la mia assoluta inesperienza nel gestire situazioni del genere. Ho inoltre previsto cinque incontri di due ore, con cadenza settimanale. Il progetto che inizialmente avevo preventivato di svolgere nel mese di Novembre, visto che i ragazzi sarebbero stati in seguito impegnati in una serie di attività didattiche pomeridiane propedeutiche agli Esami di Stato, ha invece subito un notevole ritardo, sia per motivi burocratici (richiesta

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autorizzazione, approvazione del progetto da parte del Dirigente Scolastico), che di altra natura. Già in questa fase di semplice programmazione del progetto, ho avuto modo di sperimentarmi sia a livello organizzativo ma anche e soprattutto a livello emotivo. Gli intoppi per così dire “burocratici”, dovuti più alle “resistenze” del Dirigente Scolastico che a problemi reali, mi hanno davvero messa alla prova. In questa fase ho toccato con mano quanto sia più semplice avviare e porre in essere progetti che si occupino di tematiche legate semplicemente alla didattica, piuttosto che qualcosa che investe un ambito considerato da molti, ancora un tabù… il sé. Ho dovuto far ricorso a pazienza, savoir- faire, diplomazia, per evitare che i tanti “cavilli” addotti dal Dirigente e da qualche Docente (pochi per la verità), che hanno vissuto questo progetto come un’intrusione, facessero saltare il progetto stesso. Non è stato semplice per me condurre questa fase. Non è stato semplice neanche essere determinata ma “morbidamente” convincente, mentre dentro si agitava di tutto, anche rabbia per la chiusura che questi adulti, culturalmente preparati, che si occupano di adolescenti in una fase così delicata di crescita, hanno dimostrato per l’argomento in questione. Finalmente l’autorizzazione è arrivata; dopo la fase di presentazione del progetto ai ragazzi, la raccolta delle adesioni, e la disponibilità del locale dove svolgere le attività, il progetto si è attivato il 18 Marzo c.a. Questo inizio ad anno ormai inoltrato, ha causato una discontinuità di frequenza di alcuni di loro e il ritiro di altri, che non sono riusciti a conciliare i loro impegni scolastici in prossimità degli esami, con la frequenza della sperimentazione. Anche questo mi ha fatto riflettere sulla mia inesperienza nel valutare gli imprevisti: avrei potuto accogliere un numero maggiore di adesioni in previsione di qualche defezione. Su dieci ragazzi, soltanto cinque di loro (quattro femmine e un maschio), hanno frequentato per tutti e cinque gli incontri, due si sono ritirate dopo il primo incontro, le rimanenti tre hanno frequentato in maniera discontinua.

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Ciò mi ha comunque permesso di svolgere il progetto, permettendomi anche una valutazione della loro risposta emotiva in progress, ed una valutazione finale. La finalità del progetto è stata quella di sollecitare, attivare e incentivare, un nuovo tipo di “ascolto”, quello interiore, così poco sperimentato dagli adolescenti e non solo, sia per i continui stimoli esterni ai quali sono sottoposti, sia per una carente attenzione sociale in genere, ma soprattutto della scuola, a ciò che riguarda il sé, la parte spirituale di noi, quella voce interiore che ci parla, ma che spesso resta inascoltata. Attraverso varie attività, attingendo a varie discipline (meditazione, espressione corporea, voce, scrittura creativa, disegno, condivisione etc.), ho cercato di far conoscere e nei limiti del possibile, visto il numero limitato di ore e di incontri, attivare una nuova “frequenza”, un nuovo livello di “ascolto” per introdurli al “sentire”. Gli argomenti da affrontare e le attività da svolgere sono stati inizialmente stabiliti da me come traccia indicativa, ma rimodulati di volta in volta, tenendo conto della risposta emotiva dei ragazzi, dell’interesse dimostrato per ciò che proponevo e della capacità che ho riscontrato in itinere, di comprensione e accoglienza interiore di ciò che via via sperimentavano. Attraverso un approccio empirico, ho parlato loro della teoria del Prof. M. Hardy, di Ordine Empirico, inteso come motore di ogni moto vitale, del suo criterio di funzionalità e armonia naturale, di libero fluire, di stato di eccellenza o matrice, di yin e yang e delle qualità empiriche ad essi connesse, indispensabili affinché l’ordine non subisca infrazioni; di debito empirico, presenza, consapevolezza, luce, ombra etc. Gli argomenti, per quanto complessi e vasti, sono stati trattati con grande attenzione, delicatezza e semplicità. Lo scopo infatti, visti i tempi ristretti e l’approccio assolutamente nuovo per i ragazzi, era quello di sollecitare il “sentire” distinguendolo dal “capire”, lasciar cadere un seme nel loro cuore, che potesse far germogliare interesse verso un modo diverso di approcciarsi a sé e agli altri, un modo diverso di approcciarsi al vivere, un modo diverso di… essere.

