Carita' Politica 2006 nr.1 Maggio

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CARITÀ POLITICA

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già e non ancora

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RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE CARITÀ POLITICA- REVIEW OF THE ASSOCIATION CARITÀ POLITICA

Strada Padana Superiore 2/b - 20063 Cernusco sul Naviglio - Milano Centralino Tel: 02. 92.14.75.41 Fax 02. 92.59.00.37 ANGELO SODANO

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Verso quale civiltà?

Towards which civilization?

UN’ECO POPOLI AN ECHO OF THE PEOPLE

Dalle Ambasciate presso la Santa Sede From the Embassy to the Holy See DOCUMENTI DOCUMENTS

Benedetto XVI Deus Caritas Est

PUBBLICAZIONE QUADRIMESTRALE ANNO 2006 - € 15,00 - ANNO XI - N. 1 - MAGGIO 2006

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CARITÀ POLITICA

SOMMARIO

Anno XI- N. 1 Maggio 2006 Rivista quadrimestrale dell’Associazione Carità Politica

EDITORIALE

già e non ancora

Alfredo Luciani

Direttore Responsabile: Alfredo Luciani Coordinamento redazionale: Rossella Semplici Edito da: Associazione Internazionale Missionari della Carità Politica Direzione, Amministrazione: Ass. Internazionale Missionari Carità Politica V.le Milizie 140 –00192 Roma– Tel. 06 3723511 Redazione: Via San Marco 22 – 20121 Milano

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L’ORIZZONTE DEL 2000 Angelo Sodano Mohummad Javad Faridzadeh

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Progetto Domus Carità Politica Per promuovere gli ideali di convivenza di comprensione e di amicizia tra i popoli

UN’ECO POPOLI E-mail: caritapolitica@caritapolitica.it Siti: www.caritapolitica.it; www.caritapolitica.com; www.caritapolitica.org

Registrazione Tribunale di Milano n. 536 del 27/11/93 Fotocomposizione e stampa: Stamperia Editrice Commerciale srl - Bergamo Progetto Grafico: Bravo Communications – Verona Impaginazione Grafica: Silvia Tira, Editoriale Pubblindustria

Abbonamento annuale – 3 numeri Italia Euro 40,00 – Europa Euro 50,00 – Paesi Extra Europei Euro 70,00 Un numero Euro 15,00

Si può pagare attraverso conto corrente postale n. 17113044 intestato a Associazione Internazionale Missionari della Carità Politica Viale delle Milizie 140 – 00192 Roma Oppure bonifico bancario c/c bancario 1339793 – Banca Monte dei Paschi di Siena, Agenzia 9, Via Leone IV n.32, Roma - C.A.B 03209 A.B.I. 01030 oppure a mezzo assegno o vaglia a favore di: Associazione Internazionale Missionari Carità Politica Viale delle Milizie 140, Roma

Nel rispetto della Legge 675/96, sulla tutela delle persone e dei dati personali, Già e non ancora garantisce che le informazioni relative agli abbonati, custodite nel proprio archivio elettronico, non saranno cedute ad altri e saranno utilizzate esclusivamente per l’invio della rivista.

In copertina: Cardinale Angelo Sodano - © Copyright L’Osservatore Romano

Brasile Canada Corea Filippine Gabon Germania Iran Israele Italia Malta Repubblica di Cina Romania

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NEL CUORE DI ROMA LA CASA DEL DIALOGO E DELLA COLLABORAZIONE TRA I POPOLI, TRA LE CULTURE E LE RELIGIONI

IMPARARE ROMA Hanna Suchocka

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IN THE HEART OF ROME THE HOUSE OF DIALOGUE AND COLLABORATION BETWEEN ALL THE PEOPLE, BETWEEN CULTURES AND RELIGIONS

DICASTERI VATICANI Pontificio Consiglio della Cultura

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UN CENTRO INTELLETTUALE

capace di creare quella cultura politica che opera sempre e comunque per il bene comune e la salvaguardia dei valori.

UN CENTRO MORALE

per promuovere la ricerca di relazioni armoniose tra le persone e i popoli.

DE SENECTUTE Paul Poupard Raoul Romoli Venturi Gerardo Ronzoni Maria Pia Ruffilli

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ARTICOLI Progetto Appia Gli animali hanno diritti?

UN PONTE 132 137

UN SIMBOLO E UNA REALTÁ

DOCUMENTO Deus Caritas Est Joseph Joblin Darko Tanaskovic

tra la storia che viene da lontano e la cultura della comprensione che guarda al futuro. d’un cammino di convivenza tra i popoli nel nome della Pace.

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UN’AUTORITA MORALE

sempre più rispettata dalla comunità internazionale.

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uesta è l’ora della carità sociale e politica capace di disegnare le strade della pace, della giustizia e dell’amicizia tra i popoli Giovanni Paolo II L’Osservatore Romano – 30 ottobre 2004

V.le delle Milizie 140 - 00192 Roma - Tel/fax 06. 3723511 - E.mail: caritapolitica@caritapolitica.it - Sito: www.caritapolitica.it

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Carità Politica

Editoriale Editorial di ALFREDO LUCIANI

Fondatore e Presidente di Carità Politica

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dieci anni dal Decreto Pontificio del 27 settembre 1996 con cui veniva riconosciuta l’«Associazione Internazionale Carità Politica», dandole personalità giuridica ecclesiastica, anche la nostra rivista Carità Politica espressione e punto di riferimento dell’Associazione si presenta rinnovata nella sua veste tipografica e con nuovi contenuti.

Questo ne è il primo numero. Il periodico riflette l’attività e gli scopi dell’Associazione ed intende svolgere un servizio in parte già espresso dal titolo. Si tratta di un servizio alla politica, che già Pio XI definiva il momento più alto della carità, in quanto diretta al bene comune, che deve illuminare ogni azione di quanti operano nella politica. Non esiste politica degna di questo nome che non si prefigga il conseguimento più coerente e più completo possibile del bene comune, che proprio in quanto tale, è sempre superiore a quello dell’individuo. L’idea del bene comune riprende se mai la concezione filosofica e cristiana della persona, che è l’essere umano visto nella molteplicità delle relazioni che sin dalla nascita impediscono che sia un’isola e viva in solitudine anche in mezzo alla folla. Il bene comune è quindi patrimonio e vantaggio di tutti e di ciascuno dei singoli partecipanti all’avventura umana.

Ma si tratta di rendere un servizio anche alla politica nel nostro momento storico presente. Come spesso succede, ed è documentato già dalla Bibbia, il presente ci sembra opprimente e pieno di problemi insolubili, mentre tendiamo a trasfigurare il passato. In realtà anche il nostro tempo è un tempo di grazia ed

by ALFREDO LUCIANI

Founder and Chairman of Carità Politica

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en years on from the Pontifical Decree of 27 September 1996, which recognised the International Association Carità Politica and granted it ecclesiastical legal personality, our magazine Carità Politica, the association’s mouthpiece and point of reference, is appearing with a revamped format and new content. This is the first issue.

The periodical reflects the association’s activities and objectives and seeks to provide a service, which is already partly expressed by its name.

It is a service to politics, which Pope Pius XI defined as the highpoint of charity, as it is aimed at the common good, which should enlighten all the actions of those who take part in politics. Any politics worthy of its name sets out to achieve the common good, as fully and consistently as possible, which precisely as such is always better than the good of the individual.

If anything, the idea of common good goes back to the philosophical and Christian concept of the person, which regards human beings in terms of the myriad relations that from birth prevent us from being islands and from being lonely even in the midst of a crowd. Therefore, the common good is everyone’s heritage and advantage and belongs to all individual participants in the human endeavour.

But it also means offering a service to politics at this particular point in history. As has often been the case, and as is recorded in the Bible, we often see the present as being oppressive and full of unsolvable problems, whilst we tend to transform the past. In fact, our period is also a time of grace and an

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Carità Politica

è un’occasione per rendere il nostro mondo più umano, più civile, più abitabile e, possibilmente, più fraterno. Ma può diventare anche un’occasione perduta. Anche se l’umanità ha conosciuto uno sviluppo impressionante negli ultimi 50 anni, nulla garantisce che il cammino sia sempre verso il maggior bene e non conosca nuove ricadute, o tragici naufragi umani.

Gli straordinari mezzi che tecnica e scienza hanno messo a disposizione dell’umanità possono essere grandi strumenti di progresso o di nuove più devastanti dominazioni e disuguaglianze. Si parla molto, oggi, con una parola nuova, ma già consumata, di globalizzazione. Ma nel nostro mondo, se si sono globalizzati il mercato, la finanza, le comunicazioni ecc., non si sono ancora globalizzati i valori che, soli, possono dare un’anima a un mondo molto impersonale e nel quale domina tuttora la legge della forza.

Poiché pensiamo che soltanto con il dialogo si possa giungere a regole comuni, a vantaggi diffusi e non riservati a pochi, a una sicurezza globale fondata sulla solidarietà, anche la nostra rivista si offre come un rinnovato strumento di dialogo, per quanto limitato. Ma l’Associazione e quindi anche la rivista ha già in passato privilegiato il dialogo con il mondo diplomatico, e tra il mondo diplomatico, offrendo ad esso uno spazio e un’occasione, e in particolare con i diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Si tratta di un ambiente che per definizione porta in sé la dimensione internazionale, anzi mondiale. Questo ci fa pensare di avere degli interlocutori, e degli autori, particolarmente indicati per un incontro sereno, per un confronto oggettivo, ma illuminato dall’idea della trattativa continua e della ricerca di una sintesi costruttiva e di pace, che è l’essenza stessa della diplomazia. In tal senso ci sembra che la rivista possa rispondere a una domanda che sinora non aveva una risposta adeguata. Intendiamo cioè offrire uno spazio di dialogo quanto mai necessario nel nostro mondo rissoso e pieno di conflitti. Come ebbe a dire il Card.

Segretario di Stato Angelo Sodano in uno dei nostri incontri la concezione cristiana della storia è lontana dal pessimismo imperante, ma anche dai facili ottimismi. Secondo questa visione l’uomo è «consapevole di essere il libero costruttore del suo destino e, d’altra parte, [essa] gli arreca serenità, perché gli assicura che dall’alto Uno veglia su di lui e dirige ogni cosa con amore» (Carità Politica p.5), anche se alle volte il silenzio di Dio nelle vicende umane sembra disorientarci. È alla luce di questa visione della nostra storia che anche la nostra rivista intende operare e rendere, in quanto ne sarà capace, un servizio.

opportunity to make our world more humane, civilised, liveable and, if possible, based on greater solidarity. But it may also turn into a missed opportunity.

Even though we have seen remarkable development over the last fifty years, nothing guarantees that such progress will always lead to greater good, or that we will not suffer setbacks or tragic failures.

The extraordinary means that technology and science have put at our disposal may be great instruments of progress, but may also result in new and more harmful dominations and inequalities. Globalisation - a new, but already hackneyed word - is widely used nowadays. The marketplace, finance and communications have already been globalised. Values, however, which alone are capable of giving a soul to our highly impersonal world where the law of “might is right” still holds sway, have yet to be globalised.

As we believe that common rules - on behalf of the many and not the few, and in favour of global security based on solidarity - may only be achieved through dialogue, our magazine also strives to provide a renewed, albeit limited, means of dialogue.

Previously, the association, and therefore the magazine too, have fostered dialogue with and among the diplomatic community by providing them with a space and an opportunity, especially the diplomats accredited to the Holy See. By definition this milieu has an international, or global, dimension. This leads us to believe that we have interlocutors and authors who are particularly suited to engagement in serene encounter and objective comparison, and are also enlightened by the idea of ongoing negotiation and a quest for a constructive and peaceful synthesis, which is the essence of diplomacy. We therefore believe that the magazine may meet a demand that has not yet been fulfilled. We thus aim to provide a space for dialogue, which is so greatly needed in our quarrelsome world full of conflicts.

As Cardinal Secretary of State Angelo Sodano said at one of our meetings, the Christian concept of history is far removed from the prevailing pessimism, but also from facile optimism.

According to this vision, we are “aware of being free builders of our own destiny and this also brings us serenity, by reassuring us that One is watching over us from above and guiding everything with love” (Carità Politica p. 5), although at times God’s silence regarding human affairs seems bewildering.

It is in the light of this vision of history that our magazine also intends to operate and, to the best of our ability, offer a service.

Carità Politica

L’orizzonte del 2000

verso quale civiltà?

The perspective of the year 2000

towards which civilization?

CARDINAL ANGELO SODANO

CARDINAL ANGELO SODANO

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Segretario di Stato

uand’ero giovane sacerdote avevo più tempo per dedicarmi allo studio. Insieme alle ricerche di teologia, sempre mi interessarono quelle di storia, della storia della Chiesa come di quella dei popoli. Fra i libri che allora mi impressionarono particolarmente, ve n’era uno scritto da un ricercatore nord-americano, Alvin Toffler, con un titolo significativo: “Lo choc del futuro”1 . L’autore parla delle scosse che le moderne tecnologie imprimono all’uomo, obbligandolo ad affrontare le sfide della modernità e di una universale socializzazione.

Nel mondo d’oggi, diventato un villaggio globale, alle soglie di un nuovo millennio, anche noi avvertiamo uno choc, che ci spinge a rivisitare in maniera globale il cammino percorso fino ad ora dalla civiltà umana ed a prendere atto di quali sfide ci attendono per l’avvenire.

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L’orizzonte della storia

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ome un alpinista che si attarda a considerare il sentiero percorso, il credente, alle soglie ormai del terzo millennio cristiano, si volge a meditare sul senso della storia, su questo incessante movimento dell’umanità verso il suo fine.

Alcune visioni filosofiche pessimiste, antiche e moderne, hanno considerato la storia come assoluta irrazionalità. L’uomo stesso sarebbe soggetto ad una

Secretary of State

hen I was a young priest, I had more time to study. Together with theology, history was always an interest of mine, both the history of the Church and the history of nations. Among the books that particularly impressed me then there was one written by an American scholar, Alvin Toffler, which bore the significant title: “Future Shock”1 .

The author writes of the impact that modern technologies have on people, forcing them to address the challenges of the modern age and of global socialization.

In today’s world, already a global village, on the threshold of a new millennium, we too observe a shock-effect which prompts us to take a general inventory of the progress of human civilization up to the present and to note the challenges which await us in the future.

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The perspective of history

”

ike a mountaineer who stops to look back over the path taken, the believer, on the threshold of the third Christian millennium, turns to reflect upon the meaning of history, on this ceaseless movement of humanity towards its goal.

Certain pessimistic philosophical visions, both ancient and modern, consider history to be absolutely irrational. Humanity itself, it is claimed, is

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Carità Politica

forza cieca, che guida le stelle nel cielo e i viventi sulla terra. Questa tesi, già ventilata da alcuni filosofi greci, come ad esempio gli atomisti cinque secoli avanti Cristo, nei tempi moderni fu cara a Schopenhauer ed a Nietzsche.

Al contrario, le correnti idealiste hanno visto nella storia un’assoluta razionalità. Tutto sarebbe riconducibile alla ragione, come sviluppo crescente di un grande pensiero. Da parte sua, il marxismo ha interpretato la storia come risultato unicamente di fattori economici.

Secondo la visione cristiana, due sono i capisaldi della storia: da una parte, l’esistenza dell’uomo libero e, dall’altra, l’intervento della Provvidenza Divina, che veglia sulle vicende umane e sa trarre il bene anche dal male. È una visione che dà valore all’uomo, consapevole di essere il libero costruttore del suo destino e, d’altra parte, gli arreca serenità, perché gli assicura che dall’alto Uno veglia su di lui e dirige ogni cosa con amore.

Guardando alla storia dei due millenni trascorsi, è inevitabile notare un incerto incedere dell’umanità, quasi come in un continuo zig-zag, che rivela il dramma dell’uomo, essendo egli responsabile di usare in bene o in male quella libertà ricevuta in dono da Dio. Tra un ottimismo che vede nella storia solo progresso e il pessimismo di chi considera soltanto le rovine causate dall’uomo, sta la teologia cristiana della storia: pur pessimistica sulle esistenziali possibilità della nuova creatura, essa è in definitiva ottimista perché è consapevole della presenza della Provvidenza Divina che senza sosta guida le sorti dell’universo.

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L’orizzonte della civiltà

”

lle soglie del Terzo Millennio, viene spontaneo chiedersi a quale grado di civiltà sia giunta oggi l’umanità.

Sappiamo bene che la civiltà è un fatto “umano”.

L’uomo divine civile quando si eleva al di sopra dell’animale, che, per sopravvivere, vive guidato unicamente dall’istinto della propria conservazione e, quindi dalla sola legge della forza. L’uomo, dotato anch’egli di istinti vitali, non ne è però schiavo, ma con l’intelligenza e la libertà può superarli. La civiltà

subject to a blind force which guides the stars in the heavens and creatures on earth. Such a thesis, already found in some Greek philosophers - for example, the atomists - five centuries before Christ, has been espoused in modern times by Schopenhauer and Nietzsche. By contrast, idealist currents of thought have seen history as absolutely rational.

Everything can be reduced to reason, it is claimed, like the ever-expanding development of a great thought. Marxism, for its part, interpreted history as the result of purely economic factors. According to the Christian vision, there are two essential reference points in history: the existence of the free human being and the working of Divine Providence, which watches over human affairs and can bring good even from evil. This is a vision which values the human being: it recognizes that men and women freely shape their destiny, and it brings them peace of mind because of its assurance that there is One on high who watches over them and lovingly guides all things.

Looking at the history of the last two millennia, one cannot but note humanity’s uncertain progress, almost a continual zig-zag, which shows forth the drama of human beings, responsible for using for good or for ill the freedom received as a gift from God. Between an optimism which sees history only as progress and a pessimism which looks only to the havoc wrought by men and women, there stands the Christian theology of history: although pessimistic about the existential possibilities of the new creature, it is in the end an optimistic theology because it is conscious of the presence of Divine Providence which never fails to guide the destiny of the universe.

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The perspective of civilization

”

n the threshold of the third millennium, the question arises spontaneously: what level of civilization has humanity reached today?

We are well aware that civilization is a “human” fact. Men and women become civilized when they raise themselves above the animal world, which, in order to survive, is driven solely by the instinct of self-preservation and therefore by the law of raw strength. The human being also has survival instincts but is not a slave to them and, with freedom and intel-

Carità Politica

è appunto il frutto di questo superamento dal parte dell’uomo dei suoi istinti vitali, è il frutto del passaggio dall’istintualità alla razionalità.

Civile è l’uomo quando passa dall’istinto di sopravvivenza individuale ed egoistica al senso sociale.

Civiltà è quando gli uomini vivono il rispetto e la cura dell’altro, vale a dire avvertono di far parte di un gruppo sociale che si allarga ad altri gruppi, fino a costituire una grande comunità. Forma a noi ben nota di questa realtà sociale è lo Stato. È civile una società nella quale si è passati dalla forza che fonda il diritto al diritto che fonda la forza.

In realtà è proprio l’esistenza del diritto che costituisce una civiltà: civiltà tanto più alta quanto più esteso è il campo del diritto, quanto più vasti i campi in cui vigono le leggi, valevoli per tutti.

Nell’ora attuale in cui si trova l’umanità, il cammino verso un alto grado di civiltà pare essere ancora lontano.

Non può ritenersi infatti società civile quella che discrimina le persone secondo la razza o il gruppo etnico; quella in cui il potere è nelle mani di un regime dispotico, che non riconosce alcun diritto al di fuori della sua volontà; quella che legittima la morte di innocenti o la pulizia etnica.

Come si è potuto contrabbandare il diritto all’aborto quale “diritto di civiltà”? come possiamo dire di vivere in un mondo civile, quando nel nostro pianeta milioni di persone patiscono ancora la fame o sono private di un minino sviluppo culturale?

Abbiamo molta strada da percorrere e l’avvento del Terzo Millennio ci deve spronare a lavorare con rinnovato impegno per condurre l’umanità verso traguardi veri e duraturi di civiltà.

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La civiltà cristiana

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ompito del cristiano, poi, non è solo di cooperare con tutti gli uomini di buona volontà nel costruire in questo mondo un alto grado di civiltà, ma impegnarsi, in forza della sua stessa fede, a far sì che tale civiltà sia cristiana. A tale riguardo, sorge subito una domanda: Quand’è che una civiltà può dirsi “cristiana”?

La risposta è abbastanza semplice: una civiltà può dirsi “cristiana” quando s’ispira ai principi che il Vangelo pone alla base della convivenza umana. Per

ligence, can move beyond them. Civilization is precisely the fruit of this human movement beyond survival instincts, the result of the passage from instinct to reason. Men and women are civilized when they pass from an individual and self-serving instinct of survival to a social sense. Civilization occurs when men and women live in respect and concern for one another, that is, when they become aware that they are part of a social group which in turn opens up to other groups, constituting an even wider community. The State is one form of this social reality with which we are familiar. A society is civilized when it moves from law based on power to power based on law. In fact, it is the existence of law which constitutes a civilization: the degree of a civilization’s advancement can be measured by the extent to which legal rights are recognized, by the extent to which all are equal before the law. At the present time, it is clear that humanity still has far to go on its journey towards a more advanced civilization. In fact, no society can claim to be civilized when it discriminates against persons on the basis of race or ethnic identity; when power is concentrated in the hands of a despotic regime which recognizes no law beyond its own will; or when it legitimizes the death of innocent people or resorts to ethnic cleansing. How has it happened that the right to abortion masquerades as a “civilized right”? How can we claim to live in a civilized world when millions of people on the planet still suffer hunger or are deprived of the most basic cultural development?

We have a long way to go, and the coming of the third millennium must inspire us to work with renewed commitment to lead humanity towards the true and enduring goals of civilization.

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Christian civilization

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t is the task of Christians, then, not only to work with all people of good will to build a more advanced civilization in the world, but to pledge themselves, because of their faith, to ensuring that this civilization is Christian. At this point, a question immediately arises: When can a civilization call itself “Christian”?

The answer is simple enough: a civilization can be called “Christian” when it is inspired by the principles which the Gospel sets forth as the basis for human society. For the Gospel, not only is man the

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Carità Politica

il Vangelo, l’uomo non è soltanto l’essere più alto e più nobile nella scala degli essere viventi per la sua razionalità e per la sua capacità di dominare i suoi istinti, e, quindi, per la sua libertà, ma è l’essere creato da Dio per amore, chiamato a divenire figlio di Dio e destinato alla vita eterna con Lui. Ha, pertanto, una dignità “divina”, non nel senso che egli sia di natura divina, ma nel senso che egli è l’“immagine” più perfetta di Dio e nel suo essere spirituale e fisico riflette qualcosa della sapienza della pienezza e della bellezza dell’essere divino.

Egli, a differenza di tutti gli altri viventi è una “persona”, che esiste in se stessa e per se stessa, è fine a se stessa: è l’unico essere che Dio abbia creato “per se stesso”.

Una civiltà può dirsi “cristiana”quando pone alla sua base la “persona umana” rispettandone e promuovendone la “dignità”: quando fa della valorizzazione della “dignità” umana in tutte le sue espressioni – intellettuali, morali e fisiche – il suo scopo: quando indirizza ogni sua attività alla crescita degli uomini in ciò che essi hanno di più specifico: l’intelligenza, la libertà, il senso di responsabilità, la coscienza, il senso di benevolenza, di socialità, di amicizia e di solidarietà verso gli altri.

Nella visione cristiana l’uomo è – per sua natura – un essere “religioso”. Un essere cioè fatto per Dio e, dunque, nel suo profondo in cerca di Dio. In modo talora persino inconsapevole è mosso da quello che gli antichi chiamavano il desiderium Dei. Nello stesso tempo è un essere “morale”, che tende cioè ed aspira al bene. Una civiltà è “cristiana” quando pone le persone nelle condizioni favorevoli per vivere liberamente la propria vita religiosa, quando difende e promuove i valori morali del matrimonio, della famiglia, della giustizia, della concordia tra i cittadini, del rispetto del bene comune, della pace sociale, estirpando le occasioni e le cause di odi e di conflitti.

Nella visione cristiana, poi, gli “ultimi” sono i “primi”, i privilegiati nel Regno di Dio. Pertanto, Gesù nella sua vita e nella sua morte si è messo “dalla parte degli ultimi” e ad essi ha promesso la partecipazione al Regno di Dio. Una civiltà è “cristiana”, allora, quando si prende cura particolare di coloro che sono “ultimi” culturalmente, economicamente e fisicamente: tali sono, nelle società moderne, gli anziani soli e abbandonati e i bambini senza sostegno, i malati cronici, i disabi-

highest and noblest of living beings - because of his rationality and capacity to govern his instincts, and therefore because of his freedom - but he is the creature created by God in love, called to become a child of God and destined for eternal life with him.

Therefore man has a “divine” dignity, not in the sense that he is of divine nature, but in the sense that he is the most perfect “image” of God, and in his spiritual and physical being he reflects something of the wisdom, plenitude and beauty of the divine being.

Unlike all other living beings, it is men and women who exist in themselves and for themselves, who are an end in themselves: they are the only beings created

by God “for themselves”.

A civilization can be called “Christian” when it is based on the “human person”, respecting and promoting personal “dignity”; when it strives to value human “dignity” in all its extension - intellectual, moral and physical; when it directs all its efforts to the growth of men and women in that which is most specific to them - intelligence, freedom, the sense of responsibility, conscience, the sense of good will, neighbourliness, friendliness and solidarity towards others.

In the Christian vision, the human being is by nature a “religious” being, that is, a being made for God and therefore searching for God deep within.

Sometimes even unconsciously, men and women are moved by what the ancients called the desiderium Dei. At the same time, the human being is a “moral” being, that is, tending and aspiring to what is good. A civilization is “Christian” when it promotes conditions which enable people to live their religious life freely, when it defends and promotes the moral values of marriage and the family, of justice, of harmony among citizens, of respect for the common good, of social peace, and when it eradicates occasions and causes of hatred and conflict.

In the Christian vision then, the “last” are the “first”, the privileged ones in the Kingdom of God. This is why Jesus in his life and death, took the side of the least, and promised them a share in the Kingdom of God. Therefore, a civilization is “Christian” when it takes special care of those who are “the least”, culturally, economically and physically: in modern societies, these are isolated and abandoned elderly people, children in need of support, the chronically ill, the disabled, those living below the poverty line;

Carità Politica

li, quanti vivono al di sotto della linea della povertà ed è il caso di gran parte delle famiglie numerose, i senza casa e senza famiglia, i giovani che non trovano lavoro ed i disoccupati cronici, gli immigrati, i profughi e gli esuli.

Un civiltà “cristiana”tanto più si qualifica e si mostra tale quanto più è capace di creare per gli “ultimi” condizioni di vita “umane”. Coloro che nel campo sociale e politico si qualificano come “cristiani” e intendono operare per la creazione di una “civiltà cristiana” devono rendersi conto che come politici od operatori sociali cristiani devono impegnarsi perché i diritti di tutti e specialmente degli ultimi siano sempre rispettati e promossi.

Parlando della civiltà “cristiana”, Paolo VI l’ha definita la “civiltà dell’amore”. È la definizione più giusta, perché Dio è Amore e Padre e perché il comandamento più alto – e anche più suo – che Gesù ha dato ai suoi discepoli è il comando dell’amore vicendevole. Giovanni Paolo II, sia con le grandi Encicliche sociali, sia con gli insegnamenti impartiti nei Viaggi apostolici, ha posto le solide fondamenta di questa civiltà dell’amore, invitando i cristiani a costruirla, rifacendosi alle “radici cristiane” dell’Europa e della civiltà occidentale. È un compito difficile, che richiede coraggio e sacrificio; ma nello stesso tempo è la grande sfida che sta dinanzi ai cristiani impegnati nella politica in questo passaggio storico tra il secondo e il terzo Millennio.

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L’orizzonte morale

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ari amici, il nostro sguardo, alle soglie del Grande Giubileo del 2000, va quasi naturalmente alla gioventù, futuro e speranza della Chiesa e del mondo.

Ad essi sentiamo il dovere di rivolgere un appello accorato per una rifondazione del loro senso morale.

Possano essi, in questo straordinario momento epocale, riascoltare la voce di Cristo, che propone il suo esigente e vivificante insegnamento. Sempre attuale è il noto dialogo di Gesù con il giovane ricco, riferito nel capitolo 19 del Vangelo di San Matteo. Sulla traccia di tale dialogo, lo stesso Papa Giovanni Paolo II ci ha dato la nota enciclica “Veritatis Splendor”,

such is also the situation of many large families, of those who are homeless and have no family, of young people who find no work, and of the permanently unemployed, immigrants, refugees and exiles.

The more a civilization is able to create “human” conditions of life for the “least,” the more it is worthy of the name “Christian”, the more it shows itself to be such. Those in the social and political arenas who call themselves “Christian” and intend to work for the building up of a “Christian civilization” must realize that as Christians engaged in political and social action they must commit themselves to ensuring that the rights of all, and especially of the least, are always respected and promoted.

Pope Paul VI defined “Christian” civilization as “the civilization of love”. This is the most accurate definition, because God is Love and is our Father, and because the highest commandment that Jesus gave to his disciples - and also the one most distinctively his own - is the command to love one another. With his great social Encyclicals and the teachings given on his Apostolic Visits, Pope John Paul II has laid the solid foundations of this civilization of love, inviting Christians to build it, on the basis of the “Christian roots” of Europe and of Western civilization. It is a difficult task, requiring courage and sacrifice; but at the same time it is the great challenge facing Christians engaged in politics in this historical transition from the second to the third millennium.

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The moral perspective

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ear friends, on the threshold of the third millennium our thoughts turn naturally to young people, who are the future and hope of the Church and the world. We feel duty-bound to make a heartfelt appeal to them to work for a restoration of the moral sense.

In this extraordinary moment of time, may they hear once more the voice of Christ who proposes his demanding and life-giving teaching. The famous dialogue between Jesus and the rich young man recounted in chapter 19 of the Gospel of Matthew is ever timely. Taking his cue from this same dialogue, Pope John Paul II has given us the well known Encyclical

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“lo Splendore della Verità” (6 agosto 1993).

“Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”, chiese un giovane a Gesù. E la risposta fu lapidaria: “Se vuoi entrare nella vita osserva i Comandamenti” (Mt 19, 16-21). Come questo giovane sconosciuto di cui narra il Vangelo, anche l’uomo d’oggi, e specialmente il giovane, si volge verso Cristo per avere da Lui risposta circa le sue scelte di vita.

In verità, l’uomo potrebbe già trovare in se stesso una prima risposta a tale domanda, dato che Dio lo ha creato con sapienza, orinandolo al suo fine mediante una legge che gli ha scritto nel suo cuore, la legge naturale, definita così da San Tommaso d’Aquino, grande genio filosofico e teologico che l’Italia ha dato al mondo: “Essa altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l’ha donata nella creazione” 2.

Nella storia d’Israele, leggiamo che Dio ha continuato a tracciare un itinerario di vita all’uomo, in particolare con i Comandamenti del Sinai, mediante i quali chiamava Israele ad essere “una Nazione santa” (Es 19,56), capace di far splendere la sua santità fra tutte le genti (Sap 18,4; Ez 20,41).

Verrà poi Cristo a completare quella Legge. Il suo Vangelo diventerà così la “magna charta” della morale cristiana e la sua Grazia darà all’uomo la forza di applicarla fedelmente.

Grande è l’ideale cristiano, ma grande è pure la grazia del Signore. Questo faceva dire a Sant’Agostino: “Da quod iubes et iube quod vis” (donaci la grazie di fare ciò che domandi e comanda ciò che vuoi)3.

L’auspicio di tutti è che davvero il Terzo Millennio cristiano ridesti in ogni credente il desiderio d’una sempre più grande coerenza morale, rifiutando ogni comodo adattamento alle mode del tempo ed ogni cedimento ai venti di relativismo morale che soffiano in vari ambienti della cultura postmoderna. È sempre attuale il monito di san Paolo ai Romani del suo tempo: “Non conformatevi alla mentalità di questo mondo” (Rm 12,2). È la tentazione di sempre a cui dobbiamo reagire con vigore.

Veritatis Splendor, “The Splendour of Truth” (6 August 1993). “Teacher, what good deed must I do to have eternal life?”, a young man asks Jesus. And the reply is succinct: “If you would enter life, keep the commandments” (Mt 19:16-21). Like this unidentified young man about whom the Gospel speaks, modern men and women too - and especially the young - turn to Christ to receive answers concerning their choices in life.

In fact, men and women can find an initial response to this question already within themselves, since God has created them with wisdom and directed them towards their end by means of a law which he has written on their hearts. This is what Saint Thomas Aquinas, that great theological and philosophical genius which Italy has given to the world, calls the natural law: “It is nothing other than the light of understanding infused in us by God, whereby we understand what must be done and what must be avoided. God gave this light and this law to man at creation”2.

In the history of Israel, we read that God continued to mark out for man a path of life, especially with the Law on Sinai, through which he summoned Israel to be “a holy nation” (Ex 19:56), able to make his holiness shine forth among the peoples (Wis 18:4; Ez 20:41).

Christ came to fulfil the Law. His Gospel thus became the “Magna Carta” of Christian morality, and his grace gives individuals the strength to live this morality faithfully.

The Christian ideal is great, but great too is the grace of the Lord. This led Saint Augustine to say: “Da quod iubes et iube quod vis” (Grant what you command and command what you will)3.

It is the hope of all of us that the third Christian millennium really will re-kindle in every believer the desire for ever greater moral integrity, rejecting every easy accommodation to passing fashion and every concession to the currents of moral relativism prevailing in certain sectors of postmodern culture.

Saint Paul’s warning to the Romans of his day is still timely: “Do not be conformed to the mentality of this world” (Rom 12:2). This is the perennial temptation which we must vigorously resist.

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“

Uno sguardo sulle moderne democrazie

A

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lla luce di quanto detto, possiamo ora volgere lo sguardo verso le democrazie moderne, chiedendoci: “Può esistere una vera democrazie senza il fondamento di autentici valori”? è quanto si sono chiesti i Membri della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, in un’Assemblea Plenaria tenutasi l’anno scorso in Vaticano. I risultati di tali lavori sono stati recentemente pubblicati dalla stessa Accademia con il titolo Democracy, some acute questions, Vatican City 1999.

Interessanti furono soprattutto le relazioni del prof.

Zacher, dell’Università di Monaco di Baviera (Germania), del Prof. Nojiri, dell’Università di Osaka (Giappone), del Prof. Zampetti, dell’Università di Genova (Italia) e del Prof. John Di Iulio, di Philadelphia (USA).

Con vari interventi, essi hanno messo in luce che la democrazia può contribuire a promuovere certi valori, ma, se è carente d’un solido fondamento, può concorrere a distruggerne altri più alti inscritti nel cuore dell’uomo. In realtà, esaltando l’individuo come fonte ultima della verità, si giunge a minare i fondamenti stessi della democrazia. Se la verità è data solo dal consenso, poco a poco vi è il pericolo che si instauri una vera rivoluzione antropologica: l’uomo non sarebbe più una persona, un essere cioè aperto alla trascendenza, ma un individuo, chiamato a darsi delle verità, a darsi un’etica di vita. In tale ottica, valore sarebbe ciò che gli fa piacere e non meraviglia che si possa giungere all’aberrazione di parlare perfino di diritto all’eutanasia!

Per secoli la concezione della politica derivava da una visione dell’uomo che supponeva un ordine morale oggettivo, una legge naturale previa a qualsiasi contratto sociale o legge positiva. Questa visione è venuta meno nell’epoca moderna con la tendenza sempre più accentuata a una concezione individualista dell’uomo e a una morale soggettiva. Attualmente il politico si trova di fronte a questa scelta: indirizzare la propria azione politica secondo una visione iusnaturalista (riconoscendo i beni oggettivi dell’uomo) o secondo una visione strumentalista che si accontenta di far funzionare bene i meccanismi

A look at modern democracies

”

n the light of what has been said, we can now consider modern democracies, asking ourselves: “Can true democracy exist without the foundation of authentic values?” This was the question which the Members of the Pontifical Academy of Social Sciences asked themselves in a Plenary Assembly held last year in the Vatican. The results of this study have recently been published by the Academy under the title: Democracy: Some Acute Questions (Vatican City, 1999).

Particularly interesting were the papers of Professor Zacher of the University of Munich (Germany), Professor Nojiri of the University of Osaka (Japan), Professor Zampetti of the University of Genoa (Italy), and Professor John Di Iulio of Philadelphia (U.S.A.).

In their various presentations, they made it clear that democracy can help to promote certain values but that, if it does not have a solid foundation, it can lead to destroying other higher values written on the human heart.

In reality, the exaltation of the individual as the ultimate source of truth undermines the very foundations of democracy. If truth is attained only by consensus, then little by little there emerges the danger of a veritable anthropological revolution: the human being is no longer a person, a being open to transcendence, but an individual expected to supply his or her own truths and ethic of life. In this view, a value would be whatever pleases the individual, and it is no wonder then that some people even talk of a right to euthanasia!

For centuries the notion of politics was drawn from a vision of the human being which presumed an objective moral order, a natural law which preceded any social contract or positive law. This vision is lacking in the modern era, with its ever increasing tendency towards an individualist notion of the human person and a subjective morality. At the present time, politicians face this choice: either to direct their political activity according to the natural law outlook (recognizing the objective good of the human person), or according to an instrumental vision which is content just to ensure the good functioning of contractual

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contrattuali. Ricordiamo in proposito le parole di Paolo VI: “Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo” (Populorum progressio).

Giovanni Paolo II nell’Enciclica Centesimus Annus mette di nuovo il dito nella piaga: “ Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si trasforma facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come dimostrato dalla storia” (n. 46).

Occorre, quindi, che si ritorni a riscoprire il valore della legge naturale, vera stella polare della democrazia. Nella storia dei popoli, la legge naturale ha svolto, in realtà, una pluralità di funzioni. Ha aiutato a colmare le lacune della legge positiva e ad interpretarla con la dovuta equità; ha permesso e favorito il dialogo tra i popoli e le culture, come una grammatica comune necessaria a tale scopo; ha svolto una funzione critica nei confronti delle proprie formulazioni storiche e una funzione di prospettiva verso il futuro essendo stata capace di superare dettami ritenuti «naturali», spingendo la storia dei popoli verso orizzonti di maggiore giustizia. Ha funzionato in questo senso come una «prefigurazione dell’ordine giuridico futuro»4. Quando si nega la dipendenza della libertà dalla verità, viene meno ogni valutazione morale degli atti umani. Ognuno diventa regola per se stesso.

La ragione e la fede ci insegnano però che il potere di decidere del bene e del male non appartiene all’uomo, ma a Dio solo. Tenendo conto di tutto ciò, l’impegno a restaurare il senso morale costituisce un importante contributo all’instaurazione di vere democrazie del Terzo Millennio che è ormai alle porte.

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mechanisms. Let us recall here the words of Pope Paul VI: “True, man can organize the world apart from God, but without God man can organize it in the end only to man’s own detriment” (Populorum Progressio, 42). Pope John Paul II in the Encyclical Centesimus Annus again touches on this very issue: “If there is no ultimate truth to guide and direct political action, then ideas and convictions can easily be manipulated for reasons of power. As history demonstrates, a democracy without values easily turns into open or thinly disguised totalitarianism” (No. 46).

What is needed therefore is a rediscovery of the value of the natural law, the true pole-star of democracy.

In the history of peoples, the natural law has in fact played a number of roles. It has helped to overcome lacunae in positive law and to bring the required equity to its interpretation; it has made possible and favoured dialogue among peoples and cultures, serving as a necessary common “grammar”; it has performed a critical function with regard to its own historical formulations, and an anticipatory function in relation to the future, with the capacity to go beyond supposedly “natural” precepts and to direct the history of peoples towards perspectives of greater justice. In this sense it has functioned as a “foreshadowing of the future legal order”4.

When freedom’s dependence on truth is denied, every moral evaluation of human acts disappears. Each one becomes a rule unto himself. Reason and faith teach us however that the power to decide good and evil belongs not to the human being but to God alone.

Keeping all this in mind, the commitment to restore the moral sense constitutes an important contribution to the building of true democracies in the third millennium which is already upon us.

Il contributo delle religioni

”

tale rinnovamento del senso morale i cristiani sono chiamati, in primo luogo, a prestare la propria opera. Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio Statistico della nostra Segreteria di Stato (dati basati sull’Annuario demografico pubblicato dall’Ufficio di Statistica dell’ONU), al 30 giugno 1997 la popolazione mondiale era stimata in 5.820.767.000 di

C

“

The contribution of religions

”

hristians in the first place are called to work for such a renewal of the moral sense. According to the most recent data of the Statistics Office of the Secretariat of State of the Holy See (data based upon the demographic Yearbook published by the UN Statistics Office), the world’s population was estimated at 5,820,767,000 on 30 June 1997. Of these, bap-

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abitanti. Di questi i cattolici battezzati sarebbero 1.005.254.000 e cioè circa il 17,3% della popolazione mondiale. Ovviamente, tale percentuale su scala mondiale varia nei 5 continenti, passando dal 62,9% delle Americhe al 41,4% dell’Europa fino al 3% dell’Asia.

Ma alla presenza dei cattolici del mondo si deve, poi ovviamente aggiungere la presenza degli altri cristiani delle varie confessioni e così la percentuale del 17,3% sale a circa il 30%. È una presenza significativa quella dei discepoli di Cristo, da Lui chiamati ad essere «sale della terra e luce del mondo», anche del mondo del Terzo Millennio.

Nella promozione dei valori morali i cristiani trovano poi sul loro cammino i credenti delle altre religioni, in particolare della religione ebraica e della religione islamica, come tanti uomini di buona volontà. È un’azione comune per dare un’anima alla civiltà del Terzo Millennio e far sì che le Nazioni progrediscano verso livelli sempre più alti di vita sociale, senza ricadere nelle forme aberranti di cui il secolo ventesimo purtroppo ha dato prova.

Se si è giunti così a compiere tanti orrori contro l’uomo, è perché si è giunti a dimenticare l’esistenza della legge di Dio. Anche per me è stata agghiacciante la lettura di alcuni studi recenti, come quello di Yves Ternon - «Lo Stato criminale – I genocidi del XX secolo». E la traduzione italiana del libro pubblicato in Francia «L’Etat criminel» (Editrice Corbaccio, Milano 1997). Tocca ormai a tutti i credenti impegnarsi a lavorare, nelle sedi nazionali ed internazionali, perché il nuovo Millennio della nostra storia segni una nuova pagina nel cammino dell’umanità. Il rispetto della legge naturale, scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo, può essere la base per riportare la civiltà del 2000 verso traguardi migliori.

tized Catholics were 1,005,254,000, which is about 17.3% of the world’s population. Obviously, the percentage varies from continent to continent, going from 62.9% in the Americas to 41.4% in Europe and 3% in Asia.

But to the number of Catholics in the world we must add the number of Christians of other denominations, and the percentage of 17.3% then rises to about 30%.

Thus the number of Christ’s disciples is significant, and he has called them to be “salt of the earth and light of the world” – also in the world of the third millennium. In the promotion of moral values, Christians are joined by the followers of other religions, especially in the Jewish religion and Islam, as well as by many other men and women of good will.

Theirs is a common effort to give a soul to the civilization of the third millennium and to ensure that the nations move towards ever higher levels of social life, without falling back into the aberrations which, unfortunately, we have witnessed in the twentieth century. If so many terrible things have been done to people, it is because the existence of God’s law has been forgotten. For me, reading some recent studies has been a chilling experience, one example being the work of Yves Ternon, The Criminal State: The Genocides of the Twentieth Century. This is the Italian translation of the book published in France under the title L’Etat Criminel (Editrice Corbaccio, Milan, 1997). It is now up to all believers to commit themselves to work, at the national and international levels, to ensure that the new millennium of our history marks a new page in humanity’s journey.

Respect for the natural law, written by God on the conscience of every man and woman, can provide the foundation for leading the civilization of the year 2000 to ever higher goals.

1 A.

Toffler, Lo choc del futuro, Torino, Einaudi, 1972.

Cfr. Veritatis Splendor, n. 12.

3 Sant’Agostino, Confessioni X, 29,40.

4 J. L. Aranguren, Etica y política, Madrid 1996, p. 39.

2

Conferenza tenuta dal Cardinale Angelo Sodano a “Carità Politica” nel dicembre 1999 in occasione della conclusione del ciclo “Essere Ambasciatori presso la Santa Sede oggi”

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Dialogo, in vicinanza di Dio Diaologue, in God’s neighborhoods DR.MOHUMMAD JAVAD FARIDZADEH

DR.MOHUMMAD JAVAD FARIDZADEH

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Ambasciatore dell’Iran presso la Santa Sede

er ogni civiltà, ci si può interrogare sulle sue origini da due diverse angolazioni: a) attraverso uno studio del contesto spazio-temporale così come di altre particolari condizioni della sua comparsa; b) studiando i prodotti di una civiltà come manifestazioni e esemplari del risultato della creatività umana.

Si potrebbe leggere la storia secondo la esposizione di Erodoto o, alternativamente, si potrebbe dare ascolto al resoconto presente nei Testi Sacri.

La precisione nella narrazione di Erodoto è “precisione storiografica”, mentre dare ascolto alla storicità esistenziale (Geschichtlichkeit) dell’umanità può venire solo dall’ascolto delle pagine delle Sacre Scritture. I Testi Sacri non sono opere di storiografia.

Esse ci rivelano piuttosto la dimensione storica dell’umanità.

Il tempo storico è lineare, mentre il tempo nelle Grandi Religioni non è sempre così. Il tempo nelle Grandi Religioni, che sono tutte di origine asiatica.

Un punto che potremmo e dovremmo approfondire è il Tempo Sacro. Il Tempo Sacro non è il recipiente o l’estensione in cui sono situati gli oggetti; piuttosto, esso permea la loro essenza. Il Tempo Sacro permea l’essenza degli eventi terreni, come fa il tempo fisico lineare. La forma materiale del corpo umano, così come l’universale nell’insieme, è determinato dall’interazione di materia e tempo. Allo stesso modo, l’anima degli esseri umani così come quella dell’universo nel suo insieme è determinato dall’interazione dello Spirito (Geist) e del Tempo Sacro.

L’universo non potrebbe essere stato creato nel tempo terreno perché una tale ipotesi porta evidentemente a una contraddizione. Perché il tempo terreno o fisico esista, ci deve essere materia. Dove non c’è materia, non ci può essere tempo perché la creazione abbia luogo. La creazione è avvenuta nell’“istante eterno”, il tempo che il Sacro Qu’ran (Corano) chiama il “Tempo di Alast”1. Fu in quell’eterno, la fonte di tutta la vita e la vitalità, che secondo il Sacro Qu’ran, l’umanità udì la “Parola” divina e si affidò a quella Parola.

Ambassador of Iran to the Holy See

or every civilization, one can formulate the question of its origins from two distinct angles: a) through a study of the spatio-temporal context as well as other special conditions of its emergence; b) by studying products of a civilization as manifestations and exemplars of the achievement of human creativity. One could either read history according to the narrative of Herodotus, or alternatively, one could listen to the account given in the Sacred Books.

Precision in the narrative of Herodotus is “historiographical precision”, whereas listening to the existential historicity (Geschichtlichkeit) of humanity can only come from listening to the resonance of the Sacred Books. Sacred Books are not works of historiography. They rather reveal to us the historical dimensions of humanity.

Historical time is linear, whereas time in Great Religions is not always so. Time in Great Religions, which are all of Asian Origins. A point that we could and should elaborate upon is Sacred Time. Sacred Time is not the vessel or extension in which objects are located; rather, it permeates their essence.

Sacred Time permeates the essence of temporal events, as does physical linear time. The material form of the human body as well as the universal at large is brought about through the interaction of matter and time. In the same way, the soul of human beings as well as that of the universe at large is brought about through the interaction of the Spirit (Geist) and the Sacred Time.

The universe could not have been created in temporal time because such an assumption evidently leads to a contradiction. In order for temporal or physical time to exist, there has to be matter. Where there is no matter, there can be no time for creation to take place. Creation came about in the “timeless instant”, the time that the Holy Qur’an calls the “Time of Alast”1 . It was at that timeless, the source of all life and vitality, that according to the Holy Qur’an, humans heard the divine “Word” and committed themselves to that Word.

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L’intero corso della storia umana non è altro che un riverbero di quella parola originale. La nostra intera letteratura mistica iraniana, nella quale il nostro bisogno di un dialogo tra le civiltà presenta l’umanità in forma di gigli bianchi sorridenti, non è che un commento sulla parola originale. Varietà di realizzazioni culturali e attuazioni di civiltà si sono prodotte secondo il modo in cui diverse nazioni hanno ascoltato la parola originale e secondo il loro modo di accentuarla.

Tutto quello a cui gli esseri umani hanno dato vita sulla terra è stato provocato da un tragico sforzo di rammentare quel ricordo eterno, e da un serio tentativo di allontanare la sofferenza della discordia.

La chiave per chiarire il paradosso di una apparente molteplicità di culture e civiltà umane da un lato, e della loro unità sottostante dall’altro, è la presa di coscienza che l’Origine dell’universo e dell’uomo creò l’essenza dell’umanità dal Suo proprio Spirito.

Questo è il motivo per cui tutti gli esseri umani, in quanto umanità, sono uno. D’altra parte, essi sono divisi in una moltitudine di razze e nazioni in modo da potersi conoscere tra loro. Perciò, non si può né negare i molteplici caratteri o pluralità delle culture, né si può contraddire la loro essenziale e intrinseca unità. In questo senso, posso delineare come esempio,un parallelo tra il mondo dell’umanità e il Giappone.

“Giappone” significa “Sole Nascente”; come esiste un unico sole, il Giappone è un solo Paese unificato.

D’altra parte, la parola “Giappone” si riferisce a un totale di circa quattromila isole grandi e piccole. Allo stesso modo, l’intero universo umano è simile al Giappone, in cui un solo cielo è condiviso da un’infinità di orizzonti. Gli orizzonti umani della cultura e della civiltà possono essere diversi, ma il nodo della questione è che tutti questi orizzonti guardano verso uno stesso cielo.

Ora, se “Globalizzazione” dovrebbe significare l’annientamento di orizzonti multipli nelle arti, nelle letterature e nei costumi, allora siamo di fronte alla più orribile della catastrofi umane. Se, d’altra parte, la globalizzazione è un modo di spianare la strada alla comunicazione e alla compassione, allora dovrebbe essere accolta come un risultato nobile e prezioso per l’umanità dei nostri tempi. Se la globalizzazione dovesse restare limitata a uno scambio di “dati”

The entire course of human history is but a reverberation of that original utterance. Our entire Iranian mystical literature, in which our call to a dialogue among civilizations presents the world as white smiling lilies, is but a commentary on the original utterance. Varieties of cultural attainment and civilizational accomplishment have come about according to the mode in which various nations have heard the original utterance and according to their ways of accentuating it.

All that human beings have produced on earth has been occasioned by a tragic endeavor to remember that timeless memory, and by an effort to migrate the suffering of disunion.

The key to unraveling the paradox of an apparent multiplicity of human cultures and civilization on one hand, and their underlying unity on the other, is the realization that the Origin of the universe and man created the essence of humanity from His own Spirit.

This is why all humans, as human beings, are one.

On the other hand, he divided them into a multitude of races and nations so that they could get to know each other.

Therefore, we could neither deny the multiple characters or the plurality of cultures, nor could we contradict their essential and intrinsic unity.

In this sense, I can draw a parallel between the world of humanity and Japan.

“Japan” means “Rising Sun”; just as there is only one sun, Japan is one unified country. On the other hand, the word “Japan” refers to a total of about four thousand large and small islands.

By the same token, the entire human universe is similar to Japan, where a single sky is shared by an infinite number of horizons. Human cultural and civilizational horizons may differ, but the crux of the matter is that they are all horizons facing unto the single sky.

Now if “Globalization” should mean the obliteration of multiple horizons in the arts, literatures and costumes, then we are facing the most horrendous human catastrophe.

If, on the other hand, globalization is a way to pave the way for communication and compassion, then it should be embraced as a noble and precious achievement of humanity in our age.

Should globalization remain limited to exchange

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o “informazioni” e dovesse solo accelerare il consumo e facilitare l’accesso ai prodotti industriali, le prospettive per gli esseri umani non apparirebbero certamente promettenti.

L’Iran ha proposto per la globalizzazione un significato alternativo, generale, extra-nazionale, piuttosto universale. Crediamo che la globalizzazione dovrebbe basarsi su una nozione tipologica ideale del globo o dell’universo. Senza una tale tipologia ideale, gli sforzi sarebbero vani, o addirittura peggiorerebbero la situazione generale nel mondo.

La globalizzazione dovrebbe mirare a globalizzare l”universo umano”, il quale è esso stesso basato sui due pilastri della razionalità e dell’etica.

Negli ultimi decenni, la filosofia postmodernista in Europa e negli Stati Uniti ha indebolito le rivendicazioni filosofiche, etiche e scientifiche a favore dell’universalità. I postmodernisti hanno opportunamente evidenziato che i principi a cui si sono rifatti gli scienziati sociali e i politici occidentali si basano molto spesso su un punto di vista maschilista e occidentalistico, più adatto alla classe borghese delle società industriali.

C’è molta verità in questa critica. Tuttavia, non dovrebbe arrivare a sovvertire i principi etici e razionali che sono alla base dell’ordine sociale. I più importanti dibattiti tra civiltà e culture dovrebbero essere centrati proprio su questi principi razionali ed etici universalmente applicabili.

Sono ben conscio del fatto che i pensatori postmodernisti giudicherebbero futile a priori qualsiasi tentativo di formulare tali principi. Per loro, la modernità e i pensatori modernisti sono da accusare per le catastrofi in corso nel mondo. Essi condannano ogni tipo di credenza in principi universalmente applicabili, e sostengono che tali principi sono epistemologicamente insostenibili.

Rinunciare a tali principi implicherebbe liberazione e libertà; liberazione da restrizioni arbitrarie, e la libertà di organizzare la vita sociale secondo le attuali esigenze. Non mi dilungherò ora sui dettagli illustrando argomenti epistemologici in favore o contro questa posizione. Affermerò solamente che distruggere le basi della filosofia e negare la facoltà degli esseri umani di giungere a principi generali e universalmente applicabili su filosofia, società ed etica porterebbe al nichilismo.

of “Data” or “information” and should it only hasten consumption and ease access to industrial products its prospects for human beings certainly won’t appear promising.

Iran proposed an alternative, general, extra-national and rather universal meaning for globalization. We believe that globalization should rest upon an ideal type notion of the globe or the universe. Without having such an ideal type, efforts would prove either fruitless, or would even worsen the prevailing situation around the globe.

Globalization should aim at globalizing the “human universe”, which is itself based on the two pillars of rationality and ethics.

In recent decades postmodernist philosophy in Europe and the United States has undermined the claims of philosophy, ethics and science to universality. Postmodernists have aptly stressed that principles attested to by Western social scientists and politicians are more often than not based on a male dominated, West-centered outlook, most suited for the Bourgeois class in industrial societies.

There is a lot of truth to this criticism. Nevertheless, is should not be expected to the degree that ethical and rational principles that establish social order could not withstand. The most crucial discussions in dialogues among civilizations and cultures should precisely be centered about such rational and ethical priciples of universal applicability.

I am well aware that postmodernist thinkers would a priori judge any attempt to formulate such principles as futile. For them, modernity and modernist thinkers are to blame for current catastrophes in the world.

They condemn any belief in universally applicable principles, and argue that such principles are epistemologically untenable.

Relinquishing such principles would entail freedom and liberty; the freedom from unwarranted restrictions, and the liberty to organize social life according to current requirements. I shall not dwell here in detail upon presenting epistemological arguments in favor or against this position. I shall only maintain that destroying philosophical foundations and negating the power of human beings to arrive at general and universally applicable principles about philosophy, society and ethics would lead to nihilism.

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Le prime vittime che il nichilismo politico reclama, comunque, non sono altro che liberazione e libertà.

Nel nostro linguaggio filosofico c’è un’asserzione secondo la quale “se un oggetto contravviene alle proprie condizioni, allora si trasforma nella sua negazione”. Libertà e liberazione si possono solo ottenere attenendosi a principi etici generali e universalmente applicabili. Se liberazione fosse da intendere come liberazione dall’etica, allora la prima conseguenza dell’eliminazione di un’etica sarebbe la resa della liberazione. Questo è uno dei più sorprendenti paralleli tra gli insegnamenti del pensiero Islamico e Buddista. La nostra enfasi sull’etica e sulla purificazione del sé è il tema comune che dovremmo comunemente formulare e chiarificare.

Qual è il valore dell’etica nell’era tecnologica? Quali caratteristiche e limitazioni manifesta?Si tratta di due delle più fondamentali domande sulla natura dell’etica e della tecnologia. Non presenterò una trattazione di questi argomenti ora, ma tenterò di dare delucidazioni su alcuni degli argomenti coinvolti.

La prima frase nel Libro di Tao Te Ching dice “Il Tao parlato non è il Tao eterno” 2.

Quelli di voi che hanno familiarità con questo libro sono certamente a conoscenza della molteplicità e varietà dei modi in cui questa frase è stata interpretata.

Non intendo presentare qui ancora un’altra interpretazione di questa frase. Vorrei solo evidenziare che prendendo esempio da queste sagge parole, sarebbe prudente per noi non respingere semplicemente la critica degli scettici dei sistemi Etico-filosofici.

Di certo non dovremmo accusarli di essere immorali o male informati sul carattere autorevole del principio dell’etica. Lo scetticismo verso i Sistemi Etico-filosofici non è la stessa cosa del respingere l’etica. Heidegger, ad esempio, distingue chiaramente tra un Sistema Etico Filosofico e ciò che egli chiama “Etica Primaria” (Dieursprüngliche Ethik).

Per lui, le regole e gli ordinamenti Etici non rappresentano l’Etica primaria fondamentale, comunque sono sostanzialmente importanti nel definire la natura umana.

Egli cita questa frase di Eraclito “ethos anthropol dai mon” e critica quelli che la traducono come “l’etica di ogni uomo è il suo dio”.

L’Etica vera, dunque, si trova nei pressi di dio.

The first casualties that political nihilism claims, however, are no other than freedom and liberty.

In our philosophical parlance there is a statement that “if an object transgresses its proper terms, then transforms into its own negation”. Liberty and freedom can only be attained with adherence to general and universally applicable ethical principles. If freedom were to be understood as freedom from ethics, then the first consequence of doing away with ethics would be surrender of freedom.

This is one of the most striking parallels between the teachings of Islamic and Buddhist thought.

Our emphasis on ethics and purification of the self is the common theme that we should jointly formulate and clarify.

What does ethics mean in the age of technology?

What characteristics and limitations does it manifest?

These involve two of the most fundamental questions about the nature of ethics and technology. I shall not present a formulation of these issues here, but I shall try to elucidate some of these issues involved.

The first sentence in the Book of Tao Te Ching says, “Spoken Tao is not eternal Tao”2 . Those of you familiar with this book are certainly aware of the multiplicity and variety of ways this sentence has been interpreted. I do not intend here to present yet another interpretation of this sentence.

I would only want to stress that by learning from these wise sayings, it would be prudent for us not to simply dismiss the criticism of those skeptical of philosophical, Ethical systems. We should certainly not accuse them of being unethical or ill advised about the authoritative character of the principle of ethics.

Skepticism about Philosophical, Ethical Systems is not identical with dismissing ethics. Heidegger, for example, clearly distinguishes between a Philosophical Ethical System and what he calls “Primary Ethics” (Die ursprungliche Ethik). For him, Ethical rules and regulations are not essential primary Ethics, however are essentially important in defining human nature. He quotes this sentence by Heraclitus “ethos anthropol daimon” and criticizes those who translate it as “every man’s ethics in his god”. He states that this is an incorrect translation.

Ethos means dwelling, and the sentence means that “man, by nature dwells near god”. True Ethics, therefore, is dwelling near god.

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L’unità culturale ottenuta attraverso il dialogo tra culture e civiltà incrementerebbe il terreno per la loro interazione e cooperazione, e garantirebbe inoltre la loro perpetuità. Il ruolo dell’unità culturale sulla scena internazionale sarebbe simile ai ruoli svolti attualmente dalle culture nazionali all’interno degli Stati-nazione. È attraverso obiettivi nazionali.

Allo stesso modo, le culture e le civiltà nella nostra famiglia globale dovrebbero impegnarsi al dialogo, interagire e cercare empaticamente obiettivi comuni, mantenendo allo stesso tempo le proprie identità individuali.

Cultural unity attained through dialogue among cultures and civilizations would enhance the ground for their interaction and cooperation, and would further guarantee their perpetuity.

The role of cultural unity in the international arena would be similar to the roles currently played by national cultures within nation-states. It is through national goals.

In the same manner, cultures and civilizations in our global family should engage in a dialogue, interact and with empathy seek common goals, while maintaining their individual identities.

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Sacro Qu’ran,7:172: “Quando il tuo Dio creò dai Figli di Adamo – dai loro lombi - i loro discendenti, e li fece testimoni riguardo a se stessi, (dicendo): “Non sono il vostro Dio (che ha cura di voi e vi sostiene)? – Essi dissero: “Si!Noi siamo testimoni!” (Questo), affinché non dobbiate dire nel Giorno del Giudizio: “Di questo non fummo mai consapevoli” (Trad.Abdullah Yusif Ali).

1 Holy Qur’an, 7:172, “When thy Lord drew forth from the Children of Adam – from their loins – their descendents, and made them testify concerning themselves, (saying): “Am I not your Lord (who cherishes and sustains you)?” – They said: “Yea! We do testify!” (This), lest ye should say on the Day of Judgement: “Of this we were never mindful.”

(Tr. Abdullah Yusif Ali).

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Trans. Jeff Rasmussen, Spirit of Tao Te Ching, Nisi Sunyyata, 2001.

Trans. Jeff Rasmussen, Spirit of Tao Te Ching, Nisi Sunyyata, 2001.

C a r i t a P o l i t i c a 19

Dalle Ambasciate presso la Santa Sede from the Embassies to the Holy See

L

a Santa Sede intrattiene oggi relazioni diplomatiche con 174 Stati, e anche con l’Unione Europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM); ha relazioni di natura speciale con la Federazione Russa e con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP); partecipa a differenti Organizzazioni e Organismi Intergovernativi sia internazionali sia regionali. Tutto ciò testimonia il riconoscimento internazionale e sopranazionale deale, che religioso, che la Chiesa cattolica svolge nel mondo e nei singoli ordinamenti civili.

T

he Holy See currently maintains diplomatic relations with 174 countries, and also with the European Union and the Sovereign Military Order of Malta (SMOM). It also has special relations with the Russian Federation and the Palestine Liberation Organisation (PLO), and participates in various international and regional inter-governmental organisations and bodies. This bears witness to the international and supranational recogniti on of the moral, cultural, social, as well as religious role that the Catholic Church plays worldwide and in individual.

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Brasile Brasile

Ambasciata del Brasile presso la Santa Sede S.E. VERA BARROUIN MACHADO Ambasciatore del Brasile presso la Santa Sede

Official Name: Capital: Official Language: Area:

Federative Republic of Brazil Brasília Portuguese 3,286,470 square miles, 8,511,965 sq kilometers 186 million (estimated for April ‘06)

Nome Ufficiale: Repubblica Federale del Brasile Capitale: Brasilia Lingua Ufficiale: Portoghese Area: 3,286,470 miglia quadrati, 8,511,965 chilometri quadrati Popolazione: 186 milioni (stima di Aprile 2006)

Population:

Geografia Il Brasile è situato nella zona Centro-Orientale dell’America Meridionale ed occupa quasi il 50% del continente Sud Americano. Circa il 58% del Brasile è ricoperto da foreste, e comprende la più ampia foresta pluviale del mondo, situata presso il bacino del Rio delle Amazzoni. Il Paese ha otto sistemi fluviali, che forniscono a tutto il mondo circa il 20% di acqua dolce. Utilizzo del terreno: 58% foreste, 22% pascoli, 6% coltivazione, 14% altri usi.

Geography Brazil is in east-central South America and occupies nearly 50% of the South American continent. Around 58% of Brazil is covered with forests, which include the largest rainforest in the world, located in the Amazon River basin. The country has eight river systems, which carry approximately 20% of the world's fresh water. Land Use: 58% forests, 22% pasture, 6% crops, 14% other use.

Maggiori Città Sao Paulo (10,4 milioni), Rio de Janeiro (5,8 milioni ), Salvador (2,4 milioni), Belo Horizonte (2,2 milioni), Brasilia (2 milioni), Recife (1,4 milioni )

Biggest Cities São Paulo (10.4 million), Rio de Janeiro (5.8 million), Salvador (2.4 million), Belo Horizonte (2.2 million), Brasília (2 million), Recife (1.4 million)

Caratteristiche della Popolazione Vivono 52 persone per miglio quadrato; l’81% vive in città, il 19% in zone rurali; il 49,9% è di sesso maschile, il 50,1% femminile; il 35% ha meno di 15 anni, il 28% va dai 15 ai 29 anni, il 19% dai 30 ai 44, il 10% dai 45 a 59, il 6% dai 60 ai 74 anni, solo il 2% va oltre i 75 anni.

Human Features Density: 52 persons per square mile Urban/Rural: 81% urban, 19% rural Sex Distribution: 49.9% male, 50.1% female Age Breakdown: 35% under 15, 28% 15 to 29, 19% 30 to 44, 10% 45 to 59, 6% 60 to 74, 2% 75 and over.

Moneta: la moneta ufficiale è il reale (R$) che e diviso in 100 centavos. Il tasso di cambio ad Aprile 2006 era circa di 1 US$ = R$ 2,2 PIL: US$ 795,76 miliardi (2005) Importazioni (2005): US$ 73,525 miliardi (2005) Esportazioni (2005): US$ 118,309 miliardi (2005)

Money: the official currency is the real (R$), which is divided into 100 centavos. Exchange rate in April 2006 was around 1 US$ = R$ 2,2.

GDP: US$ 795,76 billion (2005) Imports (2005): US$ 73,525 billion (2005) Exports (2005): US$ 118,309 billion (2005)

C a r i t à P o l i t i c a 21

Principali prodotti esportati ( 2004-5): materie prime trasportate (19%), prodotti metallurgici (12,6%), semi di soia e relativi prodotti (9,4%), petrolio e carburante (9%), minerali grezzi (8%), carne (8%), prodotti chimici (8%), macchinari e attrezzature ( 7%), attrezzatura elettrica (5%), zucchero (4,6%), calzature e cuoio ( 3,5%), carta e pasta di cellulosa (3,4%) ecc….

Main export products (2004-5): transport material (19%), metallurgic products (12,6%), soybeans and related products (9,4%), oil and fuel (9%), ores-minerals (8%), meats (8%), chemicals (8%), machines and equipments (7%), electrical equipment (5%), sugar (4,6%), footwear a nd leather (3,5%); paper and pulp (3,4%) etc.

Storia Il Brasile è stato “scoperto” e colonizzato dal Portogallo nel 1500. Nel 1808, dovendo sfuggire all’invasione di Napoleone, il re John VI trasferì la corte Portoghese in Brasile, così nel 1815 la colonia fu libera di prendere parte al nuovo Regno Unito del Portogallo, Brasile e Algarve. Nel 1822 suo figlio Peter proclamò l’indipendenza del Paese ed istituì una monarchia costituzionale; a lui seguì suo figlio Peter II, che assicurò il potere della dinastia D’Orleans e Braganca fino al 1889. La monarchia fu abolita e fu instaurato un Regime Repubblicano.

History Brazil was “discovered” in the year 1500 and colonized by Portugal. In 1808, fleeing from Napoleonic invasion, King John VI transferred the Portuguese court to Brazil and in 1815 the colony was emancipated to become part of the newly created United Kingdom of Portugal, Brazil and Algarve. In 1822 his son Peter proclaimed the independence of the country, established a constitutional monarchy and was succeed by his son Peter II, securing the power for the D’Orleans and Bragança dynasty until 1889. The monarchy was abolished and the Republican regime was installed.

Sistema di Governo Il Brasile è una Repubblica Federale con un sistema politico multi-partitico. È considerata una delle nazioni più democratiche del mondo. La democrazia Brasiliana, che è stata riconquistata nel 1948 dopo 21 anni di regime militare, ha dimostrato di essere forte ed è diventata una parte importante della vita della sua gente. Fin dal 1823 in Brasile vi sono state elezioni nazionali. Il Brasile ha circa 120 milioni di elettori ed è leader mondiale del voto elettronico on-line.

System of Government Brazil is a Federative Republic with a multi-party political system. It is considered one of the most democratic nations on Earth. Brazilian democracy, which was won back in 1984 after 21 years of a military regime, proved to be vigorous and became an important part of the life of its people. There have been national elections in Brazil since 1823. Brazil has around 120 million voters and is the world leader in electronic online voting.

Bandiera Nazionale La Bandiera Brasiliana ha una grande forma di diamante di colore giallo su uno sfondo verde. Il colore verde rappresenta la lussureggiante vegetazione del Brasile. Il colore giallo rappresenta la sua ricchezza di oro, che si trova in molte aree del paese. La sfera blu al centro simboleggia il cielo. Le stelle rappresentano la capitale del paese ed i suoi stati federali. Ci sono 26 stati e la capitale (27 stelle). Al centro della sfera c’è una striscia bianca con la scritta “Ordem e Progresso” (“Ordine e Progresso”). La disposizione delle stelle sulla bandiera riflette le stesse che erano in cielo a Rio de Janeiro il 15 Novembre 1889 alle 20.30, data dell’inaugurazione delle Repubblica.

National Flag The Brazilian Flag has a large yellow shape diamond on a green background. The color green represents the lush vegetation of Brazil. The color yellow represents its wealth in gold, which is found in many areas of the country. The blue sphere in the center symbolizes the sky. The stars represent the capital of the country and its federal states. There are 26 states and the capital (27 stars). In the middle of the sphere there is a white banner with the legend "Ordem e Progresso" ("Order and Progress"). The disposition of the stars in the flag mirrors those in the Rio de Janeiro sky on November 15, 1889 at 8:30 p.m., which is the inauguration date of the Republic.

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Stemma In origine lo Stemma della Repubblica aveva, posto sul nastro, il nome adottato per il paese, che fu abolito dopo la monarchia: Estados Unidos do Brasil (Stati Uniti del Brasile). L’attuale versione, istituita dalla Legge n. 5,700, del 1° Settembre 1971, rispecchia il cambio del nome ufficiale del paese in “ Republica Federativa do Brasil” (“ Repubblica Federale del Brasile”).

Coat of Arms The Coat of Arms of the Republic originally had, on the ribbon, the name adopted for the country after the monarchy was abolished: Estados Unidos do Brazil (United States of Brazil). The present version, established by Law no. 5,700, of 1st September, 1971, reflects the change in the country's official name to “República Federativa do Brasil” (“Federative Republic of Brazil).

Politica Estera Il Ministero delle Relazioni Estere - Itamaraty, com’è conosciuto – è responsabile di assistere il Presidente della Repubblica del Brasile nella formulazione ed esecuzione della politica estera Brasiliana.

Dal 1946, il “Rio Branco Institute” ha l’esclusiva competenza per l’assunzione e la formazione dei diplomatici Brasiliani.

Nel 2005 Itamatary possedeva 94 Ambasciate, 7 Missioni per le Organizzazioni Internazionali, 31 Consolati Generali, 6 Consolati e 13 Vice-Consolati. Vi sono servizi consolari in molte Ambasciate.

Le principali relazioni internazionali governative del Brasile sono state raccolte nella Costituzione del 1988, articolo 4: indipendenza nazionale, prevalenza dei diritti umani, autodecisione dei popoli, non-interferenza, uguaglianza tra gli stati, difesa della pace, accordo pacifico dei conflitti, ripudio del terrorismo e del razzismo, cooperazione tra i popoli per il progresso dell’umanità, e la concessione dell’asilo politico. Inoltre, la Repubblica Federale del Brasile intende realizzare un’integrazione economica, politica, sociale e culturale dei popoli dell’America Latina, considerando la formazione di una comunità di nazioni Latino Americane.

Il Brasile è costantemente impegnato nelle negoziazioni per rinforzare le Nazioni Unite, per migliorare il multilateralismo, i diritti umani, per incoraggiare il disarmo, per proteggere l’ambiente, per aprire il Brasile ai mercati, con flussi di investimenti e di tecnologie; e consolidare il Mercosul - Unione Doganale tra Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay.

Nel contesto Sud Americano, in particolare, il Brasile è stato in grado di sviluppare solide amicizie che rappresentano un fattore essenziale per la tranquillità delle regioni e della comunità delle nazioni.

Foreign Policy The Ministry of Foreign Relations - Itamaraty, as it is known – is responsible for advising the President of the Republic of Brazil on the formulation and execution of the Brazilian foreign policy.

Since 1946 the “Rio Branco Institute” has the exclusive competence for the recruiting and training of Brazilian diplomats.

As of the year 2005 Itamaraty had 94 Embassies, 7 Missions to international organizations, 31 General Consulates, 6 Consulates and 13 Vice-Consulates.

There are consular services at many Embassies.

The principles governing Brazil’s international relations were enshrined in the 1988 Constitution, article 4: national independence, prevalence of human rights, self-determination of the peoples, non-intervention, equality among the states, defense of peace, peaceful settlement of conflicts, repudiation of terrorism and racism, cooperation among peoples for the progress of mankind, and granting of political asylum. In addition, the Federative Republic of Brazil shall seek the economic, political, social and cultural integration of the peoples of Latin America, viewing the formation of a Latin American community of nations.

Brazil is permanently engaged in negotiations to reinforce the United Nations, to improve multilateralism, to promote human rights, to foster disarmament, to protect the environment, to open Brazil’s access to markets, investments and technology flows; and to consolidate the Mercosul – the Customs Union between Brazil, Argentina, Uruguay and Paraguay.

In the South American context in particular, Brazil has been able to develop solid friendships that are an essential factor for the tranquility in the region and in the community of nations.

C a r i t à P o l i t i c a 23

Relazioni Brasile – Santa Sede Le relazioni diplomatiche tra il Brasile e la Santa Sede cominciano ufficialmente il 23 Gennaio 1826, quando il plenipotenziario inviato dall’imperatore Brasiliano Dom Peter I fu ricevuto dal Papa Leone XII e presentò le sue credenziali. Nel 1901, dopo il riconoscimento del nuovo regime repubblicano Brasiliano, la Santa Sede innalzò le sue rappresentanze a Rio de Janeiro a livello di Nunziatura, che equivale ad un’Ambasciata. Il Brasile è considerato il più grande paese cattolico del mondo, date le dimensioni del suo episcopato (circa quattrocento vescovi) ed il numero di cattolici dichiarati nella popolazione (73,8 % secondo il censimento dell’ IBGE dell’anno 2000, ovvero, circa 123 milioni di persone). Questa condizione dà una speciale importanza alle relazioni diplomatiche tra Brasile e Santa Sede ed influisce sulle attività della sua Ambasciata residente in Vaticano, la cui missione fondamentale è rappresentare il Governo Brasiliano davanti la Santa Sede e l’Ordine Sovrano di Malta, per seguire le principali attività del Papa, per informare ed analizzare le decisioni Papali con particolare rilevanza al Governo Brasiliano, per impegnarsi in negoziazioni bilaterali e multilaterali su questioni di comune interesse e fornire assistenza alle autorità Brasiliane in visita al Vaticano. L’Ambasciata ha anche una Sezione Consolare che presta molti servizi notarili agli studenti laureati nelle Università Pontificie.

Brazil-Holy See relations Diplomatic relations between Brazil and the Holy See started officially on January 23rd, 1826, when the plenipotentiary sent by Brazilian Emperor Dom Peter I was received by Pope Leone XII and presented his credentials. In 1901, after the recognition of the new Brazilian republican regime, the Holy See raised its representation in Rio de Janeiro to the level of Nunciature, equivalent to an Embassy. Brazil is considered the biggest catholic country on earth, given the dimension of its episcopate (about four hundred bishops) and the number of declared Catholics in the population (73.8%, according to census of the IBGE of year 2000, or either, about 123 million people). This condition gives a special dimension to the diplomatic relations between Brazil and the Holy See and affects the activities of its resident Embassy in the Vatican, whose basic mission is to represent the Brazilian Government before the Holy See and the Sovereign Order of Malta, to follow the main activities of the Pope, to inform and analyze Papal decisions with special relevance to the Brazilian Government, to engage into bilateral and multilateral negotiations in matters of common interest and to provide assistance to Brazilian authorities in visit to the Vatican.

The Embassy has also a Consular Section that provides mainly notarial services for Brazilian students graduated in Pontifical Universities.

24 C a r i t à P o l i t i c a

Canada Canada

Ambasciata del Canada presso la Santa Sede S.E. DONALD W. SMITH

Ambasciatore del Canada presso la Santa Sede

Q

uando il Professor Luciani mi ha chiesto se volessi preparare un articolo sul Canada e la Santa Sede, ho esitato un po’, perché avevo recentemente letto un articolo sullo stesso argomento scritto dal mio predecessore, l’Ambasciatore Fernand Tanguay, che mi è sembrato un eccellente lavoro in tre volumi Essere Ambasciatore presso la Santa Sede edito dal Professor Luciani e pubblicato nel 1988.

Quell’articolo contiene molta di quella verità che vale la pena consultare se si vuole sapere di più sulle relazioni del Canada con la Santa Sede.

Comunque è passato del tempo sufficiente per esaminare e per descrivere a grandi linee per quale motivo la Santa Sede continua ad interessarsi del Canada.

Per fare questo, penso che sia utile dare un rapido sguardo alla natura della Santa Sede. Una delle cose che mi ha sorpreso da quando ho intrapreso questo impegno è che la natura della Santa Sede e la sua collocazione nella comunità internazionale non siano stati compresi bene da molti. Alcune volte ascolto la questione “ Perché sulla terra il Governo Canadese ha bisogno di inviare un Ambasciatore presso la Chiesa Cattolica?” Naturalmente la risposta è che la Santa Sede ha una duplice natura. Essa è una Chiesa ed uno Stato. In realtà è lontano dallo scopo di questa discussione dedicarsi allo studio della storia della Santa Sede, ma bisogna notare che la Chiesa Cattolica Romana è la più antica continuativa organizzazione del mondo ed il Papato è il più antico continuativo ufficio del mondo. Dall’ottavo secolo avanzato, il Papa ha governato il territorio a varie dimensioni come un governante temporale fin dal 20 Settembre 1870, quando l’esercito di Vittorio Emanuele II invase Roma e completò l’unificazione dell’Italia moderna.

W

hen Professor Luciani asked me if I would prepare an article on Canada and the Holy See I was a bit hesitant because I had recently read the article on the same subject written by my predecessor, Ambassador Fernand Tanguay which appeared in the excellent three volume work Being Ambassador to the Holy See edited by Professor Luciani and published in 1998. That article contains much that still holds true and is worth consulting if you wish to know more about Canada’s relations with the Holy See. However, enough time has passed to have another look and to outline why the Holy See continues to matter for Canada. In doing so, I think it is useful to take a quick look at the nature of the Holy See. One of the things that has surprised me since taking up my appointment is that the nature of the Holy See and its place in the international community are not well understood by many. I sometimes hear the question “Why on earth does the Canadian government need to send an Ambassador to the Catholic Church?”.

The answer is of course that the Holy See has a dual nature. It is both a church and a state. It is really outside the scope of this discussion to delve into the history of the Holy See, but it is worth noting that the Roman Catholic Church is the world’s oldest continuous organization and the papacy is the world’s oldest continuous office. From the eighth century onward, the Pope ruled territory of varying size as a secular ruler until September 20, 1870 when the armies of Victor Emanual II captured Rome and completed the unification of modern Italy. At the time they fell to Italian forces, the Papal States in central Italy were perhaps twenty per cent of Italy’s current land mass.

C a r i t à P o l i t i c a 25

All’epoca furono tastate le forze Italiane, gli Stati Papali dell’Italia centrale erano forse il venti per cento delle attuali masse terrestri dell’Italia. Poi seguì un periodo di quasi sessanta anni in cui il Papa rifiutò di riconoscere il nuovo Stato Italiano e lo Stato della Santa Sede rimase uno Stato in una sorta di limbo. La Santa Sede riprese il suo posto nella comunità internazionale nel 1929, quando sancì i Patti Lateranensi con l’Italia che istituì il suo attuale profilo. Essa ha attualmente relazioni diplomatiche con 174 stati compreso il Canada. Le relazioni tra la Santa Sede e ciò che ora è il Canada iniziano molto prima della nascita del Canada come stato moderno. La Diocesi del Quebec è stata istituita nel 1674 con una giurisdizione che ha ricoperto gran parte del Nord America. È nella seconda metà del diciannovesimo secolo comunque che la complessa situazione all’interno della Chiesa Cattolica in Canada e le sue relazioni con il Governo conducono ad una nomina nel 1899 di una Delegazione Apostolica permanente. Il Canada, però, in quel tempo era un paese soprattutto protestante e tutta la questione di istituire relazioni diplomatiche con la Santa Sede rimase un problema essenzialmente politico fino alla seconda metà del ventesimo secolo. Se io dovessi riassumere in una parola che cosa abbia rimosso o, almeno diminuito notevolmente, le difficoltà nelle relazioni diplomatiche tra Canada e Santa Sede direi che questo fu l’intero fenomeno degli “anni sessanta”.

Il percorso dei cambiamenti che era già cominciato in Quebec aumentò rapidamente nel 1960 con la sconfitta del Governo Duplessis, l’elezione del partito Liberale Lesage e l’inizio delle “ Pacifica Rivoluzione”. Se la Chiesa stava cominciando a mostrare un atteggiamento più liberale nel Quebec, il Concilio Vaticano II, dal 1962 al 1965, rivelò un atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il mondo in grande sintonia con i tempi. Giovanni XXIII si era già istituito come difensore di giustizia, sostenitore delle Nazioni Unite ed un Papa pronto a dare sostegno alla Chiesa in seguito ai tentativi di mediazione di pace tra oriente ed occidente. Il Vaticano II indirizzò la questione di dialogo tra i non-Cattolici ed i non-Cristiani aprendo la strada per un ecunemismo che ha sviluppato maggiormente i contatti tra i Protestanti ed i Cattolici del Canada. Quando Pierre Trudeau fu scelto come capo del Partito Liberale nel 1968 e lo condusse ad un’elezione vincente dopo

Then followed a period of almost sixty years in which the Pope refused to recognize the new Italian state and the status of the Holy See as a state was in a kind of limbo. The Holy See again took its place in the international community in 1929 when it signed the Lateran Accords with Italy which established its present configuration. It currently has diplomatic relations with 174 states including Canada.

The relationship between the Holy See and what is now Canada started long before Canada’s birth as a modern state. The Diocese of Quebec was established in 1674 with a jurisdiction that covered much of North America. It was in the second half of the nineteenth century however that the complex situation within the Catholic Church in Canada and its relationship with the Government led to the appointment in 1899 of a permanent Apostolic Delegation.

Canada, however, was a predominantly protestant country at that time and the whole question of establishing diplomatic relations with the Holy See remained a highly political issue until the second half of the twentieth century.

If I had to sum up in one term what it was that removed, or at least significantly diminished, the impediments to diplomatic relations between Canada and the Holy See I would say it was the whole phenomenon of “the Sixties”. The pace of the changes that had already started in Quebec accelerated briskly in 1960 with defeat of the Duplessis government, the election of the Lesage Liberals and the onset of the “Quiet Revolution”. If the Church was starting to show a more liberal face in Quebec, the Second Vatican Council from 1962 to 1965 showed a face of the Catholic Church to the world that was very much in tune with the times. John XXIII had already established himself as a defender of justice, a supporter of the United Nations and a Pope ready to put the support of the Church behind attempts to broker peace between east and west. Vatican Two addressed the question of dialogue with non-Catholics and indeed non-Christians opening the way for an ecumenism that greatly increased contacts between Protestants and Catholics in Canada.

When Pierre Trudeau was chosen as leader of the Liberal Party in 1968 and led them to an election victory later that year, the general climate between the Catholic Church and Protestant Canada had already evolved significantly.

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quell’anno, il clima generale tra la Chiesa Cattolica ed il Canada Protestante si era già evoluto significativamente. Il nuovo governo decise di stabilire relazioni diplomatiche con la Santa Sede e a seguito di alcune discussioni con le autorità Vaticane, ciò ebbe luogo il 15 Ottobre 1969. È interessante notare che dal census del 1971 appena due anni dopo, i Cattolici superarono scarsamente i Protestanti (46% a 44%) per la prima volta nella storia del Canada come nazione. Secondo il più recente census Canadese del 2001, i dati erano: 43% Cattolici e 29% Protestanti.

(Queste percentuali indicano solo l’affiliazione religiosa, senza badare se gli individui praticano effettivamente la loro religione ).

Dunque che cosa fa l’Ambasciata Canadese? Per provare a spiegarlo, penso che sia necessario tornare all’idea della separazione tra Chiesa e Stato e della duplice natura della Santa Sede come Chiesa e come Stato temporale. L’Ambasciata Canadese presso la Santa Sede è come tutte le altre ambasciate Canadesi all’estero; sono missioni sia come stati temporali che come organizzazioni internazionali. È la missione del Governo Canadese verso il lato temporale della Santa Sede. Come Ambasciatore, io non ho un mandato a prendere parte in quelli che sono affari esclusivi della Chiesa. Mi mantengo in contatto ed ho ottime relazioni con la Conferenza Canadese dei Vescovi Cattolici, e mentre l’Ambasciata dà loro sostegno ed assistenza di volta in volta, io non cerco di fare il loro lavoro. Ovviamente, data l’unica natura della Santa Sede, la mia Ambasciata non ha sezioni che si occupano di relazioni commerciali, immigrazione o affari consolari. Noi, comunque, eseguiamo alcune modeste attività culturali e svolgiamo le più essenziali funzioni di qualunque missione diplomatica.

Noi rappresentiamo il canale di comunicazione tra i due governi. Questa è la maniera più giusta per ribadire e rafforzare le commissioni. I diplomatici Canadesi sono preparati per vivere all’estero, in un ambiente straniero ed immergersi completamente nella cultura locale per sapere cosa succede, e meglio ancora, per capire cosa succede. È indispensabile per la loro attività, sia agire come difensori del sistema politico canadese e identificare significativi sviluppi nei loro territori e tradurli poi al Governo Canadese in termini di interessi del Canada. Parte di questa funzione è informare nelle riunioni. La Santa Sede ha una vasta rete diplomatica, ma anche reti di sacerdo-

The new government decided to establish diplomatic relations with the Holy See and following some discussion with Vatican authorities, this took place on October 15, 1969. It is interesting to note that by the time of the 1971 census just two years later, Catholics slightly outnumbered Protestants (46% to 44%) for the first time in Canada’s history as a nation.

