B&G N°18

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anno IV - numero 18 | giugno - agosto 2011

Human satisfaction Pubblicità: oggi non ci sono più “clienti”, ma “persone”

Prototipi virtuali

Finalmente in Italia l’orologio dedicato al mondo del golf. Da oltre 600 anni si gioca a golf sull’Old Course del St Andrews Links. Molte straordinarie innovazioni che sono oggi alla base di questo sport, sono nate su questi mitici fairway. Questa è veramente la Casa del Golf e Jaermann & Stübi è l’official timekeeper, oltre che fornitore ufficiale. Tuttavia, non è necessario recarsi in Scozia per vivere questa esperienza. Basta uno sguardo al polso del tuo orologio Jaermann & Stübi per avere l’ora precisa, ma non solo: il numero di colpi per buca, il numero totale di colpi su 18 buche e il tuo punteggio comparato al tuo handicap. Il movimento è meccanico ed è protetto da un ammortizzatore brevettato all’interno della sofisticata cassa.

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anno IV - numero 18 | giugno - agosto 2011 | € 5,00

Innovare con la simulazione la nuova frontiera dello sviluppo

Case history

Artemide, Caimi Brevetti, Jts, Sabaf, Qcom

Incentive

Hotelplan al servizio dei clienti business

Unified Communications

Nuove sfide: gestire in modo integrato tutti gli strumenti di comunicazione dell’impresa, dai cellulari ai social media

Protagonisti

Riccardo Ardemagni Roberto Arditti Marzio Bonferroni Paola Carniglia Marzio Dal Cin Thierry Marchal Marcello Meregalli Gianluca Moretti Enrico Pillon


Antonini

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Editoriale di Mauro Milesi I lacci del “socio occulto” Tutte le imprese italiane sono state impegnate

pulsante della nostra economia, una simile ri-

in questi ultimi tempi con la stesura definitiva

chiesta appesantisce e affatica ulteriormente la

Business & Gentlemen ha studiato dei

del proprio bilancio d’esercizio. E come ogni

mole di lavoro.

richiami grafici per aiutare la “naviga-

anno ci siamo tutti ricordati del nostro “socio

Ovviamente non c’è l’intenzione di cadere nel

zione” dei servizi e offrire informazioni

occulto” di maggioranza. Lo Stato preleva dalle

qualunquismo, è ovvio che le tasse sono un ar-

tasche delle aziende ben il 68,6% dei profitti.

gomento dolente e che ogni cittadino vorrebbe

Innanzitutto ogni articolo presenta

E’ il verdetto di un recentissimo studio realiz-

farne a meno. Ma la questione è oggettivamen-

un’icona che ne identifica la tipologia

zato dalla Banca Mondiale, in cui risulta che

te problematica da tanti punti di vista. C’è il

di contenuto:

l’Italia ha lo “straordinario primato” in classi-

tragico confronto tra i servizi corrisposti dallo

Legenda delle icone di lettura

aggiuntive.

fica del Paese più tartassato d’Europa. Il dato

Stato rispetto a quello che chiede in cambio;

interviste realizzate dai nostri giornali-

del prelievo fiscale riguarda il complesso delle

c’è l’amaro paragone tra le responsabilità di un

sti e dai collaboratori B&G.

tasse nazionali, locali e dei contributi sociali ed

imprenditore rispetto allo standard e ai privile-

è superiore a tutti i nostri competitor europei

gi di una classe politica che non sembra per nul-

che hanno una connotazione tecnico-

come la Francia (65,8%), la Spagna (56,5%) e

la al passo con i problemi del Paese, ma in altre

scientifica e che sono realizzati da

la Germania (48,2%). Se si pensa che la media

faccende affaccendata. E c’è anche, altro para-

esperti, docenti o studiosi.