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SVOLGIMENTO DEL PROGETTO

PRIMO INCONTRO DEL 18 Marzo 2014 Sono presenti: Fabrizio, Giorgia, Maria Carola, Martina, Stefania, Virginia.

- Presentazione personale. - Libera condivisione su cosa li ha spinti a partecipare, cosa si aspettano da questi incontri. - La sacralità del “cerchio” inteso come spazio sicuro – no critica, no giudizio né verso di noi né verso i compagni. Ho condiviso con i ragazzi la finalità di questi incontri: il desiderio di comunicare loro quanto sia importante per ognuno di noi imparare ad ascoltarsi per meglio comprendere chi siamo, cosa pensiamo di noi, cosa amiamo e cosa non amiamo di noi, cosa vorremmo cambiare e perché. Ci sentiamo amati, compresi, semplicemente per ciò che siamo o riteniamo di dover cambiare qualcosa di noi per poter essere amati? Ci giudichiamo, ci sentiamo giudicati, sentiamo di doverci adeguare alle aspettative degli altri? Ho cercato di far comprendere loro l’importanza di ritagliare quotidianamente un piccolo spazio per se stessi, per restare “da soli”, nel silenzio ad ascoltarsi; ad utilizzare la scrittura per mettere su carta le loro emozioni ed intuizioni su di loro e sul mondo che li circonda e poter rileggere nel tempo, il cammino che fa la nostra anima ed anche il nostro corpo, quando gli diamo tempo, valore e ascolto. Ho sentito forte la loro emozione. La sensazione che a qualcuno stesse a cuore il loro essere, il loro sentire, li ha sorpresi. E il loro aprirsi e raccontarsi sin da subito, ha sorpreso me. Ognuno di loro a suo modo, ognuno sottolineando un aspetto in particolare, ha manifestato il senso di solitudine, la convinzione di non essere compresi non soltanto dai loro genitori, ma anche dagli amici… cosa che per loro sembra avere una grande importanza. “Noi siamo degli esseri sacri, a prescindere dalle nostre convinzioni religiose. Siamo degli esseri unici e irripetibili… ognuno di noi porta in sé una luce che dobbiamo soltanto imparare a vedere, percepire nella sua grandezza e aiutare a venir fuori, perché possa manifestarsi in tutta la sua bellezza.

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Ma perché ciò accada è necessario che impariamo a riconoscerla, noi per primi, altrimenti non può brillare… è come se non esistesse… finché non la vediamo, finché non ne siamo consapevoli. E non c’è consapevolezza senza “ascolto” di se stessi. E ci sono “ombre”, quelle che noi interpretiamo come “difetti”, ed anche queste fanno parte di noi, ci appartengono… Ed anche queste ombre è necessario che vengano riconosciute, accettate per ciò che sono: parte di noi. Soltanto così riconoscendole ed accettandole, possiamo piano piano trasformarle, far sì che non siano un peso, un limite, una “colpa”, ma possano diventare risorse”.

Attività - Primo contatto con un respiro consapevole, seduti per terra ad occhi chiusi, ascoltare e seguire il respiro cercando di allontanare la mente con i suoi pensieri, lasciare che al suo posto siano le emozioni del corpo a parlarci… cosa ci dicono. (Musica). Durata 10 minuti. Finalità: entrare in contatto con noi, ascoltare le nostre emozioni. - Esercizio dei “Baby Sounds” (Soul Voice Karina Schedel). Distesi per terra, assumere la posizione di un neonato nella culla (gambe rannicchiate), simulare la lallazione del bambino, emettendo suoni e movimenti tipici di un bimbo di pochi mesi. Durata 10 minuti Infine completamente distesi, occhi chiusi e ascolto delle emozioni. (Musica) Dopo un primo momento di imbarazzo e qualche risatina, sono entrati nell’attività, i movimenti si sono fatti sempre più “bambini”, i suoni sempre più espressivi. - Condivisione dell’esperienza. Mie sensazioni ed emozioni del primo incontro – Mi sono preparata con grande cura a questo incontro.