In the most recent Canadian census in 2001, these figures were 43% Catholic and 29% Protestant.

(These figures indicate religious affiliation only, regardless of whether individuals actually practise their religion).

So what does the Canadian Embassy do? To try to explain that, I think it is necessary to go back to the ideas of the separation of church and state and of the dual nature of the Holy See as Church and as secular state. The Canadian Embassy to the Holy See is like all of Canada’s other embassies abroad that are missions either to secular states or international organizations. It is the mission of the Canadian government to the secular side of the Holy See. As Ambassador, I do not have a mandate to become involved in what are essentially Church affairs. I maintain close contact and have very good relations with the Canadian Conference of Catholic Bishops and while the Embassy provides them with support and assistance from time to time, I do not try to do their job. It may be obvious that given the unique nature of the Holy See, my Embassy does not have sections dealing with commercial relations, immigration or consular affairs. We do, however, carry out some modest cultural activities and we perform what is one of the core functions of any diplomatic mission.

We are the channel of communication between the two governments. This is more than just the passing back and forth of messages.

Canadian diplomats are expected to go an live abroad in a foreign environment and become immersed enough in the local culture to know what is happening, but more importantly to understand what is happening. This is crucial to their ability both to act as advocates of Canadian policies and to identify significant developments in their territories and interpret them to the Canadian government in terms of Canadian interests. Part of this function is information gathering. The Holy See has a vast diplomatic network, but also has networks of priests, bishops and church related organizations all over the world.

C a r i t à P o l i t i c a 27

ti, vescovi e chiese e relative organizzazioni in tutto il mondo. Ha una notevole consapevolezza e comprensione di molte aree che sono di interesse del Canada e noi, a nostra volta, possiamo ricambiare inserendoli nella nostra conoscenza e attività. Per la maggior parte, questo è un processo di predica ai convertiti, perdonate l’analogia. La politica estera della Santa Sede è diretta a promuovere la pace, i diritti umani, lo sviluppo internazionale ed il disarmo, tutti aspetti che appaiono nella politica estera canadese. Dunque, spesso non ci troviamo su lati opposti nelle maggiori discussioni internazionali.

Oltre a quello che la Santa Sede conosce di quello che gli altri fanno, c’è molto da imparare sul proprio diretto impegno in aree di particolare interesse per il Canada. In Medio Oriente, è impegnato nel tentativo di proteggere le minoranze cristiane, alcune di queste comunità risalgono al tempo degli Apostoli. Su un più ampio livello, è diventato sempre più produttivo il dialogo tra la Chiesa Cattolica e l’Islam con Giovanni Paolo II che ha impegnato individui ed istituzioni in un considerevole numero di paesi Islamici.

Questo mostra un segnale di continuità e di evoluzione con Benedetto XVI. Oltre ad essere attivi in Africa, per esempio nell’area dei Grandi Laghi ,dove sia la Santa Sede che il Canada sono rappresentati da un gruppo non sponsorizzato chiamato gli Amici dei Grandi Laghi, che si collega alla Santa Sede, così come la Comunità di S. Egidio di tanto in tanto ha un ruolo concreto nel risolvere i conflitti. S. Egidio ha mediato nel 1992 gli accordi per la pace in Angola e continua a avere un ruolo costruttivo in altre parti dell’Africa. A livello multilaterale la Santa Sede è attiva su di un ampio raggio di diritti umani stabiliti (naturalmente, appare soprattutto l’assoluta libertà di religione) e molte promulgazioni sulla sicurezza umana come il traffico umano e all’interno del non sistema e delle organizzazioni come l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa). Di volta in volta la diretta collaborazione con il Vaticano su particolari progetti è stata molto utile. Una delle maggiori iniziative internazionali del Canada degli ultimi anni è stata la Convenzione di Ottawa sulle Mine Terrestri.

Il sostegno attivo della Santa Sede è stato di grande aiuto nel convincere un numero di governi dubbiosi a sostenerlo ed eventualmente a ratificarlo. Prima di concludere, vorrei dire qualche parola sulla Santa

It has a great deal of knowledge and understanding about many areas which are of interest to Canada and we in turn can reciprocate by keeping them briefed on our knowledge and activities. For the most part, this is a process of preaching to the converted, if you will pardon the analogy.

The foreign policy of the Holy See is directed toward promoting peace, human rights international development and disarmament, all of which figure prominently in Canadian foreign policy. Therefore, we do not often find ourselves on opposite sides of major international issues.

In addition to what the Holy See knows about what others are doing, there is much to learn about its own direct engagement in areas of particular interest to Canada. In the Middle East, it is engaged on the ground in attempting to protect Christian minorities, some of whose communities date back to the time of the Apostles. On a broader level, a dialogue between the Catholic Church and Islam became increasingly active under John Paul II engaging individuals and institutions in a number of Islamic countries. This shows every sign of continuing and evolving under Benedict XVI. In addition to being active itself in Africa, for instance in the Great Lakes area where both the Holy See and Canada are on a UN sponsored group called the Friends of the Great Lakes, Organizations with close links to the Holy See, such as the Community of Sant’ Egidio from time to time play an effective role in resolving conflict. Sant’ Egidio brokered the 1992 accords that brought peace to Angola and continue to play a costructive role in other parts of Africa. At the multilateral level the Holy See is active on a broad range of human rights issues (freedom of religion figures highly, of course) and such human security issues as human trafficking both within the UN system and Organizations such as the OSCE (Organization for Security and Cooperation in Europe).

From time to time direct collaboration with the Vatican on particular projects has been very useful.

One of Canada’s major international initiatives in recent years was the Ottawa Convention on Landmines. The active support of the Holy See was very helpful in convincing a number of doubting governments to support it and eventually ratify it.

Before concluding, I would like to say a few words about the Holy See under His Holiness Pope Benedict

28 C a r i t à P o l i t i c a

Sede di Sua Santità Papa Benedetto XVI. Egli possiede un formidabile intelletto che si evidenzia in tutti i suoi scritti, ed infatti molti dei suoi impegni nel primo anno del suo Papato sembrano diretti a comporre un’ampia cornice intellettuale sia per la Chiesa che per le relazioni non–ecclesiastiche della Santa Sede con il resto del mondo. In questi scritti e discorsi, come la recente Lettera Enciclica ed i suoi eloqui ai diplomatici, viene rivelata molto chiaramente la sua visione del mondo. Il suo messaggio per il Giorno Mondiale della Pace (non sorprendentemente) ripete fortemente un incarico al quale io vorrei identificare la maggiore priorità della politica estera della Santa Sede, la realizzazione ed il mantenimento della pace. Ciò è stato rafforzato nel suo discorso annuale ai membri del Corpo Diplomatico in cui ha espresso il messaggio come una sfida personale a coloro che erano presenti. Egli è duro nella sua condanna al terrorismo e ripropone la necessità della sicurezza internazionale per il raggiungimento ed il mantenimento della pace internazionale.

Leggendo il titolo della Lettera dell’Enciclica sull’Amore Cristiano si potrebbe essere tentati di considerarlo inerente solo agli affari della Chiesa. È comunque un documento importante per colui che, sia che abbia fede, sia che non l’abbia, è interessato in direzione della Santa Sede ad assumere un ruolo temporale perché esalta la visione di Papa Benedetto XVI sulla separazione della Chiesa e dello Stato. Più che provare a sintetizzare, preferisco citare qualche frammento del documento: “… la dottrina Cattolica sociale… non ha intenzione di dare un potere alla Chiesa che sia superiore allo Stato. Ancora minore è il tentativo di imporsi su coloro che non condividono le forme di pensiero della fede e le linee di condotta tipiche della fede. Il suo scopo è semplicemente quello di aiutare e purificare la ragione e di contribuire, qui ed ora, a riconoscere e a raggiungere ciò che è giusto”.

“Una giusta società deve essere l’obiettivo della politica, non della Chiesa”. “Piuttosto la Chiesa intende aiutare il tipo di coscienza della vita politica e stimolare un maggiore intuito per un’autentica richiesta di giustizia, così come una maggiore prontezza ad agire di conseguenza, anche quando ciò potrebbe coinvolgere conflitti con situazioni di interesse personale”: “La Chiesa non può e non deve impegnarsi in una

XVI He has a formidable intellect which is evident in all his writings and indeed, much of his effort so far in the first year of his papacy appears to have been directed at laying out a broad intellectual framework both for the Church and for the Holy See’s non-ecclesiastical relations with the rest of the world.

In his writings and speeches, such as the recent Encyclical Letter and his addresses to diplomats, his view of the world is unfolding fairly clearly. His message for the World Day of Peace (not surprisingly) strongly restates a commitment to what I would identify as the Holy See’s principal foreign policy priority, the attainment and maintenance of peace.

This was reinforced in his annual address to the members of the Diplomatic Corps where he couched the message as a personal challenge to those present.

He is tough in his condemnation of terrorism and recognizes the necessity of international security in achieving and maintaining international peace.

On reading the title of the Encyclical Letter on Christian Love one might be tempted to conclude it would deal only with Church matters. It is, however, an important document for anyone, whether one of the faithful or not, who is interested in the direction the Holy See is likely to take in its secular role because it sets out Pope Benedict’s views on the separation of Church and State. Rather than try to summarize, let me give you a few quotes from that document: “... Catholic social doctrine... has no intention of giving the Church power over the State. Even less is it an attempt to impose on those who do not share the faith ways of thinking and modes of conduct proper to faith. Its aim is simply to help purify reason and to contribute, here and now, to the acknowledgement and attainment of what is just”.

“A just society must be the achievement of politics, not of the Church”.

“Rather the Church wishes to help form consciences in political life and to stimulate greater insight into the authentic requirements of justice as well as greater readiness to act accordingly, even when this might involve conflict with situations of personal interest”.

“The Church cannot and must not take upon herself the political battle to bring about the most just society possible. She cannot and must not replace the State. Yet at the same time she cannot and must not remain on the sidelines in the fight for justice”.

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battaglia politica per effettuare un’eventuale più giusta società. Essa non può e non deve sostituire lo Stato. Inoltre allo stesso tempo non può e non deve restare relegata in attività secondarie sulla battaglia per la giustizia”. Così la mia conclusione, nel mio secondo anno di Ambasciatore, è che la Santa Sede fa affari come uno Stato ed ha un ruolo come membro della comunità internazionale. Naturalmente non nello stesso modo della Russia o degli Stati Uniti o della Cina oppure della Francia, ma in maniera diversa. Essa ha un partito nominale di circa un miliardo di persone, una portata globale e per un dato periodo è la custode di un’importante riserva di attuali informazioni. È un’attiva partecipante sia nelle relazioni bilaterali che multilaterali ed una utile collaboratrice su particolari progetti in cui vi sia un interesse comune. I principi che guidano la sua politica estera sono per la maggior parte gli stessi che formano la base della politica estera Canadese. Ciò importa perché è l’unica nel mondo sia come Stato temporale che come Chiesa. (La sua organizzazione è anche unica tra le chiese e le altre religioni, ma questo è argomento per un’altra discussione). Questa particolare caratteristica dà alla Santa Sede e al Papa un’autorità morale che ha causato un seccatura a Josef Stalin quando un aiutante ebbe la temerità di suggerire che la Santa Sede si poteva opporre a qualche sua azione, e Stalin aspramente disse : “Quante divisioni ha il Papa?”. Infine, io penso che, almeno per il momento, la potenziale efficacia sulla scena internazionale può aumentare. Noi ora siamo in un periodo, la cui durata non si può predire, in cui le fedi religiose stanno assumendo un ruolo sempre maggiore e stanno diventando determinanti sia per la politica interna che per le relazioni internazionali. Abbiamo visto quanto velocemente le pubblicazioni religiose alimentano passioni che conducono alla violenza. Ciò dimostra che per i Governi questo rappresenta un problema particolarmente complesso e difficile da affrontare, in parte perché è un fenomeno internazionale ma anche perché ha una sua implicazione nelle relazioni tra gruppi all’interno delle società occidentali multi-culturali. La Santa Sede con la sua unica posizione sia come Chiesa che come Stato, ed il suo incarico al principio di separazione tra Chiesa e Stato, può essere sempre più utile alleato dei Governi temporali che incontrano questa sfida.

My conclusion well into my second year as Ambassador is that it the Holy See does matter as a state playing its role as a member of the international community. It does not matter in the same way as Russia or the United States or China or France matter, of course, but each of these matters in way that is somewhat different from the others. It has a nominal following of around a billion people, a global reach and at any given time is the custodian of an important reservoir of current information.

It is an active participant both in bilateral and multilateral relations and a useful collaborator on specific projects where we have a common interest. The principles that drive its foreign policy are for the most part those that form the basis of Canadian foreign policy. It matters because it is unique in the world as both secular state and Church. (Its organization is also unique among churches and other religions, but this is also a topic for another discussion).

This particular characteristic gives the Holy See and the Pope a moral authority that it can bring to bear on any given international issues. It was no doubt this moral authority that caused Josef Stalin’s annoyance when an aide had the temerity to suggest that the Holy See might oppose one of his actions and Stalin snapped back “How many divisions does the Pope have?”

Finally, I think that for the moment at least, the Holy See’s potential for effectiveness on the international scene may be increasing. We are now in a period, the length of which is impossible to predict, in which religious beliefs are playing a greater role as determinants of both domestic politics and international relations.

We have seen how quickly religious issues can be exploited to arouse passions leading to violence.

This is proving to be a particularly complex and difficult problem for governments to deal with, partly because it is an international phenomenon but also because of its implications for relations between groups within increasingly multicultural western societies.

The Holy See with its unique position as both Church and State, and its commitment to the principle of separation of church and state, may well be an increasingly useful ally of secular governments in meeting this challenge.

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Corea Corea

Ambasciata della Repubblica di Corea presso la Santa Sede S.E. SEONG YOUM

Ambasciatore della Repubblica di Corea presso la Santa Sede

Cultura dell’alimentazione in Corea Il Paese

The Country

La cultura dell’alimentazione in Corea è stata influenzata dall’ambiente naturale. La Corea è situata ad una media altitudine nell’Emisfero Settentrionale, e appartiene ad una zona freddo-temperata. La Corea è circondata dal mare su tre lati, in cui si mescolano correnti fredde e calde, questo lo rende un luogo ideale per molte specie di pesci.

Sebbene le montagne costituiscano il 70% dell’intero paese, più del 40% di esse sono alte appena dai 200 ai 300 metri. Inoltre, la Penisola Coreana è propiziata da precipitazioni atmosferiche annuali di 960 mm (1,150 mm nella Corea del Sud) che permettono una fiorente agricoltura. Sufficienti risorse idriche forniscono la condizione ideale per la coltivazione di una varietà di ortaggi. I fiumi maggiori scorrendo dalle montagne orientali verso ovest hanno creato pianure ideali per la coltivazione del riso. In Corea, dal 40 al 60% delle precipitazioni atmosferiche annuali si verificano durante la stagione estiva. Così, l’estate era la stagione più impegnativa in Corea durante la passata età agraria, la quale era principalmente centrata sulle colture del riso. Nelle aree in cui il clima non era adatto per produrre riso,furono coltivati altri cereali, e in particolare nella parte settentrionale della Penisola Coreana, il fagiolo era la coltura principale.

Come conseguenza, il fagiolo è stato aggiunto frequentemente agli alimenti cucinati, o al riso cotto al vapore, che è l’alimento base dei Coreani. I fagioli sono anche utilizzati per fare pasta di fagioli.

Korea's nutrition culture has been shaped by its natural environment. Korea is located in the mid-altitude of the Northern Hemisphere, and belongs to a cold-temperate zone. Korea is surrounded by water on three sides, where both cold and warm currents cross each other, thus making it an ideal location for many fish species. Although mountains account for 70 percent of the entire country, over 40 percent of them are just 200 to 300 meters high. In addition, the Korean Peninsula is blessed with an annual rainfall rate of 960 millimeters (1,150 mm in South Korea) which allows agriculture to flourish. Sufficient water resources provide ideal condition for the cultivation of a variety of vegetables. The major rivers flowing from the eastern mountains to the west created plains optimal for rice farming. In Korea, 40 to 60 percent of the annual rainfall occurs during the summer season.

Thus, summer was the busiest season in Korea during the past agrarian era, which was mostly centered around rice crops.

In the areas where the climate was not suitable to produce rice, other grains were cultivated, and especially in the northern part of the Korean Peninsula, bean was the major crop. As a result, bean has frequently been added to cooked items, or steamed rice, which is the staple food of Koreans. Beans are also used to make bean paste.

Seasonal changes produced different seasonal foods.

C a r i t à P o l i t i c a 31

I cambi delle stagioni portarono a diversi alimenti stagionali. Il “kimchi” è il più rappresentativo ortaggio conservato della Corea, mentre il “jeotgal” è una salsa ai frutti di mare in conserva. Date le nette variazioni climatiche in Corea, il menu tradizionale varia da stagione a stagione.

Kimchi is the most representative type of Korea's preserved vegetable, while jeotgal is a well-preserved seafood sauce.

Given the distinct climatic changes in Korea, the menu of the traditional Korea varies season to season.

Dalla Storia Antica all’Età dei Tre Regni

From Ancient Times up to the Three Kingdoms Era

Sebbene il riso sia la coltura principale in Corea, l’agricoltura iniziò con la coltivazione dell’erba Deccan, del miglio, e del miglio coda di volpe a metà del Neolitico (4000 a.C. – 3500 a.C.). Il fagiolo e il fagiolo rosso furono aggiunti successivamente.

Durante l’Età del Bronzo, il riso venne introdotto dalla Cina. Durante l’Età del Ferro che iniziò nel quarto secolo a.C., ci fu lo sviluppo dell’agricoltura con l’utilizzo di strumenti di ferro. Dal primo secolo a.C., i Tre Regni di Goguryeo, Baekje e Silla si basarono fortemente sulla produzione del riso.

Poco dopo, anche il grano venne introdotto nella Penisola Coreana dalla Cina.

In seguito, i cereali prodotti nel periodo dei Tre Regni furono il riso, l’orzo, il miglio coda di volpe, il miglio, il grano, il miglio Africano, l’erba Deccan, il fagiolo e il fagiolo rosso. Fra questi, il riso, l’orzo e il miglio coda di volpe furono le colture principali.

Le basi della dieta Coreana si formarono in questo periodo. I tre principali cereali di questo periodo furono utilizzati, cotti al vapore, per fare il “bap” (grosso panino schiacciato di riso bianco al vapore), e macinati, per fare torte di riso. Di questi, il “bap” divenne l’alimento base perché era il più comodo da preparare; le torte di riso furono utilizzate come alimento rituale.

La tecnica di fermentare i cibi come metodo di conservazione era utilizzato in questi tempi. Gli ortaggi erano fermentati con il sale o con sale ed alcool, il sale era anche utilizzato per il pesce e la carne.

In seguito, anche l’arrostitura, la cottura a vapore e la stagionatura iniziarono ad essere utilizzate.

Il menu base consisteva nel “bap”, paste di fagiolo, kimchi e jeotgal, come piatti principali, e ortaggi e carni arrostite, cotte al vapore o stagionate come piatti aggiuntivi (“banchan”).

Questo modello tradizionale di pasto è in uso ancora oggi. Inoltre, le torte di riso continuarono ad essere utilizzate come cibo rituale.

Although rice is the main crop in Korea, its agriculture began with the cultivation of Deccan grass, millet, and foxtail millet in the middle of the Neolithic Period (B.C. 4000- B.C. 3500). Bean and red-bean were added later.

During the Bronze Age, rice was introduced from China. It was during the Iron Age which began in the fourth century B.C., however, that saw the development of agriculture with the use of ironware. By the first century B.C., the Three Kingdoms of Goguryeo, Baekje, and Silla all relied heavily on rice production. Soon thereafter, wheat was also introduced to the Korean Peninsula from China. Thus, the grains produced in the Three Kingdoms period consisted of rice, barley, foxtail millet, millet, wheat, African millet, Deccan grass, bean, and red-bean.

Among these, rice, barley, and foxtail millet were the main crops. The basic structure of the Korean diet thus took shape during this period. The three main grains of this period were used for both steaming to make bap (steamed white rice), and milling to make rice cakes. Of these, bap became the staple food because it was more convenient to prepare; rice cakes, on the other hand, were used as a ceremonial food.

The technique of fermenting foods as a method of preservation was also used at this time. Vegetables were fermented with salt or salt and alcohol, while salt was also used with fish and meats.

In addition, roasting, steaming, and seasoning also began to be employed.

The basic menu consisted of bap, bean pastes, kimchi and jeotgal, as the main dishes and roasted, steamed or seasoned vegetables and meats as additional side dishes (banchan). This traditional pattern of table setting is still in use today.

In addition, rice cakes continue to be loved as a ceremonial food.

Along with the development of Korea's culinary

32 C a r i t à P o l i t i c a

Con lo sviluppo della cultura culinaria Coreana anche le stoviglie da tavola si modificarono passando da stoviglie di terracotta, di bronzo, di ottone, di porcellana vitrea laccata, di vetro a stoviglie d’oro e d’argento.

culture, tableware was also varied and sophisticated, ranging from earthenware, bronze ware, brassware, glazed china, lacquer ware, glassware, to gold- and silver-plated ware.

Silla e Goryeo unificati

Unified Silla and Goryeo

Alla fine del settimo secolo, i Tre Regni di Goguryeo, Baekje e Silla furono unificati nel Regno Unito di Silla (668-935). L’unificazione della Penisola Coreana nel 668 nel Regno di Silla portò significative trasformazioni in molti ambiti. La cultura culinaria del Regno di Silla non fece eccezione.

Il Regno Unito di Silla era una società Buddista e amava l’abbondanza di varie qualità di cereali e ortaggi. Anche il tè venne prodotto in questo periodo.

A partire dalla fine del decimo secolo, la Dinastia di Goryeo continuò a seguire i principi del Buddismo.

Così, la gente del primo Regno di Goryeo, come quella del precedente Regno di Silla, si conteneva nel mangiare grandi quantità di carne.

Nel Regno di Goryeo si intensificarono gli sforzi per rendere coltivata la terra inutilizzata, incrementando la produzione di cereali. Le tecniche per cucinare le torte e i preparati di riso progredirono e il tè divenne la bevanda preferita. Le torte di riso del Regno di Goryeo erano di una qualità così elevata che una varietà, il “bamseolgi”, fu esportata in Cina. Così anche i dolciumi, “yumilgwa” e “dasik”, erano popolari e serviti con il tè. Queste torte e dolciumi sono amati ancora oggi. Anche la coltivazione degli ortaggi progredì in questo periodo. Gli ortaggi erano conservati in acqua e sale. Il “kimchi”, il più popolare piatto in salamoia di questo periodo, era anche la maggiore fonte di vitamina C, in particolare durante la stagione invernale quando gli ortaggi scarseggiavano. Il tè, che si era diffuso dal Regno di Silla, divenne una bevanda popolare nel Regno di Goryeo. Il palazzo ospitava una sala da tè, dove si utilizzava la famosa porcellana laccata color verde giada. Furono creati speciali villaggi del tè solamente per coltivare il tè. Nel primo periodo del Regno di Goryeo, il consumo di carne fu vietato dai principi del Buddismo.

Più tardi con il declino del Buddismo durante la fine del Regno di Goryeo e agli inizi della Dinastia Joseon, la carne fu reintrodotta nella cultura culinaria della Corea. “Seorya-myeokjeok” e “Seolleongtang” sono dei buoni esempi di questi nuovi piatti a base di

At the end of the seventh century, the Three Kingdoms of Goguryeo, Baekje, and Silla were integrated into the Unified Silla Kingdom (668-935). The unification of the Korean Peninsula in 668 by Silla brought about significant transformations in many areas during this period. The culinary culture of Silla was no exception.

Unified Silla was a Buddhist society and it enjoyed abundance of food-quality grains and vegetables. Tea was also produced during this period. Established by the end of the 10th century, the Goryeo Dynasty also followed the tenets of Buddhism.

As a result, the people of early Goryeo, like the Silla people before them, restrained from eating large quantities of meat.

The Goryeo also stepped up its efforts to bring unused land under cultivation, raising grain production.

The cooking techniques for rice cakes and confections were also upgraded and tea was a highly favored beverage. The rice cakes of Goryeo were of such high quality that one of variety, the bamseolgi was exported to China. As for the confectioneries, yumilgwa and dasik were popular and served with tea. These cakes and confectioneries are still loved today. The cultivation of vegetables also advanced during this period. Vegetables were mostly preserved in water and salt. Kimchi, the most popular pickled dish during this period, was also the main source of vitamin C, particularly during the winter season when vegetables were scarce.

Tea, which had been grown since the Silla period, also became a popular beverage during Goryeo.

The palace housed a tea room for preparing tea, where the famous jade-green celadon and lacquered ware was widely used.

Special tea villages were also designed solely for the purpose of cultivating tea. In the early period of Goryeo, the consumption of meat was forbidden under the tenets of Buddhism. Later, however, with the decline of Buddhism during the late Goryeo and early Joseon period, meat was introduced again into the culinary culture of Korea. Seorya-myeokjeok

C a r i t à P o l i t i c a 33

carne. Anche il commercio internazionale fu vigorosamente promosso. Alcune locande furono costruite in larga scala per i commercianti stranieri, e frequentemente vi ebbero luogo grandi banchetti. Dalla fine dell’undicesimo secolo, furono costruite locande pubbliche nei e vicino ai porti, punti chiave per promuovere il commercio. Nello stesso tempo, un buon numero di persone vennero impegnate nella produzione di alcool. In breve, l’industria alimentare fece notevoli progressi sotto la Dinastia Goryeo, favorendo così la cultura culinaria della Corea.

and Seolleongtang are good examples of these new meat dishes. International trade was also vigorously promoted. Several inns were constructed in large scale for foreign traders, and great banquets frequently took place. By the end of the 11th century, public inns were set up in and around key port centers to foster trade. At the same time, a good number of people became engaged in alcohol production. In sum, the food industry made major strides under the Goryeo Dynasty, thereby advancing the culinary culture of Korea.

La Dinastia Joseon

Joseon Dynasty

La cultura culinaria coreana migliorò durante la Dinastia Joseon (1392-1910). Nella prima parte della Dinastia Joseon, furono anche pubblicati libri sull’agricoltura. Inoltre, la ricerca nei campi dell’astronomia e meteorologia iniziarono a produrre nuove apparecchiature per osservare i corpi celesti e il tempo, contribuendo a dei miglioramenti nella coltivazione agricola.

Progressi significativi vi furono anche nella ricerca medica e si concentrarono sui benefici, per la salute, di una dieta bilanciata che includeva una combinazione di riso, fagioli, ortaggi, pesce e carne. Qualche volta venivano aggiunte delle piccole quantità di erbe mediche per aiutare la digestione, in modo particolare nel cibo di coloro che frequentemente soffrivano di indigestione.

Una qualità di erbe venivano miscelate nell’acqua per avere diversi tipi di salutare tè. Queste erbe potevano essere facilmente coltivate in casa. Durante la Dinastia Joseon quando il Confucianesimo si radicò nella società, la cultura culinaria dei Coreani subì alcuni cambiamenti significativi. Il cibo doveva essere preparato per molti membri della famiglia di diverse età, quindi si dovevano utilizzare tecniche particolari per cucinare e gestire queste grandi quantità di alimenti. Le donne, per lo più, si caricarono di questo onere.

Data la visione del mondo del Confucianesimo orientata alla famiglia, particolari riti e cerimonie erano spesso compiuti per i membri della famiglia, viventi e nonviventi, e il cibo rituale doveva essere preparato.

Preparando questi frequenti banchetti, le famiglie del periodo Joseon svilupparono dei loro piatti tipici secondo la condizione sociale e regionale. I cambiamenti nei generi e nelle preparazioni di questi alimenti hanno contribuito certamente alla varietà della cultura culinaria contemporanea della Corea.

Korea's culinary culture was refined during the Joseon Dynasty period (1392-1910). In the early part of the Joseon Dynasty, agriculture books were also widely published. Moreover, research in the fields of astronomy and meteorology began to produce new equipment to observe the celestial bodies and the weather, which contributed to improvements in farm cultivation. Significant strides in medical research were also made and they focused on the salutary benefits of a balanced diet which included a combination of rice, beans, vegetables, fish and meat.

Small amounts of medical herbs that were known to aid digestion were also sometimes added, particularly in the food of those who frequently suffered from indigestion. A variety of herbs were also mixed into water to make different kinds of healthful tea. These ingredients could be easily cultivated at home.

During the Joseon Dynasty when Confucianism gained a stronghold in society, the culinary culture of Koreans underwent some significant changes.

Since food preparation had to be made for many members of the household of varying ages, special techniques were required to cook and manage these large quantities of food. Women, for the most part, took on this burden among themselves. Also, given the Confucian family-oriented world view, special rites and ceremonies were often performed for family members, both living and deceased, and ceremonial food had to be prepared. In the course of preparing these frequent banquets, the families of the Joseon period developed their own specialty foods according to regional and social standing. Variations in styles and preparation of these foods have certainly contributed to the variety of Korea's contemporary culinary culture.

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Filippine Filippine

Ambasciata della Repubblica delle Filippine presso la Santa Sede S.E. LEONIDA L. VERA

Ambasciatore delle Filippine presso la Santa Sede

Il Paese

The Country

Le Filippine sono un arcipelago di 7,100 isole raggruppate in tre regioni principali, Luzon, Visayas e Mindanao. La linea costiera, considerata la quinta più lunga del mondo, è delimitato a Nord e a Ovest dal Mare Cinese Meridionale, a Sud dal Mar di Celebes e ad Est dal Mar delle Filippine. Il clima delle Filippine è tipicamente tropicale. La temperatura media è di circa 26 gradi centigradi. Marzo, Aprile e Maggio sono i mesi più caldi mentre Dicembre, Gennaio e Febbraio i più freddi. Le Filippine hanno solo due diverse stagioni: la stagione secca, da Novembre a Maggio; e la stagione umida, da Giugno a Ottobre, in cui le precipitazioni sono abbondanti e i tifoni frequenti. Il Paese è un insieme di culture. Agli albori della storia, l’arcipelago ebbe contatti con altre popolazioni dell’Asia. Emigranti dal Sudest asiatico si mescolarono con gli abitanti originali. Documenti cinesi del X secolo fanno riferimento alle isole e alle loro popolazioni. L’influenza indiana è evidente nei dialetti filippini e nelle scritture antiche e nell’antica letteratura ed arte filippina. Nel XV secolo venne introdotto l’Islam, in particolare nelle isole meridionali di Sulu e Mindanao. Quando le Filippine ebbero i primi contatti con il mondo occidentale nel XVI secolo, il Paese possedeva già una sofisticata civiltà orientale, con sistemi amministrativi ben stabiliti e ricchi retaggi di musica, letteratura ed arte popolare.

Dato che le Filippine furono una colonia spagnola per più di tre secoli e furono sotto la giurisdizione americana per altri 48 anni, le Filippine possiedono affinità culturali anche con l’Occidente. È il terzo Paese più popoloso, dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna; l’inglese è la lingua ufficiale. Quindi, sebbene geograficamente asiatiche, le Filippine sono culturalmente un insieme di orientale e occidentale, dell’antico e del contemporaneo.

The Philippines is an archipelago of 7,100 islands grouped into three main regions, Luzon, Visayas and Mindanao. Its coastline, considered the fifth longest in the world, is bounded on the north and west by the South China Sea, on the South by the Celebes Sea and on the east by the Philippine Sea. Philippine climate is typically tropical. The average temperature is about 26 degrees centigrade. March, April and May are warmest while December, January and February, coolest. The Philippines has only two distinct seasons: the dry, from November to May; and the wet, from June to October when rainfall is heavy and typhoons are frequent.

The country is a blend of cultures. Early in history, the archipelago had contacts with the other peoples of Asia. Migrants from southeast Asia blended with the original inhabitants. Chinese documents of as early as 10th century make references about the islands and its people. The Indian influence is evident in the Filipino dialects and early script and in ancient Filipino literature and art. In the 15th century Islam was introduced particularly in the southern islands of Sulu and Mindanao. When the Philippines made its first contact with the western world in the 16th century, the country already possessed a sophisticated oriental civilization, with well-established administrative systems and rich legacies of folk music, literature and art. Since the Philippines was a colony of Spain for more than three centuries and came under American rule for another 48 years, the Philippines also has cultural affinities with the West. It is the third most populous country, after the United States and the United Kingdom, in which English is an official language. Thus, while geographically Asian, the Philippines is culturally a blend of the oriental and occidental, of the ancient and the contemporary.

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Le Filippine sono l’unico Paese prevalentemente Cattolico in Asia. Il 16 Marzo 1521, durante il regno di Re Carlo I di Spagna, Ferdinando Magellano, un navigatore portoghese al suo servizio, arrivò nell’arcipelago. Il contatto con gli spagnoli diede inizio all’assimilazione da parte delle Filippine di valori occidentali che sono diventati parte integrante della sua struttura originale. Il più importante di questi valori è la Fede Cattolica. La prima Messa fu celebrata in territorio Filippino, nell’isola di Limasawa, dal cappellano di Magellano la Domenica di Pasqua del 31 marzo 1521. Antonio Pigafetta, l’italiano cronista della spedizione, ha lasciato una testimonianza di questo importante evento. Nell’isola di Cebu, Magellano piantò una grande croce e rivendicò l’arcipelago per la Spagna e la Cristianità.

L’amministrazione spagnola nelle Filippine fu segnata da numerose rivolte che alla fine portarono alla proclamazione dell’Indipendenza Filippina il 12 giugno 1898, e all’inaugurazione, pochi mesi dopo, della Repubblica delle Filippine. Persino con la fine del dominio spagnolo, il retaggio della fede Cattolica spagnola rimase radicato profondamente tra i Filippini. Nonostante la proclamazione di indipendenza delle Filippine, la Spagna cedette l’arcipelago agli Stati Uniti come conseguenza della sconfitta nella guerra Ispanoamericana. Nel 1935 fu istituito lo Stato indipendente delle Filippine, in preparazione dell’autonomia. Prima che le Filippine potessero ottenere l’indipendenza, comunque, scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e le Filippine furono occupate dai Giapponesi per tre anni. Dopo la guerra, il 4 Luglio 1946, le Filippine divennero una Repubblica sovrana – il primo Paese del Sudest asiatico a ottenere la libertà dal dominio coloniale.

Oggi, le Filippine sono una democrazia repubblicana con un sistema di governo presidenziale. La sovranità è esercitata dal popolo Filippino che la mette in atto direttamente attraverso il voto e indirettamente attraverso i funzionari pubblici eletti. Essendo una democrazia repubblicana, l’autorità civile è superiore a quella militare.

The Philippines is the only predominantly Catholic country in Asia. On 16 March 1521, during the reign of King Charles I of Spain, Ferdinand Magellan, a Portuguese navigator under his employ arrived in the archipelago. The contact with the Spaniards initiated the Philippines’ assimilation of western values which have become an integral part of its personality fabric.

The most important of these values is the Catholic Faith. The first Mass was celebrated on Philippine soil, in the island of Limasawa, by Magellan’s chaplain on Easter Sunday 31 March 1521. Antonio Pigafetta, the Italian chronicler of the expedition, has left a record of this important event. In the island of Cebu, Magellan planted a large cross and claimed the archipelago for Spain and Christianity.

Spanish rule in the Philippines was marked with numerous revolts which eventually led to the proclamation of Philippine Independence on 12 June 1898, and to the inauguration, a few months later of the Philippine Republic. Even with the end of Spanish rule, Spain’s legacy of the Catholic Faith remained deeply rooted among the Filipinos.

The Philippine proclamation of independence notwithstanding, Spain ceded the archipelago to the United States of America as a consequence of her defeat in the Spanish-American War. In 1935, the Commonwealth of the Philippines was established, in preparation for self-government.

Before the Philippines could win independence, however, the second World War broke out and the Philippines was occupied by the Japanese for three years.

After the war, on 4 July 1946, the Philippines became a sovereign Republic – the first southeast Asian country to win freedom from colonial rule. At present, the Philippines is a republican democracy under a presidential system of government. Sovereignty emanates from the Filipino people who exercise it directly through suffrage and indirectly through their elected public officials. As a republican democracy, it also maintains that civilian authority is supreme over the military.

Il popolo Filippino

The Filipino People

Gli 80 milioni di Filippini di oggi sono una stirpe razziale variata, arricchita dalla mescolanza di popoli. Secoli fa, emigranti dall’Asia Sud-orientale,

Today’s over 80 million Filipinos are of a varied racial stock enriched by the blending of peoples.

Centuries back, migrants from southeast Asia,

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principalmente di origine malese, formarono il nucleo razziale al quale si aggiunse attraverso gli anni un buon influsso di sangue cinese, indiano, arabo, spagnolo e americano. Nelle cultura e nella civiltà, le Filippine hanno attinto dall’Oriente e dall’Occidente. I valori indigeni di questi popoli sono stati fortificati dalla Fede Cattolica. Oggi, è generalmente lo stile di vita Cristiano, intimamente legato alle tradizioni e ai costumi, che definiscono l’identità della maggioranza dei Filippini. Dai tempi della spedizione di Magellano nel Paese, l’evangelizzazione dell’arcipelago delle Filippine continuò con l’arrivo dei missionari Augustiniani. Altre congregazioni religiose li seguirono, come i Francescani, i Gesuiti, i Domenicani e altri gruppi religiosi. Per tre secoli, l’evangelizzazione missionaria dei Filippini fu ampiamente responsabilità di queste congregazioni religiose e di altre che vennero dopo di loro. Anche suore dalla Spagna, dal Messico e dalla Francia ebbero un ruolo importante nel coltivare la Fede tra i Filippini.

Esse fondarono scuole femminili. Le Clarisse fondarono un convento nel 1621. La prima congregazione religiosa filippina – Religiosas de la Virgen Maria (RVM) – fu fondata nel 1684 da una filippina, Sor Ignacia del Spiritu Santo. Oggi, circa l’85% dei filippini sono Cattolici, circa il 6% Mussulmani, approssimativamente il 5 % Protestanti, mentre il resto sono membri di altre sette e religioni. L’esistenza di diverse comunità religiose nelle Filippine rende necesserio l’ecumenismo.

La Commissione Ecumenica Nazionale fu istituzionalizzata per sovrintendere specificamente il dialogo interconfessionale mirato allo sradicamento dei pregiudizi e alla promozione della tolleranza e una migliore comprensione tra le diverse religioni nel Paese. Nello spirito universale della Fede Cattolica, i Filippini hanno dato testimonianza della propria Fede attraverso i secoli in diverse parti del mondo. Meno di un centinaio di anni dopo l’arrivo dei primi missionari stranieri nelle Filippine, un laico filippino portò la sua suprema testimonianza di Fede a Nishizaka Hill (Nagasaki). Su quella collina sacra, insieme a 15 compagni di varie nazionalità, il protomartire filippino Lorenzo Ruiz de Manila rinunciò alla propria vita per Cristo. È con una toccante conferma dell’universalità della Chiesa che Papa Giovanni Paolo II volle beatificare Lorenzo e i suoi compagni stranieri nelle

basically of Malayan origin, formed the racial core to which was added over the years a good influx of Chinese, Indian, Arabic, Spanish and American blood. In culture and civilization, the Philippines has drawn from the East and the West. The indigenous values of its peoples have been fortified by the Catholic Faith. Today, it is generally the Christian way of life, intimately merged with traditions and customs which define the identity of the majority of Filipinos. From the time of the Magellan expedition in the country, the evangelization of the Philippine archipelago continued with the arrival of the Augustinian missionaries. Other religious congregations followed like the Franciscans, the Jesuits, the Dominicans and other religious groups.

For three centuries, the missionary evangelization of the Filipinos was largely the responsibility of these religious congregations and the others who came after them. Nuns from Spain, Mexico and France also played an important role in nursing the Faith among the Filipinos. They established schools for girls.

The Poor Clares founded a convent in 1621.

The first Filipino religious congregation – Religiosas de la Virgen Maria (RVM), was founded in 1684 by a Filipina, Sor Ignacia del Spiritu Santo.

Today, around 85% of Filipinos are Roman Catholics, about 6% are Muslim, approximately 5% are Protestant while the rest are members of other sect and religion.

The existence of different religious communities in the Philippines necessitated ecumenism. The National Ecumenical Commission was institutionalized to specifically oversee interfaith dialogues aimed at eradicating prejudices and promoting tolerance and better understanding among the diverse religions in the country. In the universal spirit of the Catholic Faith, Filipinos down the centuries have given testimony to their Faith in various parts of the world. Less than a hundred years after the arrival of the first foreign missionaries in the Philippines, a Filipino layman made his supreme testimony of Faith on Nishizaka Hill (Nagasaki). On that sacred hill, together with 15 companions of various nationalities, the Filipino protomartyr Lorenzo Ruiz de Manila gave up his life for Christ.

It is with a touching confirmation of the Church’s universality that Pope John Paul II should beatify

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Filippine, la prima beatificazione avvenuta fuori dall’Italia. Diversi anni dopo, nel 1987, il compianto Santo Padre canonizzò Lorenzo Ruiz de Manila, il primo Santo filippino. Il numero di missionari filippini in partenza per altre terre crebbe in fretta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Essa divenne così un punto di svolta nella storia religiosa delle Filippine: da una nazione meta di missionari a una nettamente di partenza per le missioni.

Lorenzo and his foreign companions in the Philippines, the first ever beatification held outside of Italy. Several years later, in 1987, the late Holy Father canonized Lorenzo Ruiz de Manila, the first Filipino Saint. The number of Filipino missionaries leaving for other lands grew soon after World War II. It thus became a turning point in the Philippines’ religious history: from a missionary-receiving to a net missionary-sending nation.

L’Ambasciata delle Filippine presso la Santa Sede

The Embassy of the Philippines to the Holy See

Data la prevalenza Cattolica della propria popolazione, le Filippine sono state legate alla Santa Sede per decenni, sebbene indirettamente nei primi anni. I rapporti diplomatici tra le Filippine e la Santa Sede furono stabiliti nel 1951. Nello stesso anno, la Delegazione Apostolica a Manila fu elevata a Nunziatura, la prima solenne Nunziatura in Asia. Il fu Cardinale, allora Arcivescovo, Egidio Vagnozzi divenne il primo Nunzio Apostolico per le Filippine il 20 giugno 1951.

H.E. Manuel V.Moran, allora ambasciatore filippino residente per la Spagna, ricoprì simultaneamente la carica di primo rappresentante filippino presso la Santa Sede. Fu seguito dal primo ambasciatore residente delle Filippine presso la Santa Sede, il quale presentò le proprie credenziali a Papa Pio XII il 7 settembre 1957. L’Ambasciata delle Filippine presso la Santa Sede è guidata da ideali Cristiani, principi di sviluppo, valori morali ed etici di dignità umana nel governo dei popoli e nelle interrelazioni tra le nazioni. È coinvolta nel dialogo sui maggiori interessi dell’umanità, i diritti degli uomini, l’ordine internazionale e il progresso, la giustizia e la pace.

L’Ambasciata delle Filippine presso la Santa Sede si trova vicino a Piazza San Pietro, in Via Paolo VI n.29.

Because of its predominantly Catholic population, the Philippines has been linked with the Holy See for decades, albeit, indirectly in the early years.

In 1951 diplomatic relations between the Philippines and the Holy See were established.

In the same year, the Apostolic Delegation in Manila was elevated to a Nunciature, the first full-pledged Nunciature in Asia. The late Cardinal, then an Archbishop, Egidio Vagnozzi became the first Apostolic Nuncio to the Philippines on 20 June 1951.

H.E. Manuel V. Moran, then the resident Philippine Ambassador to Spain, served in concurrent capacity as the first Philippine Envoy to the Holy See. He was followed by the first Philippine resident Ambassador to the Holy See who presented his credentials to Pope Pius XII on 7 September 1957.

The Philippine Embassy to the Holy See is guided by Christian ideals, development principles, moral and ethical values of human dignity in the governance of peoples and interrelations of nations.

It is involved in dialogues on the major interests of mankind, the rights of man, international order and progress, justice and peace.

The Philippine Embassy to the Holy See is located close to St. Peter’s Square, at NO. 29, Via Paolo VI.

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Gabon Gabon

Ambasciata del Gabon presso la Santa Sede S.E. DESIRÈ KOUMBA

Ambasciatore del Gabon presso la Santa Sede

Geografia La Repubblica del Gabon, Paese dell’Africa Occidentale, è situata sull’Equatore a circa 7 ore di volo da Parigi, senza spostamento d’orario.

Geography The Republic of Gabon, country of Western Africa, is situated on the equator, about 7 hours far from Paris, without time change.

Superficie: 267 667 km_ (la metà della Francia) Popolazione: 1.500.000 abitanti Lingua ufficiale: francese Capitale: Libreville

Area: 267 667 km_ (the half of France) Population: 1.500.000 inhabitants Official language: French Capital: Libreville

Popolazione Il Gabon è uno dei Paesi meno popolati dell’Africa.

Tuttavia, si calcolano circa una cinquantina di etnie, la maggior parte di cultura Bantu.

Population Gabon is one of the less populated countries in Africa. Nevertheless, about fifty ethnic groups are calculated, most of them of Bantu culture.

Moneta La moneta è il franco CFA di cui la parità con il franco francese è fissa (1FF = 100 F CFA).

Currency The currency is CFA Frank, whose parity with French Frank is fixed (1FF = 100 CFA F).

Presistoria La preistoria del Gabon è attualmente l’oggetto di numerosi studi in diverse province. Tracce di umanizzazione scoperte di recente farebbero risalire la presenza umana nel cuore del Gabon a più di 400 000 anni fa. La regione della Lopé racchiude numerosi siti archeologici ma è a partire dal 2000 a.C. che essa assisterà all’arrivo di ondate migratorie con gruppi neolitici che saranno soppiantati verso il 600 a .C. dai primi metallurgici. L’età del ferro della media valle dell’Ogooué, ci ha lasciato numerosi reperti di forni di fusione ma anche più di 1 500 incisioni, uno dei più straordinari patrimoni dell’arte rupestre.

Preisthory At present, Gabon’s prehistory is the object of a large number of studies in many regions. Traces of humanization recently discovered, would make human presence in Gabon go back to more than 400 000 years ago. The Lopé region includes many archaeological sites, but it is from 2000 B.C. that it will witness the arrival of migrant waves of Neolithc groups, which will be ousted towards 600 B.C. by the first metalworkers. The Iron Age of the middle Ogooué valley, left us many kinds of fusion ovens, but also more than 1 500 engravings, one of the most remarkable heritage of rock art.

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Storia Nel 1472, mercanti e navigatori portoghesi sbarcano sulle coste dell’attuale Gabon. Nel 1837, il tenente di vascello francese Bouët-Willaumez firma un trattato con il re Rapontchombo, detto Re Dionigi, e il Re Dowe, detto Re Luigi, che autorizza la Francia a fondare una base permanente a Gabon.

Nel 1849, Libreville è fondata da alcuni schiavi liberati. Nel 1886, il Gabon diventa colonia francese e ottiene la sua indipendenza nel 1960 sotto il regime di Léon MBA. L’attuale presidente sua eccellenza EL HADJ OMAR BONGO governa il Paese dal 1967. È all’iniziativa del presidente Bongo che risale l’apertura del più grande cantiere del secolo – Il treno Transgabonese. Nel 1986, dopo 12 anni di lavori, Libreville e Franceville, distanti 668 km, alla fine sono collegate. Costeggiando l’Ogooué e le sue rapide, attraversando immense foreste e savane, questo treno svela in modo tipico e magnifico i differenti volti del Gabon.

History In 1472, Portuguese traders and navigators landed on the shores of the present Gabon. In 1837, the lieutenant Bouet-Willaumez signed a treaty with king Rapontchombo, known as King Denys, and King Dowe, known as King Louis, who authorized France to found a permanent station in Gabon.

In 1849, Libraville was founded by some released slaves. In 1886, Gabon became a French colony and it gains its independence in 1960 under the reign of Léon MBA. The current president His Eccelency EL HADJ OMAR BONGO rules the country since 1967. To president Bongo is dued the opening of the largest construction site – the Transgabonese train.

In 1986, after 12 years of works, Libreville and Franceville, 668 km far, at the end were connected.

Running along the Ogooué and its rapids, going through huge forests and savannahs, this train reveals in a tipical and magnificent way the different sides of Gabon.

L’arte e la cultura I Fang sono famosi per le loro maschere magnifiche che in genere rappresentano gli spiriti dei morti che vengono così a partecipare alle cerimonie dei vivi.

Essi mostrano una predilezione tutta particolare per i visi in lunghezza. Per tutte le etnie, le statuette rappresentano non i tratti esatti, ma l’idea dell’antenato, eventualmente fondatore del clan.

In tutti i grandi avvenimenti riguardanti la vita del villaggio, il culto degli antenati occupa un posto preponderante. In alcune regioni, le statuette offrono una rappresentazione del viso umano particolarmente stilizzata.

Esiste una gamma di strumenti molto varia nell’usanza melodica originale come il Balafong, il Mwet, il Ngobi (chitarra a sette corde diseguali in radice di vaniglia selvatica utilizzate allora nelle cerimonie di iniziazione). Il museo delle Arti e Tradizioni (Stabilimento Elf Gabon, aperto tutti i giorni tranne il martedì e la domenica) raccoglie una collezione eccezionale e unica di oggetti della vita quotidiana tradizionale delle differenti etnie gabonesi attraverso i secoli.

Art and culture The Fang are known for their beautiful masks which generally represent the dead spirits who come to participate in the living’s ceremonies. They show a particular reference for long faces.

For every ethnic group, the statuettes do not represent the exact features, but the idea of the ancestor, maybe the clan founder.

In all the great events concerning the village life, the cult of the ancestors has a predominant place. In some religions, the statuettes give a particularly stylized representation of human face. There is a range of instruments very different in the original use of melody like the Balafong, the Mwet, th Ngobi (sevenchords guitar made of wild vanilla roots used for the initiation ceremonies).

The Art and Tradition Museum (Elf Gabon Building, open all days except Tuesdays and Sundays) collects an exceptional and unique collection of every-day objects of the different ethnic groups in Gabon over the centuries.

Fauna La savana (a Sud-Est), la foresta, le paludi e i fiumi formano un habitat di qualità per gli elefanti, i bufali, le pantere, le antilopi, gli ippopotami, i coccodrilli,

Fauna The savannah (South-East), the forest, the marshes and the rivers represent a quality habitat for elephants, buffalos, panthers, antelopes, hippopotamus,

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i gorilla, gli scimpanzè e gli uccelli, tra cui il famoso pappagallo grigio, simbolo della compagnia AIR GABON. I corsi d’acqua e la laguna sono da parte loro ricchi di pesci come la costa gabonese (capitoni, barracuda, pesci d’argento,ecc..). Le acque dei grandi laghi della regione di Lambaréné sono popolate da innumerevoli carpe. Le tartarughe marine vengono a deporre le uova sul litorale gabonese.

crocodiles, gorillas, chimpanzees and birds, including the famous grey parrot, symbol of AIR GABON company.

The streams and the lagoon are for their part as rich in fish as the Gabonese coast (eels, barracudas, tarpons, etc..). The great lakes of the Lambaréné region are populated by innumerable carps. The turtles come to lay eggs on the Gabonese shore.

Flora Vista dal cielo, la foresta equatoriale gabonese somiglia a un immenso campo di prezzemolo. Ricopre circa l’85% del territorio e conta più di 450 specie di alberi. L’estrazione del legno è una delle meglio gestite al mondo. Il legname tenero dell’okumé, utilizzato per la fabbricazione del compensato, è sfruttato dal Monopolio di Stato. Oltre agli estratti preziosi (douka, padouk, ebano…) le parasoliers, le formaggiere, le magnolie del Gabon sono un’estasi per gli occhi.

Flora Seen by the sky, the Gabonese rain forest is similar to a huge parsley field. It covers about the 85% of the area and it counts more than 450 species of trees.

The extraction of wood is one of the best managed in the world. The tender okumé wood, used for the production of plywood, is exploited by the State monopoly. Besides the precious extracts (douka, padouk, ebano…), “parasoliers”, “fromagers”, and magnolias of Gabon offer a grandiose view.

Attività e svaghi - Sport acquatici (sci d’acqua, windsurf, surf, immersione) - Golf 18 buche di Libreville su un terreno ricco di valli di 38 ettari con vista sul mare.

Con una lunghezza totale di 5 356 m, è un percorso breve, ma molto tecnico.

- Equitazione - Pesca sportiva - Pesca subacquea - Trekking

Activities and entertainment - Water sports ( water skiing, windsurfing, surfing, diving) - Golf full course of Libreville on a 38-hectares valley ground with view on the sea.

With an overall length of 5 356 m, it is a short but very technical course.

- Horse-riding - Sports fishing - Underwater fishing - Trekking

Artigianato A Libreville si possono trovare dei souvenirs interessanti a prezzi abbordabili: - Teste scolpite, pietra di M’Bigou - Maschere Fang in legno - Statuette e altri oggetti in legno - Gioielli in metallo e in malachite - Cotone grezzo e tessuti stampati multicolori

Handicrafts In Libreville you can find interesting souvenirs, at cheap prices: - Carved heads, M’Bigou stone - Fang wooden masks - Figurines and other wooden objects - Metal and malachite jewels - Raw cotton and multicoloured printed fabrics

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Germania Germania

Ambasciata della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede S.E. GERHARD FRIEDRICH KARL WESTDICKENBERG Ambasciatore della Repubblica Federale di Germania presso la Santa Sede

Il nuovo Pontificato – Cambiamenti e Sfide

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radizionalmente le relazioni fra la Santa Sede e la Repubblica Federale di Germania sono eccellenti.

L’elezione di Benedetto XVI il 19 Aprile 2005 rappresenta un punto culminante nelle relazioni fra la Germania e la Santa Sede. È stato un giorno del tutto speciale per questa Ambasciata e per la Germania in genere. Il presidente Federale Horst Köhler ha espresso questo sentimento quando ha detto che “noi siamo felici ed anche un po’ orgogliosi che un nostro compatriota sia diventato Papa”; il più grande tabloid tedesco è uscito con il titolo originale e sbalorditivo: “Noi siamo Papa!” L’elezione ha dato ulteriore incentivo alle relazioni bilaterali ed al lavoro di questa Ambasciata.

raditionally, relations between the Holy See and the Federal Republic of Germany are excellent.

The election of Benedict XVI on April 19, 2005, marks a climax in the relations of Germany with the Holy See. It was a very special day for this Embassy and for Germany in general.

The Federal President Horst Köhler expressed this feeling when he said that “we are happy and a bit proud that a compatriot became Pope”; the largest German tabloid coined the stunning phrase: “We are Pope!”

The election gave additional boost to the bilateral relations and the work of this Embassy.

Storia

History

Missioni diplomatiche permanenti degli Stati Tedeschi presso la Santa Sede sono esistite per più di 250 anni e l’invio delle prime delegazioni fra la Santa Sede ed il Sacro Romano Impero risale al XVI secolo. Quelle con le tradizioni più antiche sono le Delegazioni presso la Santa Sede di Baviera e di Prussia (che successivamente diventò la delegazione dell’Impero Germanico). Nel corso degli oltre 50 anni della sua esistenza, l’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania contribuì ad indirizzare le relazioni fra la Santa Sede ed il Governo Tedesco ed è stata osservatrice dei rapporti fra l’episcopato tedesco e la Curia di Roma. Da allora sono stati in carica 15 Ambasciatori che sono stati testimoni dell’elezione di

Permanent diplomatic missions of German States to the Holy See have existed for more than 250 years and the first envoys between the Holy See and the Holy Roman Empire date back to the 16th century.

The ones with the longest tradition are the Legations of Bavaria and of Prussia (which later on became the one of the German Reich) to the Holy See. In the more than 50 year of its existence, the Embassy of the Federal Republic of Germany helped shaping the relations between the Holy See and the German government and observed the relationship of the German episcopate and the Roman Curia. Since then, 15 Ambassadors were in charge of the Embassy and have witnessed the election of five Popes.

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cinque Papi. Sia la Santa Sede, sia la Repubblica Federale di Germania assieme ai loro partner ed ai loro alleati si propongono come scopo si superare le divisioni del dopoguerra all’interno dell’Europa e di promuovere il rafforzamento dell’Unione Europea, la pace e la stabilità in tutto il mondo. Noi tutti siamo stati testimoni del successo di questa politica con la riunificazione tedesca nel 1990 e con l’attuale Unione Europea che comprende 25 membri. Noi tutti riconosciamo ed apprezziamo in modo particolare il contributo decisivo del Papa Giovanni Paolo II a questo processo storico.

Dopo la riunificazione sono stati stipulati degli accordi aventi le caratteristiche tipiche dei concordati (per esempio: libertà di culto, libertà di concedere incarichi, garanzia per la Chiesa del diritto di detenere ed amministrare proprietà, educazione religiosa, ecc. ) fra la Santa Sede ed i nuovi “Länder” (stati) dell’Est: Sassonia (1996), Turingia e Mecklemburgo-Pomerania Occidentale (1997), Sassonia-Anhalt (1998), Brandeburgo (2004) ed inoltre con le due città-stato di Brema (2004) ed Amburgo (firmato nel Novembre 2005).

Both, the Holy See and the Federal Republic of Germany together with its partners and allies aimed at overcoming the post-war divisions within Europe and promoted the forging of a European Union as well as peace and stability worldwide.

We all have witnessed the success of this policy with German unification in 1990 and with a European Union now comprising 25 members.

We all know and highly appreciate the decisive contribution of Pope John Paul II to this development.

Since unification agreements with the typical content of concordats (for example, freedom of worship, freedom to bestow office, guaranteed right of the church to its property and the administration of such property, religious education, etc.) have been concluded between the Holy See and the new “Länder” (states) in the east: Saxony (1996), Thuringia and Mecklenburg-Western Pomerania (1997), SaxonyAnhalt (1998), Brandenburg (2004), but also with the two city states of Bremen (2004) and Hamburg (signed in November 2005).

Compiti principali

Main Tasks

I principali argomenti di interesse di questa Ambasciata sono le questioni di politica estera, le relazioni bilaterali con la Santa Sede in ogni campo, particolarmente nei settori della politica e della cultura. Gruppi in visita dalla Germania si meravigliano spesso di questo, pensando talvolta che l’Ambasciata dovrebbe occuparsi piuttosto di questioni religiose e legate alla Chiesa Cattolica. Tuttavia a loro sfugge che noi ci occupiamo di relazioni diplomatiche fra due governi. La Santa Sede è un protagonista particolarmente importante e rispettato nel panorama politico internazionale potendo far conto su di una vasta rete di Nunziature e di Delegazioni Apostoliche in tutto il mondo. Inoltre la Santa Sede è membro od osservatore di molte organizzazioni intergovernative.

Dunque è molto importante sia conoscere i punti di vista della Santa Sede sulla situazione politica internazionale e le sue relative posizioni sia informare la Santa Sede sulle linee politiche della Germania cercando il suo appoggio. La Santa Sede non è solo un attore sulla scena internazionale, ma à soprattutto il governo della Chiesa Cattolica universale ed in tal modo pastore e maestro di circa 1,1 miliardi di credenti. Dunque i suoi insegnamenti sono anche

Matters of foreign policy, the bilateral relations with the Holy See in all fields, particularly political and cultural , are the main focus of this Embassy. Visiting groups from Germany are quite often puzzled by this, somehow thinking that the Embassy would rather deal with religious matters and those of the Catholic Church. However, they overlook that we are dealing with diplomatic relations between two governments.

The Holy See is an important and highly respected player in international politics relying on a wide network of Nunciatures and Apostolic Delegations worldwide.

In addition, the Holy See is member of or observer to many intergovernmental organizations.

Thus, it is of great interest to learn about the views of the Holy See on the international political ù situation by the Holy See and about its positions just as well as to inform the Holy See about German policies and lobby for them.

The Holy See is not only an actor on the international scene, but foremost the government of the universal Catholic Church and as such pastor and teacher of about 1,1 Billion believers.

Therefore, its teachings are also of direct

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strettamente legati alla soluzione di problemi politici, nazionali o internazionali. Ciò si può osservare nei campi più svariati quali: - il concetto e la nozione dei diritti umani; - i fondamenti etici delle scienze moderne, per esempio nella bioetica; - la globalizzazione e le sue conseguenze.

relevance to political issues, domestically or internationally. This can be observed in fields as different as: - the concept and notions of human rights; - ethical foundations of modern sciences, for example in bioethics; - globalisation and its consequences.

La Santa Sede e la Germania condividono posizioni identiche o molto simili su molti problemi legati alle politiche internazionali. La Germania continua a fare ogni sforzo possibile per l’integrazione europea quale mezzo non solo per assicurare pace e diritti umani, ma anche per creare un’area di stabilità economica.

Fin dall’inizio la Santa Sede ha sostenuto gli sforzi verso l’integrazione europea. L’allargamento dell’Unione Europea nel 2005 - con l’aggiunta di nuovi membri dell’Europa Centrale, Orientale e Meridionale – è stato una pietra miliare verso quell’obiettivo sempre perseguito da Papa Giovanni Paolo II. Così la Santa Sede e questa Ambasciata sono regolarmente in contatto per ciò che riguarda i problemi europei. La Germania è paladina dei diritti umani, delle libertà democratiche e politiche, della libertà religiosa, della libertà di coscienza e del disarmo e trova nella Santa Sede un partner per promuovere questi obiettivi. La Germania e la Santa Sede sono a favore di un ruolo centrale delle Nazioni Unite e appoggiano i meccanismi per favorire la pace internazionale e la risoluzione dei conflitti. Dopo l’11 Settembre la Germania ha accentuato i suoi sforzi per un dialogo col mondo Islamico, istituendo, per esempio, la figura di Incaricato per il Dialogo con l’Islam nell’Ufficio Estero Federale. In tale contesto, l’Ambasciata Tedesca presso la Santa Sede è in stretto contatto con le varie istituzioni della Curia Romana che si occupano del dialogo fra le religioni.

Un’altra parte importante del nostro lavoro in questa Ambasciata è il vasto settore di rapporti culturali con le molte Università Pontificie , i Musei Vaticani o l’Istituto Pontificio per l’Archeologia Cristiana, solo per citare alcuni nomi. Dal punto di vista della Germania, l’ecumenismo è particolarmente importante – e questo non è certo sorprendente se pensiamo alla collocazione storica delle origini tedesche della Riforma ed al fatto che il numero di Cattolici e Protestanti è pressoché uguale in Germania. A tutti i livelli della vita ecclesiastica e culturale, la pratica

On many issues of international politics the Holy See and Germany share identical or very similar positions. Germany continues to strive for European integration as a means to ensure peace and human rights while creating at the same time an area of economic stability.

From the very beginning the Holy See supported the efforts towards European integration. The enlargement of the European Union in 2005 – adding new members in Central, Eastern and Southern Europe was a milestone towards this goal always argued for

by Pope John Paul II. Thus, the Holy See and this Embassy are in regular touch on European issues.

Germany champions human rights, democratic and political liberties, religious freedom, the freedom of conscience and disarmament and finds in the Holy See a partner to promote these goals.

Germany and the Holy See favour a central role of the United Nations and support mechanisms in international peace and conflict resolution.

After September 11 Germany enhanced her efforts for a dialogue with the Muslim world, establishing for example, the office of a Commissioner for the Dialogue with Islam in the Federal Foreign Office.

In this context, the German Embassy to the Holy See is in close contact with the various institutions of the Roman Curia dealing with inter-religious dialogue.

Another important part of our work at this Embassy is the vast field of cultural relations with the many Pontifical Universities, the Vatican Museums or the Pontifical Institute for Christian Archaeology, to name just a few.

From a German perspective, ecumenalism is of particular relevance – to no surprise against the background of the German origins of the Reformation and the fact that the numbers of Catholics and Protestants in Germany are just about equal.

On all levels of church and cultural life ecumenical

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dell’ecumenismo è divenuta una tradizione che comporta un’influenza sempre maggiore sulla percezione e l’importanza sociale delle Chiese Cristiane in Germania. Dunque le attività del Consiglio Pontificio per l’Unità Cristiana, con a capo il Cardinale Tedesco Kasper sono per noi di grande interesse.

practice has become a tradition that tends to influence the reception and the social relevance of the Christian Churches in Germany and thus the activities of the Pontifical Council on Christian Unity, headed by the German Cardinal Kasper are of great interest to us.

Il pontificato del Papa Benedetto XVI

The pontificate of Pope Benedict XVI

Il direttore dell’Ufficio Tedesco per i Pellegrini ha accennato in un’intervista che il numero dei Tedeschi che sono venuti a Roma per celebrare la Pasqua è aumentato del 30% se paragonato allo scorso anno.

Dopo l’elezione di Papa Benedetto XVI, Roma ha assistito ad un continuo flusso di pellegrini e visitatori da tutto il mondo ed in particolare dalla Germania.

Questo è vero anche per ciò che riguarda visite ufficiali sia a livello federale sia a livello di “Länder”.

Altro compito importante di questa Ambasciata è prendersi cura di queste delegazioni a livello politico.

Durante l’ultimo anno, il Papa Benedetto XVI si è guadagnato un’attenzione costante sui mezzi d’informazione tedeschi. La copertura dei problemi del Vaticano da parte della stampa è notevolmente aumentata. Il Giorno Mondiale della Gioventù che si è tenuto a Colonia lo scorso mese di Agosto ha certamente consolidato questa tendenza. L’Ambasciata è stata coinvolta nei preparativi. Circa un milione di visitatori da tutto il mondo hanno dato il benvenuto al Papa nel suo primo viaggio all’estero e noi aspettiamo con ansia la sua prossima visita in Baviera.

L’elezione di un Papa proveniente dalla Germania ha influenzato nel paese il dibattito non solo all’interno della Chiesa Cattolica propriamente detta, ma ben oltre i suoi confini. Per la prima volta dopo molti anni è aumentato il numero di coloro che si sono uniti o riuniti alla Chiesa Cattolica. Nel primo anniversario della sua elezione poco tempo fa si poteva chiaramente notare l’eco positiva del primo anno del suo Pontificato. Noi siamo stati testimoni delle espressioni di profonda stima e di grande rispetto all’interno ed all’esterno della Chiesa Cattolica così come nei mezzi di comunicazione internazionali. Il Pontificato di Benedetto XVI è un’ulteriore motivazione ed una sfida per tutti noi in questa Ambasciata per rafforzare ed approfondire ulteriormente le relazioni fra la Santa Sede e la Germania.

The director of the German Pilgrim Office in Rome mentioned in an interview that 30 percent more Germans came to celebrate Easter in Rome in 2006 as compared to last year. Since the election of Pope Benedict XVI, Rome witnessed a continuous flow of pilgrims and visitors from all around the world and in particular from Germany. This holds true also for official visits from the Federal level as well as from the “Länder”. To care for these delegations on the political level is another prominent task of this Embassy.

During the last year, Pope Benedict XVI gained steady media attention in Germany. Press coverage on Vatican issues has considerably increased.

An additional factor to this development has certainly been the World Youth Day held in Cologne last August. The Embassy was involved in its preparations. About one million visitors from all over the world welcomed the Pope on his first trip abroad and we are looking forward to his next visit this year in Bavaria.

The election of a Pope from Germany has also influenced the debate in Germany, not only within the Catholic Church proper, but well beyond.

For the first time in many years, the number of those who have joined or rejoined the Catholic Church has risen.

On the first anniversary of his election a short time ago the positive echo on the first year of his Pontificate was remarkable. We all have witnessed the expressions of high esteem and great respect from within and from outside the Catholic Church as well as from the international media.

The Pontificate of Benedict XVI is additional motivation and challenge for all of us at this Embassy to further strengthen and deepen the relations between the Holy See and Germany.

Traduzione a cura di Attilio Parodi

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Iran Iran

Ambasciata della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede S.E. MOHAMMAD JAVAD FARIDZADE

Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran presso la Santa Sede

Una crisi non necessaria

P

S

roviamo a fare chiarezza sul Programma Nucleare dell’Iran. In una regione che già vive in un clima di turbamenti ed incertezze, si sta forzando una crisi nella quale non vi saranno vincitori. Ancor peggio, le reazioni isteriche circa i pericoli di un presunto programma nucleare bellico iraniano si basano soltanto su travisamenti voluti e su menzogne spudorate. Nella valanga di commenti contro l’Iran sui media, brillano sia l’assenza ad ogni riferimento a fatti importanti sia una rappresentazione distorta degli sviluppi nel corso degli ultimi 25 anni. Prima che la comunità internazionale sia messa di fronte ad un’altra “crisi di scelta”, è fondamentale che l’opinione pubblica conosca tutti i fatti e sia in grado di prendere una decisione informata e ponderata circa una catastrofe imminente.

etting the Record Straight about Iran’s Nuclear Program In a region already suffering from upheaval and uncertainty, a crisis is being manufactured in which there will be no winners. Worse yet, the hysteria about the dangers of an alleged Iran nuclear weapon program rest solely and intentionally on misperceptions and outright lies.

In the avalanche of anti-Iran media commentaries, conspicuously absent is any reference to important facts, coupled with a twisted representation of the developments over the past 25 years.

Before the international community is lead to another “crisis of choice”, it is imperative that the public knows all the facts and is empowered to make an informed and sober decision about an impending catastrophe.

1. Piano di negazione sistematica dei diritti dell’Iran e sue conseguenze sulla chiarezza dei fatti.

A partire dai primi anni 80, il programma nucleare pacifico dell’Iran e il diritto inalienabile dell’Iran alla tecnologia nucleare sono stati sottoposti ad una campagna quanto mai ampia ed approfondita di negazione, sbarramento, ingerenza e disinformazione.

- Sono stati annullati in modo unilaterale contratti validi e vincolanti per la costruzione di centrali nucleari; - si è rifiutato illegalmente di consegnare all’Iran materiale nucleare acquistato a pieno diritto e di sua proprietà; - è stato ostacolato il diritto dell’Iran di essere azionista in diverse società nazionali e multinazionali che si occupano di energia atomica;

1- Systematic Pattern of Denial of Iran’s Rights and Its Impact on Transparency Since early 1980s, Iran’s peaceful nuclear program and its inalienable right to nuclear technology have been the subject of the most extensive and intensive campaign of denial, obstruction, intervention and misinformation.

- Valid and binding contracts to build nuclear power plants were unilaterally abrogated; - Nuclear material rightfully purchased and owned by Iran was illegally withheld; - Exercise of Iran’s right as a shareholder in several national and multinational nuclear power corporations was obstructed; - Unjustified and coercive interventions were routinely made in order to undermine, impede and delay the

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- sono stati effettuati continui interventi ingiustificati e coercitivi allo scopo di ostacolare, impedire e ritardare la realizzazione di accordi relativi al nucleare fra l’Iran e terze parti; - sono state diffuse sistematicamente accuse infondate contro il programma nucleare dell’Iran esclusivamente pacifico.

Come conseguenza di tutto questo ed esclusivamente allo scopo di prevenire ulteriori restrizioni illegali ed illegittime, all’Iran è rimasta un’unica scelta, ossia portare avanti con cautela le sua attività perfettamente legali ed esclusivamente pacifiche. Nel fare questo, l’Iran non ha infranto alcuna legge e neppure ha dirottato il suo programma pacifico su attività militari. Si è solo limitato a non divulgare i particolari del suo programma. Se guardiamo più in dettaglio,il suo accordo di salvaguardia con l’IAEA non obbligava certo l’Iran a divulgare questi programmi. In definitiva, mentre i diritti dell’Iran derivanti dal Trattato di Non Proliferazione continuavano ad essere violati in maniera grossolana e sistematica e mentre nazioni importanti legate al Trattato persistevano nella loro sostanziale inadempienza a molti obblighi previsti dagli articoli I, IV e VI del Trattato ed in particolare degli obblighi previsti dal paragrafo 2 dell’Articolo IV nei confronti dell’Iran, l’Iran ha continuato nonostante tutto a rispettare diligentemente i suoi obblighi previsti dal Trattato.

implementation of Iran’s nuclear agreements with third parties; and - Unfounded accusations against Iran’s exclusively peaceful nuclear program were systematically publicized.

As a result, and merely in order to prevent further illegal and illegitimate restrictions on its ability to procure its needed materials and equipments, Iran had been left with no option but to be discrete in its perfectly legal and exclusively peaceful activities. In doing so, Iran broke no laws nor diverted its peaceful program to military activities.

It only refrained from disclosing the details of its programs.

In nearly all cases, it was not even obliged to disclose these programs under its safeguards agreement with the IAEA. Therefore, while Iran’s rights under the NPT continued to be grossly and systematically violated, and while major state parties to the Treaty persisted in their non-compliance with many of their obligations under Articles I, IV and VI of the Treaty in general, and under paragraph 2 of Article IV vis-à-vis Iran in particular, Iran nevertheless continued to diligently comply with all its obligations under the Treaty.

2. Tecnologia Nucleare OPPURE Armi Nucleari?

Un circolo vizioso di restrizioni sul programma nucleare dell’Iran e di tentativi dell’Iran di aggirarle tramite occultamenti ed acquisizioni sul mercato nero hanno alimentato sospetti reciproci. In questa atmosfera di sospetto sempre più forte è emersa alla fine la conclusione che il cosiddetto programma nucleare pacifico dell’Iran altro non è che una copertura per lo sviluppo di armi atomiche. Ma questa conclusione si basa su due presupposti erronei, che sono stati ripetuti abbastanza spesso da essere considerati sensati.

2.1. L’Iran Necessita di Energia Nucleare.

2.1.1. Energia Nucleare per un Paese Ricco di Petrolio.

Il primo presupposto è che l’Iran ha grandi risorse di petrolio e di gas naturale e quindi non necessita di energia nucleare. Sebbene sia vero che l’Iran è ricco di petrolio e di gas, queste risorse sono limitate e,

2. Nuclear Technology OR Nuclear Weapons?

A vicious cycle of restrictions on Iran’s nuclear program and attempts by Iran to circumvent them through concealment and black market acquisitions have fueled mutual suspicions. In this self-perpetuating atmosphere, the conclusion is already drawn that Iran’s declared peaceful nuclear program is just a cover for developing atomic weapons. But this conclusion is based on two erroneous assumptions, which have been repeated often enough to become conventional wisdom.

2.1- Iran Needs Nuclear Energy 2.1.1. Nuclear Energy for an Oil-Rich Country The first is that Iran has vast oil and gas resources and therefore does not need nuclear energy. Although it is true that Iran is rich in oil and gas, these resources are finite and, given the pace of Iran’s economic development, they will be depleted

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dato il ritmo di sviluppo economico dell’Iran, saranno esaurite entro un periodo compreso fra due e cinque decenni. Con un territorio di 1.648.000 km_ ed una popolazione di circa 70 milioni che si prevede sarà di oltre 105 milioni nel 2050, l’Iran non ha altra scelta che cercare l’accesso a fonti più diversificate e sicure di energia. La disponibilità di energia da parte di 46.000 villaggi anziché da parte di 4.400, come venticinque anni fa, è solo un esempio di quanto cresca rapidamente la domanda di maggiori quantità di energia. E il fatto che la popolazione iraniana sia giovane, con circa il 70% sotto i 30 anni, spinge il paese a non essere mai soddisfatto delle sue politiche energetiche. Per soddisfare questa domanda così crescente l’Iran non può basarsi esclusivamente sull’energia fossile.

Dal momento che l’economia nazionale iraniana dipende ancora dalle rendite petrolifere, il paese non può permettersi che la sua domanda interna sempre crescente abbia un impatto sulle rendite che derivano dalle esportazioni di petrolio.

2.1.2 Supporto USA per il Programma Nucleare Iraniano.

La ricerca iraniana per arrivare all’energia nucleare prese slancio in seguito ad uno studio eseguito nel 1974 dal prestigioso Istituto di Ricerca Stanford con base negli USA, il quale previde che l’Iran avrebbe avuto bisogno di energia nucleare e raccomandò la costruzione di centrali nucleari in grado di generare 20.000 megawatt di elettricità prima del 1994. Ora, 30 anni dopo, l’Iran punta a raggiungere quel livello entro il 2020, il che potrebbe risparmiare 190 milioni di barili di grezzo iraniano o 10 miliardi di dollari USA ogni anno ai prezzi attuali.

Quindi il programma nucleare dell’Iran non è né ambizioso né ingiustificato da un punto di vista economico. La diversificazione – compreso lo sviluppo di energia nucleare – è la sola strategia energetica saggia e responsabile per l’Iran.

Anche il Dipartimento di Stato USA era convinto di questo nel 1978 quando stabilì in un comunicato che gli USA erano favorevoli agli sforzi iraniani tesi ad allargare la propria base energetica non petrolifera e speravano che si sarebbe concluso presto un Accordo per l’Energia Nucleare USA-Iran e che società USA sarebbero state in grado di giocare un ruolo importante nei progetti energetici nucleari iraniani.

within two to five decades. With a territory of 1,648,000 km2 and a population of about 70 million, projected to be more than 105 million in 2050, Iran has no choice but to seek access to more diversified and secure sources of energy.

Availability of electricity to 46,000 villages now, compared to 4400 twenty five years ago, just as an example, demonstrates the fast growing demand for more energy.

And the youthfulness of the Iranian population, with around 70% under 30, doesn’t allow complacency when it comes to energy policy.

To satisfy such growing demands, Iran can’t rely exclusively on fossil energy.

Since Iranian national economy is still dependant on oil revenue, it can’t allow the ever increasing domestic demand affect the oil revenues from the oil export.

2.1.2. US Support for Iranian Nuclear Program Iran’s quest for nuclear energy picked momentum following a study in 1974 carried out by the prestigious US-based Stanford Research Institute, which predicted Iran’s need for nuclear energy and recommended the building of nuclear plants capable of generating 20,000 megawatts of electricity before 1994.

Now, 30 years later, Iran aims at reaching that level by 2020, which may save Iran 190 million barrels of crude oil or $10 billion per year in today’s prices.

Therefore, Iran’s nuclear program is neither ambitious nor economically unjustifiable.

Diversification — including the development of nuclear energy — is the only sound and responsible energy strategy for Iran.

Even the US State Department was convinced of this in 1978 when it stated in a memo that the U.S. was encouraged by Iran's efforts to expand its non-oil energy base and was hopeful that the U.S.-Iran Nuclear Energy Agreement would be concluded soon and that U.S. companies would be able to play a role in Iran's nuclear energy projects.

2.1.3. Nuclear Fuel Cycle Producing fuel for its nuclear power plants is an integral part of Iran’s nuclear energy policy.

While domestic production of fuel for this number of nuclear power plants makes perfect economic sense, Iran’s decision should not be judged solely on economic grounds. Having been a victim

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2.1.3 Ciclo del Combustibile Nucleare Produrre combustibile per le sue centrali nucleari è parte integrante della politica energetica iraniana. Se è vero che la produzione nazionale di combustibile per questo gruppo di centrali atomiche è perfettamente giustificata da un punto di vista economico, la decisione dell’Iran non deve essere giudicata solo da questo punto di vista.

Essendo stato vittima di un piano per privarlo di materiale e tecnologia nucleare a scopi pacifici, l’Iran non può basarsi soltanto su fonti esterne per procurarsi il combustibile. Infatti tale dipendenza metterebbe gli investimenti iraniani in centrali atomiche dell’ordine di svariati miliardi di dollari alla mercè dei capricci politici di fornitori che agiscono in un mercato strettamente controllato. Inoltre è palese che gli sforzi per acquisire la tecnologia necessaria e per sviluppare la capacità di produrre combustibile richiedono un lungo periodo di tempo e debbono procedere contemporaneamente con l’acquisizione e la costruzione di centrali nucleari. In caso contrario gli impianti costruiti possono divenire obsoleti nell’ipotesi in cui venisse negato il carburante senza che vi fosse la possibilità di produrlo internamente.

2.2 L’Iran Non Necessita di Armi Atomiche per la Sua Sicurezza.

Il secondo presupposto falso è che, essendo l’Iran circondato in ogni direzione da armi atomiche – USA, Russia, Pakistan e Israele – ogni stratega iraniano lungimirante debba cercare di sviluppare un potenziale nucleare di deterrenza anche per il suo paese. È vero che l’Iran ha vicini con abbondanti armi atomiche, però questo non significa che l’Iran debba seguirli su questa strada. Infatti, il punto di vista più diffuso fra i responsabili iraniani delle decisioni è che lo sviluppo, l’acquisizione o il possesso di armi atomiche potrebbe solo pregiudicare la sicurezza dell’Iran. L’Iran può conseguire un’effettiva sicurezza soltanto attraverso un coinvolgimento ed un impegno a livello regionale e globale. La storia dell’Iran è una dimostrazione perfetta della sua strategia geopolitica. Nel corso degli ultimi 250 anni, l’Iran non ha mosso una sola guerra di aggressione contro i suoi vicini e neppure ha mai iniziato le ostilità.

Oggi l’Iran è la nazione più forte fra quelle a lui più vicine. Non ha bisogno di armi atomiche per proteggere i suoi interessi regionali. Infatti, per accrescere la sua influenza nella regione, l’Iran ha dovuto conquistarsi la fiducia dei suoi vicini, che storicamente

of a pattern of deprivation from peaceful nuclear material and technoùlogy, Iran cannot solely rely on procurement of fuel from outside sources.

Such dependence would in effect hold Iran’s multibillion dollar investment in power plants hostage to the political whims of suppliers in a tightly controlled market.

Furthermore, it is self evident that the time-consuming efforts to gain the necessary technology and develop the capability for fuel production must proceed simultaneously with the acquisition and construction of nuclear power plants.

Otherwise constructed plans may become obsolete in case of denial of fuel without a contingency capacity to produce it domestically.

2.2. Iran Does Not Need Nuclear Weapons for Its Security The second false assumption is that because Iran is surrounded by nuclear weapons in all directions — the U.S., Russia, Pakistan and Israel — any sound Iranian strategists must be seeking to develop a nuclear deterrent capability for Iran as well.

It is true that Iran has neighbors with abundant nuclear weapons, but this does not mean that Iran must follow suit. In fact, the predominant view among Iranian decision-makers is that development, acquisition or possession of nuclear weapons would only undermine Iranian security.

Viable security for Iran can be attained only through inclusion and regional and global engagement. Iran’s history is the perfect illustration of its geo-strategic outlook. Over the past 250 years, Iran has not waged a single war of aggression against its neighbors, nor has it initiated any hostilities.

Iran today is the strongest country in its immediate neighborhood. It does not need nuclear weapons to protect its regional interests. In fact, to augment Iranian influence in the region, it has been necessary for Iran to win the confidence of its neighbors, who have historically been concerned with size and power disparities.

On the other hand, Iran, with its current state of technological development and military capability, cannot reasonably rely on nuclear deterrence against its adversaries in the international arena or in the wider region of the Middle East.

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erano sempre stati preoccupati della loro inferiorità in termini di dimensione e potenza. D’altro lato l’Iran, al suo attuale stato di sviluppo tecnologico e capacità militari, non può ragionevolmente contare su di un deterrente nucleare nei confronti dei suoi avversari nell’arena internazionale o nella vasta regione del Medio Oriente.

Inoltre tale opzione del tutto irrealistica avrebbe costi proibitivi e prosciugherebbe le limitate risorse economiche del paese. In definitiva, una costosa opzione per le armi atomiche ridurrebbe l’influenza regionale iraniana ed aumenterebbe la sua vulnerabilità globale senza fornire un deterrente credibile. Vi è anche un’obiezione ideologica di fondo verso le armi di distruzione di massa, espressa fra l’altro da un decreto religioso emesso dal leader della Repubblica Islamica dell’Iran che proibisce lo sviluppo, l’accumulo o l’uso di armi atomiche.

3. Trattative con Regno Unito, Francia e Germania (G3) 3.1 Provvedimenti Operativi di Trasparenza e di Reciproca Fiducia da parte dell’Iran.

Nell’Ottobre del 2003, l’Iran ha stipulato un accordo con Francia, Germania e Regno Unito con la speranza manifesta di aprire un nuovo capitolo di totale trasparenza, collaborazione ed accesso al nucleare ed a altre tecnologie avanzate. L’Iran aderì a diversi provvedimenti operativi importanti di trasparenza e reciproca fiducia e li rese immediatamente e completamente operativi.

- Ha firmato il Protocollo Aggiuntivo e ha iniziato immediatamente la sua completa attuazione; - ha aperto le sue porte ad una delle ispezioni più estese e capillari dell’IAEA; - ha fornito un resoconto particolareggiato delle sue attività nucleari pacifiche e tutto questo è stato effettuato in piena conformità con i suoi diritti ed obblighi sanciti dal Trattato di Non Proliferazione; - ha iniziato una sospensione volontaria del suo diritto di arricchire l’Uranio e ha continuato tale sospensione per gli ultimi 2 anni come provvedimento operativo di reciproca fiducia.

- Successivamente ha esteso la sua sospensione volontaria in Febbraioed in Novembre 2004, in seguito agli accordi con il G3 rispettivamente a Bruxelles ed a Parigi, comprendendo attività che vanno assai oltre la definizione originale di “arricchimento” dell’IAEA e persino attività “connesse con l’arricchimento”.

Moreover, such an unrealistic option would be prohibitively expensive, draining the limited economic resources of the country.

In sum, a costly nuclear-weapon option would reduce Iran's regional influence and increase its global vulnerabilities without providing any credible deterrence.

There is also a fundamental ideological objection to weapons of mass destruction, including a religious decree issued by the leader of the Islamic Republic of Iran prohibiting the development, stockpiling or use of nuclear weapons.

3. Negotiations with UK, France and Germany (EU3) 3.1. Iran’s Transparency and Confidence-Building Measures In October 2003, Iran entered into an understanding with France, Germany and the United Kingdom with the explicit expectation to open a new chapter of full transparency, cooperation and access to nuclear and other advanced technologies.

Iran agreed to a number of important transparency and voluntary confidence building measures and immediately and fully implemented them.

- It signed and immediately began full implementation of the Additional Protocol; - It opened its doors to one of the most expansive and intrusive IAEA inspections; - It provided a detailed account of its peaceful nuclear activities, all of which had been carried out in full conformity with its rights and obligations under the NPT; - It began and has continuously maintained for the past 2 years a voluntarily suspension of its rightful enrichment of Uranium as a confidence building measure; - It further expanded its voluntary suspension in February and November 2004, following agreements with EU3 in Brussels and Paris respectively, to incorporate activities which go well beyond the original IAEA’s definition of “enrichment” and even “enrichment-related” activities.