europea si attesta al 44,2% e quella mondiale al

dosso, il disinteresse del legislatore nell’adegua-

47,8%, ben si comprende come l’Italia navighi

re la normativa fiscale rispetto all’evoluzione

me, focus di carattere divulgativo sui

con un pesante fardello nelle già difficili e agita-

della vita delle imprese. Un esempio? Provate

temi d’interesse generale: dalla moda ai

te acque della crisi. Per capire meglio l’inciden-

a considerare gli ammortamenti di un pc. Oggi

motori, dall’arte al design.

za della pressione fiscale è interessante osserva-

un’azienda che acquista un computer ha la pos-

re quanto tempo serve a un’azienda (e quanto

sibilità di ammortizzarne il costo in 5 anni. La

impegno) per capire quante tasse deve pagare.

normativa a riguardo è del 1988 e forse in quel

Servono ben 285 ore in media a un imprendito-

periodo la vita media delle attrezzature infor-

re per riuscire a calcolare, gestire e provvedere

matiche era coerente con gli ammortamenti

al pagamento di tutti i tributi: code, telefonate

previsti. Ma oggi in quale azienda un com-

Url: la segnalazione di siti e portali sul

e arrabbiature comprese. Praticamente è come

puter dura 5 anni? La tecnologia viaggia a un

tema trattato

se per 40 giorni all’anno i titolari di un’attività

passo completamente diverso. Un mese dopo

fossero totalmente in balia della burocrazia, di

che compriamo un computer è di fatto già “vec-

di servizi B&G che trattano argomenti

bolli e scartoffie. I nostri concorrenti tedeschi

chio” e se si vuole restare competitivi, oltre che

simili

ci mettono 10 giorni di meno, gli inglesi sono

in linea con il resto del mondo, ci si rende rapi-

impegnati solo 15 giorni all’anno. Questo è un

damente conto che la vita di un pc non supera

dato significativo al di là della pura incidenza

oggi i 2-3 anni. Quindi una società che vuole

economica della tassazione, perché lo Stato non

restare al passo deve adeguarsi ad aggiornare il

Bibliografia: la segnalazione biblio-

chiede soltanto alle imprese gran parte dei loro

suo parco informatico in tempi più rapidi, ma

grafica collegata all’argomento

utili, ma chiede anche tempo, come fosse un

la norma fissa ancora gli ammortamenti a 60

socio operativo che non riesce a fare qualcosa

mesi. Insomma, potremmo dire che il nostro

e chiede all’altro di occuparsene. Ovviamen-

“socio” ci appare non soltanto sempre più esoso,

te nelle società strutturate questa incidenza

ma anche spesso disinteressato a favorire la no-

è relativa, ma nell’universo delle Pmi, cuore

stra competitività.

Giornalistico: servizi, approfondimenti,

Tecnico-scientifico: studi e ricerche

Divulgativo: notizie, curiosità, antepri-

Inoltre la lettura può riservare informazioni aggiuntive con le seguenti icone Immagini: didascalie e spiegazione del materiale iconografico

Argomenti correlati: segnalazione

Citazione: un ipse dixit che impreziosisce il discorso trattato

B&G è anche onli online! Non una semplice vetri vetrina della rivista, ma un magazine vero e proprio dedicato al mondo delle imprese, del d business e del lifestyle. Servizi quotidiani e approfondimenti suddivisi in cana canali tematici: dall’economia ai personaggi, dall’internazionalizzazione ai giri di poltrona, p dalle fiere all’Ict. E poi, i canali dedicati all’intrattenimento e al lusso: yacht, ya motori, gioielli, orologi, viaggi e molto altro. Visita il nuovo sito di B&G: www.businessgentlemen.it V

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Sommario numero 18 | giugno - agosto 2011

6.

Editoriale

46.

I lacci del “socio occulto”

10.

Abstract

Quando l’innovazione passa per il design

50.

Pillole di B&G dedicate al pubblico estero

12.

Rubrica Libri

Human Satisfaction

54.

Unified Communication

58.

Innovazione

62.

Artemide

66.

Sabaf

68.

Qcom

70.