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Ho fatto una simulazione della mia condivisione d’apertura e delle attività, più volte a casa. Sono un po’ tesa. Faccio affidamento, vista la mia inesperienza, solo ed esclusivamente sull’amorevolezza che queste creature mi suscitano. La vera e sola preoccupazione è quella di riuscire a sentirli e far sentire loro ciò che desidero gli arrivi… amore e interesse per ciò che si aspettano da questi incontri, ma soprattutto dalla loro vita. Tesissima fino all’arrivo in palestra, luogo degli incontri. Appena entrata la tensione si allenta, non passa del tutto. Ma il vederli lì in attesa, mi ha fatto sentire forte per cosa io, fossi lì… ero lì per loro! Le due ore sono passate veloci, ci salutiamo con abbracci profondi e sentiti, come se ci conoscessimo da tempo. Mi sento rincuorata. Non appena in macchina per tornare a casa tutto cambia. Mille domande. Come è andata, si sono sentiti accolti, compresi; sono arrivate le mie intenzioni, gli avrò dato abbastanza spazio … ritorneranno? Non appena a casa, un vero e proprio tracollo… mi stendo sul divano in posizione quasi fetale, con una stanchezza e un senso di fallimento incredibili. Niente di ciò che è stato dovrebbe farmi pensare a questo. Tutto è andato come avevo previsto, per ciò che riguarda la parte pratica. Ma continuavo a chiedermi… li ho compresi davvero? … mi hanno compreso? Sono stata malissimo. Forse le loro condivisioni, il loro dolore mi ha sopraffatto. Nei giorni a seguire ho cominciato a comprendere nel profondo, il senso di ciò che più volte mi ero sentita dire dai miei docenti durante i seminari, sul “cadere dentro” le emozioni…

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SECONDO INCONTRO DEL 25 marzo 2014

Sono presenti: Fabrizio, Giulia, Maria Carola, Stefania, Virginia. - Condivisione iniziale: come è andata la settimana? cosa vi siete portati dalle esperienze del primo incontro? pensieri e riflessioni… - Dieci minuti di respiro consapevole. - Esercizio “Il mio specchio… l’altro specchio”. (dal libro Tra luce e ombra di Liliana Minutoli) - Condivisione dell’attività; Finalità: Mi osservo mai. Mi riconosco in ciò che vedo di me, quanta cura ho per me, quanta cura ho per l’altro. Sensazioni corporee del dare e del ricevere. Differenze. Attività Musica. I ragazzi si dispongono, su mia richiesta, in un punto della sala. Chiedo loro di respirare profondamente e di prepararsi ad entrare in contatto con sé. Inizio a guidarli. Alza lentamente la mano destra e portala davanti al tuo viso, come fosse uno specchio dentro al quale osservarti. Guada gli occhi, qual’ è l’espressione che vedi? Le sopracciglia, sono aggrottate, rilassate? Il naso è arricciato, dilatato, normale? La fronte è distesa, aggrottata, pensierosa? La bocca, sorridente, triste, accenna ad un sorriso o è serrata dalla rabbia o dalla paura? Che espressione vedi, ti riconosci? In quale occasione senti di avere questa espressione? Adesso alza l’altra mano e inizia a sfiorare il tuo viso accarezzandolo con amorevolezza. Accarezza ogni parte con delicatezza, ogni espressione in cui vedi la luce o in cui vedi un’ombra.