3.1.1. Resolution of Outstanding Issues Iran has worked closely with the IAEA, during the course of the last two years, to deal with the issues and questions raised about its peaceful nuclear program. All significant issues, particularly those related

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3.1.1. Risoluzione di Problemi in Sospeso L’Iran ha lavorato a stretto contatto con l’IAEA nel corso degli ultimi due anni per esaminare i problemi e le questioni sorte a proposito del suo programma nucleare pacifico. Tutti i problemi più importanti, particolarmente quelli relativi alle fonti dell’Uranio Altamente Arricchito, sono stati ora risolti. In pratica restano solo poche questioni di natura squisitamente teorica per chiudere questo Capitolo.

3.1.2. Nessuna indicazione di Attività non Pacifiche Le ispezioni approfondite dell’Agenzia in Iran hanno confermato a più riprese le affermazioni iraniane che nessuna ispezione per quanto minuziosa potrà mai dimostrare il benché minimo spostamento verso attività militari. Il Direttore Generale ha confermato nel Paragrafo 52 del suo resoconto del Novembre 2003 che “ad oggi, non vi è alcuna prova che il materiale nucleare non dichiarato in precedenza e le attività descritte nel documento siano in relazione con un programma di armi atomiche”. Dopo un anno e a valle di ispezioni estremamente rigorose pari a oltre mille giorni-uomo, il Direttore Generale ha confermato ancora nel Paragrafo 112 della sua relazione del Novembre 2004 che “è stata data giustificazione per tutto il materiale atomico dichiarato in Iran e quindi tale materiale non è rivolto ad attività proibite”.

Questa conclusione è stata più volte confermata in ogni resoconto dalle autorità responsabili dell’IAEA. 3.2 Promesse non Mantenute e Richieste Sempre Maggiori da parte del G3 Purtroppo l’Iran ha ricevuto molto poco, praticamente nulla, in cambio della sua trasparenza, della sua collaborazione e della sospensione volontaria dell’esercizio dei suoi diritti legittimi ed inalienabili. I partner europei delle trattative, sotto la pressione USA, anziché adempiere alle loro promesse di collaborazione e di libero accesso, hanno più volte richiesto all’Iran di estendere i suoi provvedimenti operativi di reciproca fiducia per dare in cambio soltanto promesse non mantenute e richieste sempre maggiori: - le promesse dell’Ottobre 2003 da parte del G3 riguardo la collaborazione sul nucleare, la sicurezza della regione e la non proliferazione non sono neppure arrivate a destinazione; - nel Febbraio 2004 è stato violato un impegno scritto e firmato dal G3 per “lavorare attivamente affinché venissero riconosciuti alla riunione del Comitato del

to the sources of HEU (Highly Enriched Uranium) have now been resolved. Indeed, except for few mostly speculative questions, nothing more remains to close this Chapter 3.1.2. No Indication of Non-Peaceful Activity The Agency’s thorough inspections of Iran have repeatedly confirmed Iran’s assertion that no amount of inspection and scrutiny will ever show the slightest diversion into military activity.

The Director-General confirmed in Paragraph 52 of his November 2003 report that “to date, there is no evidence that the previously undeclared nuclear material and activities referred to above were related to a nuclear weapons programme”.

After one more year and over a thousand person-days of the most rigorous inspections, the DirectorGeneral again confirmed in Paragraph 112 of his November 2004 report that “all the declared nuclear material in Iran has been accounted for, and therefore such material is not diverted to prohibited activities.”

This conclusion has been repeatedly reaffirmed in every statement by responsible authorities of the IAEA. 3.2. Broken Promises and Expanded Demands by the EU3 Regrettably, Iran received very little, if anything, in return for its transparency, cooperation and voluntary suspension of the exercise of its legitimate and inalienable right.

The European negotiating partners, pressured by the US, instead of carrying out their promises of cooperation and open access, have repeatedly called for expansion of Iran’s voluntary confidence building measures only to be reciprocated by more broken promises and expanded requests: - The October 2003 promises of the EU3 on nuclear cooperation and regional security and non-proliferation was never even addressed.

- The February 2004 written and signed commitment by the EU3 to “work actively to gain recognition at the June 2004 Board of the efforts made by Iran, so that the Board works thereafter on the basis of Director-General reporting if and when he deems it necessary, in accordance with the normal practice pertaining to the implementation of Safeguards Agreements and the Additional Protocol” was viola-

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Giugno 2004 gli sforzi fatti dall’Iran, in modo che il Comitato potesse lavorare in seguito sulla base delle relazioni del Direttore Generale e delle sue direttive, secondo la normale prassi relativa all’adempimento dell’Accordo di Salvaguardia e del Protocollo Aggiuntivo”. Tutto questo nonostante l’Iran avesse di fatto adempiuto alla sua parte dell’accordo estendendo la sua sospensione fino a comprendere l’assemblaggio ed il trattamento dei componenti. Invece il G3 propose una dura risoluzione con ulteriori, ingiustificabili richieste nel Giugno 2004; - il G3 non ha mai tenuto fede al suo riconoscimento, nell’Accordo di Parigi del Novembre 2004, dei “diritti dell’Iran in base al Trattato di Non Proliferazione, esercitati in conformità ai suoi obblighi previsti dal Trattato, senza discriminazioni”; - nonostante le sue affermazioni ripetute e rese note, il G3 non ha mai offerto, nel corso delle trattative, nessun incentivo significativo all’Iran, tranne “promesse” vuote e umilianti di “prendere in considerazione” una “possibile collaborazione futura”.

ted, even though Iran had in fact carried out its part of the deal by expanding its suspension to include assembly and component manufacturing. Instead, the EU3 proposed a harsh resolution with further unjustifiable demands in June 2004; - The EU3 never honored its recognition, in the Paris Agreement of November 2004, of “Iran’s rights under the NPT exercised in conformity with its obligations under the Treaty, without discrimination”.

- In spite of its repeated and publicized claims, the EU3 never offered, throughout the negotiations process, any meaningful incentives to Iran, other than empty and demeaning “promises” of “consideration” of “possible future cooperation”.

4. L’Accordo di Parigi Nel Novembre 2004, in seguito a lunghe trattative, l’Iran e il G3 si accordarono su di un pacchetto che divenne noto come Accordo di Parigi. Obiettivo dell’Accordo di Parigi era “fare un passo avanti” nelle “trattative, con la prospettiva di raggiungere un accordo accettabile da ambo le parti riguardo ad intese di lungo termine. L’accordo fornirà garanzie oggettive che il programma nucleare iraniano ha scopi esclusivamente pacifici. Allo stesso modo fornirà solide garanzie circa una collaborazione nucleare, tecnologica ed economica ed impegni sicuri sui problemi della sicurezza.”

L’Accordo di Parigi prevedeva che “mentre procedono le trattative per un accordo accettabile da ambo le parti che porti a intese di lungo termine” e “per creare ulteriore fiducia, l’Iran ha deciso, su base volontaria, di proseguire ed estendere la sua sospensione sino a comprendere ogni tipo di arricchimento e le attività di ritrattamento”.

Contemporaneamente il G3 riconosceva “che questa sospensione è un provvedimento operativo volontario di reciproca fiducia e non un obbligo legale” così come riconosceva “i diritti dell’Iran in base al Trattato di Non Proliferazione esercitati in confor-

4. The Paris Agreement In November 2004, following extensive negotiations, Iran and EU3 agreed on a package that has become known as the Paris Agreement. The objective of the Paris Agreement was to “to move forward” in “negotiations, with a view to reaching a mutually acceptable agreement on long term arrangements. The agreement will provide objective guarantees that Iran’s nuclear programme is exclusively for peaceful purposes. It will equally provide firm guarantees on nuclear, technological and economic cooperation and firm commitments on security issues”.

The Paris Agreement envisaged that “while negotiations proceed on a mutually acceptable agreement on long-term arrangements”, and “to build further confidence, Iran has decided, on a voluntary basis, to continue and extend its suspension to include all enrichment related and reprocessing activities”.

At the same time, the EU3 recognized “that this suspension is a voluntary confidence building measure and not a legal obligation” as well as “Iran’s rights under the NPT exercised in conformity with its obligations under the Treaty, without discrimination”.

The Paris Agreement rested on the premise that the

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mità ai suoi obblighi previsti dal Trattato, senza discriminazione”.

L’Accordo di Parigi poggiava sulla premessa che scopo del Trattato era il raggiungimento di intese di lungo termine accettabili da ambo le parti e che la sospensione era un provvedimento temporaneo in attesa che le trattative facessero dei progressi.

L’Accordo prevedeva inoltre meccanismi specifici per verificare e valutare i progressi.

4.1 Relazione di Marzo: Mancanza di Progressi Nel Marzo del 2005, secondo l’Accordo di Parigi, ufficiali superiori dell’Iran e dei tre paesi europei ebbero l’incarico di effettuare una valutazione dei progressi che erano stati compiuti.

I resoconti di oltre tre mesi di trattative da parte dei gruppi di lavoro creati in base all’Accordo di Parigi, evidenziarono che mentre vi era ogni presupposto per raggiungere una soluzione negoziata sulla base dell’Accordo di Parigi, e mentre l’Iran aveva effettuato diverse proposte significative e lungimiranti a beneficio di ambo le parti, il G3, messo di fronte a pressioni estranee, cercava semplicemente di prolungare trattative sterili. Questa politica, oltre alle sue rovinose conseguenze sulla fiducia reciproca, era pregiudizievole degli interessi e dei diritti iraniani in quanto tentava di prolungare in maniera pretestuosa la sospensione volontaria dell’Iran trascinando in lungo le trattative.

Fu anche evidente che, nonostante le ripetute richieste dell’Iran ai rappresentanti del G3 di presentare le loro proposte e le loro idee ai gruppi di lavoro per la realizzazione delle diverse disposizioni dell’Accordo di Parigi, i tre paesi europei non avevano né l’intenzione né la capacità di presentare le loro proposte circa “garanzie oggettive che il programma nucleare iraniano è rivolto esclusivamente a scopi pacifici [e] inoltre… solide garanzie sulla collaborazione nucleare, tecnologica ed economica e impegni seri sui problemi della sicurezza” come richiesto in quell’ Accordo.

In breve, fu evidente che a seguito di pressioni massicce da parte degli Stati Uniti nell’inverno del 2005, il G3 aveva accettato di trasformare in modo unilaterale l’Accordo di Parigi in uno strumento il cui unico scopo era la cessazione de-facto del programma pacifico di arricchimento dell’Iran, in violazione della lettera e dello spirito di quell’Accordo.

purpose of the Agreement was reaching mutually acceptable long term arrangements and that suspension was a temporary measure for as long as negotiations were making progress. The Agreement further envisaged specific mechanisms to monitor and assess progress.

4.1. March Report: Lack of Progress In March 2005, in accordance with the Paris Agreement, senior officials from Iran and the three European countries were mandated to make an assessment of the progress that had been achieved. The reports of over three months of negotiations by the working groups, created by the Paris Agreement, made it evident that while there was every prospect for reaching a negotiated solution based on the Paris Agreement, and while Iran had made many significant and far-reaching proposals benefiting both sides, the EU3, faced with extraneous pressure, were simply trying to prolong fruitless negotiations. This policy, in addition to its devastating impact on mutual trust, was detrimental to Iran’s interests and rights as it attempted to superficially prolong Iran’s voluntary suspension by dragging the negotiations.

It also became evident that despite repeated requests

by Iran from EU3 representatives to present their proposals and ideas on the implementation of various provisions of the Paris Agreement to the working groups, the European three did not have the intention or the ability to present its proposals on “objective guarantees that Iran’s nuclear program is exclusively for peaceful purposes [and] equally … firm guarantees on nuclear, technological and economic cooperation and firm commitments on security issues” as called for in that Agreement.

In short, it became evident that after massive pressure from the United States in the winter of 2005, the EU3 had conceded to unilaterally altering the Paris Agreement into solely an instrument of de-facto cessation of Iranian peaceful enrichment program, in violation of the letter and spirit of that Agreement.

4.2. Iran’s Proposals In February 2005, Iran suggested to the EU3 to ask the IAEA to develop technical, legal and monitoring modalities for Iran’s enrichment program as objective guarantees to ensure that Iran’s nuclear program would remain exclusively for peaceful purposes.

While one member of EU3 accepted the suggestion,

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4.2 Le Proposte dell’Iran Nel Febbraio del 2005, l’Iran suggerì al G3 di chiedere all’IAEA di sviluppare strumenti tecnici e legali e modalità di monitoraggio nei riguardi del programma iraniano di arricchimento in modo da garantire ed assicurare in modo oggettivo che gli scopi del programma nucleare iraniano sarebbero rimasti esclusivamente pacifici. Mentre un membro del G3 accettò la proposta, sfortunatamente la mancanza di consenso fra il Gruppo impedì che si facesse ricorso all’IAEA in qualità di organismo autorevole ed imparziale per uscire dall’impasse.

Il 23 Marzo 2005, nel desiderio espresso chiaramente di salvaguardare l’Accordo di Parigi, l’Iran offrì una serie di soluzioni per fornire garanzie oggettive suggerite da diversi scienziati ed osservatori indipendenti statunitensi ed europei. Il pacchetto comprendeva: 1. Rapporti forti e reciprocamente convenienti fra l’Iran e l’UE/G3, che avrebbero fornito le migliori garanzie per la salvaguardia degli interessi di ognuna delle parti.

2. Limitazione del programma di arricchimento iraniano, in modo da escludere attraverso garanzie tecniche oggettive ogni possibile preoccupazione per un’eventuale proliferazione: Uno. Ciclo aperto di combustione per eliminare ogni preoccupazione circa il ritrattamento e la produzione di plutonio; Due. Tetto di arricchimento al livello LEU; Tre. Limitazione degli scopi del programma di arricchimento all’ottenimento del combustibile strettamente necessario per i reattori atomici iraniani; Quattro. Conversione immediata di tutto l’Uranio arricchito in barre di combustibile per impedire la possibilità tecnica di un ulteriore arricchimento; Cinque. Approccio allo sviluppo graduale e in fasi successive in modo da iniziare con gli aspetti meno delicati del programma di arricchimento e di proseguire gradualmente con l’arricchimento al crescere della fiducia nel programma; 3. Provvedimenti legislativi e regolamentari Uno. Protocollo Aggiuntivo; Due. Definitiva messa al bando dello sviluppo, accumulo ed utilizzo di armi atomiche in base ad una legislazione nazionale vincolante; Tre. Maggiore severità sulle norme di controllo

unfortunately the lack of consensus among the EU3 prevented resort to the IAEA as an authoritative and impartial framework for solving the impasse.

On March 23, 2005, in a clearly stated desire to salvage the Paris Agreement, Iran offered a collection of solutions for objective guarantees suggested by various independent scientist and observers from the United States and Europe. The package included: 1. Strong and mutually beneficial relations between Iran and the EU/EU3, which would provide the best guarantee for respect for the concerns of each side; 2. Confinement of Iran’s enrichment program, in order to preclude through objective technical guarantees any proliferation concern: One. Open fuel cycle, to remove any concern about reprocessing and production of plutonium; Two. Ceiling of enrichment at LEU level; Three. Limitation of the extent of the enrichment program to solely meet the contingency fuel requirements of Iran’s power reactors; Four. Immediate conversion of all enriched Uranium to fuel rods to preclude even the technical possibility of further enrichment; Five. Incremental and phased approach to implementation in order to begin with the least sensitive aspects of the enrichment program and to gradually move to enrichment as confidence in the program would be enhanced; 3. Legislative and regulatory measures One. Additional Protocol; Two. Permanent ban on the development, stockpiling and use of nuclear weapons through binding national legislation; Three. Enhancement of Iran’s export control regulations; 4. Enhanced monitoring One. Continued implementation of the Additional Protocol; and Two. Continuous on-site presence of IAEA inspectors at the conversion and enrichment facilities to provide unprecedented added guarantees.

4.2.1. EU3 Inability to React Extraneous pressure had resulted in the absence of any desire or ability by EU3 to even consider any “objective guarantee” as called for in the Paris Agreement and instead to maneuver to achieve a defacto cessation of Iran’s lawful activities. This extra-

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relative alle esportazioni iraniane; 4. Monitoraggio più approfondito Uno. Prosecuzione dell’attuazione del protocollo aggiuntivo; e Due. Presenza continuativa in loco degli ispettori dell’IAEA presso gli impianti di conversione e di arricchimento per fornire ulteriori garanzie non esistenti in precedenza.

4.2.1. Incapacità del G3 di Reagire Il risultato di pressioni estranee fu che il G3 non mostrò né il desiderio né la capacità di prendere neppure il considerazione ogni “garanzia oggettiva” secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi ed invece si cercò di arrivare con raggiri ad una cessazione de-facto delle attività legittime iraniane. Questo elemento politico estraneo impedì persino una revisione seria da parte del G3 di quelle proposte elaborate indipendentemente, che hanno tuttora un livello di credibilità sufficiente per dissipare ogni ragionevole preoccupazione.

Gli ufficiali del G3 respinsero completamente, senza neppure entrare in considerazioni a livello politico, anche il successivo sforzo iraniano in buona fede del 29 Aprile 2005 che suggeriva, per continuare nella trattativa, la ripresa negoziata del lavoro dell’Impianto di Esfahan – che non risulta avesse mai avuto malfunzionamenti nel passato e che in pratica non prevede proliferazione – a capacità ridotta e con provvedimenti aggiuntivi di garanzia, sorveglianza e monitoraggio.

4.2.2. Preludio ad un Fallimento nei Colloqui per il Nucleare A tale intransigenza, l’Iran replicò pacatamente per essere certo che non si sarebbe tralasciata nessuna opportunità per addivenire ad un accordo. In un incontro ministeriale a Ginevra nel Maggio 2005, l’Iran acconsentì a prolungare il periodo di sospensione totale per altri due mesi, in risposta ad un impegno preso dai ministri del G3 di presentare finalmente entro fine Luglio/inizio Agosto 2005 un pacchetto completo per l’attuazione dell’Accordo di Parigi, il che vuol dire circa nove mesi dopo l’Accordo.

A Ginevra l’Iran mise in chiaro che qualsiasi proposta da parte del G3 doveva prevedere l’accettazione di garanzie oggettive per una graduale ripresa del programma di arricchimento iraniano e che qualsiasi tentativo di trasformare garanzie oggettive nella cessazione o nella sospensione a lungo termine era

neous political element precluded even a serious review by EU3 of these independently worked out proposals, which continue to have the most credible potential of providing a basis for allaying all reasonable concerns.

Even Iran’s further good-faith effort on April 29, 2005 to salvage the process by suggesting the negotiated resumption of the work of the UCF– which had never had any past alleged failures, and is virtually proliferation free – at low capacity and with additional confidence building and surveillance and monitoring measures was rejected outright by EU3 officials without even consideration at political level.

4.2.2. Prelude to Breakdown in Nuclear Talks Iran replied to such intransigence with self-restraint to ensure that no opportunity was spared for an agreed settlement. In a ministerial meeting in Geneva in May 2005, Iran agreed to extend the period of full suspension for another two months, in response to a commitment made by the EU3 ministers to finally present their comprehensive package for the implementation of the Paris Agreement by the end of July or early August 2005, that is nearly nine months after the Agreement.

Iran made it clear in Geneva that any proposal by the EU3 must incorporate EU3’s perception of objective guarantees for the gradual resumption of the Iranian enrichment program, and that any attempt to turn objective guarantees into cessation or long-term suspension were incompatible with the letter and spirit of the Paris Agreement and therefore unacceptable to Iran.

4.2.3. A Further Compromise Suggested by Iran Eager to salvage the negotiations, in a further message to the ministers, Iran offered the most flexible solution to the EU3 as they were finalizing their package: - Commencement of the work of Esfahan plant (UCF)  At low capacity,  Under full scope monitoring,  Agreed arrangements for import of the feed material and export of the product; - Initial limited operation at Natanz following  Further negotiations on a mutually acceptable arrangement, or  Allowing the IAEA to develop an optimized arrangement on numbers, monitoring mechanism and other specifics; - Full scale operation of Natanz:

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incompatibile con la lettera e lo spirito dell’Accordo di Parigi e quindi non sarebbe stato accettabile per l’Iran.

4.2.3. Un ulteriore compromesso suggerito dall’Iran Mentre il G3 stava mettendo a punto il pacchetto, l’Iran, desiderando salvare le trattative con tutte le sue forze, offrì al Gruppo con un successivo messaggio ai ministri la soluzione che avesse un massimo di flessibilità: - inizio del lavoro all’impianto di Esfahan (UCF)  a capacità ridotta,  sotto completo controllo,  a valle di intese circa l’importazione del materiale di alimentazione e l’esportazione del prodotto; - inizialmente operazioni limitate a Natanz in seguito a  Ulteriori trattative per un accordo accettabile da ambo le parti, oppure  Consentire all’IAEA di redigere un accordo ottimale riguardo ai numeri, ai meccanismi di controllo ed alle altre specifiche; - operatività a pieno ritmo a Natanz:  In base ad un accordo negoziato;  In sincronia con le esigenze di combustibile dei futuri reattori ad acqua leggera.

4.3. Pacchetto dell’EU: Troppe Richieste, Nessun Incentivo A dispetto di tutti i suoi sforzi sinceri e della sua massima flessibilità, il 5 Agosto 2005 l’Iran ricevette una proposta deludente. Non solo tale proposta evitava di affrontare i diritti iraniani per uno sviluppo pacifico della tecnologia nucleare, ma neppure offriva all’Iran alcunché in cambio. Neppure lontanamente si parlava di correggere le restrizioni illegali ed ingiustificate poste allo sviluppo economico e tecnologico dell’Iran e tanto meno si fornivano sicure garanzie per una collaborazione economica, tecnologica e nucleare ed impegni certi sui problemi della sicurezza. Mentre l’Iran affermò con la massima chiarezza che nessuna contropartita sarebbe stata sufficiente a compensare la rinuncia dell’Iran al suo inalienabile diritto per tutti gli aspetti della tecnologia nucleare pacifica, le offerte inserite nella proposta erano di per se stesse umilianti e del tutto inadeguate per l’Iran e le sue grandi capacità, possibilità ed esigenze.

4.3.1. Richieste non Contemplate dalla Legge ed

 Based on a negotiated agreement;  Synchronized with the fuel requirements of future light water reactors.

4.3. EU’s Package: Too Many Demands, No Incentives Against all its sincere efforts and maximum flexibility, on 5 August 2005, Iran received a disappointing proposal. It not only failed to address Iran’s rights for peaceful development of nuclear technology, but did not offer anything to Iran in return. It even fell far short of correcting the illegal and unjustified restrictions placed on Iran’s economic and technological development, let alone providing firm guarantees for economic, technological and nuclear cooperation and firm commitments on security issues. While Iran had made it crystal clear that no incentive would be sufficient to compromise Iran’s inalienable right to all aspects of peaceful nuclear technology, the offers of incentives incorporated in the proposal were in and of themselves demeaning and totally incommensurate with Iran and its vast capabilities, potentials and requirements.

4.3.1. Extra-Legal Demands of Binding Commitments from Iran The proposal self-righteously assumed rights and licenses for the EU3 which clearly went beyond or even contravened international law and assumed obligations for Iran which have no place in law or practice. It incorporated a series of one-sided and self serving extra-legal demands from Iran, ranging from accepting infringements on its sovereignty to relinquishing its inalienable rights.

It sought to intimidate Iran to accept intrusive and illegal inspections well beyond the Safeguards Agreement or the Additional Protocol. It asked Iran to abandon most of its peaceful nuclear program.

It further sought to establish a subjective, discriminatory and arbitrary set of criteria for the Iranian nuclear program, which would have effectively dismantled most of Iran’s peaceful nuclear infrastructure, criteria that if applied globally would only monopolize the nuclear industry for the NuclearWeapon States.

4.3.2. Vague, Conditional and Demeaning Offers to Iran

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Impegni Vincolanti da parte dell’Iran La proposta dava per scontati in modo farisaico diritti e poteri per il G3 che andavano chiaramente oltre le leggi internazionali o addirittura le violavano e presupponeva obblighi per l’Iran che non sono previsti né dalle leggi né dalle consuetudini. Tale proposta comprendeva una serie di richieste per l’Iran unilaterali, ingiuste ed illegali che andavano dall’accettazione di violazioni alla sua sovranità all’abbandono dei suoi diritti inalienabili.

La proposta cercò di indurre l’Iran con minacce ad accettare ispezioni capillari ed illegali che andavano ben oltre l’Accordo di Salvaguardia o il Protocollo Aggiuntivo. Chiese all’Iran di abbandonare la maggior parte del suo programma nucleare pacifico.

Cercò successivamente di stabilire un insieme di criteri soggettivo, discriminatorio ed arbitrario riguardo al programma nucleare iraniano, che avrebbe di fatto smantellato la maggior parte delle infrastrutture nucleari pacifiche dell’Iran. Se tali criteri fossero stati applicati su scala globale, avrebbero semplicemente reso l’industria nucleare un monopolio delle Potenze Atomiche.

4.3.2. Offerte all’Iran Vaghe, Condizionate ed Umilianti La proposta non forniva nel modo più assoluto né solide garanzie né impegni e neppure prevedeva offerte di collaborazione con l’Iran significative o serie. Consisteva in una versione apparentemente più ampia ma di fatto ridotta e rivista a proprio uso e consumo di un’offerta che era stata proposta dal G3 e respinta dall’Iran nell’Ottobre 2004 ancor prima dell’Accordo di Parigi. Questo dimostrava che da parte del G3 non vi era neppure il tentativo di prendere in considerazione la lettera e lo spirito dell’Accordo di Parigi nella loro proposta. Questo punto è dimostrato anche dal fatto che la proposta non menzionava mai i termini “garanzie oggettive”, “garanzie sicure”, oppure “impegni certi”, che erano il fondamento dell’Accordo di Parigi. Al contrario la proposta cercava di sostituire “garanzie oggettive” con la cessazione del programma nucleare pacifico che l’Iran si era conquistato a caro prezzo e di sostituire “garanzie sicure e impegni certi” con riformulazioni vaghe, condizionate e parziali di obblighi esistenti. Nell’area della sicurezza, la proposta non andava oltre la ripetizione dei principi della Carta dell’ONU o di impegni generici presi in precedenza.

The proposal had absolutely no firm guarantees or commitments and did not even incorporate meaningful or serious offers of cooperation to Iran. It amounted to an elongated but substantively shortened and self-servingly revised version of an offer that had been proposed by EU3 and rejected by Iran in October 2004 even prior to the Paris Agreement.

This indicated that there was no attempt on the part of EU3 to even take into consideration the letter and spirit of the Paris Agreement in their proposal.

This point is further illustrated by the fact that the proposal never even mentioned the terms “objective guarantees”, “firm guarantees” or “firm commitments”, which were the foundations of the Paris Agreement.

Instead it tried to replace “objective guarantees” with termination of Iran’s hard gained peaceful nuclear program, and replace “firm guarantees and firm commitments” with vague, conditional and partial restatements of existing obligations.

In the area of security, the proposal did not go beyond repeating UN Charter principles or previously-made general commitments.

Worse yet, the proposal even attempted to make EU3’s commitment to these general principles of international law optional, partial, and conditional by prefacing the segment with the following statement: “The EU3 propose that, within the context of an overall agreement, this section could include, inter alia, the following mutual commitments in conformity with the Charter of the United Nations”.

Another example is the negative security assurances provided in the proposal by the nuclear-weapons states of the EU3.

The proposal offered the mere repetition – only by UK and France - of a universal commitment already made by all nuclear weapon states in 1995 to all NPT members. It even made the application of that commitment to Iran contingent on an overall agreement by stating “Within the context of an overall agreement and Iran’s fulfillment of its obligations under the Treaty on the Non-Proliferation of Nuclear Weapons (NPT), the United Kingdom and France would be prepared to reaffirm to Iran the unilateral security assurances given on 6 April 1995, and referred to in United Nations Security

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Peggio ancora, la proposta cercava persino di fare in modo che l’adesione del G3 a questi principi generali del diritto internazionale fosse facoltativa, limitata e condizionata ponendo come prefazione il seguente enunciato: “Il G3 propone che, nell’ambito di un accordo generale, questa sezione potrebbe comprendere, fra l’altro, i seguenti impegni reciproci in conformità con la Carta delle Nazioni Unite”.

Un altro esempio è la mancanza di garanzie circa la sicurezza nella proposta fornita dagli stati del G3 dotati di armi atomiche. La proposta non offriva nulla di più della ripetizione – solo da parte di Regno Unito e Francia – di un impegno universale che era già stato preso nel 1995 da tutte le potenze nucleari nei confronti di tutti i membri legati al Trattato di Non Proliferazione. L’applicazione di questo impegno all’Iran veniva persino subordinata ad un accordo su base generale affermando “Nel contesto di un accordo generale e a condizione che l’Iran soddisfi i suoi obblighi previsti dal Trattato di Non Proliferazione delle Armi Atomiche (NPT), il Regno Unito e la Francia sarebbero pronti a riconfermare all’Iran le garanzie unilaterali circa la sicurezza fornite il 6 Aprile 1995, riportate nella Risoluzione 984 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1995)”.

In quanto al settore della collaborazione tecnologica, nella proposta manca persino un’indicazione – per non parlare di garanzie – sulla disponibilità del G3 a cessare o quanto meno ad attenuare le sue violazioni del diritto internazionale e del NPT riguardanti l’accesso dell’Iran alla tecnologia. Per esempio, mentre in base all’NTP, il G3 è tenuto a facilitare l’accesso dell’Iran alla tecnologia nucleare, la proposta presenta un’offerta condizionata ed ambigua “a non impedire la partecipazione in offerte d’appalto competitive aperte”. E la proposta offriva generosamente di “fornire un supporto completo per una collaborazione a lungo termine fra Iran e Russia nel settore del nucleare civile”, il che era assai lontano dall’offerta ampiamente pubblicizzata dell’Unione Europea di collaborazione con l’Iran per la costruzione di nuove centrali atomiche.

Nel campo della collaborazione economica, la proposta comprendeva soltanto un elenco di impegni ed accordi preesistenti per di più sottoposti a condizioni.

Mentre la maggior parte del documento era dedicata a promesse generiche di contropartite future, le spe-

Council Resolution 984 (1995)”.

In the area of technology cooperation, it failed to include even an indication – let alone guarantees of the EU3 readiness to abandon or ease its violations of international law and the NPT with regard to Iran’s access to technology.

For instance, while under the NPT, the EU3 is obliged to facilitate Iran’s access to nuclear technology, the proposal makes a conditional and ambiguous offer “not to impede participation in open competitive tendering”. And far from the generally advertised offer of EU cooperation with Iran in construction of new nuclear power plants, the proposal generously offered to “fully support long-term co-operation in the civil nuclear field between Iran and Russia”.

In the area of economic cooperation, the proposal only included a conditional recital of already existing commitments and arrangements.

While most of the document amounted to general promises of future considerations, even specific offers went no further than conditional expressions of “readiness to discuss”.

Two examples may be sufficient in this regard: “The EU3 would continue to promote the sale of aircraft parts to Iran and be willing to enter into discussion about open procurement of the sale of civil passenger aircraft to Iran”. Or, “the EU3 and Iran, as well as the Commission, would discuss possible future oil and gas pipeline projects”.

This proposal made it self-evident that negotiations were not “proceeding” as called for in the Paris Agreement, due to EU3 policy of disregarding the requirements of that Agreement, reverting to their pre-Agreement positions, and prolonging a semblance of negotiations without the slightest attempt to move forward in fulfilling their commitments under the Tehran or Paris Agreements.

This protracted continuation was solely designed to keep the suspension in place for as long as it takes to make “cessation” a fait accompli.

This was contrary to the letter and spirit of the Paris Agreement and was not in line with principles of good faith negotiations.

In short, the proposal, read objectively in the context of the negotiating history of the Paris Agreement as well as its letter and spirit, clearly illustrates the

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cifiche offerte non andavano oltre a enunciazioni ipotetiche di “disponibilità a discutere”. A questo proposito due esempi possono essere sufficienti. “Il G3 continuerebbe a promuovere la vendita di parti di aeromobili all’Iran e sarebbe disposta ad iniziare una discussione riguardante la libera vendita all’Iran di aeromobili per trasporto passeggeri.” Oppure “Il G3 e l’Iran, insieme alla Commissione, discuterebbero possibili progetti futuri di oleodotti e gasdotti.”

Questa proposta evidenziò chiaramente che le trattative non stavano “procedendo” come era previsto nell’Accordo di Parigi, a causa della linea politica del G3 di non tenere in considerazione alcuna le condizioni di tale Accordo, ritornando sulle posizioni precedenti all’Accordo stesso, e prolungando una parvenza di trattative senza fare il benché minimo tentativo di procedere nell’adempimento degli impegni previsti dagli Accordi di Teheran o Parigi. Lo scopo di questo continuo trascinarsi era solo quello di mantenere in opera la sospensione per il tempo necessario a rendere la “cessazione” un fatto compiuto. Ciò era contrario alla lettera ed allo spirito dell’Accordo di Parigi e non era in linea con i principi di trattative basate sulla reciproca fiducia.

In breve, la proposta, letta con obiettività nel quadro della storia delle trattative per l’Accordo di Parigi e tenendo conto della lettera e dello spirito di tale accordo, mostra chiaramente come tale Accordo sia stato completamente dimenticato dal G3, che ha accusato l’Iran della stessa cosa a suo uso e consumo.

4.3.3. Reazione Minima da parte dell’Iran Dopo un periodo così lungo di trattative, dopo tutto quello che l’Iran ha fatto e continua a fare per ricreare una reciproca fiducia e dopo la flessibilità che l’Iran ha mostrato, non vi era pretesto alcuno per un ulteriore ritardo nella realizzazione della prima fase della proposta iraniana, riguardante una ripresa limitata dell’UCF a Esfahan, che non risulta avesse mai avuto malfunzionamenti nel passato e che in pratica non prevede proliferazione. In tale contesto, l’Iran informò l’Agenzia della sua decisione di riprendere le attività di conversione dell’uranio all’UCF di Esfahan e chiese all’Agenzia di prepararsi a realizzare le relative attività di Salvaguardia in maniera opportuna, prima che venissero riprese le attività dell’UCF. 4.4. Chi ha violato l’Accordo di Parigi?

total abandonment of that Agreement by the EU3, who have conveniently accused Iran of the same.

4.3.3. Minimal Reaction from Iran After such a long period of negotiations and all that Iran had done and continues to do in order to restore confidence as well as the flexibility that Iran has shown, there was no pretext for any further delay in the implementation of the first phase of Iran’s roposal, by limited resumption of UCF at Esfahan, which has been free from any past alleged failures, and is virtually proliferation free. In this context, Iran informed the Agency of its decision to resume the uranium conversion activities at the UCF in Esfahan and asked the Agency to be prepared for the implementation of the Safeguards related activities in a timely manner prior to the resumption of the UCF activities.

4.4. Who Violated the Paris Agreement?

According to the Paris Agreement, “the suspension will be sustained while negotiations proceed on a mutually acceptable agreement on long-term arrangements.”

It also envisaged a mechanism for assessment of progress within three months.

In the meeting of 23 March 2005, it was clear that there had been no progress over the preceding three months.

As a clearly-stated attempt to salvage the agreement, Iran made its March 23rd proposal in terms of a package of objective guarantees.

The refusal of the EU3 to even consider that package coupled with their behavior in the course of the negotiations, their August 2005 proposal and their repeated statements during the time of the presentation of that proposal and since then made in abundantly clear that under pressure from the US following the Paris Agreement, the EU3 had decided to unilaterally change the nature of the Paris Agreement.

This amounted to a breach of the letter and spirit of the Paris Agreement as well as the principle of good-faith negotiations.

The EU3 negotiating posture and the empirical evidence of lack of progress had in fact removed any onus from Iran to continue the suspension.

However, Iran decided to maintain the suspension of all enrichment related activities and resume

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In base all’Accordo di Parigi, “la sospensione sarà mantenuta finché i negoziati non perverranno ad un accordo che preveda intese a lungo termine accettabili da ambo le parti”. L’Accordo prevedeva anche un meccanismo per la verifica dei progressi entro tre mesi. Nell’incontro del 23 Marzo 2005, fu chiaro che non vi erano stati progressi rispetto ai tre mesi precedenti. Nell’evidente tentativo di salvaguardare questo accordo, l’Iran fece il 23 Marzo uno sua proposta costituita da un pacchetto di garanzie oggettive.

Il rifiuto del G3 di prendere anche in minima considerazione tale pacchetto, il suo comportamento nel corso dei negoziati, la sua proposta dell’Agosto 2005 e le sue ripetute affermazioni nel corso della presentazione di tale proposta e in momenti successivi chiarirono in maniera inequivocabile che il G3 aveva deciso di cambiare in modo unilaterale la natura dell’Accordo di Parigi dietro pressioni da parte USA successive all’accordo stesso. Questo comportava una violazione non solo della lettera e dello spirito dell’Accordo di Parigi ma anche del principio di trattative basate sulla reciproca fiducia.

L’atteggiamento del G3 durante il negoziato e l’evidenza tangibile della mancanza di progressi avevano di fatto sollevato l’Iran da qualsiasi obbligo di continuare la sospensione. Tuttavia l’Iran decise di mantenere la sospensione di ogni attività riguardante l’arricchimento e di riprendere soltanto il processo UCF, che, per definizione, è un processo di pre-arricchimento. Quindi la dichiarazione che l’Iran ha violato l’Accordo di Parigi è un’affermazione a proprio uso e consumo e del tutto falsa. Infatti è vero proprio il contrario.

only the UCF process, which is by definition a pre-enrichment process.

Therefore, the assertion that Iran broke the Paris Agreement is a self-serving and factually false proposition.

In fact, the reverse is the case.

5. L’Iran fa un’Ulteriore Passo Avanti verso una Soluzione Negoziata La Repubblica Islamica dell’Iran ha sempre desiderato garantire che non venisse risparmiato sforzo alcuno per raggiungere una ripresa negoziata delle sue attività di arricchimento. Dunque si è impegnata durante il Summit delle Nazioni Unite nel Settembre 2005 in trattative approfondite e basate sulla reciproca fiducia con il G3 e le altre delegazioni interessate allo scopo di rimuovere gli ostacoli alla ripresa dei negoziati e produrre risultati in accordo con i diritti e gli obblighi sanciti dal trattato NPT. In questo contesto l’Iran rispose positivamente ad una proposta che

5. Iran Goes the Extra Mile for a Negotiated Solution The Islamic Republic of Iran has always wanted to ensure that no effort is spared in order to reach a negotiated resumption of its enrichment activities.

It, therefore, engaged in good faith and intensive negotiations with the EU3 and other interested delegations during the Summit of the United Nations in September 2005 in order to remove obstacles to the resumption of good-faith and result-oriented negotiations in accordance with established rights and obligations under the NPT. In this context, Iran responded positively to a proposal which would have removed any concern about the continued operation

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avrebbe eliminato qualsiasi preoccupazione riguardante la continuazione delle operazioni dell’UCF di Esfahan che sarebbero state condotte a capacità ridotta e per un periodo prefissato onde permettere ai negoziati di raggiungere dei risultati. L’Iran acconsentì anche a riprendere i negoziati con il G3 ed a prendere in considerazione tutte le proposte che erano state presentate. Inoltre il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, nella sua allocuzione all’Assemblea Generale del 17 Settembre 2005, fece un’altra offerta che prevedeva garanzie ulteriori ed ancora più avanzate invitando una partnership internazionale nelle attività di arricchimento iraniane.

Mentre il Presidente ribadiva che il diritto dell’Iran di avere la tecnologia del ciclo del combustibile non era trattabile, nell’intento di creare fiducia presentava nel suo discorso i seguenti punti di vista e le seguenti proposte: - disponibilità ad un confronto costruttivo ed a un dialogo proficuo basato sulla fiducia reciproca; - divieto di ricerche relative ad armi atomiche in base a principi religiosi; - necessità di dare nuova vita al Trattato NPT; - collaborazione con l’IAEA come fondamento della politica nucleare Iraniana; - disponibilità a proseguire i negoziati con il G3; - disponibilità a considerare varie proposte che erano state presentate; - gradimento della proposta del Sud Africa per far avanzare il processo; - accettazione di partnership con settori privati e pubblici di altri paesi nella realizzazione in Iran del programma di arricchimento dell’uranio tale da coinvolgere direttamente altri paesi e da eliminare qualsiasi preoccupazione.

of the UCF in Esfahan at lower capacity for a specific period to allow negotiations to reach results. Iran also agreed to resume negotiations with the EU3 and to consider all proposals that had been presented.

Furthermore, the President of the Islamic Republic of Iran, in his address to the General Assembly on September 17, 2005, made yet another far reaching offer of added guarantee by inviting international partnership in Iran’s enrichment activities.

While the President reiterated that Iran’s right to have fuel cycle technology was not negotiable, he presented the following confidence-building positions and proposals in his statement: - Readiness for constructive interaction and a just dialogue in good faith; - Prohibition of pursuit of nuclear weapons in accordance with religious principles; - Necessity to revitalize the NPT; - Cooperation with the IAEA as the centerpiece of Iran’s nuclear policy; - Readiness to continue negotiations with the EU3; - Readiness to consider various proposals that have been presented; - Welcome the proposal of South Africa to move the process forward; - Acceptance of partnership with private and public sectors of other countries in the implementation of uranium enrichment program in Iran which engages other countries directly and removes any concerns.

6. Uso scorretto della Macchina dell’IAEA Purtroppo il G3 , sotto le pressioni degli Stati Uniti, adottò una linea di contrapposizione nell’incontro del Settembre 2005 con il Consiglio di Amministrazione dell’IAEA. In violazione palese dei suoi impegni dell’Ottobre 2003 e del Novembre 2004 , il G3 presentò al Consiglio di Amministrazione dell’IAEA una risoluzione motivata politicamente ma viziata in base ai fatti ed alle leggi. Il G3 impose al Consiglio tale risoluzione insieme agli Stati Uniti, utilizzando tutto il loro peso sia diplomatico sia economico, tra-

6. Abuse of IAEA Machinery Regrettably, the EU3, pressed by the United States, adopted a path of confrontation in the September 2005 IAEA Board of Governors meeting. In clear violation of their October 2003 and November 2004 commitments, the EU3moved a politically motivated and factually and legally flawed resolution in the IAEA Board of Governors, and together with the United States and using all their combined diplomatic and economic leverages imposed it on the Board through an unprecedented resort to voting

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mite la messa ai voti della medesima, cosa mai avvenuta in precedenza in quanto si era sempre fatto ricorso alla pratica del consenso.

6.1. Nessuna Giustificazione per le “Scoperte” dell’IAEA sia dai Fatti sia dalla Legge.

La risoluzione imposta svuota di ogni valore i rendiconti del Consiglio di Amministrazione riproponendo ancora una volta presunte avarie che erano già state esaminate nel Consiglio del Novembre 2003. Nello stesso tempo, nonostante l’esistenza di ambiguità e di domande serie su importanti problemi quali la fonte della contaminazione HEU, non era possibile parlare di “scoperte” di “non-conformità” o di “assenza di sicurezza ” nel programma iraniano di natura esclusivamente pacifica.

Il Consiglio si astenne dal fare tali scoperte nel 2003 non certo a causa di una “limitazione volontaria” da parte del G3 come ora si sostiene, ma poiché tali scoperte erano impossibili da un punto di vista contestuale e legale sia per la natura delle avarie – che erano esclusivamente di natura tecnica in base alle relazioni – sia per il fatto che il Direttore Generale aveva stabilito chiaramente nella sua relazione di Novembre 2003 che “ad oggi, non vi è alcuna prova che il materiale nucleare non dichiarato in precedenza e le attività ad esso collegate siano in relazione con un programma di armi atomiche.” È buffo che, dopo due anni di collaborazione ed oltre 1200 giorni-uomo di ispezioni capillari, dopo la risoluzione di quasi tutti i problemi pendenti, in particolare la sorgente esterna di contaminazione, e dopo che è stato più e più volte evidenziato che il programma non è stato deviato da scopi pacifici, compresa la conclusione nella relazione dell’IAEA del Novembre 2004 che “è stato reso conto di tutto il materiale nucleare dichiarato in Iran e dunque tale materiale non è indirizzato verso attività proibite”, la risoluzione imposta abbia scoperto in maniera retroattiva che le avarie “descritte in Gov/2003/75 [la relazione citata in precedenza del Novembre 2003] costituiscono una non-conformità.”

6.2. La vera storia: pressioni per negare i diritti inalienabili dell’Iran Mentre la risoluzione cercava di creare un pretesto comodo – anche se falso – per le sue cosiddette “scoperte” servendosi di queste presunte avarie già menzionate in precedenza, è del tutto evidente che la vera

rather than the previously unbroken practice of consensus.

6.1. No Legal or Factual Grounds for IAEA “Findings” The imposed resolution makes a mockery of the proceedings of the Board of Governors by rehashing alleged failures that had already been dealt with in the November 2003 Board. At that time, despite the existence of ambiguities and serious questions on important issues such as the source of HEU contamination, “findings” of “non-compliance” or “absence of confidence” in the exclusively peaceful nature of Iran’s program were impossible.

The Board refrained from making such findings in 2003 not because of a now-claimed “voluntary restraint” by EU3, but because such were factually and legally impossible due to the nature of failures – which were solely of technical reporting character and also because of the fact that the Director-General had specifically stated in his November 2003 report that “to date, there is no evidence that the previously undeclared nuclear material and activities referred to above were related to a nuclear weapons programme”.

It is ironic that after two years of cooperation, over 1200 person/days of intrusive inspections, resolution of nearly all outstanding issues particularly the foreign source of contamination, and after repeated reiteration of the finding of non-diversion including the conclusion in the IAEA November 2004 report that “all the declared nuclear material in Iran has been accounted for, and therefore such material is not diverted to prohibited activities”, the imposed resolution discovered ex post facto that the failures “detailed in Gov/2003/75 [the aforementioned report of November 2003] constitutes non-compliance”.

6.2. The Real Story: Pressure to Deny Iran’s Inalienable Rights While the resolution attempted to create a convenient – albeit false – pretext of these alleged and old reporting failures for its so-called “findings”, it is abundantly clear that the reason for production of this resolution was by no means those alleged failures, but instead the resumption of Iran’s perfectly legal and safeguarded activities in Esfahan.

In this context, it must be underlined that all States party to the NPT, without discrimination, have an ina-

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ragione alla base di questa risoluzione non erano affatto quelle presunte avarie ma bensì la ripresa delle attività iraniane ad Esfahan assolutamente legali e del tutto sicure.

In tale contesto, deve essere sottolineato che tutti gli Stati aderenti al Trattato di Non Proliferazione hanno il diritto inalienabile di produrre energia nucleare a scopi pacifici senza alcuna discriminazione. Dal momento che tale diritto è “inalienabile”, esso non può essere limitato o circoscritto in alcun modo e sotto nessun pretesto. Ogni tentativo di fare ciò rappresenterebbe un tentativo di minare alla base un pilastro del Trattato ed in definita il Trattato stesso.

L’Iran, come tutti gli altri Stati che non posseggono Armi Atomiche, non ha alcun obbligo di trattare o di cercare accordi per esercitare il suo “inalienabile” diritto e neppure potrebbe essere obbligato a rinunciare a tale diritto.

La sospensione dell’arricchimento dell’uranio, o di qualsiasi altra azione che sia collegata a tale sospensione, è un provvedimento temporaneo e volontario preso dall’Iran per creare fiducia, dare impulso alla collaborazione e chiudere il capitolo dei dinieghi all’accesso di tecnologie imposti all’Iran dall’Occidente. Di per sé questa sospensione non è la fine di nulla e certamente non può essere interpretata o scambiata per un abbandono permanente di un’attività perfettamente legittima, tale da perpetuare nel futuro quella proibizione di accedere alla tecnologia, che dovrebbe invece essere fortemente ridotta.

La sospensione dell’arricchimento dell’Uranio è stata mantenuta per quasi due anni, con tutte le ricadute economiche e sociali che hanno riguardato migliaia di famiglie. Il G3 non ha provveduto a rimuovere nessuna delle molteplici restrizioni sull’accesso dell’Iran alla tecnologia nucleare ed avanzata. In una logica completamente capovolta, il G3 ha cercato perfino di prolungare la sospensione, cercando in tal modo di ampliare di fatto le sue restrizioni anziché rimuoverle in base ai suoi impegni dell’Ottobre 2003 e del Novembre 2004.

Come il Consiglio di Amministrazione dell’IAEA aveva sottolineato nelle sue risoluzioni passate e presenti, la sospensione “era un provvedimento mirato a creare fiducia volontario e non imposto dalla legge”.

Quando il Consiglio stesso riconosce in modo esplicito che la sospensione non è “un obbligo previsto

lienable right to produce nuclear energy for peaceful purposes. As this right is “inalienable”, it cannot be undermined or curtailed under any pretext.

Any attempt to do so, would be an attempt to undermine a pillar of the Treaty and indeed the Treaty itself.

Iran, like any other Non-Nuclear-Weapon State, had no obligation to negotiate and seek agreement for the exercise of its “inalienable” right, nor could it be obligated to suspend it. Suspension of Uranium enrichment, or any derivative of such suspension, is a voluntary and temporary confidence-building measure, effectuated by Iran in order to enhance cooperation and close the chapter of denials of access to technology imposed by the west on Iran. It is not an end in itself, nor can it be construed or turned into a permanent abandonment of a perfectly lawful activity, thereby perpetuating, rather than easing, the pattern of denial of access to technology.

The suspension of Uranium enrichment has been in place for nearly two years, with all its economic and social ramifications affecting thousands of families.

The EU3 failed to remove any of the multifaceted restrictions on Iran’s access to advanced and nuclear technology.

In a twist of logic, it even attempted to prolong the suspension, thereby trying to effectively widen its restrictions instead of fulfilling its commitments of October 2003 and November 2004 to remove them.

As the IAEA Board of Governors had underlined in its past and current resolution, suspension “is a voluntary, non-legal binding confidence building measure”.

When the Board itself explicitly recognizes that suspension is “not a legally-binding obligation”, no wording by the Board can turn this voluntary measure into an essential element for anything.

In fact the Board of Governors has no factual or legal ground, nor any statutory power, to make or enforce such a demand, or impose ramifications as a consequence of it.

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dalla legge”, nessuna enunciazione da parte del Consiglio può trasformare questo provvedimento volontario in un fattore vincolante. Infatti il Consiglio di Amministrazione non ha né alcuna base contestuale o legale né alcun potere legittimo per effettuare o far valere una tale richiesta, o per imporre ciò che ne derivasse come conseguenza.

7. Come Procedere: nessuna imposizione, negoziati basati sulla fiducia reciproca La risoluzione imposta recentemente da parte del Consiglio di Amministrazione dell’IAEA è priva di qualsiasi autorità legale, ed ogni tentativo di renderla esecutiva sarà controproducente e non lascerà all’Iran altra opzione che sospendere i suoi provvedimenti volontari mirati a creare fiducia reciproca. La minaccia di deferimento al Consiglio di Sicurezza renderà il problema ancora più complicato e non cambierà la decisione dell’Iran di esercitare i suoi diritti legittimi ed inalienabili previsti dal Trattato di Non Proliferazione.

Contemporaneamente l’Iran è determinato a proseguire contatti e negoziati basati sulla reciproca fiducia e su una posizione paritaria come punto fondamentale per il suo approccio al problema del nucleare. Un approccio diplomatico e negoziato è quello auspicato per una valida conclusione e l’Iran è pronto a prendere in considerazione ogni proposta costruttiva ed efficace.

L’Iran vede con favore consultazioni e negoziati con altri paesi allo scopo di facilitare il lavoro dell’Agenzia e invita il G3 a modificare il suo atteggiamento di contrapposizione con uno di contatti e negoziati per raggiungere intese ed accordi.

La Repubblica Islamica dell’Iran si impegna alla non proliferazione ed all’eliminazione delle armi atomiche, e considera le armi atomiche e la capacità di produrle o di acquisirle come un danno per la sua sicurezza. L’Iran continuerà a rispettare i suoi obblighi previsti dal Trattato di Non Proliferazione e continuerà a lavorare attivamente per la creazione di una zona senza armi di distruzione di massa nel Medio Oriente.

Traduzione a cura di Attilio Parodi

7. The Way Forward: No Coercion, Good-Faith Negotiations The recently imposed resolution on the IAEA Board of Governors is devoid of any legal authority, and any attempt to implement it will be counter-productive and will leave Iran with no option but to suspend its voluntary confidence building measures.

The threat of referral to the Security Council will only further complicate the issue and will not alter Iran’s resolve to exercise its legitimate and inalienable rights under the NPT. At the same time, Iran is determined to pursue good-faith interaction and negotiations, based on equal footing, as the centerpiece of its approach to the nuclear issue.

A diplomatic and negotiated framework is the desired approach for a success ful outcome and Iran is ready to consider all constructive and effective proposals.

Iran welcomes consultations and negotiations with other countries in order to facilitate the work of the Agency and calls on the EU3 to replace the course of confrontation with interaction and negotiation to reach understanding and agreement.

The Islamic Republic of Iran is committed to non-proliferation and the elimination of nuclear weapons, and considers nuclear weapons and capability to produce or acquire them as detrimental to its security.

Iran will continue to abide by its obligations under the NPT and will continue to work actively for the establishment of a zone free from weapons of mass destruction in the Middle East.

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Israele Israele

Ambasciata di Israele presso la Santa Sede S.E. ODED BEN-HUR

Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede

I più importanti luoghi sacri Tutti i più importanti luoghi sacri posseggono straordinaria forza, mistero e bellezza, almeno parzialmente acquisiti da secoli se non da millenni di venerazione. I luoghi sacri d’Israele sono spesso oggetto di contese e dibattiti non solo tra le tre grandi religioni monoteistiche, ma anche tra le varie sette.

The Most Important Holy Places The great sacred sites all possess extraordinary power, mystery, and beauty, at least partly conveyed upon them by centuries, if not millennia, of reverence. The ownership and histories of Israel’s holy places are often a matter of contention and debate, not only among the three great monotheistic religions, but also among sects within these religions.

Il muro occidentale (Gerusalemme) Parte del grande muro di cinta costruito intorno al Tempio da Erode è la struttura più in vista dei resti del Secondo Tempio. La grande eredità del giudaismo è spirituale, ma le enormi pietre del muro, ognuna con bordi, perfettamente scolpiti, testimoniano la grandezza dell’antico mondo ebraico.

Con i secoli, i ruderi del Tempio sono diventati simbolo dell’indistruttibile attaccamento che la gente ebraica ha per la terra d’Israele. Sotto il dominio islamico, per più di un millennio, il muro in prossimità dell’antico Tempio era l’unico luogo al quale gli Ebrei potevano accedere.

Per il carattere sacro attribuito al Tempio, ancora oggi, gli Ebrei più osservanti non vanno mai oltre il muro.

The Western Wall (Jerusalem) Part of a vast retaining wall built by Herod around the Temple Mount, this is the most visible structure remaining from the Second Temple complex. Judaism’s great legacy to the world is spiritual, but the massive stones of the Wall, each with its perfectly carved border, are testimony to the physical grandeur of the ancient Jewish world. Over the centuries, this enduring fragment of the Temple complex has come to symbolize the indestructible attachment of the Jewish people to the land of Israel. For more than 1,000 years, under Islamic governments, the Wall was the closest point that Jews were permitted to approach to the place where the ancient Temple of Jerusalem once stood.

Because of the sanctity of the Temple Mount itself, very observant Jews do not go farther than the Wall to this day.

Il Duomo della Pietra (Gerusalemme) Un magnifico santuario islamico costruito nell’anno 691, ricopre la pietra ritenuta o altare o prima pietra del primo o secondo Tempio. Secondo la tradizione ebraica, la pietra è l’altare sul quale Abramo si preparò a sacrificare Isacco. La tradizione islamica sostiene che fu il primo figlio di Abramo, Ismaele, il padre del popolo arabo che Abramo era stato chiamato a sacrificare o su quella pietra o alla Mecca. Si crede inoltre che dal luogo della pietra Maometto sia asceso in cielo per intravedere il paradiso nel suo miracoloso viaggio notturno descritto nella 17ma Sura del Corano.

Dome of the Rock (Jerusalem) A gloriously beautiful Islamic shrine, built in A.D. 691, covers the rock believed to have been the altar or foundation stone of the First and Second Temples.

According to Jewish tradition, the rock was the altar upon which Abraham prepared to sacrifice Isaac; Islamic tradition holds that it was Abraham’s first son, Ishmael, the father of the Arabic people, whom Abraham was called upon to sacrifice, either at this rock, or at Mecca. The rock is also believed to have been the point from which the Prophet Muhammad ascended to glimpse heaven during the miraculous night journey described in the 17th Sura of the Koran.

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La Moschea El Aksa Gereusalemme) Si trova all’estremo lato sud del Monte del Tempio.

Costruita nell’anno 720 è il più importante luogo sacro mussulmano dopo quelli della Mecca e Medina.

El Aksa Mosque (Jerusalem) On the southernmost side of the Temple Mount, built in A.D. 720, this is the third most important Muslim place of prayer after Mecca and Medina.

La Chiesa del Santo Sepolcro (Gerusalemme) È il luogo più sacro del Cristianesimo. La Chiesa ricopre i siti della crocifissione, sepoltura e resurrezione di Gesù.

Costruito nell’anno 330, il complesso della Chiesa del Santo Sepolcro è stato attentamente diviso tra le varie denominazioni cristiane come la chiesa GrecaOrtodossa, la chiesa Cattolica Romana, la chiesa Armena Ortodossa, la Coptica, la Siriana e l’Etiopica.

Church of the Holy Sepulcher (Jerusalem) Christianity’s holiest place, this church covers the traditional sites of the crucifixion, entombment, and resurrection of Jesus.

Built about A.D. 330, the complex is carefully divided among the Greek Orthodox, Roman Catholic, Armenian Orthodox, Coptic, Syrian, and Ethiopian churches.

Il Monte degli Ulivi (Gerusalemme) Il monte che dall’est guarda verso Gerusalemme offre una visione panoramica dell’intera città. Qui Gesù pianse per la visione profetica di una Gerusalemme in rovina; nel giardino di Getsemani nella parte bassa del pendio del monte, Gesù fu arrestato. La sommità del Monte degli Ulivi da dove, secondo la tradizione, Gesù ascese al cielo era, nei tempi antichi, un posto di accampamento per i pellegrini Ebrei. Sul Monte degli Ulivi si trova il più importante cimitero del Giudaismo.

Mount of Olives (Jerusalem) Overlooking the Old City of Jerusalem from the east, the mount offers a sweeping vista of the entire city.

Here, Jesus wept at a prophetic vision of Jerusalem lying in ruins; in the Garden of Gethsemane, on the lower slope of the mount, Jesus was arrested; and the ridge of the Mount of Olives is the place from which, according to tradition, Jesus ascended to heaven. An encampment site for Jewish pilgrims in ancient times, the Mount of Olives contains Judaism’s most important graveyard.

La Chiesa della Natività (Betlemme) Questa chiesa segna il luogo della nascita di Cristo. È la più vecchia chiesa della Terra. Santa.

I Persiani la risparmiarono durante l’invasione dell’anno 614 perchè, secondo la leggenda, rimasero colpiti da una rappresentazione dei Re Magi (Persiani anche loro) che l’avevano decorata.

Church of the Nativity (Bethlehem) This church marks the site of Jesus’ birthplace. It is the oldest surviving church in the Holy Land; the Persians spared it during their invasion in A.D. 614 because, according to legend, they were impressed by a representation of the Magi (fellow Persians) that decorated the building.

La Tomba dei Patriarchi (Hebron) Qui furono seppelliti Abramo, Isacco e Giacobbe e le loro rispettive mogli, Sara, Rebecca e Lea (Rachele, la seconda moglie di Giacobbe, è sepolta a Betlemme). La tomba, circondata da una massiccia muraglia costruita da Re Erode, è venerata da Ebrei e Mussulmani e rimane oggetto di una spietata contesa tra le due religioni.

Tomb of the Patriarchs (Hebron, on the West Bank) This is the burial place of Abraham, Isaac, and Jacob, as well as their wives, Sarah, Rebecca, and Leah (Rachel, the second wife of Jacob, is buried in Bethlehem). It’s surrounded by massive walls built by King Herod, and venerated by both Jews and Muslims. Rights to this place are a point of bitter contention between the Islamic and Jewish worlds.

I Giardini Baha’i (Akko) Situati al limite est di Akko, questo luogo c’è la tomba del fondatore e profeta della fede Baha’i.

Baha’i Gardens (Akko) At the northern edge of Akko, this site marks the tomb of the founder and prophet of the Baha’i faith, Baha’

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Il monte Sinai (Penisola del Sinai, Egitto) Si continua a discutere su quale monte del Sinai Dio diede i Dieci Comandamenti a Mosè, ma la tradizionale identità del Monte Sinai è molta antica. Un isolato monastero bizantino ai piedi del monte contribuisce a dare a questo luogo un senso di mistero.

Storia Ricordati de’ giorni antichi, rammenta ad una ad una le età… (Deuteronomio 13,7).

Israele (Erets Israel) è la patria del popolo ebraico Qui si svolsero i tanti eventi che caratterizzano la lunga storia di questa nazione, il cui primo millennio è documentato nella Bibbia. Qui si formò l’identità nazionale, religiosa e culturale degli Ebrei qui, attraverso i secoli è stata mantenuta la loro presenza fisica anche quando la maggior parte di loro fu mandata in esilio. Durante i lunghi anni della dispersione, il popolo ebraico non recise mai i suoi legami con quella terra, né si dimenticò di essa. Con l’instaurazione dello Stato d’Israele nel 1948, l’indipendenza del popolo ebraico, persa due mila anni prima, fu ristabilita. L’Archeologia in Israele serve da vincolo tra passato e presente con mille anni di storia riscoperta in circa 3500 scavi che includono le scuderie di Salomone a Meggido (Valle di Jezreel), le case del periodo israelita nella città di Davide (Gerusalemme), le fonti rituali a Masada, numerose sinagoghe e le Pergamene del Mar Morto, che contengono la più antica copia leggibile del libro di Isaia.

Gli scavi hanno inoltre rivelato tracce di altre civiltà che durante i secoli lasciarono la loro impronta su quella terra. Tutti i reperti vengono catalogati e i siti storici attentamente preservati sia per gli studiosi che per i visitatori.

Lo Stato … dove i consigli abbondano, ivi è salute (Proverbi 11, 14).

La Dichiarazione d’Indipendenza di Israele La dichiarazione della costituzione dello Stato di Israele, firmata il 14 Maggio 1948 dai membri del Consiglio Nazionale rappresentanti la comunità ebraica e il movimento sionista costituiscono il credo nazionale. Ivi sono inclusi gli imperativi storici della rinascita d’Israele: la struttura per uno stato democratico ebreo fondato sulla libertà, la giustizia e la pace,

Allah. As such, it is the holiest place for members of the Baha’i faith.

Baha’i Shrine and Gardens (Haifa) The shrine was built to memorialize the remains of one of the Baha’i faith’s martyrs, Bab Mirza Ali Muhammad, who was executed by Persian authorities in 1850.

Mount Sinai (Sinai Peninsula, Egypt) Controversy still rages over which of the Sinai’s mountains is the true site where the Ten Commandments were given to Moses, but the traditional identification of Mount Sinai is very ancient.

An isolated Byzantine monastery at the foot of the mountain adds to the mysterious aura. The view from the top of Mount Sinai at dawn is among the most awe-inspiring sights you will ever see.

History Remember the days of old, consider the years of ages past... (Deuteronomy 32:7).

The birthplace of the Jewish people is the Land of Israel (Eretz Israel). There, a significant part of the nations long history was enacted, of which the first thousand years are recorded in the Bible; there, its cultural, religious and national identity was formed; and there, its physical presence has been maintained through the centuries, even after the majority was forced into exile. During the many years of dispersion, the Jewish people never severed nor forgot its bond with the Land. With the establishment of the State of Israel in 1948, Jewish independence, lost two thousand years earlier, was renewed.

Archeology in Israel has provided a valuable link between the country’s past and present, with thousands of years of history unearthed at some 3,500 sites. Many finds attest to the long connection of the Jewish people with the Land of Israel, including Solomon’s stables at Megiddo (Jezreel Valley), houses of the Israelite period in the City of David (Jerusalem), ritual baths at Masada, numerous synagogues and the Dead Sea scrolls, containing the earliest extant copy of the Book of Isaiah in still-legible Hebrew script. Excavations have also revealed vestiges of other civilizations which left their imprint on the Land over the centuries. All finds are recorded,

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come previsto dai profeti biblici, e un richiamo per pacifiche relazioni con le nazioni arabe per il beneficio dell’intera regione.

Eretz Israel (La terra d’Israele) è il luogo di nascita del popolo ebraico. Qui si formò la sua identità religiosa e politica. Qui diventò nazione per la prima volta, creò valori culturali di significato nazionale e universale, e diede al mondo Il Libro dei Libri. …Con tutte le generazioni successive gli Ebrei si adoperarono per ristabilirsi nella loro antica patria… fecero fiorire il deserto, risuscitarono la lingua ebraica, costruirono villaggi e paesi, e crearono una vibrante comunità controllandone l’economia e la cultura, e amando la pace ben sapendo come difenderla… Lo Stato d’Israele resterà aperto all’immigrazione degli Ebrei… favorirà lo sviluppo della nazione per il beneficio di tutti i suoi abitanti: sarà basato sulla libertà, giustizia e pace come previsto dai profeti d’Israele; assicurerà la completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza, o sesso; garantirà la liberta di culto, di coscienza, di lingua, di educazione e di cultura; salvaguarderà i luoghi sacri di tutte le religioni; e sarà fedele ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite. Noi porgiamo la nostra mano a tutti gli stati vicini e alla loro gente offriamo pace e socievolezza lanciamo un appello per i vincoli di cooperazione e di mutuo soccorso con il popolo sovrano di Israele ora stabilito nella sua propria terra.

La Bandiera d’Israele La Bandiera dello Stato d’Israele è lo scialle di preghiera (tallit) con in blu la stella di Davide (Magen David) Il Menora L’emblema ufficiale dello Stato d’Israele è un candelabro (menorah) la cui forma si dice derivata dai setti rami del moriah, una pianta conosciuta sin dall’antichità. I ramoscelli d’ulivo in ambo i lati rappresentano il desiderio di pace da parte d’Israele.

Il Menora d’oro (un candelabro a sette bracci) era un importantissimo oggetto di rito nel Tempio di Re Salomone nell’antica Gerusalemme. Attraverso le epoche è servito in innumerevoli luoghi e sotto forme diverse come simbolo dell’eredità e della tradizione ebraica.

and historical sites are carefully preserved and marked, for scholar and visitor alike.

The State ... in the multitude of counselors there is safety (Proverbs 11:14).

Israel’s Declaration of Independence The Declaration of the Establishment of the State of Israel, signed on 14 May 1948 by members of the National Council representing the Jewish community in the country and the Zionist movement abroad, constitutes the nation’s credo. Included therein are the historical imperatives of Israel’s rebirth; the framework for a democratic Jewish state founded on liberty, justice and peace, as envisaged by the biblical prophets; and a call for peaceful relations with the neighboring Arab states for the benefit of the entire region.

Eretz Israel (the Land of Israel) was the birthplace of the Jewish people. Here their spiritual, religious and political identity was shaped. Here they first attained statehood, created cultural values of national and universal significance and gave to the world the eternal Book of Books. ...Jews strove in every successive generation to reestablish themselves in their ancient homeland. ...they made deserts bloom, revived the Hebrew language, built villages and towns, and created a thriving community, controlling its own economy and culture, loving peace but knowing how to defend itself...

The State of Israel will be open for Jewish immigration... will foster the development of the country for the benefit of all its inhabitants; it will be based on freedom, justice and peace as envisaged by the prophets of Israel; it will ensure complete equality of social and political rights to all its inhabitants irrespective of religion, race or sex; it will guarantee freedom of religion, conscience, language, education and culture; it will safeguard the Holy Places of all religions; and it will be faithful to the principles of the Charter of the United Nations.

We extend our hand to all neighbouring states and their peoples in an offer of peace and good neighbourliness, and appeal to them to establish bonds of cooperation and mutual help with the sovereign Jewish people settled in its own land.

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La struttura Politica Israele è una democrazia parlamentare che consiste di un potere legislativo, un potere esecutivo e un potere giudiziario. Le sue istituzioni sono la Presidenza, il Knesset (parlamento), il governo, e la magistratura.

Il sistema si basa sul principio della separazione dei poteri, nel quale il ramo esecutivo (il governo) è soggetto alla fiducia del potere legislativo (Knesset), mentre l’indipendenza della magistratura è garantita dalla legge.

The Israeli Flag The flag of the State of Israel is based on the design of the Jewish prayer shawl (tallit ), with a blue Shield of David (Magen David).

The Menorah The official emblem of the State of Israel is a candelabrum (menorah), whose shape is said to be derived from the seven-branched moriah, a plant known since antiquity. The olive branches on either side represent Israel's yearning for peace.

The Menorah through the Ages The Goldan Menorah (a seven-branched candelabrum) was a major ritual object in King Solomon’s Temple in ancient Jerusalem. Through the ages it has served as a symbol of Jewish heritage and tradition in countless places and in a variety of forms.

Political Structure Israel is a parliamentary democracy consisting of legislative, executive and judicial branches.

Its institutions are the presidency, the Knesset (parliament), the government (cabinet of ministers) and the judiciary.

The system is based on the principle of separation of powers, in which the executive branch (the government) is subject to the confidence of the legislative branch (the Knesset) and the independence of the judiciary is guaranteed by law.

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L’Ambasciata d’Israele presso la Santa Sede

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e relazioni diplomatiche tra Stato d’Israele e Santa Sede sono state instaurate ufficialmente il 15 Giugno 1994.

Un Accordo Fondamentale che ha stabilito i parametri di queste relazioni (libertà di culto e d’istruzione, la lotta contro l’antisemitismo e l’anticristianesimo, ecc.) fu sottoscritto il 31 dicembre 1993 riferendosi anche agli accordi finanziari e relativi alla personalità giuridica ecclesiale. Durante questi 13 anni, le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Israele hanno prosperato e si sono intensificate. Uno dei momenti salienti di questi rapporti è stata la visita Papale in Terrasanta da parte di Sua Santità Giovanni Paolo II nel marzo 2000.

Negli ultimi anni, siamo stati testimoni di numerose visite presso la Santa Sede da parte dei Rabbini Capo d’Israele, del Presidente Katzav, di Shimon Peres, dei Ministri degli Affari Esteri Shalom e Livni, così come di altri Ministri e dignitari. Grandi sforzi sono stati compiuti recentemente per portare a termine l’accordo finanziario. L’ambasciata d’Israele presso la Santa Sede si occupa di numerose attività in diretta collaborazione con il Vaticano e con varie organizzazioni della Chiesa Cattolica.

L’Ambasciatore viaggia spesso nelle diocesi di tutta Italia, incontra i Vescovi, tiene colloqui, conferenze, interviste con la stampa cattolica e organizza convegni con la partecipazione di relatori israeliani. Questo mese l’Ambasciata inaugurerà la prima (storica) rete d’amicizia chiamata “Cattolici Amici d’Israele” che comprenderà attività riguardanti la lotta contro l’antisemitismo e l’anticristianesimo, la battaglia al terrorismo, l’educazione ad una migliore conoscenza e alla comprensione reciproca tra le due religioni, relazioni accademiche e culturali e l’intensificazione dei pellegrinaggi.

Negli ultimi due anni, l’Ambasciata ha organizzato, per la prima volta nella sua storia, due incontri tra i Rettori delle Università israeliane e i quattro Rettori delle Università Pontificie romane. Gli incontri hanno avuto luogo sia a Roma che a Gerusalemme allo scopo di stabilire scambi accademici tra gli

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he diplomatic relations between Israel and the Holy See were officially founded on June 15 1994.

A fundamental agreement establishing the parameters of those relations (freedom of rite, education, the battle against Anti-Semitism and Anti Christianism, etc.) was signed on December 30th 1993 and has also foreseen the financial and ecclesial legal personality accords.

During the last 13 years diplomatic relations between the Holy See and Israel have prospered and intensified. One of the highest highlights of those relations has been the Papal visit to the Holy land of his Holiness John Paul II in March 2000.

In recent years we have witnessed the visits to the Holy See by the Chief Rabbis of Israel, President Katzav, Shimon Peres, Foreign Ministers Shalom and Livni as well as other Ministers and dignitaries.

Extensive efforts are being made recently in order to bring the financial agreement to its conclusion.

The Embassy of Israel to the Holy See is involved with a variety of activities with the Vatican as well as with the various organizations of the Catholic Church directly: the Ambassador travels extensively in the various dioceses all over Italy, meets with the Bishops, holds speaking engagements, interviews to the Catholic media and organizes lectures by the Israeli lecturers.

This month the Embassy will inaugurate the first (historical) friendship association called “Catholic friends of Israel”, which will evolve activity regarding the war against Anti Semitism and Anti Christianism, the war against terrorism, education for a better knowledge and mutual understanding between the two religions, academic and cultural relations and enhancing pilgrimage.

In the last two years the Embassy has organized two (first ever) meetings between rectors of Israeli Universities and rectors of Pontifical Universities in Rome.

The meetings took place in Rome and in Jerusalem

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studenti, i docenti e i programmi dei due mondi universitari al fine di promuovere e accrescere la comprensione e il dialogo interreligioso e interculturale.

Una speciale collaborazione tra la Santa Sede e Israele è in via di realizzazione in Africa e nel Sud America dove esperti israeliani e moderne tecniche innovative saranno introdotte dal COR UNUM per fornire acqua potabile a vari paesi e aiutare le popolazioni a sopravvivere.

Un altro campo di cooperazione, che al momento stiamo studiando, è la lotta all’AIDS in Africa dove Israele è pronta ad inviare dottori, medicinali, e competenze, per aiutare il clero cattolico locale a salvare le popolazioni africane dalla morte.

Ci si aspetta che presto Israele e il Vaticano promuovano le loro relazioni impegnandosi in un dialogo politico basato su un’agenda concordata intesa a favorire progetti e attività di interesse comune e che sarà intensificata da visite reciproche dei Capi di Stato.

Una visita ufficiale del Pontefice Benedetto XVI che dovrebbe avere luogo in Israele e in Terrasanta durante il 2007, senza dubbio sarà un’importante testimonianza delle crescenti relazioni e dell’approfondimento del dialogo tra noi.

for the scope of establishing academic exchanges of students, teachers and programs between the two academic worlds, in order to promote and enhance the interreligios and intercultural understanding and dialogue.

A unique collaboration between the Holy See and Israel is taking place in Africa and South America where Israeli experts and modern innovative techniques are introduced together with COR UNUM in order to provide potable water in various countries and help large populations literally survive. Another field of cooperation between us which is being examined now is the war against Aids in Africa, where Israel is ready to send its doctors, medicines and know-how to help the local catholic clergy save large African populations from death. It is expected that soon Israel and the Vatican will upgrade their relations by engaging in a political dialogue based on agreed upon Agenda, which will promote projects and activity of common interests and which will be enhanced by reciprocal visits of Heads of states.

A papal visit of the pontiff Benedict XVI is expected to take place in Israel and the Holy Land during 2007, which no doubt will be an important testimony and an impetus to the ever growing relations and dialogue between us.

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Italia Italia

Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede S.E. GIUSEPPE BALBONI ACQUA Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede

Le relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Santa Sede

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e relazioni diplomatiche tra l’Italia e Santa Sede risalgono ai Patti Lateranensi firmati a Roma l’11 febbraio del 1929. Con essi è stata creata la Città del Vaticano come Stato autonomo e indipendente e fu riconosciuta alla religione cattolica uno status particolare.

Stipulati dal Cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato della Santa Sede e da Benito Mussolini, Primo Ministro e Capo del Governo del Regno d’Italia, i Patti Lateranensi sono formati da due accordi. Il primo è un Trattato tra l’Italia e la Santa Sede, accompagnato da una Convenzione per il regolamento dei loro rapporti finanziari. Il secondo è un Concordato che assicura alla Chiesa Cattolica il libero e pubblico esercizio del culto della religione cattolica, apostolica, romana indicata come “la sola religione dello Stato Italiano”. La Repubblica italiana, non solo ha confermato i Patti nel proprio ordinamento, ma ha deciso di dare al complesso di accordi con la Santa Sede rango costituzionale. L’art. 7 della Costituzione repubblicana, nel proclamare che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno, nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”, stabilisce infatti che “i loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi” e che “le modificazioni dei Patti, accettate dalle due Parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Poiché comunque la nuova Costituzione conteneva molte disposizioni che potevano porsi in contrasto con le disposizioni concordatarie del 1929, furono avviate delle trattative con la Santa Sede per pervenire ad un Accordo di modifica del Concordato che fu concluso il 18 febbraio 1984. Come ha ricordato l’11 febbraio 2006 l’“Osservatore Romano”,

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iplomatic relations between Italy and the Holy See date back to the Lateran Pacts signed at Rome on February 11, 1929 when the Vatican became an autonomous and independent state and the Catholic religion was recognized

by Italy as having a privileged status.

The Lateran Pacts negotiated by Cardinal Pietro Gasparri, Secretary of State of the Holy See, and Benito Mussolini. Prime Minister and Head of Government of the Kingdom of Italy consists of two basic accords.

The first, by treaty, addresses the financial relations between Italy and the Holy See, and the second, by Concordat ensures the free and public expression of the Roman Catholic religion and recognizes the Catholic religion as “the sole religion of the Italian State”.

The subsequent Italian Republic not only recognized the Lateran Pacts, but also decided to give them constitutional rank.

Article 7 of the Italian Constitution, by proclaiming that “the State and the Catholic church are each independent and sovereign” establishes, in fact, that their relations are regulated by the Lateran Pacts,” and that “changes to the Pacts, accepted by both parties, do not require a revisionof the Constitution”.

Since the new Constitution contained provisions that could have caused conflicts with those of the Pacts of 1929, new negotiations were initiated to modify

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nel tradizionale fondo di celebrazione della stipula dei Patti Lateranensi, il nuovo Concordato del 1984 risponde a ben precise esigenze sentite non soltanto dall’Italia, ma anche dalla stessa Chiesa cattolica, alla luce degli orientamenti del Concilio Vaticano II. L’organo della Santa Sede ha sottolineato che l’allora Pontefice Giovanni Paolo II sostenne fermamente il nuovo Accordo come inizio di una nuova fase nelle relazioni tra Chiesa e Stato in Italia, improntata ad un più forte impegno e ad una più stretta collaborazione nella promozione della dignità umana e del benessere del Paese, nel rispetto della reciproca indipendenza e sovranità. Alla luce di queste premesse le relazioni bilaterali tra l’Italia e la Santa Sede possono definirsi eccellenti. In occasione dell’ultima visita ufficiale di Papa Benedetto XVI al Presidente della Repubblica Italiana il 24 giugno 2005, il Capo dello Stato ha sottolineato che le relazioni tra i due Paesi offrono un “esempio tangibile di come si possano comporre, in spirito di pace, le controversie tra gli Stati” e costituiscono un modello di armoniosa convivenza e collaborazione “radicata nella multiforme realtà del nostro Paese”. L’Italia e la Santa Sede – ha affermato il Presidente Ciampi - “condividono valori fondamentali: il rispetto della dignità dei diritti di ogni essere umano, la famiglia, la solidarietà, la pace”. La convergenza su tali valori “alimenta una crescente collaborazione anche di fronte ai problemi del mondo” e dà origine alla definizione di obiettivi congiunti diretti a realizzare il pieno sviluppo dell’individuo nelle sue dimensioni culturale, spirituale e religiosa. In particolare il Presidente Ciampi ha voluto sottolineare come “l’impegno per il consolidamento di un ordine internazionale, ancorato al rispetto della persona umana e al primato del diritto, richiede un dialogo intenso e costruttivo tra le culture e le religioni, ai fini del superamento delle disuguaglianze e dei conflitti” e come, pertanto, “Santa Sede e Italia possono contribuire, ognuna per la propria parte, ad ampliare lo spazio della ragione e del dialogo tra i popoli”. Dal canto suo, in tale occasione, il Santo Padre ha dato atto all’Italia dell’impegno a favore della solidarietà e della pace, profondamente radicato nella tradizione culturale cristiana del popolo italiano, sottolineando che “in virtù della sua storia e della sua cultura, l’Italia può recare un contributo validissimo in particolare all’Europa, aiutandola a riscoprire quelle radici cristiane che le hanno permesso di essere grande nel passato e che possono ancora oggi favorire l’unità profonda del Continente”.

Benedetto XVI ha inoltre riconosciuto i “vincoli particolarissimi” che legano l’Italia e la Santa Sede ed ha

the Concordat which was finally signed on the 18th of February 1984.

On the occasion of the anniversary of the Pacts, (11 February 2006) the “Osservatore Romano” remarked that the Concordat of 1984 reflected precise needs felt not only by Italy, but also by the Catholic Church and Vatican II. The Vatican daily stressed that the then Pope John Paul II firmly supported the new Concordat for it represented a new phase in the relations between the Church and the Italian State, and added that these relations were characterized by a greater effort and a more intimate collaboration for promoting human dignity and the wellbeing of the country while mindful of each other’s independence and sovereignty.

In light of these premises, the bilateral relations between Italy and the Holy See can be defined as excellent.

On the occasion of the last official visit of Pope Benedict XVI to the President of the Italian Republic on the 24th of June 2006, the President stressed that the relations between the two countries, offer “a tangible example of how it is possible in the spirit of peace, to handle relations among States, and how such relations represent a model of cooperation and collaboration “grounded in the multifaceted reality of our country”.

Italy and the Holy see, affirmed President Ciampi, share fundamental values: “the respect and dignity of the individual, the family, solidarity, and peace, and the convergence to these values nourishes a growing collaboration also vis a vis world problems”.

Those values also help to define common objectives directed at realizing the development of the individual in his/her cultural, spiritual and religious development.

In particular, President Ciampi wanted to stress how “the effort to consolidate an international order respectful of the individual and of the primacy of human rights, requires an intense and constructive dialogue among (different) cultures and religions, in order to overcome inequalities and conflicts.”

He also added that “ the Holy See and Italy can each contribute to amplify the space given to reason and dialogue among people.”

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espresso il proprio desiderio di mantenere e promuovere il cordiale spirito di collaborazione esistente. Nei ventidue anni trascorsi dalla sua firma, l’attuazione dell’Accordo del 1984 si è sviluppata costantemente e regolarmente in piena collaborazione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Segreteria di Stato Vaticana e la Conferenza Episcopale Italiana. Presso la Presidenza del Consiglio è stata istituita fin dal 1984 una apposita Commissione per l’attuazione delle disposizioni concordatarie, la quale, di volta in volta, incontra la delegazione nominata dalla Santa Sede per la predisposizione delle intese previste dall’Accordo aventi il fine di definire bilateralmente, anche in via interpretativa, determinate questioni di comune interesse. Anche recentemente le Commissioni sono tornate a riunirsi per definire questioni connesse all’assistenza spirituale ai cattolici appartenenti alle Forze armate, agli agenti di polizia e servizi assimilati, ai ricoverati negli ospedali, ai detenuti nelle carceri, al riconoscimento dei titoli accademici rilasciati da università e facoltà ecclesiastiche ecc. Per quanto riguarda le problematiche afferenti all’attuazione del Trattato Lateranense, esse sono invece normalmente oggetto di trattazione attraverso i canali diplomatici (Ministero Affari Esteri e Segreteria di Stato, con l’intervento dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede e della Nunziatura Apostolica presso la Repubblica Italiana). In questo quadro hanno trovato composizione negli ultimi anni varie questioni come quelle relative al canone dovuto per lo smaltimento delle acque reflue, sono in via di finalizzazione le questioni delle emissioni elettromagnetiche dell’impianto di Radio Vaticana di Santa Maria di Galeria. A conclusione di questi brevi cenni sulle relazioni diplomatiche tra l’Italia e la Santa Sede occorre infine sottolineare il ruolo dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Essa svolge il normale compito istituzionale delle Rappresentanze diplomatiche, facendo da tramite fra le Istituzioni e il Governo italiano da una parte e le Autorità vaticane dall’altra sulle questioni di comune interesse. Oltre a ciò all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede compete un ruolo del tutto peculiare. Infatti, in base all’art. 12 del Trattato del Laterano, essa funge da intermediario fra le Rappresentanze diplomatiche straniere accreditate presso la Santa Sede e le Autorità italiane al fine di assicurare alle prime, che hanno la propria sede all’interno del territorio italiano, e ai loro agenti diplomatici il godimento di tutte le prerogative e le immunità loro dovute a norma del diritto internazionale, alla stessa stregua delle Ambasciate e dei diplomatici accreditati presso lo Stato italiano.

On such occasion the Holy Father recognized Italy’s effort toward solidarity and peace grounded in the Christian cultural tradition of the Italian people, and underlined that, by virtue of its history and culture, Italy can make a very valid contribution to Europe, by helping it rediscover the Christian roots of its past greatness and contribute to a more a more perfect unity.

Benedict XVI also recognized “the special ties” between Italy and the Holy See, and expressed his desire to maintain the existing cordial spirit of collaboration.

In the twenty-two years since the signing of the Lateran Pacts, the implementation of the Accord of 1984 has been regularly implemented in full collaboration with the Presidency of the Council of Ministers, the Vatican Secreteriat, and the Conference of Italian Bishops.

A commission formed by the Presidency of the Council of Ministers meets from time to time with a delegation from the Holy See to discuss the provisions of the Accord with the aim of defining and interpreting questions of common interest.

Recently both parties have met with regard to giving spiritual assistance to Catholics in the armed forces, police agents and related agencies, hospital patients, prisons inmates, as well as the recognition of academic titles granted by Catholic universities.

With regard to problems connected with the actualization of the Lateran Treaty, they are normally handled via diplomatic channels (Foreign Office, State Secretariat, the Italian Embassy at the Vatican, and the Apostolic Nunciature).

Lately, within this context were discussed questions such as the canon for solving the of backed-up waters and the electromagnetic emissions generated by the antennas of Vatican radio at Santa Maria di Galera.

Finally it must be noted that the Italian Embassy, along with its normal institutional function, in accordance with Article 12 of the Treaty, also acts as an intermediary among the various foreign embassies accredited to the Vatican but located on Italian soil, and insures that those diplomats are accorded all the privileges and immunities granted by international law.