JTS

Processi di vendita

Internazionalizzazione

72.

94. 98.

74.

Angolo motori Arriva sul mercato CT 200h, il lusso ibrido targato Lexus

Creare valore partendo dalla gestione dei processi di comunicazione

Nuova impresa: il tessile che guarda alle sfide future

Nautica Story Un viaggio alla scoperta della storia di vessilli e bandiere

102.

Comunicazione

Mondo Davidoff Nascono “The Exclusive Experience” e “ITA Academy”

Gli ostacoli della burocrazia nei rapporti extra-Ue

Una compagnia Tlc specializzata nelle soluzioni di telecomunicazioni

42.

90.

Incentive

Jaermann & Stübi Finalmente in Italia l’orologio dedicato al mondo del Golf

Ottimizzare il processo di vendita per il successo aziendale

Etica e specializzazione per il successo

38.

86.

L’evento del Giro Saint-Gobain di Hotelplan

Quando la luce diventa design, storia dell’azienda milanese

34.

Marcello Meregalli

Energie rinnovabili Quanto costa un kilowattora da Fukushima?

Intervista all’ad del Gruppo Meregalli di Monza

Il ruolo strategico della simulazione per l’efficienza aziendale

30.

84.

Lady Economy

La semiotica Un disciplina che affianca, fa ricerca e off re spunti ai designer

Paola Carniglia racconta la sua vita di manager

Più efficienza e risparmio con la comunicazione integrata

26.

82.

Roberto Arditti

Formazione professionale Un aiuto alle aziende con i Fondi Paritetici Interprofessionali

Intervista al responsabile Comunicazione di Expo 2015

Pubblicità, dal consumatore alla persona

20.

80.

Gianluca Moretti

Focus Azienda I fattori chiave in mercati globalizzati per un’azienda di successo

Il risparmio a portata di lampione L’innovazione di Umpi

Angolo dedicato a volumi sul mondo delle imprese

14.

76.

Caimi Brevetti

Africa Proposta Hotelplan: un viaggio alla scoperta del Kenya

Società fiduciarie Un approfondimento sul perchè scegliere una fiduciaria

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Business&Gentlemen

giugno - agosto 2011

Nuggets of B&G

We dedicate the English abstracts of some of the most interesting articles published on this issue to the foreign business public happening to leaf through B&G

Improve business efficiency with Unified Communications To be more reactive towards customers: with 37% of the votes, this is the main factor that drives companies to adopt a Unified Communications solution, which allows a company to manage, as though it was only one thing, its numerous contact points, from desk phones to mobile devices, from voice messaging and videoconferencing to email, texting, social media. This is what emerged from a survey conducted by Siemens Enterprise Communications and Aberdeen Group regarding the management of integrated communication systems and its effects on costs and efficiency.

English version

Expo 2015, Arditti’s personal challenge A big event, one of the biggest in the last few years to be organised by stimulating the whole of Italy “to accept a global challenge,� deploying the best managerial abilities, ideas and projects from Milan, Lombardy and Italy and involving companies, territories and public and private entities. Expo 2015 is first and foremost an across-the-board challenge for Milan, the region and Italy that has two priorities for 2011: the call for tenders for the construction works of the exhibition site and involvement of the various territories. At the same time, communication remains the preferred channel for promoting and publicising the Expo, its projects and news. A communication which focuses on involvement and dialogue, as explained to us by Roberto Arditti, Director of Communications and Public Relations of Expo 2015.

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Abstracts

The pride of a woman manager A third generation entrepreneurial history. A history filled with the passion for work, with difficulties overcome due to “deep-rooted male chauvinism,” with the joy and pain of a generational transition in progress and the sacrifices of being a single mother and manager. This is the story of Paola Carniglia, Sales and External Relations Manager in the family business, OTIM SpA of Milan, a company that has been operating in international and maritime transportation for 60 years.