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Utilizza la mano permettendoti di sentire attraverso essa le tue emozioni come se potessi sentire anche quelle più nascoste. Prenditi cura di te. Adesso chiudi gli occhi, respira, comincia a chiederti come è stato. Hai trovato difficoltà? Ti ha imbarazzato prenderti cura di te o ti è sembrato naturale? Ascolta e rimani lì ad osservare e sentire senza criticare o interpretare, qualunque sia l’emozione che ha attraversato il tuo viso, qualunque sia l’emozione che ti ha attraversato. Adesso prova ad esplorare il viso di un compagno. Trova un compagno nella sala, mettiti di fronte a lui e decidete chi è A e chi B. Ad occhi chiusi e respirando, cercate di entrare in contatto tra di voi. Sempre ad occhi chiusi A alza la mano destra e comincia a sfiorare il viso di B. Cercate anche ad occhi chiusi di “sentire” ciò che vi dice questo viso. Che sensazioni o emozioni vi arrivano? Lo senti simile al tuo? E’ completamente diverso? Senti le sue sensazioni o non lascia trasparire nulla? Senti gioia, imbarazzo, sofferenza, fastidio? E tu B, che emozioni ti provoca la mano di A che sfiora il tuo viso? Senti che si prende cura di te? Provi imbarazzo? Senti amorevolezza? Adesso A abbassa la mano ed entrambi restate in silenzio ad ascoltare le vostre sensazioni. Respirate. Adesso B alza la mano destra e inizia a sfiorare il viso di A. Ascoltate le vostre sensazioni. E’ più facile prendersi cura o riceverla? Ti senti più a tuo agio nel dare, nel ricevere o in entrambe? Adesso B abbassa la mano. Respirate, aprite gli occhi e cominciate a guardarvi esplorando il viso dell’altro. Come è lo sguardo del compagno? Amorevole, imbarazzato?

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Percepite dai vostri occhi i vostri sentimenti? Lasciate che l’altro percepisca le vostre di emozioni? O vi sentite imbarazzati e fate di tutto per mascherarle? Infine chiudete gli occhi, respirate e ascoltate le vostre emozioni. Lentamente riprendete il contatto con la realtà. Prendete il foglio che è accanto a voi e provate a descrivere, scrivendo o disegnando, le vostre emozioni. Condivisione. Osservazioni Durante la prima parte dell’attività, quando i ragazzi singolarmente si dedicavano all’osservazione e alla cura di sé, le espressioni e le emozioni dei loro visi erano abbastanza naturali e rilassate, solo un piccolo imbarazzo inziale da parte di due di loro… ma più per la assoluta novità del loro “fare” che per l’esercizio in sé, nel quale sono entrati naturalmente e senza resistenze. Non più così naturale quando l’attività è stata svolta in coppia. Già un primo imbarazzo c’è stato nello scegliersi per formare la coppia, nonostante si conoscessero da tempo, alcuni sono anche compagni di classe. Superato l’imbarazzo l’attività è iniziata. Molta amorevolezza nei loro gesti. Molta cura e attenzione. Durante questa attività uno di loro che riceveva, ha iniziato a sentirsi male. L’ho aiutato a sedersi, gli sono stata accanto, cercando nei limiti di quanto mi fosse possibile, vista la mia sorpresa ed anche inesperienza, di continuare a dare indicazioni agli altri, il cuore mi batteva forte. Per fortuna si è ripreso subito, mi sono resa conto che era stata la forte emozione provata durante l’attività. Ad attività completata abbiamo condiviso. Non credo sia un caso che, chi aveva manifestato un malessere durante l’attività, avesse già condiviso con il gruppo al primo incontro, la sua sensazione di abbandono totale da parte dei genitori, sin da piccolo.

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Figlio unico, nessuna cura e attenzione, queste le sue parole: mi sono sentito sempre “cresciuto per strada da solo”. Fin troppo semplice concludere che non fosse abituato a ricevere attenzione, pur avendo dimostrato tanta amorevolezza nel dare. Mie sensazioni ed emozioni del secondo incontro – Durante la settimana ho avuto modo di lavorare un po’ su di me, per cercare di essere un po’ più centrata, alfine di evitare un coinvolgimento emotivo totale come accaduto al primo incontro. Ho fatto delle attività di radicamento che ho imparato dal “Soul Voice” di Karina Schedel, ho cercato di stare il più possibile con me… Ho letto e riletto l’attività descritta sul libro della Dott.ssa Minutoli che ho deciso di proporre ai ragazzi. Ho cercato di farla mia per evitare di leggere e dare il senso e la forza che questa attività porta con sé. Sono preoccupata che non si presenti nessuno. Ma giunta al luogo degli incontri, li ritrovo lì, mancano Martina e Giorgia, mi diranno per impegni scolastici, ma c’è Giulia che non era presente al primo incontro per motivi di studio. La loro presenza mi rassicura e mi dà grande gioia. Il loro feedback è assolutamente meraviglioso per me. Si aprono ancora di più, sento che hanno colto perfettamente il senso del cerchio, inteso come spazio sicuro dove possono essere se stessi, senza paura di essere giudicati, criticati, derisi per le loro debolezze e paure. Virginia mi parla del tempo trascorso da sola nella sua stanza, non più con senso di solitudine, ma per ascoltare musica, per stare un po’ con lei, per ascoltare ciò che ha da dirsi, con la nuova consapevolezza di chi vuole dare un senso alle sue paure e domande. Stefania mi parla del troppo peso che dà all’approvazione degli altri, alle responsabilità che si assume per l’assenza fisica dei suoi genitori impegnati a lavorare anche la domenica. A quanto tenga per sé il suo senso di solitudine per non caricare i genitori di questo peso.

