William Wenton e la città perduta

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Un’antica civiltà perduta.

Bobbie Peers

Un misterioso codice a forma di piramide.

Bobbie Peers

Intrighi, piovre meccaniche e una potente arma necessaria per salvare il mondo.

«Immaginate Hogwarts con robot e piante carnivore meccaniche... e aggiungete una cascata di colpi di scena che sorprendono di continuo: questo è William Wenton.» – booklist

e la città perduta

Una nuova imprevedibile avventura che porterà William Wenton fino alle profondità dell’oceano e alla scoperta di oscuri segreti.

«Un po’ Alex Rider, un po’ Artemis Fowl, un po’ Il codice da Vinci per ragazzi: questo è un libro per chi cerca azione e mistero.» – SCHOOL LIBRARY JOURNAL

€ 13,50

ISBN 978-88-6966-479-3

www.castoro-on-line.it

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30/05/19 13:26


Editrice Il Castoro è socia di IBBY Italia

Leggere per crescere liberi

Bobbie Peers William Wenton e la città perduta Traduzione di Laura Bortoluzzi © 2019 Editrice Il Castoro viale Andrea Doria 7, 20124 Milano info@castoro-on-line.it www.castoro-on-line.it Pubblicato per la prima volta da Aschehoug con il titolo Orbulatoragenter © 2017 Bobbie Peers Pubblicato in accordo con Salomonsson Agency Illustrazione di copertina di Nikolai Lockertsen

ISBN 978-88-6966-479-3


Bobbie Peers

William Wenton e la cittĂ perduta

Traduzione di Laura Bortoluzzi



Ad Alexander e al suo amore per i libri



Big Ben, Londra La torre dell’orologio famosa in tutto il mondo si stagliava cupa sopra i maestosi edifici circostanti. Sul quadrante dell’orologio si riflettevano i grigi raggi della luna. Le gigantesche lancette segnavano le tre e mezzo. Londra era silenziosa, così silenziosa che dalla strada si riusciva quasi a sentire il movimento degli ingranaggi nell’alto della torre. Ma di lì a poco, nelle tenebre della notte, il ticchettio dell’orologio fu coperto da un altro suono. Passi. La luce fioca di un lampione svelò l’ombra di una sagoma sempre più grande a mano a mano che si avvicinava. Alla fine apparve una figura alta che si fermò davanti all’inferriata che circondava il Big Ben. Era un uomo con un cappello a tesa larga e un lungo cappotto. Alzò gli occhi verso l’orologio. Per un attimo rimase perfettamente immobile, come una statua nella strada buia. Poi, con un solo rapido balzo, saltò l’inferriata e si avviò ver1


so la parete della torre. Si frugò nelle tasche finché riuscì a trovare quello che cercava: una porticina di metallo non più grande di una scatola di fiammiferi. Fece scorrere una pallida mano sulla pietra ruvida e, come fosse una calamita, la porticina di metallo vi attaccò sopra. Con una serie di scatti e movimenti meccanici, la porticina cominciò a ingrandirsi, fino a diventare della misura di una porta normale. L’uomo si gettò attorno un’occhiata guardinga prima di aprirla, entrare e richiuderla alle sue spalle. Poco dopo, la porta si riaprì e l’uomo uscì, con in mano qualcosa. Sembrava un oggetto pesante, avvolto in un cencio sporco. Una volta richiusa, la porta si rimpicciolì, e l’uomo la staccò dalla parete. Se la rimise in tasca e si guardò attorno, per poi scavalcare di nuovo l’inferriata e sparire nell’oscurità. Quando il rumore dei suoi passi svanì, calò un silenzio di tomba. C’era ancora più quiete di prima. Il Big Ben si era fermato. In una centrale di controllo segreta nell’Istituto per la Ricerca Post-Umana, una luce rossa cominciò a lampeggiare. Sotto la luce una targhetta diceva: big ben, londra. Un tecnico allarmato alzò gli occhi. Il caffè che stava bevendo gli andò di traverso e l’uomo fu colto da un violento attacco di tosse, ma per tutto il tempo il suo sguardo rimase inchiodato alla luce lampeggiante. «Chiamate Goffman», disse, la voce tremante. «Subito!» 2