Africa to love A different way of discovering Africa: not as a tourist but as a protagonist, experiencing truly intense emotions, and participating actively in a photographic safari in the most captivating and beautiful corners of Kenya. For lovers of the Dark Continent, there is no stronger sensation than immersing yourself in the infinite variety of colours and surprises offered by the Savanna, listening to the noises, getting to know the in-

finite species of “inhabitants” that live there. Hotelplan proposes the “Safari Kusi”, consisting of 9 days and 7 nights – in a minibus with driver who speaks Italian – to discover the magical world inhabited by zebras, gazelles, elephants, lions and leopards: from Mombasa to the Isle of Chale, passing through the National Park of Tsavo, the Amboseli National Park, Lake Nakuru and the Masai Mara reserve.

Corporate innovation and efficiency travel through numeric simulation and virtual prototyping. These technologies allow reducing costs and risks and also allow putting together a successful product. These and other aspects were the focus of the conference organised by Ansys Italia at the “Kilometro Rosso” Scientific and Technological Park entitled “Innovate with simulation” open to entrepreneurs and managers. The conference was attended by important partners such as Microsoft, Mox Off, The Open University Business School, Sistemi & Impresa and Federmanager with the aim of talking directly to company managers on the importance of managing complexities through technology. In fact, in a time of uncertainly and crisis, numeric simulation can become a determining factor in business competitiveness.

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English version

The strategic role of simulation


Business&Gentlemen

giugno - agosto 2011

Verso una giusta gestione degli acquisti Edito da Hoepli, “La gestione degli acquisti. Strategia, implementazione, controllo”, rappresenta un’utile guida per affrontare con maggior consapevolezza un processo in continuo fermento come quello degli acquisti

testo di Laura Di Teodoro

Un manuale per fornire al manager degli acquisti una guida completa su tutti gli aspetti che caratterizzano la sua funzione, i differenti ruoli di responsabilità, dalla base al vertice, in contesti aziendali articolati. “La gestione degli acquisti. Strategia, implementazione, controllo”, edito da Hoepli e scritto a più mani da Stefano Rizzo, Luigi Serravalle, Gianvincenzo Lucchini, Riccardo Silvi e Franco Visani, off re al lettore una visione olistica del funzionamento degli acquisti in azienda che permette una comprensione della stessa a 360 gradi. Come spiega Paolo Chiavarini, Chief Executive Officer, i-Facer (UniCredit) nella prefazione, “oggi si parla della funzione acquisti come perno dell’intero processo source to pay ed è sempre più frequente trovare figure aziendali provenienti dal marketing o HR inserite direttamente in tali funzioni per migliorarne le performance; si parla infatti di TCO, Total Cost of Ownership, ovvero di rivoluzione e non evoluzione degli acquisti più in generale”. Un cambiamento che continua a interessare questa specifica area aziendale, considerata centrale per contribuire in maniera determinante all’aumento di marginalità di prodotto e al risultato operativo dell’impresa stessa. Di fronte a un settore in fermento cresce la necessità di competenze sempre più specifiche e affinate e questa guida di Hoepli fornisce, in maniera chiara e dettagliata, gli spunti da cui partire e proseguire in un “ambiente competitivo complesso”. Una complessità data principalmente da tre fattori: la globalizzazione, l’apertura alla concorrenza internazionale e l’instabilità e la complessità dei mercati. Da qui l’esigenza di ampliare il raggio della formazione, partendo da una buona conoscenza delle lingue, in particolare l’inglese per poi arrivare a un’adeguata informatizzazione e a competenze in ambito negoziale, economico-finanziario, legale e strategico. Tante le domande a cui questo libro tenta di dare delle risposte concrete: come bisogna prepararsi per aff rontare una negoziazione, quali le informazioni da raccogliere, come rappresentarle per poter interpretare in maniera utile il risultato? Quando un fornitore è affidabile da un punto di vista fi nanziario, quanto si può esporre per noi e quanto noi possiamo esporci per lui, quale è il rischio finanziario della relazione? Come costruire la strategia di acquisto di una categoria merceologica, ovvero una gestione sul medio o lungo periodo? Un’attenzione particolare è rivolta al processo di acquisto, nonché alle procedure che sottendono alle diverse attività, con esempi applicabili all’interno dei diversi tipi di azienda, a seconda che venga esercitato un controllo più o meno centralizzato. Si spazia dal vendor rating all’analisi del valore; dal redesign to cost agli strumenti informatici; da come aff rontare in maniera idonea una negoziazione a come misurare la performance in termini di KPI: tutti temi che devono far parte del bagaglio culturale di ogni buyer, insieme alla valutazione della qualità dei fornitori e agli aspetti legali del rapporto di fornitura. Il taglio fortemente pratico del testo permette di trattare con il dovuto approfondimento anche gli aspetti giuridici legati a questa attività, 12

