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Il momento perfetto Michela Canova

Il momento perfetto

Tante vie, anche in Civetta, non hanno ancora una ripetizione invernale, ma la Solleder-Lettenbauer ha una storia che la rende unica. E ora un’invernale tutta italiana

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di Michela Canova

Tre giorni di scalata di misto, due bivacchi sulla ‘parete delle pareti’, 1200 metri di sviluppo. L’ultimo tiro tocca a Diego, il primo a sbucare sotto la croce di vetta alle 17.30 del 9 marzo, poi affiancato da Marco e Nicola, ognuno con il proprio zaino di attrezzatura ed emozioni distinte. Restano lì un’ora, per godersi il più bel tramonto dell’anno, il momento perfetto a conclusione di una scalata tanto agognata, prima di avviarsi verso il Rifugio Torrani, già distinguibile a mezz’ora di distanza nella luce calante.

IL PRIMO VI GRADO DELLE ALPI

Con l’apertura della via di Emil Solleder e Gusatav Lettenbauer, sulla nord-ovest della Civetta il 25 agosto del 1925 nasce il primo VI grado delle Alpi. Una classica di 29 tiri, logica e impegnativa, che richiede grande preparazione e ottimo allenamento. Ogni estate, solo una decina di cordate si cimentano nella sua ripetizione, seguite al binocolo dagli occhi premurosi di Valter Bellenzier, gestore del Tissi. A dipingerne attorno un ulteriore alone epico sono state le rare salite invernali, a partire dalla prima assoluta nel 1963, dal 28 febbraio al

Nella pagina a sinistra, Marco Toldo e Nicola Bertoldo dopo il secondo bivacco. In alto, Marco Toldo sulla fessura Lettenbauer. Sopra, la parete nord-ovest della Civetta, al centro corre la Solleder-Lettenbauer 7 marzo, con l’avvincente inseguimento della cordata formata da Ignazio Piussi, Giorgio Redaelli e Toni Hiebeler, da parte di quella di Roberto Sorgato, Natalino Menegus e Marcello Bonafede, che arrivarono in cima lo stesso giorno a poche ore di distanza. Dal 14 al 18 gennaio del 2000 Marco Anghileri realizzò la prima solitaria; indimenticabile la serata al Teatro comunale di Belluno, nella cornice di “Oltre le vette”, che vide le due storiche cordate quasi al completo e il giovane alpinista lecchese ricordare assieme le rispettive imprese. I Ragni di Pieve di Cadore Ferruccio Svaluto Moreolo e Alex Pivirotto la ultimarono in un solo giorno, il primo febbraio del 2016. L’anno seguente Léo Billon, Benjamin Védrines, Max Bonniot, del Groupe militaire de haute montagne, la attaccarono il 22 dicembre per uscirne il giorno di Natale.

LA RITIRATA

Quest’anno, dal 7 al 9 marzo, sono stati i vicentini Nicola Bertoldo, 28 anni, Diego Dellai, 32 anni, e Marco Toldo, 35 anni, del Gruppo Roccia 4 Gatti, a intuirne la traccia sotto la neve. Il primo gennaio del 2017 Diego e Marco avevano abbozzato un primo avventato tentativo, concluso all’attacco perché Marco si era sentito male: «Tanta motivazione mentale unita a scarse capacità tecniche – riconoscono –. Non ci rendevamo conto di cosa ci aspettava, abbastanza incoscientemente”. Lo scorso anno, con preparazione adeguata e questa volta assieme a Nicola, il primo, vero, tentativo. Saliti all’alba con Erika e Federico – che, con gli sci, avrebbero poi riportato a valle le ciaspole calzate per l’avvicinamento – in presenza di condizioni di innevamento straordinarie arrivano all’attacco il 16 febbraio: «Ci eravamo dati 4 giorni di tempo. Dopo due bivacchi in parete nello stesso punto a 100 metri dal Cristallo, abbiamo desistito. Una ritirata ben ponderata. La neve era inconsistente, il pericolo dato dall’improteggibilità. Avanzavamo a velocità dimezzata. Magari saremmo riusciti lo stesso a finirla, però impiegando il doppio. La seconda notte, presa la decisione di calarci, abbiamo dormito benissimo». Alla soddisfazione per essere riusciti a progredire con le picche in un terreno così rigoroso si unisce il dispiacere della rinuncia e la volontà di riprovarci appena possibile, allo scoccare del 21 dicembre 2021, pur temendo di rischiare una terza ritirata di fronte a una parete così importante.