CAPITOLO 1

«William...», disse una voce. Lui si girò e si mise il cuscino sulla testa. «William...», ripeté la voce. «Devi alzarti.» «Due minuti soltanto», grugnì. «Altri due minuti soltanto.» «Subito, William!», urlò. Si tirò su a sedere e si guardò intorno. Aveva i capelli spettinati e le palpebre pesanti come piombo. Lanciò un’occhiata al portatile sul comodino. La faccia del nonno gli sorrideva dallo schermo. «Dovrò vedermela con tua madre se non ti alzi puntuale», disse il nonno. «Quindi devi farlo, anche se sei stanco morto.» «Lo so, lo so...», bofonchiò il nipote, dondolando i piedi giù dal letto. Il pavimento era freddo e avrebbe voluto ricacciarsi sotto le coperte. A volte pensava che suo nonno 3


fosse fortunato a esistere solo come software: almeno non doveva svegliarsi la mattina. «Devi uscire di casa fra diciannove minuti», disse il nonno. William scese dal letto e prese i vestiti. Con entrambi i genitori al lavoro, era responsabilità del nonno accertarsi che arrivasse a scuola in orario. Ora che riusciva a spostarsi senza sedia a rotelle, grazie all’esoscheletro ricevuto dall’Istituto, suo padre lavorava nel museo della città. Lo stesso dove William aveva risolto il codice più difficile del mondo poco più di un anno prima, e la sua vita era stata stravolta. «Quanti giorni mancano?», chiese William, infilandosi la felpa. Era diventato un rituale che ripetevano ogni mattina. William conosceva la risposta, ma gli piaceva comunque sentirsela dire. Non vedeva l’ora di tornare all’Istituto. «Undici», disse il nonno, sorridendo. «E ti restano quindici minuti, prima che parta l’autobus. Ti conviene scollegarmi.» Il nipote andò al computer. «Buona giornata», gli disse il nonno facendogli l’occhiolino. «E sta alla larga dai guai.» «Anche tu», rispose salutandolo con la mano. Spense il computer e tolse la penna Usb. Poi andò alla grande scrivania che gli aveva regalato il nonno. Con cura, ripose la penna nel cassetto e tirò fuori una piccola chiave con cui lo richiuse. Dieci minuti dopo, correva lungo il vialetto davanti a casa. 4


Si era imburrato al volo una fetta di pane e, appena raggiunto il marciapiede, ne addentò un bel boccone per poi fermarsi di colpo. Di fronte a lui c’era un uomo. Indossava un’uniforme rossa e un berretto così calcato sulla fronte che la visiera gli nascondeva il volto. In mano aveva un piccolo pacchetto grigio. «William?», chiese. Lui ebbe un attimo di esitazione. «William Wenton?», ripeté l’uomo, facendo un passo avanti. Emetteva un rumore metallico mentre camminava. William gli sbirciò le scarpe. Erano bianche e nere. Erano scarpe da tip-tap? Si guardò attorno. La strada era deserta, c’era parcheggiato solo un vecchio furgoncino rosso della posta pieno di ammaccature. «Ho una consegna urgente per William Wenton», spiegò. «Sei tu?» Con uno sforzo, William mandò giù il pane imburrato che aveva in bocca. «Sì», rispose infine. «Ce l’hai un documento di riconoscimento?», disse il postino. «Uh...» William infilò la mano in tasca e tirò fuori l’abbonamento dell’autobus. «Non ne hai uno con una foto?» «C’è scritto il mio nome qui», disse William, indicandoglielo. Il postino borbottò fra sé mettendosi con cura il pacchetto sotto il braccio mentre ispezionava l’abbonamento. 5


«Va bene», disse dopo un po’, facendo un passo indietro. «Ti credo. È un onore conoscerti, giovane maestro Wenton.» Fece un inchino e batté due volte le scarpe sul marciapiede. Poi gli ridiede l’abbonamento e gli porse il pacchetto. «Ecco.» William lo prese, stupito di quanto pesasse. «Cos’è?», chiese, scuotendolo piano. «Attento», disse il postino. «Va maneggiato con cura. E devi essere da solo quando lo apri.» «Da solo?» William provò a scrutare gli occhi del postino, ma l’ombra proiettata dalla visiera gli copriva ancora la faccia. «Completamente da solo. Non è una cosa da fare in due.» D’un tratto William sentì l’autobus in fondo alla via. «Devo andare», disse, correndo verso la fermata. «Maneggialo con cura!», sentì l’uomo urlargli dietro. William arrivò alla fermata proprio mentre si aprivano le porte dell’autobus. Salendo, si voltò verso il vialetto. Il postino era ancora lì in piedi a fissarlo, ma quando William trovò un posto a sedere e l’autobus passò davanti a casa sua, il misterioso uomo era sparito.