La gestione degli acquisti Rizzo, Serravalle, Lucchini, Silvi, Visani 322 pagine Editore Hoepli (novembre 2010) Collana: Marketing e management

Gli Autori Stefano Rizzo si occupa da anni di acquisti con ruoli e responsabilità crescentiii in realtà strutturate e complesse, fino a diventare direttore acquisti corporate di Bonfiglioli Riduttori; in questo gruppo ha curato gli aspetti operativi, strategici e organizzativi della funzione con un’attenzione agli strumenti, al loro aggiornamento e alle relazioni interfunzionali. Luigi Serravalle è vice presidenteee di Solvin Efeso, società internazionale di manage consulting. Opera da tempo nella consulenza direzionale e ha maturato esperienze in diversi settori industriali e di servizi, tra i quali beni di largo consumo, business to business, moda e lusso, trasporti e logistica, retail e distribuzione, banche e assicurazioni. Gianvincenzo Lucchini, dopo aver gestito la sede bolognese dei servizi legali di Ernst&Young, ha fondato lo Studio LGA, concentrandosi nell’assistenza legale specializzata alle aziende del territorio. Collabora in qualità di docente di diritto commerciale e societario con l’Università LUISS di Roma, e con diversi altri istituti di formazione professionale. Riccardo Silvi è professore associato presso la Facoltà di Economia di Forlì dell’Università di Bologna, dove è titolare di una pluralità di corsi concernenti l’analisi economico-finanziaria, il controllo di gestione e il performance measurement. È direttore scientifico del Master Universitario in Amministrazione, Finanza e Controllo e dell’Ecexutive Master in Business Administration della Alma Graduate School. Franco Visani insegna controllo manageriale e dei costi presso la Facoltà di Economia di Forlì dell’Università di Bologna. È docente di Amministrazione e Controllo di Gestione presso l’Executive Master dell’Alma Graduate School di Bologna e di Lean Accounting presso il CUOA di Vicenza.

che se da una parte costituiscono un vincolo dall’altra sono spesso uno strumento fondamentale nella relazione con il fornitore. Inoltre anche i temi più teorici legati alla sfera economica finanziaria e al TCO o quelli inerenti la strategia e la stesura del piano degli acquisti, sono sempre aff rontati in un’ottica molto pragmatica e finalizzata all’applicazione. Il manuale è diviso in 19 capitoli: i primi quattro trattano gli aspetti operativi ed organizzativi, con una particolare attenzione ai diversi modelli e al processo di acquisto nonché alle procedure che sottendono alle diverse attività negli acquisti; i successivi quattro capitoli forniscono strumenti utili al buyer nella gestione quotidiana del rapporto con il fornitore, con un intero capitolo, il sesto, dedicato al vendor rating; il settimo all’analisi

del valore e al redesing to cost e l’ottavo agli strumenti informatici più avanzati a supporto della funzione. Il nono capitolo è dedicato a come aff rontare in maniera idonea una negoziazione. Nel decimo capitolo si aff ronta il tema della performance della funzione e di come misurarla in termini di KPI. L’undicesimo capitolo è dedicato al marketing di acquisto; il dodicesimo capitolo è dedicato alla qualità, quello successivo agli aspetti legali della professione. I capitoli 14 e 15 sono dedicati alla sfera economica finanziaria e al TCO. Le ultime parti aff rontano la strategia per redigere un piano per famiglia merceologica e l’applicazione del codice etico. |