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Fabrizio comincia a chiedersi se le critiche che rivolge ai suoi amici quando entrano in conflitto con lui per i motivi più disparati, non siano anche una sua responsabilità, e si chiede se il chiudere con loro ogni rapporto non sia un non volere affrontare se stesso e i suoi limiti. Io li ascolto, ho i brividi… e mi chiedo: è possibile che basti così poco a farli sentire e aprire a nuove consapevolezze? E considerando la mia assoluta inesperienza nella professione di Counseleur, mi chiedo: può solo l’amorevolezza e l’attenzione per loro, al loro essere, sortire questi effetti? Non so… sono davvero all’inizio, ma sento che l’amore ha un grosso peso nelle relazioni e quindi anche nelle relazioni d’aiuto! Rifletto su di me, a quanto tempo ci sia voluto per aprirmi realmente all’interno del mio cerchio, durante questi tre anni di percorso, alle mie resistenze, al mio continuare a raccontarmela, per tanti, tanti mesi. Arrivando anche a mettere in discussione i miei docenti, professionisti con anni di esperienza alle spalle, pur di non ammettere tante cose a me stessa. E allora mi viene da pensare che fondamentale sia l’età, nella quale si interviene. Io non ho esperienza… ho solo aperto il cuore… Ma loro hanno solo diciotto anni e forse questo fa la differenza. Meno anni di dolore, più apertura alla vita, più progettualità… maggiore propensione alla fiducia. Sono solo considerazioni che vengono fuori alla luce del mio sentire in questa esperienza. Se io ho dovuto lavorare tanto, per cominciare ad intravedere una luce che mi indicasse la strada di ritorno a casa, è forse che su di me pesavano cinquanta anni di dolori e di vita vissuta fuori da ogni verità. Può darsi! Tornando a casa, mi sento felice… condividere questo spazio con loro mi dà davvero tante emozioni, grande gioia. Ma nel profondo di me, mi sento ancora un po’ provata e le solite domande e incertezze fanno capolino.

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TERZO INCONTRO DELL’ 1 Aprile 2014

Sono presenti: Fabrizio, Giulia, Maria Carola, Stefania, Virginia. - Condivisione iniziale: come è andata la settimana? Siete più attenti al vostro sentire? - Un accenno alla teoria del Prof. M. Hardy. - Yin e Yang. Attività Cinque minuti di respiro consapevole. Musica Poi ho consegnato a ciascuno di loro un foglio bianco ed una penna, invitandoli a piegare il foglio in due verticalmente. Ho chiesto loro di scrivere, secondo il loro sentire, da una parte tutte le qualità, le peculiarità che secondo loro distinguono il femminile e dall’altra le qualità e peculiarità che distinguono il maschile (Yin e Yang). Musica. Tempo quindici minuti. Alla fine dell’attività chiedo a ciascuno di loro, lasciandoli liberi di scegliere chi vuole iniziare, di leggere ogni singolo attributo, qualità e di spiegare i motivi per i quali li associassero alla donna piuttosto che all’uomo. Utilizzando come parametro di valutazione la teoria del Prof. M. Hardy, non ho potuto far altro che constatare la “mescolanza” di qualità maschili e femminili per ogni sesso biologico che i ragazzi hanno attribuito ad ogni genere. Per Fabrizio non c’è alcuna differenza, ritiene infatti che ad entrambi possono appartenere le medesime qualità, per Giulia, Maria Carola, Stefania e Virginia c’è un misto di qualità sia nella donna che nell’uomo. Fino a qualche anno fa avrei risposto così anch’io! Oggi, non sono più convinta di questo, l’esperienza vissuta per anni, il supporto di ciò che ho appreso attraverso l’approccio alla teoria del prof. M. Hardy, mi hanno spinto, permesso, di spiegare loro i motivi per i quali è proprio questa confusione di attribuzione, la causa di un vissuto fuori dal sentire naturale, da ciò che ci appartiene per diritto/dovere di genere.