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CAPITOLO 2

Il professor Humburger camminava avanti e indietro di fronte alla lavagna. «E quando sentite l’allarme antincendio...» Si fermò e guardò i suoi studenti con espressione seria. «Vi alzate tutti, con calma e ordinatamente, e uscite in fila dalla porta.» William era seduto al suo posto e cercava di concentrarsi sulle parole del professore. Ma era dura, visto che i suoi pensieri andavano di continuo allo strano pacchetto che aveva nello zaino. «Poi in cortile ci raggruppiamo per classe e aspettiamo che arrivino i pompieri», continuò il signor Humburger. Era in programma un’esercitazione antincendio. Di solito gli studenti le aspettavano con ansia perché si saltavano le lezioni. E oggi sarebbe stato ancora più entusiasmante perché i pompieri sarebbero venuti davvero. Il professore alzò gli occhi all’orologio alla parete. 7


Appena la lancetta dei minuti arrivò sul dodici, in corridoio cominciò a ululare un allarme. In classe ci fu uno stridere di sedie quando gli alunni si alzarono tutti nello stesso momento. «Niente panico», incitò il signor Humburger, sbracciandosi per indirizzare gli studenti alla porta. William sapeva che gli insegnanti facevano a gara per vedere chi portava fuori la propria classe per primo. Il professore trotterellò alla porta facendo segno agli studenti. «Tutti in fila. Lasciate qui gli zaini. Tanto poi torniamo.» William si chinò, tirò fuori con cura il pacchetto dallo zaino e lo nascose sotto la felpa. L’esercitazione antincendio cadeva proprio a fagiolo. Nessuno si sarebbe accorto che se l’era svignata. Doveva scoprire cosa gli aveva dato lo strano uomo. «Marciate tutti a tempo», strillò il signor Humburger. Poi si mise un fischietto in bocca e, uscendo dalla porta a capo della fila, cominciò a soffiare a tempo con tutta l’aria che aveva nei polmoni. La classe, come una parata striminzita, lo seguì in corridoio a passo di marcia. L’ennesima prova antincendio... Mentre camminavano, anche altri studenti cominciarono a sciamare fuori dalle aule, e il signor Humburger doveva sbrigarsi. Accelerò, e gli studenti si sforzarono di tenere il passo. William scrutò il corridoio. Era il momento giusto per nascondersi. La porta della sala professori era aperta e den8


tro non c’era nessuno. Dopo una rapida occhiata, sgattaiolò fuori dalla fila e si intrufolò nella sala. Il fischio del signor Humburger svanì in lontananza. William aspettò finché non ci fu silenzio totale. Poi andò alla finestra e guardò fuori. Erano arrivati tre camion dei pompieri. Il signor Humburger cercò di indicargli dove posteggiare, ma gli autisti lo ignorarono e andarono da tutt’altra parte. Con un sospiro di sollievo, William si sedette sul divano. Appoggiò il pacchetto sul tavolino davanti a sé e rimase a fissarlo per qualche secondo. Scivolando in punta al divano, slegò lo spago e cominciò a tirare via con cautela la spessa carta grigia. Gli tornarono in mente le parole del postino: andava maneggiato con cura. Il cuore aveva iniziato a battergli più forte. C’erano diversi strati di carta, ma pian piano cominciò ad apparire qualcosa. Una piramide di metallo. Era ricoperta di strane figure geometriche che pulsavano di luce bianca. Le ben note vibrazioni cominciarono subito. Partirono dallo stomaco, per poi risalire lungo la schiena. Nella testa di William i simboli sulla piramide presero a staccarsi dalla superficie metallica e a volteggiargli davanti. Un codice. La piramide era un codice! Si appoggiò subito allo schienale e i simboli ritornarono 9