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Business&Gentlemen

giugno - agosto 2011

Dal

consumatore alla persona. Come cambia la pubblicità La Human Satisfaction è il nuovo paradigma della comunicazione d’impresa. Ne è convinto Marzio Bonferroni, fondatore di UniOne e ideatore di questo nuovo modello presentato nelle scorse settimane a Milano. Se l’impresa di domani vuole sopravvivere deve considerare il proprio cliente non più “consumatore” ma “persona” testi di Laura Di Teodoro Porre al centro della comunicazione e della pianificazione pubblicitaria l’essere umano, le sue necessità emotive, razionali ed etiche. Superare la pubblicità-monologo per aprirsi al dialogo tra brand e consumatore e arrivare a creare, mantenere e sviluppare la Comunità di marca. Sono questi alcuni dei fondamenti della teoria della Human Satisfaction sviluppata da Marzio Bonferroni, fondatore e presiden14

te di UniOne, società di consulenza progettuale e operativa per la comunicazione d’impresa che ha presentato e snocciolato i dettagli del nuovo metodo in un convegno tenutosi a Milano nelle scorse settimane. Per quanto la pubblicità tradizionale possa essere raffinata, attenta a soddisfare bisogni e desideri dei consumatori, innovativa e coinvolgente, sembra non basta-

re più, e questo avviene già da tempo. Il pubblico ormai non compra più soltanto un prodotto o un servizio, compra anche e soprattutto una gratificazione. Come ha sottolineato lo stesso Bonferroni, “per affrontare e superare le difficoltà del mercato e la sua sempre maggiore complessità, l’impresa innovativa di ogni dimensione deve riscoprire il dialogo con le persone”. Detto in altre parole, se l’impresa di do-


Human Satisfaction

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Business&Gentlemen

giugno - agosto 2011

L’importanza del fattore umano Marzio Dal Cin, Presidente Consorzio Qualità Assolombarda

Spostare l’obiettivo dell’attività d’impresa alla dimensione umana per costruire un dialogo più a misura d’uomo e appagante tra chi chiede e chi offre. È quanto sostiene Marzio Dal Cin, Presidente Consorzio Qualità Assolombarda, intervenuto al convegno Human Satisfaction organizzato da Bonferroni. Quanto conta il fattore “umano” nella gestione del cliente e nella comunicazione d’impresa? Personalmente arriverei quasi ad affermare che gestione del cliente e comunicazione d’impresa sono basate esclusivamente sul fattore