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Mentre parlavo, cercavo di immaginare, comprendere, ciò che le mie parole potessero suscitare in loro. Ho cercato velocemente con la mente di ritornare al seminario dove per la prima volta abbiamo sentito parlare di questa netta distinzione tra ruoli e relativi attributi e qualità di genere. Non poco scompiglio si creò in quell’occasione. Per alcuni era inaccettabile. Ho cercato pertanto di far comprendere loro, che tale divisione tra maschile e femminile è una divisione assolutamente naturale, che l’evoluzione della specie ha “sostenuto” al fine di rendere entrambi funzionali, a ciò che la natura ha previsto come progetto finalizzato alla procreazione. Mi sono agganciata all’ importanza dell’essere femminile (yin), inteso non come inferiorità o debolezza, ma come a qualcosa che consente alla donna di muoversi in un ambito che le è congeniale per natura, così come è per l’uomo il suo essere maschile (yang). Insomma non è stato semplice, i modelli esterni sono davvero forti e contrari alla “naturale” divisione e necessitano decisamente di un recupero delicato, lento, ma necessario. Mi sono agganciata alla mia esperienza personale nell’ambito della scuola, ove ho modo di osservare gli adolescenti giornalmente; ciò che vedo, in maniera inequivocabile, è come soprattutto le ragazze siano “calate” in atteggiamenti privi di ogni “femminilità”, intesa nella più pura e semplice accezione del termine. Usano un linguaggio scurrile, movenze poco aggraziate, aggressività verbale e fisica, anche nello scherzo. E spesso i ragazzi le guardano spiazzati. Nessun giudizio, ma è qualcosa di cui dobbiamo prendere atto. Perché non è certo questa la parità di opportunità, che la lotta per i diritti alle donne voleva promuovere; ma questo evidentemente è il messaggio che ad alcuni adulti è arrivato, ed è questo ciò che hanno passato. Infine abbiamo danzato lasciando spazio al sentire del corpo!

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QUARTO INCONTRO DELL’ 8 Aprile 2014

Sono presenti: Fabrizio, Giulia, Maria Carola, Stefania, Virginia. - Condivisione iniziale: come è andata la settimana? Siete più attenti al vostro sentire? - Argomento: la bellezza Attività L’attività è stata concepita considerando l'età dei ragazzi. Questo ha orientato il lavoro verso il tema del degrado empirico, utilizzando, come indicatore, la bellezza nel suo significato più ampio. Ho ritenuto la bellezza, infatti, il parametro più facilmente decifrabile da parte di chi ne è naturale portatore in virtù dell’età. Nella prima parte dell’attività, il tema è stato affrontato dal punto di vista teorico. Da un lato con lo scopo di fornire alcune coordinate empiriche necessarie a comprenderne i vari aspetti: cosa intendiamo per bellezza, quale realtà essa richiama, chi ne è riconosciuto come portatore, quali sono le cause del degrado dal punto di vista dell'approccio empirico, con particolari richiami ai codici Yin e Yang; dall'altro per predisporre i ragazzi a permettersi di accedere, nella seconda parte dell’esperienza, al proprio giardino interiore. Ho utilizzato la visione di un breve filmato, nel quale veniva affrontato il problema del “degrado” del pianeta terra, causato dall’uomo, dal suo agire, dal suo arrogante “vivere”, dalle sue scelte in conflitto con il naturale evolversi degli eventi, come metafora di ciò che l’essere umano, agisce su se stesso, con la stessa arrogante convinzione di essere nel “giusto”, dettando le sue regole. Poi, ritornati in cerchio, ho donato ad ognuno di loro una rosa, immediata manifestazione visiva della “naturale” bellezza e li ho guidati attraverso una meditazione ad occhi chiusi, alla ricerca della loro bellezza interiore. Una rosa, per aprire porte di cui intuivano, forse, solo la presenza; una chiave per accedere a stanze interiori non ancora esplorate.