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Ordine di Malta

Ordine di Malta Ambasciata del Sovrano Militare Ordine di Malta presso la Santa Sede S.E. ALBERTO LEONCINI BARTOLI

Ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta presso la Santa Sede

Il Sovrano Militare ed Ospedaliero Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta

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e origini del Sovrano Militare ed Ospedaliero Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta - meglio conosciuto come l’Ordine di Malta risalgono all’undicesimo secolo. Quando i crociati giunsero a Gerusalemme nel 1099 dopo Cristo, gli Ospedalieri gestivano l’Ospedale di S. Giovanni Battista, istituito intorno al 1048 per curare i pellegrini che andavano in Terra Santa, per i Cristiani indigeni e per la popolazione ebrea e musulmana. Nel 1113, con una bolla pontificia di Papa Pasquale II , fu fondato un Ordine Religioso, il quale doveva difendere il territorio malato e Cristiano. Oggi, la sua missione è esclusivamente umanitaria, poiché il ruolo militare si è concluso con la perdita del suo territorio nel 1798.

In conformità con la Carta Costituzionale, lo scopo del Sovrano Ordine di Malta, è rappresentato dalla “ diffusione delle … virtù Cristiane di carità e di fratellanza. L’Ordine rivolge i suoi impegni caritatevoli ai malati, ai bisognosi e ai profughi, senza distinzione di religione, razza, origine o età. Inoltre svolge i suoi compiti istituzionali, in particolar modo nell’ambito ospedaliero, compresa l’assistenza sanitaria e sociale, dando aiuto alle vittime di gravi disastri e della guerra…”. L’Ordine ha una presenza costante in molti paesi del mondo, sia evoluti che in via di sviluppo. Questa presenza si è incrementata in nove secoli di storia colorita, in cui ha preso parte ai grandi scambi tra Europa, bacino Mediterraneo ed il resto del mondo, estendendo

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he origins of the Sovereign Military and Hospitaller Order of St John of Jerusalem, of Rhodes and of Malta – better known as the Order of Malta – go back to the eleventh century. When the crusaders arrived in Jerusalem in AD 1099, the Hospitallers were administering the Hospital of St John the Baptist, which had been established around 1048 to care for pilgrims coming to the Holy Land and for the indigenous Christian, Jewish and Muslim population.

Made a religious Order by a bull issued by Pope Pascal II in 1113, the Order had to defend the sick and Christian territory. Today, its mission is an exclusively humanitarian one, as its military role ended with the loss of its territory in 1798.

In accordance with the Constitutional Charter, the purpose of the Sovereign Order of Malta is ‘the promotion of… the Christian virtues of charity and brotherhood. The Order carries out its charitable works for the sick, the needy and refugees without distinction of religion, race, origin or age. The Order fulfils its institutional tasks especially by carrying out hospitaller works, including health and social assistance, as well as aiding victims of exceptional disasters and war…’

The Order has a permanent presence in most countries in the world, both developed and developing.

This presence has been built up over nine centuries of colourful history, in which it took part in the great

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la sua missione fino a ricoprire il maggior numero di aree geografiche in cui la missione caritatevole poteva essere realizzata con successo.

A causa della sua esperienza centenaria e dell’impegno attivo dei suoi membri in varie direzioni della società, l’Ordine è stato in grado di adattare rapidamente le sue risorse ed i suoi metodi, mantenendo costantemente i suoi impegni, per essere in grado di fronteggiare le nuove e sempre crescenti necessità di assistenza medica, di pronto intervento e di missione umanitaria. Oggi l’Ordine è una più estesa e professionale organizzazione in termini di aiuto umanitario, assistenza medica e di medicina di pronto intervento e si occupa della gestione degli ospedali, delle case di cura speciali per persone anziane dipendenti, dei centri di assistenza medico – sociali,della raccolta e del trasporto di medicine, della formazione del personale e dello staff di ambulanze. La grande tradizione del lavoro di carità dell’Ordine di Malta si rinnova quotidianamente nei suoi ospedali, cliniche e centri di assistenza in oltre 120 paesi; grazie all’impegno dei suoi 12 mila membri, 80 volontari permanenti, 11 mila medici e paramedici; grazie alle iniziative dei suoi 10 Priorati e 46 Associazioni Nazionali. Si aggiunge il lavoro del Maltese Internazionale, il corpo di pronto soccorso, al quale per mezzo secolo è stata destinata una larga parte di emergenza: disastri naturali, epidemie o conflitti armati. Sia che fosse di routine che straordinaria, la missione non cambia mai. E nemmeno i beneficiari: anziani, disabili, senza tetto, malati terminali, lebbrosi, bambini e tossico dipendenti. Durante il 2005 l’Ordine di Malta ha perseguito fermamente la sua missione nelle regioni in cui le sue strutture erano già presenti, o in cui si è introdotto per assistere: - in Afghanistan, in cui è presente dal 2002 per aiutare le famiglie dei profughi; - in Sudan / Darfur, in cui è presente da molti anni, per migliorare il sistema sanitario: 420,000 persone definite “ profughi” stanno attualmente beneficiando del programma di prevenzione della malaria; - in Romania, durante le alluvioni di Luglio; - in Agosto, durante la carestia del Niger e Mali; - a New Orleans,in seguito al disastro causato dall’uragano Katrina; - in Cambogia e Vietnam, con i programmi di lotta contro la lebbra; - e, naturalmente, nel Sud-Est dell’Asia, dove un

exchanges between Europe and the Mediterranean basin and the rest of the world, gradually extending its scope to cover most of the geographical areas in which its charitable mission could usefully be conducted.

Because of its centuries-old experience and its members’ active involvement in the major trends in society, the Order has been able to adapt its resources and methods rapidly, keeping constantly up to date, to be in a position to tackle the new and ever-growing needs for medical aid, emergency relief and humanitarian mission.

Today the Order is a major global, professional organisation in terms of the humanitarian aid, medical care and emergency medicine it provides, in its management of hospitals, specialised homes for dependent elderly people, socio-medical care centres, the collection and transporting of medicines and the training of workers and ambulance staff. The great tradition of the Order of Malta’s charity work is renewed daily in its hospitals, clinics and welfare centers in over 120 countries; through the commitment of its 12 thousand members, 80 permanent volunteers, 11 thousand doctors and paramedics; through the initiatives of its 10 Priories and 46 National Associations. And again, with the work of Malteser International, the relief corps which for half a century has been addressing great emergencies: natural disasters, epidemics or armed conflicts. Routine or extraordinary, the mission never changes. Nor do its beneficiaries: the aged, the disabled, refugees, the homeless, the terminally ill, lepers, children, or drug addicts.

During 2005 the Order of Malta steadfastly pursued its mission in regions where its structures were already present or were brought in to assist: - In Afghanistan, where we have had a presence since 2002, we aided the refugee families; - In Sudan/Darfur, where we have been present for many years, we worked to improve the health system: 420,000 people defined as ‘refugees’ are currently benefiting from the malaria-prevention programme; - In Romania, during the July floods; - In August, during the food shortage in Niger and Mali; - New Orleans, following the disaster caused by hurricane Katrina; - Cambodia and Vietnam, with programmes for combatting leprosy;

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anno dopo lo tsunami, il corpo di pronto soccorso dell’Ordine, il Maltese Internazionale, mettendo insieme i mezzi medici e logistici di tutte le Associazioni dell’Ordine, sta lavorando su 65 programmi di riabilitazione e ricostruzione in Indonesia, Sri Lanka, India e Thailandia. I principali obiettivi sono le cure mediche essenziali, l’assistenza psicologica, la ricostruzione delle case, delle scuole ed il sistema di distribuzione dell’acqua potabile, così come il sostegno per i bambini che hanno perso i loro genitori. L’80 % dei 30 milioni di euro raccolti dalle varie Associazioni dell’Ordine è già stato speso o investito. I prossimi programmi di riabilitazione e ricostruzione necessitano di altri 20 milioni di euro, che saranno ricoperti dai fondi ottenuti dai membri dell’Ordine.

- and, of course, south-east Asia, where a year after the tsunami, the Order’s emergency relief corps, Malteser International, pooling the medical and logistic means of all the Order’s National Associations, is working on 65 rehabilitation and reconstruction programmes in Indonesia, Sri Lanka, India and Thailand. The main objectives are basic medical treatment, psychological assistance, reconstruction of houses, schools and drinking- water distribution systems, as well as support for children and young people who have lost their parents. 80% of the 30 million euro collected by the Order’s various Associations has already been spent or invested. The future rehabilitation and reconstruction programmes need another 20 million euro, which will be covered by funds raised by the Order’s members.

Il Sistema Governativo dell’Ordine

Government of the Order

Il Sovrano Ordine di Malta è un sovrano soggetto a diritto internazionale. L’Ordine - che è situato a Roma, in via Condotti - ha un proprio sistema Governativo, una magistratura indipendente, relazioni diplomatiche bilaterali con 94 paesi e gli è stato concesso lo status di Osservatorio Permanente,in molte organizzazioni internazionali, così come le Nazioni Unite. Le sue attività operative sono gestite da sei Grandi Priori, quattro Sottopriori e 46 Associazioni Nazionali di Cavalieri in cinque continenti. L’Ordine rilascia un proprio passaporto, stampa propri francobolli e crea istituzioni pubbliche, con una personalità giuridica indipendente. L’Ordine è amministrato dalla Carta Costituzionale a dal Codice, riformato nel 1997. Il Grande Maestro amministra l’Ordine sia come sovrano che come capo religioso.

Egli viene eletto a vita, dichiarato con un giuramento perpetuo, all’interno dei Cavalieri. Inoltre è assistito dal Consiglio Supremo,composto da quattro alte cariche - Grande Commendatore, Gran Cancelliere, Grande Ospedaliere, e Ricevitore del Comun Tesoro – così come altri sei membri, tutti eletti dal Capitolo Generale dell’Ordine, per un periodo di cinque anni.

Il Consiglio di Governo e il Comitato dei Revisori, la cui composizione rispecchia il carattere internazionale dell’Ordine, assistono il Grande Maestro ed il Consiglio Supremo. Il Capitolo Generale elegge anche questi due organi per un periodo di cinque anni.

The Sovereign Order of Malta is a sovereign subject of international law. The Order - which is based in Rome, in via Condotti - has its own Government, an independent magistracy, bilateral diplomatic relations with 94 countries and is granted the status of Permanent Observer in many international organisations, such as the United Nations. Its operational activities are managed by the six Grand Priories, four Subpriories and 46 National Associations of Knights in the five continents. The Order issues its own passports and stamps and creates public institutions, endowed with independent juridical personality.

Order's life is governed by the Constitutional Charter and the Code, reformed in 1997. The Grand Master governs the Order both as sovereign and religious head. He is elected for life, within the professed knights in perpetual vows. He is assisted by and presides over the Sovereign Council, which is composed of four high offices - Grand Commander, Grand Chancellor, Grand Hospitaller, and Receiver of the Common Treasure - as well as six other members, all elected by the Order's Chapter General for a fiveyear term.

The Council of Government and the Board of Auditors, whose compositions reflect the international character of the Order, assist the Grand Master and the Sovereign Council. The Chapter General also elects these two bodies for a five-year term.

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La Spiritualità dell’Ordine

The Spirituality of the Order

Dopo un migliaio di anni di vita, di lotte, di avventure, a volte tristi, a volte no, ma soprattutto che hanno testimoniato la loro Cristianità e Cavalleria, l’appello dell’Ordine, o il suo carisma, è tanto valido nel ventunesimo secolo, quanto lo era nel decimo, e continua a trarre ispirazione dalle sue origini. La ragione per cui è stato fondato come un Ordine Ospedaliero da Blessed Gerard a Gerusalemme – “tuitio fidei et obsequium pauperum “ – rappresenta ancora la forza motrice di oggi. Questa è la sua storia e la sua esperienza. Essa esprime la sua convinzione nel principio: testimoniare la fede e prestare assistenza a tutti coloro che necessitano di - salute, vivere bene, beni materiali, gioia, bisogni spirituali. Questo principio è quello che continua a rendere attivo l’Ordine oggi e a guidare il suo futuro.

C’è una profonda e misteriosa coincidenza con l’Evangelista: “ Tutte le leggi ed i Profeti sono d’accordo che dobbiamo amare il Signore nostro Dio con tutto il nostro cuore ed il prossimo come noi stessi”.

Dio e i nostri fratelli e sorelle Fede e carità Preghiera e lavoro “tuitio fidei et obsequium pauperum”.

After a thousand years of life, of struggles, of adventures, sometimes sad, sometimes not, but above all testifying to their Christianity and chivalry, the appeal of the Order, or its charisma, is as valid in the twenty first century as it was in the tenth, and it continues to take its inspiration from its origins.

The reason for which it was founded as a hospitaller Order by Blessed Gerard in Jerusalem – “tuitio fidei et obsequium pauperum” – is still its driving force today.

This is its history and its experience. It expresses its conviction in the principle: witness to the faith and service to those with needs of every kind – of health, well being, material goods, joy, spiritual need.

This principle is what continues to activate the Order today and guide its future.

There is a profound and mysterious coincidence with the Evangelist: “All the laws and the Prophets are in agreement that we must love the lord our God with all our hearts and our neighbours as ourselves”.

God and our brothers and sisters Faith and charity Prayer and work “tuitio fidei et obsequium pauperum”.

Questo principio è diventato il motto del pensiero monastico occidentale. Preghiera e lavoro rappresentano la fede in azione, portando il bene a tutte le cose.

L’inseparabile combinazione tra realtà spirituale e attualità materiale rappresenta la base dell’incarnazione di Cristo divenuto uomo, per noi e per la nostra salvezza. L’uomo è composto di corpo ed anima, di bisogni spirituali e morali, di richieste fisiche e materiali. Egli è affamato sia di Dio che di pane, ed esprime la sua fame nell’appassionata preghiera che arriva a noi: “Padre, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà sulla terra come è in cielo, dacci oggi il pane quotidiano e perdona i nostri peccati.”

Fede e carità sono sempre caratteristiche vincolanti della testimonianza Cristiana per tutti coloro che operano al cospetto degli otto punti delle croce bianca, il simbolo delle otto Beatitudini, nello spirito dell’esercito Cristiano. Appartenere all’Ordine è un onore, ma è anche un richiamo all’azione caritatevole, un impegno concreto ed un’autentica vocazione.

This principle has become the motto of all Western monasticism. Prayer and work are the faith in action, bringing good to all. This inseparable combination, between spiritual reality and material actuality is the basis of the incarnation of Christ made man, for us and for our salvation. Man is composed of body and soul, of spiritual and moral needs, of physical and material demands. He is hungry both for god and bread and expresses this hunger in the impassioned prayer which comes down to us: ‘Father, thy kingdom come, thy will be done on earth as it is in heaven, give us this day our daily bread and forgive us our trespasses’. Faith and charity are always the binding characteristics that make up the Christian testimony for all those who work under the eight-pointed white cross, the symbol of the eight Beatitudes, in the spirit of a Christian army. Belonging to the Order is an honour, but it is also a call to charitable action, a real commitment and a true vocation.

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L’Ordine di Malta e la Santa Sede

The Order of Malta and the Holy See

L’Ordine gode di una speciale relazione con la Santa Sede, il cui riconoscimento dei suoi privilegi da parte del Papa Pasquale II nel 1113 ne fa uno dei più antichi Ordini religiosi della Chiesa Cattolica Romana.

Lo Stato Sovrano dell’Ordine di Malta in quanto personalità giuridica è completamente distinta dal suo stato come Ordine Religioso, e quest’ultimo non interferisce in alcun modo con la sua autonomia. Il Sovrano Ordine è annoverato tra quegli Stati che hanno accreditato missioni diplomatiche presso la Santa Sede.

L’Ordine di Malta è rappresentato presso la Santa Sede da un ambasciatore che è attualmente Ambasciatore Alberto Leoncini Bartoli. Il Rappresentante Particolare del Santo Padre, chiamato il Cardinale Patronus, è attualmente S.E. Cardinale Pio Laghi. Ogni anno il Grande Maestro ed il Consiglio Supremo vengono formalmente ricevuti dal Santo Padre nel giorno della ricorrenza di S. Giovanni Battista, il 24 Giugno. Il Santo Padre, Giovanni Paolo II, ha definito l’appello dell’Ordine in questo modo: un’autentica ricchezza della Chiesa per il suo consenso evangelico, per il suo straordinario potere di sintesi tra cielo e terra, per la sua rilevanza al presente in questo mondo non religioso, che ha un forte bisogno di una presenza decisiva per prendersi cura degli esuli sociali di oggi.

The Order enjoys a special relationship with the Holy See, whose confirmation of its privileges in a Bull of Pope Paschal II of 1113 makes it one of the oldest Religious Orders of the Roman Catholic Church. The Sovereign status of the Order of Malta inherent in its legal personality is entirely distinct from its status as a Religious Order, and the latter does not in any way impinge on its autonomy.

The Sovereign Order it is listed among those States which have accredited diplomatic missions to the Holy See. The Order of Malta is represented to the Holy See with an ambassador who is currently Amb. Alberto Leoncini Bartoli.

The Special Representative of the Holy Father, called the Cardinalis Patronus, is currently H.E. Cardinal Pio Laghi.

Each year the Grand Master and the Sovereign Council are formally received by the Holy Father on the feast day of St. John the Baptist the 24th of June.

The Holy Father, John Paul II, defined the appeal of the Order in this way: an authentic richness of the Church, for its evangelical accord, for its extraordinary power of synthesis between heaven and earth, for its relevance to the present in this irreligious world, which is in great need of a decisive presence to care for today’s social outcasts.

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Repubblica di Cina Repubblica di Cina

Ambasciata della Repubblica di Cina (Taiwan) S.E. CHOU-SENG TOU

Ambasciatore della Repubblica di Cina (Taiwan) presso la Santa Sede

Riflessioni sulle relazioni fra la Santa Sede, Taiwan e Cina

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e relazioni diplomatiche fra la Repubblica di Cina (Taiwan) e la Santa Sede sono spesso fonte di discussione e speculazione a causa della possibile “ripresa” delle relazioni diplomatiche fra la Repubblica Popolare Cinese (RPC) e il Vaticano. Dal 1985, la RPC pone due condizioni per il verificarsi delle dette relazioni: 1) La Santa Sede deve interrompere le relazioni diplomatiche con Taiwan prima di avviare qualsiasi dialogo e deve ammettere che la RPC costituisce “l’unico” legittimo governo cinese, Taiwan essendo una parte inseparabile della Cina; 2) La Chiesa cattolica deve astenersi dall’interferire negli affari interni della Cina nel nome della religione. La Santa Sede ha più volte dichiarato di essere pronta a spostare la propria Nunziatura da Taipei a Pechino appena la libertà di religione verrà rispettata in Cina continentale; tuttavia la seconda condizione sembra di più difficile soluzione, poiché comprende questioni spinose come la nomina dei Vescovi, la comunione fra la Chiesa locale cinese e la Chiesa universale, in altre parole la soggezione della Chiesa cattolica all’ “Associazione Patriottica dei Cinesi Cattolici” controllata dal governo, ecc.

Piuttosto che cercare di fornire una determinata posizione sulla questione summenzionata, è probabilmente più saggio dare al lettore la possibilità di ponderare su alcune domande che vengono poste di frequente basandosi sui fatti e sulle riflessioni che

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he diplomatic relations between the Republic of China (Taiwan) and the Holy See are often matter of discussion and speculation due to a possible “reprise” of diplomatic relations between the People’s Republic of China (PRC) and the Vatican.

The PRC has since 1985 set two preconditions: 1) The Holy See must sever diplomatic relations with Taiwan before any dialogue can start and must admit that the PRC is the “sole” legitimate Chinese government and that Taiwan is an inseparable part of China; 2) The Catholic Church should refrain from interfering in the name of religion in China’s domestic affairs. Whereas the Holy See has more than once stated that is it is ready to move its Nunciature from Taipei to Beijing when religious freedom is fully respected on mainland China, the second one seems to be more difficult to solve, as it includes thorny issues such as the nomination of Bishops, the communion between the local Chinese Church with the Universal Church, in other words the control of the Catholic Church by government-controlled “Chinese Catholic Patriotic Association”, etc.

Rather than try to provide a definite position on the said issue, it is probably wiser to let the reader ponder on some frequently asked questions based on the following facts and reflections.

In 1922 Pope Pius XI appointed Archbishop Celso

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seguono. Nel 1922 Papa Pio XI nominò l’Arcivescovo Celso Costantini primo Delegato Apostolico in Cina. Mons. Costantini si stabilì nella città di Peiping (oggi Pechino) e nel 1924 organizzò la prima Conferenza Cattolica Cinese a Shanghai che stabiliva i principi fondamentali della missione cattolica in Cina. Grazie anche alle sollecitazioni di Mons.

Costantini, sei sacerdoti cinesi furono consacrati Vescovi a Roma nel 1926. L’otto dicembre del 1939, la Congregazione informò ufficialmente la Chiesa in Cina tramite Decreto Papale che ai cattolici cinesi era permessa la venerazione di Confucio e degli antenati. Finiva così la “Questione dei Riti cinesi” che era durata quasi tre secoli. Nel 1942, furono formalizzate le relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e il governo della Repubblica di Cina (ROC) (il governo della Repubblica Popolare Cinese (RPC) non era ancora stato costituito). Il Dr. Hsieh Shou-k’ang arrivò a Roma nel gennaio del 1943 in qualità di primo Ministro Plenipotenziario della Repubblica di Cina presso la Santa Sede. Tre anni più tardi nel 1946, l’Arcivescovo Antonio Riberi fu inviato a Nanchino dal Vaticano in qualità di primo Internunzio. Nel 1949, i cinesi Comunisti vinsero la Guerra Civile e il governo della ROC fu costretto a trasferirsi da Nanchino a Taipei, sull’isola di Taiwan.

Msgr. Riberi, che non era mai stato riconosciuto da Pechino, fu espulso dalla Cina nel 1951 e riassunse le sue funzioni a Taiwan nel 1952. In base ai dati storici sopra enunciate, si evince che il Vaticano intrattiene rapporti diplomatici con la Repubblica di Cina da 63 anni e che non ha mai allacciato relazioni formali con la Repubblica Popolare Cinese. Il Vaticano sarebbe dunque disposto ad allinearsi alla posizione presa dalla maggioranza dei paesi del mondo, riconoscendo che Taiwan fa parte della RPC per fini politici, economici e commerciali e ignorando il fatto che la Repubblica di Cina a Taiwan è uno stao indipendente e sovrano dal 1912? Sebbene la giurisdizione della ROC sia limitata a Taiwan con un territorio di soli 36.000 km_ e una popolazione di 23 milioni, sia in termini di area che di popolazione Taiwan è più grande di _ dei paesi membri delle Nazioni Unite. La realtà attuale è che esistono due governi indipendenti l’uno dall’altro sulle due sponde dello stretto di Taiwan, contrariamente a ciò che dichiara Pechino, cioè che il governo della RPC e “l’unico e legittimo”

Costantini as the first Apostolic Delegate in China.

Msgr. Costantini established himself in the city of Peiping (today’s Beijing) and, in 1924, organized the first Catholic Chinese Conference in Shanghai which set forth the basic principles of the Catholic mission in China.

Upon his recommendation, six Chinese priests were consecrated Bishops in Rome in 1926. On December 8, 1939, the Congregation officially instructed the Church in China by a Papal decree that the Chinese Catholics were allowed to revere Confucius and their ancestors, thus ending the “Rites Controversy” which had persisted between the Catholic Church and the Chinese State for almost three centuries.

In 1942, diplomatic relations were established between the Holy See and the government of the Republic of China (ROC), (the government of the People’s Republic of China (PRC) had not been established yet).

Dr. Hsieh Shou-k’ang arrived in Rome in January 1943, as the first Plenipotentiary Minister of the Republic of China to the Holy See. Three years later, in 1946, Archbishop Antonio Riberi was sent to Nanking by the Vatican as the first Internuncio.

After the Chinese Communists won the Civil War in 1949, the ROC government was forced to move from Nanking to Taipei on the island of Taiwan. Msgr.

Riberi, who had never been recognized by Beijing, was expelled from China in 1951 and reassumed his function in Taiwan in 1952.

Based on the above historical facts, the Vatican has had formal relations with the ROC for 63 years, it has never established diplomatic relations with PRC. Would the Vatican align its position to the majority of the countries in the world, recognizing that Taiwan is part of PRC for political, economic, and commercial purposes, while neglecting the the Republic of China on Taiwan is an independent and sovereign country since 1912? Despite the fact that ROC’s jurisdiction has been limited to Taiwan with territory of only 36,000 km_ and population of 23 million, both in terms of surface and population Taiwan is larger than _ of the member countries of the United Nations.

The present reality is that there are two governments independent of each other on both sides of the Taiwan

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governo della Cina. In effetti, la RPC non ha mai governato su Taiwan, neanche per un giorno. Nel 1999 e ancora nel 2005, il Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, dichiarò che il Vaticano era pronto a spostare la Nunziatura da Taipei a Pechino “se è possibile questa sera, non domani”, se Pechino avesse acconsentito e se il popolo in Cina continentale avessero goduto della libertà di religione. Supponendo che sia effettivamente così semplice spostare un’Ambasciata da un paese a un altro, questo vorrebbe dire che il Vaticano considera come inesistenti 63 anni di relazioni diplomatiche? La Curia Romana è pronta ad ignorare i 23 milioni di persone a Taiwan in generale e i 300.000 cattolici sull’isola in particolare come se non avessero nessun valore?

Molti osservatori considerano che la condizione posta dalla Cina circa la rottura delle relazioni con Taiwan sia un mero alibi per nascondere la mancata volontà di Pechino ad allacciare relazioni con la Santa Sede. Le autorità cinesi dovrebbero comprendere che la Santa Sede è un’entità particolare, con autorità morale, non uno dei tanti Stati politici. Scopo unico dell’attività diplomatica della Santa Sede è di ottenere la pace e di portare a termine la missione pastorale della Chiesa.

Questa missione si antepone a qualsiasi altro esito positivo diplomatico. Essendo la missione del Papa di natura religiosa, come può la Santa Sede accettare le condizioni imposte da Pechino? Per la Chiesa, la diplomazia e solo uno strumento per promuovere i diritti e la libertà da essa professati. Quando il governo di Pechino sarà pronto a garantire questi diritti da lungo tempo attesi dalla Chiesa, allora sì che si risolveranno i dissidi diplomatici. Il popolo della ROC a Taiwan sarebbe molto compiaciuto nel vedere i suoi fratelli e le sue sorelle sull’altra sponda dello Stretto di Taiwan godere della libertà di religione in futuro.

Ciò nonostante, Taiwan desidera conservare le relazioni col Vaticano e rinuncerebbe ad esse molto mal volentieri, se il Vaticano dovesse operare una scelta del genere. Taiwan attribuisce una grande rilevanza alla particolare natura religiosa della diplomazia della Santa Sede che non ha niente a che vedere con quella di altre nazioni che hanno interrotto le relazioni con la ROC. La gente a Taiwan accetterebbe di vedere un riavvicinamento fra Vaticano e RPC perché se il popolo della Cina continentale potesse godere della libertà di religione questo vorrebbe anche dire che esso può godere dei diritti fondamentali della

Strait, contrary to Beijing’s claim that the PRC government is the “sole and legitimate” government of China.

As a matter of fact, PRC has never ruled over Taiwan, not a single day.

In 1999 and again in 2005 Cardinal Angelo Sodano, Secretary of State, stated that the Vatican was ready to move the Nunciature from Taipei to Beijing “if possible tonight, not even tomorrow” if Beijing agreed and if people on mainland China could enjoy religious freedom.

Supposing that it is so easy to move an Embassy from one country to another, would this mean that the Vatican regards 63 years of diplomatic relations as non-existent? Is the Roman Curia ready to disregard the 23 million on Taiwan in general and the 300,000 Catholics on the island in particular as though they had no value whatsoever?

Many observers feel China’s pre-condition regarding severing ties with Taiwan is a mere alibi to hide Beijing’s lack of willingness to start relations with the Holy See. The Chinese authorities should understand that the Holy See is a special entity, with a moral authority, not like a political state among many others. The diplomatic activity of the Holy See is only aimed at peace and at the pastoral mission of the Church. This mission comes before all diplomatic success. Since the Pope’s mission is of religious nature, how can the Holy See accept the diplomatic preconditions imposed by Beijing? To the Church, diplomacy is only an instrument to promote its rights and freedom. When the Beijing government will be ready to guarantee these rights which the Church has long waited for, then the diplomatic disputes will be solved.

The ROC population on Taiwan would be pleased to see its brothers and sisters across the Taiwan Strait to truly enjoy religious freedom some day.

Nonetheless, Taiwan wishes to preserve its ties with the Vatican and would be very reluctant to give up relations, if the Vatican must make such a choice.

Taiwan attaches great significance to the particular religious nature of the Holy See diplomacy which has nothing to do with other countries who interrupted relations with the ROC. People in Taiwan would accept to see the Vatican/PRC rapprochement because if people on mainland China will be granted religious freedom

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persona. In questo caso, sarebbe molto più facile arrivare ad una soluzione fra le due sponde dello Stretto di Taiwan. La seconda condizione posta dalla RPC riguarda la nomina dei Vescovi e la non-ingerenza negli affair interni della Cina. Questo significa che i Vescovi non possono comunicare liberamente con Roma o incontrare il Papa durante le visite ad limina come fanno invece i Vescovi del resto del mondo. (Un esempio recente è stata l’assenza dei quattro Vescovi cinesi invitati da Papa Benedetto XVI a partecipare al Sinodo dei Vescovi a ottobre del 2005.) Papa Benedetto XVI, nel primo anno di Pontificato, ha dimostrato la sua forte inclinazione ad ascoltare i pareri e ad avvalersi dell’esperienza dei Vescovi di tutto il mondo. Il Santo Padre sarebbe disposto ad accettare informazioni filtrate sullo stato della Chiesa in Cina? Per i cattolici, il rapporto col Papa è un fatto di coscienza e non ha nulla a che fare con interferenze esterne. L’unità col Papa è un simbolo di unità con la Chiesa Universale e costituisce un elemento essenziale della dottrina della Chiesa. E proprio la Chiesa ha sempre goduto di questa libertà in tutto il mondo, eccetto in Cina e in pochi altri paesi dove la libertà di religione non viene rispettata. Per arrivare ad un accordo pieno con la Santa Sede, il regime Comunista deve necessariamente cambiare mentalità, atteggiamento, comprensione, amministrazione, modo di trattare gli affair religiosi. Esso deve inoltre abolire o ridurre alcune strutture di controllo come l’“Associazione Patriottica dei Cinesi Cattolici” e l’“Ufficio per gli Affari Religiosi”. I leader cinesi sono pronti a fare tutto questo? I vertici di Pechino hanno dichiarato apertamente di essere atei. Essi vogliono che tutte le religioni siano sottoposte al controllo del Partito Comunista Cinese (PCC) in modo da non creare “instabilità sociale”. Il PPC intende controllare tutte le professioni religiose sul continente, in particolare il cattolicesimo, il protestantesimo, il buddismo, il taoismo, l’islamismo. Il Vaticano si aspetta veramente che il governo di Pechino arrivi ad un compromesso e tolleri la supremazia del cattolicesimo rispetto alle altre religioni? In Cina esistono sia la Chiesa ufficiale, la cosiddetta Associazione Patriottica controllata dal governo (circa 5 milioni di membri) che la Chiesa “sotterranea” o “clandestina” (circa 10 milioni di fedeli) che sono leali al Papa e alla Chiesa Universale di Roma. Circa due terzi dei

this will also mean that they can enjoy fundamental human rights. In that case, it would mean that for cross-Strait relations it would be much easier to reach a solution as well.

The second pre-condition set by PRC regards the nomination of Bishops and the non-interference in China’s internal affairs. This means that the Bishops cannot communicate freely with Rome or meet the Pope during the ad limina visits, as do the Bishops in the rest of the world. (A recent example is the absence of four Bishops invited by Pope Benedict XVI to attend the Synod of Bishops in October 2005.) Pope Benedict XVI, in his year-long Pontificate, has shown his strong inclination to listen to the advice and expertise of Bishops all over the world. Is the Holy Father willing to accept filtered information on the state of the Church in China? To Catholics, the relation with the Pope is a matter of conscience and it has nothing to do with foreign interference.

The unity with the Pope is a symbol of the unity with the Universal Church and it is an essential element of the Catholic doctrine.

The Church enjoys this freedom all over the world, except in China and a very few other countries where religious freedom is not respected. A full agreement with the Holy See requires the change of mentality, of attitude, of comprehension, of administration, of dealing with religious affairs on the part of the Communist regime. It also requires abolishing or reducing some control structures like the “Chinese Catholic Patriotic Association” or the “Office for Religious Affairs”. Are Chinese leaders ready to do this? Beijing’s leaders have openly claimed to be atheist. They want all religions to be controlled by the Chinese Communist Party (CCP) so that no religion will lead towards “social instability.” CCP intends to control all religious professions on the mainland, mainly Catholicism, Protestantism, Buddhism, Taoism and Islamism. Does the Vatican truly expect the Beijing government would compromise and tolerate the supremacy of Catholicism over other religions?

In China exists the official government-controlled Patriotic Association (about 5 million members) and the underground Church (about 10 million faithfuls) who are loyal to the Pope and to the Universal Church in Rome. About two thirds of the Bishops who

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Vescovi che sono stati nominati dal governo sono poi stati riconosciuti dal Papa. Nonostante ciò, la Chiesa “clandestina” soffre di continue persecuzioni. Essa si dovrebbe piegare e prestare fedeltà all’Associazione Patriottica? Secondo una stima della “Cardinal Kung Foundation”, una Fondazione che difende attivamente i diritti della persona e che ha preso il nome dall’omonimo Cardinale e che è sotto la direzione del nipote del porporato deceduto, le persecuzioni in Cina oggi sono molto severe: “Ci sono sette Vescovi cattolici detenuti in Cina oggi, dieci sono agli arresti domiciliari e uno è latitante – per non menzionare i 23 sacerdoti che sono o in prigione o nei campi di lavoro forzato. A molti altri è impedito esercitare la loro missione. Se il Vaticano tollera tutto questo, qual è il suo concetto di piena libertà religiosa? È sempre la Cina a porre condizioni alla santa Sede. Non sarebbe opportuno che la Santa Sede imponesse la liberazione di tutti i religiosi in Cina come condizione? La posizione della Santa Sede verso Taiwan e la Cina è stata illustrata dal Cardinale Jean-Louis Tauran in un’intervista rilasciata al China Times di Taipei il 3 giugno 1999, quando il porporato era Arcivescovo e Ministro degli Esteri del Vaticano. In quell’occasione egli spiegò: “Per la Santa Sede, lo scopo primario delle relazioni diplomatiche, sia con la Cina che con altri paesi, è di tutelare la vita della Chiesa e di promuovere la pace nel contesto internazionale attraverso il dialogo. Le nostre relazioni con Taiwan sono caratterizzate dal rispetto reciproco: grazie al fatto che il principio di libertà di religione sull’isola è garantito, la comunità cattolica non ha incontrato difficoltà ed ha fornito un valido contributo al benessere spirituale e materiale del paese”. A marzo 2006, in un’intervista rilasciata alla I-cable TV di Hong Kong, l’Arcivescovo Giovanni Lajolo, attuale Ministro degli Esteri del Vaticano ha dichiarato, “La comunità cattolica a Taiwan è una comunità viva che comprende 7 diocesi e approssimativamente 300.000 fedeli.

Le relazioni della Chiesa cattolica con le autorità politiche di Taipei sono positive e costruttive e la Santa Sede non intende certo indebolire i legami di amicizia coi fedeli né di vicinanza a tutta la popolazione cinese di Taiwan. D’altro canto, è chiaro che la Santa Sede deve prendersi cura delle esigenze spirituali di color che hanno più bisogno del suo aiuto: nella realtà odierna, oltre ai 300.000 cattolici di

have been named by the government have been recognized by the Pope. Nonetheless, the “clandestine” Church suffers continuous persecutions. Should they be forced to pay allegiance to the Patriotic Association? According to an estimate of the “Cardinal Kung Foundation”, an activist defender of human rights named after the belated Cardinal and headed by his nephew, persecution in China today is very severe: “There are seven Catholic Bishops in China currently in prison, 10 under house arrest and one in hiding – not to mention 23 priests either in jails or forced labor camps. Many more are hindered from exercising their mission.

If the Vatican tolerates this, what is its concept of full religious freedom? It is always the PRC setting preconditions to the Holy See. Shouldn’t the Holy See demand that all religious in China be released as its pre-condition?

The Holy See’s position vis-à-vis Taiwan and China has been described by Cardinal Jean-Louis Tauran in an interview with the China Times of Taipei on June 3, 1999, when he was Vatican Foreign Minister.

The then Archbishop explained, “For the Holy See, the first aim of diplomatic relations, with China as with other countries, is that of fostering the life of the Church and of promoting peace in the international context through dialogue.

With Taiwan our relations are marked by mutual respect: thanks to the guarantee of the principle of religious freedom, the Catholic community has not encountered difficulties, and it has, moreover, contributed efficaciously to the material and spiritual good of the country”.

In March 2006, in an interview with Hong Kong’s Icable TV, Archbishop Giovanni Lajolo, current Vatican Foreign Minister stated, “The Catholic community in Taiwan is also a living community, with 7 dioceses and approximately 300,000 faithful. The relations of the Catholic Church with the political Authorities of Taipei are positive and constructive, and the Holy See certainly does not intend to weaken its bonds of friendship with the faithful or of closeness to the entire Chinese population in Taiwan.

On the other hand, it is clear that the Holy See must care for the spiritual needs of those who most need its help: today, in comparison to the 300,000 Catholics in Taiwan, there are several million Catholics in the

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Taiwan, esistono vari milioni di cattolici nella Repubblica Popolare Cinese che hanno bisogno, come ho già detto, di un aiuto speciale dalla Santa Sede.” Quando ho presentato le Lettere Credenziali a Sua Santità Papa Giovanni Paolo II il 30 gennaio del 2004, il Santo Padre espresse sentimenti affettuosi verso il mio paese e mi parlò dell’apprezzamento della Santa Sede per il nostro lavoro umanitario verso i bisognosi in tutto il mondo. Egli disse: “La Repubblica di Cina ha dimostrato rispetto verso le tradizioni religiose esistenti nel proprio paese e riconosce il diritto di tutti i cittadini di professare la propria religione (…) l’Asia è un continente pieno di risorse e grandi civiltà, dove tuttavia si trovano alcune fra le nazioni più povere del mondo e dove oltre la metà della popolazione soffre di privazioni, povertà e sfruttamento. In questo contesto, apprezzo le tante opere di carità della Repubblica di Cina nell’arena internazionale e in particolar modo nel mondo in vai di sviluppo. Spero che il popolo di Taiwan continuerà a promuovere opere di carità e che contribuirà a costruire una pace duratura nel mondo”. Taiwan oggi è come la Cina democratica sarà domani. Le buone relazioni che esistono attualmente fra la Santa Sede e Taiwan riflettono la natura delle relazioni fra il Vaticano e una Cina democratica nel futuro. Forse la Santa Sede dovrebbe avere più pazienza quando tratta con la RPC?

People’s Republic of China who need, as I have already said, special help from the Holy See.” When I presented the Letters of Credentials to His Holiness Pope John Paul II on January 30, 2004, the late Holy Father expressed his affectionate feelings towards my country and the Holy See’s appreciation for our humanitarian work for the needy in the world.

He said, “The Republic of China has shown its respect for the various religious traditions found therein and recognizes the right of all to practice their religion (…) Asia is a continent of plentiful resources and great civilizations, but where some of the poorest nations on earth are to be found, and where more than half the population suffers deprivation, poverty and exploitation.

In this regard, I appreciate the Republic of China’s many works of charity in the international arena and most especially in the developing world. It is my hope that the people of Taiwan will continue to promote charitable activities and thus contribute to the building of an enduring peace in the world.”

Taiwan as it is today is how a democratic China will be tomorrow.

The good relations currently existing between the Holy See and Taiwan reflect the nature of the relationship between the Vatican and democratic China in the future. Should the Holy See need to have more patience in dealing with the PRC?

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Romania Romania

Ambasciata di Romania presso la Santa Sede S.E. MIHAIL DOBRE

Ambasciatore di Romania presso la Santa Sede

Nazione: Romania Capitale: Bucarest Posizione geografica: sud-est dell’Europa Centrale Clima: continentale-temperato, quattro stagioni Territorio: montagne, colline, pianure e delta Popolazione: 21, 680, 976 (Marzo 2003, fonte: Istituto Nazionale di Statistica) Struttura etnica: Romeni – 89,5%; Ungheresi 6,5%; altri gruppi etnici – 1,5% Forma di governo: repubblica Presidente della Romania: Traian B_sescu Potere legislativo: Il Parlamento della Romania, (485 membri nella legislatura 2004-2008, e due rami: il Senato della Romania(140 membri) e la Camera dei Deputati (345 membri).

Presidente Senato: Nicolae V_c_roiu Presidente Camera dei Deputati: Bogdan Olteanu

Nation: Romania Capital city: Bucharest Geographic position: in the south-east of Central Europe Climate: temperate-continental, four seasons Features: mountains, hills, plains, and delta Population: 21,680,976 (March 2003, source: National Statistics Institute) Ethnic structure: Romanians - 89.5%; Hungarians 6.5%; other ethnic groups -1.5% Form of government: republic President of Romania: Traian B_sescu Legislative power: The Parliament of Romania, (485 members in the 2004-2008 legislature), and two houses: the Senate of Romania (140 members) and the Chamber of Deputies (345 members).

Chairman of the Senate: Nicolae V_c_roiu Chairman of the Chamber of Deputies: Bogdan Olteanu

Storia Gli antichi abitanti della Romania furono i Daci, discendenti da una antica civiltà indo-europea.

Nel primo secolo a.C. il re Burebista unifico’ tutte le tribù Dacie sotto il suo scettro gettando così le basi del Regno di Dacia il cui centro politico e religioso fu Sarmizegetusa in Transilvania.

Nel secondo secolo d.C. lo Stato Dacio fiorì sotto il comando di Re Decebal (87-106). Più tardi, le armate romane imperiali guidate dall’Imperatore Traiano (98-117) conquistarono la Dacia (106) che divenne una provincia Romana e fu colonizzata con gente romana o romanizzata.

I Daci furono romanizzati a loro volta. Dopo il ritiro dell’esercito e dell’amministrazione dei Romani a sud del Danubio (271-275), per gli attacchi di popoli

History The ancient inhabitants of the Romanian territories were the Geto-Dacians, the descendents of ancient indo-european civilization. In the 1st century B.C., Dacian King Burebista unified all the Dacian tribes under his sceptre, laying the foundations of the Kingdom of Dacia. This powerful formation had its political and religious centre in Transylvania, at Sarmizegetusa. In the early 2nd century A.D., the Dacian state fully flourished under the rule of King Decebal (87- 106). Later on, the Roman imperial armies led by Emperor Trajan (98-117) conquered it (A.D. 106). Dacia turned into a Roman province and was colonized with Roman and Romanized people.

Thus, the Geto- Dacians got Romanized in their turn.

After the withdrawal of the Roman army and admini-

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migranti, i Daci-Romani continuarono a vivere nelle loro terre ancestrali. Per un millennio confinarono con l’Impero Romano e in seguito con l’Impero Romano d’Oriente (successivamente l’Impero Bizantino) che controllava parecchie teste di ponte a nord del Danubio.

L’etnogenesi del popolo Rumeno si concluse nel settimo secolo.

I Romeni nacquero cristiani; il processo di romanizzazione fu simultaneo a quello della cristianizzazione, per l’attività evangelica svolta da Sant’Andrea e dai santi padri che si rifugiarono o attraversarono le terre della Romania. Dopo il Grande Scisma della Chiesa Cristiana nel 1054, i Rumeni mantennero il rito ortodosso.

L’organizzazione dello Stato Rumeno si rifà, come è documentato, al X secolo. Le strutture politiche prestato in Transilvania, erano governate da duchi, principi e voivoda come Gelu, Glad, Menumorut, Ahtum, or dai jupani o voivoda in Moldavia, Valachia e Dobrogea.

Documenti del XIII secolo attestano l’esistenza di ampie strutture politiche sotto il governo dei voivoda Litovoi, Ioan, Farcas, e Seneslau. Nel XIII secolo i signori feudali ungheresi conclusero la conquista della Transilvania, cominciata nel secolo X dalle tribù ungheresi che si stabilirono sulla piana di Pannonia.

Il voivodato della Transilvania rimase vassallo della corona ungara fino al 1526, quand il regno ungaro cesso’ di essere. Nel XIV secolo, a sud dei Carpazi, Basarab I (1324-1352) unifico’ i vari gruppi politici lanciando le basi per il grande voivodato di Valachia, mentre Bogdan I (1359-1365) fondava all’est il grande voivodato di Moldavia.

Entrambi i voivodati consolidarono l’indipendenza dei rispettivi stati sconfiggendo gli eserciti ungari che cercavano di accrescere il loro dominio su quelle terre.

Nel XIV secolo, emerse il pericolo dell’espanzione ottomana. Per parecchi secoli le tre principalità Rumene, Transilvania, Moldavia e Valachia, si ersero a bastioni del mondo cristiano contro l’espansione islamica.

I principi Mircea il Vecchio, Iancu di Hunedoara, Vlad l’Impalatore, Stefano il Grande. Radu di Afumati e Petru Rares sconfissero a turno le truppe

stration south of the Danube (271- 275), following the attacks of migratory peoples, the Daco-Romans continued to live in the very same lands of their ancestors. For one millennium, they were the neighbours of the Roman Empire and then of the Eastern Roman Empire (subsequently the Byzantine Empire) that used to hold many bridgeheads north of the Danube.

The ethnogenesis of the Romanian people ended in the 7th century. The Romanians were born Christian; the process of Romanization took place concurrently with the process of Christianization both through the evangelic activity of Saint Andrew and through that of holy fathers who took refuge on or passed across Romanian lands. After the 1054 Great Schism of the Christian Church, they preserved the Orthodox rite.

State organization, attested to in writings, goes back to the 10th century. The pre-state political structures in Transylvania were ruled by dukes, princes or voivodes like Gelu, Glad, Menumorut, Ahtum, or by jupani or voivodes in Moldavia, Walachia and Dobrogea. Documents then attest to 13th-century large pre-state political structures under the leadership of voivodes Litovoi, Ioan, Farcas, and Seneslau.

In the 13th century, the Hungarian feudal lords concluded the conquest of Transylvania started in the 10th century by the Hungarian tribes that ended their migration by settling in the Pannonian Plain. The voivodate of Transylvania remained vassal to the Hungarian Crown until 1526, when the Hungarian kingdom disappeared. In the 14th century, south of the Carpathians, Basarab I (1324-1352) unified the existing bodies politic laying the foundations of the big Voivodate of Walachia, while Bogdan I (13591365) founded the big Voivodate of Moldavia to the east. Both these voivodes consolidated the independence of their states by defeating the Hungarian armies that tried to enhance their domination thereupon. In the late 14th century, the threat of Ottoman expansion emerged. For several centuries the three Romanian Principalities, Transylvania, Moldavia and Walachia stood as bastions of the Christian world against the progress of Islam. Princes Mircea the Old, Iancu of Hunedoara, Vlad the Impaler, Stephen the Great, Radu of Afumati, Petru Rares defeated in turn the troops of famous sultans Bajazet I Ilderim (the Litghtning), Mehmet II (conqueror of Constantinople), and Suleiman the Magnificent. In

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dei famosi sultani Bajazet I Ilderim (la folgore), Mehmet II (conquistatore di Costantinopoli), e Suleiman il Magnifico. Nel XV secolo l’Impero Ottomano impose la propria sovranità sulle tre Principalita’ Rumene che comunque continuarono a godere una larga autonomia. Il Principe regnante di Valachia, Michele l’Impavido (1593-1601) riconquistò l’indipendenza alla nazione e unificò i Rumeni sotto un unico Stato, il primo Stato centralizzato, che includeva la Valachia, la Transilvania, e la Moldavia (1600-1601).

L’unione comunque fu di breve durata a causa degli interventi dell’Impero Ottomano, il Regno di Polonia e l’Impero degli Asburgo preoccupati della prossimita’ di un forte Stato Rumeno.

Era stata l’unità di popolo e di lingua di tutti i Rumeni, insieme a una sviluppata coscienza nazionale che aveva reso possible il successo di Michele l’Impavido. I voivoda delle tre Principalità Rumene che gli successero cercarono di ristabilire l’antico regno della Dacia.

Quasi ci riuscì Matei Basarab (1632-1654), il fondatore e comandante generale della Lega anti-ottomana che raggruppava le Principalità Rumene, la Polonia, e la Russia. Il principe regnante della Moldavia lo studioso, Dimitrie Cantemir (1693, 1710-1711) che era membro dell’Accademia di Berlino, definì scientificamente per la prima volta le caratteristiche nazionali del popolo Rumeno.

Sotto l’influenza dell’Illuminismo Europeo, nel XVIII secolo, con la Transilvania che era già soggetta alla sovranita’ dell’Impero Asburgico, il Vescovo Inochentie Micu, e i rappresentanti della Scuola di Transilvania (Samuil Micu, Gheorghe Sincai, Petru Maior, Ioan Budai-Deleanu) abbozzarono un’identità nazionale basata su considerazioni storiche, linguistiche e filosofiche.

Gli ideali della Rivoluzione Francese e le realtà del paese fecero emergere nuove idée politiche nelle principalità rumene.

In quel contesto, nel 1821, scoppiò una rivoluzione sociale e nazionale capeggiata da Tudor Vladimirescu. Anche se soppressa dall’esercito ottomano, la rivolta ebbe significative consequenze politiche: il regime Phanariot (stabilito nel 1711 in Moldavia e nel 1716 in Valachia, secondo il quale i principi regnanti venivano designati dalla Sublime

the 15th century, however, the Ottoman Empire imposed its suzerainty upon the three Romanian Principalities that continued however to enjoy a broad autonomy. The ruling prince of Walachia, Michael the Brave (1593- 1601) regained the country’s independence and unified the Romanians within one state, the first Romanian centralized state, including Walachia, Transylvania, and Moldavia (16001601). The Union was however short-lived due to the interventions of the Ottoman Empire, the Kingdom of Poland, and of the Hapsburg Empire, worried by the proximity of a powerful Romanian state. It was the unity of kin and language of all the Romanians, the national awareness that was spreading throughout the Romanian space that made possible Michael the Brave’s deed. His feat set an example. The voivodes of the three Romanian Principalities that succeeded him constantly sought to reconstruct the ancient Kingdom of Dacia. Very close to accomplish that was Matei Basarab (1632-1654), the initiator and general commander of the anti-Ottoman League, consisting of the Romanian Principalities, Poland, and Russia.

Moldavia’s ruling prince and scholar, Dimitrie Cantemir (1693, 1710-1711), member of the Berlin Academy, defined scientifically for the first time the national characteristics of the Romanian people.

Under the influence of European Enlightenment, in XVIII century Transylvania, by then fallen under the suzerainty of the Hapsburg Empire, Bishop Inochentie Micu and the representatives of the Transylvanian School (Samuil Micu, Gheorghe Sincai, Petru Maior, Ioan Budai-Deleanu, a.o.) outlined a national ideology based on historical, linguistic, and philosophical grounds. The ideas of the French Revolution, entwined with native realities, led to the emergence of a trend of novel political ideas in the Romanian Principalities. Under these circumstances, a social and national Revolution headed by Tudor Vladimirescu broke out in 1821. Although quashed by the Ottoman armies, the uprising had a significant political fallout: the Phanariot regime (established in 1711 in Moldavia, and in 1716 in Walachia whereby ruling princes were appointed by the Sublime Porte particularly from among the Greeks of the Phanar District of Constantinople) was abolished, and ruling princes were once more native Romanians. Modern governing and administration

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Porta in particolare tra i Greci del distretto di Phanar di Costantinopoli) fu abolito e i principi regnanti furono di nuovo rumeni. Furono introdotti nuovi principi amministrativi e un modo moderno di governare.

Il rapido sviluppo dell’economia di mercato andava contro i privilegi feudali protetti dalla sovranità ottomana nelle Principalità Danubiane (Moldavia e Valachia) e dalla Corona degli Asburgo in Transilvania e nel 1848 questo contrasto portò a un moto di rivolta in tutte e tre le Principalità Rumene.

La rivolta del 1848 a carattere nazionale e antifeudale, fu prima soffocata in Moldavia e in Valachia (1848) e poi in Transilvania (dove i Rumeni, sotto la guida di Avram Iancu resistettero eroicamente fino al 1849) dalla concentrata azione degli eserciti Zarista, Ottomano, e Asburgo.

Con il supporto delle grandi potenze europee, l’unione della Moldavia e della Valachia si realizzò sotto lo scettro di Alexandru Ioan Cuza (1859-1866), il 24 gennaio 1859. Cuza si operò per unificare l’esercito e l’amministrazione, per secolarizzare i beni dei monasteri e promulgò varie leggi sempre con intento unificante. Il giovane Stato fu riconosciuto sotto il nome di Romania. Quando il principe Cuza abdicò nel 1866 il principe Carol della famiglia reale Tedesca Hohenzollern-Sigmaringen occupò il suo posto. Fu un principe regnante tra il 1866 e nel 1881 e divenne Re della Romania. Carol I regnò fino al 1914.

Il 9 maggio 1877 lo Stato Rumeno proclamò la sua indipendenza liberandosi dai vincoli della sovranità della Sublime Porta; il suo Stato indipendente fu sancito sul campo di battaglia durante la Guerra RussaRumena-Turca del 1877-1878 e fu riconosciuto al Congresso di Pace di Berlino nel 1878.

La nuova conquistata indipendenza creò condizioni favorevoli per lo sviluppo socio-economico e politico del paese. La Costituzione del 1866, all’epoca una delle più moderne in Europa ebbe un ruolo importante nello stimolare tale sviluppo.

Nel 1867, con l’accordo tra Budapest e Vienna conosciuto come “Il dualismo Austro-Ungarico” l’intera principalita’ di Transilvania perse l’autonomia di un secolo e cadde sotto il dominio dello Stato Ungaro.

Dopo l’unione delle altre due principalità rumene nel 1859, e specialmente dopo che la Romania divenne

principles were introduced. The brisk development of the market economy ran counter to the feudal privileges protected by the Ottoman suzerainty in the Danubian Principalities (Moldavia and Walachia), and by the Hapsburg Crown in Transylvania, which triggered a revolutionary outburst of 1848 in all the three Romanian Principalities. The 1848 Revolution – that had a deep national and antifeudal character – was first stifled in Moldavia and Walachia (in 1848) and then in Transylvania (where the Romanians, under the leadership of Avram Iancu, resisted heroically until 1849) by the concerted action of the Tsarist, Ottoman and Hapsburg armies. With the support of the European great powers, the union of Moldavia with Walachia took place under the sceptre of Alexandru Ioan Cuza (1859-1866), on January 24, 1859. He worked to unite the army and the administration, to secularize the monasteries’ wealth, and promulgate several laws that had the same unifying gist. The young state gained international recognition under the name of Romania. In 1866, Prince Cuza abdicated, being replaced by Prince Carol, from the Hohenzollern-Sigmaringen German royal family. He was a Ruling Prince between 1866 and 1881, when he was anointed King of Romania. Carol I reigned until 1914. On May 9, 1877, the Romanian State proclaimed its independence, shattering the fetters of the Sublime Porte’s suzerainty; the independent status was sanctioned on battlefield during the RussianRomanian-Turkish War of 1877-1878, and was given international recognition at the Peace Congress of Berlin (1878). The newly obtained independence created favourable conditions for the country’s socioeconomic and political development. The Constitution of 1866, one of the most modern in Europe at that time, played a major role in this respect alongside the laws that derived from it. Under the 1867 agreement between Budapest and Vienna, known as the “Austrian-Hungarian dualism”, the whole Principality of Transylvania lost its century-old autonomy and fell under the domination of the Hungarian state. After the 1859 Union of the two other Romanian Principalities, and especially after Romania had become independent (1878), the Transylvanian Romanians became subject of a policy of persecution, while their very existence as a nation was not acknowledged. In response, they set up the

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indipendente (1878), i Rumeni della Transilvania furono soggetti a persecuzioni, mentre la loro esistenza come una nazione non fu riconosciuta.

La loro reazione fu di formare il Partito Nazionale Rumeno (1881) che condusse una sostenuta battaglia nazionale. Nel 1892, inviarono un Memorandum alla Corte Imperiale di Vienna nel quale descrissero le loro sofferenze ed espressero le loro richieste.

I promotori di quell’ azione politica furono processati per tradimento e mandati in prigione.

Nel 1775, Bukovina fu separata dalla Romania e finì sotto il dominio dell’Impero Asburgico dopo un’intesa con l’Impero Ottomano.

Anche in questa occasione la maggior parte della popolazione Rumena fu perseguitata e si cercò di denazionalizzarla.

Metà della parte est della Moldavia era stata annessa dalla Russia nel 1812. In Bessarabia, così era stata ribattezzata quella provincia rumena, le autorità dello Zar perseguirono un intensa politica di russificazione e incoraggiarono l’emigrazione mentre un grande numero di Russi, Ruteni, Ucraini, e Bulgari la colonizzarono. Nessuna scuola rumena fu autorizzata. Anche la Chiesa Ortodossa divento’ strumento di russificazione e la liturgia in lingua rumena fu proibita. Solo nel 1905 furono di nuovo stampati libri in lingua rumena anche se scritti in Cirillico.

Il coinvolgimento della Romania nella Prima Guerra Mondiale aveva un solo obiettivo: l’unità nazionale sostenuta dal successore di Carol I, Re Ferdinando I (1914-1927). La caduta di due imperi multinazionalil’Austro-Ungarico e il Russo- permise ai Rumeni in Bessarabia, Bukovina e Transilvania di scegliere il loro destino in piena libertà. Decisero quindi di unirsi alla Romania.

Il 9 Aprile, 28 Novembre e il primo Dicembre dell’anno 1918, Bessarabia, Bukovina e Transilvania si unirono al Regno di Romania. I trattati di pace (19191920) sancirono l’unità dello Stato Rumeno.

Il regime democratico constituzionale del nuovo Stato (la Costituzione del 1923) permise un progresso generale in tutti i settori: politico, economico, sociale e culturale.

La Romania arrivò al suo acme economico nel 1938.

Per la politica estera, la Romania ebbe come ministro Nicolae Titulescu, due volte presidente della Lega

Romanian National Party (1881), conducting a sustained national struggle. In 1892, they forwarded a Memorandum to the Imperial Court of Vienna in which they described their suffering and expressed their demands. The promoters of that political action were tried and sentenced to jail for treason. In 1775, Bukovina was torn off from the body of Romania and fell under the rule of the Hapsburg Empire following an understanding with the Ottoman Empire. There too, the Romanian majority population was persecuted, and attempts were made to denationalize it. The eastern half of Moldavia had been annexed to Russia in 1812. In Bessarabia, as this Romanian province had been “baptized,” Tsarist authorities pursued an intense policy of Russification, while encouraging Romanians to emigrate. In exchange, a large number of Russians, Ruthenians, Ukrainians, and Bulgarians were colonized there. No Romanian school was authorized. The Orthodox Church also became an instrument of Russification as Russian priests were colonized and liturgy in the Romanian language was banned. It was not before 1905 that Romanian books started to be printed once more, though written in the Cyrillic alphabet. Romania’s involvement in the First World War had one sole goal: the making of national unity; Carol I’s successor, King Ferdinand I (19141927) was one of its advocates. The fall of the two multinational empires – the Austrian-Hungarian and the Tsarist ones – created the conditions for the Romanians in Bessarabia, Bukovina and Transylvania to choose in full freedom their destiny.

So they decided for the union with Romania. On April 9, November 28, and December 1, 1918, Bessarabia, Bukovina and Transylvania proceeded to unite to the Kingdom of Romania. The post-war peace treaties (1919-1920) sanctioned the unitary Romanian State.

In the new state, the democratic constitutional regime (the Constitution of 1923) paved the way for the general progress of the nation in all the sectors of the economic, social, political, and cultural life. Romania reached an economic acme in 1938. On an external plane, Romania had Nicolae Titulescu as foreign minister, a representative figure, two times chairman of the League of Nations. He conducted a policy defending the world’s new post-war organization, and acted so as to thwart revanchist tendencies aimed at revising peace treaties and frontiers – first voiced

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delle Nazioni. Condusse una politica in difesa delle organizzazioni post-belliche e frustò tendenze nell’Ungheria di Horthy, Germania di Hitler e Russia che avevano come obiettivo la revisione dei trattati di pace. Titulescu difese lo status quo territoriale, la pace e la sicurezza collettiva.

Il 23 Agosto, 1939, fu firmato il Patto RibbentropMolotov il cui Articolo 3 dell’aggiunto protocollo segreto, si riferisce direttamente alla disintegrazione territoriale della Romania.

Le grandi potenze democratiche (Francia e Regno Unito) non furono più in grado di garantire la sicurezza della Romania.

Nell’estate del 1940 la Russia Sovietica, la Germania di Hitler, e l’Italia di Mussolini forzarono la Romania a cedere Bessarabia, Bukovina e Hertza alla Russia, il nord dellaTransilvania all’Ungheria e il sud di Dobrogea alla Bulgaria, cioè più di un terzo del territorio rumeno.

Nelle 11 contee cedute all’Ungheria, le autorità di Horty assoggettarono i Rumeni ad atrocità di natura collettiva.

Da queste contee furono inoltre deportati ai campi di concentramento nazisti 160,000 Ebrei, 140,000 di loro sparirono senza lasciare traccia.

La Romania cambiò regime politico ed entrò in guerra contro la Russia (Giugno 1941) a fianco della Germania, L’esercito Rumeno combattè sul fronte orientale fino all’estate del 1944; dopodichè con il colpo di stato del 23 Agosto 1944 si unì agli Alleati e combattè sul fronte occidentale contribuendo alla liberazione dell’Ungheria, Cecoslovacchia e Austria.

Il Trattato di Parigi (1947) riportò la Transilvania del nord in seno ai confini della Romania.

Non fu così per Bessarabia, Bukovina, Hertza e il Quadrilatero.

I Rumeni che rimasero in quei territori furono assoggettati a massacri, inviati in campi di concentramento e deportati in Siberia e Asia Centrale per metterli in minoranza demografica.

In più, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Romania entrò nella sfera sovietica. Re Michael fu costretto ad abdicare il 30 Dicembre 1947 e i sovietici imposero il regime comunista.

La sovietizzazione della Romania portò alla repressione delle idee democratiche, degli intellettuali, e della spiritulità rumena.

out by Horthy’s Hungary and Hitler’s Germany, then

by Soviet Russia and other states. He advocated territorial status quo, peace, and collective security.

However, in August 23rd, 1939 the RibbentropMolotov Pact was signed, and Article 3 of its secret additional Protocol made direct reference to the territorial disintegration of Romania. The great democratic powers (France and United Kingdom) could no longer guarantee security to Romania. In the summer of 1940, Soviet Russia, Hitler’s Germany and Mussolini’s Italy forced Romania to cede the following territories: Bessarabia, Bukovina, and Hertza to Russia; northern Transylvania to Hungary; the Quadrilateral (southern Dobrogea) to Bulgaria. That accounted for over one quarter of Romania’s territory with majority Romanian population. In the eleven counties ceded to Hungary, the Horthy authorities subjected the Romanians to atrocities that went as far as collective executions (at Ip, Trasnea, Nusfalau, Hida, Huedin, etc.); also from these counties, 160,000 Jews were deported to the Nazi death camps, 140,000 of them disappearing without a trace.

The political regime in Romania changed and the country entered the war against the USSR (June 1941), on Germany’s side. The Romanian armies fought on the Eastern Front until the summer of 1944; after that date, following the coup of August 23rd, 1944, they joined the Allies and fought on the Western Front, contributing to the liberation of Hungary, Czechoslovakia, and Austria. The Paris Peace Treaty (1947) brought back northern Transylvania within the boundaries of Romania, but not Bessarabia, Bukovina, Hertza, and the Quadrilateral. The Romanians that remained in those territories were subjected to brutal denationalization; the Soviets massacred, imprisoned in concentration camps or deported to Siberia and Central Asia hundreds of thousands of Romanians, in an attempt to reverse the demographic ratio. Moreover, after the Second World War Romania entered into the Soviet sphere of influence. King Michael was forced to abdicate on December 30th, 1947 and the Soviet occupiers imposed the communist regime. There followed the Sovietization of Romania and the repression of those who represented true democracy, the intelligentsia, the very Romanian spirituality. Hundreds of thousands of persons died. In parallel, the Soviet model

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Centinaia di migliaia di persone persero la vita. Il modello sovietico fu introdotto nell’economia, nella società e nella cultura.

I comunisti distorsero la storia della nazione e ignorarono i suoi valori spirituali e culturali negando l’accesso ad altre culture e alla scienza.

Con il tempo, per paura di un intervento diretto dei sovietici nelle decisioni del paese, i leader communisti cercarono di adottare una posizione indipendente in politica estera che risultò in una significativa apertura verso l’occidente e persuase Nikita Kruscev a ritirare le forze di occupazione dal territorio rumeno nel 1958.

Durante il conflitto tra Cina e Russia, la Romania si orientò verso la de-russificazione particolarmente nella cultura e nell’Aprile del 1964 riorientò la sua politica estera secondo i principi della coesistenza pacifica.

Nel 1967, la Romania riprese le relazioni diplomatiche con la Germania dell’Ovest e Israele e nel 1968 condannò l’intervento delle truppe del Trattato di Varsavia in Cecoslovacchia.

Nello stesso anno, la Romania divenne membro del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale e si dichiarò contro la corsa agli armamenti, soprattutto nucleari.

Il Comunismo ebbe la sua più estrema espressione nel culto della personalità di Nicolae Ceausescu.

La durissima dittatura comunista portò a una profonda crisi interna. Generò malcontento in tutti gli strati della società reso piu acuto dalla brutale violazione dei diritti umani e da una ingente crisi economica. Ci furono delle rivolte.

Un numero sempre più grande di cittadini chiese cambiamenti radicali nelle strutture politiche e economiche.

Tra il 17 e 20 Dicembre 1989, ebbero luogo a Timisoara, grandi manifestazioni anticomuniste che provocarono l’intervento di forze repressive. Il 21 Dicembre 1989, ci fu una grande sommossa a Bucarest.

Centinaia di miglia di cittadini riempirono le strade, occuparono i palazzi chiave del governo e il 22 Dicembre deposero il dittatore. Con lui finirono 45 anni di regime comunista in Romania.

Il Fronte per la salvezza nazionale assunse il potere, annunciando lo smantellamento delle strutture comu-

was introduced in the economy, society, and culture.

The communists distorted the nation’s history, discarding its cultural and spiritual values, narrowing to the point of denying access to the values of world culture and science. In time, with the fear of a Soviet direct control on the decision-making process, the Communist leadership of Romania tried to affirm an independent stance in international affairs. As a result, after having accomplished a significant opening towards the West, and persuaded the USSR leader Nikita Khrushchev to withdraw his occupation troops from the Romanian territory in 1958, the Communist Romania started to be perceived as a maverick in Moscow’s camp. During the RussianChinese conflict, Romania initiated an ostentatious action of de-Russification, particularly in culture, and on April 1964 reoriented its foreign policy in accordance with the principles of peaceful coexistence. In 1967, Romania resumed diplomatic relations with West Germany and Israel, and in 1968 condemned the intervention of the Warsaw Treaty troops in Czechoslovakia. The same year, this country became a member of the International Monetary Fund and of the World Bank, and declared firmly against the arms race, especially against nuclear weapons. The National Communism had its extreme expression in Nicolae Ceausescu’s personality cult. The very harsh regime of communist dictatorship led to a profound internal crisis. It generated deep discontent in all the layers of society, further aggravated by the brutal violation of the basic human rights, and the ensuing economic crisis of huge proportions. Several social revolts were recorded. A growing number of people from various walks of life demanded radical changes in the political and economic structures. Between December 17-20, 1989, big anticommunist rallies took place in Timisoara that triggered the intervention of the repression forces. On December 21, 1989, powerful unrest shook Bucharest. Hundreds of thousands of citizens flooded the streets, occupied the main official buildings, and chased the dictator on December 22nd, 1989. With him, also came down 45 years of Communist regime in Romania. The National Salvation Front assumed power, announcing the dismantlement of the communist structures, the switch to the market economy, and free elections. In a relatively short period, the historical political parties

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niste, l’adozione dell’economia di mercato, e libere elezioni. In breve tempo i partiti politici storici ripresero la loro attività e furono creati nuovi partiti.

Ebbero luogo elezioni amministrative, parlamentari e presidenziali (la piu’ recente a novembre-dicembre del 2004).

La nuova Costituzione fu ratificata e promulgata (dicembre 1991) e in ottobre 2003, dopo un referendum, la Costituzione subì degli emendamenti per tener passo con gli standard europei. Il settore economico privato segno’ un continuo sviluppo e le grandi imprese industriali furono privatizzate.

La nuova Romania consolidò i suoi standard democratici come la libertà di espressione e di associazione.

I media ricevettero un impeto senza precedenti e la Romania vanta oggi il più grande numero di pubblicazioni, stazioni radio private e stazioni televisive nell’est europeo (in proporzione alla sua popolazione).

Sulla scena internazionale, la Romania diventò membro del Consiglio d’Europa (1994) e della NATO (2004).

Il 25 aprile 2005 la Romania firmò il Trattato di accesso alla Comunità Europea con la prospettiva di diventarne membro il primo Gennaio 2007.

Demografia Religiosa In Romania ci sono 17 religioni uffucialmente riconosciute. Secondo il censimento dell’anno 2002, la nazione ha una popolazione di circa 21,7 milioni di abitanti con le seguenti proporzioni di fedi religiose: - Chiesa Ortodossa Rumena - 18,817,975 membri (86.7% della popolazione); - Chiesa Cattolica-Romana – 1,026,429 membri (4,7%); - Chiesa Cattolica-Ortodossa – 191,556 membri (0.9); - Chiesa Riformata (Protestante) – 701,077 membri; - Chiesa Evangelica Rumena – 18,178 membri; - Chiesa Evangelica Agostiniana – 8,716 membri; - Chiesa Evangelica Luterana (Sinodo-Presbiteriana) – 27,112 membri; - Chiesa Unitaria della Romania – 66,944 membri; - Chiesa Battista – 126,639 membri; - Chiesa Evangelica Cristiana – 44,476 membri;

(the National Peasant Party, the National Liberal Party, the Social Democratic Party) resumed activity, and new parties were created. Administrative, parliamentary and presidential elections were held (the latest on November/December 2004). The new Constitution of Romania was passed and promulgated (December 1991), and in October 2003, following a referendum, the Constitution was amended in keeping with the loftiest European standards. The private economic sector recorded steady development, the big industrial enterprises were privatized by public offer etc. The new Romania consolidated its democratic standards. For example, as a result of the right to free expression and association, the media gained unprecedented impetus, so that Romania currently boasts the largest number of publications, private radio and TV stations in the East European countries (in proportion to its population). At the international stage, Romania became member of the Council of Europe (1994) and of NATO (2004). On April 25, 2005, Romania signed in Luxembourg the Treaty of Accession to the EU with the perspective to become full member on January 1st, 2007.

Religious Demography In Romania, there are 17 religions officially recognized. In accordance with the 2002 census , the country has a population of approximately 21.7 million inhabitants, with the following proportions of confessional representation: - the Romanian Orthodox Church - 18,817,975 members (86.7 % of the population); - the Roman-Catholic Church - 1,026,429 members (4.7%); - the Greek-Catholic Church - 191,556 members (0.9); - the Reformed (Protestant) Church - 701,077 members; - the Romanian Evangelical Church - 18,178 members; - the Evangelical Augustinian Church - 8,716 members; - the Lutheran Evangelical Church (Synod-Presbyterian) - 27,112 members; - the Unitarian Church of Romania - 66,944 members; - the Baptist Church - 126,639 members; - the Christian Evangelical Church - 44,476 members; - the Old Rite Christian (Orthodox) Church - 38,147 members; - the Apostolic Church of God (Pentecostal Church) 324,462 members;

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- Chiesa del Vecchio Rito Cristiano (Ortodosso) – 38,147 membri; - Chiesa Apostolica di Dio (Chiesa Pentecostale) – 324,462 membri; - Chiesa Cristiana Avventista del Settimo giorno – 93,670 membri; - Chiesa Armena – 687 membri; - Ebrei – 6,057 membri; - Musulmani (per lo più Turchi e Tartari) – 67,257 membri.

Il censimento del 2002 rivela inoltre che ci sono 8,524 atei e 12,825 persone non affiliate con nessuna religione.

Per quanto riguarda la religione dei Testimoni di Geova che non e’ ufficialmente e legalmente riconosciuta si presume che abbia circa 80.000 aderenti.

La fede Baha’i, la Famiglia (I figli di Dio). La Chiesa Mormone, la Chiesa dell’Unificazione, la Chiesa Metodista, la Chiesa Presbiteriana, la Meditazione Trascendentale, Hare Krishna, e il Buddismo Zen hanno tutte attive comunità nel paese ma non godono di riconoscimento ufficiale.

In più secondo i dati, la maggioranza delle religioni ha aderenti dispersi in tutto il paese mentre poche comunità religiose si concentrano in specifiche aree regionali.

I membri del Vecchio Rito (Lippovani) in Moldavia e Dobragea, vicino alla Bulgaria e la costa del Mar Nero, i greci cattolici in Transilvania e in Moldavia, credenti cattolici e protestanti in Transilvania, Moldavia e Muntenia.

I Greco-Ortodossi e i Greco-Cattolici e Ucraini etnici sono concentrati per la maggior parte nella parte nord occidentale del paese. I Serbi Ortodossi sono a Banat e gli Armeni in Moldavia e nel sud.

Secondo un’inchiesta Gallup del maggio 2005, l’uno per cento dei praticanti religiosi va in Chiesa ogni giorno, il 3 per cento , più di una volta alla settima, il 19 per cento, una volta alla settimana, il 17 per cento, parecchie volte al mese, il 5 per cento, una volta al mese, il 34 per cento solo a Natale e Pasqua, il 9 per cento, una volta all’anno o meno, e 11 per cento, mai.

Nella stessa inchiesta comunque i rispondenti hanno dichiarato che la Chiesa è l’istituzione a cui danno più fiducia.

- the Seventh-day Christian Adventist Church - 93,670 members; - the Armenian Church - 687 members; - the Judaists (Jews) - 6,057 members; - the Muslims (mostly Turks and Tartars) - 67,257 members.

The 2002 census showed also a number of 8,524 atheists, when there were 12,825 persons who did not acknowledge any religious affiliation. As for the Jehovah's Witnesses, which did not have legal status as a recognized religion at the time of the census, are estimated to have approximately 80,000 members and associates. On the other hand, according to published sources, the Baha'i Faith, the Family (God's Children), the Church of Jesus Christ of Latter-day Saints (Mormons), the Unification Church, the Methodist Church, the Presbyterian Church, Transcendental Meditation, Hare Krishna, and Zen Buddhism have active branches in the country, but they are not recognized officially. Furthermore, on the basis of data available to the State Secretariat for Religious Denominations, most religions have followers dispersed throughout the country, although a few religious communities are concentrated in particular regions. Old Rite members (Lippovans) are located in Moldavia and Dobrogea. Most Muslims are located in the south-eastern part of the country in Dobrogea, near Bulgaria and the Black Sea coast.

Most Greek Catholics are in Transylvania, but there is also a large Greek Catholic community in Moldavia.

Protestant and Catholic believers tend to be in Transylvania, but many others are also located in Moldova and Muntenia. Orthodox or Greek Catholic ethnic Ukrainians are mostly in the north-western part of the country. Orthodox ethnic Serbs are in Banat. Armenians are concentrated in Moldavia and the south. According to a nationwide poll conducted by Gallup Organization Romania in May 2005, 1 percent of the respondents stated they go to church on a daily basis; 3 percent attend services several times a week; 19 percent stated they go to church once a week; 17 percent claimed to go to church several times per month; 5 percent claimed they go to church once per month; 34 percent of the respondents stated that they go to church only at Christmas and Easter; 9 percent attend services once a year or less; 11 percent responded they do not go to church at all. In the same poll, 83 percent of the respondents stated that the church is the institution they trust most.

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La politica del governo rumeno in campo religioso (dal 2004) Il 28 Dicembre 2004, il Parlamento Rumeno ha approvato un programma che inter alias stabilisce che la sua politica in campo religioso è la seguente: “Nel contesto del suo modello comunitario e sociale, il governo accorda un ruolo speciale alla Chiesa.

Nella sua aspirazione di congiungere la sua tradizione nazionale e cristiana con il modello di sviluppo e modernizzazione del capitalismo europeo, il governo si rende conto sia della moralità cristiana come guida di condotta morale, sia del ruolo sociale della Chiesa.

Il Governo Rumeno sostiene la libertà di espressione religiosa e che nessuno dovrebbe essere perseguitato per la fede che professa.

Il governo crede nell’utilità di un movimento ecumenico non ideologico e crede nella necessità di dialogo tra le religioni, cristiane e non cristiane.

Lo Stato è garante dei fondamentali diritti umani, tra i quali quello della liberta’ di religione.

Lo Stato inoltre dovrebbe dare supporto alle varie chiese per far si che esse adempiano la loro missione.

Questo supporto deve essere dato senza alcuna discriminazione.

Lo Stato non dovrebbe manifestare tendenze a programmazioni secolari pertanto il governo sosterrà il ristabilirsi dei diritti patrimoniali delle denominazioni religiose sostenendo le parrocchie povere, pagando i sacerdoti e sostenendo le richieste patrimoniali della Chiesa.

Per la costruzione di Chiese nel territorio rumeno, l’amministrazione centrale come quelle locali dovranno impegnarsi per realizzarle.

Senza interferire negli affari di Stato, la Chiesa rappresenta un pilastro della soliedarita’ nazionale.

L’azione sociale della Chiesa deve essere incrementata in Romania.

I fondamentali principi che guideranno le azioni del Governo Rumeno nella sua politica verso le varie denominazioni religiose si ispireranno ai seguenti cosiderazioni: - L’applicazione dei principi di legislazione internazionale per l’osservanza dei diritti religiosi per tutti i cittadini Rumeni qualunque sia la loro etnia o denominazione religiosa.

Romanian Government Policy in the Denominations Field (since 2004) On December 28th, 2004, the Parliament of Romania approved the composition and the programme of the current Government of Romania. As far as the religious affairs are concerned, the Governmental programme stated, inter alia, the following: “Within its social and community model, the governance grants a special role to the Church. In its aspiration to link the national and Christian tradition with the European model of capitalist development and institutional modernization, the Government takes into account on the one hand the Christian morality, as heart of moral conduct and on the other hand the social role of the Church. The Romanian Government sustains the liberty of religious expression. Nobody should be persecuted in any way because of his faith. The Government believes in the utility of a Christian ecumenical non-ideologized movement and believes in the necessity of the dialogue between religions, either Christian or non Christian ones. The state as guarantor of the fundamental human rights, among which, the right to religious liberty is a pre-eminent one, should support the churches in fulfilling their missions. This implies a constant support that the state institutions should grant to them without discriminations. The state should not manifest tendencies of programmed secularization. In this respect, the Romanian Government will sustain the re-establishment of the patrimony rights of Religious Denominations. Sustaining the poor parishes, pay wages to the priests, sustaining the patrimony claims of the Church. As for the spreading of the churches on Romanian territory, the central and local administrations have to support the construction of new churches. Without interfering into the state affairs, the Church represents a pillar of national solidarity. The social action of the Church has to increase in Romania. The fundamental principles that will lay at the basis of the Romanian Government’s action within the field of the policies towards the Religious Denominations will take into account the following major aspects: - Application of the principles and international legislation upon the observation of religious rights and liberties, for all Romanian citizens regardless their ethnicity or denomination;

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- L’adozione di leggi che permettano lo sviluppo della vita religiosa del paese; - La formulazione di una politica verso le religioni che tenga conto dei seguenti aspetti: - Le relazioni tra Stato e denominazioni religiose; - Le relazioni tra le varie denominazioni; - Le relazioni tra le varie denominazioni e l’individuo; - Le relazioni tra le varie denominazioni e la vita sociale”.

Il Ruolo della Romania nel Dialogo Ecumenico Nel Maggio del 1999, il Papa Giovanni Paolo II visitò la Romania su invito di Sua Beatitudine il Patriarca Teoctist della Chiesa Ortodossa Rumena e della Presidenza.

Era la prima volta dai tempi dello Scisma, che il Papa faceva visita ad un paese in prevalenza ortodosso.

Al suo arrivo, il Patriarca e il Presidente della Romania, Emil Cotantinescu accolsero il Papa.

Il Patriarca disse: “Il secondo millennio della storia cristiana comincio’ con con una penosa ferita all’unità della Chiesa; la fine di questo millennio ha visto un impegno verso la restaurazione di quella unità “ Il giorno 9 Maggio il Papa assistette al servizio religioso in liturgia ortodossa e il Patriarca partecipò alla Messa Cattolica.

Centinaia di migliaia di persone furono presenti alle cerimonie condotte all’aperto. Il Papa disse alla gente, “Io sono qui tra di voi, spinto solo dal desiderio di un’ unità autentica.

Non troppo tempo fa sarrebbe stato impensabile che il Vescovo di Roma potesse visitare i suoi fratelli e sorelle in fede in Romania.

Oggi dopo un lungo inverno di sofferenza e persecuzione, possiamo finalmente scambiarci il bacio della pace e insieme glorificare Dio.” Una gran parte della popolazione rumena ortodossa si e dimostrata incline alla riunificazione. Un altro momento significativo fu segnato dal simbolico abbraccio in occasione della visita del Patriarca Rumeno in Vaticano, (7-13 ottobre 2002).

I due capi religiosi firmarono una Dichiarazione Comune il 12 ottobre 2002 con la quale le due Chiese attestavano di impegnarsi per la riunificazione.

- Adoption of the legislation upon the development of religious life in our country; - Formulation of the policy within the Romanian denominational life, taking into account four important coordinates; - Relation state-denominations or religious associations; - Relation among denominations; - Relation among denominations, religious associations and individuals; - Relation among denominations, religious associations and social life”.

The Role of Romania in the Ecumenical Dialogue In May 1999, Pope John Paul II visited Romania on the invitation from His Beatitude Patriarch Teoctist of the Romanian Orthodox Church and the Romanian Presidency. This was the first time a Pope had visited a predominantly Eastern Orthodox country since the Great Schism in 1054, the event that separated Eastern Orthodoxy and Western Roman Catholicism.

On his arrival, the Patriarch and the then President of Romania, Emil Constantinescu, greeted the Pope.

The Patriarch stated, “The second millennium of Christian history began with a painful wounding of the unity of the Church; the end of this millennium has seen a real commitment to restoring Christian unity”. On May 9th, the Pope and the Patriarch each attended a worship service conducted by the other (an Orthodox Liturgy and a Catholic Mass, respectively).

A crowd of hundreds of thousands of people turned up to attend the worship services, which were held in the open air. The Pope told the crowd, “I am here among you pushed only by the desire of authentic unity. Not long ago it was unthinkable that the bishop of Rome could visit his brothers and sisters in the faith who live in Romania. Today, after a long winter of suffering and persecution, we can finally exchange the kiss of peace and together praise the Lord”. A large part of Romania’s Orthodox population has shown itself warm to the idea of Christian reunification.

Another significant moment was the symbolic embrace in occasion of the visit of the Romanian Patriarch Teoctist in the Vatican (7-13 October 2002) and the Joint Declaration signed by John Paul II and Romanian Patriarch Teoctist on October the 12th, 2002 in Rome in which the Orthodox and Catholic Churches committed themselves to seek unity.

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L’incontro tra i due leader religiosi che ebbe luogo nello studio privato del Papa marcò uno dei momenti piu salienti della visita del Patriarca.

“Il nostro incontro deve servire da esempio: Fratelli devono incontrarsi di nuovo per fare la pace, riflettere insieme, per scoprire modi per arrivare ad accordi, per esporre e spiegare le loro ragioni,” si legge nella Dichiarazione Comune.

The meeting between the two religious leaders, which took place in the Pope’s private study, was one of the most important moments of the weeklong visit of the Romanian religious leader to Rome. “Our meeting must be considered as an example: Brothers must meet again to make peace, to reflect together, to discover the way to reach agreements, to expose and explain one another's reasons”, the Joint Declaration reads.

Eventi recentemente organizzati dall’Ambasciata di Romania presso la Santa Sede L’ Ambasciata di Romania presso la Santa Sede ha promosso progetti per solidificare i rapporti bilaterali tra i due paesi e per continuare a promuovere il dialogo ecumenico.

Particolare attenzione è stata data a iniziative culturali che riflettono un’immagine accurata del ruolo della Romania nelle sue relazioni con la Santa Sede e in politica estera.

1. Una di quelle iniziative è stata la Mostra Stefano il Grande - un Ponte tra Est e Ovest (Musei Vaticani, 30 settembre-31 ottobre 2004) che ha occupato uno spazio speciale nella serie di eventi dedicati al quinto centenario della morte di Stefano, il Grande (14571504) Tra le opere esibite c’erano alcuni capolavori dell’arte medioevale Rumena come il Velo Tombale della Principessa Maria di Mango,.

Il libro dei Quattro Vangeli di Humor, lo Stendardo Liturgico di Stefano il Grande e Il telo iconostatico“L’Ascensione” e, dagli Archivi Segreti Vaticani, la famosa lettera di Sisto IV ai popoli cristiani d’ Europa. In quella lettera il Papa aveva chiamato Stefano il Grande “verus christianae athleta fidei” domostrando cisi il suo apprezzamento per la complessa personalità del Principe Rumeno.

Infatti la vita e le attitività di Stefano il Grande rappresentano un ponte tra est e ovest e la sua memoria riflette il presente impegno della Romania per promuovere e rafforzare il dialogo ecumenico.

L’inaugurazione della mostra è stata onorata dalla presenza del Presidente della Romania, Ion Iliescu, Sua Eminenza Angelo Sodano Segretario di Stato della Santa Sede da Sua Altessa Eminente Fra’ Andrew Bertie, Principe e Gran Maestro del Sovrano Ordine Militare di Malta.

2. Un altro momento significativo è stata la mostra

Events organized recently by the Embassy of Romania to the Holy See The Romanian Embassy to the Holy See promoted projects that were aimed at strengthening the bilateral relations and the ecumenical dialogue. A special attention was dedicated to cultural initiatives that were able to offer the appropriate image about the role and the place of Romania in relationship with the Holy See, as well as in international affairs.