Il punto di vista delle aziende “La persona-cliente va ascoltata in maniera costante, sincera, proattivamente e senza preconcetti, in un’ottica di miglioramento continuo”. È quanto sostiene Emanuela Sferco, Direttore Marketing di SAS, la maggiore società di soft ware e servizi di Business Analytics e la più grande società indipendente nel mercato della Business Intelligence, con oltre 11mila dipendenti e un fatturato globale di 2,43 miliardi di dollari. Sul fronte dell’importanza della comunicazione-dialogo relazionale, sottolinea la necessità “di saper creare affinità di contenuti e valori reciproci capaci di legare le persone alla marca. Ciascun processo chiave, come l’acquisizione e il mantenimento dei clienti, necessita del lavoro di squadra interfunzionale”. Una squadra che non abbraccia solo l’ufficio marketing ma si allarga a tutta l’azienda. “Una mentalità orientata al cliente non si crea da sola; deve essere pensata, programmata e attuata. E, se nel caso, rivista in corso d’opera. È chiaro come in questo scenario i confini tra azienda creativa e azienda non siano delineati. Ciascuno impara e insegna all’altro in un’ottica di scambio e arricchimento continuo. Dietro a questi concetti che non devono sembrare scontati, c’è l’attuazione e la realtà lavorativa di tutti i giorni fatta di persone che provano emozioni, hanno esigenze razionali e sposano valori spesso diversi”. E proprio l’uomo, con la sua psicologia, le sue emozioni e i suoi bisogni, deve essere posto al centro del processo evolutivo del mercato. Ne è convinto Paolo Ricotti, Presidente Fondazione Plef (Planet life economy foundation) che vede nell’uomo “il punto fermo e costante per ogni possibile evoluzione delle civiltà sia nel suo ruolo di agente del cambiamento, sia come destinatario delle attenzioni e attività dell’impresa. I suoi bisogni materiali consapevoli, uniti a quelli di natura immateriale comporranno l’equilibrio per un nuovo ciclo economico in grado di creare valore aggiunto per le imprese e la società e tanta soddisfazione a appagamento per la gente di tutto il mondo”. Luigi Ferrari, Presidente People Research ha invece posto l’accento sull’importanza della cultura della “stakeholder care” per costruire un’impresa di successo: “Un gruppo di ricercatori americani ha studiato una categoria di imprese caratterizzate da alti indici di gradimento da parte del pubblico su una serie di variabili rilevanti, definendole “Firms of Endearment” letteralmente “Società a cui si vuole bene”. Ne fanno parte società come Honda, Harley Davidson, Ikea, EBay, Johnson & Johnson, e altre che hanno in comune una fi losofia centrata sul conquistare il cuore delle persone prima del loro denaro (“It’s not share of wallet anymore, it’s share of heart”). Queste aziende sono più attente al benessere dei loro dipendenti, pagano meglio i fornitori, “viziano” i loro clienti, e danno un ritorno finanziario ai loro azionisti nettamente superiore alle aziende comprese nella S & P 500. In una parola sono imprese migliori, che svolgono meglio la loro missione di creare valore, valore globale e non meramente economico” Secondo lo stesso Ferrari quindi, “il fattore umano” sarebbe la “vera forza competitiva di cui dispongono le aziende per progredire e svolgere al meglio la loro missione economica e sociale”. | 16

mani vuole sopravvivere deve considerare il proprio cliente non più “consumatore” ma “persona”. E quindi deve pensare, per soddisfarne i bisogni, non alla customer satisfaction ma alla Human Satisfaction. Partiamo con il capire perchè è così importante il concetto di Human Satisfaction e il superamento del vecchio concetto di costumer satisfaction? Da studi fatti negli ultimi 15 anni è emerso che “consumatore” è diventato un termine ristretto legato a una visione utilitarsitica e consumistica, ingiusta se vogliamo considerare la visione umana del consumatore. La Human Satisfaction pone al centro l’essere umano e la sfera delle sue globali necessità emotive, razionali ed etiche. Per arrivare a soddisfare queste necessità (items) si tratterà anzitutto di saperle analizzare e misurare, per poter accertare come una marca e un’impresa le soddisfino, misurando così i gap che possono esistere tra le necessità e le soluzioni che la marca e l’impresa off rono. Su questa base obiettivamente misurabile, è dunque da rivedere a fondo, come già rilevato, la modalità creativa dei messaggi, ripartendo da quel primo vero “prodotto


Human Satisfaction umano. Dobbiamo sempre ricordare, prima di ogni considerazione di tipo imprenditoriale o commerciale, che noi stessi, in molti momenti della nostra giornata e della nostra vita, siamo “clienti” di qualcosa, e se facciamo un piccolo esame di coscienza ci accorgiamo che le nostre scelte sono sempre mosse, alla fine, anche e soprattutto da fattori umani: l’immagine, l’impatto psicologico, la sicurezza per noi e gli altri, la salute, il benessere, la soddisfazione… tutti elementi umani comuni a grandi e piccoli. Come concretamente le aziende devono muoversi per mettere al centro il fattore “umano”? Mettendosi dal punto di vista della persona a cui si rivolgono, co-