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La scoperta di un giardino interiore segreto, ricco di fiori e colori è stato il premio per se' e per me che li osservavo. Leggere lo stupore nei loro occhi, per ciò che hanno vissuto attraverso la meditazione, è stato davvero emozionante; per loro, che sono nella terra di mezzo... tra il profumo della spensieratezza, che va affievolendosi e il sapore delle responsabilità che l’età adulta sta preparando, è stato come l’aprirsi ad una nuova visione del loro futuro. La loro, è l'età della scelta di chi voler essere e di quale sentiero seguire... quello che porta al mondo o quello che conduce al Se'? Si tratta di una scelta cruciale, perché spesso definitiva e irreversibile. Il dono che ho ricevuto da loro, oltre alla luce nei loro occhi, è la consapevolezza che occorre provare a creare magia, perché i ragazzi sono essi stessi magia! I ragazzi hanno sete di vita, perché sanno lasciarsi scorrere nella corrente vitale senza opporre resistenza. E se si dà loro la possibilità, una sola, di scorgere cosa sia la vita vera, autentica, in armonia con sé, al momento giusto, nell'età giusta, i ragazzi si svegliano e accendono la loro lampada, per seguirne la luce nell'entusiasmante viaggio della vita.

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QUINTO INCONTRO DEL 16 Aprile 2014

Sono presenti: Fabrizio, Giulia, Maria Carola, Stefania, Valerì, Virginia, ed una compagna di classe di Giulia, non iscritta. - Qualche parole di accoglienza per Valerì, che pur iscritta non ha mai frequentato per impegni coincidenti con le prove in teatro, e Marta, compagna di Giulia, non iscritta, che ha voluto partecipare, incuriosita dai “racconti” che Giulia le ha fatto dell’esperienza. - Condivisione della settimana, presentazione delle nuove arrivate. Durante la condivisione, i ragazzi, ognuno a suo modo, manifestano il loro dispiacere per la fine degli incontri. Mi chiedono, se anche una volta fuori dalla scuola (sono all’ultimo anno di liceo), potranno partecipare come esterni ad un eventuale nuova esperienza. Li rassicuro, dicendo loro che, dopo il completamento del mio corso di studi, se tutto andrà come desidero, se sentirò di essere pronta ad iniziare questa strada in maniera professionale, è mia intenzione sperimentarmi ancora in attività con adolescenti, vista l’opportunità fra l’altro che il contesto in cui lavoro, la scuola, mi offre. In questo ultimo incontro ho lasciato più spazio al loro aprirsi che ad attività particolari. Ho previsto per la parte finale “L’’esercizio della Semente” da “Il cammino di Santiago” di Paolo Coelho, contenuto nel libro della Dott.ssa Liliana Minutoli. E dopo i soliti cinque minuti di respiro consapevole con musica, iniziamo l’attività. ESERCIZIO DELLA SEMENTE

“Adesso è il momento di agire, di far circolare l’energia in ogni parte del tuo corpo, che nasce, cresce e vive nel mondo. Lentamente muoviti e posizionati a terra, inginocchiati al suolo, raggomitolandoti, mettendo le braccia allineate alle gambe e la testa appoggiata alle ginocchia.

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Sei in una posizione fetale. Tutto è caldo e piacevole. Stai dormendo un sonno tranquillo. All’improvviso un dito si muove. Il germoglio non vuole più essere in un seme, vuole nascere. Lentamente cominci a muovere le braccia, poi il tuo corpo comincia a sollevarsi piano piano, finché sarai seduto sui calcagni. Ti alzi ancora, lentamente, per ritrovarti con il busto eretto, inginocchiato al suolo. Anche questo è un viaggio verso la vita, dove accogliere ciò che viene, proprio come un seme che si trasforma in germoglio, che spunta a poco a poco dalla terra. E’ giunto il momento di uscire dal terreno. Ti alzi a poco a poco, metti un piede a terra, poi l’altro, lottando per stare in equilibrio. E anche se senti sofferenza, fatica, anche se hai paura, come un germoglio che si batte per trovare il proprio spazio, cresci, cresci… fino a metterti in piedi. Immagina la campagna intorno a te: il sole, l’acqua, il vento e gli uccelli. Alza lentamente le braccia verso il cielo, tenditi di più, sempre di più, sempre di più, come se volessi afferrare il sole che brilla su di te e ti dà forza e ti attrae. Il tuo corpo comincia a irrigidirsi, i muscoli si tendono mentre ti senti crescere e diventare sempre più grande, immenso. La tensione comincia ad aumentare, a diventare insopportabile. Finché sai di essere pronto ad esplodere… con la tua voce, ad affermare la vita urlando. Non ce la fai più, tendi, tendi e poi finalmente, lancia un urlo, sfogati, afferma la tua presenza nel mondo, nella tua vita, perché questo è il senso di qualunque viaggio. Molla di botto e lasciati cadere a terra!”