1. One of these initiatives was the exhibition Stephen the Great – a Bridge between East and West (Vatican Museums, 30 September-31 October 2004), which enjoyed a special place in the series of events dedicated to the anniversary of 500 years since the passing of the Prince Stephen the Great (1457-1504). Within the structure of the exhibition there were same masterpieces of the Romanian medieval cultural treasury – The Tomb Veil of Princess Maria of Mangop, the Humor Four Gospels Book, the Liturgical Banner of Stephen the Great, and the Iconostasis Curtain “The Ascension -, together with the original registry of the Vatican Secret Archives containing the famous letter of Pope Sixt IV to the Christian peoples of Europe (1477). Actually, in the above-mentioned letter, the great Pope Sixt IV (Francesco della Rovere) had called Stephen the Great “verus christianae athleta fidei” and appreciated the complex personality of the Romanian Prince. In fact, the life and activity of Stephen the Great represented essentially a bridge between the Western and the Eastern part of Christian Europe. His venerated memory does also represent a bridge over the centuries, that has a reflection in the current commitment of Romania to promote and strengthen the ecumenism. The venue of the exhibition – the Sixtin Hall of the Vatican Museums – was also symbolic for the special relationship the Romanian Prince had with the Bishop of Rome. The inaugura-

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Tappeti Anatoli della Transilvania del XVI e XVII secolo. I tappeti tutti provenienti dal Museo Bukenthal a Sibiu, sono stati esposti all’Accademia di Romania a Roma dal 4 al 29 aprile 2005, Il pezzo piu importante della mostra è un tappeto Holbein del XVI secolo.

I tappeti prodotti in territori ottomani furono apprezzati come oggetti d’arte nella cristiana Transilvania e rappresentano la possibilità di un dialogo inter-religioso, inter-etnico ed inter-culturale.

La data della mostra ha coinciso con la firma del Trattato di Accesso della Romania nell’Unione Europea per testimoniare il contributo che la Romania può dare per l’armonia inter-etnica, multiculturale, ed inter-religiosa.

3. Recentemente, la mostra Fede e Arte nella Chiesa di Santa Maria in Montesanto ha esposto una collezione di icone ortodosse tradizionali.

Gli artisti Rumeni, membri dell’ associazione “Arte religiosa e restaurazione” hanno voluto esprimere la fecondita del loro lavoro e assicurare un futuro alla loro arte. Di nuovo, anche questa mostra riflette perlomeno due aspetti importanti della presenza internazionale della Romania: il suo contributo culturale e quello religioso al futuro dell’Unione Europea e nello stesso tempo dà particolare rilievo alle relazioni tra la Romania e la Santa Sede.

Tutti gli eventi sono stati organizzati sotto il patronato di Sua Eminenza Cardinale Paul Poupard, Presidente del Concilio Pontificio per la Cultura.

tion of the exhibition was honoured with the presence of the then President of Romania, Mister Ion Iliescu, of His Eminence Cardinal Angelo Sodano, Secretary of State of the Holy See, and His Most Eminent Highness Fra’ Andrew Bertie, Prince and Grand Master of the Sovereign Military Order of Malta.

2. Another moment charged with an intense significance was the exhibition Anatolian Rugs from Transylvania.

XVI-XVII centuries. The rugs – all of them coming from the Brukenthal Museum in Sibiu – were on display at Rome’s Accademia di Romania between 4-29 April 2005, and in the centre of the exhibition was the largest and most important piece: a wonderful small pattern Holbein rug attributed to the beginning of the 16th century. The exhibition made evident a clear specifity of Romania: the rugs were produced in the Ottoman territory, they were afterwards brought to Romania and became extremely appreciated arts objects in the Christian ambiance of Transylvania, most of them being kept in the Lutheran churches of the German minority. Thus, the history of Anatolian rugs can offer an original image about the inter-confessional, inter-ethnic and inter-cultural dialogue that is a special trait of Romania. The time of the exhibition was chosen with a special reason: that is to celebrate properly the moment of the signature of the Accession Treaty of Romania to the European Union, event that took place on 25 April 2005 in Luxembourg.

The idea of this exhibition underlined the strong contribution Romania can make to the European Union, in relation with the profile that Europe should assume in the future in terms of multiculturality, inter-ethnic harmony and inter-confessional coexistence.

3. Most recently, the exhibition of Romanian traditional icons Faith and Arts was organized in Rome’s Church of Santa Maria in Montesanto (“Church of the Artists”), in the period 25 February-12 March 2006. The authors of the icons were Romanian artists, members of the Association “Religious Art and Restoration” of the Romanian Artist Union and they wanted to express through their works the fecundity and to ensure the perpetuity of the Romanian religious art. This exhibition – essentially a collection of traditionally orthodox icons that were presented within a famous catholic church – was able to highlight at least two particular aspects of the international presence of Romania. On the one hand, the very fact that the upcoming accession of Romania to the European Union would mean also a consistent contribution to the

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Futuri Eventi Ecumenici La Terza Assemblea Ecumenica Europea avrà luogo in Sibiu, Romania (4-8 settembre 2007) grazie alla Conferenza Europea dei Vescovi e alla Conferenza delle Chiese Europee.

La Terza Assemblea Ecumenica Europea, intitolata “La Luce di Cristo risplende su tutti. Speranza per il rinnovo e l’unità in Europa” continua la tradizione di quelle di Basilea (1989) e di Graz (1996).

La novità di questa Assemblea, sta nel fatto che non è un singolo evento ma un processo. Attraverso quattro fasi, la Terza Assemblea Ecumenica Europea rappresenta un’altra tappa nel simbolico pellegrinaggio di riscoperta delle radici cristiane d’Europa attraverso le sue varie tradizioni . È significativo aggiungere che l’Assemblea di Sibiu del Settembre 2007 sia stata organizzata in coincidenza con la scelta di Sibiu come Capitale Culturale d’Europa.

cultural and confessional enrichment of the United Europe to come. On the other hand, such an event underlined the careful attention paid by the Romanian authorities to their relations with the Holy See, whilst promoting a policy in religious affairs that is based on the respect for the autonomy of the religious denominations and the support for the ecumenical dialogue.

It is worth mentioning that all of these events were organized in cooperation with, and under the patronage of His Eminence cardinal Paul Poupard, the President of the Pontifical Council for Culture.

Ecumenical events to come The Third European Ecumenical Assembly is due to take place in Sibiu, Romania (4-8 September 2007) on the organization of the European Bishops’ Conferences (CCEE) and the Conference of European Churches (CEC). Having the significant heading “The Light of Christ shines upon all. Hope for renewal and unity in Europe” the Third European Ecumenical Assembly follows the tradition of the previous assemblies held at Basel (1989) and Graz (1996). The novelty of this Assembly lies with the fact that it is not just a one-off event but a process.

Through four stages, the Third European Ecumenical Assembly aims at being a type of symbolic pilgrimage encountering the richness of different Christian traditions and rediscovering Europe’s Christian roots.

On the other hand, it is to be noted that the Sibiu September 2007 Assembly is organized in coincidence with the role undertaken in the same year by the same Romanian city as Cultural Capital of Europe.

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IMPARARE

ROMA learning ROME Per rendere il volto della Città esemplare per il mondo intero

A

ttraverso qualificate riflessioni di alcuni Prelati della Curia Romana unitamente alle testimonianze di Ambasciatori presso la Santa Sede e personaggi della vita civile, si vuole intraprendere un viaggio sapienzale nella Roma antica e moderna. Un viaggio per illustrare il significato universale di Roma, la capacità dell’Urbe di essere patria comune a genti diverse, per lingua, per razza e per consuetudini. Sarà un viaggio non tanto rivolto a far rivivere il mondo antico, quanto ad assumere in sé lo “spirito” della civiltà latina e cristiana e ad accordare il suo valore con la realtà contingente.

Un viaggio per comprendere meglio il valore dell’uomo e il valore della democrazia intesa come gestione partecipativa dello Stato, attraverso specifici organi di rappresentanza e di controllo, a servizio del bene comune.

Un viaggio per fare di Roma un modello di convivenza rispettosa tra uomini e donne di religioni e di idealità diverse. Questa iniziativa si ispira innanzitutto a Paolo VI, che inaugurò un nuovo stile di dialogo con l’Urbe, e poi riprende l’esortazione di Giovanni Paolo II che, nel libro “Dio e Mistero” ha scritto: “Per chi ha la fortuna di potersi formare nella capitale del Cristianesimo, più ancora degli studi importante è imparare Roma stessa”.

The City as a world model

T

hroughout several comments made by prelates of the Roman Curia, by Ambassadors to the Holy See and other civilians let us follow an intellectual journey between ancient and modern Rome.

A journey to illustrate the universal meaning of Rome, the capacity of the “Urbe” to be (and become) homeland for diverse people. It won’t be a trip to revive the splendor of the ancient past, but it will rather be a way to take on the “spirit” of the Latin and Christian civilization and to bring out lessons for the present. A journey to understand better the value of mankind and the value of democracy as state governance, through different representative controls, committed to the common good. A journey to Rome, to bring up the city as a model of living together between men and women of diverse ideas and faiths. This initiative draws its inspiration from Paul VI who opened a new style of dialogue with the city. It recalls as well the piece of advice of John Paul II, who wrote in the book “Dio e Mistero”: “For those who are lucky enough to stop by in the capital of Christianity, more than the study it is important to learn Rome itself”.

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S.E.HANNA SUCHOCKA

S.E.HANNA SUCHOCKA

S

F

Ambasciatore di Polonia presso la Santa Sede

pesso arriviamo con la speranza e la convinzione che leggendo questi libri abbiamo conosciuto a fondo Roma, che abbiamo imparato tutto su Roma.

Probabilmente in un certo senso è vero. Naturalmente abbiamo imparato la sua storia così come i pettegolezzi e le curiosità. Questo in molti casi ci permette di spostarci molto meglio in questa città e persino di essere una sorta di guida.

Ma grazie a questi libri, possiamo realmente dire che conosciamo a fondo questa città? Sicuramente no.

Ognuno di noi si approccia a questa città, la apprezza e arriva a conoscerla a fondo in modo diverso.

Allo stesso tempo, è importante fare una riflessione su quanto abbiamo in comune con queste esperienze.

Queste riflessioni separate ed individuali allo stesso tempo ci accomunano, grazie ai momenti speciali che noi viviamo in questa città e al fascino che essa esercita su di noi. Certamente tutto questo ha origine non solo dall’essenza e dallo speciale magnetismo di questa città ma anche dal suo bagaglio storico e culturale.

Quanto è stato influenzato il nostro modo di sperimentare Roma da ciò che abbiamo letto su di essa, da ciò che abbiamo imparato prima di venire personalmente in contatto con questa città! Quanto la letteratura ha caratterizzato le nostre peregrinazioni!

Quasi tutti gli autori nel corso dei secoli hanno descritto Roma, hanno descritto la loro Roma, che da quando abbiamo imparato a conoscere noi stessi grazie a lei, è diventata la nostra Roma.

Si può imparare Roma gradualmente. Il primo approccio basilare è quello di conoscere a fondo Roma. Per far ciò bisogna comportarsi come un turista che percorre in lungo e in largo i viottoli e le strade in preda alla fretta per cercare di vedere tutto, di andare ovunque, spinto dalla paura di non aver visitato tutti i posti citati nella guida, ed alla fine prevale una sensazione di soddisfazione e di smarrimento. Qualche volta ho l’impressione che quest’approccio sia una specie di inventario, un controllo che ben si adatta a ciò che è stato scritto nella guida. Ed ecco allora che la colonna del Bernini o la Fontana di Trevi ci appaiono ammassate in una piccola piazza, mentre la Fontana del Tritone ci sembra situata in una piazza rumorosa che è

Ambassador of Poland to the Holy See

requently, we arrive with the hope and the conviction that we have mastered Rome, that we have learned about Rome by reading these books. Perhaps, this is true in a certain sense. Naturally, we have learned a lot of history as well as some rumors (gossips) and curiosities.

This certainly enables us in many cases to move about this city much better and even to be a guide of sorts.

But can we truly say that we have mastered Rome on the basis of these books. Certainly not.

Everyone learns about this city in a different way, everyone befriends it differently and everyone comes to master this city differently. At the same time, one reflection comes to mind about how much we have in common in these experiences. These separate and individualized reflections are simultaneously common to all of us; in fact, they are frequently our special moments, our own experiences, our own source of enchantment. Of course, this follows not only from the essence of this city and from its special magnetism but also from our joint historical and cultural baggage. How strongly our own way of experiencing Rome is controlled by what we have read about Rome, by what we have learned before we personally come into contact with this city!

How strongly literature has marked the destinations of our wanderings! Nearly all the authors in every century have described Rome, they have described their Rome, which, as we came to acquainted ourselves with this city, became our Rome.

There are various stages of learning Rome. The first stage, the basic one is getting acquainted with Rome.

This is basically a tourist-like, feverish walk along well-beaten paths, along marked routes and accompanied by the feeling of urgency on whether we will manage to see everything, will we get everywhere, the fear that we have not seen one thing or another, mentioned in the guidebook, and finally there is the feeling of repletion and being lost.

I sometimes have the feeling that this stage is a type of an inventory, of making a check that yes, we have seen that, that it fíts what has been written in the guidebook. And thus, that is how the Bernini Column looks, and that is how Fontana di Trevi actually looks, crammed into a small square, or the Triton Fountain

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raggiungibile solo correndo tra macchine che procedono a grande velocità. Questo stadio, tuttavia, ci dà l’opportunità di ottenere una consapevolezza dello spazio cittadino verificando i nostri giudizi su questa città. Qualche volta esso ci porta ad una sorta di disincanto connesso con la nostra immaginazione. Un’esperienza del genere è stato il mio primo contatto con la Pietà. La avevo immaginata molto più grande, pensavo avesse le stesse dimensioni della Scultura di Mosè, e improvvisamente ebbi l’impressione che apparisse piccola, così delicata e fragile, se paragonata all’immensità della Basilica.

Questo primo contatto per imparare a conoscere Roma non ci dà la possibilità di saper muoverci in questa città, di attraversare le viuzze che non sono segnate nelle guide turistiche, di trovare da soli luoghi sorprendenti; non c’è tempo per fare tutto questo. Inoltre, non c'è tempo per sperimentare Roma, per essere avvolti dalla sua atmosfera.

Questo approccio è mero turismo. E questa città, ancora una volta, contrariamente a quello che si dice, richiede calma. Pretende passeggiate distensive, pensieri profondi, il sedersi, sui sassi ricercando un nostro personale punto di vista non influenzato dalle esperienze e dalle descrizioni degli altri.

Lo ho avuto la fortuna di conoscere Roma attraverso vari momenti, in altre parole, di avvicinarmi ad essa gradualmente. La mia passione per Roma è nata in seguito alla lettura del romanzo Quo Vadis dell’autore polacco Henryk Sienkiewiez. Il romanzo parla dello scontro tra l’imperatore romano, la Roma di Nerone e il Cristianesimo. Ho fatto riferimento a questo romanzo per spiegare il motivo per cui Roma mi affascina, poiché la sua lettura ha stimolato la mia immaginazione ed ha aumentato la mia curiosità. Ho letto questo romanzo quando ero adolescente e sin da allora ho cercato di immaginare Roma.

Ho cercato di raffigurarla con la mente e di collocare nello spazio il Palatino, il Circo Massimo, i luoghi in cui erano tenuti i banchetti di Tigellino, la piccola chiesa descritta in Quo Vadis così come l’altro lato del Tevere (Trastevere) e le catacombe, dove, secondo la versione del Sienkiewicz, i cristiani tenevano le loro prime riunioni. Questa fu la mia prima lezione su Roma ma allo stesso tempo fu una profonda esperienza. Ha lasciato in me un segno indelebile. È necessario affermare in questa sede che lo ho letto questo libro alla fine degli anni 50,

located on a noisy square that is reachable only be running between fast-moving cars.

This, however, is that stage which gives one an opportunity to gain a spatial awareness of the city and to verify one’s conceptions of this city. It sometimes leads to a kind of disenchantment related specifically to verifying one's imagination. I remember that my contact with Pieta was one such experience.

I had imagined that it is much larger, that its size equals the Sculpture of Moses, and suddenly I had the impression that it is dwarfed by the enormity of the Basilica, that it is so delicate and fragile.

This first stage of getting to know Rome does not enable one to circle Rome, to penetrate the small streets that are not marked in the classic tourist routes, to make your way to surprising places; there is no time to do so. Furthermore, there is no time to experience Rome, to be enshrouded by the city's atmosphere.

This stage is mere tourism. And this city, once again, contrary to popular belief, requires calmness.

It requires calm walks, deep thought, sitting on stones and searching for your own points of reference, and not just checking other people’s experiences and descriptions.

I have been afforded the good fortune to be able to absorb Rome in stages, to traverse various stages, in other words, to acquaint myself with it gradually.

My Roman inspiration was the novel written by Henryk Sienkiewicz, a Polish author entitled Quo Vadis. The novel about the collision between the Roman Caesar, Nero’s Rome and Christianity. I make reference to this novel because it formed the grounds of my fascination with Rome.

It stimulated my imagination and peaked my curiosity of Rome. I read it in my teens and since that time pictures of Rome continue to visit me.

I attempted to imagine and to place in space the Palatine, the Circo Massimo, places where Tygellinus’ feasts were held, the small Quo Vadis church as well as the other side of the Tiber (Trastevere) and the catacombs, where, according to Sienkiewicz’s version, Christians held their first meetings. This was my first lesson about Rome but it was also a profound experience.

It has left an irremovable mark on me. It is worth mentioning here that I read this book at the end of the 1950s, a time when it was hard for someone living in

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un periodo in cui era difficile vivere in quella parte d’Europa da cui provengo e, altrettanto difficile, era immaginare che un giorno avrei avuto la possibilità di vivere a Roma. Ricordo di aver letto questo romanzo forse più di una decina di volte. Anche ora quando vado dall’altro lato del Tevere (Trastevere), sono sempre accompagnata dalle immagini immagazzinate nelle mia mente, tratte da quel romanzo sul primi secoli del cristianesimo. Ricordo anche le mie prime impressioni quando esattamente 25 anni fa per la prima volta visitai Trastevere. Sentii subito una grande emozione. Visitai San Pietro e San Paolo, attraversai le strade percorse dai primi cristiani.

Potevo finalmente vivere quell’atmosfera intensamente, a causa dello sciopero cittadino del servizio di trasporto pubblico, e quindi camminai (in entrambe le direzioni) da Piazza Cavour alle catacombe di San Pancrazio lungo il Lungotevere e Trastevere in un soffocante luglio romano. Ricordo che lungo il Tevere le panchine erano vuote e che non circolava nessuna automobile. All’improvviso, questa città rumorosa (i clacson erano usati molto più spesso rispetto ad oggi) si era trasformata in un’oasi di pace e ciò diede spazio all’immaginazione. Ma questa era anche una lezione pratica su Roma. Tutte le persone che vengono a Roma sono accompagnate dalla sensazione di essere sommersi da secoli di storia, un sentimento particolare di continuità con rispetto verso tutto quello che ci ha preceduti. Questo sentimento accomuna le nostre esperienze a quelle degli altri individui che hanno vissuto qui nel corso dei secoli.

Ma allo stesso tempo Roma lascia in ognuno di noi un segno singolare. Durante la mia prima visita a Roma, durata un mese ho cercato di evitare i tipici percorsi turistici. In quel mese ho provato a creare la mia Roma, una Roma che non fosse semplicemente la somma delle immagini fornite dagli altri. Volevo accostarmi ad una Roma meno conosciuta, una in cui si può scoprire una colonna che si eleva solennemente in una strada o ci si può trovare in una trattoria lontana dal centro e soffermarsi sul suo destino e la sua storia. Quella Roma che oggi fondamentalmente è scomparsa mi ha affascinato a quel tempo perché non era la Roma del periodo d’oro, per esempio la Roma del Medioevo, le stradine rimaste qui e lì dietro il Foro Traiano. Ho cercato d’immaginare come potesse apparire Roma prima che venissero creati ai tempi di Mussolini strade più grandi.

that part of Europe from where I come to imagine that I would someday have the possibility of being in Rome. I remember that I read this novel a dozen or so times. To this day, when I go to the other side of the Tiber (Trastevere), I am always accompanied by the picture lodged in my mind, taken from that novel of the first centuries of Christianity.

I also remember my first impression when exactly 25 years ago I made my way to Trastevere for the very first time. I felt such a surge of emotion and realized that this was it. Saint Peter and Saint Paul along with the first Christians walked these streets. Truthfully, I could experience this atmosphere even more acutely as, on account of the city transport workers’ strike, I had to walk (both ways) from Piazza Cavour to the San Pancrazio catacombs across the entire Lungotevere and Trastevere Street in a sweltering Rome in July. I remember the empty banks of the Tiber River; no cars were driving along them. Suddenly, one day, this noisy city (horns were used more frequently then than now) transformed into an oasis of peace. This created a field of imagination. But this was also a practical lesson on Rome. Every person who comes to Rome is accompanied by a feeling of being submerged in the centuries, a particular feeling of continuity with respect to everything that has preceded us. This is a feeling that says that our experiences are held so much in common by all the persons who have lived in this city over the centuries. At the same time, Rome leaves its own individual mark on each one of us.

During my first month-long visit to Rome I tried to break away from the typical tourist path. Over that month I tried to create my own Rome in my imagination, a Rome that would not simply be the sum total of pictures borrowed from others.

I wanted to submerge myself in a less well-known Rome, one in which a person can find a column standing peacefully on a street or forming the basis for a table in an out-of-the-way trattoria and dwell on its fate and history.

That Rome, which had basically disappeared was the one that fascinated me at that time because that was not Rome’s golden period, i.e. the Rome of the Middle Ages, the narrow streets which remained here and there behind the Trajan Forum. I tried to imagine how Rome looked before these large roadways in Mussolini time were created.

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L’imbattersi in stradine poco sconosciute era un modo di sperimentare la mia Roma. Ho trascorso interi giorni gironzolando per la città. Volevo familiarizzare con Roma, volevo immergermi nella sua realtà perché non sapevo se sarei mai ritornata.

Allo stesso tempo questa visita rappresentava la ricerca delle mie radici culturali.

Le mie radici allo stesso tempo cristiane ed europee.

Mi ricordo quanto fossi emozionata mentre passeggiavo lungo i famosi ciottoli dell’Appia Antica o quando vidi il mausoleo di Cecilia Metella; in fondo grazie ai miei studi di latino, mi era tutto familiare. E all’improvviso questa Roma mi divenne cara.

Dopotutto sono cresciuta con quest’amore per Roma dalla lontana Polonia.

E allo stesso tempo questa Roma ha sempre aperto le sue porte ai polacchi. Ci sono stati periodi nella storia della Polonia in cui i polacchi non si sentivano liberi nella loro patria, non potevano esprimersi liberamente e fu allora che Roma ci aprì le sue porte.

Il già menzionato Sienkiewicz, una volta scrisse che ogni uomo civile ha due patrie: la propria e l’Italia.

Questa massima si può applicare in modo particolare ai polacchi. J. Gawrofski scrisse che “nei corsi dei millenni la storia della Polonia è stata Profondamente legata a quella dell’Italia, come nessun altro paese europeo lo ha mai avuto”.

Queste hanno inoltre legami culturali, che solo in casi eccezionali hanno carattere politico. La realtà della nostra unione culturale con l’Italia è un fenomeno eccezionale nelle cronache della Storia. È difficile comprendere come ciò possa essere accaduto, che un paese così distante geograficamente, così differente nel suo sviluppo storico possa aver avuto un’influenza maggiore sulla nostra cultura rispetto ai paesi confinanti. Per questa ragione, rintracciare tracce polacche era quel qualcosa che mi ha sempre affascinato di Roma. Imparare Roma include imparare qualcosa della Roma Polacca.

Dopo tutto, mi trovai a studiare questa Roma Polacca nel periodo durante il quale non era in carica un Papa polacco. Questo è il motivo per il quale la ricerca iniziava sempre con una visita alla chiesa Polacca di S. Stanislaw.

La chiesa Polacca e la parte intorno hanno una ricca tradizione. Nel XVI secolo il Cardinale Hozjusz chiese a Papa Gregorio XIII di designare e donare ai Polacchi la propria chiesa e casa a Roma.

This stumbling around unknown or less well-known streets was a way of experiencing my own Rome.

I spent entire days circling the city. I wanted to acquaint myself with this Rome. I wanted to saturate myself with it because I did not know if I would return.

But at the same time this visit was also a search for my own cultural roots. Christian roots and European roots. I remember how moved I was as I walked along the famous cobblestones on Via Appia Antica or as I viewed the Cecylia Metella mausoleum; after all, I was familiar with all this thanks to my Latin textbooks. And suddenly, this Rome became dear to me. After all, I grew fond of this Rome in distant Poland. And at the same time, this Rome had always been open to the Poles. There were periods in Poland’s history in which Poles could not feel at liberty in Poland, they could not freely create in their homeland and it was then that Rome opened its gates to them. Sienkiewicz whom I have already mentioned once wrote that every civilized man has two homelands: his own homeland and Italy. This adage is particularly applicable to Poles. J. Gawrofski has written: “Over the entire millennium of its historical existence Poland has maintained such close, profound and sustainable ties with Italy, ones that no other European country has had.

These were above all cultural ties, which only in exceptional cases had a political context.

The fact of our cultural union with Italy is a unique phenomenon in the chronicles of history. It is difficult to understand how this could have occurred, that a country so geographically distant so different in its historical development could exert a greater influence on our culture than adjacent countries”.

For this reason, searching out Polish traces was something that always fascinated me in Rome.

Learning about Rome also included learning about the Polish Rome.

After all, I was faced with learning about this Polish Rome in a time when there was no Polish Pope.

That is also why the search usually began with a visit to the Saint Stanislaw Polish church.

The Polish church and the part of the city that surrounds it have a lengthy tradition. In the 16th century Cardinal Hozjusz asked Pope Gregory XIII to designate and give the Poles their own church and home in Rome.

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E ciò accadde. Il Papa diede a Hozjusz la chiesa di S. Salvatore in via delle Botteghe Oscure (nel 1578), che fu consacrata nel 1591 come la chiesa di S. Stanislaw Vescovo. Inoltre qui fu creato un ricovero polacco, e la piccola via nelle vicinanze fu chiamata via dei Polacchi. Durante le spartizioni, la chiesa condivise il destino del popolo. Fu chiusa durante quel periodo e il ricovero divenne un sicuro rifugio per i viaggiatori Ortodossi Russi. Non era il 1920 che iniziò ad operare ancora una volta come una chiesa Polacca e divenne nel dopoguerra un importante luogo d’assemblee e celebrazioni patriottiche. Molti Polacchi tradizionalmente trovavano assistenza dopo l’arrivo a Roma. (Questo era possibile perché il numero degli immigranti non era elevato come adesso.) Questo percorso, attraverso la chiesa Polacca, non fu quello che evitai 25 anni fa.

Il sapore di Roma era speciale a quel tempo. Ogni giorno, frequentemente scopro la mia vocazione a seguire i vialetti sui quali mi adagiavo molti anni fa a Roma. Visitai quei luoghi dove S. Stanislaw Kostka visse e morì, dove Nordwid risiedeva, dove Sienkiewicz visse e scrisse Quo vadis, dove fu spento il sorgere dell’Ordine dei Risurrezionisti. Tutto questo è la mia Roma. Una Roma speciale, nella quale una persona può muoversi liberamente, quasi comunicare in polacco. Quello che c’è in più, lo ha causato il destino. Sia il posto dell’Ambasciata Polacca che la residenza dell’Ambasciatore, sono stati spostati, nel frattempo, in una casa facente parte della chiesa Polacca, e di conseguenza la mia visita precedente e l’attuale si sono volte a formare un circolo completo. Il mio attuale soggiorno a Roma è decisamente più lungo rispetto al passato. Pertanto crea una prospettiva diversa. Non è più la prospettiva del turista di passaggio. Significa che si guarda Roma con altri occhi, che la si vive in maniera diversa e si vedono determinate cose e questioni di cui prima non ci si accorgeva. Noi che arriviamo per un momento, che abbiamo questo privilegio di divenire per un poco di tempo, per un attimo, abitanti di questa città, noi la dobbiamo imparare veramente. Il più delle volte giungiamo dotati di una conoscenza più grande o più piccola, più superficiale o più profonda, sui fatti storici, sugli stili architettonici, sulla serie delle guerre romane, sulla storia del papato. Ma quella Roma è tuttavia sempre una qualche Roma lontana e al contempo impersonale, spersonalizzata.

And this came about. The Pope gave Hozjusz the Saint Salvatore church on Botteghe Oscure Street (in 1578), which was consecrated in 1591 as the Saint Stanislaw Bishop church. A Polish hospice was also established here, and the small street in the vicinity was named Via dei Polacchi. During the partitions, the church shared the nation's fate. It was closed for the entire time and the hospice became a sale haven for Russian Orthodox travelers. It was not until 1920 that it began to operate once again as a Polish church and became an important site of patriotic assemblies and celebrations in the post-war period. Many Poles traditionally sought out assistance after arriving in Rome.

(This was possible because the numbers of incomers were not so massive as at present). This path through the Polish church was not one that I bypassed 25 years ago. That taste of Rome was special at that time. Even today, I frequently find myself following the paths I laid so many years ago in Rome.

I visit those places where Saint Stanislaw Kostka lived and died, where Norwid resided, where Sienkiewicz lived when he wrote Quo Vadis, where the beginnings of the Order of Resurrectionists were laid. All of this is my Rome. A special Rome in which a person can move about freely, communicating just in Polish.

What’s more, fate has caused both the seat of the Polish Embassy and the Ambassador’s residence to have been moved in the meantime to a home belonging to the Polish Church and thus my previous visit and my current visit have come to turn a full circle.

My current visit to Rome is a visit that is relatively longer than my previous one. It therefore creates a different outlook. This is no longer the outlook of a transitory tourist. This means that one looks differently at Rome, one experiences Rome differently, one sees certain things and matters that one did not notice previously. We ephemeral visitors who have the privilege of becoming residents of this city for some time must really learn about this city. Most frequently, we arrive outfitted with more or less knowledge, which is more or less superficial or profound, concerning historical facts, architectural styles, various Roman wars, the chronicles of the Popes. But this Rome is nevertheless always a distant and de-personified Rome. Being here on a daily basis, however, requires a totally different type of knowledge.

Indubitably, this knowledge is the resultant of everything that forms Rome’s history and traditions.

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La permanenza quotidiana qui richiede invece una conoscenza del tutta diversa. Ed essa è indubbiamente la risultante di tutto ciò che compone la storia di Roma e la sua tradizione. Ma Roma nella quale ci accade di vivere, è prima di tutto la Roma dei suoi abitanti, uniti da una tradizione comune, da usanze, e soprattutto della coscienza di essere radicati nella storia, da cui deriva un peculiare atteggiamento distante rispetto al tempo – tutte cose difficili da cogliere per lo straniero che viene da fuori.

Solamente dopo essere arrivata per rimanere più a lungo, quando sono venuta ad abitare qui, mi sono resa conto che, per quanto fossi affascinata da Roma, per quanto amassi questa città, io la vedevo in maniera troppo unilaterale. Solamente attraverso il prisma dell’architettura, degli edifici, delle nozioni di storia.

Mancava la gente. Solo ora mi sono resa pienamente conto, che Roma è anche i suoi abitanti e che sono loro a creare l’atmosfera quotidiana della città.

Nessuno imparerà la città, nessuno la conoscerà mai, se non si accorgerà della gente.

Ed è questa la mia nuova esperienza e il nuovo insegnamento. Abito nel pieno centro di Roma, nel cuore della città antica. Dalle finestre vedo gli scavi che sono del tutto recenti per Roma, perché sono incominciati poco più di una decina di anni fa. Nel cortile della casa dove abito sono state scoperte le parti della cripta di Balbo, nonché la fondamenta del tempio di Vesuvio. Ma al contempo io abito nel centro di una Roma normale, dove si svolge la vita abituale, quotidiana, che io posso non solo osservare, ma anche prendervi parte in un certo senso. In un certo senso, proprio perché ho la piena coscienza che, in quanto straniero che abita qui per poco tempo, non parteciperò mai a quella vita in maniera piena.

Tremila anni di storia, la coscienza della continuità, improntano il modello della vita contemporanea quotidiana di Roma, il suo ritmo la dinamica e i riferimenti dell’abitante della Roma contemporanea.

Anche per questo noi con le nostre abitudini, con la nostra fretta, con il nostro nervosismo diamo spesso l’impressione di essere stranieri, diversi, l’impressione di chi semplicemente non sa vivere. La prima cosa con cui mi sono scontrata, è che è stata per me un totale sorpresa, è la quiete. Quel famoso piano piano.

L’immagine degli italiani come persone eternamente in preda alla fretta, nervose ed urlanti, spesso s’imprime nella coscienza degli stranieri da flashes di

But the Rome in which we live is above all the Rome of the people who reside here, who are bound by common traditions, customs and a common awareness of their roots in history and the distance separating it from time, which is difficult for an outsider to penetrate.

It was not until I came here for a longer period, until I settled here that I made myself aware of the fact that despite all my fascination with Rome, my love for Rome, I had been looking at it too one-sidedly.

Only through the prism of architecture, buildings, historical concepts.

People were missing from my view. It is only now that I have fully become aware that Rome also consists of people who form the daily atmosphere of this city.

No one will come to know this city, no one will become acquainted with this city if he or she fails to see the people. This is my new experience and my new lesson. I live in the very centre of Rome.

In the heart of ancient Rome. From my windows I see digging sites, which, by Roman standards are totally fresh sites as they have been opened only for a dozen or so years. More parts of the Balbi crypt are being opened up in the courtyard of the home whereI live, as are the foundations of the Temple of Vesuvius.

At the same time, however, I live in the centre of a normal Rome where ordinary day-to-day life goes on, which is something that I can not only observe but in which I can also participate in some sense. I am completely aware that as a transitory incomer, I will never fully participate in this life. Three thousand years of history and the awareness of continuity shape the model of contemporary everyday Roman life, its rhythm, dynamism and reference points for modern residents of Rome.

This also means that with our habits, our haste and nervousness we often create the impression of being foreign, different, of being people who are not able to live simply.

Peace is the first thing which I encountered here and which was a total surprise for me. The famous piano, piano. The picture of Italians as people who are always in a hurry, who are nervous and yelling at one another is an image deeply rooted in the consciousness of foreigners, at least this was true in my case, based on scenes in movies or from superficial messages. Nothing could be further

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film o da fonti superficiali, perlomeno così è stato nel mio caso. Niente di più errato. Purtroppo accade a volte che siano gli italiani a dovermi calmare (specialmente quando voglio acquistare qualcosa di fretta) richiamandomi al ritmo prefissato con quel loro famoso: piano piano. Ed è proprio questa vita quotidiana che è più difficile da imparare. Il famoso detto inglese “In Rome do as Rome does”, che nelle intenzioni ha un carattere più universale, non a caso si riferisce proprio a Roma. E non è senza ragione che viene riferita proprio a Roma questa esigenza di rispettarne le usanze, di rispettare quel ritmo di vita che dà alla vita un’altra dimensione, al di là dell’affaccendamento quotidiano, spesso insensato. Questo si deve imparare, perlomeno durante il periodo in cui si è a Roma.

Roma e gli italiani sono un ottimo esempio per tutti coloro che, inclusa la mia patria, temono di perdere l’identità nazionale entrando nell’Unione Europea.

Fare parte dell’Unione Europea non ha privato i romani delle loro identità, delle loro abitudini.

Ed è proprio questo senso del proprio valore, indipendentemente dal ruolo che si ha, che permette loro di far parte pienamente dell’Unione Europea, come anche di essere pienamente se stessi.

Anche questo l’ho imparato qui.

from the truth. Unfortunately, it sometimes happens to me that Italians must calm me down (especially if I want to buy something quickly) and they must ask me to return to the set rhythm with their famous piano, piano.

This type of daily life is probably the thing that is the hardest to learn. The well-known English saying “When in Rome, do as the Romans do”, which is conceptually more universal, refers to Rome not just by mere chance.

This requirement of observing the local custom, of following this life rhythm, which ascribes a different dimension to life besides the daily, frequently senseless run-and-go style refers to Rome for a reason, and this must be learned, at least for the length of the time one remains in Rome.

Rome and the Italians form an excellent example for all those persons (this also applies to my homeland) who are afraid of losing their identity upon acceding to the European Union. EU membership has not deprived Romans of their own identity, their own habits. In fact, this feeling of their own value, notwithstanding the role they play allows them to be in the EU fully, and to be themselves fully at the same time. This is also something that I have learned here.

C a r i t à P o l i t i c a 107

Dicasteri

C

Vaticani

ol termine «dicastero» (dal greco dicasterion, tribunale) s’intende ciascuno dei principali uffici amministrativi dello Stato; esso è sinonimo di ministero. Il termine è comune anche all’uso ecclesiastico e per antica tradizione indica gli organismi principali della Curia romana. Il Vaticano II, nel decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi nella Chiesa Christus Dominus (n. 8), auspicandone il rinnovamento in conformità alle necessità dei tempi, delle regioni e dei riti, così configurava i dicasteri della Curia romana: «Nell’esercizio della sua suprema, piena e immediata potestà sopra tutta la Chiesa, il Romano Pontefice si avvale dei Dicasteri della Curia romana, che perciò compiono il loro lavoro nel nome e nell’autorità di Lui, a vantaggio delle Chiese, e al servizio dei sacri Pastori».

I dicasteri sono nati nel tempo per aiutare il Papa, le Chiese particolari e la Chiesa universale nel disbrigo di numerosi e importanti affari ai quali sia i Romani Pontefici stessi sia i vescovi, non avrebbero potuto provvedere da soli.

In queste pagine vogliamo trattare l’attività dei dicasteri vaticani.

T

he term Dicastery comes from the Greek dicasterion, (tribunal), and refers to the main administrative offices of the State; it is a synonym of Ministry. The term is also used by the Church and by ancient tradition indicates the main organisms of the Roman curia. The Second Vatican Council in the decree on the pastoral office of bishops in the church, Christus Dominus (n.9), setting out the need for a renewal in conformity with the times, regions and rites of the Church, considered the Dicasteries of the Roman Curia in the following light: “In exercising supreme, full, and immediate power in the universal Church, the Roman pontiff makes use of the departments of the Roman Curia which, therefore, perform their duties in his name and with his authority for the good of the Churches and in the service of the sacred pastors”. The Dicasteries have evolved over time to help the Pope, the local Churches and the universal Church carry out the many different affairs which the neither the Roman Pontiffs nor the bishops could carry out on their own. In the following pages we wish to outline the activity of the Vatican Dicasteries.

Pontificio Consiglio della Cultura The Pontifical Council for Culture

L’

origine del Pontificium Consilium de Cultura, Pontificio Consiglio della Cultura, risale al Concilio Vaticano II. Il Concilio, infatti, ha sottolineato - dedicandovi un’intera sezione della Costituzione pastorale Gaudium et Spes – l’importanza fondamentale della cultura per il pieno sviluppo dell’uomo, i molteplici legami tra il messaggio della salvezza

T

he history of the Pontificium Consilium de Cultura, the Pontifical Council for Culture, dates back to the Second Vatican Council. A whole section of that Council’s Pastoral Constitution on the Church – Gaudium et Spes – emphasises the fundamental importance of culture for the full development of the human person, the many ways in which salvation and

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e la cultura, il reciproco arricchimento della Chiesa e delle diverse culture nella comunione storica con le varie civiltà (Gaudium et Spes, 53-62).

Il Papa Paolo VI, raccogliendo il frutto dei lavori della Sessione del Sinodo dei Vescovi sull’evangelizzazione, tenutasi nell’autunno 1974, scrive: “Il Vangelo, e quindi l’evangelizzazione, non si identificano certo con la cultura e sono indipendenti rispetto a tutte le culture. Tuttavia, il Regno che il Vangelo annunzia è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura, e la costruzione del Regno non può non avvalersi degli elementi della cultura e delle culture umane. Indipendenti di fronte alle culture, il Vangelo e l’evangelizzazione non sono necessariamente incompatibili con esse, ma capaci di impregnarle tutte, senza asservirsi ad alcuna” (Evangelii Nuntiandi, n. 20). Raccogliendo la ricca eredità di Paolo VI, del Concilio Ecumenico Vaticano II e del Sinodo dei Vescovi, Giovanni Paolo II crea, nel 1982, il Pontificio Consiglio per la Cultura con la Lettera autografa al Cardinale Segretario di Stato, del 20 maggio 1982. Con la Lettera Apostolica in forma di Motu proprio Inde a Pontificatus, del 25 marzo 1993, Giovanni Paolo II unisce, poi, il Pontificio Consiglio per il Dialogo con i non credenti (fondato nel 1965 da Paolo VI) al Pontificio Consiglio della Cultura, per formare un unico organismo, che porta il nome di Pontificio Consiglio della Cultura.

“

Finalità e compiti del Consiglio

”

Il Pontificio Consiglio della Cultura è il Dicastero della Curia Romana, che coadiuva il Sommo Pontefice nell’esercizio del Suo supremo Ufficio pastorale per il bene e il servizio della Chiesa universale e delle Chiese particolari, in ciò che concerne l’incontro tra il messaggio salvifico del Vangelo e le culture, lo studio dei gravi fenomeni di frattura fra Vangelo e culture, di indifferenza religiosa e di non credenza; le relazioni della Chiesa e della Santa Sede con il mondo della cultura, promuovendo, in particolare, il dialogo con le varie culture del nostro tempo, affinché la civiltà dell’uomo si apra sempre di più

culture are linked, and the mutual enrichment of the Church and cultures throughout the history of civilisations (Gaudium et Spes, 53-62).

Pope Paul VI wrote, in a document which harvested the fruits of the work which went into the Synod of Bishops on evangelisation, held in the autumn of 1974: “The Gospel, and therefore evangelisation, are certainly not identical with culture, and they are independent in regard to all cultures.

Nevertheless, the Kingdom which the Gospel proclaims is lived by men who are profoundly linked to a culture, and the building up of the Kingdom cannot avoid borrowing the elements of human culture or cultures.

Though independent of cultures, the Gospel and evangelisation are not necessarily incompatible with them; rather they are capable of permeating them all without becoming subject to any one of them” (Evangelii Nuntiandi, 20).

Building on the riches inherited from Paul VI, the Second Vatican Council and the Synod of Bishops, John Paul II founded the Pontifical Council for Culture in 1982 (Personal Letter to the Cardinal Secretary of State, 20 May 1982). In his Motu Proprio Apostolic Letter Inde a Pontificatus of 25 March 1993, John Paul II merged the Pontifical Council for Dialogue with Non-Believers (founded in 1965 by Paul VI) with the Pontifical Council for Culture.

“

The Council’s Aims and Tasks

”

The Pontifical Council for Culture is that department (Dicastery) of the Roman Curia which assists the Pontiff in the exercise of his supreme pastoral office for the benefit and service of the universal Church and of particular Churches concerning the encounter between the saving message of the Gospel and cultures, in the study of the weighty phenomena of: the rift between the Gospel and cultures; indifference in matters of religion; unbelief. It is also concerned with relationships between the Church and the Holy See and the world of culture; in particular it promotes dialogue with contemporary cultures, so that human

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al Vangelo, ed i cultori delle scienze, delle lettere e delle arti si sentano riconosciuti dalla Chiesa come persone al servizio del vero, del buono e del bello. Il Pontificio Consiglio della Cultura, inoltre, segue e coordina l’attività delle Pontificie Accademie.

Al Consiglio sono, dunque, affidati i seguenti, specifici compiti: Promuovere l’incontro tra il messaggio salvifico del Vangelo e le culture del nostro tempo, spesso segnate dalla non credenza e dall’indifferenza religiosa, affinché esse si aprano sempre più alla Fede cristiana, creatrice di cultura e fonte ispiratrice di scienze, lettere ed arti.

Manifestare la sollecitudine pastorale della Chiesa di fronte ai gravi fenomeni di frattura tra Vangelo e culture. Promuovere, quindi, lo studio del problema della non credenza e dell’indifferenza religiosa presente in varie forme nei diversi ambienti culturali, indagandone le cause e le conseguenze per quanto riguarda la Fede cristiana, con l’intento di fornire sussidi adeguati all’azione pastorale della Chiesa per l’evangelizzazione delle culture e l’inculturazione del Vangelo.

Favorire le relazioni della Chiesa e della Santa Sede con il mondo della cultura, assumendo iniziative appropriate concernenti il dialogo tra la Fede e le culture, e il dialogo interculturale. Seguire quelle che sono intraprese dalle varie Istituzioni della Chiesa e offrire la propria collaborazione ai corrispettivi Organismi delle Conferenze episcopali.

Stabilire il dialogo con coloro che non credono in Dio o non professano alcuna religione, ogni volta che costoro siano aperti ad una sincera collaborazione.

Quindi organizzare e partecipare a convegni di studio in questo campo per mezzo di persone esperte.

Seguire e coordinare l’attività delle Pontificie Accademie, fatta salva l’autonomia dei rispettivi programmi, in maniera da promuovere la collaborazione e la ricerca interdisciplinare, per dare così maggiore risonanza alla loro opera.

Farsi partecipe delle preoccupazioni culturali dei Dicasteri della Santa Sede, realizzare progetti comuni con altri Organismi della Santa Sede, in modo da facilitare il coordinamento dei loro incarichi per l’evangelizzazione delle culture, e assicurare la cooperazione delle istituzioni culturali della Santa Sede.

Dialogare con le Conferenze episcopali, le

civilisation may become increasingly open to the Gospel, and so that men and women of science, letters and the arts may know that the Church acknowledges their work as a service to truth, goodness and beauty.

Furthermore, the Pontifical Council for Culture oversees and co-ordinates the activities of the Pontifical Academies, and co-operates on a regular basis with the Pontifical Commission for the Cultural Heritage of the Church.

The Council has been given the following tasks: To promote the encounter between the saving message of the Gospel and the cultures of our time, often marked by unbelief or religious indifference, in order that they may be increasingly open to the Christian faith, which creates culture and is an inspirational source of science, literature and the arts.

To manifest the Church’s pastoral concern in the face of the serious phenomena of the rift between the Gospel and cultures. It therefore promotes the study of the problem of unbelief and religious indifference found in various forms in different cultural milieus, inquiring into their causes and the consequences for Christian faith, in order to offer adequate support to the Church’s pastoral activity in evangelising cultures and inculturating the Gospel.

To foster the Church’s and the Holy See’s relations with the world of culture, by undertaking appropriate initiatives concerning the dialogue between faith and cultures, and intercultural dialogue. The Council oversees initiatives undertaken by the Church’s various institutions and offers its co-operation to the corresponding organs of Bishops’ Conferences.

To establish dialogue with those who do not believe in God or who profess no religion, provided they are open to genuine co-operation. The Council organises and participates in study congresses in this field by means of experts.

To oversee and co-ordinate the activities of the Pontifical Academies, while respecting the autonomy of their respective research programmes, so as to promote multidisciplinary research and to make the work of the Academies more widely known.

To be involved in the cultural concerns encountered by the departments of the Holy See in the course of their work, and to work on projects organised together with some of them, in such a way as to faci-

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Conferenze dei Superiori e Superiore Maggiori, anche allo scopo di fare beneficiare tutta la Chiesa delle ricerche, iniziative, realizzazioni e creazioni che permettono alle Chiese locali un’attiva presenza nel proprio ambiente culturale.

Collaborare con le Organizzazioni internazionali cattoliche, universitarie, storiche, filosofiche, teologiche, scientifiche, artistiche, intellettuali, e promuovere la reciproca cooperazione.

Seguire la politica e l’azione culturale dei diversi governi del mondo e quella degli organismi internazionali, a cominciare dall’UNESCO e dal Consiglio d’Europa, che s’interessano di cultura, filosofia delle scienze, scienze dell’uomo, assicurando l’efficiente partecipazione della Santa Sede ai Congressi internazionali che si occupano di scienza, di cultura e di educazione.

Facilitare il dialogo Chiesa-culture a livello di università e di centri di ricerca, in particolar modo i Centri Culturali Cattolici, di organizzazioni di artisti e di specialisti, di ricercatori e di studiosi, e promuovere incontri significativi mediante questi mondi culturali.

Accogliere a Roma i rappresentanti della cultura interessati a conoscere meglio l’azione della Chiesa in questo campo e a far beneficiare la Santa Sede della loro ricca esperienza, offrendo loro a Roma un luogo di riunione e di dialogo.

“

Struttura del Consiglio

”

Il Pontificio Consiglio della Cultura è presieduto, sin dalla sua fondazione, dal Cardinale Presidente, Sua Eminenza Paul Poupard, a cui si affianca il Segretario del Consiglio, il Rev.mo P. Bernard Ardura, O.Praem., ed un Sotto-Segretario, Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda.

Il Consiglio è composto anche da un Capo Ufficio, Mons. Gergely Kovács, e da 7 Officiali, 6 sacerdoti e un laico, che seguono le principali aree culturali geografiche, nonché i vari campi che fanno parte dell’attività del Dicastero (le scienze, i Centri Culturali

litate their tasks in the evangelisation of cultures, and to ensure co-ordination between the Holy See’s cultural institutions.

To enter into dialogue with Bishops’ Conferences, and with Conferences of Major Religious Superiors, in order to allow the whole Church to benefit from research programmes and other initiatives, achievements and productions which allow local Churches to take an active part in their own cultural environment.

To co-operate with Catholic universities and international organisations of a historical, philosophical, theological, scientific, artistic or intellectual nature, and to promote co-operation amongst them.

To keep abreast of politics and cultural activities of governments troughout the world and of interational bodies like UNESCO and the Council of Europe, which are concerned with culture, the philosophy of science and human sciences, ensuring the effective participation of the Holy See in international congresses concerned with science, culture and education.

To facilitate Church-culture dialogue at the level of universities and research centres, organisations of artists and specialists, researchers and scholars, and to promote meetings of note in and through these sectors of culture.

To welcome to Rome representatives of culture interested in a better understanding of the Church’s activities in this field, and in ways of allowing the Holy See to benefit from their rich experience, by offering them a place in Rome where they can meet and dialogue.

“

The structure of the Council

”

The Pontifical Council for Culture has two sections: 1. Faith and Culture, 2. Dialogue with Cultures.

Day-to-day work is entrusted to the permanent staff resident in Rome, viz.: - the President, Cardinal Paul Poupard (France) - the Secretary, Father Bernard Ardura, O. Praem.

(France) - the Under-secretary, Mons. Melchor Sánchez de Toca y Alameda (Spain) - the Head of Office, Mons. Gergely Kovács (Romania)

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Cattolici, l’arte e gli artisti, i mass-media, le Pontificie Accademie, le sette, ecc.).

Prestano la loro opera anche 7 assistenti amministrativi e tecnici. L’Assemblea Plenaria del Dicastero ha luogo almeno una volta ogni due anni, con il compito di studiare e definire i programmi del Dicastero, di dar vita ad uno scambio di esperienze e di riflessioni circa le diverse situazioni culturali delle società contemporanee nella prospettiva dell’evangelizzazione e del dialogo della Chiesa con le culture. Sono invitati i Membri del Dicastero, Cardinali e Vescovi nominati ad quinquennium dal Santo Padre, provenienti da varie parti del mondo.

Nell’intervallo di tempo tra due Assemblee plenarie, i Membri sono sollecitamente e debitamente informati e consultati circa lo sviluppo dei programmi e delle attività del Dicastero. Per lo studio di questioni che rivestano speciale importanza, il Dicastero si avvale anche dell’opera di Consultori nominati ad quinquennium dal Sommo Pontefice: specialisti del campo della cultura o nella pratica del dialogo con i non credenti, residenti in tutti i continenti. Essi assistono il Dicastero mediante le loro ricerche, informazioni e pareri.

“

Attività del Consiglio

”

La multiforme attività del Consiglio, volta a realizzare le finalità assegnatele dal Santo Padre, può essere sintetizzata attorno ai seguenti punti: Accoglienza ed ascolto. Si incontrano i Vescovi che giungono a Roma, in occasione della loro quinquennale visita ad limina, e altri gruppi di visitatori (sacerdoti, religiosi e religiose, direttori di Centri culturali, ecc.). Inoltre, il Consiglio riceve molte visite da parte di rappresentanti del mondo della cultura.

Convegni. Il Consiglio organizza colloqui, giornate di studio, riunioni, o partecipa frequentemente agli incontri promossi da altri enti, a livello regionale, nazionale o internazionale. Di notevole importanza ed utilità risultano gli incontri continentali o territoriali organizzati per Membri, Consultori e Presidenti delle Commissioni Cultura delle Conferenze Episcopali, come anche gli incontri, in varie aree cul-

- the Officials, 6 priests and 1 laic who are responsible for geographical areas and the various fields in which the Council works (science, Catholic cultural centres, art and artists, communications media, Pontifical Academies, sects and so on) - 7 other administrative and technical assistants.

The Council has a Plenary Assembly at least once every three years. Its purpose is to evaluate and plan the department’s programmes, and to pool experiences and reflections on the variety of cultural situations in contemporary societies. All of this is done in the context of evangelisation and the Church’s dialogue with cultures. Those who are invited are the Members of the Council, cardinals and bishops appointed by the Holy Father for five-year terms. At present there are 13 cardinals and 17 archbishops and bishops from various parts of the world. The Council also relies on Consultors for the study of particularly important questions. These, too, are appointed by the Holy Father for five-year terms. There are currently 26 of them: they come from all over the world, and are specialists in the field of culture or in dialogue with non-believers. They assist the Council by their research and the information and opinions they provide.

“

Activities of the Council

”

The Council’s many and varied activities can be condensed into 5 points: Welcoming visitors. There are meetings with bishops who come to Rome for their five-yearly “Ad limina” visits, and with other groups of visitors (priests, religious, directors of cultural centres and so on). Many people representing the world of culture also visit the Council.

Conferences. The Council organises seminars, study days and various other kinds of meetings. It is frequently involved in meetings run by other bodies at regional, national and international levels.

Contacts. The Council is in contact with the other departments (Dicasteries) of the Holy See, with bishops’ conferences and local Churches, with the Ambassadors accredited to the Holy See, with the Holy See’s diplomatic representatives to other states,

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turali del mondo, dei Centri Culturali Cattolici.

Particolare risalto assume, poi, la Seduta Pubblica delle Pontificie Accademie, in cui il Santo Padre assegna il Premio delle Pontificie Accademie a giovani studiosi, artisti o Istituzioni meritevoli per aver offerto un significativo contributo alla promozione e allo sviluppo dell’umanesimo cristiano.

Contatti. Il Consiglio mantiene contatti con gli altri Dicasteri della Curia Romana, con le Conferenze Episcopali e le Chiese locali, con gli Ambasciatori dei diversi Stati accreditati presso la Santa Sede, con le Rappresentanze della Santa Sede presso gli Stati, con l’UNESCO e altri organismi internazionali nongovernativi.

Pubblicazioni. Il Consiglio pubblica la rivista trimestrale Culture e Fede - Cultures et Foi - Cultures and Faith - Culturas y Fe, con articoli e notizie in francese, inglese, italiano e spagnolo. Inoltre, vari libri e opuscoli vengono pubblicati in merito ai vari aspetti dell’incontro del Vangelo con le culture e del dialogo interculturale. Il Consiglio pubblica gli Atti dei più importanti convegni che organizza.

L’attività ordinaria comprende anche diversi impegni da parte del personale addetto: curare la corrispondenza con la Chiesa universale e con il mondo della cultura, preparare osservazioni sulle relazioni circa lo stato delle diocesi, preparare Istruzioni per gli Ecc.mi Rappresentanti Pontifici, ecc.

Ricordiamo, infine, il Documento Per una Pastorale della Cultura, pubblicato nel 1999, il quale definisce le linee guida dell’azione del Dicastero e suggerisce i campi d’azione e le modalità per promuovere ed attuare una efficace pastorale della cultura nelle Chiese locali e nei diversi ambienti della società.

with UNESCO and other international non-government organisations.

Publications. The Council publishes a quarterly review entitled Culture e Fede – Cultures et Foi – Cultures and Faith – Culturas y Fe, which has articles and new items in English, French, Italian and Spanish. There are, in addition, books and booklets on the many aspects of the encounter between the Gospel and cultures, and on intercultural dialogue.

The Council publishes the proceedings of the more important conferences it organises.

Day-to-day work consists of the various types of tasks entrusted to the staff: taking care of correspondence with the universal Church and the world of culture, preparing observations on reports concerning the state of dioceses, preparing instructions for Papal Nuncios, etc.

C a r i t a P o l i t i c a 113

De

S enectute

Una miscellanea di scritti che aiuta a guardarla con nuovi occhi di speranza e saggezza A collection of texts to help consider old age with new eyes of hope and wisdom

Vita buona e longevità Good life and long life CARDINALE PAUL POUPARD

Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura

I

l tema di questa riflessione, “Vita buona e longevità. Aspetti sociali e culturali”, mi ricorda il Messaggio per la Quaresima 2005 di Giovanni Paolo II, di venerata memoria, che volle dedicare tale Messaggio, divenuto l’ultimo della serie per la sua scomparsa pochi giorni dopo Pasqua, proprio agli anziani e al loro ruolo nella società e nella Chiesa. “È Lui la tua vita e la tua longevità”. Con questa espressione, tratta dal libro del Deuteronomio, si apre il Messaggio di Giovanni Paolo II. L’affermazione ci rimanda, singolare coincidenza!, ad un momento cruciale della vita di Mosè, che precede la sua scomparsa. Egli si rivolge con questo vibrante appello al popolo d’Israele per invitarlo ancora una volta a stringere l’alleanza con Dio: “Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità” (Dt 30, 19-20).

CARDINAL PAUL POUPARD

President of the Pontifical Council for Culture

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he theme of this evening, “Good Life and Long Life – Social and Cultural Aspects”, calls to mind the Message for Lent 2005 from John Paul II of venerable memory. He dedicated this message – the last one before his death just a few days after Easter –, to the elderly and their role in society and the Church.

The message opens with the words of the book of Deuteronomy “Loving the Lord… means life to you, and length of days”. The affirmation takes us back to a crucial moment in the life of Moses, just before his death. He addresses the people of Israel with this vibrant appeal inviting them to strengthen the covenant with God: “I have placed you before life and death, blessings and curses; choose life then that you and your descendents might live, loving the Lord your God, obeying his words and remaining with him, means life to you and length of days” (Deut 30, 19-20).

In the bible, reference is frequently made to the elderly, old age, and longevity, and the overall vision of

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Nella Bibbia numerose volte si parla di anzianità o di vecchiaia, di longevità e di canizie, ma è quanto mai significativa la visione complessiva che si dà del fenomeno: la longevità, la vita lunga e buona va compresa innanzitutto come dono del Signore, e comunque non va considerata come un valore assoluto – il caso di Giobbe insegna – giacché bisogna valutare positivamente non tanto, semplicemente, la quantità di tempo vissuto quanto piuttosto la qualità e la bontà della vita stessa o, in termini biblici, la sapienza che in essa si vive e si manifesta.

Ritorna alla mente quel famoso testo del Libro della Sapienza: “Vecchiaia veneranda non è la longevità, né si calcola dal numero degli anni; ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza, ed un’età senile è una vita senza macchia” (Sap 4, 8-9).

Ed il Libro del Siracide ci ricorda: “La sapienza si addice ai vecchi, il discernimento ed il consiglio alle persone eminenti. Corona dei vecchi è un’esperienza molteplice, loro vanto il timore del Signore” (Sir 25, 5-6).

Proprio rifacendosi alla visione biblica, e partendo da queste considerazioni sulla condizione degli anziani, Giovanni Paolo II, anziano e malato egli stesso, ha voluto riflettere sulla situazione attuale degli anziani, sulle loro condizioni di vita, e su quale possa e debba essere il loro posto sia nella società che nella Chiesa.

Innanzitutto c’è una constatazione da fare. “Nell’odierna società, anche grazie al contributo della scienza e della medicina, si assiste ad un allungamento della vita umana e ad un conseguente incremento del numero degli anziani. Ciò postula – prosegue il Pontefice – un’attenzione più specifica al mondo della cosiddetta ‘terza età’, per aiutarne i componenti a vivere appieno le loro potenzialità, ponendole al servizio dell’intera comunità”.

Quello del numero di anziani in crescita rispetto al numero complessivo della popolazione, è un aspetto davvero rilevante delle società occidentali, che in qualche modo devono ripensare le strutture del vivere sociale, tenendo conto di questo nuovo fenomeno.

Ben altro discorso andrebbe fatto, però, per le società non occidentali, del cosiddetto terzo e quarto mondo, dove sussistono ancora gravissimi problemi di sopravvivenza ed enormi ritardi e difficoltà nella cura delle malattie più comuni.

Come si diceva poco fa, è rilevante il ruolo della scienza, in particolare della medicina e della farmacologia, nella trasformazione dei tempi della vita

phenomenon is quite clear: longevity, long and good life should be understood as a gift from the Lord, and should not be considered as an absolute value – as the example of Job teaches – for evaluation should be made not so much simply on the length of life but on the quality and goodness of life itself, or in biblical terms, wisdom that is lived and expressed.

A memorable text from the book of Wisdom also comes to mind: “Length of days is not what makes age honourable, nor number of years the true measure of life; understanding, this is man’s grey hairs, untarnished life, this is ripe old age” (Wis. 4, 8-9).

And the Book of Ecclesiasticus states: “How fine a thing: wisdom in the aged, and considered advice coming from men of distinction! The crown of old men is ripe experience, their true glory, the fear of the Lord” (Eccl. 25, 5-6). By returning to the biblical vision, and building on these considerations of the elderly, John Paul II, old and sick as he was, wished to reflect on the current state of the elderly, on their conditions in life and on what can and should be their place in society and in the Church.

Above all there is one thing we should note: “Thanks to the contribution of science and medicine, one sees in society today a lengthening of the human life span and a subsequent increase in the number of elderly.

This demands-the Pontiff explains-a more specific attention to the world of so-called “old” age, in order to help its members to live their full potential by placing them at the service of the entire community”.

That the number of elderly is growing with respect to the overall number of the population is of particular concern for western society, which somehow needs to rethink the structures of social life, to take into account this new phenomenon. The situation is completely different in the non-Western societies, in the so-called third and fourth world, where severe problems for survival exist along with tragic delays and difficulties in the care of the most common sicknesses and diseases.

As has already been said, the place of science, particularly medicine and pharmacology in transforming the length of life of western man, which is getting ever longer, brings with it new problems and new needs.

For example healthcare and assistance structures need to be rethought both in terms of overall organisation and in terms of formation of different profes-

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umana dell’uomo occidentale, che si allunga sempre più, portando con sé, però, nuove problematiche e nuove esigenze.

Le strutture sanitarie ed assistenziali, ad esempio, sia nella loro organizzazione generale sia nella formazione delle diverse figure professionali, devono necessariamente essere ripensate in funzione dei nuovi e crescenti bisogni, di cui sono titolari proprio gli anziani, con le loro malattie tipiche e con l’esigenza sempre più diffusa e pressante di assistenza medicoinfermieristica continua e prolungata.

Ma il fenomeno richiede risposte ben più ampie di quelle medico-assistenziali o semplicemente economiche.

La prima e fondamentale risposta alla nuova situazione demografica, venutasi a creare negli ultimi decenni, deve essere innanzitutto culturale.

Si tratta, perciò, di formulare più attentamente e di promuovere con maggiore determinazione una nuova visione culturale, uno stile di vita in cui la presenza ed il ruolo delle persone non più giovani ed efficienti sia tenuto nel debito conto, anzi costituisca uno dei fattori rilevanti a cui far riferimento.

In tale visione, che trova le sue motivazioni profonde e le sue radici ideali nella concezione di un rinnovato umanesimo cristiano per il terzo millennio, oltre a sottolineare il senso di accoglienza e di solidarietà nei confronti degli anziani, è necessario fare un passo avanti e riconoscere più chiaramente la loro dignità, il valore intangibile della loro esistenza, e l’importante funzione culturale e sociale che essi svolgono all’interno delle famiglie, della stessa società e della Chiesa.

Nel Messaggio prima ricordato, Giovanni Paolo II affermava in proposito: “Occorre far crescere nell’opinione pubblica la consapevolezza che gli anziani costituiscono in ogni caso una risorsa da valorizzare. Vanno, pertanto, potenziati i sostegni economici e le iniziative legislative che permettano loro di non essere esclusi dalla vita sociale… Proprio per questa sua condizione l’anziano può svolgere un suo ruolo nella società. Se è vero che l’uomo vive del retaggio di chi lo ha preceduto e il suo futuro dipende in maniera determinante da come gli sono trasmessi i valori della cultura del popolo a cui appartiene, la saggezza e l’esperienza degli anziani possono illuminare il suo cammino sulla strada del progresso verso una forma di civiltà sempre più completa. Quanto è importante riscoprire questo reciproco arricchimento tra diverse generazioni!”.

sional roles, for the new and growing needs that the elderly have with their particular illnesses and the more widespread and pressing need for prolonged and continual nurse-based care. But the phenomenon raises challenges beyond the medical assistance or simply economic ones.

The first and fundamental response to the new demographic situation, created over the last decades, must be above all a cultural response. There is a need to formulate more carefully and promote with greater determination a new cultural vision, a style of life in which the presence and role of people who are no longer young and efficient is taken into consideration, or better, they should be considered one of the central factors and key points.

In such a vision, which finds its deepest motivations and ideal roots in the conception of a renewed Christian humanism for the third millennium, other than underlining the sense of welcoming and solidarity towards the elderly, it is necessary to go one step further and clearly acknowledge their dignity, the intangible value of their existence and the culturally and socially important role they have families, society and the Church.

In the Message mentioned before, John Paul II said concerning this: “It is necessary to raise the awareness in public opinion that the elderly represent, in any case, a resource to be valued. For this reason, economic support and legislative initiatives, which allow them not to be excluded from social life, must be strengthened…Precisely because of this condition, the elderly person can carry out his or her role in society. If it is true that man lives upon the heritage of those who preceded him, and that his future depends definitively on how the cultural values of his own people are transmitted to him, then the wisdom and experience of the elderly can illuminate his path on the way of progress toward an ever more complete form of civilisation. How important it is to rediscover this mutual enrichment between different generations!”

The lesser physical capacity of the elderly certainly does not prejudice their ability to transmit and share with the youth the patrimony of culture, values, experience and faith that is safeguarded by their memories and hearts.

In a moment of history such as our own, in which the ephemeral prevails, as attention is given to the pass-

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La minore efficienza fisica degli anziani non pregiudica certo la loro capacità di trasmettere e di partecipare ai più giovani il patrimonio di cultura, di valori, di esperienza, di fede da loro custodito nella memoria e nel cuore.

Ed in un momento storico come il nostro, in cui prevale solo l’attenzione all’effimero, cioè all’attimo fuggente del presente, in cui manca o è fortemente carente la dimensione della memoria storica, in cui va quasi di moda la tendenza all’amnesia, alla voluta e cosciente cancellazione del passato con le sue profonde radici culturali, religiose e civili, il legame con il passato, assicurato proprio dalla testimonianza e dall’esperienza dei più anziani, garantisce vera continuità, lungimiranza e saggezza per l’avvenire, ed è sicuramente fondamentale e vitale per un autentico progresso di tutta la società, come anche della Chiesa.

La bontà o la qualità della vita, cui tutti miriamo, non può essere cercata e rincorsa inseguendo le illusioni consumistiche o l’efficienza a tutti i costi. Sappiamo bene quali siano i risultati di tali atteggiamenti, e non rappresentano certo modelli di vita buona e sana. I ritmi di vita degli anziani, come anche la concezione dell’esistenza e la saggezza maturata in tanti anni, sono un patrimonio prezioso, a cui dobbiamo tutti saper guardare ed attingere per non lasciarci travolgere da una modernità disumana e spersonalizzante.

Mi vengono in mente le belle espressioni poetiche di Walt Whitman, tratte dall’opera Foglie d’erba: “Gioventù, grande, gagliarda, innamorata – Gioventù, piena di grazia, forza, fascino, / sai che la Vecchiaia può venire dopo di te, con eguale grazia, forza, fascino?”.

La Vecchiaia, come ci dice il poeta, ha il suo fascino, la sua bellezza, il suo grande valore. Nella nostra cultura essa deve poter essere vissuta come un momento di grazia e non come una disgrazia, una iattura, una sconfitta.

Ma rimane vero ancor oggi quello che diceva La Rochefoucauld, nelle sue Massime: “Pochi sanno esser vecchi”.

Il mito dell’eterna giovinezza e dell’efficienza inossidabile deve, perciò, lasciare il posto ad una saggezza umana in cui si sa imparare, tra le cose importanti della vita, ad “esser vecchi“, a vivere questa dimensione della vita non come un male necessario ed inevitabile, ma come un’ennesima opportunità di vita e di senso che ci viene offerta, che non va in ogni caso sprecata o rovinata, ma accolta e vissuta con piena consapevolezza, valorizzandola in ogni modo.

ing second, historical memory is lacking, amnesia is almost fashionable, and there is a deliberate and conscious abandonment of the past with its deep cultural, religious and civil roots, the link with the past is safeguarded by the witness and experience of the elderly. They guarantee continuity, long sightedness and wisdom for the future, and this link is surely fundamental and vital for the authentic progress of all society and indeed of the Church.

Goodness and quality of life, at which we all aim, certainly cannot be sought out or chased after following consumer illusions of efficiency at all costs.

We know well the results of such action, and they are not the model of a good and healthy life. The rhythms of life of the elderly, just as the conception of the existence and wisdom matured over many years are a precious patrimony, to which we must all learn to look and draw from in order to not let us be overtaken by an impersonal and inhuman modernity. The beautiful poetic expression of Walt Whitman in his work Leaves of Grass comes to mind: “Youth, large, lusty, loving-youth full of grace, force, fascination, do you know that Old Age may come after you with equal grace, force, fascination?”

Old age, as the poet says, has its fascination, beauty and value. In our culture it must be lived as a moment of grace not as a disgrace, a rejection, a loss. But what La Rochefoucauld said remains true today, “Few know how to be old”. The myth of eternal youth and untiring efficiency must give way to human wisdom in which it is possible to learn, among other things, to “be old”, to live this dimension of life not as a necessary and unavoidable evil, but as another opportunity for life and meaning that is given to us and should not be wasted or ruined but welcomed and lived fully, making as much out of it as possible.

“Loving the Lord… means life to you, and length of days”: this, for a believer, for a Christian is the starting point and continual reference point for a serious rethinking of existence, of times and ways of living; for complete comprehension and valorisation of every moment of life and in particular for the last stages of existence. If we were to lose the certainty which is Him, the Creator, source of life, alpha and omega of our pilgrimage throughout time, not just at the time of old age, life itself would lose meaning, it would become insignificant and null.

Friendship of the Lord, his company, which is endur-

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“È Lui la tua vita e la tua longevità”: è questo, per un credente, per un cristiano, il punto di partenza e di riferimento continuo per un profondo ripensamento dell’esistenza, dei tempi e dei modi di vivere; per la piena comprensione e la valorizzazione di ogni momento della vita, ed in particolare per le ultime tappe dell’esistenza. Se venisse meno la certezza che è Lui, il Creatore, la fonte della vita, l’alfa e l’omega del nostro pellegrinaggio nella storia, non solo il momento della vecchiaia, ma la vita stessa perderebbe senso, sarebbe votata all’insignificanza e alla nullità.

L’amicizia del Signore, la sua compagnia che non viene mai meno, diventano così la luce e la forza per vivere intensamente e pienamente ogni istante, la “vera medicina” che cura il cuore dell’uomo, donandogli la serenità e la gioia profonda di percorrere la via della vita fino al suo traguardo, senza paure o rimorsi, nella certezza che ciò che conta ai suoi occhi è solo l’amore, l’amore accolto e donato, che spalanca le porte della speranza.

Mi piace allora concludere ricordando una celebre frase di San Giovanni della Croce, scaturita dalla sua grande sapienza interiore: “Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore” (Parole di luce e di amore, 57).

ing, so becomes the light and force to live intensely and fully every moment, the “true medicine” which looks after the heart of man, giving him serenity and deep joy of journeying along the way of life until the end, without fear or remorse, in the certainty that what counts in his eyes is only love, love received and love given, that opens the doors of hope. I would like to conclude now recalling a famous phrase of Saint John of the Cross, matured through his great interior wisdom: “At the evening of life, we shall be judged on love” (Words of light and love, 57).

Il “modello mediterraneo” per un consumo responsabile delle bevande alcoliche The “mediterranean model” for a responsible consumption of alcohol RAOUL ROMOLI VENTURI

RAOUL ROMOLI VENTURI

Alle radici dell’abuso, oltre la demagogia politica

The Roots of the Abuse, Beyond Political Demagogy

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Consigliere di Amministrazione Martini & Rossi S.p.A.

n un mondo come quello contemporaneo, sempre più condizionato dai risultati di breve termine, tutti i problemi, anche quelli relativi ai temi sociali più profondi e complessi, si affrontano con azioni semplici e di facile presa mediatica, che risultano però superficiali per la loro stessa natura. Porre il problema dell’abuso nel consumo bevande alcoliche e volerlo risolvere eliminando “tout court” il consumo stesso, è come amputare una gamba per curare una seria distorsione a una caviglia. Il punto dal quale è necessa-

Consigliere di Amministrazione Martini & Rossi S.p.A.

n the contemporary world, increasingly influenced by the need for short-term results, even the deepest and most complex issues, are faced with simple measures that have a high mediatic impact. These are measures which, by their own nature, prove to be superficial.

Solving the issue of alcohol abuse by eliminating consumption “tout court” can be compared to curing a sprained ankle by severing the leg. It is necessary to analyze the causes which determine the abuse in

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rio partire per affrontare responsabilmente e in modo duraturo la questione non può che essere, invece, un’analisi delle cause che determinano l’abuso. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità tende, nel rincorrere soluzioni di immediata applicazione, a uniformare i suoi criteri di indirizzo come se le problematiche fossero identiche in tutti Paesi e, quindi, ad astrarle da ogni contesto sociale nazionale, dalle identità e dalle tradizioni a questo collegate. Nell’analisi manca cioè la questione fondamentale, una domanda che chieda dov’è che il fenomeno ha assunto dimensioni rilevanti e perché esiste.

Tutto ciò ci riporta alla dimensione culturale del tema e a constatare, per esempio, che in Europa i problemi relativi all’abuso di prodotti alcolici, particolarmente da parte dei giovani, sono da sempre localizzati principalmente nel Nord del continente e nei Paesi anglosassoni, mentre i Paesi mediterranei, e l’Italia in particolare, sono molto meno colpiti dagli stessi. Il panorama, inoltre, è completato da un impianto legislativo nord europeo molto dirigista e proibizionista, nel quale vi sono stretti vincoli pubblicitari, severi limiti relativi all’età per l’acquisto e un’elevata tassazione indiretta sui prodotti alcolici, volta a scoraggiarne il consumo. L’Italia, al contrario, presenta in questa materia un quadro normativo estremamente liberale e scarsamente penalizzante.

Uno studio evolutivo (1995-2003) dell’ESPAD (European School Survey Project on Alcohol and other Drugs) sui giovani ci suggerisce che nei Paesi mediterranei (Italia, Francia, Malta, Cipro, Grecia, Portogallo) il consumo corretto di bevande alcoliche riguarda dal 96 al 99% del campione giovanile prescelto mentre nei Paesi del Nord Europa (Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Finlandia) la percentuale oscilla tra il 66 e il 77%. Alla luce di queste evidenze risulta dunque chiaro che non vi è divieto, limitazione o intervento normativo che si possa considerare “taumaturgico” per risolvere il problema dell’abuso di bevande alcoliche. L’unica vera soluzione sembra passare da un percorso di sviluppo più lungo, ma anche più profondo: va ricercata attraverso quelle che oggi, mutuando l’espressione dal linguaggio aziendale, vengono definite “best practices”. Nel rispetto, com’è ovvio, delle singole tradizioni nazionali.

Il cammino che ci suggerisce l’esperienza dei Paesi meno esposti al problema del “binge drinking” (formula che definisce consumi eccessivi e tutti concen-

order to approach this issue in a responsible and lasting manner.

Even the World Health Organization, while chasing immediate solutions, tends to standardize its analysis criteria as if problems were identical in all countries, thus dissociating them from the social context and from the relative national identities and traditions.

This analysis is short of one fundamental question: where has this phenomenon reached significant proportions and why does it exist?

We are brought back to the cultural dimension of the issue, and to acknowledge that, for example, problems relating to the abuse of alcoholic products in Europe, especially with regard to the youth, have always been primarily located in the North of the continent and in anglo-saxon countries, whereas mediterranean ones, particularly Italy, have been affected far less.

Strong state intervention and prohibitionist policies such as advertising restrictions, limits to the consumer’s legal age, and a high indirect taxation aiming at deterring consumption complete the north-european scenario. On the contrary, Italy has an extremely liberal and unpenalizing legislative framework.

An evolution study on youth (1995-2003) from ESPAD (European School Survey Project on Alcohol and other Drugs) suggests that in mediterranean countries (Italy, France, Malta, Cyprus, Greece, Portugal) 96 to 99% of the chosen youth sample have a correct attitude towards the consumption of alcoholic beverages, while in north-european countries (Denmark, Ireland, Great Britain, Finland) that figure oscillates between 66 and 77%.

In the light of this evidence it is clear that there can be no “thaumaturgical” ban, restriction, or legislative intervention, that can solve this problem. The only viable solution seems to pass on a longer and more profound path of development. The solution must be sought through what we refer to, borrowing an expression from business jargon, as “best practices”, obviously respecting each single national tradition.

The path suggested by the experience of countries less exposed to the problem of “binge drinking” (term which defines excessive consumption, concentrated on week-ends) seems to be that which we will call “mediterranean model of consumption”,

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trati nel week-end) sembra essere quello che chiameremo “Modello Mediterraneo di consumo”, imperniato sul processo educativo dei giovani. Un modello che dovrà essere declinato in maniera diversa a seconda dei diversi Paesi coinvolti, poiché non si possono annullare le caratteristiche sociali e climatiche peculiari a ciascuno di essi.

and which revolves around youth education. Since it is not possible to neglect each country’s peculiar social and climatic characteristics, this model will have to be adapted on an individual case-by-case basis.

L’“Homo Mediterraneus”

Homo Mediterraneus

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er comprendere la validità di tale modello e la sua valenza globale, è necessario svolgere qualche considerazione storico-culturale, che vada al di là del suo significato strettamente geografico.

Il Mediterraneo è stato, storicamente, la porta verso l’oceano e, quindi, verso il mondo intero. Lo slancio dell’Europa verso l’Africa e l’Asia ha infatti seguito le direttrici delle grandi penisole: quella iberica, l’italica e la balcanica. Un fatto, questo, che spiega come la civiltà mediterranea si sia poco a poco trasformata in civiltà europea. Inoltre, il Mediterraneo si distingue per il suo carattere di crocevia fra i tre continenti: Asia, Africa ed Europa. Quest’area è l’elemento che li collega, determinando la loro sostanziale unità all’interno di tale culla di civiltà. Tanti popoli così diversi, e anzi talvolta addirittura opposti, venuti a insediarsi lungo le coste di questo mare hanno generato un “essere culturale” che lo scrittore Gonzague de Reynold ha felicemente definito “Homo Mediterraneus”.

Nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, l’ambiente naturale, il clima, le condizioni di vita, i rapporti e gli scambi si sono rivelati socialmente più forti della razza, della lingua, dell’origine e della religione. Le caratteristiche specifiche non sono state cancellate, ma ogni popolazione ha ricevuto, fino ai nostri giorni, il marchio del mondo mediterraneo e della sua civiltà. Questi elementi fanno del mare Mediterraneo lo scenario principale della storia universale. Come scrive ancora Gonzague de Reynold, «L’histoire universelle est née de la Mediterranée comme en est née la civilisation universelle, comme en est née la religion universelle».

L’Uomo Mediterraneo, per S.E. il Cardinale Paul Poupard, è peraltro riconoscibile e identificabile, ieri come oggi, per i talenti che ne caratterizzano identità, vocazione e missione. Ha una particolare agilità mentale, una connaturata propensione alla contemplazione e alla riflessione, una spiccata vocazione a interro-

istoric and social considerations are necessary in understanding the value of this model and its global validity, beyond the strictly geographical meaning.

The Mediterranean Sea has been, historically, the door to the ocean and, from there, to the entire world.

Europe’s rush towards Africa and Asia followed the lines of the great peninsulas: Iberian, Italic and Balkan. It is a fact which explains how mediterranean civilization slowly transformed into the european civilization.

Furthermore, the Mediterranean Sea is a peculiar crossroad between the continents of Asia, Africa, and Europe. Its area connects the three continents determining their substantial unity within this cradle of civilization. So many and diverse peoples, sometimes even opposite to one another, have settled along the coasts of this sea and have generated a “cultural being” that the writer Gonzague de Reynold has defined as “Homo Mediterraneus”.

Natural environment, climate, living conditions, relationships and trading have proven, for the countries that look onto the Mediterranean Sea, to be stronger bonds than race, language, origin, religion. Specific characteristics have not been erased, but each single nation is, to this day, marked by the brand of he mediterranean world and of its civilization. These elements make the Mediterranean Sea the principal scenario of universal history.

Gonzague de Reynold adds, “L’histoire universelle est née de la Mediterranée comme en est née la civilisation universelle, comme en est née la religion universelle (universal history was born in the Mediterranean Sea, as was universal civilization, as was universal religion)”.

According to Cardinal Paul Poupard, the mediterranean man is recognisable and identifiable, for those skills and talents that represent his identity, vo-

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garsi sui principi, e cioè sul fondamento e sul senso delle cose. A tale attitudine si unisce, spesso, il “pathos”, la passione per le cose, una forte carica emotiva e una eccezionale energia interiore. Il sapere e la conoscenza non sono vissuti con freddezza e distacco, ma con grande trasporto: è questo, forse, il segreto dell’originalità dell’Uomo Mediterraneo, che vive con il cuore anche le azioni più ordinarie. La tradizione mediterranea, rielaborata continuamente con creatività e fantasia, non si chiude nell’efficientismo, nella ricerca della perfezione esteriore di cose e azioni, ma rimane aperta ad altri valori e a dimensioni più profonde e personali: quelli dell’amicizia, della famiglia, dell’accoglienza e dell’ospitalità cordiale e premurosa, della solidarietà generosa. Ebbene, per tornare al problema del “binge drinking”, è proprio questa concezione della vita che protegge i giovani da una visione cupa e nichilista della vita.

Non possiamo nasconderci che la globalizzazione è un grande canale di trasmissione culturale e che come tale comporta dei rischi importanti oltre che delle grandi opportunità. Essa mescola rapidamente gli stili di vita, dal nord al sud, dall’est all’ovest del pianeta, e viceversa. Si tratta, perciò, di cogliere le opportunità e scongiurare i rischi che la nuova fase porta con sé. In questa frenetica circolazione mondiale di messaggi, il compito dei governi e delle organizzazioni internazionali è di promuovere le energie positive e frenare quelle negative. Così, nella logica prima accennata delle “best practices” non pare saggio esportare la “visione nord-europea” per contrastare l’abuso di alcol, penalizzando un “modello mediterraneo” di consumo in grado offrire protezioni “endogene”. La volontà di promuovere quest’ultimo – sia in generale sia nell’assunzione di bevande alcoliche – si colloca nel solco di una reazione a una matrice nordica che domina le organizzazioni internazionali animate da volontà normalizzatrici.

Tuttavia, la speranza di ottenere un successo su questo difficile fronte è data dalla consapevolezza che millenni di storia di consumo mediterraneo non possono essere cancellati dalle prime avvisaglie di eccessi contemporanei, frutto di cicliche fibrillazioni in epoche di transizione. Le radici e le ritualità del consumo al quale l’Uomo Mediterraneo ha fatto, fa e farà riferimento sono già esplicitamente inscritte nei sacri testi della Bibbia, laddove la linea di confine tra uso e abuso viene evidenziata con dovizia di particolari.

cation, and mission. He has a pronounced mental agility, a natural predisposition to contemplation and reflection, a distinct vocation to questioning principles, i.e. the basis and meaning of things.

To these we can easily add the passion for things, the “pathos”, a strong emotional charge and an exceptional inner energy. Knowledge is not lived with cold detachment, but with great fervour. Perhaps the very fact that he lives heartily even the most ordinary actions is the secret of the mediterranean man’s originality.

Mediterranean tradition, continuously renewed with creativity and inspiration, is not limited to efficientism, to striving for the external perfection of things and actions, but keeps open to different values and to more profound and personal dimensions such as friendship, family, cordial and attentive hospitality, generous solidarity. It is this notion, with respect to the problem of binge drinking, which protects the youth from the sullen and nihilist vision of life.

We cannot deny that globalization is a great cultural duct and thus, along with great opportunities, it also entails great risks. Globalization rapidly mixes lifestyles, from North to South, from East to West, and vice-versa. It is important to seize the opportunities and to avoid the risks of these newly presented conditions.

In a world of frantic circulation of messages, it is the duty of governments and of international organizations to promote positive energies and stop negative ones.

Following the logic of “best practices”, it does not look wise to fight the abuse of alcohol by exporting the “north-european vision” at the expense of a “mediterranean model” which offers intrinsic methods of protection. The will to promote the “mediterranean model” – in general as well as regarding alcohol consumption – can be thought of as part of a reaction to the mainstream mentality of international organizations, dominated by “north-european” normalizing intents.

Nonetheless, confidence in the success of such a struggle rests in the fact that the “mediterranean model” has had millennia of applied practice and cannot be completely erased by those contemporary excesses resulting from the cyclical turmoils of transition periods. The roots and rituals of alcohol consumption to which the mediterranean man has referred and will refer to are explicitly written in the Bible, where the line between use and abuse is defined with great care and detail.

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Il modello mediterraneo di consumo

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a che cosa propone, concretamente, il modello mediterraneo di consumo che si vuole promuovere?

Potremmo dire che esso è quel modello di consumo moderato e consapevole di bevande alcoliche che si trasmette nel nucleo portante della società, la famiglia, ossia in quell’ambito dove il bambino diventa adolescente e l’adolescente diventa uomo, in un processo di assimilazione culturale progressiva. Un percorso molto diverso dalla matrice normativa nord europea, dove il passaggio tra il prodotto vietato e quello autorizzato è improvviso, e dove il labile confine tra ciò che è bene e ciò che è male è fissato soltanto dal raggiungimento di un’età astrattamente definita in un codice.