al loro posto. Voleva risolvere il codice, ma aveva paura. L’ultima volta che l’aveva fatto senza sapere a cosa serviva, aveva attivato un portale sull’Himalaya. Non aveva intenzione di ripetere lo stesso errore. Prima di fare qualunque cosa, doveva parlare con suo nonno. Stava per riavvolgere la piramide nella carta quando la porta si aprì di colpo e il signor Humburger si precipitò in sala professori. «Eccoti!», strillò. «Per colpa tua abbiamo perso la gara. Non siamo stati i primi a mettersi in fila in cortile. E comunque, che ci fai qui?!» Poi notò la piramide. «E quella cos’è?» Senza dargli il tempo di rispondere, il signor Humburger gliela strappò di mano. «No, stia attento...», protestò William. Quando la piramide cominciò a mandare scintille, il professore cacciò un urlo e la lasciò cadere sul tavolino. «Ma che succede?», gridò, barcollando all’indietro. «Falla fermare!» Incespicò contro la parete e rimase lì pietrificato. In una pioggia di scintille, la piramide prese a vibrare muovendosi da un lato all’altro del tavolino. William era quasi riuscito ad afferrarla, ma la piramide cadde a terra proseguendo la sua corsa verso il signor Humburger. «Che vuole da me?», strillò lui, schiacciandosi contro la parete. «Perché mi insegue?» «Credo che non insegua nessuno», disse l’alunno, alzandosi dal divano. La piramide smise di vibrare e si fermò ai piedi del signor Humburger. 10


Il sudore colava sulla faccia dell’insegnante, che boccheggiava come un pesce rosso. «Non la tocchi», lo ammonì William, avvicinandosi con prudenza. «Ci saranno delle conseguenze per questo, William», sbraitò il signor Humburger. «Ha finito?» Allungò un piede e diede un calcio alla piramide. «No, aspetti.» La piramide emise un rumore assordante e sprigionò un fiotto di scintille. Adesso il professore era nel panico più totale. Scavalcò la piramide, si precipitò alla finestra e la spalancò. Sporse fuori la testa e urlò a pieni polmoni: «Aiuto! A fuoco!». Tutti quelli che c’erano in cortile alzarono gli occhi. «C’è un incendio... Un incendio vero, quassù!» Un pompiere con una manichetta si girò e la puntò verso la finestra. Il signor Humburger prese un respiro profondo e tentò di urlare di nuovo, ma lo sforzo e il panico gli avevano tolto il fiato. Così si limitò a sbracciarsi come un forsennato. Un potente getto d’acqua schizzò fuori dalla manichetta, colpendolo al petto con forza inaudita. Fu scaraventato all’indietro e atterrò di schiena poco distante dalla finestra. William corse ad aiutarlo a rialzarsi, ma il professore lo spinse via e con un po’ di fatica si rimise in piedi da solo. «Devo uscire da qui», gridò, togliendosi la camicia fradicia. «Devo salire sul tetto.» 11


«No, è pericoloso!», lo mise in guardia William, ma il professore non stette a sentirlo. «Mi sono esercitato», ribatté, poi si premette la camicia bagnata sul volto e corse in corridoio. William rimase dov’era. Si girò a guardare la piramide che adesso, sul pavimento, era perfettamente immobile. Quando scese in cortile, tutti guardavano l’edificio da cui era appena uscito. Si era infilato la piramide sotto la felpa, coprendola con le mani per nasconderne gli spigoli. Alzò gli occhi verso il tetto e vide il signor Humburger che gesticolava energicamente. Il suo torso bianco pallido risplendeva al sole. I pompieri reggevano una specie di enorme tappeto elastico. Corsero verso la scuola e si fermarono proprio sotto il punto in cui si trovava. «Si può solo andare verso il basso», strillò il professore. «No, aspetti», gridò uno dei pompieri, mentre un altro usciva dall’ingresso principale scuotendo la testa. «Non c’è nessun incendio. È un falso allarme.» Ma il signor Humburger non ascoltava. Si posizionò sul bordo del tetto e tese le braccia come un tuffatore durante una gara. E poi si lanciò con un perfetto tuffo ad angelo. Tutti trattennero il fiato, seguendo con gli occhi il suo volo verso la rete di salvataggio. La pancia prominente si increspava al vento, come un gavettone riempito solo a metà. Con un tonfo sordo, la pancia del signor Humburger fu la prima ad atterrare. 12


Un’antica civiltà perduta.

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Un misterioso codice a forma di piramide.

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Intrighi, piovre meccaniche e una potente arma necessaria per salvare il mondo.

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e la città perduta

Una nuova imprevedibile avventura che porterà William Wenton fino alle profondità dell’oceano e alla scoperta di oscuri segreti.

«Un po’ Alex Rider, un po’ Artemis Fowl, un po’ Il codice da Vinci per ragazzi: questo è un libro per chi cerca azione e mistero.» – SCHOOL LIBRARY JOURNAL

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ISBN 978-88-6966-479-3

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