IL TENTATIVO E LE INCOGNITE

Dopo tre rinvii per impegni e condizioni non ottimali, soprattutto per il vento forte, si palesa una finestra di quattro giorni, anche se il meteo resta sempre un’incognita. Diego sale due volte con gli sci a trasportare materiale, la seconda ribattendo traccia dopo una nevicata. Grazie all’appoggio

«Porto vari momenti nel cuore, soprattutto gli sguardi dei compagni in sosta»

di Gianni, Enrico e Cristian di Val di Zoldo Impianti, il 7 marzo raggiungono malga Pioda con motoslitta e carrello portapersone al traino e da lì salgono al Coldai. Per Nicola ritrovarsi all’attacco è un flashback “Siamo ancora qui”. La paura di Diego si è concentrata sulle orme di un roditore lasciate nella neve, con il pensiero che si fosse fatto strada negli zaini rosicchiando corde e scorte di cibo. Marco è motivato, l’innevamento è scarso e le condizioni sono buone. Nella suddivisione dei compiti, il ruolo logistico, spettato a Nicola, si dimostra fondamentale: il comfort dato dalla distribuzione delle razioni, puntuale e rigorosa, aiuta quanto la capacità di progredire. Fornelletto jetboil per il tè, barrette, gel, Pocket coffee, cibo liofilizzato. Alimenti appropriati che hanno fatto sparire i crampi di Marco il primo giorno.

BASTAVA GUARDARSI PER COMPRENDERSI

Parte Nicola, che ha gamba per battere traccia sui pendii innevati. I tiri di roccia toccano a Marco, scarpette ai piedi. Sui tiri di neve si alternano Diego e Nicola. Il primo giorno fanno quanto nei due giorni dell’anno precedente e si fermano 100 metri più in alto del primo bivacco. Nicola scava una truna, mentre Marco e Diego attrezzano due tiri già conosciuti e lasciano su le corde per il giorno successivo. All’interno del bivacco il tempo si dilata e raddoppia: è stretto, bisogna fare attenzione a non bagnare i calzini, a non far entrare la neve negli scarponi, preparare da mangiare in uno spazio limitato. Il pensiero è già alla scalata di domani, Marco ha in mente il tiro che li ha respinti la volta precedente. Sente la responsabilità di realizzare ogni sosta fatta bene, che tenga due compagni e il saccone, perché le originali sotto la neve non si trovano: non corrispondono ai loro

In alto, il tramonto dopo il primo giorno di scalata. Sopra, i tre alpinisti sulla croce di vetta. Nella pagina a destra, in alto, Nicola Bertoldo risale le corde con le jumar

tiri lunghi di almeno 50 metri. Il secondo giorno scorre veloce. Il problema si presenta nella difficoltà del reperire il luogo per il bivacco. Sulle cenge premono pendii di neve a 60°, sotto ghiaccio e sassi. Diego si cala per 30 metri e dentro un camino trova un tappo bianco che fa al caso loro. Dormono legati, con la sensazione che il pavimento possa cedere e polvere di neve che ricopre Nicola. Al mattino, stendono le corde fisse per salire. Mancano 11 tiri. Scalano rapidi, sono quasi alla fine. «Essendo mio l’ultimo tiro – dice Diego – sentivo che ero vicino a realizzare quello che desideravo da un sacco di tempo. In inverno, ogni giorno il mio pensiero era lì, sulla Civetta». «Finché non sbuchi in cima, non ti rendi conto, è come se arrivasse tutta in un colpo la consapevolezza a livello emozionale», ricorda Marco. Sono alla croce, si abbracciano. Un elicottero si avvicina, il pilota è l’alpinista Titus Prinoth che li saluta. «Porto vari momenti nel cuore, soprattutto gli sguardi dei compagni in sosta. Non parlavamo molto, bastava guardarsi per comprendersi», sorride Nicola. Nel bivacco invernale del Torrani c’è tempo per festeggiare con un bicchiere di Braulio e per una telefonata a casa con un vecchio apparecchio con la rotella. L’indomani c’è ancora la normale da scendere. ▲

Noi e le montagne: una combinazione perfetta…