Il modello di consumo mediterraneo è uno stile di vita, che informa ogni aspetto dell’esistenza. E che alla radice ha la passione per la vita stessa, che per sua natura non può essere individuale e isolata, ma deve volgersi alla socializzazione e all’amicizia. Mediterraneo è quell’approccio legato alla tradizione che pone la famiglia e gli amici come perno fondamentale del sistema sociale. Un approccio alla vita estroverso, certo facilitato dal clima, ma animato soprattutto dalla cosiddetta “passione latina”. È altresì inconfutabile che un “fenomeno passionale” non possa svilupparsi nell’inconsapevolezza, ma solo in uno spirito sano e presente a se stesso.

Per illustrare meglio questi concetti possiamo ricorrere a degli stereotipi, immagini che come tali dovranno poi essere lette in senso figurato e interpretate da diverse angolazioni. Un’immagine “mediterranea” è una festa di ragazzi sorridenti davanti ad una tavola imbandita di cibi e bevande: una terrazza assolata, un brindisi di gioia per un evento lieto. Si gustano bevande alcoliche, ma insieme si servono “stuzzichini” e specialità della “dieta mediterranea”. Il clima è allegro: siamo in un contesto dove si coltivano le amicizie e, al massimo, si discute animatamente di politica o di pallone. Tutte situazioni, queste, che escludono di per sé il “binge drinking”, volto invece all’annebbiamento della coscienza, a trovare conforto nel proprio annullamento e, attraverso questo, a lenire sofferenze personali e sociali. È il profilo di chi ricorre a stimoli esterni per trovare il coraggio di relazionarsi con altri, ma sempre fuori dal proprio “io” consapevole. A un’immagine solare di socializzazio-

The Mediterranean Model of Consumption

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trictly speaking, what does the “mediterranean model” propose?

It is a model where moderate and conscious consumption of alcoholic beverages is transmitted within the supporting core of society, the family, within that environment where the child becomes adolescent and the adolescent becomes a man through a process of progressive cultural assimilation.

It is a radically different approach compared to the “north-european” normative one, where the step from a banned product to an authorized one is abrupt, and where the thin line between what is good and what is bad is defined abstractly by an age limit in a code of law.

The “mediterranean model” of consumption is a lifestyle, which encompasses all aspects of existence. Its roots are in the passion for life itself, which by its nature cannot be individual and isolated, but must look at friendship and socialization. The “mediterranean model” is an approach tied to tradition where family and friends are the fulcrum of the social system. It is an extrovert approach to living, made easier by the climate, but moved mainly by the so-called “latin passion”. It is undeniable that a “passionate phenomenon” cannot develop in unawareness, but only in a healthy and present spirit. To better illustrate this concept we can make use of stereotypes, images which will need to be looked at in a figuratively and be interpreted from different angles.

A “Mediterranean” image can be a number of cheerful young people sitting around a table laid with food and drinks, a sunny terrace, a toast to a joyful event. People are enjoy alcoholic drinks, but are also eating snacks and typical dishes of the mediterranean diet. The atmosphere is cheerful. We are in a context where people are cultivating their friendships and the most animated discussions revolve around politics or soccer.

This situation excludes binge-drinking outright.

Binge-drinking seeks the numbness of conscience, the comfort of self-annihilation to ease the personal and social suffering. It is the profile image of someone using external stimuli to find the courage of relating to others, always shunning away from the conscious “self”.

The radiant image of socialization is opposed to that

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ne si contrappone quindi l’immagine di persone solitarie: magari fisicamente numerose in uno stesso luogo, ma interessate a instaurare un rapporto con il bicchiere e il suo contenuto, non con gli altri esseri umani. Gli incontri sono casuali, i discorsi non sono fluidi, i contatti fisici sono spinti dall’istinto e non da emozioni controllate razionalmente. Ed è superfluo aggiungere che l’uomo che non si controlla non rispetta né se stesso né gli altri.

Le due descrizioni, qui volutamente estremizzate, si possono facilmente osservare nella realtà: la prima in un contesto estivo del Sud Europa, la seconda in quelle aree metropolitane del Nord Europa destinate ai pub, che vivono i loro “momenti di punta” il venerdì ed il sabato sera. Le ragioni di entrambe stanno evidentemente nei diversi contesti climatici e sociali, ma più ancora nelle differenze di cultura e di educazione.

Resta comunque l’interrogativo: come intervenire?

La famiglia e la scuola devono avere un ruolo essenziale sui giovani, fin dalla più tenera età, e mettere in evidenza che non vi è felicità nello stato di ebbrezza e, soprattutto, che questo non è un atteggiamento socialmente accettato. Vale di più il disprezzo di una moglie o di una madre verso il marito o il figlio che non hanno rispettato basilari principi di educazione radicati nella propria tradizione, che non le severissime leggi proibizioniste, che “toccano” la cornice del problema, ma non penetrano nella cultura e trascurano l’importanza della famiglia nel correggere un comportamento di consumo fuori controllo.

Educazione, Famiglia e Scuola sono i cardini del progetto operativo che si ispira al modello mediterraneo.

L’obiettivo è porre lo stato di ebbrezza, e quindi l’abuso di bevande alcoliche, fuori dalla sfera del socialmente accettabile, in famiglia e fuori casa, in settimana e nel fine settimana, per le donne e per gli uomini.

Ecco il grande servizio che i Paesi mediterranei possono rendere ai loro “cugini” del Nord Europa e al resto del mondo: invitare le competenti Autorità nazionali e internazionali a spostare l’attenzione dagli aspetti marginali del problema dell’abuso (divieti pubblicitari, alte tassazioni) all’aspetto determinante della tematica, ossia l’educazione al piacere consapevole e culturale del bere moderato e il rifiuto sociale dello stato di ebbrezza, da divulgare mediante un intenso programma educativo gestito su base nazionale.

Non è un caso che il fenomeno del “binge drinking” si sia sviluppato nel Nord Europa e, per di più, in due

of solitary people, maybe numerous and in the same place, but more interested in creating a relationship with their own glass than with other human beings.

Encounters are casual, discussions are not fluent, physical contacts are driven by instinct and not by rationally controlled emotions. Superfluous to add that he who cannot control himself, cannot respect neither himself nor others.

The two descriptions given, intentionally extreme, are easy to observe: the first one in a summer context in southern Europe; the second in those metropolitan areas of Northern Europe destined to pubs, which have their climax on Friday and Saturday evenings.

The basis of each of the two descriptions lies in the different social and climatic contexts, but more than that in the cultural and educational differences.

The question remains: how can we intervene?

Family and school must have a key role on youth, beginning from the youngest, and stress the fact that there is no happiness in drunkenness and, mostly, that it is not a socially accepted behaviour. The contempt of a wife for her husband or of a mother for her son who have not respected the basic manners rooted in their own tradition is worth more than the severe prohibitionist laws that address the frame of the problem but do not penetrate in the culture and, thus, neglect the importance of the family in correcting a behaviour of uncontrolled consumption.

Education, family, school are the key elements of the project inspired to the “mediterranean model”. The goal is to stress that drunkenness, and thus abusing alcoholic beverages, is not socially acceptable, in the family as well as outside, during the week as well as on week-ends, neither for women nor for men.

Here is the great contribution that mediterranean countries can offer to their “cousins” from Northern Europe and to the rest of the world: we can invite all national and international authorities to shift their attention from the marginal aspects of the problem of abuse (advertising restrictions, high taxation) to the determinant aspect of this theme. Education on the cultural and conscious pleasure of moderate drinking and the social rejection of drunkenness must be implemented through an intensive programme managed at a national level.

It is not coincidence if the phenomenon of bingedrinking developed in Northern Europe and in two opposite social environments, extreme poverty and

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ambienti sociali antitetici, quello dell’estremo disagio sociale e quello del benessere appagante, lì dove, per opposti motivi, si è spenta la forza dei valori della tradizione: la vita e la famiglia. Solo la spinta alla qualità della vita che trova supporto nell’impianto famigliare può invertire l’attitudine negativa del “binge drinking” nord europeo.

Il modello mediterraneo spinge verso una scelta qualitativa e rigetta quella quantitativa. Lo comprova un Paese come l’Italia che, ancora relativamente povero alcuni decenni fa, ha fatto progredire parallelamente benessere economico e crescita del consumo qualitativo. Da noi il consumo complessivo di bevande alcoliche negli ultimi trent’anni si è dimezzato, ma allo stesso tempo si è orientato verso prodotti di marca e di qualità che hanno visto consumi crescenti e, di conseguenza, più responsabili. Una storia, quella italiana, che indica due cose: che non vi è eccesso dove vi è qualità, ma anche che non vi è qualità se questa non viene insegnata fin dalla più tenera età.

gratifying prosperity. For different reasons, but in either case, they are conditions where the strength of traditional values, life and family, has faded.

Only a spur towards the living standard offered by the family can invert the negative attitude of northeuropean binge-drinking. The “mediterranean model” pushes towards a qualitative choice against a quantitative one. A country like Italy is a proof of this.

Just a few decades ago it was still very poor, but it has managed to develop both in economic welfare as well as in qualitative consumption.

In this country the consumption of alcoholic beverages has halved over the last thirty years. At the same time it has shifted its focus towards brand and quality products whose consumption has increased as has increased, consequently, responsibility. Recent Italian history indicates two elements: there is no excess where there is quality; and indeed there is no quality if it is not passed on through education starting from early age.

Diagnosi precoce dell’adenocarcinoma prostatico nei soggetti a rischio Early diagnosis of prostate adenocarcinoma in subjects at risk PROF. GERARDO RONZONI

PROF. GERARDO RONZONI

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Università Cattolica Sacro Cuore Direttore Unità Operativa di Chirurgia Urologia Complesso Integrato Columbus

l carcinoma della prostata (Ca) è il tumore più diffuso nel sesso maschile e rappresenta la seconda causa di morte per tumore nell’uomo, dopo il cancro polmonare, negli Stati Uniti e nella maggior parte dei Paesi Europei.

In Italia si registrano 13000 nuovi casi per anno,con più di 6000 morti. Tale elevata mortalità potrebbe essere significativamente ridotta con la diagnosi precoce, ovvero con il riconoscimento della malattia in una fase in cui essa sia ancora guaribile con adeguata terapia. La diagnosi precoce è assolutamente necessaria nei soggetti giovani (al di sotto dei 60 anni) ed in quelli in cui la malattia insorge precocemente ( al di sotto dei 50 anni) per familiarità o ereditarietà: in questi casi il Ca è prostata rapidamente evolutivo.

Università Cattolica Sacro Cuore Direttore Unità Operativa di Chirurgia Urologia Complesso Integrato Columbus

rostate carcinoma (Ca) is the most common malignant tumour in men and represents the second cause of cancer-related male death, after lung carcinoma, in the United States of America and in the major part of Europe.

In Italy 13.000 new cases are diagnosed each year, with more than 6.000 deaths reported. Such a high mortality rate could be greatly reduced adopting early diagnoses , that is to say detecting the disease at a stage in which it is still curable if properly treated. An early diagnosis is absolutely essential in case of young men (under 60 years old) and in case of early occurrences of the disease (under 50 years old) due to family history. In these cases, in fact, prostate car-

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Occorre sottolineare che il 30% dei casi di Ca prostatico sottoposti ad intervento chirurgico poiché ritenuti organo-confinati, cioè con neoplasia non ancora estesa al di fuori della capsula prostatica, si rivelano purtroppo localmente avanzati; cioè estesi oltre la capsula, anche senza metastasi ossee o linfonoidali.Ciò è evidentemente dovuto al ritardo con cui si arriva alla diagnosi. La diagnosi di Tumore della prostata è oggi possibile utilizzando l’esplorazione rettale, l’esame del PSA, l’ecografia prostatica trans-rettale e la biopsia ecoguidata della prostata. Particolarmente utile ai fini della diagnosi precoce è l’esame del PSA (glicoprotenia che aumenta nel sangue in caso di tumore della prostata nell’80% dei casi). La diagnosi precoce è imperativa nei soggetti a rischio, cioè in quei soggetti in cui è molto elevata la probabilità di essere portatori di Ca prostatico.

I soggetti a rischio sono gli uomini, fra i 50 ed i 70 anni che presentano le seguenti caratteristiche: 1. Familiarità ed ereditarietà della malattia per la presenza di una storia familiare positiva.

2. PSA Maggiore di 10 ng/ml 3. PSA compreso fra 4 ng/ml e 10 ng/ml (la cosiddetta zona grigia) con rapport PSA Libero/PSA Totale inferiore a 20.

4. Velocità di accrescimento annuo dei PSA superiore a 0,75ng/ml 5. Una o più biopsie prostatiche già eseguite con esito negativo o con presenza di PIN L’Association Columbus, per il grande impatto sociale della malattia e la necessità di una diagnosi precoce promuove una campagna informativa sul Ca prostatico ed una iniziativa rivolta alla diagnosi precoce nei soggetti a rischio. Oltre ad uno opuscolo illustrativo inviato ai Medici, Strutture Sanitarie ed assistenziali è stato attivato un numero verde 800 069 755 ed un sito web (http:/www.h-columbus.it) con cui è possibile prenotare del tutto gratuitamente, una visita specialistica e l’ecografia prostatica trans-rettale che vengono effettuate il sabato mattina presso gli ambulatori del Complesso Integrato Columbus dell’Università Cattolica, via G. Moscati 31 - Roma. L’equipe urologia, coordinata dal Prof. Gerardo Ronzoni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Primario Urologo, provvederà altresì a biopsia prostatica nei casi richiesti.

cinoma progresses very quickly. It is important to point out that the 30% of the subjects who have undergone surgery, as prostate Ca had been considered organ-confined, unfortunately turn out to have locally advanced carcinoma, spread outside the prostate capsule, even without bone or lymph node metastases. Actually this is due to late diagnoses.

Nowadays an early diagnosis of prostate Ca is possible thanks to digital rectal examination (DRE), blood testing for PSA, transrectal prostatic ultrasonography (TRUS) and biopsy under TRUS guidance.

Extremely useful is PSA screening (glycoprotein levels in blood increase in case of prostate carcinoma in the 80% of the cases).

An early diagnosis is fundamental in subjects at risk, i.e. who are more likely to develop prostate Ca. Such subjects are men aged from 50 to 70 years old who have: 1. Family history of the disease 2. PSA levels greater than 10 ng/ml 3. PSA levels ranging from 4 ng/ml to 10 ng/ml (the so called grey area) with free-to-total PSA ratio less than 20 4. PSA annual increasing velocity rate over 0,75 ng/ml 5. One or more prostate biopsies already carried out with negative results or PIN presence Due to the high incidence of the disease and to the great importance of an early diagnosis Columbus Association has launched a health awareness campaign providing information about prostate Ca and promoting preventive medicine. In addition to an explanatory booklet sent to Doctors, Health and Social Care Services, a toll-free number (800 069 755) has been activated, while through our web site (http:/www.hcolumbus.it) you can book a free examination with a specialist and a free transrectal prostatic ultrasonography as well.(These examinations will take place on Sunday morning in our surgeries at the C.I.C. Università Cattolica, G.Moscati 31 – Rome).

Besides, the Urological Unit staff, directed by Prof.

Gerardo Ronzoni Head Physician of the Dep. of Urology at the Sacred Heart Catholic University, will provide you with a prostate biopsy in case it is needed.

CENTRO INTEGRATO DI OSTEOPATIA FISIOTERAPIA SHIATSUTERAPIA di Alessandro Ronzoni - Via Nerola, 29 - Roma Tel. 06.86325333 Tel/Fax. 06.86325708

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Per una vecchiaia serana For a serene old age DOTT.SSA MARIA PIA RUFFILLI

MARIA PIA RUFFILLI

Il contesto socio-demografico

The social - demographic context

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Direttore Esecutivo Politiche Sanitarie e Regionali, Pfizer Italia

Executive Manager of Sanitary and Regional Political, Pfizer Italy

uardando a questo XXI secolo, la trasformazione più rilevante è quella della dinamica demografica: i dati ormai confermano che l’Europa sta progressivamente invecchiando e che l’Italia si appresta a diventare nei prossimi 50 anni il secondo Paese più vecchio del mondo. Secondo gli esperti, le cause di questo fenomeno sono dovute, in parte, al decremento del tasso di natalità, dall’altra, all’aumento dell’aspettativa di vita, assicurato dal progresso medico e scientifico. La dinamica demografica configura una nuova società, con nuove aspettative e esigenze diverse dal passato.

In una prospettiva in cui la speranza diffusa è aggiungere anni alla vita e, soprattutto, vita agli anni la ricerca sociale sta esplorando nuovi modelli tendenti non solo ad assicurare una risposta ai bisogni essenziali dell’anziano ma a anche a definire, e soddisfare, la domanda di una buona qualità della vita.

ooking at this XXI century, the most remarkable transformation is the demographic dynamics: by now the data confirm that Europe is progressively growing old and that Italy is prepared to become for the next 50 years the second oldest Country of the world.

According to the experts the causes of this phenomenon are due, partly, to the decrement of the rate of birth-rate, from the other part, to the increase of the expectation of life, assured by the medical and scientific progress. The demographic dynamics shapes a new society, with new expectations and different demands from the past.

In a prospect where the diffused hope is to add years to the life and, above all, life to the years, the social search is not only exploring new models to assure an answer to the essential needs of the elderly one but also to define, and to satisfy, the question of a good quality of the life.

Le problematiche emergenti

The emergent problems

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a non autosufficienza dell’anziano è una problematica emergente. Dall’indagine realizzata dal Censis per l’Agenzia per i Servizi Sanitari regionali “La condizione dell’anziano non autosufficiente – Analisi comparativa delle attuali forme di tutela e delle potenziali prospettive”, emerge che il problema più serio per la popolazione anziana è rappresentato dalla perdita della autosufficienza e dal bisogno continuo di assistenza. Dai dati raccolti, in caso di malattia o invalidità, i soggetti che forniscono assistenza all’anziano fragile sono nel 75,1% i figli, nel 41,6% coniuge/convivente, nel 20,6% altri parenti e nel 4,1% i vicini. Soltanto in minima percentuale (1,8 %) l’aiuto viene dai servizi sanitari territoriali e sociali.

Il Servizio Sanitario Italiano nel sostegno all’anziano

he not self-sufficiency of the elderly one is an emergent problem. From the investigation realized by the Censis for the Agency for the Regional Sanitary Services “The condition of the elderly one not selfsufficient – Comparative Analysis of the actual forms of guardianship and the potential prospects”, emerges that the most serious problem for the elderly population is represented by the loss of the self-sufficiency and by the continuous need of assistance. From the picked data, in case of illness or invalidity, the subjects that furnish assistance to the elderly fragile are in the 75,1% the children, in the 41,6% the consort / cohabitant, in the 20,6% other relatives and in 4,1% the neighbours. Only in least percentage (1,8%) the help comes from the territorial and social sanitary services. The Italian Sanitary Service in the support to

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fragile – spiega la ricerca – è caratterizzato da “una forte centralità dell’ospedale e da investimenti ancora insufficienti nella medicina del territorio, riabilitativa e per la cronicità”.

L’assistenza sanitaria in generale, del resto, non può applicare un modello uguale a ogni malato, ma deve misurarsi ogni volta con scelte individuali nel rispetto di quanto è più conveniente per il malato, nel rispetto del principio fondamentale della centralità dell’Uomo. È compito dunque di tutti gli operatori promuovere l’umanizzazione delle cure sanitarie, per il rispetto della dignità umana e nel rispetto della identità ed autonomia della persona malata.

the elderly fragile – explains the search – is characterized by “a strong presence of the hospital and a still insufficient investments in the medicine for the rehabilitation and the chronicity in the territory”.

The sanitary assistance in general, after all, cannot apply an equal model to every sick, but it has to measure itself every time with individual choices in the respect of what is more convenient for the sick, in the respect of the fundamental principle of the Man. So it’s up to all the operators to promote the humanization of the sanitary cares for the respect of the human dignity and in the respect of the identity and autonomy of the sick person.

Il ruolo di Pfizer a sostegno dell’anziano

The role of the Pfizer in support of the elderly one

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fizer è da tempo impegnata al fine di migliorare il ruolo degli anziani all’interno della società e della famiglia, aumentare la consapevolezza degli aspetti positivi della vecchiaia, sviluppare iniziative che promuovano un invecchiamento in buone condizioni di salute nel corso della vita, comprese le sue ultime fasi.

Pfizer, in qualità di azienda basata sulla ricerca, ha intrapreso un processo di analisi per capire a fondo la società in continua trasformazione e conoscere le sfide che si presentano, avviando un articolato progetto di rilievo internazionale e nazionale, Healthy Ageing, che comprende studi, seminari, collaborazioni portati avanti con grandi Istituti di ricerca e con la partecipazione attiva delle autorità locali politiche e sanitarie con l’obiettivo di approfondire i temi relativi al miglioramento della salute dell’anziano e della qualità di vita.

I pilastri dell’Healthy Ageing nell’ottica generale di “Costruire salute” sono: Inclusione. Sviluppare nell’anziano un senso di appartenenza alla società.

Contributo. Promuovere la partecipazione alle attività della comunità, nei posti di lavoro o nel settore del volontariato.

Autonomia. Facilitare l’autonomia dell’anziano all’interno della famiglia e del percorso assistenziale Accesso. Promuovere l’accesso alla qualità delle prestazioni ed alle informazioni circa le alternative di cura disponibili.

fizer is busy for a long time with the purpose to improve the role of the elderly ones to the inside of the society and of the family, to increase the awareness of the positive aspects of the old age, to develop initiatives that promote an aging in good conditions of health during the life, included its last phases.

Pfizer, as a firm based on the search, has undertaken a trial of analysis to look into the society in continuous transformation and to know the challenges that they introduce, starting an articulated project of international and national relief, Healthy Ageing, that includes studies, seminars, collaborations achieved with great Institutes of search and with the active share of the political and sanitary local authority with the objective to deepen the relative themes to the improvement of the health of the elderly one and the quality of life.

The pillars of the Healthy Ageing in the general optics of “to Build Health” Inclusion. To develop in the elderly one a sense of affiliation to the society.

Contribution. To promote the share to the activities of the community, in the places of job or in the sector of the voluntary service.

Autonomy. To facilitate the autonomy of the elderly one inside the family and the relief run.

Access. To promote the access to the quality of the performances and the information about the alternatives of available treatments.

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Le principali aree di impegno di Pfizer a sostegno dell’anziano

The main areas of engagement of the Pfizer of support of the elderly one

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nostra convinzione che per contribuire all’obiettivo di assicurare una vecchiaia serena si debba operare congiuntamente su diversi fronti.

In primo luogo nella ricerca, intesa nelle sue diverse accezioni, ricerca farmacologica, prima di tutto, ma anche ricerca epidemiologica e ricerca sociale. Due esempi fondamentali.

Il progetto Ulisse, osservatorio sull’assistenza all’anziano fragile, in collaborazione con il Ministero della Salute, è nato in risposta all’esigenza di monitorare il livello di assistenza a quella fascia di popolazione, in continuo aumento, che supera i 75 anni di età.

L’obiettivo principale è, infatti, quello di conoscere meglio la realtà dei diversi servizi (Reparti per acuti, ADI ed RSA) rivolti agli anziani e presenti nel nostro territorio, al fine di attuare delle strategie assistenziali volte a ridurre i rischi connessi alla fragilità che caratterizza questi anni di vita e che si identifica con l’aumento del rischio di malattia, di disabilità e scompenso sociale. La compromissione “fisica” dovuta alla disabilità si riflette infatti in una compromissione “sociale”, legata alla perdita dell’indipendenza e dell’autonomia che comporta, oltre al disagio individuale dell’anziano, un problema per la comunità che si traduce in aumento della spesa pubblica.

Per verificare efficacia ed efficienza dei servizi all’anziano fragile è indispensabile disporre di banche dati connesse tra loro, da cui derivare macroindicatori sulla qualità dei servizi in questo settore. La realizzazione delle tre banche viene a colmare una totale lacuna, sinora esistente nel nostro Paese, su dati scientificamente validati riguardanti la qualità dell’assistenza all’anziano.

I risultati preliminari del progetto (relativi alla valutazione basale) sono stati presentati lo scorso novembre in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria. È interessante il confronto tra i soggetti ricoverati in RSA e quelli assistiti in ADI per comprendere l’attuale utilizzo dei servizi geriatrici nel nostro Paese. I dati riferiti al deficit funzionale, ossia alla capacità di svolgere le attività del vivere quotidiano (mangiare, vestirsi, muoversi, etc), mostrano come gli anziani che vengono gestiti a domicilio sono tendenzialmente più compromessi rispetto a quelli in RSA. Nelle RSA (ti-

t’s our conviction that to contribute to the objective to assure a serene old age, we have to operate jointly on different foreheads.

First in the search, in its different meanings, pharmacological search, first of all, but also epidemiological search and social search. Two fundamental examples.

The Ulisse project, observatory on the assistance to the elderly fragile, in collaboration with the Ministry of the Health, was born in answer to the demand to check the level of assistance to that group of population, in continuous increase, that overcomes the 75 years of age.

The principal objective is, in fact, to know better the reality of the different services (Departments for acute sick, ADI and RSA) turned to the elderly, and present in our territory, to effect some treatment strategies to reduce the connected risks to the brittleness that characterizes these years of life and that it is identified with the increase of the risk of illness of disability and of social difference. The “physics” compromission due to the disability reflects itself in fact in a “social” compromission, due to the loss of the independence and the autonomy that involves, besides the individual uneasiness of the elderly one, a problem for the community that is translated in an increase of the public expense.

To verify effectiveness and efficiency of the services of the elderly fragile is essential to have data banks connected among them, from which to derive macroindicators on the quality of the services in this sector. The realization of the three banks fills a total gap, until now existing in our Country, on data scientifically valid about the quality of the assistance of the elderly one.

The preliminary results of the project (relative to the basal evaluation) have been introduced last November on the occasion of the National Congress of the Italian Society of Gerontology and Geriatrics. It’s interesting the comparison among the hospitalized subjects in RSA and those assisted in ADI to understand the actual use of the geriatric services in our Country.

The reported data to the functional deficit, or rather to the ability to develop the activities of the daily way of living (to eat, to dress themselves, to move, etc), show as the elderly ones that are managed home, are potentially more compromised in comparison to those in RSA. In the RSA (hospitalization typology, excluded the day-

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pologia Lungodegenza, esclusi i ricoveri brevi) vengono accolti soggetti con un più elevato livello di deficit cognitivo. Le informazioni ottenibili da questo progetto possono essere utilizzate a vari livelli: 1) il profilo dell’intervento medico rivolto al singolo; 2) la gestione del paziente all’interno del servizio in rapporto alla tipologia dell’unità di cura; 3) l’ottimizzazione dell’assistenza in funzione della tipologia dell’assistenza nella rete integrata dei servizi presente nel bacino d’utenza.

hospital) subjects are welcomed with a more elevated level of deficit consciousness. The obtainable information from this project can be used to multilevel: 1) the profile of the medical intervention to the single one; 2) the patient’s management inside the service in relationship to the typology of the unity of treatment; 3) the optimization of the assistance according to the typology of the treatment in the integrated net of the services present in the field of use.

La ricerca Pfizer-Censis “Invecchiare in Salute”

The search Pfizer-Censis “to Grow Old in Health”

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ttraverso questa ricerca, Pfizer contribuisce insieme al Censis, alla riflessione sul tema della longevità ed alla soluzione della grande sfida dei nostri tempi, alimentando un dibattito costruttivo tra quanti a vario titolo sono chiamati a risolverla. Dalla ricerca emerge che il concetto di anzianità è legato allo stato di salute e a fattori emotivi piuttosto che all’età anagrafica: il 75,4% degli intervistati non si sente anziano.

Inoltre emerge una fotografia di anziani fortemente impegnati per allontanare la vecchiaia, per vivere serenamente questa fase della vita attraverso un costantemente allenamento della mente ottenuto informandosi, leggendo libri e frequentando cinema, teatri e musei (23,8%). Altro elemento fondamentale che emerge è l’importanza dell’integrazione nella comunità dove si vive.

Allo stesso tempo l’azienda è fortemente impegnata nello sviluppare progetti mirati alla formazione e alla socializzazione allo scopo di sviluppare nell’anziano un senso di appartenenza alla società, promuovere la partecipazione alle attività della comunità, nei posti di lavoro o nel settore del volontariato e facilitarne l’autonomia all’interno della famiglia.

Il progetto Matricole d’argento, in partnership con il Comune di Roma è un progetto molto importante nell’ambito del nostro impegno nel favorire la socializzazione dell’anziano attraverso l’incentivazione alla partecipazione alle attività educative e di formazione.

Partendo dalla convinzione che l’informatica possa migliorare la qualità della vita delle persone, e la loro integrazione nel tessuto sociale, la nostra azienda, all’interno del progetto Matricole d’Argento, ha voluto organizzare nella sua sede, con il contributo volontario dei suoi dipendenti, il corso di informatica livello avanzato.

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hrough this search, Pfizer contributes with the Censis, to the reflection on the theme of the longevity and to the solution of the great challenge of our time, feeding a constructive debate among those people that to various title can resolve it. From the search emerges that the concept of seniority is tied up to the state of health and emotional factors rather than to the registry age: the 75,4% of the interviewed ones doesn’t feel he elderly. Besides, a picture emerges of elderly strongly busy to get further the old age, to live serenely this phase of the life through a constant training of the mind achieved informing himself, reading books and frequenting cinema, theatres and museums (23,8%).

Other fundamental element that emerges is the importance of the integration in the community where he lives.

At the same time the firm is strongly busy to develop projects aimed at the formation and the socialization to the purpose to develop in the elderly one a sense of affiliation to the society, to promote the share to the activities of the community, in the places of employment or in the sector of the voluntary services and to facilitate his autonomy inside the family.

The project Matricole d’Argento, in partnership with the Town Hall of Rome, it is a very important project within our engagement to promote the socialization of the elderly one through the incentive to the share to the educational and training activities.

Persuaded that the computer science can improve the quality of life of the people and their integration in the society, our firm, inside the project Matricole d’Argento, wanted to organize in its seat, with the voluntary contribution of its employees, the computer science course at advanced level.

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Conclusioni

Conclusions

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razie alla sinergia sviluppata tra le diverse attività che ci vedono impegnati insieme a tutti gli interlocutori del settore sul fronte dell’universo degli anziani, acquisiamo sempre maggiore consapevolezza dei loro bisogni, affiancandoci a loro per costruire insieme una sanità migliore perché davvero a misura d’uomo.

hanks to the synergy developed among the different activities that see us busy together with all the interlocutors of the sector about the theme of the universe of the elderly ones, we always acquire greater awareness of their needs, standing beside them to build together a best health because it really is lively.

HealthyAgeing: c r e s c e r e

I dati parlano chiaro: l’Europa sta invecchiando rapidamente. I profili demografici delle società europee stanno evolvendosi verso le fasce di età più alte. Oggi, l’età media europea è di 40 anni ed è previsto il suo aumento a circa 50 entro il 2050. Per allora, è presumibile che quasi un terzo degli adulti in Europa avrà almeno 65 anni. Solo in Italia la popolazione anziana (60 anni e più) rappresenta il 24,5% della popolazione, un dato fortemente influenzato da un tasso di natalità molto basso. Nel 1970 la percentuale di anziani era del 12%, cifra che è salita a 17% nel 1999. Per il 2025 si stima che la percentuale raggiungerà il 34%, e per allora l’Italia sarà il secondo paese più vecchio del mondo.

Le cause principali di questo “invecchiamento” dell’Europa sono da imputare, da una parte, a un drammatico calo delle nascite e, dall’altra, a un’aspettativa di vita più lunga resa possibile dai progressi medici, tecnologici, sociali ed economici.

Ma vivere più a lungo non basta più. Gli anziani vogliono vivere meglio e in salute, vogliono rendersi parte attiva e utile per le proprie famiglie e per la società e pretendono una sanità migliore. Questo è quanto è emerso da una ricerca paneuropea (in Belgio, Canada, Germania, Italia, Spagna, Olanda, Gran Bretagna), condotta da Pfizer tra aprile e maggio 2002, con l’obiettivo di valutare la percezione del pubblico su alcune aree in materia di prestazioni sanitarie.

Dalla ricerca sono emerse alcune criticità: in primo luogo, la maggioranza degli intervistati ritiene che lo Stato dovrebbe incrementare la spesa sanitaria in vista del progressivo invecchiamento della popolazione e dei bisogni sanitari crescenti degli anziani. Inoltre, la maggioranza del pubblico in generale (83%), ed in particolare la fascia degli over 55, ritiene che l’incremento degli investimenti delle aziende farmaceutiche per la Ricerca e Sviluppo di farmaci destinati alla cura degli anziani contribuisca in maniera positiva alla qualità delle cure, considerato anche l’aumento delle aspettative di vita.

Di fronte a tale giudizio, le aziende farmaceutiche non possono che accogliere l’invito ad una maggiore integrazione con l’evoluzione delle aspettative di salute.

Pfizer, a livello internazionale, ha voluto dunque mettere a punto un progetto dedicato, che si articola in diverse attività volte ad approfondire presso l’opinione pubblica, le istituzioni e i media, i temi relativi alla salute dell’anziano e al miglioramento della loro qualità di vita.

i n

s a l u t e

Cos Healthy Ageing: • E’ un nuovo modo di affrontare l’invecchiamento nella sua accezione positiva, quella di “crescere in salute”.

• Healthy Ageing intende assicurare non solo che le persone vivano più a lungo ma anche che possano vivere in salute, in maniera soddisfacente e produttiva.

• Healthy Ageing è correlato a una serie di fattori: stili di vita bilanciati, sicurezza economica, coinvolgimento attivo nella società, accesso a farmaci innovativi e alle informazioni in materia di salute.

• Healthy Ageing vuole garantire ai “grandi adulti” l’indipendenza e la possibilità di potersi rendere utili in famiglia e nella comunità.

• Healthy Ageing mira a minimizzare il carico dell’anziano sulla famiglia agevolando gli oneri emotivi, fisici ed economici che incombono sui care-givers.

• Healthy Ageing auspica lo sviluppo di una politica di welfare orientata a coniugare, nel lungo periodo, il soddisfacimento della domanda espressa dalla collettività e la limitatezza delle risorse disponibili.

La prima di queste attività è stato il Silver Summit, tenutosi a Roma nel Settembre del 2002, in occasione del quale sono stati presentati i risultati di un’indagine sulla terza età dal titolo “invecchiare in salute”, commissionata da Pfizer al Centro di Ricerca Taylor Nelson Sofres. Condotta sugli over 55 in Inghilterra, Francia, Germania, Spagna e Italia, l’indagine aveva come obiettivo quello di stimolare il dibattito sull’idea che l’avanzare dell’età offra opportunità per i singoli e la comunità.

Dalla ricerca è emerso che in Italia il 54% degli over 55 si sente “più attivo” dei propri genitori alla stessa età e l’11% dichiara di continuare a svolgere attività lavorativa, retribuita o volontaria, anche se in pensione.

Questo dato stride fortemente con la percezione tendenzialmente negativa che la società ha di loro, e questo vale tanto per gli italiani quanto per gli inglesi, i francesi, i tedeschi e gli spagnoli. Quasi due anziani su tre – su un campione di 2.500 over 55, proporzionalmente suddivisi tra i cinque Paesi coinvolti nella ricerca – si sentono, infatti, sottovalutati dalla società e sempre più isolati dalle famiglie.

Ai partecipanti all’indagine è stato chiesto di valutare l’importanza attribuita a ciascuna voce e, quindi, il grado di soddisfazione rispetto a questi servizi nella propria zona. In questo modo, è stato possibile evidenziare le aree di maggiore interesse per gli abitanti delle diverse città, regioni e paesi presi in esame e come questi luoghi soddisfino o meno i bisogni della gente che vi abita.

La sezione dell’indagine dedicata alla Salute, mostra che il 41% degli italiani concorda nel ritenere di ricevere un’assistenza medica di livello inferiore a causa dell’età (media europea 26%) e il 36% condivide l’opinione che gli operatori sanitari ascoltano meno le persone anziane (media europea 29%). Inoltre, alla domanda “ciò che potrebbe migliorare la qualità della loro vita” il 34% degli intervistati ha risposto “una salute migliore” e il 24% ha risposto “benefici sociali/pensioni più alte”. Un ulteriore 13% ha dichiarato “una migliore assistenza sanitaria”.

La tendenza demografica e l’evoluzione della domanda fanno, dunque, emergere nuovi bisogni da parte di una società sempre più anziana, ma più informata, maggiormente cosciente del proprio stato di salute e sempre più esigente dal punto di vista della tutela della propria salute. Pfizer, attraverso il progetto “Healthy Ageing: Crescere in Salute”, vuole rendersi partecipe di questa nuova realtà, in collaborazione con le Istituzioni, le imprese, la classe medica e le associazioni di pazienti e di cittadini, al fine di:

Qualità della vita è un’altra area che fa parte del progetto Healthy Ageing di Pfizer. In questa prospettiva, nel 2003 Pfizer ha commissionato alla NFO Infratest una seconda indagine “The Pfizer Healthy Neighbourhood” ideata per rispondere a due grandi questioni emerse in generale nella popolazione anziana in Europa: che cosa valutano maggiormente i cittadini europei nella scelta di un posto felice e sano in cui vivere, e quali comunità europee stanno soddisfacendo con maggiore efficacia le necessità dei propri abitanti?

• Contribuire affinché la popolazione non solo sia più longeva, ma viva più a lungo in salute, in autonomia e capace di fornire un contributo alla società.

• Migliorare la qualità di vita dell’anziano accrescendo la consapevolezza del proprio stato di salute e contribuendo ad un suo inserimento nell’ambiente sociale e familiare.

Per rispondere a queste domande, sono state raccolte le opinioni di oltre 11.200 abitanti di 9 paesi europei (Belgio, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Spagna e Regno Unito) su 25 voci che maggiormente contribuiscono alla “salute” dell’ambiente. Tali voci coprono tematiche come l’ambiente, la sua qualità e sicurezza, le attrattive locali, il supporto sociale e i servizi sanitari.

Nella graduatoria di importanza attribuita dagli Europei alle diverse voci, troviamo in seconda posizione la qualità della prestazione di assistenza sanitaria, valutata fondamentale o molto importante dall’89% degli intervistati; in sesta e settima posizione rispettivamente la distanza o la facilità di raggiungere il medico di base piuttosto che l’ospedale locale” (82%) e la trasparenza della diagnosi (73%); in 12ma posizione, infine, l’accessibilità alle terapie, valutata fondamentale o molto importante dal 73% degli intervistati.

Rispetto a queste stesse voci, i dati non mostrano una corrispondenza tra livello di importanza e grado di soddisfazione.

Pfizer crede fortemente che le diverse parti coinvolte possano lavorare insieme affinché “invecchiare” possa essere un’esperienza positiva e non una fase della vita da vivere con timore. Se è vero che con l’avanzare dell’età aumenta l’insorgenza delle malattie, è altrettanto vero che lo sforzo congiunto delle diverse parti coinvolte, darà la possibilità alla comunità di vivere in maniera più salutare, produttiva e felice.

Pfizer ritiene che creare una società nella quale le persone stiano bene, siano produttive e più consapevoli delle loro possibilità, sia un elemento chiave per preparare l’Europa a questa nuova sfida del 21mo secolo.

Pfizer Italia S.r.l.

Via Valbondione, 113 - 00188 Roma Tel.06.33182.1 - Fax 06.33626019 - www.pfizer.it

132 C a r i t à P o l i t i c a

Il Progetto

Il Progetto

Appia Appia Il Progetto Appia

Per la promozione della Via Appia come itinerario culturale e religioso d’Europa For the promotion of the Appia way as cultural and religious itinerary of Europe

MONS. PASQUALE IACOBONE

MONS. PASQUALE IACOBONE

S

I

del Pontificio Consiglio della Cultura

ta prendendo le prime mosse, con una intesa che vorremmo la più ampia possibile tra tutte le parti interessate, un progetto volto a valorizzare e rendere fruibile, da molteplici punti di vista, il tracciato della Via Appia, sia nella sua fisionomia più antica (Appia Antica), sia in quella più tarda (Appia Traiana).

La Via Appia, la Regina viarum, strada pensata e realizzata in funzione dell’espansione militare di Roma e dello sviluppo dei commerci con il Sud della Penisola e con l’Oriente, poi divenuta via peregrinorum, via di pellegrinaggio sia per chi, provenendo da Sud, si recava a Roma sia per chi, passando da Roma, si recava a Gerusalemme ed in Terra Santa o al santuario micaelico del Gargano, è senz’altro uno dei simboli più suggestivi delle storia dell’Italia e dell’Europa.

Ripensando ciò che accadeva sull’Appia nei primi secoli della nostra éra, abbiamo la consapevolezza di ritornare davvero alle radici della nostra civiltà, della nostra Europa. L’Appia è tra le prime strade dell’Europa, per essa passa una storia che diventerà la

of the Pontifical Council for Culture

t’s taking its first movements, with an agreement that we would like the amplest possible among all the interested parts, a project to develop and to make useful, from lots of points of view, the layout of the Appia Way, both in the most ancient aspect (Appia Antica) and in that later (Appia Traiana).

The Appia Way, the Regina Viarum, a way thought and realized to facilitate the military expansion in Rome, and the development of the commerce with the South of the Peninsula and with the East, become, then, via peregrinorum, way of pilgrimage both for the anyone that, coming from the South, went to Rome, and for anyone that, stopping by Rome, went to Jerusalem and in Holy Land or to the sanctuary micaelico of the Gargano, is certainly one of the most suggestive symbols of the history of Italy and Europe.

Thinking over what happened on the Appia in the first centuries of our era, we have really the awareness to return to the roots of our civilization of our Europe. The Appia is among the first ways of Europe, through it passes a history that will become not only

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storia stessa non solo dell’Italia ma dell’Europa e del mondo conosciuto all’inizio dell’éra cristiana, congiungendo l’Europa all’Asia. Per l’Appia passa ed arriva nelle nostre contrade il Vangelo di Cristo, portato dai primi Apostoli, in particolare da coloro che furono poi definiti le colonne della Chiesa di Roma, Pietro e Paolo.

E proprio sull’Appia , nella cosiddetta Memoria Apostolorum, i due Apostoli e Martiri vengono festeggiati con particolare solennità. Nelle catacombe che costeggiano l’Appia , tra cui quelle di San Callisto, il primo cimitero ufficiale della Comunità Cristiana di Roma, trovano sepoltura numerosi Martiri, le cui memorie diventano anch’esse, ben presto, méta di pellegrinaggio. È proprio il famoso cimitero di San Sebastiano, denominato “ad catacumbas” a dare il nome agli altri cimiteri sotterranei, in seguito definiti appunto, genericamente, “catacombe”.

Si sviluppa così quell’attività che segna non solo l’esperienza cristiana ma tutta la civiltà medievale e rinascimentale, ed è simbolo stesso dell’identità della condizione del discepolo di Cristo, il pellegrinaggio. Proprio lungo le vie di pellegrinaggio si costituisce, poi, quella rete di insediamenti e di strutture assistenziali ed operative che daranno un volto ed una identità all'Europa.

Giustamente Goethe afferma che la coscienza dell’Europa è nata pellegrinando. Se percorriamo anche noi l’Appia , sapendo essere attenti alle tante testimonianze cristiane di cui è ricca, ci sentiremo davvero vicini alle prime generazioni cristiane e forse capiremo ancora meglio, ed apprezzeremo ancor di più, quelle che definiamo le radici cristiane dell’Europa, su cui tante volte è ritornato il Grande Pontefice Giovanni Paolo II, che ricordiamo tutti con grande senso di ammirazione e di gratitudine, e su cui è intervenuto, già numerose volte, anche il Santo Padre Benedetto XVI. Ma il percorso dell’Appia si presta anche ad ulteriori riflessioni e invita a cogliere tanti altri aspetti, ugualmente attuali ed utili per i nostri contemporanei. Si pensi, ad esempio, a ciò che i tanti monumenti sparsi lungo l’Appia possono suscitare nell’animo umano. Ultimamente sono in tanti a lamentare, soprattutto in ambito universitario ed accademico, la mancanza del senso storico, la carenza di una coscienza storica essenziale, senza la quale tante discussioni rischiano di diventare sterili e superficiali, o faziose.

the history of Italy but of the Europe and of the world known at the beginning of the Christian era, connecting the Europe to the Asia. For the Appia passes and arrives in our regions the Gospel of Christ, brought by the first Apostles, particularly from those that were defined the columns of the Church in Rome, Peter and Paul.

It’s just on the Appia, in the so-called Memoria Apostolorum, that the two Apostles and Martyrs are celebrated with particular solemnity. In the catacombs that run alongside the Appia, among which those of St. Callisto, the first official cemetery of the Christian Community in Rome, are buried numerous Martyrs, whose memories become, very soon, aim of pilgrimage. It’s exactly the famous cemetery of St. Sebastiano, denominated “ad catacumbas” to give the name to the other underground cemeteries, just defined later on, generically, “catacombs”.

It develops, so, that activity that not only marks the Christian experience but the whole medieval and renaissance civilization, and it is the same symbol of the identity and the condition of the disciple of Christ, the pilgrimage. Just on the ways of pilgrimage, then, made up that net of installations and relief and operational structures that will give a face and an identity to the Europe.

Justly, Goethe affirms that the conscience of Europe was born roaming. If we also cross the Appia, being careful to the so many Christian testimonies of which it is rich, we will feel really near to the first Christian generations and perhaps, we will understand and appreciate better still, those that we define the Christian roots of the Europe, on which so many times is intervened the Sovereign Pontiff Iohn Paul II, that we remember all with great sense of admiration and gratitude, and on which has intervened, already a lot of times, also the Holy Father Benedict XVI. But the run of the Appia is also lent to further reflections and invites to gather so many other aspects, equally actual and useful for our contemporaries.

Think, for instance, to what the so many monuments spread along the Appia can provoke in the human mind. Recently, they are so many that complain, especially in university and academic sphere, the lack of the historical sense, the lack of an essential historical conscience, without which so many discussions risk to become sterile and superficial or factious.

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Percorrere l’Appia lasciando parlare i numerosi e straordinari monumenti, tanto civili che religiosi, quelli di epoca romana come quelli paleocristiani, medievali o barocchi, può, allora, essere utile per suscitare nuova curiosità per la storia, rinnovata attenzione alla dimensione storica, in mancanza della quale tutto rischia di appiattirsi sul presente, riducendosi all’effimero. Il contesto paesaggistico costituisce un’altra grande ricchezza dell’Appia. Abbiamo ancora, per fortuna, aree fondamentalmente integre, con una natura splendida ed un paesaggio incontaminato e quanto mai suggestivo. Camminare lungo l’Appia favorisce, così, un profondo contatto con la natura e le sue bellezze, ci immerge in un contesto sicuramente meno nevrotico e convulso della città, offre l’opportunità di ritrovarsi in una dimensione di serenità, di armonia interiore e, perché no, anche di spiritualità. Quello che tanti nostri contemporanei cercano in esperienze tra l’esotico e l’esoterico, lontane, se non estranee, dalla nostra cultura, e centrate sul benessere, sull’armonia psico-fisica, su forme perlomeno discutibili di spiritualità o religiosità, qui si può trovare nella sua dimensione più genuina e più consona alla nostra identità, alla nostra storia, alla nostra dimensione reale. Dunque una Via Appia da riscoprire, e da apprezzare, nella ricchezza e nella molteplicità delle sue dimensioni e delle sue opportunità, e non solo per quanto riguarda il suo primo tratto, certamente più famoso e tutelato, ma in tutto il suo percorso, da Roma a Brindisi.

Ripercorrerla nuovamente riuscendo a cogliere tutti i valori, e le suggestioni, che essa continua ad offrire, anche a livello naturalistico ed artistico-monumentale, può certamente aiutare i nostri contemporanei, i giovani, gli studiosi, i pellegrini di oggi, ad interagire con le più antiche e genuine radici della civiltà occidentale e ad accoglierne l’appello per un nuovo umanesimo, in cui l’uomo, e l’homo viator, con tutta la sua dignità, sia la strada principale da percorrere.

Appare, poi, evidente che la promozione e la valorizzazione dell’Appia come via di pellegrinaggio e di turismo culturale, artistico e ambientale, risponda anche ad altre importanti esigenze, prima tra tutte quella di dare slancio al Sud d’Italia, in particolare alle Regioni attraversate da questa via, che hanno bisogno più che mai di collegarsi al dinamismo culturale e turistico, che tocca essenzialmente il Centro-Nord d’Italia ed il resto dell’Europa.

To cross the Appia allowing to speak the numerous and extraordinary monuments, as civilians as religious, those of Roman epoch as those PalaeoChristian, Medieval or Baroque, is able, then, to be useful to arouse new curiosity for the history, renewed attention to the historical dimension, in lack of which everything risks to flatten him on the present, reducing itself to the ephemeral one.The landscape context constitutes another great wealth of the Appia. We have still, fortunately, areas fundamentally whole, with a splendid nature, an uncontaminated landscape and more than ever suggestive. Walking along the Appia encourages, so, a depth contact with the nature and its beauties, it, surely, dips us in a less neurotic and convulsive context of the city, it gives us the opportunity to find ourselves in a dimension of serenity, of internal harmony and, why not, of spirituality.

What a lot of our contemporaries look for in experiences between the exotic and the esoteric one, distant, if not extraneous, from our culture, and based on the comfort, on the psycho -physics harmony, on forms at least questionable of spirituality or religiousness, here, we can find it in more genuine and more consistent dimension to our identity, to our history, to our real dimension.

Therefore an Appia Way to rediscover and to appreciate, in the wealth and in the multiplicity of its dimensions and opportunities, and not only as it regards its first line, certainly more famous and protected, but in its whole run, from Rome to Brindisi.

To go along it again, proving to gather all the values and the suggestions that it continues to offer, also to naturalistic level and artistic-monumental, it can certainly help our contemporaries, the young people, the researchers, the today’s pilgrims, to interact with the most ancient and genuine roots of the western civilization and to welcome the appeal for a new humanism, in which the man and the homo viator, with all of his dignity, is the principal way to cross.

It appears evident, then, that the promotion and the exploitation of the Appia as way of pilgrimage and cultural, artistic and environmental tourism, respond also to other important demands, first, among all, to give rush to the South of Italy, particularly to the regions crossed from this way, that need to connect themselves to the cultural and tourist dynamism, that touches especially the Centre-North of Italy and the rest of Europe.

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L’Appia , come già nell’antichità, può ridiventare via fondamentale di scambio e di arricchimento, tanto culturale quanto economico e sociale, valorizzando attentamente ambienti e risorse, capacità umane e strutture ingiustamente emarginate e dimenticate dai flussi turistici e commerciali.

Per far questo il Progetto Appia intende coinvolgere capillarmente le popolazioni e le comunità ecclesiali locali, le istituzioni culturali e quelle politico-amministrative, le strutture turistiche e le imprese commerciali, creando così una reale e concreta sinergia, senza la quale ogni progetto, soprattutto al Sud, è destinato al fallimento. Ci auguriamo vivamente, dunque, che l’Appia , oggi “cenerentola” tra le vie di comunicazione e di flusso turistico, ritorni ad essere davvero Regina viarum, la regina delle strade, percorsa da tanti uomini e donne, e soprattutto giovani, desiderosi di ritrovare le proprie radici e di gustare le tante bellezze che la nostra terra sa offrire.

The Appia , as already in the antiquity, can become again a fundamental way of exchange and of enrichment, as cultural, as economic and social, developing carefully environments and resources, human ability and structures unjustly marginalized and forgotten by the tourist and commercial flows.

To do this, the Appia Project intends to involve in detail the populations and the ecclesiastic local communities, the cultural institutions and those political-administrative, the tourist structures and the commercial enterprises, making so a Royal and concrete synergy, without which every project, above all in the South, is destined to fail. We, warmly wish, so, that the Appia, today “Cinderella” among the ways of communication and tourist flow, returns really to be Regina viarum, the queen of the ways, crossed by so many men and women, and above all, young people, desirous to find again their own roots and to taste the so many beauties that our Land can offer.

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Gli animali Gli Animali hanno diritti?

Diritti Animals rights Do animals have rights?

N

ella “Dichiarazione universale dei diritti dell’animale”, lanciata dall’UNESCO a Bruxelles il 27 gennaio 1978 si afferma nel 1° articolo che “tutti gli animali nascono eguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza”. Si afferma poi nell’ultimo articolo – il 14b) – che “i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo”. Così, da una parte, si dichiara che tutti gli animali hanno lo stesso diritto all’esistenza; dall’altra, i diritti dell’animale, sotto il profilo giuridico, vengono posti sullo stesso piano dei diritti dell’uomo, perché devono essere “difesi dalla legge” con lo stesso impegno. Se si esaminano con un minimo di attenzione e realismo questi due articoli, ci si rende conto che non hanno senso. Infatti dicendo che “tutti” gli animali nascono uguali davanti alla vita e hanno gli stessi diritti all’esistenza, si deve concludere che nessun animale anche se dannoso all’uomo e agli altri animali può essere ucciso.

Così, poiché la zanzara, la mosca, la vipera sono animali, hanno diritto a vivere e dunque non possono essere uccise. Il topo e il gatto hanno lo stesso diritto alla vita e quindi il gatto, mangiando il topo, lede il relativo diritto alla vita. Lo stesso fanno il leone che sbrana la gazzella, il pesce grosso che mangia il piccolo, il falco che uccide altri uccelli. In tal modo, la natura è un’immensa fucina di “delitti contro la vita”, perpetrati sia dagli animali a danno di altri animali, sia dall’uomo, che non rispetta il diritto di tutti gli animali alla vita. E infatti, se l’uomo e gli animali hanno lo stesso diritto alla vita, né l’animale può uccidere l’uomo né questi può uccidere un animale, qualunque esso sia, utile o dannoso. Questi esempi mostrano l’assurdità dell’affermazione che “tutti” gli animali hanno “gli stessi diritti all’esistenza”. Non è poi vero che i diritti degli animali “devono essere difesi dalla legge come i diritti

I

n the Universal Declaration of Animal Rights, launched by UNESCO in Brussels on 27 January 1978, article 1 states that “all animals are born with an equal claim on life and the same rights to existence”. The last article 14b) - states that “the rights of animals, like human rights, should enjoy the protection of law”. So, on the one hand, it is stated that all animals have the same right to existence and, on the other, that from a legal standpoint animal rights are on the same level as human rights, because they should be “protected by law” with the same commitment.

If these two articles are examined with a minimum of attention and realism, it is obvious that they do not make sense. Indeed, the assertion that “all” animals are born with an equal claim on life and have the same rights to existence leads to the conclusion that no animal, even if harmful to mankind and other animals, should be killed.

Therefore, since mosquitoes, flies and vipers are animals, they have the right to live and thus should not be killed.

Cats and mice have the same right to life, so a cat, when eating a mouse, harms the relative right to life. The same is true for a lion that tears to pieces a gazelle, a big fish that eats a small one, and a falcon that kills other birds.

According to this logic, nature is a vast hotbed of “crimes against life”, perpetrated either by animals to the detriment of other animals, or by man, who does not respect the right of all animals to life. Indeed, if human beings and animals have the same right to life, then an animal may not kill a man and human beings may not kill animals, whether this be useful or harmful. These examples demonstrate the absurdity of the statement that “all” animals have “the same rights to existence”. Nor is it true that the rights of animals “like human rights, should enjoy the protection of law”. In fact, animals do not have rights.

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dell’uomo”. In realtà, gli animali non hanno diritti. Il diritto è una prerogativa dell’essere spirituale. E il motivo profondo è che il diritto è una prerogativa della persona che, oltre ad essere vivente e senziente, è intelligente e libero, cosciente e responsabile, capace di comprendere ciò che è bene e ciò che è male, e quindi di determinarsi liberamente per il bene e per il male, per il bene proprio e degli altri o per la rovina propria e degli altri. Ora, per poter essere se stesso e per poter agire liberamente e responsabilmente, per essere quindi una persona umana, come richiede la sua natura, l’uomo deve poter godere di “diritti”, cioè di possibilità che gli permettono di realizzarsi come persona. Indubbiamente, nella concezione cristiana, tra l’uomo e gli animali c’è una differenza radicale, che non è soltanto di grado, ma è di natura: l’uomo non è un animale superiore, più perfetto degli altri animali, bensì non è un animale, perché, pur essendo simile agli animali sotto il profilo anatomico e sensitivo, ha un’anima spirituale immortale che nessun animale possiede. Perciò, parlando dell’uomo, non si può dire, come fanno gli animalisti, “l’uomo e gli altri animali”, quasi che l’uomo sia un animale tra gli altri, sia pure superiore, ma si deve dire “l’uomo e gli animali”. Già Pascal notava “è pericoloso esagerare nel far credere all’uomo quanto è uguale agli animali, senza mostrargli la sua grandezza” (Pensieri, 112).

L’uomo infatti è un “essere a parte”, perché, creato “a immagine e somiglianza di Dio” (Gn 1, 26), è il centro e il fine di tutta la creazione. Perciò, tutti gli esseri creati – quindi anche gli animali di ogni specie – sono stati creati da Dio perché l’uomo se ne serva per tutte le sue necessità fisiche e spirituali. È detto nel libro della Genesi (9, 1-3): «[Dopo il diluvio] Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo, come già le verdi erbe”». Tutta la creazione è posta quindi in potere dell’uomo; ma non si tratta di un potere “dispotico”, irragionevole e crudele, bensì di un potere «umano», che sia cioè ragionevole e rispettoso di tutti gli esseri creati, in particolare degli animali che non sono nocivi alla sua vita, alla sua salute e ai suoi beni.

(Cfr. La Civiltà Cattolica 2003 IV 3-9). In conclusione, gli animali non hanno diritti, perché questi appartengono all’uomo, in quanto è una «persona», cioè un essere intelligente e libero, cosciente e responsabile, dotato di un’anima spirituale. Questo però non significa che l’uomo possa maltrattare e imporre sofferenze agli animali. Deve invece averne cura, poiché non è padrone ma custode e amministratore della creazione.

right is a prerogative of a spiritual being. The profound reason is that rights are the prerogative of a person, who as well as being alive and sentient, is intelligent and free, aware and responsible, and capable of understanding what is good and what is evil. Persons may therefore freely decide between good and evil, for their own good and that of others or for their own ruin and that of others. Now, in order to be ourselves and be able to act freely and responsibly - therefore to be human persons - as required by our nature, we human beings should be able to enjoy “rights”, namely possibilities that allow us to fulfil ourselves as persons. Undoubtedly, according to the Christian concept, there is a radical difference between mankind and animals, not only of degree but also of nature. Man is not a superior animal, more perfect than other animals. Indeed, man is not an animal because, although similar to animals from an anatomical and sensory viewpoint, human beings possess an immortal spiritual soul that no animal has.

Therefore, when talking about mankind, we cannot say, as animal rights supporters do, “man and the other animals”, almost as if man were one among other animals, or even superior. What should be said is “man and animals”.

Pascal wrote: “It is dangerous to explain too clearly to man how like he is to the animals without pointing out his greatness” (Thoughts, 112). Indeed, man is a “separate being” because he was created “in the image of God” (Genesis 1:26), and is the centre and end of all creation. Therefore, all created beings - thus including all species of animals were created by God so that man could make use of them for all his physical and spiritual needs. It says in the book of Genesis (9:1-3): «[After the flood] Then God blessed Noah and his sons, saying to them, “Be fruitful and increase in number and fill the earth. The fear and dread of you will fall upon all the beasts of the earth and all the birds of the air, upon every creature that moves along the ground, and upon all the fish of the sea; they are given into your hands. Everything that lives and moves will be food for you.

Just as I now give you the green plants, I now give you everything”». The whole of creation is thus placed in the hands of mankind. Yet it is not a “despotic”, irrational and cruel power, but rather a “human” power, which should therefore be reasonable and respectful of all created beings, in particular animals that do no harm to our lives, our health and our goods. (cf. La Civiltà Cattolica 2003 IV 3-9). To sum up, animals do not have rights, because these belong to mankind, as “persons”, namely intelligent and free beings who are aware and responsible and equipped with a spiritual soul. However, this does not mean that mankind can mistreat and inflict suffering on animals. On the contrary, man should look after them, because he is not the master but the custodian and administrator of creation.

C a r i t à P o l i t i c a 139 Documenti

LETTERA ENCICLICA DEL SOMMO PONTEFICE BENEDETTO XVI AI VESCOVI, AI PRESBITERI E AI DIACONI, ALLE PERSONE CONSACRATE E A TUTTI I FEDELI LAICI SULL’AMORE CRISTIANO ENCYCLICAL LETTER OF THE SUPREME PONTIFF BENEDICT XVI TO THE BISHOPS PRIESTS AND DEACONS MEN AND WOMEN RELIGIOUS AND ALL THE LAY FAITHFUL ON CHRISTIAN LOVE

Benedetto Benedetto XVI XVI

DEUS Caritas CARITAS EST Est Introduzione

«D

1.

IO È AMORE; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».

Abbiamo creduto all’amore di Dio – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita.

All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le seguenti parole: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui… abbia la

“G

1. od is love, and he who abides in love abides in God, and God abides in him” (1 Jn 4:16). These words from the First Letter of John express with remarkable clarity the heart of the Christian faith: the Christian image of God and the resulting image of mankind and its destiny. In the same verse, Saint John also offers a kind of summary of the Christian life: “We have come to know and to believe in the love God has for us”.

We have come to believe in God’s love: in these words the Christian can express the fundamental decision of his life. Being Christian is not the result of an ethical choice or a lofty idea, but the encounter with an event, a person, which gives life a new horizon and a decisive direction. Saint John’s Gospel describes that event in these words: “God so loved the world that he gave his only Son, that whoever believes in him should ... have eternal life” (3:16). In acknowledging the centrality of love, Christian faith has retained the core of Israel’s faith, while at the same time giving it new depth and

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vita eterna» (3, 16). Con la centralità dell’amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d’Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L’Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (6, 4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con quello dell’amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l’amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro.

In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questa è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri. Ecco così indicate le due grandi parti di questa Lettera, tra loro profondamente connesse. La prima avrà un’indole più speculativa, visto che in essa vorrei precisare – all’inizio del mio Pontificato – alcuni dati essenziali sull’amore che Dio, in modo misterioso e gratuito, offre all’uomo, insieme all’intrinseco legame di quell’Amore con la realtà dell’amore umano. La seconda parte avrà un carattere più concreto, poiché tratterà dell’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo. L’argomento si presenta assai vasto; una lunga trattazione, tuttavia, eccede lo scopo delle presente Enciclica. È mio desiderio insistere su alcuni elementi fondamentali, così da suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino.

breadth. The pious Jew prayed daily the words of the Book of Deuteronomy which expressed the heart of his existence: “Hear, O Israel: the Lord our God is one Lord, and you shall love the Lord your God with all your heart, and with all your soul and with all your might” (6:4-5). Jesus united into a single precept this commandment of love for God and the commandment of love for neighbour found in the Book of Leviticus: “You shall love your neighbour as yourself” (19:18; cf. Mk 12:29-31). Since God has first loved us (cf. 1 Jn 4:10), love is now no longer a mere “command”; it is the response to the gift of love with which God draws near to us.

In a world where the name of God is sometimes associated with vengeance or even a duty of hatred and violence, this message is both timely and significant. For this reason, I wish in my first Encyclical to speak of the love which God lavishes upon us and which we in turn must share with others. That, in essence, is what the two main parts of this Letter are about, and they are profoundly interconnected. The first part is more speculative, since I wanted here-at the beginning of my Pontificate-to clarify some essential facts concerning the love which God mysteriously and gratuitously offers to man, together with the intrinsic link between that Love and the reality of human love. The second part is more concrete, since it treats the ecclesial exercise of the commandment of love of neighbour. The argument has vast implications, but a lengthy treatment would go beyond the scope of the present Encyclical. I wish to emphasize some basic elements, so as to call forth in the world renewed energy and commitment in the human response to God’s love.

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L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza The unity of love in creation and in salvation history Un problema di linguaggio

L’

A problem of language

G

2. amore di Dio per noi è questione fondamentale per la vita e pone domande decisive su chi è Dio e chi siamo noi. Al riguardo, ci ostacola innanzitutto un problema di linguaggio. Il termine «amore» è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti. Anche se il tema di questa Enciclica si concentra sulla questione della comprensione e della prassi dell’amore nella Sacra Scrittura e nella Tradizione della Chiesa, non possiamo semplicemente prescindere dal significato che questa parola possiede nelle varie culture e nel linguaggio odierno.

Ricordiamo in primo luogo il vasto campo semantico della parola «amore»: si parla di amor di patria, di amore per la professione, di amore tra amici, di amore per il lavoro, di amore tra genitori e figli, tra fratelli e familiari, dell’amore per il prossimo e dell’amore per Dio. In tutta questa molteplicità di significati, però l’amore tra uomo e donna, nel quale corpo e anima concorrono inscindibilmente e all’essere umano si schiude una promessa di felicità che sembra irresistibile, emerge come archetipo di amore per eccellenza, al cui confronto, a prima vista, tutti gli altri tipi di amore sbiadiscono. Sorge allora la domanda: tutte queste forme di amore alla fine si unificano e l’amore, pur in tutta la diversità delle sue manifestazioni, in ultima istanza è uno solo, o invece utilizziamo una medesima parole per indicare realtà totalmente diverse?

od’s love for us is fundamental for our lives, 2. and it raises important questions about who God is and who we are. In considering this, we immediately find ourselves hampered by a problem of language.

Today, the term “love” has become one of the most frequently used and misused of words, a word to which we attach quite different meanings. Even though this Encyclical will deal primarily with the understanding and practice of love in sacred Scripture and in the Church’s Tradition, we cannot simply prescind from the meaning of the word in the different cultures and in present-day usage.

Let us first of all bring to mind the vast semantic range of the word “love”: we speak of love of country, love of one’s profession, love between friends, love of work, love between parents and children, love between family members, love of neighbour and love of God. Amid this multiplicity of meanings, however, one in particular stands out: love between man and woman, where body and soul are inseparably joined and human beings glimpse an apparently irresistible promise of happiness. This would seem to be the very epitome of love; all other kinds of love immediately seem to fade in comparison. So we need to ask: are all these forms of love basically one, so that love, in its many and varied manifestations, is ultimately a single reality, or are we merely using the same word to designate totally different realities?

«Eros» e «agape» – differenza e unità

“Eros” and “Agape” – difference and unity

A

3. ll’amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s’impone all’essere umano, l’antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore – eros, philia (amore di amicizia) e agape – gli scritti neotestamentari privi-

T

3.

That love between man and woman which is neither planned nor willed, but somehow imposes itself upon human beings, was called eros by the ancient Greeks. Let us note straight away that the Greek Old Testament uses the word eros only twice, while the New Testament does not use it at all: of the three Greek words for love, eros, philia (the love of friendship) and agape, New Testament writers prefer

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legiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini. Quanto all’amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell’amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell’amore.

Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall’illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio1. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?

the last, which occurs rather infrequently in Greek usage. As for the term philia, the love of friendship, it is used with added depth of meaning in Saint John’s Gospel in order to express the relationship between Jesus and his disciples. The tendency to avoid the word eros, together with the new vision of love expressed through the word agape, clearly point to something new and distinct about the Christian understanding of love. In the critique of Christianity which began with the Enlightenment and grew progressively more radical, this new element was seen as something thoroughly negative. According to Friedrich Nietzsche, Christianity had poisoned eros, which for its part, while not completely succumbing, gradually degenerated into vice1. Here the German philosopher was expressing a widely-held perception: doesn’t the Church, with all her commandments and prohibitions, turn to bitterness the most precious thing in life? Doesn’t she blow the whistle just when the joy which is the Creator’s gift offers us a happiness which is itself a certain foretaste of the Divine?

4. Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci – senz’altro in analogia con altre culture – hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte in una «pazzia divina» che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: «Omnia vincit amor», afferma Virgilio nelle Bucoliche – l’amore vince tutto – e aggiunge: «et nos cedamus amori» – cediamo anche noi all’amore2. Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione «sacra» che fioriva in molti templi. L’eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino.

A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo

4. But is this the case? Did Christianity really destroy eros? Let us take a look at the pre- Christian world.

The Greeks – not unlike other cultures – considered eros principally as a kind of intoxication, the overpowering of reason by a “divine madness” which tears man away from his finite existence and enables him, in the very process of being overwhelmed by divine power, to experience supreme happiness. All other powers in heaven and on earth thus appear secondary: “Omnia vincit amor” says Virgil in the Bucolics – love conquers all – and he adds: “et nos cedamus amori” – let us, too, yield to love2. In the religions, this attitude found expression in fertility cults, part of which was the “sacred” prostitution which flourished in many temples. Eros was thus celebrated as divine power, as fellowship with the Divine.

The Old Testament firmly opposed this form of religion, which represents a powerful temptation against monotheistic faith, combating it as a perversion of religiosity. But it in no way rejected eros as such; rather, it declared war on a warped and destructive form of it, because this counterfeit divinization of eros actually strips it of its dignity and dehumanizes it. Indeed, the prostitutes in the temple, who had to bestow this divine intoxication, were not treated as

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disumanizza. Infatti, nel tempio, le prostitute, che devono donare l’ebbrezza del Divino, non vengono trattate come essere umani e persone, ma servono soltanto come strumenti per suscitare la «pazzia divina»: in realtà, esse non sono dee, ma persone umane di cui si abusa. Per questo l’eros ebbro ed indisciplinato non è ascesa, «estasi» verso il Divino, ma caduta, degradazione dell’uomo. Così diventa evidente che l’eros ha bisogno di disciplina, di purificazione per donare all’uomo non il piacere di un istante, ma un certo pregustamento del vertice dell’esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il nostro essere tende.

5. Due cose emergono chiaramente da questo rapido sguardo alla concezione dell’eros nella storia e nel presente. Innanzitutto che tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità – una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo «avvelenamento», ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza.

Ciò dipende innanzitutto dalla costituzione dell’essere umano, che è composto di corpo e di anima. L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità: la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. E se, d’altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza. L’epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a Cartesio col saluto: «O Anima!». E Cartesio replicava dicendo: «O Carne!»3. Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l’uomo, la persona, che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore – l’eros – può maturare fino alla sua vera grandezza.

Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state.

human beings and persons, but simply used as a means of arousing “divine madness”: far from being goddesses, they were human persons being exploited.

An intoxicated and undisciplined eros, then, is not an ascent in “ecstasy” towards the Divine, but a fall, a degradation of man. Evidently, eros needs to be disciplined and purified if it is to provide not just fleeting pleasure, but a certain foretaste of the pinnacle of our existence, of that beatitude for which our whole being yearns.

5. Two things emerge clearly from this rapid overview of the concept of eros past and present. First, there is a certain relationship between love and the Divine: love promises infinity, eternity – a reality far greater and totally other than our everyday existence. Yet we have also seen that the way to attain this goal is not simply by submitting to instinct. Purification and growth in maturity are called for; and these also pass through the path of renunciation. Far from rejecting or “poisoning” eros, they heal it and restore its true grandeur.

This is due first and foremost to the fact that man is a being made up of body and soul. Man is truly himself when his body and soul are intimately united; the challenge of eros can be said to be truly overcome when this unification is achieved. Should he aspire to be pure spirit and to reject the flesh as pertaining to his animal nature alone, then spirit and body would both lose their dignity. On the other hand, should he deny the spirit and consider matter, the body, as the only reality, he would likewise lose his greatness. The epicure Gassendi used to offer Descartes the humorous greeting: “O Soul!” And Descartes would reply: “O Flesh!”3. Yet it is neither the spirit alone nor the body alone that loves: it is man, the person, a unified creature composed of body and soul, who loves. Only when both dimensions are truly united, does man attain his full stature. Only thus is love – eros – able to mature and attain its authentic grandeur.

Nowadays Christianity of the past is often criticized as having been opposed to the body; and it is quite true that tendencies of this sort have always existed.

Yet the contemporary way of exalting the body is deceptive. Eros, reduced to pure “sex”, has become a commodity, a mere “thing” to be bought and sold, or rather, man himself becomes a commodity. This is hardly man’s great “yes” to the body. On the con-

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Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro «sesso» diventa merce, una semplice «cosa» che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell’uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l’uomo sempre come essere uniduale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci «in estasi» verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.

6. Come dobbiamo configurarci concretamente questo cammino di ascesa e di purificazione? Come deve essere vissuto l’amore, perché si realizzi pienamente la sua promessa umana e divina? Una prima indicazione importante la possiamo trovare nel Cantico dei Cantici, uno dei libri dell’Antico Testamento ben noto ai mistici. Secondo l’interpretazione oggi prevalente, le poesie contenute in questo libro sono originariamente canti d’amore, forse previsti per una festa di nozze israelitica, nella quale dovevano esaltare l’amore coniugale. In tale contesto è molto istruttivo il fatto che, nel corso del libro, si trovano due parole diverse per indicare l’«amore». Dapprima vi è la parola «dodim» – un plurale che esprime l’amore ancora insicuro, in una situazione di ricerca indeterminata. Questa parola viene poi sostituita dalla parola «ahabà», che nella traduzione greca dell’Antico Testamento è resa col termine di simile suono «agape» che, come abbiamo visto, diventò l’espressione caratteristica per la concezione biblica dell’amore. In opposizione all’amore indeterminato e ancora in ricerca, questo vocabolo esprime l’esperienza dell’amore che diventa ora vera-

trary, he now considers his body and his sexuality as the purely material part of himself, to be used and exploited at will. Nor does he see it as an arena for the exercise of his freedom, but as a mere object that he attempts, as he pleases, to make both enjoyable and harmless. Here we are actually dealing with a debasement of the human body: no longer is it integrated into our overall existential freedom; no longer is it a vital expression of our whole being, but it is more or less relegated to the purely biological sphere. The apparent exaltation of the body can quickly turn into a hatred of bodiliness. Christian faith, on the other hand, has always considered man a unity in duality, a reality in which spirit and matter compenetrate, and in which each is brought to a new nobility. True, eros tends to rise “in ecstasy” towards the Divine, to lead us beyond ourselves; yet for this very reason it calls for a path of ascent, renunciation, purification and healing.

6. Concretely, what does this path of ascent and purification entail? How might love be experienced so that it can fully realize its human and divine promise?

Here we can find a first, important indication in the Song of Songs, an Old Testament book well known to the mystics. According to the interpretation generally held today, the poems contained in this book were originally love-songs, perhaps intended for a Jewish wedding feast and meant to exalt conjugal love. In this context it is highly instructive to note that in the course of the book two different Hebrew words are used to indicate “love”. First there is the word dodim, a plural form suggesting a love that is still insecure, indeterminate and searching. This comes to be replaced by the word ahabà, which the Greek version of the Old Testament translates with the similarsounding agape, which, as we have seen, becomes the typical expression for the biblical notion of love. By contrast with an indeterminate, “searching” love, this word expresses the experience of a love which involves a real discovery of the other, moving beyond the selfish character that prevailed earlier. Love now becomes concern and care for the other. No longer is it self-seeking, a sinking in the intoxication of happiness; instead it seeks the good of the beloved: it becomes renunciation and it is ready, and even willing, for sacrifice.

It is part of love’s growth towards higher levels and

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mente scoperta dell’altro, superando il carattere egoistico prima chiaramente dominante. Adesso l’amore diventa cura dell’altro e per l’altro. Non cerca più se stesso, l’immersione nell’ebbrezza della felicità; cerca invece il bene dell’amato: diventa rinuncia, è pronto al sacrificio, anzi lo cerca.

Fa parte degli sviluppi dell’amore verso livelli più alti, verso le sue intime purificazioni, che esso cerchi ora la definitività, e ciò in un duplice senso: nel senso dell’esclusività – «solo quest’unica persona» – e nel senso del «per sempre». L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione, anche in quella del tempo. Non potrebbe essere diversamente, perché la sua promessa mira al definitivo: l’amore mira all’eternità. Sì, amore è «estasi», ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dell’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio: «Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà» (Lc 17, 33), dice Gesù – una sua affermazione che si ritrova nei Vangeli, in diverse varianti (cfr Mt 10, 39; 16, 25; Mc 8, 35; Lc 9, 24; Gv 12, 25). Gesù con ciò descrive il suo personale cammino, che attraverso la croce lo conduce alla resurrezione: il cammino del chicco di grano che cade nella terra e muore e così porta molto frutto. Partendo dal centro del suo sacrificio personale e dell’amore che in esso giunge al suo compimento, egli con queste parole descrive anche l’essenza dell’amore e dell’esistenza umana in genere.

7. Le nostre riflessioni, inizialmente piuttosto filosofiche, sull’essenza dell’amore ci hanno ora condotto per interiore dinamica fino alla fede biblica. All’inizio si è posta la questione se i diversi, anzi opposti, significati della parole amore sottintendessero una qualche unità profonda o se invece dovessero restare slegati, l’uno accanto all’altro. Soprattutto, però, è emersa la questione se il messaggio sull’amore, a noi annunciato dalla Bibbia e dalla Tradizione della Chiesa, avesse qualcosa a che fare con la comune esperienza umana dell’amore o non si opponesse piuttosto ad essa. A tale proposito, ci siamo imbattuti nelle due parole fondamentali: eros come termine per significare l’amore «mondano» e agape come espressione per l’amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Le due concezioni vengono

inward purification that it now seeks to become definitive, and it does so in a twofold sense: both in the sense of exclusivity (this particular person alone) and in the sense of being “for ever”. Love embraces the whole of existence in each of its dimensions, including the dimension of time. It could hardly be otherwise, since its promise looks towards its definitive goal: love looks to the eternal. Love is indeed “ecstasy”, not in the sense of a moment of intoxication, but rather as a journey, an ongoing exodus out of the closed inward-looking self towards its liberation through self-giving, and thus towards authentic selfdiscovery and indeed the discovery of God: “Whoever seeks to gain his life will lose it, but whoever loses his life will preserve it” (Lk 17:33), as Jesus says throughout the Gospels (cf. Mt 10:39; 16:25; Mk 8:35; Lk 9:24; Jn 12:25). In these words, Jesus portrays his own path, which leads through the Cross to the Resurrection: the path of the grain of wheat that falls to the ground and dies, and in this way bears much fruit. Starting from the depths of his own sacrifice and of the love that reaches fulfilment therein, he also portrays in these words the essence of love and indeed of human life itself.

7. By their own inner logic, these initial, somewhat philosophical reflections on the essence of love have now brought us to the threshold of biblical faith. We began by asking whether the different, or even opposed, meanings of the word “love” point to some profound underlying unity, or whether on the contrary they must remain unconnected, one alongside the other. More significantly, though, we questioned whether the message of love proclaimed to us by the Bible and the Church’s Tradition has some points of contact with the common human experience of love, or whether it is opposed to that experience. This in turn led us to consider two fundamental words: eros, as a term to indicate “worldly” love and agape, referring to love grounded in and shaped by faith. The two notions are often contrasted as “ascending” love and “descending” love. There are other, similar classifications, such as the distinction between possessive love and oblative love (amor concupiscentiae – amor benevolentiae), to which is sometimes also added love that seeks its own advantage.

In philosophical and theological debate, these distinctions have often been radicalized to the point of

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spesso contrapposte come amore «ascendente» e amore «discendente». Vi sono altre classificazioni affini, come per esempio la distinzione tra amore possessivo e amore oblativo (amor concupiscentiae – amor benevolentiae), alla quale a volte viene aggiunto anche l’amore che mira al proprio tornaconto.

Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso sono state radicalizzate fino al punto di porle tra loro in contrapposizione: tipicamente cristiano sarebbe l’amore discendente, oblativo, l’agape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto quella greca, sarebbe caratterizzata dall’amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè dall’eros. Se si volesse portare all’estremo questa antitesi, l’essenza del cristianesimo risulterebbe disarticolata dalle fondamentali relazioni vitali dell’esistere umano e costituirebbe un mondo a sé, da ritenere forse ammirevole, ma decisamente tagliato fuori dal complesso dell’esistenza umana. In realtà eros e agape – amore ascendente e amore discendente – non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro. Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse, trovano la giusta unità nell’unica realtà dell’amore, tanto più si realizza la vera natura dell’amore in genere. Anche se l’eros inizialmente è soprattutto bramoso, ascendente – fascinazione per la grande promessa di felicità – nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui, si donerà e desidererà «esserci per» l’altro. Così il momento dell’agape si inserisce in esso; altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura. D’altra parte, l’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può – come ci dice il Signore – diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva (cfr Gv 7, 37-38). Ma per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere, sempre di nuovo, a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio (cfr. Gv 19, 34).

I Padri hanno visto simboleggiata in vari modi, nella narrazione della scala di Giacobbe, questa connessione inscindibile tra ascesa e discesa, tra l’eros che cerca Dio e l’agape che trasmette il dono ricevuto. In quel testo biblico si riferisce che il patriarca Giacobbe in sogno vide, sopra la pietra che gli serviva da

establishing a clear antithesis between them: descending, oblative love – agape – would be typically Christian, while on the other hand ascending, possessive or covetous love – eros – would be typical of non-Christian, and particularly Greek culture. Were this antithesis to be taken to extremes, the essence of Christianity would be detached from the vital relations fundamental to human existence, and would become a world apart, admirable perhaps, but decisively cut off from the complex fabric of human life.

Yet eros and agape – ascending love and descending love – can never be completely separated. The more the two, in their different aspects, find a proper unity in the one reality of love, the more the true nature of love in general is realized. Even if eros is at first mainly covetous and ascending, a fascination for the great promise of happiness, in drawing near to the other, it is less and less concerned with itself, increasingly seeks the happiness of the other, is concerned more and more with the beloved, bestows itself and wants to “be there for” the other. The element of agape thus enters into this love, for otherwise eros is impoverished and even loses its own nature.

On the other hand, man cannot live by oblative, descending love alone. He cannot always give, he must also receive. Anyone who wishes to give love must also receive love as a gift. Certainly, as the Lord tells us, one can become a source from which rivers of living water flow (cf. Jn 7:37-38). Yet to become such a source, one must constantly drink anew from the original source, which is Jesus Christ, from whose pierced heart flows the love of God (cf. Jn 19:34).

In the account of Jacob’s ladder, the Fathers of the Church saw this inseparable connection between ascending and descending love, between eros which seeks God and agape which passes on the gift received, symbolized in various ways. In that biblical passage we read how the Patriarch Jacob saw in a dream, above the stone which was his pillow, a ladder reaching up to heaven, on which the angels of God were ascending and descending (cf. Gen 28:12; Jn 1:51). A particularly striking interpretation of this vision is presented by Pope Gregory the Great in his Pastoral Rule. He tells us that the good pastor must be rooted in contemplation. Only in this way will he be able to take upon himself the needs of others and make them his own: “per pietatis viscera in se infirmitatem caeterorum transferat”4. Saint Gregory

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guanciale, una scala che giungeva fino al cielo, sulla quale salivano e scendevano gli angeli di Dio (cfr Gn 28, 12; Gv 1, 51). Colpisce in modo particolare l’interpretazione che il Papa Gregorio Magno dà di questa visione nella sua Regola pastorale. Il pastore buono, egli dice, deve essere radicato nella contemplazione. Soltanto in questo modo, infatti gli sarà possibile accogliere le necessità degli altri nel suo intimo, cosicché diventino sue: «per pietatis viscera in se infirmitatem caeterorum transferat»4. San Gregorio, in questo contesto, fa riferimento a san Paolo che vien rapito in alto fin nei più grandi misteri di Dio e proprio così, quando ne discende, è in grado di farsi tutto a tutti (cfr 2 Cor 12, 2-4; 1 Cor 9, 22). Inoltre indica l’esempio di Mosè che sempre di nuovo entra nella tenda sacra restando in dialogo con Dio per poter così, a partire da Dio, essere a disposizione del suo popolo. «Dentro [la tenda] rapito in alto mediante la contemplazione, si lascia fuori [della tenda] incalzare dal peso dei sofferenti: intus in contemplationem rapitur, foris infirmantium negotiis urgetur»5.

8. Abbiamo così trovato una prima risposta, ancora piuttosto generica, alla due domande suesposte: in fondo l’«amore» è un’unica realtà, seppur con diverse dimensioni; di volta in volta, l’una o l’altra dimensione può emergere maggiormente. Dove però le due dimensioni si distaccano completamente l’una dall’altra, si profila una caricatura o in ogni caso una forma riduttiva dell’amore. E abbiamo anche visto sinteticamente che la fede biblica non costruisce un mondo parallelo o un mondo contrapposto rispetto a quell’originario fenomeno umano che è l’amore, ma accetto tutto l’uomo intervenendo nella sua ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove dimensioni.

Questa novità della fede biblica si manifesta soprattutto in due punti, che meritano di essere sottolineati: l’immagine di Dio e l’immagine dell’uomo.

La novità della fede biblica

V

9. i è anzitutto la nuova immagine di Dio. Nelle culture che circondano il mondo della Bibbia, l’immagine di dio e degli dei rimane, alla fin fine, poco chiara e in sé contraddittoria. Nel cammino della fede biblica diventa invece sempre più chiaro ed univoco ciò che la preghiera fondamentale di Israele, lo Shema, ri-

speaks in this context of Saint Paul, who was borne aloft to the most exalted mysteries of God, and hence, having descended once more, he was able to become all things to all men (cf. 2 Cor 12:2-4; 1 Cor 9:22).

He also points to the example of Moses, who entered the tabernacle time and again, remaining in dialogue with God, so that when he emerged he could be at the service of his people. “Within [the tent] he is borne aloft through contemplation, while without he is completely engaged in helping those who suffer: intus in contemplationem rapitur, foris infirmantium negotiis urgetur5”.

8. We have thus come to an initial, albeit still somewhat generic response to the two questions raised earlier. Fundamentally, “love” is a single reality, but with different dimensions; at different times, one or other dimension may emerge more clearly. Yet when the two dimensions are totally cut off from one another, the result is a caricature or at least an impoverished form of love. And we have also seen, synthetically, that biblical faith does not set up a parallel universe, or one opposed to that primordial human phenomenon which is love, but rather accepts the whole man; it intervenes in his search for love in order to purify it and to reveal new dimensions of it.

This newness of biblical faith is shown chiefly in two elements which deserve to be highlighted: the image of God and the image of man.