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Musica: Dolcenera, Com’è Straordinaria la Vita. Lentamente riprendi tutti i tuoi sensi, per ultimo apri gli occhi… prendi il foglio che hai accanto e scrivi di getto, senza pensare… ciò che ti è arrivato. Alla fine dell’attività ci sediamo in cerchio per l’ultima condivisione. Ho deciso di far loro dono di un piccolo quaderno ed una matita, perché possano cominciare anche quotidianamente a scrivere di loro. Una musica morbida accompagna le nostre emozioni. Infine ci abbracciamo forte. Incontriamo i nostri sguardi. Ci salutiamo. Dopo i saluti, li osservo da lontano, muoversi in questo spazio con una nuova naturalezza rispetto al nostro primo incontro, parlano fra loro, si guardano si sorridono, mi sorridono. Tutto sembra consueto, rassicurante per loro e anche per me. Io ho un magone indescrivibile. Per quanto abbia cercato in queste settimane ed anche adesso di prevenire il “cadere dentro l’emozione”, l’emozione c’è, ed è forte. Imparerò, mi dico, con il tempo e l’esperienza, ad osservare senza farmi “toccare” troppo. Imparerò ad abbracciarli, solo per loro, e non anche per me. Li osservo con infinito amore, li immagino muovere i primi passi, avviarsi verso ciò che sarà il loro futuro di adulti, e nel silenzio del mio cuore auguro ad ognuno di loro… una vita consapevole e in amore. Mie sensazioni ed emozioni del quinto incontro – Si è conclusa questa breve ma intensa esperienza della quale mi sento assolutamente soddisfatta. Ho cercato compatibilmente con la mia esperienza, di guidare questi ragazzi attraverso un breve percorso, che ha permesso a me di

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sperimentarmi in ciò che in un futuro, spero prossimo, potrà essere una professione, e a loro di aprirsi, cominciare a “sentire” un altro modo di approcciarsi a sé e alla vita. E’ stato per me e per loro comunque l’aprirsi di un mondo. Sono davvero un terreno fertile, dove con competenza e amore è possibile seminare cose straordinarie. Non si fa altro che “denigrare” questi adolescenti, attribuendo loro, immaturità, superficialità, troppa leggerezza, assenza di senso di responsabilità e l’elenco potrebbe continuare. La cosa che più mi dà da pensare è che tali accuse vengono mosse da noi adulti: genitori, docenti; proprio da noi che dovremmo essere punti di riferimento, guide, esempi. E ciò che mi sconvolge ancora di più, è questo “deresponsabilizzarsi”, rispetto ai risultati che “leggiamo”; come se noi non avessimo ruolo alcuno, in ciò che contestiamo, come se non potessimo far nulla. Io non sono mai stata convinta di questo…, anche negli anni della peggior inconsapevolezza, ho sentito forte la responsabilità del mio ruolo di genitore e mi sono sentita sempre “l’artefice” principale dei risultati, nel bene e nel male… e oggi posso consapevolmente confermarlo. E’ una nostra precisa responsabilità, ma anche una meravigliosa opportunità, poterli guidare, accompagnare, durante il viaggio della loro crescita, mostrando loro gli strumenti per diventare adulti consapevoli e integrati. E nel muovermi attraverso questo nuovo sentire, oggi si fa chiaro anche il senso di ciò che fino a pochi anni fa, vedevo come una semplice opportunità lavorativa. Oggi sento quanto questa professione, possa diventare un “servizio”, a giovani creature, ma anche ad adulti inconsapevoli, che si affacciano alla vita, con il loro già pesante “zainetto”, con la semplice finalità di metterli in contatto con il loro antico, autentico essere, perché abbiano l’opportunità di ascoltare quella voce sempre più flebile che ci richiama alle nostre autentiche radici: alla “migliore espressione di ciò che noi possiamo essere”.

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