The newness of biblical faith

F

9. irst, the world of the Bible presents us with a new image of God. In surrounding cultures, the image of God and of the gods ultimately remained unclear and contradictory. In the development of biblical faith, however, the content of the prayer fundamental to Israel, the Shema, became increasingly

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assume nelle parole: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo» (Dt 6, 4). Esiste un solo Dio, che è il Creatore del cielo e della terra e perciò è anche il Dio di tutti gli uomini. Due fatti in questa precisazione sono singolari: che veramente tutti gli altri dei non sono Dio e che tutta la realtà nella quale viviamo risale a Dio, è creata da Lui. Certamente, l’idea di una creazione esiste anche altrove, ma solo qui risulta assolutamente chiaro che non un dio qualsiasi, ma l’unico vero Dio, Egli stesso, è l’autore dell’intera realtà; essa proviene dalla potenza della sua Parola creatrice. Ciò significa che questa sua creatura gli è cara, perché appunto da Lui stesso è stata voluta, da Lui «fatta». E così appare ora il secondo elemento importante: questo Dio ama l’uomo. La potenza divina che Aristotele, al culmine della filosofia greca, cercò di cogliere mediante la riflessione, è sì per ogni essere oggetto del desiderio e dell’amore – come realtà amata questa divinità muove il mondo6 –, ma essa stessa non ha bisogno di niente e non ama, soltanto viene amata. L’unico Dio in cui Israele crede, invece, ama personalmente. Il suo amore, inoltre, è un amore elettivo: tra tutti i popoli Egli sceglie Israele e lo ama – con lo scopo però di guarire, proprio in tal modo, l’intera umanità. Egli ama, e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape7.

Soprattutto i profeti Osea ed Ezechiele hanno descritto questa passione di Dio per il suo popolo con ardite immagini erotiche. Il rapporto di Dio con Israele viene illustrato mediante le metafore del fidanzamento e del matrimonio; di conseguenza, l’idolatria è adulterio e prostituzione. Con ciò si accenna concretamente – come abbiamo visto – ai culti della fertilità con il loro abuso dell’eros, ma al contempo viene anche descritto il rapporto di fedeltà tra Israele e il suo Dio. La storia d’amore di Dio con Israele consiste, in profondità, nel fatto che Egli dona la Torah, apre cioè gli occhi a Israele sulla vera natura dell’uomo e gli indica la strada del vero umanesimo. Tale storia consiste nel fatto che l’uomo, vivendo nella fedeltà all’unico dio, sperimenta se stesso come colui che è amato da Dio e scopre la gioia nella verità, nella giustizia – la gioia in Dio che diventa la sua essenziale felicità: «Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra … il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 73 [72], 25. 28).

10. L’eros di Dio per l’uomo – come abbiamo detto – è insieme totalmente agape. Non soltanto perché

clear and unequivocal: “Hear, O Israel, the Lord our God is one Lord” (Dt 6:4). There is only one God, the Creator of heaven and earth, who is thus the God of all. Two facts are significant about this statement: all other gods are not God, and the universe in which we live has its source in God and was created by him.

Certainly, the notion of creation is found elsewhere, yet only here does it become absolutely clear that it is not one god among many, but the one true God himself who is the source of all that exists; the whole world comes into existence by the power of his creative Word. Consequently, his creation is dear to him, for it was willed by him and “made” by him. The second important element now emerges: this God loves man. The divine power that Aristotle at the height of Greek philosophy sought to grasp through reflection, is indeed for every being an object of desire and of love – and as the object of love this divinity moves the world6 – but in itself it lacks nothing and does not love: it is solely the object of love. The one God in whom Israel believes, on the other hand, loves with a personal love. His love, moreover, is an elective love: among all the nations he chooses Israel and loves her – but he does so precisely with a view to healing the whole human race. God loves, and his love may certainly be called eros, yet it is also totally agape7.

The Prophets, particularly Hosea and Ezekiel, described God’s passion for his people using boldly erotic images. God’s relationship with Israel is described using the metaphors of betrothal and marriage; idolatry is thus adultery and prostitution. Here we find a specific reference – as we have seen – to the fertility cults and their abuse of eros, but also a description of the relationship of fidelity between Israel and her God. The history of the love-relationship between God and Israel consists, at the deepest level, in the fact that he gives her the Torah, thereby opening Israel’s eyes to man’s true nature and showing her the path leading to true humanism. It consists in the fact that man, through a life of fidelity to the one God, comes to experience himself as loved by God, and discovers joy in truth and in righteousness – a joy in God which becomes his essential happiness: “Whom do I have in heaven but you? And there is nothing upon earth that I desire besides you ... for me it is good to be near God” (Ps 73 [72]:25, 28).

10. We have seen that God’s eros for man is also to-

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viene donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona. Soprattutto Osea ci mostra la dimensione dell’agape nell’amore di Dio per l’uomo, che supera di gran lunga l’aspetto della gratuità. Israele ha commesso «adulterio», ha rotto l’alleanza; Dio dovrebbe giudicarlo e ripudiarlo. Proprio qui si rivela però che Dio è Dio e non uomo: «Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele?... il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te» (Os 11, 8-9). L’amore appassionato di Dio per il suo popolo – per l’uomo – è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore.

L’aspetto filosofico e storico-religioso da rilevare in questa visione della Bibbia sta nel fatto che, da una parte, ci troviamo di fronte ad un’immagine strettamente metafisica di Dio: Dio è in assoluto la sorgente originaria di ogni essere; ma questo principio creativo di tutte le cose – il Logos, la ragione primordiale – è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape. Da ciò possiamo comprendere che la ricezione del Cantico dei Cantici nel canone della Sacra Scrittura sia stata spiegata ben presto nel senso che quei canti d’amore descrivono, in fondo, il rapporto di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. In questo modo il Cantico dei Cantici è diventato, nella letteratura cristiana come in quella giudaica, una sorgente di conoscenza e di esperienza mistica, in cui si esprime l’essenza della fede biblica: sì, esiste una unificazione dell’uomo con Dio – il sogno originario dell’uomo –, ma questa unificazione non è un fondersi insieme, un affondare nell’oceano anonimo del Divino; è unità che crea amore, in cui entrambi – Dio e l’uomo – restano se stessi e tuttavia diventano pienamente una cosa sola: «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito», dice san Paolo (1 Cor 6, 17).

tally agape. This is not only because it is bestowed in a completely gratuitous manner, without any previous merit, but also because it is love which forgives.

Hosea above all shows us that this agape dimension of God’s love for man goes far beyond the aspect of gratuity.

Israel has committed “adultery” and has broken the covenant; God should judge and repudiate her. It is precisely at this point that God is revealed to be God and not man: “How can I give you up, O Ephraim!

How can I hand you over, O Israel! ... My heart recoils within me, my compassion grows warm and tender. I will not execute my fierce anger, I will not again destroy Ephraim; for I am God and not man, the Holy One in your midst” (Hos 11:8-9). God’s passionate love for his people – for humanity – is at the same time a forgiving love.

It is so great that it turns God against himself, his love against his justice. Here Christians can see a dim prefigurement of the mystery of the Cross: so great is God’s love for man that by becoming man he follows him even into death, and so reconciles justice and love.

The philosophical dimension to be noted in this biblical vision, and its importance from the standpoint of the history of religions, lies in the fact that on the one hand we find ourselves before a strictly metaphysical image of God: God is the absolute and ultimate source of all being; but this universal principle of creation – the Logos, primordial reason – is at the same time a lover with all the passion of a true love.

Eros is thus supremely ennobled, yet at the same time it is so purified as to become one with agape. We can thus see how the reception of the Song of Songs in the canon of sacred Scripture was soon explained by the idea that these love songs ultimately describe God’s relation to man and man’s relation to God. Thus the Song of Songs became, both in Christian and Jewish literature, a source of mystical knowledge and experience, an expression of the essence of biblical faith: that man can indeed enter into union with God – his primordial aspiration. But this union is no mere fusion, a sinking in the nameless ocean of the Divine; it is a unity which creates love, a unity in which both God and man remain themselves and yet become fully one.

As Saint Paul says: “He who is united to the Lord becomes one spirit with him” (1 Cor 6:17).

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11. La prima novità della fede biblica consiste, come abbiamo visto, nell’immagine di Dio; la seconda, con essa essenzialmente connessa, la troviamo nell’immagine dell’uomo. Il racconto biblico della creazione parla della solitudine del primo uomo, Adamo, al quale Dio vuole affiancare un aiuto. Fra tutte le creature, nessuna può essere per l’uomo quell’aiuto di cui ha bisogno, sebbene a tutte le bestie selvatiche e a tutti gli uccelli egli abbia dato un nome, integrandoli così nel contesto della sua vita.

Allora, da una costola dell’uomo, Dio plasma la donna. Ora Adamo trova l’aiuto di cui ha bisogno: «Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa» (Gn 2, 23). È possibile vedere sullo sfondo di questo racconto concezioni quali appaiono, per esempio, anche nel mito riferito da Platone, secondo cui l’uomo originariamente era sferico, perché completo in se stesso ed autosufficiente.

Ma, come punizione per la sua superbia, venne da Zeus dimezzato, così che ora sempre anela all’altra sua metà ed è in cammino verso di essa per ritrovare la sua interezza8. Nel racconto biblico non si parla di punizione; l’idea però che l’uomo sia in qualche modo incompleto, costituzionalmente in cammino per trovare nell’altro la parte integrante per la sua interezza, l’idea cioè che egli solo nella comunione con l’altro sesso possa diventare «completo», è senz’altro presente. E così il racconto biblico si conclude con una profezia su Adamo: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gn 2, 24). Due sono qui gli aspetti importanti: l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo; Adamo è in ricerca e «abbandona suo padre e sua madre» per trovare la donna; solo nel loro insieme rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano «una sola carne».

Non meno importante è il secondo aspetto: in un orientamento fondato nella creazione, l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività; così, e solo così, si realizza la sua intima destinazione. All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano. Questo stretto nesso tra eros e matrimonio nella Bibbia quasi non trova paralleli nella letteratura al di fuori di essa.

11. The first novelty of biblical faith consists, as we have seen, in its image of God. The second, essentially connected to this, is found in the image of man.

The biblical account of creation speaks of the solitude of Adam, the first man, and God’s decision to give him a helper. Of all other creatures, not one is capable of being the helper that man needs, even though he has assigned a name to all the wild beasts and birds and thus made them fully a part of his life.

So God forms woman from the rib of man. Now Adam finds the helper that he needed: “This at last is bone of my bones and flesh of my flesh” (Gen 2:23). Here one might detect hints of ideas that are also found, for example, in the myth mentioned by Plato, according to which man was originally spherical, because he was complete in himself and self-sufficient. But as a punishment for pride, he was split in two by Zeus, so that now he longs for his other half, striving with all his being to possess it and thus regain his integrity8. While the biblical narrative does not speak of punishment, the idea is certainly present that man is somehow incomplete, driven by nature to seek in another the part that can make him whole, the idea that only in communion with the opposite sex can he become “complete”. The biblical account thus concludes with a prophecy about Adam: “Therefore a man leaves his father and his mother and cleaves to his wife and they become one flesh” (Gen 2:24).

Two aspects of this are important. First, eros is somehow rooted in man’s very nature; Adam is a seeker, who “abandons his mother and father” in order to find woman; only together do the two represent complete humanity and become “one flesh”. The second aspect is equally important. From the standpoint of creation, eros directs man towards marriage, to a bond which is unique and definitive; thus, and only thus, does it fulfil its deepest purpose. Corresponding to the image of a monotheistic God is monogamous marriage. Marriage based on exclusive and definitive love becomes the icon of the relationship between God and his people and vice versa. God’s way of loving becomes the measure of human love. This close connection between eros and marriage in the Bible has practically no equivalent in extra-biblical literature.

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Gesù Cristo – l’amore incarnato di Dio

A

Jesus Christ – the incarnate love of God

T

12. nche se finora abbiamo parlato prevalentemente dell’Antico Testamento, tuttavia l’intima compenetrazione dei due Testamenti come unica Scrittura della fede cristiana si è già resa visibile. La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la «pecorella smarrita», l’umanità sofferente e perduta. Quando Gesù nelle sue parabole parla del pastore che va dietro alla pecorella smarrita, della donna che cerca la dracma, del padre che va incontro al figliol prodigo e lo abbraccia, queste non sono soltanto parole, ma costituiscono la spiegazione del suo stesso essere ed operare. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata.

E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore.

A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.

12. hough up to now we have been speaking mainly of the Old Testament, nevertheless the profound compenetration of the two Testaments as the one Scripture of the Christian faith has already become evident. The real novelty of the New Testament lies not so much in new ideas as in the figure of Christ himself, who gives flesh and blood to those concepts – an unprecedented realism. In the Old Testament, the novelty of the Bible did not consist merely in abstract notions but in God’s unpredictable and in some sense unprecedented activity. This divine activity now takes on dramatic form when, in Jesus Christ, it is God himself who goes in search of the “stray sheep”, a suffering and lost humanity. When Jesus speaks in his parables of the shepherd who goes after the lost sheep, of the woman who looks for the lost coin, of the father who goes to meet and embrace his prodigal son, these are no mere words: they constitute an explanation of his very being and activity. His death on the Cross is the culmination of that turning of God against himself in which he gives himself in order to raise man up and save him. This is love in its most radical form. By contemplating the pierced side of Christ (cf. 19:37), we can understand the startingpoint of this Encyclical Letter: “God is love” (1 Jn 4:8). It is there that this truth can be contemplated. It is from there that our definition of love must begin. In this contemplation the Christian discovers the path along which his life and love must move.

13. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia, durante l’Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell’ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive – fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento – come amore.

L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora,

13. Jesus gave this act of oblation an enduring presence through his institution of the Eucharist at the Last Supper. He anticipated his death and resurrection by giving his disciples, in the bread and wine, his very self, his body and blood as the new manna (cf. Jn 6:31-33). The ancient world had dimly perceived that man’s real food – what truly nourishes him as man – is ultimately the Logos, eternal wisdom: this same Logos now truly becomes food for us – as love. The Eucharist draws us into Jesus’ act of self-oblation.

More than just statically receiving the incarnate Logos, we enter into the very dynamic of his self-giving. The imagery of marriage between God and Israel is now realized in a way previously inconceivable: it had meant standing in God’s presence, but now it becomes union with God through sharing in Jesus’

152 C a r i t à P o l i t i c a

attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La «mistica» del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare.

self-gift, sharing in his body and blood.

The sacramental “mysticism”, grounded in God’s condescension towards us, operates at a radically different level and lifts us to far greater heights than anything that any human mystical elevation could ever accomplish.

14. Ora però c’è da far attenzione ad un altro aspetto: la «mistica» del Sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane», dice san Paolo (1 Cor 10, 17). L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo «un solo corpo», fusi insieme in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore. Il passaggio che Egli fa fare dalla Legge e dai Profeti al duplice comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo, la derivazione di tutta l’esistenza di fede dalla centralità di questo precetto, non è semplice morale che poi possa sussistere autonomamente accanto alla fede in Cristo e alla sua riattualizzazione nel Sacramento: fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un’unica realtà che si configura nell’incontro con l’agape di Dio. La consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel «culto» stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri.

Un’Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente – come dovremo ancora considerare in modo più dettagliato – il «comandamento» dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere «comandato» perché prima è donato.

14. Here we need to consider yet another aspect: this sacramental “mysticism” is social in character, for in sacramental communion I become one with the Lord, like all the other communicants. As Saint Paul says, “Because there is one bread, we who are many are one body, for we all partake of the one bread” (1 Cor 10:17). Union with Christ is also union with all those to whom he gives himself. I cannot possess Christ just for myself; I can belong to him only in union with all those who have become, or who will become, his own. Communion draws me out of myself towards him, and thus also towards unity with all Christians. We become “one body”, completely joined in a single existence. Love of God and love of neighbour are now truly united: God incarnate draws us all to himself. We can thus understand how agape also became a term for the Eucharist: there God’s own agape comes to us bodily, in order to continue his work in us and through us. Only by keeping in mind this Christological and sacramental basis can we correctly understand Jesus’ teaching on love. The transition which he makes from the Law and the Prophets to the twofold commandment of love of God and of neighbour, and his grounding the whole life of faith on this central precept, is not simply a matter of morality – something that could exist apart from and alongside faith in Christ and its sacramental re-actualization. Faith, worship and ethos are interwoven as a single reality which takes shape in our encounter with God’s agape. Here the usual contraposition between worship and ethics simply falls apart. “Worship” itself, Eucharistic communion, includes the reality both of being loved and of loving others in turn. A Eucharist which does not pass over into the concrete practice of love is intrinsically fragmented. Conversely, as we shall have to consider in greater detail below, the “commandment” of love is only possible because it is more than a requirement. Love can be “commanded” because it has first been given.

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15. È a partire da questo principio che devono essere comprese anche le grandi parabole di Gesù. Il ricco epulone (cfr Lc 16, 19-31) implora dal luogo della dannazione che i suoi fratelli vengano informati su ciò che succede a colui che ha disinvoltamente ignorato il povero in necessità. Gesù raccoglie per così dire tale grido di aiuto e se ne fa eco per metterci in guardia, per riportarci sulla retta via. La parabola del buon Samaritano (cfr Lc 10, 25-37) conduce soprattutto a due importanti chiarificazioni. Mentre il concetto di «prossimo» era riferito, fino ad allora, essenzialmente ai connazionali e agli stranieri che si erano stanziati nella terra d’Israele e quindi alla comunità solidale di un paese e di un popolo, adesso questo limite viene abolito. Chiunque ha bisogno di me e io posso aiutarlo, è il mio prossimo. Il concetto di prossimo viene universalizzato e rimane tuttavia concreto. Nonostante la sua estensione a tutti gli uomini, non si riduce all’espressione di un amore generico ed astratto, in se stesso poco impegnativo, ma richiede il mio impegno pratico qui ed ora. Rimane compito della Chiesa interpretare sempre di nuovo questo collegamento tra lontananza e vicinanza in vista della vita pratica dei suoi membri. Infine, occorre qui rammentare, in modo particolare, la grande parabola del Giudizio finale (cfr Mt 25, 31-46), in cui l’amore diviene il criterio per la decisione definitiva sul valore o il disvalore di una vita umana. Gesù si identifica con i bisognosi: affamati, assetati, forestieri, nudi, malati, carcerati. «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). Amore di Dio e amore del prossimo si fondono insieme: nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.

15. This principle is the starting-point for understanding the great parables of Jesus. The rich man (cf. Lk 16:19-31) begs from his place of torment that his brothers be informed about what happens to those who simply ignore the poor man in need. Jesus takes up this cry for help as a warning to help us return to the right path. The parable of the Good Samaritan (cf. Lk 10:25-37) offers two particularly important clarifications. Until that time, the concept of “neighbour” was understood as referring essentially to one’s countrymen and to foreigners who had settled in the land of Israel; in other words, to the closely-knit community of a single country or people. This limit is now abolished. Anyone who needs me, and whom I can help, is my neighbour.

The concept of “neighbour” is now universalized, yet it remains concrete. Despite being extended to all mankind, it is not reduced to a generic, abstract and undemanding expression of love, but calls for my own practical commitment here and now. The Church has the duty to interpret ever anew this relationship between near and far with regard to the actual daily life of her members. Lastly, we should especially mention the great parable of the Last Judgement (cf. Mt 25:31-46), in which love becomes the criterion for the definitive decision about a human life’s worth or lack thereof. Jesus identifies himself with those in need, with the hungry, the thirsty, the stranger, the naked, the sick and those in prison. “As you did it to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40). Love of God and love of neighbour have become one: in the least of the brethren we find Jesus himself, and in Jesus we find God.

Amore di Dio e amore del prossimo

Love of Good and love of neighbour

D

16. opo aver riflettuto sull’essenza dell’amore e sul suo significato nella fede biblica, rimane una duplice domanda circa il nostro atteggiamento: è veramente possibile amare Dio pur non vedendolo? E: l’amore si può comandare? Contro il duplice comandamento dell’amore esiste la duplice obiezione, che risuona in queste domande. Nessuno ha mai visto Dio – come potremmo amarlo? E inoltre: l’amore non si può comandare; è in definitiva un sentimento che può esserci o non esserci, ma che non può essere creato

H

16. aving reflected on the nature of love and its meaning in biblical faith, we are left with two questions concerning our own attitude: can we love God without seeing him? And can love be commanded?

Against the double commandment of love these questions raise a double objection. No one has ever seen God, so how could we love him? Moreover, love cannot be commanded; it is ultimately a feeling that is either there or not, nor can it be produced by the will.

Scripture seems to reinforce the first objection when

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dalla volontà. La Scrittura sembra avallare la prima obiezione quando afferma: «Se uno dicesse: “Io amo Dio” e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4, 20). Ma questo testo non esclude affatto l’amore di Dio come qualcosa di impossibile; al contrario, nell’intero contesto della Prima Lettera di Giovanni ora citata, tale amore viene richiesto esplicitamente. Viene sottolineato il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo. Entrambi si richiamano così strettamente che l’affermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna, se l’uomo si chiude al prossimo o addirittura lo odia. Il versetto giovanneo si deve interpretare piuttosto nel senso che l’amore per il prossimo è una strada per incontrare anche Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio.

it states: “If anyone says, ‘I love God’, and hates his brother, he is a liar; for he who does not love his brother whom he has seen, cannot love God whom he has not seen” (1 Jn 4:20). But this text hardly excludes the love of God as something impossible. On the contrary, the whole context of the passage quoted from the First Letter of John shows that such love is explicitly demanded.

The unbreakable bond between love of God and love of neighbour is emphasized. One is so closely connected to the other that to say that we love God becomes a lie if we are closed to our neighbour or hate him altogether.

Saint John’s words should rather be interpreted to mean that love of neighbour is a path that leads to the encounter with God, and that closing our eyes to our neighbour also blinds us to God.

17. In effetti, nessuno ha mai visto Dio così come Egli è in se stesso. E tuttavia Dio non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile. Dio ci ha amati per primo, dice la Lettera di Giovanni citata (cfr 4, 10) e questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli «ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui» (1 Gv 4, 9). Di si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre (cfr Gv 14,9). Di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci – fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro – attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano.

Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa

17. True, no one has ever seen God as he is. And yet God is not totally invisible to us; he does not remain completely inaccessible. God loved us first, says the Letter of John quoted above (cf. 4:10), and this love of God has appeared in our midst. He has become visible in as much as he “has sent his only Son into the world, so that we might live through him” (1 Jn 4:9). God has made himself visible: in Jesus we are able to see the Father (cf. Jn 14:9). Indeed, God is visible in a number of ways. In the love-story recounted by the Bible, he comes towards us, he seeks to win our hearts, all the way to the Last Supper, to the piercing of his heart on the Cross, to his appearances after the Resurrection and to the great deeds by which, through the activity of the Apostles, he guided the nascent Church along its path. Nor has the Lord been absent from subsequent Church history: he encounters us ever anew, in the men and women who reflect his presence, in his word, in the sacraments, and especially in the Eucharist. In the Church’s Liturgy, in her prayer, in the living community of believers, we experience the love of God, we perceive his presence and we thus learn to recognize that presence in our daily lives. He has loved us first and he continues to do so; we too, then, can respond with love. God does not demand of us a feeling which we ourselves are incapable of producing. He loves us, he makes us see and experience his love, and since he has “loved us first”, love can also blossom as a response within us.

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vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi.

Nello sviluppo di questo incontro si rivela con chiarezza che l’amore non è soltanto un sentimento. I sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore. Abbiamo all’inizio parlato del processo delle purificazioni e delle maturazioni, attraverso le quali l’eros diventa pienamente se stesso, diventa amore nel pieno significato della parola. È proprio della maturità dell’amore coinvolgere tutte le potenzialità dell’uomo ed includere, per così dire, l’uomo nella sua interezza. L’incontro con le manifestazioni visibili dell’amore di Dio può suscitare in noi il sentimento della gioia, che nasce dall’esperienza dell’essere amati. Ma tale incontro chiama in causa anche la nostra volontà e il nostro intelletto. Il riconoscimento del Dio vivente è una via verso l’amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimento nell’atto totalizzante dell’amore. Questo però è un processo che rimane continuamente in cammino: l’amore non è mai «concluso» e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso. Idem velle atque idem nolle 9 – volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare.

La storia d’amore tra Dio e l’uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall’esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all’esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso10. Allora cresce l’abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73 [72], 23-28).

18. Si rivela così possibile l’amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco.

Questo può realizzarsi solo a partire dall’intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest’altra persona non più soltanto

In the gradual unfolding of this encounter, it is clearly revealed that love is not merely a sentiment. Sentiments come and go.

A sentiment can be a marvellous first spark, but it is not the fullness of love. Earlier we spoke of the process of purification and maturation by which eros comes fully into its own, becomes love in the full meaning of the word. It is characteristic of mature love that it calls into play all man’s potentialities; it engages the whole man, so to speak. Contact with the visible manifestations of God’s love can awaken within us a feeling of joy born of the experience of being loved. But this encounter also engages our will and our intellect. Acknowledgment of the living God is one path towards love, and the “yes” of our will to his will unites our intellect, will and sentiments in the all- embracing act of love. But this process is always open-ended; love is never “finished” and complete; throughout life, it changes and matures, and thus remains faithful to itself.

Idem velle atque idem nolle 9 – to want the same thing, and to reject the same thing – was recognized by antiquity as the authentic content of love: the one becomes similar to the other, and this leads to a community of will and thought. The love-story between God and man consists in the very fact that this communion of will increases in a communion of thought and sentiment, and thus our will and God’s will increasingly coincide: God’s will is no longer for me an alien will, something imposed on me from without by the commandments, but it is now my own will, based on the realization that God is in fact more deeply present to me than I am to myself 10. Then selfabandonment to God increases and God becomes our joy (cf. Ps 73 [72]:23-28).

18. Love of neighbour is thus shown to be possible in the way proclaimed by the Bible, by Jesus. It consists in the very fact that, in God and with God, I love even the person whom I do not like or even know. This can only take place on the basis of an intimate encounter with God, an encounter which has become a communion of will, even affecting my feelings. Then I learn to look on this other person not simply with my eyes and my feelings, but from the perspective of Jesus Christ. His friend is my friend. Going beyond exterior appearances, I perceive in others an interior desire for a sign of love, of concern. This I can offer

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con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico.

Al di là dell’apparenza esteriore dell’altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione, che io non faccio arrivare a lui soltanto attraverso le organizzazioni a ciò deputate, accettandolo magari come necessità politica. Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all’altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno. Qui si mostra l’interazione necessaria tra amore di Dio e amore del prossimo, di cui la Prima Lettera di Giovanni parla con tanta insistenza.

Se il contatto con Dio manca del tutto nella mia vita, posso vedere nell’altro sempre soltanto l’altro e non riesco a riconoscere in lui l’immagine divina. Se però nella mia vita tralascio completamente l’attenzione per l’altro, volendo essere solamente «pio» e compiere i miei «doveri religiosi», allora s’inaridisce anche il rapporto con Dio. Allora questo rapporto è soltanto «corretto», ma senza amore. Solo la mia disponibilità ad andare incontro al prossimo, a mostrargli amore, mi rende sensibile anche di fronte a Dio. Solo il servizio al prossimo apre i miei occhi su quello che Dio fa per me e su come Egli mi ama. I santi – pensiamo ad esempio alla beata Teresa di Calcutta – hanno attinto la loro capacità di amare il prossimo, in modo sempre nuovo, dal loro incontro col Signore eucaristico e, reciprocamente questo incontro ha acquisito il suo realismo e la sua profondità proprio nel loro servizio agli altri. Amore di Dio e amore del prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. Entrambi però vivono dell’amore, proveniente da Dio, che ci ha amati per primo. Così non si tratta più di un «comandamento» dall’esterno che ci impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dall’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormente partecipato ad altri. L’amore cresce attraverso l’amore. L’amore è «divino» perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo processo unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia «tutto in tutti» (1 Cor 15, 28).

them not only through the organizations intended for such purposes, accepting it perhaps as a political necessity. Seeing with the eyes of Christ, I can give to others much more than their outward necessities; I can give them the look of love which they crave. Here we see the necessary interplay between love of God and love of neighbour which the First Letter of John speaks of with such insistence. If I have no contact whatsoever with God in my life, then I cannot see in the other anything more than the other, and I am incapable of seeing in him the image of God. But if in my life I fail completely to heed others, solely out of a desire to be “devout” and to perform my “religious duties”, then my relationship with God will also grow arid. It becomes merely “proper”, but loveless. Only my readiness to encounter my neighbour and to show him love makes me sensitive to God as well. Only if I serve my neighbour can my eyes be opened to what God does for me and how much he loves me. The saints – consider the example of Blessed Teresa of Calcutta – constantly renewed their capacity for love of neighbour from their encounter with the Eucharistic Lord, and conversely this encounter acquired its realism and depth in their service to others. Love of God and love of neighbour are thus inseparable, they form a single commandment. But both live from the love of God who has loved us first. No longer is it a question, then, of a “commandment” imposed from without and calling for the impossible, but rather of a freely-bestowed experience of love from within, a love which by its very nature must then be shared with others. Love grows through love. Love is “divine” because it comes from God and unites us to God; through this unifying process it makes us a “we” which transcends our divisions and makes us one, until in the end God is “all in all” (1 Cor 15:28).

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Caritas – L’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale «comunità d’amore» Caritas – The practice of love by the Church as a “community of love” La carità della Chiesa come manifestazione dell’amore trinitario

«S

The Church’s charitable activity as a manifestation of Trinitarian love

“I

19. e vedi la carità, vedi la Trinità» scriveva sant’Agostino11. Nelle riflessioni che precedono, abbiamo potuto fissare il nostro sguardo sul Trafitto (cfr Gv 19, 37; Zc 12, 10), riconoscendo il disegno del Padre che, mosso dall’amore (cfr Gv 3, 16), ha inviato il Figlio unigenito nel mondo per redimere l’uomo. Morendo sulla croce, Gesù – come riferisce l’evangelista – «emise lo spirito» (cfr Gv 19, 30), preludio di quel dono dello Spirito Santo che Egli avrebbe realizzato dopo la risurrezione (cfr Gv 20, 22). Si sarebbe attuata così la promessa dei «fiumi di acqua viva» che, grazie all’effusione dello Spirito, sarebbero sgorgati dal cuore dei credenti (cfr Gv 7, 38-39). Lo Spirito, infatti, è quella potenza interiore che armonizza il loro cuore col cuore di Cristo e li muove ad amare i fratelli come li ha amati Lui, quando si è curvato a lavare i piedi dei discepoli (cfr Gv 13, 1-13) e soprattutto quando ha donato la sua vita per tutti (cfr Gv 13, 1; 15, 13).

Lo spirito è anche forza che trasforma il cuore della Comunità ecclesiale, affinché sia nel mondo testimone dell’amore del Padre, che vuole fare dell’umanità, nel suo Figlio, un’unica famiglia. Tutta l’attività della Chiesa è espressione di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo: cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i Sacramenti, impresa tante volte eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei vari ambiti della vita e dell’attività umana. Amore è pertanto il servizio che la Chiesa svolge per venire costantemente incontro alle sofferenze e ai bisogni, anche materiali, degli uomini. È su questo aspetto, su questo servizio della carità, che desidero soffermarmi in questa seconda parte dell’Enciclica.

f you see charity, you see the Trinity”, wrote 19.

Saint Augustine11. In the foregoing reflections, we have been able to focus our attention on the Pierced one (cf. Jn 19:37, Zech 12:10), recognizing the plan of the Father who, moved by love (cf. Jn 3:16), sent his only-begotten Son into the world to redeem man.

By dying on the Cross – as Saint John tells us – Jesus “gave up his Spirit” (Jn 19:30), anticipating the gift of the Holy Spirit that he would make after his Resurrection (cf. Jn 20:22). This was to fulfil the promise of “rivers of living water” that would flow out of the hearts of believers, through the outpouring of the Spirit (cf. Jn 7:38-39). The Spirit, in fact, is that interior power which harmonizes their hearts with Christ’s heart and moves them to love their brethren as Christ loved them, when he bent down to wash the feet of the disciples (cf. Jn 13:1-13) and above all when he gave his life for us (cf. Jn 13:1, 15:13).

The Spirit is also the energy which transforms the heart of the ecclesial community, so that it becomes a witness before the world to the love of the Father, who wishes to make humanity a single family in his Son. The entire activity of the Church is an expression of a love that seeks the integral good of man: it seeks his evangelization through Word and Sacrament, an undertaking that is often heroic in the way it is acted out in history; and it seeks to promote man in the various arenas of life and human activity. Love is therefore the service that the Church carries out in order to attend constantly to man’s sufferings and his needs, including material needs. And this is the aspect, this service of charity, on which I want to focus in the second part of the Encyclical.

La carità come compito della Chiesa

Charity as a responsibility of the Church

L’

20. amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele,

L

20. ove of neighbour, grounded in the love of God, is first and foremost a responsibility for each in-

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ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi libelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità. Anche la Chiesa in quanto comunità deve praticare l’amore. Conseguenza di ciò è che l’amore ha bisogno anche di organizzazione quale presupposto per un servizio comunitario ordinato. La coscienza di tale compito ha avuto rilevanza costitutiva nella Chiesa fin dai suoi inizi: «Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2, 44-45). Luca ci racconta questo in connessione con una sorta di definizione della Chiesa, tra i cui elementi costitutivi egli annoverava l’adesione all’«insegnamento degli Apostoli», alla «comunione» (koinonia), alla «frazione del pane» e alla «preghiera» (cfr At 2, 42). L’elemento della «comunione» (koinonia), qui inizialmente non specificato, viene concretizzato nei versetti sopra citati: essa consiste appunto nel fatto che i credenti hanno tutto in comune e che, in mezzo a loro, la differenza tra ricchi e poveri no sussiste più (cfr anche At 4, 32-37). Con il crescere della Chiesa, questa forma radicale di comunione materiale non ha potuto, per la verità, essere mantenuta. Il nucleo essenziale è però rimasto: all0nterno della comunità dei credenti non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa.

21. Un passo decisivo nella difficile ricerca di soluzioni per realizzare questo fondamentale principio ecclesiale diventa visibile in quella scelta di sette uomini che fu l’inizio dell’ufficio diagonale (cfr At 6, 56). Nella Chiesa delle origini, infatti, si era creata, nella distribuzione quotidiana alle vedove, una disparità tra la parte di lingua ebraica e quella di lingua greca.

Gli Apostoli, ai quali erano affidati innanzitutto la «preghiera» (Eucaristia e Liturgia) e il «sevizio della Parole», si sentirono eccessivamente appesantiti dal «servizio delle mense»; decisero pertanto di riservare a sé il ministero principale e di creare per l’altro compito, pur necessario nella Chiesa, un consesso di sette persone. Anche questo gruppo però non doveva svolgere un servizio semplicemente tecnico di distribuzione: dovevano essere uomini «pieni di Spirito e saggezza» (cfr At 6, 1-6). Ciò significa che il servizio

dividual member of the faithful, but it is also a responsibility for the entire ecclesial community at every level: from the local community to the particular Church and to the Church universal in its entirety. As a community, the Church must practise love.

Love thus needs to be organized if it is to be an ordered service to the community. The awareness of this responsibility has had a constitutive relevance in the Church from the beginning: “All who believed were together and had all things in common; and they sold their possessions and goods and distributed them to all, as any had need” (Acts 2:44-5). In these words, Saint Luke provides a kind of definition of the Church, whose constitutive elements include fidelity to the “teaching of the Apostles”, “communion” (koinonia), “the breaking of the bread” and “prayer” (cf. Acts 2:42). The element of “communion” (koinonia) is not initially defined, but appears concretely in the verses quoted above: it consists in the fact that believers hold all things in common and that among them, there is no longer any distinction between rich and poor (cf. also Acts 4:32-37). As the Church grew, this radical form of material communion could not in fact be preserved. But its essential core remained: within the community of believers there can never be room for a poverty that denies anyone what is needed for a dignified life.

21. A decisive step in the difficult search for ways of putting this fundamental ecclesial principle into practice is illustrated in the choice of the seven, which marked the origin of the diaconal office (cf.

Acts 6:5-6). In the early Church, in fact, with regard to the daily distribution to widows, a disparity had arisen between Hebrew speakers and Greek speakers. The Apostles, who had been entrusted primarily with “prayer” (the Eucharist and the liturgy) and the “ministry of the word”, felt over-burdened by “serving tables”, so they decided to reserve to themselves the principal duty and to designate for the other task, also necessary in the Church, a group of seven persons. Nor was this group to carry out a purely mechanical work of distribution: they were to be men “full of the Spirit and of wisdom” (cf. Acts 6:1-6). In other words, the social service which they were meant to provide was absolutely concrete, yet at the same time it was also a spiritual service; theirs was a truly spiritual office which carried out an essential

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sociale che dovevano effettuare era assolutamente concreto, ma al contempo era senz’altro anche un servizio spirituale; il loro perciò era un vero ufficio spirituale, che realizzava un compito essenziale della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo. Con la formazione di questo consesso dei Sette, la «diaconia» – il servizio dell’amore del prossimo esercitato com’unitariamente e in modo ordinato – era ormai instaurata nella struttura fondamentale della Chiesa stessa.

22. Con il passare degli anni e con il progressivo diffondersi della Chiesa, l’esercizio della carità si confermò come uno dei suoi ambiti essenziali, insieme con l’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola: praticare l’amore verso le vedove e gli orfani, verso i carcerati, i malati e i bisognosi di ogni genere appartiene alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e l’annuncio del Vangelo. La Chiesa non può trascurare il servizio della carità così come non può tralasciare i Sacramenti e la Parola.

Bastino alcuni riferimenti per dimostrarlo. Il martire Giustino († ca. 155) descrive, nel contesto della celebrazione domenicale dei cristiani, anche la loro attività caritativa, collegata con l’Eucaristia come tale. Gli abbienti fanno la loro offerta nella misura delle loro possibilità, ognuno quanto vuole; il Vescovo se ne serve poi per sostenere gli orfani, le vedove e coloro che a causa di malattia o per altri motivi si trovano in necessità, come anche i carcerati e forestieri12. Il grande scrittore cristiano Tertulliano († dopo il 220) racconta come la premura dei cristiani verso ogni genere di bisogno suscitasse la meraviglia dei pagani13. E quando Ignazio di Antiochia († ca. 117) qualifica la Chiesa di Roma come colei che «presiede nella carità (agape)»14, si può ritenere che egli, con questa definizione, intendesse esprimerne in qualche modo anche la concreta attività caritativa.

23. In questo contesto può risultare utile un riferimento alle primitive strutture giuridiche riguardanti il servizio alla carità nella Chiesa. Verso la metà del IV secolo prende forma in Egitto la cosiddetta «diaconia»; essa è nei singoli monasteri l’istituzione responsabile per il complesso delle attività assistenziali, per il servizio della carità appunto. Da questi inizi si sviluppa in Egitto fino al VI secolo una corporazione con piena capacità giuridica, a cui le autorità civili affidano addirittura una parte del grano per la

responsibility of the Church, namely a well-ordered love of neighbour. With the formation of this group of seven, “diaconia” – the ministry of charity exercised in a communitarian, orderly way – became part of the fundamental structure of the Church.

22. As the years went by and the Church spread further afield, the exercise of charity became established as one of her essential activities, along with the administration of the sacraments and the proclamation of the word: love for widows and orphans, prisoners, and the sick and needy of every kind, is as essential to her as the ministry of the sacraments and preaching of the Gospel. The Church cannot neglect the service of charity any more than she can neglect the Sacraments and the Word. A few references will suffice to demonstrate this. Justin Martyr († c. 155) in speaking of the Christians’ celebration of Sunday, also mentions their charitable activity, linked with the Eucharist as such. Those who are able make offerings in accordance with their means, each as he or she wishes; the Bishop in turn makes use of these to support orphans, widows, the sick and those who for other reasons find themselves in need, such as prisoners and foreigners12. The great Christian writer Tertullian († after 220) relates how the pagans were struck by the Christians’ concern for the needy of every sort13. And when Ignatius of Antioch († c. 117) described the Church of Rome as “presiding in charity (agape)”14, we may assume that with this definition he also intended in some sense to express her concrete charitable activity.

23. Here it might be helpful to allude to the earliest legal structures associated with the service of charity in the Church. Towards the middle of the fourth century we see the development in Egypt of the “diaconia”: the institution within each monastery responsible for all works of relief, that is to say, for the service of charity. By the sixth century this institution had evolved into a corporation with full juridical standing, which the civil authorities themselves entrusted with part of the grain for public distribution. In Egypt not only each monastery, but each individual Diocese eventually had its own diaconia; this institution then developed in both East and West.

Pope Gregory the Great († 604) mentions the diaconia of Naples, while in Rome the diaconiae are

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distribuzione pubblica. In Egitto non solo ogni monastero ma anche ogni diocesi finisce per avere la sua diaconia – una istituzione che si sviluppa poi sia in oriente sia in occidente. Papa Gregorio Magno († 604) riferisce della diaconia di Napoli. Per Roma le diaconie sono documentate a partire dal VII e VIII secolo; ma naturalmente già prima, e fin dagli inizi, l’attività assistenziale per i poveri e i sofferenti, secondo i principi della vita cristiana esposti negli Atti degli Apostoli, era parte essenziale nella Chiesa di Roma. Questo compito trova una sua vivace espressione nella figura del diacono Lorenzo († 258). La descrizione drammatica del suo martirio era nota già a sant’Ambrogio († 397) e ci mostra, nel suo nucleo, sicuramente l’autentica figura del Santo. A lui, quale responsabile della cura dei poveri di Roma, era stato concesso qualche tempo, dopo la cattura dei suoi confratelli e del Papa, per raccogliere i tesori della Chiesa e consegnarli alle autorità civili. Lorenzo distribuì il denaro disponibile ai poveri e li presentò poi alle autorità come il vero tesoro della Chiesa15. Comunque si valuti l’attendibilità storica di tali particolari, Lorenzo è rimasto presente nella memoria della Chiesa come grande esponente della carità ecclesiale.

24. Un accenno alla figura dell’imperatore Giuliano l’Apostata († 363) può mostrare ancora una volta quanto essenziale fosse per la Chiesa dei primi secoli la carità organizzata e praticata. Bambino di sei anni, Giuliano aveva assistito all’assassinio di suo padre, di suo fratello e di altri familiari da parte delle guardie del palazzo imperiale; egli addebitò questa brutalità – a torto o a ragione – all’imperatore Costanzo, che si spacciava per un grande cristiano. Con ciò la fede cristiana risultò per lui screditata una volta per tutte.

Divenuto imperatore, decise di restaurare il paganesimo, l’antica religione romana, ma al contempo di riformarlo, in modo che potesse diventare realmente la forza trainante dell’impero. In questa prospettiva si ispirò ampiamente al cristianesimo. Instaurò una gerarchia di metropoliti e sacerdoti. I sacerdoti dovevano curare l’amore per Dio e per il prossimo. In una delle sue lettere16 aveva scritto che l’unico aspetto del cristianesimo che lo colpiva era l’attività caritativa della Chiesa. Fu quindi un punto determinante, per il suo nuovo paganesimo, affiancare al sistema di carità della Chiesa un’attività equivalente della sua religione. I «Galilei» – così egli diceva – avevano conquistato in

documented from the seventh and eighth centuries.

But charitable activity on behalf of the poor and suffering was naturally an essential part of the Church of Rome from the very beginning, based on the principles of Christian life given in the Acts of the Apostles. It found a vivid expression in the case of the deacon Lawrence († 258). The dramatic description of Lawrence’s martyrdom was known to Saint Ambrose († 397) and it provides a fundamentally authentic picture of the saint. As the one responsible for the care of the poor in Rome, Lawrence had been given a period of time, after the capture of the Pope and of Lawrence’s fellow deacons, to collect the treasures of the Church and hand them over to the civil authorities. He distributed to the poor whatever funds were available and then presented to the authorities the poor themselves as the real treasure of the Church15. Whatever historical reliability one attributes to these details, Lawrence has always remained present in the Church’s memory as a great exponent of ecclesial charity.

24. A mention of the emperor Julian the Apostate († 363) can also show how essential the early Church considered the organized practice of charity. As a child of six years, Julian witnessed the assassination of his father, brother and other family members by the guards of the imperial palace; rightly or wrongly, he blamed this brutal act on the Emperor Constantius, who passed himself off as an outstanding Christian.

The Christian faith was thus definitively discredited in his eyes. Upon becoming emperor, Julian decided to restore paganism, the ancient Roman religion, while reforming it in the hope of making it the driving force behind the empire. In this project he was amply inspired by Christianity. He established a hierarchy of metropolitans and priests who were to foster love of God and neighbour. In one of his letters16, he wrote that the sole aspect of Christianity which had impressed him was the Church’s charitable activity. He thus considered it essential for his new pagan religion that, alongside the system of the Church’s charity, an equivalent activity of its own be established. According to him, this was the reason for the popularity of the “Galileans”. They needed now to be imitated and outdone. In this way, then, the Emperor confirmed that charity was a decisive feature of the Christian community, the Church.

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questo modo la loro popolarità. Li si doveva emulare ed anche superare. L’imperatore in questo modo confermava dunque che la carità era una caratteristica decisiva della comunità cristiana, della Chiesa.

25. Giunti a questo punto, raccogliamo dalle nostre riflessioni due dati essenziali: a) L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro. La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza17. b) La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo.

In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Al contempo però la caritas-agape travalica le frontiere della Chiesa; la parabola del buon Samaritano rimane come criterio di misura, impone l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato «per caso» (cfr Lc 10, 31), chiunque egli sia. Ferma restando questa universalità del comandamento dell’amore, vi è però anche un’esigenza specificamente ecclesiale – quella appunto che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessun membro soffra perché nel bisogno. In questo senso vale la parola della Lettera ai Galati: «Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede» (6, 10).

Giustizia e carità

F

26. in dall’Ottocento contro l’attività caritativa della Chiesa è stata sollevata un’obiezione, sviluppata poi con insistenza soprattutto dal pensiero marxista. I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia. Le opere di carità – le elemosine – in realtà sarebbero, per i ricchi, un modo di sottrarsi all’instaurazione della giustizia e di acquietare la coscienza, conservando le proprie posizioni e frodando i poveri nei loro diritti. Invece di contribuire attraverso singole opere di carità al mantenimento delle condizioni esistenti, occorrerebbe creare un giusto ordine, nel quale tutti ricevano la

25. Thus far, two essential facts have emerged from our reflections: a) The Church’s deepest nature is expressed in her three-fold responsibility: of proclaiming the word of God (kerygma-martyria), celebrating the sacraments (leitourgia), and exercising the ministry of charity (diakonia). These duties presuppose each other and are inseparable. For the Church, charity is not a kind of welfare activity which could equally well be left to others, but is a part of her nature, an indispensable expression of her very being17. b) The Church is God’s family in the world.

In this family no one ought to go without the necessities of life. Yet at the same time caritas- agape extends beyond the frontiers of the Church. The parable of the Good Samaritan remains as a standard which imposes universal love towards the needy whom we encounter “by chance” (cf. Lk 10:31), whoever they may be. Without in any way detracting from this commandment of universal love, the Church also has a specific responsibility: within the ecclesial family no member should suffer through being in need. The teaching of the Letter to the Galatians is emphatic: “So then, as we have opportunity, let us do good to all, and especially to those who are of the household of faith” (6:10).

Justice and Charity

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26. ince the nineteenth century, an objection has been raised to the Church’s charitable activity, subsequently developed with particular insistence by Marxism: the poor, it is claimed, do not need charity but justice. Works of charity – almsgiving – are in effect a way for the rich to shirk their obligation to work for justice and a means of soothing their consciences, while preserving their own status and robbing the poor of their rights. Instead of contributing through individual works of charity to maintaining the status quo, we need to build a just social order in which all receive their share of the world’s goods

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loro parte dei beni del mondo e quindi non abbiano più bisogno delle opere di carità. In questa argomentazione, bisogna riconoscerlo, c’è del vero, ma anche non poco di errato. È vero che norma fondamentale dello Stato deve essere il perseguimento della giustizia e che lo scopo di un giusto ordine sociale è di garantire a ciascuno, nel rispetto del principio di sussidiarietà, la sua parte dei beni comuni. È quanto la dottrina cristiana sullo Stato e la dottrina sociale della Chiesa hanno sempre sottolineato. La questione del giusto ordine della collettività, da un punto di vista storico, è entrata in una nuova situazione con la formazione della società industriale nell’Ottocento. Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva – una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi.

27. È doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo. Non mancarono pionieri: uno di questi fu, ad esempio, il Vescovo Ketteler di Magonza († 1877). Come risposta alle necessità concrete sorsero pure circoli, associazioni, unioni, federazioni e soprattutto nuove Congregazioni religiose, che nell’Ottocento scesero in campo contro la povertà, le malattie e le situazioni di carenza nel settore educativo. Nel 1891, entrò in scena il magistero pontificio con l’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII. Vi fece seguito, nel 1931, l’Enciclica di Pio XI Quadragesimo anno. Il beato Papa Giovanni XXIII pubblicò, nel 1961, l’Enciclica Mater et Magistra, mentre Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio (1967) e nella Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) affrontò con insistenza la problematica sociale, che nel frattempo si era acutizzata soprattutto in America Latina. Il mio grande Predecessore Giovanni Paolo II ci ha lasciato una trilogia di Encicliche sociali: Laborem exercens (1981), Sollicitudo rei socialis (1987) e infine Centesimus annus (1991). Così nel confronto con situazioni e problemi sempre nuovi è venuta

and no longer have to depend on charity. There is admittedly some truth to this argument, but also much that is mistaken. It is true that the pursuit of justice must be a fundamental norm of the State and that the aim of a just social order is to guarantee to each person, according to the principle of subsidiarity, his share of the community’s goods. This has always been emphasized by Christian teaching on the State and by the Church’s social doctrine. Historically, the issue of the just ordering of the collectivity had taken a new dimension with the industrialization of society in the nineteenth century. The rise of modern industry caused the old social structures to collapse, while the growth of a class of salaried workers provoked radical changes in the fabric of society. The relationship between capital and labour now became the decisive issue – an issue which in that form was previously unknown. Capital and the means of production were now the new source of power which, concentrated in the hands of a few, led to the suppression of the rights of the working classes, against which they had to rebel.

27. It must be admitted that the Church’s leadership was slow to realize that the issue of the just structuring of society needed to be approached in a new way.

There were some pioneers, such as Bishop Ketteler of Mainz († 1877), and concrete needs were met by a growing number of groups, associations, leagues, federations and, in particular, by the new religious orders founded in the nineteenth century to combat poverty, disease and the need for better education. In 1891, the papal magisterium intervened with the Encyclical Rerum Novarum of Leo XIII. This was followed in 1931 by Pius XI’s Encyclical Quadragesimo Anno. In 1961 Blessed John XXIII published the Encyclical Mater et Magistra, while Paul VI, in the Encyclical Populorum Progressio (1967) and in the Apostolic Letter Octogesima Adveniens (1971), insistently addressed the social problem, which had meanwhile become especially acute in Latin America. My great predecessor John Paul II left us a trilogy of social Encyclicals: Laborem Exercens (1981), Sollicitudo Rei Socialis (1987) and finally Centesimus Annus (1991). Faced with new situations and issues, Catholic social teaching thus gradually developed, and has now found a comprehensive presentation in the Compendium of the Social Doctrine

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sviluppandosi una dottrina sociale cattolica, che nel 2004 è stata presentata in modo organico nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontificio Consiglio Iustitia et Pax. Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione – si asseriva in tale dottrina – doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito.

Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi ben al di là dei confini di essa: questi orientamenti – di fronte al progredire dello sviluppo – devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo.

28. Per definire più accuratamente la relazione tra il necessario impegno per la giustizia e il servizio della carità, occorre prendere nota di due fondamentali situazioni di fatto: a) Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri, come disse una volta Agostino: «Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?18». Alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio (cfr Mt 22, 21), cioè la distinzione tra Stato e Chiesa o, come dice il Concilio Vaticano II, l’autonomia delle realtà temporali19. Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca.

La giustizia è lo scopo e quindi anche la misura intrinseca di ogni politica. La politica è più che una semplice tecnica per la definizione dei pubblici ordinamenti: la sua origine e il suo scopo si trovano appunto nella giustizia, e questa è di natura etica. Così lo Stato si trova di fatto inevitabilmente di fronte all’interrogativo: come realizzare la giustizia qui ed ora? Ma questa domanda presuppone l’altra più radi-

of the Church published in 2004 by the Pontifical Council Iustitia et Pax. Marxism had seen world revolution and its preliminaries as the panacea for the social problem: revolution and the subsequent collectivization of the means of production, so it was claimed, would immediately change things for the better. This illusion has vanished. In today’s complex situation, not least because of the growth of a globalized economy, the Church’s social doctrine has become a set of fundamental guidelines offering approaches that are valid even beyond the confines of the Church: in the face of ongoing development these guidelines need to be addressed in the context of dialogue with all those seriously concerned for humanity and for the world in which we live.

28. In order to define more accurately the relationship between the necessary commitment to justice and the ministry of charity, two fundamental situations need to be considered: a) The just ordering of society and the State is a central responsibility of politics. As Augustine once said, a State which is not governed according to justice would be just a bunch of thieves: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?18”.

Fundamental to Christianity is the distinction between what belongs to Caesar and what belongs to God (cf. Mt 22:21), in other words, the distinction between Church and State, or, as the Second Vatican Council puts it, the autonomy of the temporal sphere19. The State may not impose religion, yet it must guarantee religious freedom and harmony between the followers of different religions. For her part, the Church, as the social expression of Christian faith, has a proper independence and is structured on the basis of her faith as a community which the State must recognize. The two spheres are distinct, yet always interrelated.

Justice is both the aim and the intrinsic criterion of all politics. Politics is more than a mere mechanism for defining the rules of public life: its origin and its goal are found in justice, which by its very nature has to do with ethics. The State must inevitably face the question of how justice can be achieved here and now. But this presupposes an even more radical question: what is justice? The problem is one of practical reason; but if reason is to be exercised properly, it must undergo constant purification, since it can nev-

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cale: che cosa è la giustizia? Questo è un problema che riguarda la ragione pratica; ma per poter operare rettamente, la ragione deve sempre di nuovo essere purificata, perché il suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere che l’abbagliano, è un pericolo mai totalmente eliminabile.

In questo punto politica e fede si toccano. Senz’altro, la fede ha la sua specifica natura di incontro con il Dio vivente – un incontro che ci apre nuovi orizzonti molto al di là dell’ambito proprio della ragione. Ma al contempo essa è una forza purificatrice per la ragione stessa. Partendo dalla prospettiva di Dio, la libera dai suoi accecamenti e perciò l’aiuta ad essere meglio se stessa. La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato.

La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano. E sa che non è compito della Chiesa far essa stessa valere politicamente questa dottrina: essa vuole servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale. Questo significa che la costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare. Trattandosi di un compito politico, questo non può essere incarico immediato della Chiesa. Ma siccome è allo stesso tempo un compito umano primario, la Chiesa ha il dovere di offrire attraverso la purificazione della ragione e attraverso la formazione etica il suo contributo specifico, affinché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili.

La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello

er be completely free of the danger of a certain ethical blindness caused by the dazzling effect of power and special interests.

Here politics and faith meet. Faith by its specific nature is an encounter with the living God – an encounter opening up new horizons extending beyond the sphere of reason. But it is also a purifying force for reason itself. From God’s standpoint, faith liberates reason from its blind spots and therefore helps it to be ever more fully itself. Faith enables reason to do its work more effectively and to see its proper object more clearly. This is where Catholic social doctrine has its place: it has no intention of giving the Church power over the State. Even less is it an attempt to impose on those who do not share the faith ways of thinking and modes of conduct proper to faith. Its aim is simply to help purify reason and to contribute, here and now, to the acknowledgment and attainment of what is just.

The Church’s social teaching argues on the basis of reason and natural law, namely, on the basis of what is in accord with the nature of every human being. It recognizes that it is not the Church’s responsibility to make this teaching prevail in political life. Rather, the Church wishes to help form consciences in political life and to stimulate greater insight into the authentic requirements of justice as well as greater readiness to act accordingly, even when this might involve conflict with situations of personal interest. Building a just social and civil order, wherein each person receives what is his or her due, is an essential task which every generation must take up anew. As a political task, this cannot be the Church’s immediate responsibility. Yet, since it is also a most important human responsibility, the Church is duty-bound to offer, through the purification of reason and through ethical formation, her own specific contribution towards understanding the requirements of justice and achieving them politically.

The Church cannot and must not take upon herself the political battle to bring about the most just society possible. She cannot and must not replace the State. Yet at the same time she cannot and must not remain on the sidelines in the fight for justice. She has to play her part through rational argument and she has to reawaken the spiritual energy without which justice, which always demands sacrifice, cannot prevail and prosper. A just society must be the

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Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare. La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica.

Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente. b) L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo20. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale.

Non uno Stato che regoli e domini tutto è ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe «di solo pane» (Mt 4, 4; cfr Dt 8, 3) – convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificamente umano.

29. Così possiamo ora determinare più precisamente, nella vita della Chiesa, la relazione tra l’impegno per un giusto ordinamento dello Stato e della società, da una parte, e l’attività caritativa organizzata, dall’altra.

Si è visto che la formazione di strutture giuste non è immediatamente compito della Chiesa, ma appartiene

achievement of politics, not of the Church. Yet the promotion of justice through efforts to bring about openness of mind and will to the demands of the common good is something which concerns the Church deeply. b) Love – caritas – will always prove necessary, even in the most just society. There is no ordering of the State so just that it can eliminate the need for a service of love. Whoever wants to eliminate love is preparing to eliminate man as such. There will always be suffering which cries out for consolation and help. There will always be loneliness. There will always be situations of material need where help in the form of concrete love of neighbour is indispensable20. The State which would provide everything, absorbing everything into itself, would ultimately become a mere bureaucracy incapable of guaranteeing the very thing which the suffering person – every person – needs: namely, loving personal concern. We do not need a State which regulates and controls everything, but a State which, in accordance with the principle of subsidiarity, generously acknowledges and supports initiatives arising from the different social forces and combines spontaneity with closeness to those in need. The Church is one of those living forces: she is alive with the love enkindled by the Spirit of Christ. This love does not simply offer people material help, but refreshment and care for their souls, something which often is even more necessary than material support. In the end, the claim that just social structures would make works of charity superfluous masks a materialist conception of man: the mistaken notion that man can live “by bread alone” (Mt 4:4; cf. Dt 8:3) – a conviction that demeans man and ultimately disregards all that is specifically human.

29. We can now determine more precisely, in the life of the Church, the relationship between commitment to the just ordering of the State and society on the one hand, and organized charitable activity on the other.

We have seen that the formation of just structures is not directly the duty of the Church, but belongs to the world of politics, the sphere of the autonomous use of reason. The Church has an indirect duty here, in that she is called to contribute to the purification of reason and to the reawakening of those moral forces without which just structures are neither established

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alla sfera della politica, cioè all’ambito della ragione autoresponsabile. In questo, il compito della Chiesa è mediato, in quanto le spetta di contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali, senza le quali non vengono costruite strutture giuste, né queste possono essere operative a lungo.

Il compito immediato di operare per un giusto ordine nella società è invece proprio dei fedeli laici. Come cittadini dello Stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica. Non possono pertanto abdicare «alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune»21. Missione dei fedeli laici è pertanto di configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini secondo le rispettive competenze e sotto la propria responsabilità22. Anche se le espressioni specifiche della carità ecclesiale non possono mai confondersi con l’attività dello Stato, resta tuttavia vero che la carità deve animare l’intera esistenza dei fedeli laici e quindi anche la loro attività politica, vissuta come «carità sociale»23.

Le organizzazioni caritative della Chiesa costituiscono invece un suo opus proprium, un compito a lei congeniale, nel quale essa non collabora collateralmente, ma agisce come soggetto direttamente responsabile, facendo quello che corrisponde alla sua natura. La Chiesa non può mai essere dispensata dall’esercizio della carità come attività organizzata dei credenti e, d’altra parte, non ci sarà mai una situazione nella quale non occorra la carità di ciascun singolo cristiano, perché l’uomo, al di là della giustizia, ha e avrà sempre bisogno dell’amore.

nor prove effective in the long run.

The direct duty to work for a just ordering of society, on the other hand, is proper to the lay faithful. As citizens of the State, they are called to take part in public life in a personal capacity. So they cannot relinquish their participation “in the many different economic, social, legislative, administrative and cultural areas, which are intended to promote organically and institutionally the common good 21.” The mission of the lay faithful is therefore to configure social life correctly, respecting its legitimate autonomy and cooperating with other citizens according to their respective competences and fulfilling their own responsibility 22. Even if the specific expressions of ecclesial charity can never be confused with the activity of the State, it still remains true that charity must animate the entire lives of the lay faithful and therefore also their political activity, lived as “social charity”23.

The Church’s charitable organizations, on the other hand, constitute an opus proprium, a task agreeable to her, in which she does not cooperate collaterally, but acts as a subject with direct responsibility, doing what corresponds to her nature. The Church can never be exempted from practising charity as an organized activity of believers, and on the other hand, there will never be a situation where the charity of each individual Christian is unnecessary, because in addition to justice man needs, and will always need, love.

Le molteplici strutture di servizio caritativo nell’odierno contesto sociale

The multiple structures of charitable service in the social context of the present day

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30. rima di tentare una definizione del profilo specifico delle attività ecclesiali a servizio dell’uomo, vorrei ora considerare la situazione generale dell’impegno per la giustizia e per l’amore nel mondo odierno. a) I mezzi di comunicazione di massa hanno oggi reso il nostro pianeta più piccolo, avvicinando velocemente uomini e culture profondamente diversi. Se questo «stare insieme» a volte suscita incomprensio-

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30. efore attempting to define the specific profile of the Church’s activities in the service of man, I now wish to consider the overall situation of the struggle for justice and love in the world of today. a) Today the means of mass communication have made our planet smaller, rapidly narrowing the distance between different peoples and cultures. This “togetherness” at times gives rise to misunderstandings and tensions, yet our ability to know almost in-

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ni e tensioni, tuttavia, il fatto di venire, ora, in modo molto più immediato a conoscenza delle necessità degli uomini costituisce soprattutto un appello a condividerne la situazione e le difficoltà. Ogni giorno siamo resi coscienti di quanto si soffra nel mondo, nonostante i grandi progressi in campo scientifico e tecnico, a causa di una multiforme miseria, sia materiale che spirituale. Questo nostro tempo richiede, dunque, una nuova disponibilità a soccorrere il prossimo bisognoso. Già il Concilio Vaticano II lo ha sottolineato con parole molto chiare: «Oggi che i mezzi di comunicazione sono divenuti più rapidi e le distanze fra gli uomini quasi eliminate [...], l’azione caritativa può e deve abbracciare tutti assolutamente gli uomini e tutte quante le necessità»24.

D’altro canto – ed è questo un aspetto provocatorio e al contempo incoraggiante del processo di globalizzazione – il presente mette a nostra disposizione innumerevoli strumenti per prestare aiuto umanitario ai fratelli bisognosi, non ultimi i moderni sistemi per la distribuzione di cibo e di vestiario, come anche per l’offerta di alloggio e di accoglienza. Superando i confini delle comunità nazionali, la sollecitudine per il prossimo tende così ad allargare i suoi orizzonti al mondo intero. Il Concilio Vaticano II ha giustamente rilevato: «Tra i segni del nostro tempo è degno di speciale menzione il crescente e inarrestabile senso di solidarietà di tutti i popoli»25. Gli enti dello Stato e le associazioni umanitarie assecondano iniziative volte a questo scopo, per lo più attraverso sussidi o sgravi fiscali, gli uni, rendendo disponibili considerevoli risorse, le altre. In tal modo la solidarietà espressa dalla società civile supera significativamente quella dei singoli. b) In questa situazione sono nate e cresciute, tra le istanze statali ed ecclesiali, numerose forme di collaborazione che si sono rivelate fruttuose. Le istanze ecclesiali, con la trasparenza del loro operare e la fedeltà al dovere di testimoniare l’amore, potranno animare cristianamente anche le istanze civili, favorendo un coordinamento vicendevole che non mancherà di giovare all’efficacia del servizio caritativo26. Si sono pure formate, in questo contesto, molteplici organizzazioni con scopi caritativi o filantropici, che si impegnano per raggiungere, nei confronti dei problemi sociali e politici esistenti, soluzioni soddisfacenti sotto l’aspetto umanitario. Un fenomeno importante del nostro tempo è il sorgere e il diffondersi di diverse forme di volontariato, che si fanno carico di una mol-

stantly about the needs of others challenges us to share their situation and their difficulties. Despite the great advances made in science and technology, each day we see how much suffering there is in the world on account of different kinds of poverty, both material and spiritual. Our times call for a new readiness to assist our neighbours in need. The Second Vatican Council had made this point very clearly: “Now that, through better means of communication, distances between peoples have been almost eliminated, charitable activity can and should embrace all people and all needs24”.

On the other hand-and here we see one of the challenging yet also positive sides of the process of globalization – we now have at our disposal numerous means for offering humanitarian assistance to our brothers and sisters in need, not least modern systems of distributing food and clothing, and of providing housing and care. Concern for our neighbour transcends the confines of national communities and has increasingly broadened its horizon to the whole world. The Second Vatican Council rightly observed that “among the signs of our times, one particularly worthy of note is a growing, inescapable sense of solidarity between all peoples 25”. State agencies and humanitarian associations work to promote this, the former mainly through subsidies or tax relief, the latter by making available considerable resources. The solidarity shown by civil society thus significantly surpasses that shown by individuals. b) This situation has led to the birth and the growth of many forms of cooperation between State and Church agencies, which have borne fruit. Church agencies, with their transparent operation and their faithfulness to the duty of witnessing to love, are able to give a Christian quality to the civil agencies too, favouring a mutual coordination that can only redound to the effectiveness of charitable service26.

Numerous organizations for charitable or philanthropic purposes have also been established and these are committed to achieving adequate humanitarian solutions to the social and political problems of the day. Significantly, our time has also seen the growth and spread of different kinds of volunteer work, which assume responsibility for providing a variety of services27. I wish here to offer a special word of gratitude and appreciation to all those who take part in these activities in whatever way. For

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teplicità di servizi27. Vorrei qui indirizzare una particolare parola di apprezzamento e di ringraziamento a tutti coloro che partecipano in vario modo a queste attività. Tale impegno diffuso costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi. All’anti-cultura della morte, che si esprime per esempio nella droga, si contrappone così l’amore che non cerca se stesso, ma che, proprio nella disponibilità a «perdere se stesso» per l’altro (cfr Lc 17, 33 e par.), si rivela come cultura della vita.

Anche nella Chiesa cattolica e in altre Chiese e Comunità ecclesiali sono sorte nuove forme di attività caritativa, e ne sono riapparse di antiche con slancio rinnovato. Sono forme nelle quali si riesce spesso a costituire un felice legame tra evangelizzazione e opere di carità. Desidero qui confermare esplicitamente quello che il mio grande Predecessore Giovanni Paolo II ha scritto nella sua Enciclica Sollicitudo rei socialis28, quando ha dichiarato la disponibilità della Chiesa cattolica a collaborare con le Organizzazioni caritative di queste Chiese e Comunità, poiché noi tutti siamo mossi dalla medesima motivazione fondamentale e abbiamo davanti agli occhi il medesimo scopo: un vero umanesimo, che riconosce nell’uomo l’immagine di Dio e vuole aiutarlo a realizzare una vita conforme a questa dignità. L’Enciclica Ut unum sint ha poi ancora una volta sottolineato che, per uno sviluppo del mondo verso il meglio, è necessaria la voce comune dei cristiani, il loro impegno «per il rispetto dei diritti e dei bisogni di tutti, specie dei poveri, degli umiliati e degli indifesi»29. Vorrei qui esprimere la mia gioia per il fatto che questo desiderio abbia trovato in tutto il mondo una larga eco in numerose iniziative.

young people, this widespread involvement constitutes a school of life which offers them a formation in solidarity and in readiness to offer others not simply material aid but their very selves. The anti-culture of death, which finds expression for example in drug use, is thus countered by an unselfish love which shows itself to be a culture of life by the very willingness to “lose itself” (cf. Lk 17:33 et passim) for others.

In the Catholic Church, and also in the other Churches and Ecclesial Communities, new forms of charitable activity have arisen, while other, older ones have taken on new life and energy. In these new forms, it is often possible to establish a fruitful link between evangelization and works of charity. Here I would clearly reaffirm what my great predecessor John Paul II wrote in his Encyclical Sollicitudo Rei Socialis28 when he asserted the readiness of the Catholic Church to cooperate with the charitable agencies of these Churches and Communities, since we all have the same fundamental motivation and look towards the same goal: a true humanism, which acknowledges that man is made in the image of God and wants to help him to live in a way consonant with that dignity. His Encyclical Ut Unum Sint emphasized that the building of a better world requires Christians to speak with a united voice in working to inculcate “respect for the rights and needs of everyone, especially the poor, the lowly and the defenceless29.” Here I would like to express my satisfaction that this appeal has found a wide resonance in numerous initiatives throughout the world.

Il profilo specifico dell’attività caritativa della Chiesa

The distinctiveness of the Church’s charitable activity

L’

31. aumento di organizzazioni diversificate, che si impegnano per l’uomo nelle sue svariate necessità, si spiega in fondo col fatto che l’imperativo dell’amore del prossimo è iscritto dal Creatore nella stessa natura dell’uomo. Tale crescita, però, è anche un effetto della presenza nel mondo del cristianesimo, che sempre di nuovo risveglia e rende efficace questo imperativo, spesso profondamente oscurato nel corso della storia. La riforma del paganesimo, tentata dall’imperatore Giuliano l’Apostata, è solo un

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31. he increase in diversified organizations engaged in meeting various human needs is ultimately due to the fact that the command of love of neighbour is inscribed by the Creator in man’s very nature. It is also a result of the presence of Christianity in the world, since Christianity constantly revives and acts out this imperative, so often profoundly obscured in the course of time. The reform of paganism attempted by the emperor Julian the Apostate is only an initial example of this effect; here we see how the pow-

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esempio iniziale di una simile efficacia. In questo senso, la forza del cristianesimo si espande ben oltre le frontiere della fede cristiana. È perciò molto importante che l’attività caritativa della Chiesa mantenga tutto il suo splendore e non si dissolva nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante. Ma quali sono, ora, gli elementi costitutivi che formano l’essenza della carità cristiana ed ecclesiale? a) Secondo il modello offerto dalla parabola del buon Samaritano, la carità cristiana è dapprima semplicemente la risposta a ciò che, in una determinata situazione, costituisce la necessità immediata: gli affamati devono essere saziati, i nudi vestiti, i malati curati in vista della guarigione, i carcerati visitati, ecc. Le Organizzazioni caritative della Chiesa, a cominciare da quelle della Caritas (diocesana, nazionale, internazionale), devono fare il possibile, affinché siano disponibili i relativi mezzi e soprattutto gli uomini e le donne che assumano tali compiti. Per quanto riguarda il servizio che le persone svolgono per i sofferenti, occorre innanzitutto la competenza professionale: i soccorritori devono essere formati in modo da saper fare la cosa giusta nel modo giusto, assumendo poi l’impegno del proseguimento della cura. La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta.

Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore. Quanti operano nelle Istituzioni caritative della Chiesa devono distinguersi per il fatto che non si limitano ad eseguire in modo abile la cosa conveniente al momento, ma si dedicano all’altro con le attenzioni suggerite dal cuore, in modo che questi sperimenti la loro ricchezza di umanità. Perciò, oltre alla preparazione professionale, a tali operatori è necessaria anche, e soprattutto, la «formazione del cuore»: occorre condurli a quell’incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo non sia più un comandamento imposto per così dire dall’esterno, ma una conseguenza derivante dalla loro fede che diventa operante nell’amore (cfr Gal 5, 6). b) L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane, ma è attualizzazione

er of Christianity spread well beyond the frontiers of the Christian faith. For this reason, it is very important that the Church’s charitable activity maintains all of its splendour and does not become just another form of social assistance. So what are the essential elements of Christian and ecclesial charity? a) Following the example given in the parable of the Good Samaritan, Christian charity is first of all the simple response to immediate needs and specific situations: feeding the hungry, clothing the naked, caring for and healing the sick, visiting those in prison, etc. The Church’s charitable organizations, beginning with those of Caritas (at diocesan, national and international levels), ought to do everything in their power to provide the resources and above all the personnel needed for this work. Individuals who care for those in need must first be professionally competent: they should be properly trained in what to do and how to do it, and committed to continuing care. Yet, while professional competence is a primary, fundamental requirement, it is not of itself sufficient. We are dealing with human beings, and human beings always need something more than technically proper care. They need humanity. They need heartfelt concern. Those who work for the Church’s charitable organizations must be distinguished by the fact that they do not merely meet the needs of the moment, but they dedicate themselves to others with heartfelt concern, enabling them to experience the richness of their humanity. Consequently, in addition to their necessary professional training, these charity workers need a “formation of the heart”: they need to be led to that encounter with God in Christ which awakens their love and opens their spirits to others. As a result, love of neighbour will no longer be for them a commandment imposed, so to speak, from without, but a consequence deriving from their faith, a faith which becomes active through love (cf.

Gal 5:6). b) Christian charitable activity must be independent of parties and ideologies. It is not a means of changing the world ideologically, and it is not at the service of worldly stratagems, but it is a way of making present here and now the love which man always needs. The modern age, particularly from the nineteenth century on, has been dominated by various versions of a philosophy of progress whose most radical form is Marxism. Part of Marxist strategy is the

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qui ed ora dell’amore di cui l’uomo ha sempre bisogno. Il tempo moderno, soprattutto a partire dall’Ottocento, è dominato da diverse varianti di una filosofia del progresso, la cui forma più radicale è il marxismo. Parte della strategia marxista è la teoria dell’impoverimento: chi in una situazione di potere ingiusto – essa sostiene – aiuta l’uomo con iniziative di carità, si pone di fatto a servizio di quel sistema di ingiustizia, facendolo apparire, almeno fino a un certo punto, sopportabile. Viene così frenato il potenziale rivoluzionario e quindi bloccato il rivolgimento verso un mondo migliore. Perciò la carità viene contestata ed attaccata come sistema di conservazione dello status quo. In realtà, questa è una filosofia disumana. L’uomo che vive nel presente viene sacrificato al moloch del futuro – un futuro la cui effettiva realizzazione rimane almeno dubbia. In verità, l’umanizzazione del mondo non può essere promossa rinunciando, per il momento, a comportarsi in modo umano. Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona, con passione e ovunque ce ne sia la possibilità, indipendentemente da strategie e programmi di partito. Il programma del cristiano – il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù – è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente. Ovviamente alla spontaneità del singolo deve aggiungersi, quando l’attività caritativa è assunta dalla Chiesa come iniziativa comunitaria, anche la programmazione, la previdenza, la collaborazione con altre istituzioni simili. c) La carità, inoltre, non deve essere un mezzo in funzione di ciò che oggi viene indicato come proselitismo. L’amore è gratuito; non viene esercitato per raggiungere altri scopi30. Ma questo non significa che l’azione caritativa debba, per così dire, lasciare Dio e Cristo da parte. È in gioco sempre tutto l’uomo. Spesso è proprio l’assenza di Dio la radice più profonda della sofferenza. Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cfr 1 Gv 4, 8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare. Egli sa – per

theory of impoverishment: in a situation of unjust power, it is claimed, anyone who engages in charitable initiatives is actually serving that unjust system, making it appear at least to some extent tolerable.

This in turn slows down a potential revolution and thus blocks the struggle for a better world. Seen in this way, charity is rejected and attacked as a means of preserving the status quo. What we have here, though, is really an inhuman philosophy. People of the present are sacrificed to the moloch of the future – a future whose effective realization is at best doubtful. One does not make the world more human by refusing to act humanely here and now. We contribute to a better world only by personally doing good now, with full commitment and wherever we have the opportunity, independently of partisan strategies and programmes. The Christian’s programme – the programme of the Good Samaritan, the programme of Jesus-is “a heart which sees”.

This heart sees where love is needed and acts accordingly. Obviously when charitable activity is carried out by the Church as a communitarian initiative, the spontaneity of individuals must be combined with planning, foresight and cooperation with other similar institutions. c) Charity, furthermore, cannot be used as a means of engaging in what is nowadays considered proselytism. Love is free; it is not practised as a way of achieving other ends30. But this does not mean that charitable activity must somehow leave God and Christ aside. For it is always concerned with the whole man. Often the deepest cause of suffering is the very absence of God. Those who practise charity in the Church’s name will never seek to impose the Church’s faith upon others. They realize that a pure and generous love is the best witness to the God in whom we believe and by whom we are driven to love.

A Christian knows when it is time to speak of God and when it is better to say nothing and to let love alone speak. He knows that God is love (cf. 1 Jn 4:8) and that God’s presence is felt at the very time when the only thing we do is to love. He knows – to return to the questions raised earlier – that disdain for love is disdain for God and man alike; it is an attempt to do without God. Consequently, the best defence of God and man consists precisely in love. It is the responsibility of the Church’s charitable organizations to reinforce this awareness in their members, so that

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tornare alle domande di prima –, che il vilipendio dell’amore è vilipendio di Dio e dell’uomo, è il tentativo di fare a meno di Dio. Di conseguenza, la miglior difesa di Dio e dell’uomo consiste proprio nell’amore. È compito delle Organizzazioni caritative della Chiesa rafforzare questa consapevolezza nei propri membri, in modo che attraverso il loro agire – come attraverso il loro parlare, il loro tacere, il loro esempio – diventino testimoni credibili di Cristo.

by their activity – as well as their words, their silence, their example – they may be credible witnesses to Christ.

I responsabili dell’azione caritativa della Chiesa

Those responsible for the Church’s charitable activity

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32. nfine, dobbiamo rivolgere ancora la nostra attenzione ai già citati responsabili dell’azione caritativa della Chiesa. Nelle precedenti riflessioni è ormai risultato chiaro che il vero soggetto delle varie Organizzazioni cattoliche che svolgono un servizio di carità è la Chiesa stessa – e ciò a tutti i livelli, iniziando dalle parrocchie, attraverso le Chiese particolari, fino alla Chiesa universale. Per questo è stato quanto mai opportuno che il mio venerato Predecessore Paolo VI abbia istituito il Pontificio Consiglio Cor unum quale istanza della Santa Sede responsabile per l’orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica. Alla struttura episcopale della Chiesa, poi, corrisponde il fatto che, nelle Chiese particolari, i Vescovi quali successori degli Apostoli portino la prima responsabilità della realizzazione, anche nel presente, del programma indicato negli Atti degli Apostoli (cfr 2, 42-44): la Chiesa in quanto famiglia di Dio deve essere, oggi come ieri, un luogo di aiuto vicendevole e al contempo un luogo di disponibilità a servire anche coloro che, fuori di essa, hanno bisogno di aiuto. Durante il rito dell’Ordinazione episcopale, il vero e proprio atto di consacrazione è preceduto da alcune domande al candidato, nelle quali sono espressi gli elementi essenziali del suo ufficio e gli vengono ricordati i doveri del suo futuro ministero. In questo contesto l’ordinando promette espressamente di essere, nel nome del Signore, accogliente e misericordioso verso i poveri e verso tutti i bisognosi di conforto e di aiuto31. Il Codice di Diritto Canonico, nei canoni riguardanti il ministero episcopale, non tratta espressamente della carità come di uno specifico ambito dell’attività episcopale, ma parla solo in modo generale del compito del Vescovo, che è quello di coordinare le diverse

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32. inally, we must turn our attention once again to those who are responsible for carrying out the Church’s charitable activity. As our preceding reflections have made clear, the true subject of the various Catholic organizations that carry out a ministry of charity is the Church herself – at all levels, from the parishes, through the particular Churches, to the universal Church. For this reason it was most opportune that my venerable predecessor Paul VI established the Pontifical Council Cor Unum as the agency of the Holy See responsible for orienting and coordinating the organizations and charitable activities promoted by the Catholic Church. In conformity with the episcopal structure of the Church, the Bishops, as successors of the Apostles, are charged with primary responsibility for carrying out in the particular Churches the programme set forth in the Acts of the Apostles (cf. 2:42-44): today as in the past, the Church as God’s family must be a place where help is given and received, and at the same time, a place where people are also prepared to serve those outside her confines who are in need of help. In the rite of episcopal ordination, prior to the act of consecration itself, the candidate must respond to several questions which express the essential elements of his office and recall the duties of his future ministry. He promises expressly to be, in the Lord’s name, welcoming and merciful to the poor and to all those in need of consolation and assistance 31. The Code of Canon Law, in the canons on the ministry of the Bishop, does not expressly mention charity as a specific sector of episcopal activity, but speaks in general terms of the Bishop’s responsibility for coordinating the different works of the apostolate with due regard for their proper character 32. Recently, however, the

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opere di apostolato nel rispetto della loro propria indole32. Recentemente, tuttavia, il Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi ha approfondito più concretamente il dovere della carità come compito intrinseco della Chiesa intera e del Vescovo nella sua Diocesi33 ed ha sottolineato che l’esercizio della carità è un atto della Chiesa come tale e che, così come il servizio della Parola e dei Sacramenti, fa parte anch’essa dell’essenza della sua missione originaria34.

Directory for the Pastoral Ministry of Bishops explored more specifically the duty of charity as a responsibility incumbent upon the whole Church and upon each Bishop in his Diocese 33, and it emphasized that the exercise of charity is an action of the Church as such, and that, like the ministry of Word and Sacrament, it too has been an essential part of her mission from the very beginning 34.

33. Per quanto concerne i collaboratori che svolgono sul piano pratico il lavoro della carità nella Chiesa, l’essenziale è già stato detto: essi non devono ispirarsi alle ideologie del miglioramento del mondo, ma farsi guidare dalla fede che nell’amore diventa operante (cfr Gal 5, 6). Devono essere quindi persone mosse innanzitutto dall’amore di Cristo, persone il cui cuore Cristo ha conquistato col suo amore, risvegliandovi l’amore per il prossimo. Il criterio ispiratore del loro agire dovrebbe essere l’affermazione presente nella Seconda Lettera ai Corinzi: «L’amore del Cristo ci spinge» (5, 14). La consapevolezza che in Lui Dio stesso si è donato per noi fino alla morte deve indurci a non vivere più per noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri. Chi ama Cristo ama la Chiesa e vuole che essa sia sempre più espressione e strumento dell’amore che da Lui promana. Il collaboratore di ogni Organizzazione caritativa cattolica vuole lavorare con la Chiesa e quindi col Vescovo, affinché l’amore di Dio si diffonda nel mondo. Attraverso la sua partecipazione all’esercizio dell’amore della Chiesa, egli vuole essere testimone di Dio e di Cristo e proprio per questo vuole fare del bene agli uomini gratuitamente.

33. With regard to the personnel who carry out the Church’s charitable activity on the practical level, the essential has already been said: they must not be inspired by ideologies aimed at improving the world, but should rather be guided by the faith which works through love (cf. Gal 5:6). Consequently, more than anything, they must be persons moved by Christ’s love, persons whose hearts Christ has conquered with his love, awakening within them a love of neighbour. The criterion inspiring their activity should be Saint Paul’s statement in the Second Letter to the Corinthians: “the love of Christ urges us on” (5:14).

The consciousness that, in Christ, God has given himself for us, even unto death, must inspire us to live no longer for ourselves but for him, and, with him, for others. Whoever loves Christ loves the Church, and desires the Church to be increasingly the image and instrument of the love which flows from Christ. The personnel of every Catholic charitable organization want to work with the Church and therefore with the Bishop, so that the love of God can spread throughout the world. By their sharing in the Church’s practice of love, they wish to be witnesses of God and of Christ, and they wish for this very reason freely to do good to all.

34. L’apertura interiore alla dimensione cattolica della Chiesa non potrà non disporre il collaboratore a sintonizzarsi con le altre Organizzazioni nel servizio alle varie forme di bisogno; ciò tuttavia dovrà avvenire nel rispetto del profilo specifico del servizio richiesto da Cristo ai suoi discepoli. San Paolo nel suo inno alla carità (cfr 1 Cor 13) ci insegna che la carità è sempre più che semplice attività: «Se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova» (v. 3). Questo inno deve essere la Magna Carta dell’intero servizio ecclesiale; in esso

34. Interior openness to the Catholic dimension of the Church cannot fail to dispose charity workers to work in harmony with other organizations in serving various forms of need, but in a way that respects what is distinctive about the service which Christ requested of his disciples. Saint Paul, in his hymn to charity (cf. 1 Cor 13), teaches us that it is always more than activity alone: “If I give away all I have, and if I deliver my body to be burned, but do not have love, I gain nothing” (v. 3). This hymn must be the Magna Carta of all ecclesial service; it sums up all the reflections on love which I have offered

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sono riassunte tutte le riflessioni che, nel corso di questa Lettera enciclica, ho svolto sull’amore.

L’azione pratica resta insufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo, un amore che si nutre dell’incontro con Cristo. L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa così un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona.

throughout this Encyclical Letter. Practical activity will always be insufficient, unless it visibly expresses a love for man, a love nourished by an encounter with Christ. My deep personal sharing in the needs and sufferings of others becomes a sharing of my very self with them: if my gift is not to prove a source of humiliation, I must give to others not only something that is my own, but my very self; I must be personally present in my gift.

35. Questo giusto modo di servire rende l’operatore umile. Egli non assume una posizione di superiorità di fronte all’altro, per quanto misera possa essere sul momento la sua situazione. Cristo ha preso l’ultimo posto nel mondo – la croce – e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta.

Chi è in condizione di aiutare riconosce che proprio in questo modo viene aiutato anche lui; non è suo merito né titolo di vanto il fatto di poter aiutare.

Questo compito è grazia. Quanto più uno s’adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: «Siamo servi inutili» (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono. A volte l’eccesso del bisogno e i limiti del proprio operare potranno esporlo alla tentazione dello scoraggiamento. Ma proprio allora gli sarà d’aiuto il sapere che, in definitiva, egli non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo. In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza. Fare, però, quanto ci è possibile con la forza di cui disponiamo, questo è il compito che mantiene il buon servo di Gesù Cristo sempre in movimento: «L’amore del Cristo ci spinge» (2 Cor 5, 14).

35. This proper way of serving others also leads to humility. The one who serves does not consider himself superior to the one served, however miserable his situation at the moment may be. Christ took the lowest place in the world – the Cross – and by this radical humility he redeemed us and constantly comes to our aid. Those who are in a position to help others will realize that in doing so they themselves receive help; being able to help others is no merit or achievement of their own. This duty is a grace. The more we do for others, the more we understand and can appropriate the words of Christ: “We are useless servants” (Lk 17:10). We recognize that we are not acting on the basis of any superiority or greater personal efficiency, but because the Lord has graciously enabled us to do so. There are times when the burden of need and our own limitations might tempt us to become discouraged. But precisely then we are helped by the knowledge that, in the end, we are only instruments in the Lord’s hands; and this knowledge frees us from the presumption of thinking that we alone are personally responsible for building a better world. In all humility we will do what we can, and in all humility we will entrust the rest to the Lord. It is God who governs the world, not we. We offer him our service only to the extent that we can, and for as long as he grants us the strength. To do all we can with what strength we have, however, is the task which keeps the good servant of Jesus Christ always at work: “The love of Christ urges us on” (2 Cor 5:14).

36. L’esperienza della smisuratezza del bisogno può, da un lato, spingerci nell’ideologia che pretende di fare ora quello che il governo del mondo da parte di Dio, a quanto pare, non consegue: la soluzione universale di ogni problema. Dall’altro lato, essa può diventare tentazione all’inerzia sulla base dell’impres-

36. When we consider the immensity of others’ needs, we can, on the one hand, be driven towards an ideology that would aim at doing what God’s governance of the world apparently cannot: fully resolving every problem. Or we can be tempted to give in to inertia, since it would seem that in any event nothing can be

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sione che, comunque, nulla possa essere realizzato.

In questa situazione il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta via: né cadere in una superbia che disprezza l’uomo e non costruisce in realtà nulla, ma piuttosto distrugge, né abbandonarsi alla rassegnazione che impedirebbe di lasciarsi guidare dall’amore e così servire l’uomo. La preghiera come mezzo per attingere sempre di nuovo forza da Cristo, diventa qui un’urgenza del tutto concreta. Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione. La pietà non indebolisce la lotta contro la povertà o addirittura contro la miseria del prossimo. La beata Teresa di Calcutta è un esempio molto evidente del fatto che il tempo dedicato a Dio nella preghiera non solo non nuoce all’efficacia ed all’operosità dell’amore verso il prossimo, ma ne è in realtà l’inesauribile sorgente.

Nella sua lettera per la Quaresima del 1996 la beata scriveva ai suoi collaboratori laici: «Noi abbiamo bisogno di questo intimo legame con Dio nella nostra vita quotidiana. E come possiamo ottenerlo? Attraverso la preghiera».

accomplished. At such times, a living relationship with Christ is decisive if we are to keep on the right path, without falling into an arrogant contempt for man, something not only unconstructive but actually destructive, or surrendering to a resignation which would prevent us from being guided by love in the service of others. Prayer, as a means of drawing ever new strength from Christ, is concretely and urgently needed. People who pray are not wasting their time, even though the situation appears desperate and seems to call for action alone. Piety does not undermine the struggle against the poverty of our neighbours, however extreme. In the example of Blessed Teresa of Calcutta we have a clear illustration of the fact that time devoted to God in prayer not only does not detract from effective and loving service to our neighbour but is in fact the inexhaustible source of that service. In her letter for Lent 1996, Blessed Teresa wrote to her lay co-workers: “We need this deep connection with God in our daily life. How can we obtain it? By prayer”.

37. È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo. Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera. La familiarità col Dio personale e l’abbandono alla sua volontà impediscono il degrado dell’uomo, lo salvano dalla prigionia di dottrine fanatiche e terroristiche. Un atteggiamento autenticamente religioso evita che l’uomo si eriga a giudice di Dio, accusandolo di permettere la miseria senza provar compassione per le sue creature. Ma chi pretende di lottare contro Dio facendo leva sull’interesse dell’uomo, su chi potrà contare quando l’azione umana si dimostrerà impotente?

37. It is time to reaffirm the importance of prayer in the face of the activism and the growing secularism of many Christians engaged in charitable work.

Clearly, the Christian who prays does not claim to be able to change God’s plans or correct what he has foreseen. Rather, he seeks an encounter with the Father of Jesus Christ, asking God to be present with the consolation of the Spirit to him and his work. A personal relationship with God and an abandonment to his will can prevent man from being demeaned and save him from falling prey to the teaching of fanaticism and terrorism. An authentically religious attitude prevents man from presuming to judge God, accusing him of allowing poverty and failing to have compassion for his creatures. When people claim to build a case against God in defence of man, on whom can they depend when human activity proves powerless?

38. Certo Giobbe può lamentarsi di fronte a Dio per la sofferenza incomprensibile, e apparentemente ingiustificabile, presente nel mondo. Così egli parla nel suo dolore: «Oh, potessi sapere dove trovarlo, potessi arrivare fino al suo trono! ... Verrei a sapere le pa-

38. Certainly Job could complain before God about the presence of incomprehensible and apparently unjustified suffering in the world. In his pain he cried out: “Oh, that I knew where I might find him, that I might come even to his seat! ... I would learn what he

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role che mi risponde e capirei che cosa mi deve dire.

Con sfoggio di potenza discuterebbe con me? ... Per questo davanti a lui sono atterrito, ci penso ed ho paura di lui. Dio ha fiaccato il mio cuore, l’Onnipotente mi ha atterrito» (23, 3. 5-6. 15-16). Spesso non ci è dato di conoscere il motivo per cui Dio trattiene il suo braccio invece di intervenire. Del resto, Egli neppure ci impedisce di gridare, come Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46). Noi dovremmo rimanere con questa domanda di fronte al suo volto, in dialogo orante: «Fino a quando esiterai ancora, Signore, tu che sei santo e verace?»

(Ap 6, 10). È sant’Agostino che dà a questa nostra sofferenza la risposta della fede: «Si comprehendis, non est Deus» – Se tu lo comprendi, allora non è Dio 35. La nostra protesta non vuole sfidare Dio, né insinuare la presenza in Lui di errore, debolezza o indifferenza. Per il credente non è possibile pensare che Egli sia impotente, oppure che «stia dormendo» (cfr 1 Re 18, 27). Piuttosto è vero che perfino il nostro gridare è, come sulla bocca di Gesù in croce, il modo estremo e più profondo per affermare la nostra fede nella sua sovrana potestà. I cristiani infatti continuano a credere, malgrado tutte le incomprensioni e confusioni del mondo circostante, nella «bontà di Dio» e nel «suo amore per gli uomini» (Tt 3, 4). Essi, pur immersi come gli altri uomini nella drammatica complessità delle vicende della storia, rimangono saldi nella certezza che Dio è Padre e ci ama, anche se il suo silenzio rimane incomprensibile per noi.

would answer me, and understand what he would say to me. Would he contend with me in the greatness of his power? ... Therefore I am terrified at his presence; when I consider, I am in dread of him. God has made my heart faint; the Almighty has terrified me” (23:3, 5-6, 15-16). Often we cannot understand why God refrains from intervening. Yet he does not prevent us from crying out, like Jesus on the Cross: “My God, my God, why have you forsaken me?” (Mt 27:46). We should continue asking this question in prayerful dialogue before his face: “Lord, holy and true, how long will it be?” (Rev 6:10). It is Saint Augustine who gives us faith’s answer to our sufferings: “Si comprehendis, non est Deus” – ”if you understand him, he is not God 35.” Our protest is not meant to challenge God, or to suggest that error, weakness or indifference can be found in him. For the believer, it is impossible to imagine that God is powerless or that “perhaps he is asleep” (cf. 1 Kg 18:27). Instead, our crying out is, as it was for Jesus on the Cross, the deepest and most radical way of affirming our faith in his sovereign power. Even in their bewilderment and failure to understand the world around them, Christians continue to believe in the “goodness and loving kindness of God” (Tit 3:4). Immersed like everyone else in the dramatic complexity of historical events, they remain unshakably certain that God is our Father and loves us, even when his silence remains incomprehensible.

39. Fede, speranza e carità vanno insieme. La speranza si articola praticamente nella virtù della pazienza, che non vien meno nel bene neanche di fronte all’apparente insuccesso, ed in quella dell’umiltà, che accetta il mistero di Dio e si fida di Lui anche nell’oscurità. La fede ci mostra il Dio che ha dato il suo Figlio per noi e suscita così in noi la vittoriosa certezza che è proprio vero: Dio è amore! In questo modo essa trasforma la nostra impazienza e i nostri dubbi nella sicura speranza che Dio tiene il mondo nelle sue mani e che nonostante ogni oscurità Egli vince, come mediante le sue immagini sconvolgenti alla fine l’Apocalisse mostra in modo radioso. La fede, che prende coscienza dell’amore di Dio rivelatosi nel cuore trafitto di Gesù sulla croce, suscita a sua volta l’amore.

Esso è la luce – in fondo l’unica – che rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vi-

39. Faith, hope and charity go together. Hope is practised through the virtue of patience, which continues to do good even in the face of apparent failure, and through the virtue of humility, which accepts God’s mystery and trusts him even at times of darkness. Faith tells us that God has given his Son for our sakes and gives us the victorious certainty that it is really true: God is love! It thus transforms our impatience and our doubts into the sure hope that God holds the world in his hands and that, as the dramatic imagery of the end of the Book of Revelation points out, in spite of all darkness he ultimately triumphs in glory. Faith, which sees the love of God revealed in the pierced heart of Jesus on the Cross, gives rise to love. Love is the light – and in the end, the only light – that can always illuminate a world grown dim and give us the courage needed to

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vere e di agire. L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica.

keep living and working. Love is possible, and we are able to practise it because we are created in the image of God. To experience love and in this way to cause the light of God to enter into the world – this is the invitation I would like to extend with the present Encyclical.

Conclusione

Conclusion

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40. uardiamo infine ai Santi, a coloro che hanno esercitato in modo esemplare la carità. Il pensiero va, in particolare, a Martino di Tours († 397), prima soldato poi monaco e vescovo: quasi come un’icona, egli mostra il valore insostituibile della testimonianza individuale della carità. Alle porte di Amiens, Martino fa a metà del suo mantello con un povero: Gesù stesso, nella notte, gli appare in sogno rivestito di quel mantello, a confermare la validità perenne della parola evangelica: «Ero nudo e mi avete vestito ... Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 36. 40)36. Ma nella storia della Chiesa, quante altre testimonianze di carità possono essere citate! In particolare tutto il movimento monastico, fin dai suoi inizi con sant’Antonio abate († 356), esprime un ingente servizio di carità verso il prossimo. Nel confronto «faccia a faccia» con quel Dio che è Amore, il monaco avverte l’esigenza impellente di trasformare in servizio del prossimo, oltre che di Dio, tutta la propria vita. Si spiegano così le grandi strutture di accoglienza, di ricovero e di cura sorte accanto ai monasteri. Si spiegano pure le ingenti iniziative di promozione umana e di formazione cristiana, destinate innanzitutto ai più poveri, di cui si sono fatti carico dapprima gli Ordini monastici e mendicanti e poi i vari Istituti religiosi maschili e femminili, lungo tutta la storia della Chiesa. Figure di Santi come Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Luisa de Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta – per fare solo alcuni nomi – rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all’interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore.

inally, let us consider the saints, who exer40. cised charity in an exemplary way. Our thoughts turn especially to Martin of Tours († 397), the soldier who became a monk and a bishop: he is almost like an icon, illustrating the irreplaceable value of the individual testimony to charity. At the gates of Amiens, Martin gave half of his cloak to a poor man: Jesus himself, that night, appeared to him in a dream wearing that cloak, confirming the permanent validity of the Gospel saying: “I was naked and you clothed me ... as you did it to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:36, 40) 36. Yet in the history of the Church, how many other testimonies to charity could be quoted! In particular, the entire monastic movement, from its origins with Saint Anthony the Abbot († 356), expresses an immense service of charity towards neighbour. In his encounter “face to face” with the God who is Love, the monk senses the impelling need to transform his whole life into service of neighbour, in addition to service of God. This explains the great emphasis on hospitality, refuge and care of the infirm in the vicinity of the monasteries. It also explains the immense initiatives of human welfare and Christian formation, aimed above all at the very poor, who became the object of care firstly for the monastic and mendicant orders, and later for the various male and female religious institutes all through the history of the Church. The figures of saints such as Francis of Assisi, Ignatius of Loyola, John of God, Camillus of Lellis, Vincent de Paul, Louise de Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, John Bosco, Luigi Orione, Teresa of Calcutta to name but a few – stand out as lasting models of social charity for all people of good will. The saints are the true bearers of light within history, for they are men and women of faith, hope and love.

41. Tra i santi eccelle Maria, Madre del Signore e specchio di ogni santità. Nel Vangelo di Luca la tro-

41. Outstanding among the saints is Mary, Mother of the Lord and mirror of all holiness. In the

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viamo impegnata in un servizio di carità alla cugina Elisabetta, presso la quale resta «circa tre mesi» (1, 56) per assisterla nella fase terminale della gravidanza. «Magnificat anima mea Dominum», dice in occasione di questa visita – «L’anima mia rende grande il Signore» – (Lc 1, 46), ed esprime con ciò tutto il programma della sua vita: non mettere se stessa al centro, ma fare spazio a Dio incontrato sia nella preghiera che nel servizio al prossimo – solo allora il mondo diventa buono. Maria è grande proprio perché non vuole rendere grande se stessa, ma Dio. Ella è umile: non vuole essere nient’altro che l’ancella del Signore (cfr Lc 1, 38. 48). Ella sa di contribuire alla salvezza del mondo non compiendo una sua opera, ma solo mettendosi a piena disposizione delle iniziative di Dio. È una donna di speranza: solo perché crede alle promesse di Dio e attende la salvezza di Israele, l’angelo può venire da lei e chiamarla al servizio decisivo di queste promesse. Essa è una donna di fede: «Beata sei tu che hai creduto», le dice Elisabetta (cfr Lc 1, 45). Il Magnificat – un ritratto, per così dire, della sua anima – è interamente tessuto di fili della Sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata.

Infine, Maria è una donna che ama. Come potrebbe essere diversamente? In quanto credente che nella fede pensa con i pensieri di Dio e vuole con la volontà di Dio, ella non può essere che una donna che ama.

Noi lo intuiamo nei gesti silenziosi, di cui ci riferiscono i racconti evangelici dell’infanzia. Lo vediamo nella delicatezza, con la quale a Cana percepisce la necessità in cui versano gli sposi e la presenta a Gesù.

Lo vediamo nell’umiltà con cui accetta di essere trascurata nel periodo della vita pubblica di Gesù, sapendo che il Figlio deve fondare una nuova famiglia e che l’ora della Madre arriverà soltanto nel momento della croce, che sarà la vera ora di Gesù (cfr Gv 2, 4; 13, 1). Allora, quando i discepoli saranno fuggiti, lei resterà sotto la croce (cfr Gv 19, 25-27); più tardi, nell’ora di Pentecoste, saranno loro a stringersi intorno a lei nell’attesa dello Spirito Santo (cfr At 1, 14).

Gospel of Luke we find her engaged in a service of charity to her cousin Elizabeth, with whom she remained for “about three months” (1:56) so as to assist her in the final phase of her pregnancy. “Magnificat anima mea Dominum”, she says on the occasion of that visit, “My soul magnifies the Lord” (Lk 1:46).

In these words she expresses her whole programme of life: not setting herself at the centre, but leaving space for God, who is encountered both in prayer and in service of neighbour – only then does goodness enter the world. Mary’s greatness consists in the fact that she wants to magnify God, not herself. She is lowly: her only desire is to be the handmaid of the Lord (cf.

Lk 1:38, 48). She knows that she will only contribute to the salvation of the world if, rather than carrying out her own projects, she places herself completely at the disposal of God’s initiatives. Mary is a woman of hope: only because she believes in God’s promises and awaits the salvation of Israel, can the angel visit her and call her to the decisive service of these promises. Mary is a woman of faith: “Blessed are you who believed”, Elizabeth says to her (cf. Lk 1:45). The Magnificat – a portrait, so to speak, of her soul – is entirely woven from threads of Holy Scripture, threads drawn from the Word of God. Here we see how completely at home Mary is with the Word of God, with ease she moves in and out of it. She speaks and thinks with the Word of God; the Word of God becomes her word, and her word issues from the Word of God. Here we see how her thoughts are attuned to the thoughts of God, how her will is one with the will of God. Since Mary is completely imbued with the Word of God, she is able to become the Mother of the Word Incarnate. Finally, Mary is a woman who loves. How could it be otherwise? As a believer who in faith thinks with God’s thoughts and wills with God’s will, she cannot fail to be a woman who loves. We sense this in her quiet gestures, as recounted by the infancy narratives in the Gospel. We see it in the delicacy with which she recognizes the need of the spouses at Cana and makes it known to Jesus. We see it in the humility with which she recedes into the background during Jesus’ public life, knowing that the Son must establish a new family and that the Mother’s hour will come only with the Cross, which will be Jesus’true hour (cf. Jn 2:4; 13:1). When the disciples flee, Mary will remain beneath the Cross (cf. Jn 19:25-27); later, at the hour of Pentecost, it will be they who gather around her as they wait for the Holy Spirit (cf. Acts 1:14).

178 C a r i t à P o l i t i c a

42. Alla vita dei Santi non appartiene solo la loro biografia terrena, ma anche il loro vivere ed operare in Dio dopo la morte. Nei Santi diventa ovvio: chi va verso Dio non si allontana dagli uomini, ma si rende invece ad essi veramente vicino. In nessuno lo vediamo meglio che in Maria. La parola del Crocifisso al discepolo – a Giovanni e attraverso di lui a tutti i discepoli di Gesù: «Ecco tua madre» (Gv 19, 27) – diventa nel corso delle generazioni sempre nuovamente vera. Maria è diventata, di fatto, Madre di tutti i credenti. Alla sua bontà materna, come alla sua purezza e bellezza verginale, si rivolgono gli uomini di tutti i tempi e di tutte le parti del mondo nelle loro necessità e speranze, nelle loro gioie e sofferenze, nelle loro solitudini come anche nella condivisione comunitaria. E sempre sperimentano il dono della sua bontà, sperimentano l’amore inesauribile che ella riversa dal profondo del suo cuore. Le testimonianze di gratitudine, a lei tributate in tutti i continenti e in tutte le culture, sono il riconoscimento di quell’amore puro che non cerca se stesso, ma semplicemente vuole il bene.

La devozione dei fedeli mostra, al contempo, l’intuizione infallibile di come un tale amore sia possibile: lo diventa grazie alla più intima unione con Dio, in virtù della quale si è totalmente pervasi da Lui – una condizione che permette a chi ha bevuto alla fonte dell’amore di Dio di diventare egli stesso una sorgente «da cui sgorgano fiumi di acqua viva» (cfr Gv 7, 38). Maria, la Vergine, la Madre, ci mostra che cos’è l’amore e da dove esso trae la sua origine, la sua forza sempre rinnovata. A lei affidiamo la Chiesa, la sua missione a servizio dell’amore:

42. The lives of the saints are not limited to their earthly biographies but also include their being and working in God after death. In the saints one thing becomes clear: those who draw near to God do not withdraw from men, but rather become truly close to them.

In no one do we see this more clearly than in Mary.

The words addressed by the crucified Lord to his disciple – to John and through him to all disciples of Jesus: “Behold, your mother!” (Jn 19:27) – are fulfilled anew in every generation. Mary has truly become the Mother of all believers. Men and women of every time and place have recourse to her motherly kindness and her virginal purity and grace, in all their needs and aspirations, their joys and sorrows, their moments of loneliness and their common endeavours. They constantly experience the gift of her goodness and the unfailing love which she pours out from the depths of her heart. The testimonials of gratitude, offered to her from every continent and culture, are a recognition of that pure love which is not self- seeking but simply benevolent. At the same time, the devotion of the faithful shows an infallible intuition of how such love is possible: it becomes so as a result of the most intimate union with God, through which the soul is totally pervaded by him – a condition which enables those who have drunk from the fountain of God’s love to become in their turn a fountain from which “flow rivers of living water” (Jn 7:38). Mary, Virgin and Mother, shows us what love is and whence it draws its origin and its constantly renewed power. To her we entrust the Church and her mission in the service of love:

Santa Maria, Madre di Dio, tu hai donato al mondo la vera luce, Gesù, tuo Figlio – Figlio di Dio. Ti sei consegnata completamente alla chiamata di Dio e sei così diventata sorgente della bontà che sgorga da Lui. Mostraci Gesù. Guidaci a Lui. Insegnaci a conoscerlo e ad amarlo, perché possiamo anche noi diventare capaci di vero amore ed essere sorgenti di acqua viva in mezzo a un mondo assetato.

Holy Mary, Mother of God, you have given the world its true light, Jesus, your Son – the Son of God. You abandoned yourself completely to God’s call and thus became a wellspring of the goodness which flows forth from him.

Show us Jesus. Lead us to him.

Teach us to know and love him, so that we too can become capable of true love and be fountains of living water in the midst of a thirsting world.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre, solennità del Natale del Signore, dell’anno 2005, primo di Pontificato.

Given in Rome, at Saint Peter’s, on 25 December, the Solemnity of the Nativity of the Lord, in the year 2005, the first of my Pontificate.

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Note

Notes

1 Cfr Jenseits von Gut und Böse, IV, 168.

2 X, 69.

3 Cfr R. Descartes, Œuvres, a cura di V. Cousin, vol. 12, Parigi 1824, p. 95 ss.

4 II, 5: SCh 381, 196.

5 Ibid., 198.

6 Cfr Metafisica, XII, 7.

7 Cfr Pseudo Dionigi Areopagita che, nel suo Sui nomi divini, IV, 12-14: PG 3, 709-713, chiama Dio nello stesso tempo eros e agape.

8 Cfr Il Convito, XIV-XV, 189c-192d.

9 Sallustio, De coniuratione Catilinae, XX, 4.

10 Cfr sant’Agostino, Confessiones, III, 6, 11: CCL 27,32.

11 De Trinitate, VIII, 8, 12: CCL 50, 287.

12 Cfr I Apologia, 67: PG 6, 429.

13 Cfr Apologeticum 39, 7: PL 1, 468.

14 Ep. Ad Rom., Inscr. PG 5, 801.

15 Cfr sant’Ambrogio, De officiis ministrorum, II, 28, 140: PL 16, 141.

16 Cfr Ep. 83: J. Bidez, L’Empereur Julien. Œuvres complètes, Parigi 19602, t. I, 2a, p. 145.

17 Cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), 194: Città del Vaticano 2004, 2a, 205-206.

18 De Civitate Dei, IV, 4: CCL 47, 102.

19 Cfr Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36.

20 Cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), 197; Città del Vaticano 2004, 2a, 209.

21 Giovanni Paolo II, Esort. ap. post sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 42: AAS 81 (1989), 472.

22 Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), 1: L’Osservatore Romano, 17 gennaio 2003, p. 6.

23 Catechismo della Chiesa Cattolica, 1939.

24 Decr. Sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 8.

25 Ibid., 14.

26 Cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), 195: Città del Vaticano 2004, 2a, 206-208.

27 Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. post sinodale Christifideles laici (30 dicembre 1988), 41: AAS 81 (1989), 470-472.

28 Cfr n. 32: AAS 80 (1988), 556.

29 N. 43: AAS 87 (1995), 946.

30 Cfr Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi Apostolorum Successores (22 febbraio 2004), 196: Città del Vaticano 2004, 2 a, 208.

31 Cfr Pontificale Romanum, De ordinatione episcopi, 43.

32 Cfr can. 394; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can.

203.

33 Cfr nn. 193-198, 204-210.

34 Cfr Ibid., 194, 205-206.

35 Sermo 52, 16: PL 38, 360.

36 Cfr Sulpicio Severo, Vita Sancti Martini, 3, 1-3: SCh 133, 256258

1 Cf. Jenseits von Gut und Böse, IV, 168.

2 X, 69.

3 Cf. R. Descartes, Œuvres, ed. V. Cousin, vol. 12, Paris 1824, pp. 95 ff.

4 II, 5: SCh 381, 196.

5 Ibid., 198.

6 Cf. Metaphysics, XII, 7.

7 Cf. Ps.-Dionysius the Areopagite, who in his treatise The Divine Names, IV, 12-14: PG 3, 709-713 calls God both eros and agape.

8 Plato, Symposium, XIV-XV, 189c-192d.

9 Sallust, De coniuratione Catilinae, XX, 4.

10 Cf. Saint Augustine, Confessions, III, 6, 11: CCL 27, 32.

11 De Trinitate, VIII, 8, 12: CCL 50, 287.

12 Cf. I Apologia, 67: PG 6, 429.

13 Cf. Apologeticum, 39, 7: PL 1, 468.

14 Ep. ad Rom., Inscr: PG 5, 801.

15 Cf. Saint Ambrose, De officiis ministrorum, II, 28, 140: PL 16, 141.

16 Cf. Ep. 83: J. Bidez, L’Empereur Julien. Œuvres complètes, Paris 19602, v. I, 2a, p. 145.

17 Cf. Congregation for Bishops, Directory for the Pastoral Ministry of Bishops Apostolorum Successores (22 February 2004), 194, Vatican City 2004, p. 213.

18 De Civitate Dei, IV, 4: CCL 47, 102.

19 Cf. Pastoral Constitution on the Church in the Modern World Gaudium et Spes, 36.

20 Cf. Congregation for Bishops, Directory for the Pastoral Ministry of Bishops Apostolorum Successores (22 February 2004), 197, Vatican City 2004, p. 217.

21 John Paul II, Post-Synodal Apostolic Exhortation Christifideles Laici (30 December 1988), 42: AAS 81 (1989), 472.

22 Cf. Congregation for the Doctrine of the Faith, Doctrinal Note on Some Questions Regarding the Participation of Catholics in Political Life (24 November 2002), 1: L’Osservatore Romano, English edition, 22 January 2003, p. 5.

23 Catechism of the Catholic Church, 1939.

24 Decree on the Apostolate of the Laity Apostolicam Actuositatem, 8.

25 Ibid., 14.

26 Cf. Congregation for Bishops, Directory for the Pastoral Ministry of Bishops Apostolorum Successores (22 February 2004), 195, Vatican City 2004, pp. 214-216.

27 Cf. John Paul II, Post-Synodal Apostolic Exhortation Christifideles Laici (30 December 1988), 41: AAS 81 (1989), 470-472.

28 Cf. No. 32: AAS 80 (1988), 556.

29 No. 43: AAS 87 (1995), 946.

30 Cf. Congregation for Bishops, Directory for the Pastoral Ministry of Bishops Apostolorum Successores (22 February 2004), 196, Vatican City 2004, p. 216.

31 Cf. Pontificale Romanum, De ordinatione episcopi, 43.

32 Cf. can. 394; Code of Canons of the Eastern Churches, can.

203.

33 Cf. Nos. 193-198: pp. 212-219.

34 Ibid., 194: pp. 213-214.

35 Sermo 52, 16: PL 38, 360.

36 Cf. Sulpicius Severus, Vita Sancti Martini, 3, 1-3: SCh 133, 256-258.

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L’enciclica “Deus Caritas est” ed il mondo politico L’encyclique Deus Caritas Est et le monde politique JOSEPH JOBLIN SJ

JOSEPH JOBLIN SJ

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Pregiudizi e false idee sulla politica

Les fausses idées de la politique

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Pontificia Università Gregoriana

a recente enciclica di Papa Benedetto XVI è centrata su uno degli insegnamenti del cristianesimo rivelato da Cristo, vale a dire che Dio è Amore. Un lettore frettoloso potrebbe pensare, per questo motivo, che la stessa non abbia molto importanza per un uomo impegnato nelle attività politiche poiché la prima parte sviluppa gli insegnamenti della teologia fondamentale su Dio e che la seconda riunisce un certo numero di direttive pratiche relative alla partecipazione dei cristiani a quelle opere chiamate tradizionalmente di carità. Un tale giudizio merita di essere approfondito. Sarebbe infatti sorprendente che il messaggio inaugurale del primo Papa del XXI secolo abbia compiuto, inspiegabilmente, una rottura così radicale con l’abitudine dei suoi predecessori di annunciare fin dall’inizio del loro pontificato il punto di vista con cui verrebbero considerati i rapporti della Chiesa e dei cristiani con il mondo. Si potrebbe aggiungere per rafforzare questo dubbio che il “Vaticano II” abbia avuto proprio la preoccupazione di ridefinire le loro relazioni con le diverse correnti di pensiero filosofico o religioso e che il giovane teologo dell’arcivescovo di Colonia, di cui l’influenza al concilio fu considerevole, si chiamava appunto Joseph Ratzinger. L’enciclica Deus Caritas est apporta infatti degli elementi per approfondire la relazione tra la politica ed un’ispirazione religiosa fondata su una migliore conoscenza del mistero della carità; così sarà possibile restituire alla politica la dimensione umana che oggi deve avere.

l termine “politica” si presta troppo spesso ad essere equivocato. Per i filosofi significa l’arte di governare le società umane scegliendo i modi appropriati per soddisfare i bisogni di coloro che le compongono (Robert); quanto ai giuristi ed ai sociologi, la loro attenzione si posa di più sull’attitudine di chi governa ad ottenere e realizzare il bene comune nel suo contesto storico.

Pontificia Università Gregoriana

a récente encyclique du Pape Benoît XVI est centrée sur un des enseignements du christianisme révélé par le Christ, à savoir que Dieu est Amour. Un lecteur pressé pourrait penser, de ce fait, qu’elle ne présente guère d’importance pour un homme engagé dans les activités politiques puisque la première partie développe les enseignements de la théologie fondamentale sur Dieu et que la seconde rassemble un certain nombre de directives pratiques relatives à la participation des chrétiens à ces oeuvres appelées traditionnellement de charité. Un tel jugement mérite d’être soumis à examen. Il serait en effet surprenant que le message inaugural du premier Pape du XXIème siècle ait opéré, sans explication, une rupture aussi radicale avec l’habitude de ses prédécesseurs d’annoncer dès le début de leur pontificat l’angle sous lequel ils considéreraient les rapports de l’Eglise et des chrétiens avec le monde. On pourrait ajouter pour renforcer ce doute que Vatican II a précisément eu le souci de redéfinir leurs relations avec les divers courants de pensée philosophiques ou religieux et que le jeune théologien de l’archevêque de Cologne dont l’influence au concile fut considérable s’appelait précisément Joseph Ratzinger. L’encyclique Deus Caritas est apporte en fait des éléments pour approfondir la relation entre la politique et une inspiration religieuse fondée sur une meilleure connaissance du mystère de la charité; ainsi sera-t-il possible de restituer à la politique la dimension humaine qu’elle doit prendre aujourd’hui.

e terme “politique” prête trop souvent à équivoque. Il désigne chez les philosophes l’art de gouverner les sociétés humaines en choisissant les moyens appropriés pour satisfaire aux besoins de ceux qui les composent (Robert); quant aux juristes et aux sociologues, leur attention se porte davantage sur l’aptitude de celui qui gouverne à obtenir et réaliser le bien commun dans le contexte historique qui est le sien. Comme

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Dato che la realizzazione di un tale obiettivo presuppone grande capacità da parte dei governanti e che l’accortezza ch’essa richiede sfugge al giudizio, ciò ha prodotto un’immagine della politica come “l’arte di ingannare gli uomini” (d’Alembert) o qualcosa di vizioso quale una volontà morbosa di conquistare e di conservare il potere a qualunque prezzo.

Queste opinioni contrastanti sulla politica permettono di capire il pericolo che minaccia colui che si impegna generosamente in attività sociali o politiche al servizio della comunità.

Non mancano esempi di coloro che hanno ceduto alla tentazione del potere o della ricchezza o che, basandosi su teorie e principi errati, in tutta buona fede, sono andati contro il bene che credevano di perseguire. Mentre i secoli passati sono stati spesso segnati dalle deviazioni derivanti da una volontà di dominio di un uomo o di una parte, il secolo appena trascorso è stato quello in cui delle ideologie perverse sono state all’origine di due guerre mondiali e di numerose violazioni dei diritti umani. Senza svolgere una nuova diagnosi sul malessere delle società contemporanee ed il fallimento dei loro sforzi per stabilire una pace giusta, durevole ed universale (giacché questo non è più da fare), l’enciclica di Benedetto XVI invita a riflettere sul ruolo della carità nella vita delle società.

la réalisation d’un tel objectif suppose de l’habileté de la part des gouvernants et que la souplesse qu’elle requiert échappe à l’opinion, celle-ci en est venue à voir dans la politique “l’art de tromper les hommes” (d’Alembert) ou quelque chose de vicieux comme une volonté maladive de conquérir et de conserver le pouvoir quel que en soit le prix. Ces approches contrastées de la politique permettent de percevoir le danger qui menace celui qui se lance généreusement dans des activités sociales ou politiques au service d’une communauté humaine. Les exemples ne manquent pas de ceux qui ont cédé à la tentation du pouvoir ou de la richesse ou qui, se guidant sur des théories et principes erronés, ont été conduits, en toute bonne foi, à aller à l’encontre du bien qu’ils croyaient poursuivre. Tandis que les siècles passés ont été souvent marqués par les déviations tenant à la volonté de domination d’un homme ou d’un parti celui qui vient de s’achever a été le lieu où des idéologies perverses ont été à l’origine de deux guerres mondiales et de nombreuses violations des droits de l’homme. Sans porter un nouveau diagnostic sur le malaise des sociétés contemporaines et leur échec dans leurs efforts pour établir une paix juste, durable et universelle (puisque celui-ci n’est plus à faire), l’encyclique de Benoît XVI invite à réfléchir sur le rôle de la charité dans la vie des sociétés.

La politica secondo il cristianesimo

La politique selon le christinisme

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e società contemporanee rimarranno nella storia come quelle che hanno suscitato un grande ideale, quello della difesa e della promozione dei diritti individuali e sociali delle persone e dei popoli; ma nello stesso tempo, è gioco forza constatare la sua impotenza a trovare la spinta morale sufficiente per far entrare questo ideale nella realtà. Durante i millenni, le società hanno creduto di assicurare la felicità dei popoli affidando alle autorità il potere di proteggerli dalle aggressioni esterne sviluppando una forza militare superiore a quella di tutti gli eventuali avversari.

La pace era allora intesa come una non guerra garantita dalla forza. Questa concezione della pace si è progressivamente democratizzata. Un primo passo in

es sociétés contemporaines resteront dans l’histoire comme celles qu’un immense idéal a soulevées, celui de la défense et de la promotion des droits individuels et sociaux des individus et des peuples; mais en même temps, force sera de constater son impuissance à trouver la force morale suffisante pour inscrire cet idéal dans la réalité. Pendant des millénaires, les sociétés ont pensé assurer le bonheur des peuples en confiant aux autorités le pouvoir de les protéger des agressions extérieures en développant une force militaire supérieure à celle de tout adversaire éventuel. La paix était alors conçue comme une non guerre garantie par la force. Cette conception de la paix s’est progressivement démocratisée.

182 C a r i t à P o l i t i c a

questo senso si è avuto quando nella mentalità comune si è fatta strada l’idea che la pace era innanzitutto opera di giustizia, vale a dire che se ogni individuo ed ogni popolo avevano a disposizione i beni che a loro erano “giustamente” spettanti, sarebbe scomparsa la principale causa dei loro scontri; questo fu il caso della Società delle Nazioni, dove i governanti erano visti come i soli responsabili della costruzione di società giusta.

Un nuova concezione della pace si è imposta dopo la seconda guerra mondiale; la sua realizzazione dipende sempre dalla giustizia, che però non la si aspetta più soltanto dai governanti; la capacità dei popoli di dividere una stessa concezione dei valori sui quali è fondata la pace è vista come una condizione indispensabile della sua instaurazione sebbene essi vantino civilizzazioni diverse. L’enciclica permette di capire come e perché i cristiani, che hanno una certa concezione della verità, possono condividere con gli altri uomini uno stesso approccio sulle questioni della giustizia.

Un premier pas a eu lieu en ce sens quand s’est répandue dans les mentalités l’idée que la paix était avant tout oeuvre de justice, c’est à dire que si chaque individu et chaque peuple avaient à leur disposition les biens qu’ils estimaient leur revenir “en justice” disparaîtrait la principale cause de leurs affrontements; comme ce fut encore le cas avec la Société des Nations, les gouvernants étaient regardés comme les seuls responsables de la construction d’une société juste. Une nouvelle conception de la paix s’est imposée à la suite de la deuxième guerre mondiale; sa réalisation dépend toujours toujours de la justice; mais celle-ci n’est plus attendue des seuls gouvernants; la capacité des peuples à partager une même conception des valeurs sur lesquelles elle est fondée est vue comme une condition indispensable de son instauration bien qu’ils se réclament de civilisations diverses. L’encyclique permet de comprendre comment et pourquoi le chrétiens qui ont une certaine conception de la vérité peuvent partager avec les autres hommes une même approche des questions de justice.

Giustizia e carità

Justice et charité

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L’

opinione pubblica è colpita dall’opposizione che i Papi hanno manifestato da due secoli a molti dei principi e valori che sono alla base delle politiche governative dell’Occidente.

La ragione è che la preoccupazione maggiore della Chiesa, quando tratta le questioni sociali, è di attirare l’attenzione delle popolazioni sui rischi per le sorti della civiltà che possono celarsi dietro a delle decisioni o raccomandazioni lusinghiere ed apparentemente poco rilevanti1.

Gli interventi della Chiesa nel campo sociale derivano dalla sua antropologia; essa vede nell’uomo un essere storico. Per il credente, le conoscenze scientifiche sull’origine del mondo, l’apparizione della vita ed il suo sviluppo non sono degli eventi il cui succedersi è privo di significato; dietro le realtà terrestri e cosmiche vi è un progetto; esiste un Mistero della Società e della Storia (Fessard) che la Chiesa ed i cristiani desiderano fare scoprire ad un mondo che non ci crede.

La Chiesa cerca di entrare in dialogo con esso, come ha espresso Paolo VI nella sua enciclica inaugurale Ecclesiam suam; ma per essere realizzabile, questo sogno presuppone che si trovi una base su cui le varie e diverse correnti di pensiero possano costruire

opinion publique est frappée par l’opposition que les Papes ont manifesté depuis deux siècles à plusieurs des principes et valeurs qui sont à la base des politiques gouvernementales de l’Occident.

La raison en est que le souci majeur de l’Eglise quand elle aborde les questions sociales est d’attirer l’attention des populations sur les enjeux de civilisation qui peuvent se cacher derrière des décisions ou recommandations pleines d’attraits et apparemment anodines1. Les interventions de l’Eglise dans le champ social procèdent de son anthropologie; celle-ci voit en l’homme un être historique.

Pour le croyant, les connaissance scientifiques sur l’origine du monde, l’apparition de la vie et son développement ne sont pas des événements dont la succession est dénuée de signification; un projet se trouve derrière les réalités terrestres et cosmiques; il existe un Mystère de la société et de l’Histoire (Fessard) que l’Eglise et les chrétiens souhaitent faire découvrir à un monde qui n’y croit pas. Elle cherche à entrer en dialogue avec lui comme l’a exprimé Paul VI dans son encyclique inaugurale Ecclesiam suam; mais pour être réalisable, ce rêve suppose que soit trouvée la base sur laquelle construire la compréhension mutuelle des divers courants de pensée.

C a r i t à P o l i t i c a 183

una mutua comprensione.

L’etica sembra essere un terreno favorevole dato che è costituita da un insieme di principi che indirizzano la comunità umana in un dato periodo 2.

L’éthique paraît être un terrain favorable puisqu’elle est constituée par un ensemble de principes qui structurent la communauté humaine à un moment donné 2.

Un’etica consensuale

Une éthique consensuelle

G

L

Situazione della Chiesa rispetto alla formazione di un’etica consensuale

Situation de l’Eglise par rapport à la formation d’une éthique consensuelle

L’

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li individui ed i gruppi che partecipano in un modo o nell’altro all’elaborazione di una politica comune su scala nazionale o mondiale cercano di formulare valori comuni sui quali fondare la loro coesistenza pacifica. La Santa Sede partecipa a questo sforzo. Così fu nella Conferenza di Helsinki dove Est ed Ovest si accordarono su alcuni principi fondamentali, particolarmente in materia di diritti umani, e si sforzarono poi di riavvicinare le differenti interpretazioni che loro ne davano e di precisarne di comune accordo il contenuto. Così con i grandi summit mondiali delle Nazioni Unite dove una maggioranza fa conosce i principi guida che intende portare avanti per una politica mondiale.

Questo metodo, che è quello delle società pluraliste, non permette ad alcuna nazione, a nessun gruppo di nazioni, ad alcuna società o regime economico, di concepire da soli una morale per gli altri3. Taluni che non sentono la necessità di adattare le relazioni internazionali alla dinamica di avvicinamento che attrae le società, temono che ciò porti a ridurre le esigenze etiche ad un minimo; gli altri guardano questo consenso di base come il solo su cui spingere più avanti la costruzione di un mondo giusto come avvenne nella Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa di Helsinki a cui partecipava la Santa Sede.

importanza della formazione di un’etica consensuale è stato uno dei punti essenziali dell’allocuzione pronunciata da Paolo VI davanti alla Conferenza Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969). Per lui, una “concezione morale, umana... ispira” gli attori della vita internazionale. Prendendo sempre più coscienza delle esigenze del bene comune, essi la “(traducono) in nuove regole di comportamento sociale... (assicurando) così il passaggio permanente dall’ordine ideale dei principi all’ordine giuridico, vale a dire al diritto positivo”. Esiste, diceva ancora

es individus et les groupes qui participent d’une manière ou d’une autre à l’élaboration d’une politique commune à l’échelle nationale ou mondiale cherchent à formuler les valeurs communes sur lesquelles fonder leur coexistence pacifique. Le SaintSiège prend part à cet effort. Ainsi en fut-il dans le processus d’Helsinki durant lequel l’Est et l’Ouest s’accordèrent sur quelques principes fondamentaux, notamment en matière de droits de l’homme, et s’efforcèrent ensuite de rapprocher les interprétations différentes qu’ils en donnaient comme d’en préciser le contenu d’un commun accord. Ainsi avec les grand sommets mondiaux des Nations Unies où une majorité fait connaître les principes directeurs qu’elle conçoit pour une politique mondiale. Cette méthode, qui est celle des sociétés pluralistes, ne permet à aucune nation, aucun groupe de nations, aucune société ou régime économique, de produire à lui tout seul une morale pour les autres 3. Certains qui ne sentent pas la nécessité d’adapter les relations internationales à la dynamique de rapprochement qui entraîne les sociétés craignent qu’elle ne conduise à réduire les exigences éthiques à un simple minimum; les autres regardent ce consensus de base comme le seuil sur lequel pousser plus avant la construction d’un monde juste comme il en a été dans le processus d’Helsinki auquel participait le Saint-Siège.

importance de la formation d’une éthique consensuelle a été l’un des points essentiels de l’allocution prononcée par Paul VI devant la Conférence internationale du Travail (10 juin 1969). Pour lui, une “conception morale, humaine ... inspire” les acteurs de la vie internationale. Prenant toujours plus conscience des exigences du bien commun, ils la “(traduisent) en de nouvelles règles de comportement social ... (assurant) ainsi le passage permanent de l’ordre idéal des principes à l’ordre juridique, c’est à dire au droit positif”. Il existe, devait encore

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Paolo VI, un “progresso della coscienza morale dell’umanità” al quale la Chiesa intende partecipare occupandosi delle preoccupazioni dell’uomo, traendo l’impegno dalla carità.

La Chiesa, di fatto, è una delle forze che rendono saldo il mondo contemporaneo così come ne testimonia l’attenzione internazionale nei confronti della Santa Sede o l’accoglienza riservata ai Papi dai popoli che non hanno legami con il cristianesimo4. La mondializzazione ed il pluralismo che l’ accompagna hanno portato la Chiesa a riflettere sulla sua responsabilità come depositaria della storia soprannaturale dell’umanità in quanto dà senso alle storie naturali e temporali delle società, anche a quelle estranee al cristianesimo. Essa interpreta l’attualità in funzione di un passato e di un avvenire dove essa dice iscriversi il destino di ogni uomo; insiste sulle esigenze etiche della crescita umana riordinando le situazioni particolari e susseguenti in una storia che le include tutte.

Il contributo maggiore della Chiesa al dibattito sociale non viene da un sistema filosofico; il suo fine non è di convincere, con argomenti razionali, dell’esattezza di una dottrina di cui chiederebbe l’applicazione, perché questa apparirebbe esterna alle realtà del mondo di coloro che non ne accettano i presupposti. Rendendo chiaro ciò che lei intende come verità, prende parte agli sforzi delle società per crescere in umanità; il suo discorso e la sua azione poggiano su un’antropologia. La fede cristiana dà una comprensibilità a “la realtà organica della storia” e ne spiega la “ragion d’essere”5. La Chiesa pensa che ogni essere umano è alla ricerca della verità e si sente impegnata nell’accompagnarlo dentro la realtà facendone corrispondere le sue azioni quotidiane; chiama ogni individuo ad usare la sua libertà per aderirvi “nel rispetto assoluto dell’ordine stabilito da Dio”6; presenta l’attualità come inserita in una storia; denuncia l’illusione così diffusa nell’epoca contemporanea che le generazioni presenti hanno il potere di costruire il futuro a partire da una tabula rasa7; per la Chiesa, le società umane non possono staccarsi dalle “strutture consacrate dalla storia”8; c’è una solidarietà delle generazioni nella loro marcia verso un termine e gli uomini in un momento non possono gettare l’esperienza delle civilizzazioni su cui si appoggia la ricerca della verità per le generazioni successive. L’abolizione delle “strutture di peccato” (Giovanni Paolo II) e delle loro conse-

dire Paul VI un “progrès de la conscience morale de l’humanité” auquel elle entend participer en faisant état du souci de l’homme qu’elle tire de la charité.

Elle est, de ce fait, l’une des forces qui stabilisent le monde contemporain ainsi qu’en témoigne l’audience internationale du Saint-Siège ou l’accueil réservé aux Papes par des peuples sans lien avec le christianisme 4. La mondialisation et le pluralisme qui l’accompagne l’ont conduite à réfléchir sur sa responsabilité comme dépositaire de l’histoire surnaturelle de l’humanité en tant qu’elle donne sens aux histoires naturelle et temporelle des sociétés, même de celles étrangères au christianisme. Elle interprète l’actualité en fonction d’un passé et d’un avenir où elle dit s’inscrire le destin de tout homme; elle insiste sur les exigences éthiques de la croissance humaine en replaçant les situations particulières et successives dans une histoire qui les englobe toutes. La contribution majeure de l’Eglise au débat social ne vient pas d’un système philosophique; son but n’est pas de convaincre par des arguments rationnels de la justesse d’une doctrine dont elle demanderait l’application car celle-ci apparaîtrait extrinsèque aux réalités du monde à ceux qui n’en acceptent pas les présupposés. S’éclairant de ce qu’elle tient pour la vérité, elle prend part aux efforts des sociétés pour croître en humanité; son discours et son action reposent sur une anthropologie. La foi chrétienne donne une intelligibilité à “la réalité organique de l’histoire” et en explique la “raison d’être”5. L’Eglise pense que tout être humain est à la recherche de la vérité et se sent tenu de l’inscrire dans la réalité en y conformant ses actions quotidiennes; elle appelle tout individu à s’aider de sa liberté pour y adhérer “dans le respect absolu de l’ordre établi par Dieu”6; elle présente l’actualité comme inscrite dans une histoire; elle dénonce l’illusion si répandue à l’époque contemporaine que les générations présentes ont le pouvoir de construire le futur à partir d’une table rase7; pour elle, les sociétés humaines ne peuvent s’écarter des “structures consacrées par l’histoire”8; il y a une solidarité des générations dans leur marche vers un terme et les hommes d’un moment ne peuvent rejeter l’acquis des civilisations sur lequel s’appuie la recherche de la vérité par les générations successives. L’abolition des “structures de péché” (JeanPaul II) et de leurs conséquences négatives doit devenir l’objectif qui rassemble aujourd’hui tous les

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guenze negative, oggi deve diventare l’obiettivo che accomuna tutti gli uomini. È su questo ultimo aspetto che si sviluppa la seconda parte dell’enciclica di Benedetto XVI. La solidarietà alla considerazione dei più poveri non chiede soltanto di aiutarli dando loro un’assistenza materiale ma di rimediare alle decisioni ed alle scelte che hanno portato alle ingiuste condizioni che conosciamo. Per la Chiesa, la tentazione sarebbe di fare riferimento esclusivamente ad una spiegazione economica o ad una teoria politica mentre non si possono dissociare le evoluzioni naturali e storiche dalla vocazione soprannaturale di ogni uomo e dall’intervento con il quale Dio opera la salvezza del mondo. Per il credente, l’umanità è prigioniera della volontà di dominio del forte sul debole come della rivalità delle persone e dei popoli; ma non sprofonda per questo nel pessimismo perché, per il credente, l’intervento di Dio permette di sfuggire a questi determinismi entrando nella logica della carità9. La riflessione cristiana non ha ancora sufficientemente integrato questa dimensione di teologia storica nella riflessione morale; le decisioni e le scelte del credente, anche in materia socio-politica, “si attualizzano” nel momento in cui egli vive l’opera di riconciliazione compiuto da Cristo nel corso dei secoli correggendo, là dove egli è, e nella misura che dipende da lui, il movimento naturale delle forze di aggressione e di odio.

hommes. C’est ce dernier aspect que développe la seconde partie de l’encyclique de Benoît XVI. La solidarité à l’égard des plus pauvres ne demande pas seulement de leur venir en aide en leur accordant une assistance matérielle mais de remédier aux décisions et aux choix qui ont conduit aux situations injustes que nous connaissons.

Pour l’Eglise, la tentation serait de s’en remettre exclusivement à une explication économique ou à une théorie politique alors qu’on ne peut dissocier les évolutions naturelles et historiques de la vocation surnaturelle de tout homme et de l’intervention par laquelle Dieu opère le salut du monde. Pour le croyant, l’humanité est prisonnière de la volonté de domination du fort sur le faible comme de la rivalité des personnes et des peuples; mais il ne sombre pas pour autant dans le pessimisme car, pour lui, l’initiative de Dieu permet d’échapper à ces déterminismes en entrant dans la logique de la charité9. La réflexion chrétienne n’a pas encore suffisamment intégré cette dimension de théologie historique dans la réflexion morale; les décisions et les choix du croyant, même en matière socio-politique, “actualisent” dans le moment où il vit, l’oeuvre de réconciliation accomplie par le Christ au cours des siècles en corrigeant, là où il est, et dans la mesure qui dépend de lui, le mouvement naturel des forces d’agression et de haine.

Ruolo della carità

Rôle de la charité

I

L

Un legame esterno

Un lien externe

I

L

l contenuto della giustizia ha per se stesso qualcosa di indeterminato, anche per quello che la percepisce come un imperativo assoluto. Il cristiano si appella alla carità per rimuovere questa ambiguità perché stabilisce un legame contemporaneamente esterno ed interno tra queste due virtù.

l progresso delle società dipende da una sorta di “navetta” tra la conoscenza delle realtà economiche, sociali, politiche, religiose, culturali e l’ideale di società a cui aspira l’essere umano; questo interscambio gli permette di migliorare continuamente la percezione che egli ha della realtà e di rivalutare lo schema di azione che era stato elaborato per sgombrarlo da condizionamenti che gli derivavano dal passato.

e contenu de la justice a par lui-même quelque chose d’indéterminé, même pour celui qui la perçoit comme un impératif absolu.

Le chrétien en appelle à la charité pour lever cette ambiguïté car il établit un lien à la fois externe et interne entre ces deux vertus.

e progrès des sociétés dépend d’une sorte de “navette” entre la connaissance des réalités économiques, sociales, politiques, religieuses, culturelles et l’idéal de société que poursuit l’être humain; cet échange lui permet d’améliorer sans cesse la perception qu’il a de la réalité et de réévaluer le schéma d’action qui avait été élaboré afin de le débarrasser d’interprétations qu’il tenait du passé.

186 C a r i t a P o l i t i c a

Il cristiano si lascia guidare in questa rivalutazione dalla carità; è la carità che permette di eliminare l’ambiguità tra le diverse possibili opzioni che la giustizia propone.

La carità spinge a preoccuparsi dell’altro e, anche se ciò ha un costo, alla ricerca di ciò che gli è necessario per raggiungere il suo pieno sviluppo materiale e spirituale nella società; la carità è come un “motore” 10 che mette in moto la ricerca della giustizia e chiede di non fermarsi per strada; facendo scoprire sempre meglio quali riforme promuovere nella società per ottenere il bene delle persone, ha un orientamento pratico; “essa immette in una migliore intelligenza della natura e delle sue esigenze”11; sveglia nelle coscienze la volontà di eliminare ciò che percepisce come contrario alla dignità umana; favorisce il dialogo sociale perché conduce il cristiano ad incontrarsi con i detentori di altre “forze di valori e di ideali” 12 per scoprire insieme ciò che è bene per l’uomo in un dato periodo e come assicurarlo.

Le chrétien se laisse guider dans cette réévaluation par la charité; c’est elle qui permet de lever l’ambiguïté entre les diverses options possibles que propose la justice.

La charité pousse au souci de l’autre et, même s’il en coûte, à la recherche de ce qui lui est nécessaire pour atteindre son plein développement matériel et spirituel dans la société; elle est comme un “moteur”10 qui met en mouvement la recherche de la justice et demande de ne pas s’arrêter en chemin; faisant découvrir toujours mieux quelles réformes promouvoir dans la société pour atteindre le bien des personnes, elle a une orientation pratique; “elle introduit dans une meilleure intelligence de la nature et de ses exigences”11; elle éveille dans les consciences la volonté d’éliminer ce qu’elle perçoit comme contraire à la dignité humaine; elle favorise le dialogue social car elle conduit le chrétien à se rencontrer avec les tenants d’autres “forces d’idéal”12 pour découvrir ensemble ce que requiert le bien de l’homme à un moment donné et comment l’assurer.

Un legame essenziale

Un lien essentiel

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Carità sociale e carità politica

Carità sociale e carità politica

“L’

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a carità fa entrare il credente nella dimensione religiosa della storia umana e lo incita ad esserne il testimone. Il Cristo è per il credente il modello della carità e della sua pratica; rinunciando a ciò a cui aveva diritto in quanto Figlio di Dio e prendendo la condizione di servo, è venuto a restaurare la giustizia nel mondo13.

Il Vangelo mette il credente in una disposizione di spirito che rende limpido il suo giudizio; egli sostituisce alle passioni, che lo portano al male, quelle della riconciliazione e dell’unità come le ha vissute il Cristo; egli invita ciascuno a decidere quotidianamente da una lato a rifiutare ogni coinvolgimento in azioni che sono in contraddizione con la storia soprannaturale del mondo e dall’altro a decidere, come una “questione di fatto” 14, il modo di conciliare i diversi impegni ed obbligazioni che nell’immediato lo riguardano, e ciò per fedeltà alla “Verità”.

impegno (del cristiano) per un ordine giusto dello Stato e della società” non si compie solo in modo individuale; prende ugualmente una forma

e La charité fait entrer le croyant dans la dimension religieuse de l’histoire humaine et l’incite à en être le témoin. Le Christ est pour le croyant le modèle de la charité et de sa pratique; c’est en renonçant à ce à quoi il avait droit en tant que Fils et en prenant la condition d’esclave qu’il est venu restaurer la justice dans le monde13.

L’Evangile met le croyant dans une disposition d’esprit qui clarifie son jugement; il substitue aux passions qui l’égarent celles de la réconciliation et de l’unité telles que vécues par le Christ; il invite chacun à se décider quotidiennement d’une part en refusant toute coopération aux actions qui sont en contradiction avec l’histoire surnaturelle du monde et d’autre part en décidant, comme une «question de fait»14, comment concilier les diverses obligations qui pèsent sur lui dans l’instant, et cela par fidélité à la “Vérité”.

engagement (du chrétien) pour un ordre juste de l’Etat et de la société” (29) n’a pas seulement lieu d’une manière individuelle; il prend également

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organizzata sia che si tratti dell’azione caritatevole o di quella nella sfera politica in vista della formazione di strutture giuste. Il Papa insiste nell’enciclica sul primo di questi aspetti; egli parla di “carità sociale”15; questa è una disposizione a fare dell’esigenza di solidarietà il motivo più elevato per impegnarsi nella ricerca di soluzioni ai problemi socio-economici che devono affrontare le società.

Il Consiglio pontificio di Cor unum è allora presentato come “l’istanza della Santa Sede responsabile per l’orientamento e il coordinamento tra le organizzazioni e le attività caritative promosse dalla Chiesa cattolica” (32), come lo è già con quelle attività nel settore delle cure e dell’assistenza sanitaria. La loro importanza è in effetti considerevole, anche se i mass media prestano poca attenzione ai 113.257 centri sanitari di cui la Chiesa dispone attualmente16, ciò deriva dal fatto che il loro personale preferisce lavorare nel silenzio e lo fa con mezzi limitati. La loro preoccupazione è di non “dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, diventandone una semplice variante” (31) perché loro hanno una “luce” propria che deriva dalla carità che motiva i volontari che vi si impegnano. Benedetto XVI parla qui di un “attenzione del cuore” che porta a consacrarsi ad altri e fa scoprire all’altro una ricchezza di umanità.

Potrebbe sembrare che la “carità sociale” sia divenuta ora la parola d’ordine dei movimenti della Chiesa e che la “carità politica2 di cui Pio XI aveva fatto il centro del suo discorso alla FUCI il 18 dicembre del 1927, dovrebbe ricevere meno attenzione; ma la “fabbrica del futuro” è condizionata dalle attività politiche che hanno per scopo, per il cristiano, di mettere a disposizione di ciascuno i mezzi “per essere più” diventando “l’artefice della sua riuscita”17. La carità politica è la capacità di iscrivere nella realtà l’impegno della crescita umana delle società facendo “accedere l’uomo ad una nuova fioritura, ad un umanesimo trascendente che gli potrà dare la sua più grande pienezza”18. Un’azione non raggiunge realmente la sua meta se non è motivata da un sentimento che nasce dall’intimo dell’individuo. Parlando di questa questione nel suo libro Pratica di Carità Politica, il professor Luciani cita Goethe “non si impara a conoscere se non ciò che si ama e quanto più profonda e completa ha da essere la conoscenza tanto più forte, energico e vivo dev’essere l’amore” (p.76).

Colui che vive della carità è portato ad impegnarsi

une forme organisée qu’il s’agisse de l’action caritative ou de celle dans la sphère politique en vue de la formation de structures justes. Le Pape insiste dans l’encyclique sur le premier de ces aspects; il parle de “carità sociale”15; celle-ci est une disposition à faire de l’exigence de solidarité le motif le plus puissant pour s’engager dans la recherche de solutions aux problèmes socio-économiques que doivent affronter les sociétés. Le Conseil pontifical Cor unum est alors présenté comme “l’instance responsable de l’orientation et de la coordination des organisations et des activités caritatives promues par l’Eglise universelle” (32), comme il en est déjà avec celles actives dans le domaine des soins de santé. Leur importance est en effet considérable, même si les médias prêtent peu d’attention aux 113.257 centres de santé dont l’Eglise dispose actuellement 16, ce qui est la rançon de ce que leur personnel préfère travailler dans le silence et le fait avec des moyens limités. Leur souci est de ne pas “se dissoudre dans une organisation commune d’assistance en en devenant une simple variante” (31) car elles ont une “splendeur” propre qui vient de la charité qui motive les volontaires qui s’y engagent. Benoît XVI parle ici d’une “attention du coeur” qui porte à se consacrer à autrui et fait découvrir à l’autre une richesse d’humanité.

Il pourrait sembler que la “charité sociale” serait devenue maintenant le mot d’ordre des mouvements d’Eglise et que la “carità politica” dont Pie XI avait fait le centre de son discours à la FUCI en 1927 (18 décembre) devrait recevoir moins d’attention; mais la “fabbrica del futuro” est conditionnée par les activités politiques qui ont pour but, pour le chrétien, de mettre à la disposition de chacun les moyens d’“être plus” en devenant “l’artisan de sa réussite”17. La charité politique est cette disposition à inscrire dans la réalité le devoir de croissance humaine des sociétés en faisant “accéder l’homme à un épanouissement nouveau, à un humanisme transcendant qui lui donne sa plus grande plénitude”19. Une action n’atteint véritablement son but que si elle est motivée par un sentiment qui sourd de l’intime de l’individu. Parlant de cette question dans son livre Pratica di Carità Politica, le professeur Luciani cite Goethe “non se impara a conoscere se non ciò che si ama e quanto più profonda e completa ha de essere la conoscenza tanto più forte, energico e vivo dev’essere l’amore” (p. 76). Celui qui vit de la charité est

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nella politica ad un doppio livello; a quello della progettazione, dove si decide quali sono i valori ai quali dare priorità in funzione delle circostanze e dei momenti storici; a quello della pratica, dove si iscrivono nella realtà le priorità che sono state fissate per l’azione sociale. A ciascuno di questi livelli, il cristiano incontra quelli che vengono definiti gli “uomini di buono volontà” i quali si preoccupano di cercare per mezzo della sola ragione la soluzione delle questioni culturali e sociali incontrate e che vogliono esprimere la loro solidarietà con quelli nel bisogno, che sia materiale, psicologico o spirituale. Così si trova presente in ogni uomo questo sentimento di umanità sul quale si edifica un’etica mondiale.

* * * Forse la lettura dell’enciclica può sembrare difficile a quelli che non hanno familiarità con il pensiero teologico. È tuttavia addentrandosi nel suo insegnamento che i cristiani potranno entrare senza paura nel mondo pluralista in cui vivono e coloro i quali non condividono la loro fede potranno capire la sincerità ed il disinteresse della loro cooperazione per una politica comune.

conduit à s’engager dans la politique à un double niveau; à celui de la conception, où se décide quelles sont les valeurs auxquelles donner priorité en fonction des circonstances et des époques; à celui de la pratique, où s’inscrivent dans la réalité les priorités qui ont été fixées pour l’action sociale. A chacun de ces niveaux, le chrétien rencontre ceux qu’on appelle les “hommes de bonne volonté” qui se soucient de chercher par la seule raison la solution des questions culturelles et sociales rencontrées et qui veulent exprimer leur solidarité avec ceux dans le besoin qu’il soit matériel, psychologique ou spirituel. Ainsi se trouve présent en chaque homme ce sentiment d’humanité sur lequel s’édifie une éthique mondiale.

* * * Sans doute la lecture de l’encyclique peut-elle paraître ardue à ceux qui ne sont pas familiarisés avec la pensée théologique. C’est cependant en se pénétrant de son enseignement que les chrétiens pourront entrer sans crainte dans le monde pluraliste où ils doivent vivre et que ceux qui ne partagent leur foi pourront comprendre la sincérité et le désintéressement de leur coopération à une politique commune.

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Note

1 E. MONTFORT, La famiglia, la grande dimenticata dall’Europa in Familia et Vita 2004/ 1 e 2 pp. 96-108. Questo articolo mostra come le risoluzioni d’una commissione del Parlamento europeo possono modificare lentamente il contenuto dato generalmente ai valori più comuni.

2 L’etica è qui considerata come derivante dal consenso che, di fatto, si forma empiricamente nelle società in opposizione alla morale collegata ad una valutazione giudicante in ultima istanza tutte le altre.

3 W.G. MUELDER, Foundation of the Responsible Society, Abington New York 1959 citato da R. BOSC, Sociologie de la paix Spes Paris 1965 p. 237.

4 A. LUCIANI (a cura di), Essere Ambasciatore presso la Santa Sede 3 vol. 1998 p. 204; 199 p. 298; 2000 p. 468.

5 P. TEILHARD DE CHARDIN, Agitazione o genesi (1947) citato da E. RIDEAU, Il pensiero di Teilhard de Chardin Seuil Paris 1965 p. 76: “è l’assenza di significato... che lascia così fredde e così poco comunicabili le allocuzioni dei nostri missionari”.

6 Pacem in terris par. 1.

7 “Una situazione simile alla presente non s’è trovata dai giorni di Noè sino ad oggi. La nascita di un mondo nuovo è alla nostra portata” T. PAYNE, Common sense (Philadelphie 1776) in Basic Writings New York 1942 p. III. 8 PIO XII, Messaggio di Natale 1956; G. FESSARD, Libro meditazione op.cit.

9 G. FESSARD, Pax nostra. Examen de conscience international Grasset Paris 1936 p. 466; id, De l’Actualité historique DDB Paris 1960 2 vol. 300 p. et 518 p.; M.SALES, Le père Gaston Fessard. Genèse d’une pensée op.cit.; M.AUMONT, Philosophie sociopolitique de Gaston Fessard. Pax Nostra cfr Paris 2004 p. 524.

10 O. von NELL BREUNING, Die soziale Encyclika 2.Auflage Katholische Tat Verlag KÖln 1932 p. 255.

11 Saint ALBERT HURTADO, Moral social Universidad catolica de Cile Santiago de Cile 2004 p. 221.

12 Espressione che si ritrova con don Sturzo (1871-1959) e Albert Thomas (1878-1932).

13 Ep. aux Philippiens 2. 6-11.

14 All. all’Unione dei Giuristi cattolici italiani 6 dicembre 1953.

15 L’espressione è prestata al Catechismo della Chiesa Cattolica par. 1939.

16 Cardinal JAVIER LOZANO BARRÁGAN, Défis lancés aux chrétiens d’Europe in Dolentium Hominum 2004/56 p. 28.

17 Populorum Progressio par. 15.

18 Populorum Progressio par. 16.

Notes

1 E. MONTFORT, La famille, la grande oubliée de l’Europe in Familia et Vita 2004/ 1 & 2 pp. 96-108. Cet article montre comment les résolutions d’une commission du Parlement européen peuvent modifier lentement le contenu donné généralement aux valeurs les plus communes.

2 L’éthique est ici considérée comme provenant du consensus qui, de fait, se forme empiriquement dans les sociétés par opposition à la morale reliée à une valeur jugeant en dernier ressort toutes les autres.

3 W.G. MUELDER, Foundation of the Responsible Society, Abington New York 1959 cité par R. BOSC, Sociologie de la paix Spes Paris 1965 p. 237.

4 A. LUCIANI (a cura di), Essere Ambasciatore presso la Santa Sede 3 vol. 1998 p. 204; 199 p. 298; 2000 p. 468.

5 P. TEILHARD DE CHARDIN, Agitation ou genèse (1947) cité par E. RIDEAU, La pensée de Teilhard de Chardin Seuil Paris 1965 p. 76: “c’est l’absence de sens... qui laisse si froides et si peu contagieuses les allocutions de nos missionnaires”.

6 Pacem in terris par. 1.

7 “Une situation semblable à la présente ne s’est pas trouvée depuis les jours de Noé jusqu’à aujourd’hui. La naissance d’un monde nouveau est à notre portée” T. PAYNE, Common sense (Philadelphie 1776) in Basic Writings New York 1942 p. III. 8 PIE XII, Message Noël 1956; G. FESSARD, Libre méditation op.cit.

9 G. FESSARD, Pax nostra. Examen de conscience international Grasset Paris 1936 p. 466; id, De l’Actualité historique DDB Paris 1960 2 vol. 300 p. et 518 p.; M. SALES, Le père Gaston Fessard. Genèse d’une pensée op.cit.; M.AUMONT, Philosophie sociopolitique de Gaston Fessard. Pax Nostra cerf Paris 2004 p. 524.

10 O. von NELL BREUNING, Die soziale Encyclika 2.Auflage Katholische Tat Verlag KÖln 1932 p. 255.

11 Saint ALBERT HURTADO, Moral social Universidad catolica de Cile Santiago de Cile 2004 p. 221.

12 Expression qu’on retrouve chez don Sturzo (1871-1959) et Albert Thomas (1878-1932).

13 Ep. aux Philippiens 2. 6-11.

14 PIE XII, All. all’Unione dei Giuristi cattolici italiani 6 décembre 1953.

15 L’expression est empruntée au Catechismo della Chiesa Cattolica par. 1939.

16 Cardinal JAVIER LOZANO BARRÁGAN, Défis lancés aux chrétiens d’Europe in Dolentium Hominum 2004/56 p. 28.

17 Populorum Progressio par. 15.

18 Populorum Progressio par. 16.

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Con carità, riabilitare la politica With charity, to rehabilitate the politics S.E. DARKO TANASKOVIC

S.E. DARKO TANASKOVIC

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Ambasciatore di Serbia e Montenegro presso la Santa Sede

iù di dieci anni fa (il 26 ottobre 1995), presentando “Associazione Carità Politica” ad un convegno nell’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana, l’Avvocato Angelo Schiano ha sentito bisogno di dire, all’inizio della sua relazione: «Chiarisco che siamo consapevoli che la denominazione “Carità Politica”, a noi cara ed ormai condivisa da molti amici presenti, può destare la meraviglia, e persino l’ironia, di chi la sente per la prima volta. Questo perché nel vocabolario comune, e forse anche nell’agire quotidiano, abbiamo dimenticato il significato originario ed etimologico della parola carità, che invece Alfredo Luciani ha saputo felicemente recuperare e riaccostare alla parola politica intesa in senso proprio, e cioè come impegno totale del singolo nella società». A. Schiano ha pienamente ragione. Ma chi nel mondo di oggi mette spontaneamente in relazione i concetti carità e politica? Veramente pochi. Anzi, è già usuale, come segno del realismo, del pragmatismo e anche della saggezza sociale, ribadire che nella politica non c’è spazio per la morale, la verità, la giustizia e figuriamoci per l’amore. Chi vuole avere successo nella politica deve dimenticare queste virtù degli ingenui e candidi; è una delle prime istruzioni con le quali i più esperti accolgono i principianti nell’arena politica. I risultati della “politica” concepita e fatta in questo modo si vedono ovunque, su tutto pianeta. Non è difficile accordarsi che in gran parte sono disastrosi e estremamente preoccupanti per l’umanità.

Se nei vocabolari cerchiamo il significato della parola carità, per primo, regolarmente, troviamo quello di base “Amore di Dio e del prossimo, una delle tre virtù teologali” (Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana). È proprio il significato che Schiano afferma sia represso, quasi dimenticato nell’uso quotidiano. Inoltre, nei dizionari, ci sono elencati anche gli altri significati della parola carità. Citerò quello riportato nel Wikipedia (l’enci-

Ambassador of Serbia and Montenegro to The Holy See

ore than ten years ago, precisely on 26 October 1995 while presenting the “Associazione Carià Politica” in the Aula Magnal of the Pontificate Gregorian University, the attorney Angelo Schiano felt that he should start his talk by saying: «I would like to clarify that we are aware of the fact that term “Carita Politica/Political Charity”, so familiar to us and already shared by many of our friends present today, can bewilder, and even cause mockery, when one hears it for the first time.

For in the common vocabulary, and maybe in day-to-day communication, we have forgotten the original and etymological meaning of the word carità/charity. Alfredo Luciani, instead, has succeeded to favorably recover and re-harmonize the words charity and politics, where charity is intended as utter individual commitment within the society». A.Schiano was totally right: today in the world who spontaneously relates these two concepts-charity and politics? Indeed, hardly anyone.

On the contrary, to prove to be realistic, pragmatic, and even, socially insightful, it is common place to point out that morality, truth, justice, not to mention, love, cannot find place in politics. Who wishes to be successful politician must abandon the above virtues that belong to naïve simple minds.

This is one of the first instructions veterans will give to trainees entering the political arena. Far and wide we can easily encounter the results of so contemplated and applied “politics”. And it is not difficult to agree that most of those results are demoralizing and absolutely disquieting for humanity. If we search in a dictionary for the word carità/charity we find the first meaning which is, normally, the main definition as: “Love of God and of fellow men, one of the three theologal virtues” (e.g.

N. Zingarelli, Vocabolario della lingua Italiana s.v.). Actually, this is the meaning which in everyday use, according to A. Schiano, has been disregarded, almost forgotten.

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clopedia libera), accessibile e molto popolare tra coloro che usano “internet”: «Lo stesso termine si utilizza anche in riferimento all’atto dell’elemosina (nell’espressione “fare la carità”).

Più in generale, esso si usa a proposito di ogni forma di volontariato». Visto che il significato originario cristiano ed il senso del termine carità,come abbiamo già detto, sono dimenticati o, almeno, repressi, è evidente che oggi i significati abituali nessuno li mette in relazione con la politica tranne, forse, nel senso che il bisogno di essere caritativi e fare la carità aumentano drammaticamente come conseguenze della politica alienata/separata da morale, verità, giustizia e amore.

Avvocato Schiano, Professor Lucani ed altri lungimiranti entusiasti dell’Associazione Carità Politica, un decennio fa e anche durante tutti questi anni passati, certamente difficilmente potevano presupporre quale appoggio e incoraggiamento avrebbero avuto recentemente. Il ricordo all’eterna, e particolarmente attuale, virtù di carità, per i cristiani e per tutto il genere umano ed il suo benessere, è arrivato proprio dal vertice della Chiesa Cattolica, tramite la Prima Enciclica di Papa Benedetto XVI intitolata Deus Caritas Est. Al mondo dominato e devastato, in gran parte, dall’odio, dalla violenza e dai falsi valori, il Papa ha deciso indirizzare, nella sua prima enciclica che certamente è un’enciclica programmatica, il messaggio su Dio come carità! Esiste qualcosa più naturale e più logico di tale scelta?

Non credo proprio. Per alcuni, però, questa scelta di Benedetto XVI ha suscitato una certa sorpresa.

Ma, sicuramente ha allietato la gente di buona volontà, cristiani e non. Infatti la gente sente irresistibilmente il bisogno di avviarsi in modo deciso verso la strada dell’amore, ma lo esprime di solito in modo poco convincente e piuttosto timido, mentre gli apostoli dell’odio sono molto più tonanti ed hanno più successo. Riferendosi a questo, l’atteggiamento del Papa è più che chiaro quando nell’Introduzione della sua Prima Enciclica scrive: “In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità

Then the dictionaries usually proceed with other meanings for charity. The following examples are from the Wikipedia (free encyclopedia) so popular among internet users: “The same word is used to indicate the act of helping those in need. More generally, it is the expression of any form of volunteerism”. Taking into account that the original Christian meaning of the word carità/charity has been overlooked, or at least, set aside, it is obvious that nobody associates the existing usual connotations with the politics, except perhaps for the fact that the needs for charitable action and giving help dramatically increases as the outcome of the politics detached from ethics, truth, justice and love.

Ten years ago, the attorney Schiano, Professor Luciani and other farsighted enthusiasts of the Association “Carità Politica” could not even imagine the important support and the encouragement they received just recently. The reminder of the eternal, and particularly actual charity virtue for Christians, but also the whole civilization and its prosperity, has arrived from the very top of the Catholic Church, through the first encyclical of the Pope Benedict XVI Deus Caritas Est. To the world where hate, terror and fake principles reign, the Pope has decided to sent his first, certainly programmatic encyclical, as the message about the God as love (charity)! Hardly any other option could be more logical and natural than this one. Apparently, however, Pope Benedict XVI has surprised some people with his choice. Without doubt, he has pleased all people of good will, no matter whether Christians or not. While the world desperately needs to be resolutely directed towards the way of love, the apostles of hate are much more vocal and successful. In this sense, in the “Introduction” of his first encyclical, the Pope clearly states: “In a world where the name of God is sometimes associated with vengeance or even a duty of hatred and violence, this message is both timely and significant”.

The importance of the concreteness of this document should be highlighted, because, as we know “Jesus is not satisfied by words or devotion:

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e di significato molto concreto”. Va particolarmente ribadita l’importanza di questa concretezza perché, come sappiamo, “Gesù non si accontenta di parole o di devozioni: la fede deve tradursi in opere, e la prima opera è la carità verso il prossimo” 1.

Ricco e complesso, ma articolato sistematicamente e chiaramente, il testo dell’enciclica Deus Caritas Est si può leggere e interpretare nonché usare come istruzione a più livelli categoriali e tematici, da teologico e filosofico ad ecumenico, pastorale e pratico. Per noi è particolarmente ispiratrice la spinta che dà l’enciclica, se compresa in modo giusto, agli sforzi di riabilitazione della politica fortemente traviata; attività che da Platone in poi è considerata come una delle principali per la sopravvivenza e per lo sviluppo della società ordinata. Semplicemente, per riavere la sua funzione positiva nelle coordinate del generale divino Piano di Salvezza, la politica dovrebbe ispirarsi profondamente alle virtù e particolarmente a quella della carità. Solo così verrebbe giustificata la definizione di Papa Paolo VI secondo cui la politica è “la più alta forma di carità”. Questo messaggio ha particolare importanza per i giovani cattolici perché, come è stato dimostrato da una recente ricerca svolta da L. Giuliani, I giovani cattolici e la politica, “nella maggioranza dei giovani diminuisce l’interesse per la politica, né si conosce il contributo dato dai cattolici al servizio della carità politica”. Solo da relativamente pochi giovani, almeno finora, sono conosciuti i libri istruttivi e colti del Professor A. Lucian La carità politica (1994) e Pratica di Carità Politica. Con la fantasia della carità dentro la storia (2005). Non c’è dubbio che adesso si troveranno nelle mani di tanti giovani lettori, laici desiderosi di conoscere la possibilità di fare politica e lavoro sociale in un altro modo, quello ispirato dall’amore cristiano verso Dio e verso il prossimo. Capiranno che questa possibilità è reale e non affatto utopistica e che, in linea di massima, rappresenta la strada più difficile e più impegnativa, ma l’unica giusta verso la realizzazione umana e nel contempo verso il benessere generale. È di importanza essenziale aprire ai giovani tale prospettiva, l’unica in grado, con pieno rispetto per la laicità della società democratica contemporanea e per le differenze legittime tra i

the faith should be translated into action, and the first action is the charity for fellow men”1.

The text of the encyclical Deus Caritas Est is rich and complex, but systematically and clearly articulated, and it can be read, interpreted and used as a guide for action at various categorical and thematic levels, from theological and philosophical to ecumenical, pastoral and practical ones, the Encyclical is understood correctly. For us, here, particularly stimulating is the attempt to rehabilitate already too stumbled politics, that activity which since Plato has been considered one of the essentials for the survival and the development of the organized human society. In other words, in order to recuperate its positive functions within the coordinates of the general divine Salvation Plan, the politics should be profoundly inspired by the virtue and principle of love (charity). Only then it would justify the definition by Paul VI of politics “as the highest form of charity”. This message is particularly significant for the young Catholics because, according to recent research work by L. Giuliani I giovani cattolici e la politica (Young Catholics and the politics), “the majority of the young people is less interested in politics and is not aware either of the contribution that Catholics have been giving to the service of the political charity”. Only a very few youngsters are familiar with the precious and enlightening books written by Professor A. Luciani La Carità Politica) (Political Charity, 1994) and Pratica di Carità Politica (Practice of Political Charity, 2005). No doubt that nowadays many young readers, laics, will read those volumes in need to learn the possibility of doing politics and social activity in a different way, the one that is inspired by Christian love for God and for fellow men. They will understand that this way is not utopian but feasible, clearly more demanding but the only right way towards human realization and common good. It is of a paramount importance to indicate such a prospect to young generations as the only way to eventually humanize and balance the political space and the political culture, with full respect for the secularity of modern democratic society and legitimate diversities among its members.

With due awareness of this issue, indeed, cardinal

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suoi appartenenti, di procurare l’umanizzazione e di mettere in equilibrio lo spazio politico e la cultura politica. Certamente essendo cosciente di tale importanza, il Cardinale Josè Saraiva Martins, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha permesso che la sua intervista con il giornalista della rivista 30 Giorni (9, 2004) sia intitolasse suggestivamente “Anche i politici vanno in Paradiso…”.

Ricordando la posizione del Concilio Vaticano II espressa nel documento Lumen Gentium, che “è dunque evidente che tutti i fedeli cristiani, di qualsiasi stato e ordine, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità”; il Cardinale Saraiva Martins ha ribadito che il raggiungimento di tale ideale è una possibilità storicamente confermata. La sua affermazione è stata suffragata dal grande esempio da A. De Gasperi, dove “virtù religiosa e virtù civile si siano saldate a servizio dell’impegno politico” (A. Sodano).

Già all’inizio del suo pontificato, Papa Benedetto XVI ha dimostrato di possedere una visione chiara del mondo attuale e dei bisogni più urgenti dell’umanità al bivio. Per quanto riguarda il piano politico, il suo atteggiamento è conseguente e coerente: con convinzione e senza compromessi insiste sui valori cristiani cardinali. “Ad esempio al corpo diplomatico egli enuncia la missione della chiesa nell’indicare al mondo una via che vede in sequenza giustizia, pace, solidarietà, carità e perdono – sequenza poi riletta nel primo messaggio per la giornata della pace e nell’incontro d’auguri col corpo diplomatico d’inizio anno alla luce di un principio di verità che precede e orienta ogni ricerca di pace, di giustizia, di perdono” 2. Verità, giustizia, pace, solidarietà, perdono… Per far tornare nella politica questi sublimi valori politici o, precisamente, per farla diventare veramente, non solo retoricamente, permeata di tali valori, la condizione preliminare è, secondo Benedetto XVI, riaffermare la virtù della carità. Per questo ha deciso di dedicarle la sua prima enciclica. Scrivendo su “la legge della divina carità”, San Tommaso d’Aquino ha spiegato che “è evidente che non tutti possono dedicarsi a fondo alla scienza; e perciò Cristo ha emanato una legge breve e incisiva che tutti possano conoscere e dalla cui osservanza nessuno per ignoranza possa ritenersi scusato.

Jose Saraiva Martins, the prefect of the Vatican’s Congregation for Saints, has allowed a strong heading “Even politicians go to Paradise” for his interview published in the review 30 Days (9. 2004).

By recalling that “it is obvious that all devoted Christians, of every state and order, are called to the fullness of Christian life and to the perfection of charity”, the statement from the document of the II Vatican Concile Lumen Gentium, cardinal Saraiva Martins has emphasized that the accomplishment of such an ideal is a historically proved possibility.

In support of his statement he has quoted a great example of A. De Gasperi where “religious and civil virtues are joined into service of political engagement” (A. Sodano).

Already at the beginning of his pontificate the Pope Benedict XVI showed his sound vision of the modern world and of the most urgent needs of the humanity at the crossroads. At the political level, his attitude is persistent and coherent: in unbiased and convinced manner he insists on the fundamental Christian values “E.g.: to the Diplomatic Core he announces the mission of the Church to indicate to the world a way that he envisages as the sequence of justice, peace, solidarity, charity and forgiveness – the succession that was read again in the first message on the world Day of Peace and on the occasion of the season greetings meeting with the Diplomatic Core at the beginning of the year in the light of a principle of truth that precedes and orients every search for peace, solidarity, forgiveness”2. Truth, justice, peace, solidarity, forgiveness… In order to be able to restore those sublime values in the politics or, better, to imbue the politics with such qualities truly and not just rhetorically, in Benedict’s XVI opinion, the prerequisite is the reaffirmation of the virtue of charity, which made him decide to dedicate to it his first encyclical.

While writing about “the law of the divine charity”, St. Thomas d’Aquino explained that “it is evident that not every person can dedicate thoroughly himself to science; hence Jesus has promulgated very short insightful law that everyone can easily know about and there are no excuses for those who do not comply with it due to the lack of awareness.

And this is the law of the divine charity […].

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È questa la legge della divina carità. (…) Questa legge deve costituire la norma di tutti gli atti umani” (Opuscula teologica II).

Visto che oggi il mondo è forse meno ignorante in senso generale, ma c’è meno fede, è certo incomparabilmente più “il sapere” sbagliato sulla fede che nell’epoca di San Tommaso d’Aquino, un’enciclica relativamente breve, ma molto incisiva, adattata ai bisogni dell’uomo “novo millennio ineunte” risveglia molta speranza, ma anche crea grande responsabilità. Religiosa, ma niente di meno quella politica.

This law should form the norm of all human actions” (Opuscula theologica II). Comparing to St. Thomas d’Aquino’s times, today in the world there is probably not as much of general ignorance, but there is also less faith and, for sure, considerably more wrong “knowledge” about faith. In view of this, one relatively brief, but very insighful encyclical, adapted to the needs of the man “novo millennio ineunte”, at the same time gives ground of great hope but also brings about enormous responsibility, both in terms of religion and politics.

1 Cf. A. Montonati, Giovanni Paolo II - Parole sull’uomo, Milano, 1995, p. 93.

2 A. Melloni, L’inizio di papa Ratzinger, Torino, 2006, p. 113.

1 Cf. A. Montonati, Giovanni Paolo II - Parole sull’uomo, Milano, 1995, p. 93.

2 A. Melloni, L’inizio di papa Ratzinger, Torino, 2006, p. 113.

CARITÀ POLITICA

SOMMARIO

Anno XI- N. 1 Maggio 2006 Rivista quadrimestrale dell’Associazione Carità Politica

EDITORIALE

già e non ancora

Alfredo Luciani

Direttore Responsabile: Alfredo Luciani Coordinamento redazionale: Rossella Semplici Edito da: Associazione Internazionale Missionari della Carità Politica Direzione, Amministrazione: Ass. Internazionale Missionari Carità Politica V.le Milizie 140 –00192 Roma– Tel. 06 3723511 Redazione: Via San Marco 22 – 20121 Milano

3

L’ORIZZONTE DEL 2000 Angelo Sodano Mohummad Javad Faridzadeh

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Progetto Domus Carità Politica Per promuovere gli ideali di convivenza di comprensione e di amicizia tra i popoli

UN’ECO POPOLI E-mail: caritapolitica@caritapolitica.it Siti: www.caritapolitica.it; www.caritapolitica.com; www.caritapolitica.org

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In copertina: Cardinale Angelo Sodano - © Copyright L’Osservatore Romano

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NEL CUORE DI ROMA LA CASA DEL DIALOGO E DELLA COLLABORAZIONE TRA I POPOLI, TRA LE CULTURE E LE RELIGIONI

IMPARARE ROMA Hanna Suchocka

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IN THE HEART OF ROME THE HOUSE OF DIALOGUE AND COLLABORATION BETWEEN ALL THE PEOPLE, BETWEEN CULTURES AND RELIGIONS

DICASTERI VATICANI Pontificio Consiglio della Cultura

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UN CENTRO INTELLETTUALE

capace di creare quella cultura politica che opera sempre e comunque per il bene comune e la salvaguardia dei valori.

UN CENTRO MORALE

per promuovere la ricerca di relazioni armoniose tra le persone e i popoli.

DE SENECTUTE Paul Poupard Raoul Romoli Venturi Gerardo Ronzoni Maria Pia Ruffilli

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ARTICOLI Progetto Appia Gli animali hanno diritti?

UN PONTE 132 137

UN SIMBOLO E UNA REALTÁ

DOCUMENTO Deus Caritas Est Joseph Joblin Darko Tanaskovic

tra la storia che viene da lontano e la cultura della comprensione che guarda al futuro. d’un cammino di convivenza tra i popoli nel nome della Pace.

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UN’AUTORITA MORALE

sempre più rispettata dalla comunità internazionale.

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uesta è l’ora della carità sociale e politica capace di disegnare le strade della pace, della giustizia e dell’amicizia tra i popoli Giovanni Paolo II L’Osservatore Romano – 30 ottobre 2004

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