creativo” che in realtà non è il messaggio, bensì la strategia di comunicazione che ovviamente comprenderà messaggi e architetture di comunicazione interne ed esterne tra di loro coordinate agli stessi obiettivi. Come si struttura il vostro metodo? Il nostro metodo si struttura in passaggi a fasi ben definite. Dapprima c’è l’ascolto e l’individuazione dei bisogni degli stakeholder nelle tre aree fondamentali della persona: emozionale, razionale, etica. In un secondo passaggio vengono rilevati i gap tra la necessità del pubblico e l’offerta del marchio, tramite la Human Satisfaction Measurement. Viene quindi elaborata una soluzione strategica con l’intervento di un vero e proprio team multidisciplinare composto ad esempio da umanisti, fi losofi, giornalisti. L’obiettivo è quello di creare, mantenere e sviluppare

noscendone le pulsioni e le attrazioni. In tal senso è importante che le imprese determinino con reale certezza quale è il valore competitivo aziendale percepito dal cliente, non quello che esse credono di avere, basandosi spesso erroneamente su fattori arbitrari, storici o semplicemente desunti da osservazioni male interpretate. Quanto questo cambiamento di visione -il passaggio dalla customer alla human satisfaction- può incidere sulla qualità di un’azienda? Il passaggio è fondamentale in quanto riporta l’obiettivo dell’attività d’impresa alla dimensione umana, perché in fin dei conti

Il punto di vista accademico La Human Satisfaction? Ha il merito di mettere al centro l’uomo, l’etica della vita, il rispetto e consegna all’azienda risultati più duraturi nel tempo. Ne è convinto Giacomo Samek Lodovici, filosofo e docente nell’Università Cattolica di Milano che giudica il metodo messo a punto da Bonferroni, “una prospettiva estremamente pregevole perchè rispecchia e rispetta l’essere dell’uomo, evitando erronei e nefasti dualismi di vario genere”. Come spiega lo stesso professore “la Human Satisfaction contrasta il dualismo emozione/ragione, oppure corpo/spirito, ed evita altresì quel riduzionismo che risolve l’uomo in un mero fascio di emozioni: in realtà noi siamo distinti dalle nostre emozioni”. Un secondo punto a favore di questa pratica è l’idea del dialogo: “E’ importante promuovere una comunicazione incentrate sulla relazione. È un aspetto che credo sia molto redditizio: come insegnata Aristotele, “l’uomo è un essere sociale e nella relazione trova la sua soddisfazione”. A detta del docente della Cattolica inoltre, la metolodologia avrebbe un ritorno positivo per l’azienda stessa: “La pubblicità emozionale può generare dei risultati che cessano poco dopo la fine di una campagna pubblicitaria, perché l’emozione è breve, istantanea, rapidamente sostituita da quella successiva. Quindi una pubblicità che suscita emozioni difficilmente può produrre risultati a lungo termine. Invece, una pubblicità che si rivolge alla ragione è più duratura nei suoi risultati, perché nel lungo periodo quest’ultima, coi i suoi argomenti, può conseguire risultati più profondi e duraturi”. Un altro concetto chiave del metodo Human Satisfaction è quello della Comunità “di marca”, ergo il punto di incontro per clienti attuali e potenziali. Un concetto su cui è tornata Ariela Mortare, docente di Sociologia dei consumi all’Università IULM di Milano. “Create dai consumatori, o volute dalle aziende, le comunità di consumo si sono affermate nell’ultimo decennio dimostrando la loro utilità come efficace strumento di comunicazione tra i consumatori e le marche, testimoniano del passaggio da un modello di comunicazione one-to-many, tipico della comunicazione pubblicitaria, che prevede un flusso comunicativo che parte dall’impresa e arriva ai consumatori, a un modello many-to many che si basa sull’interazione tra i consumatori tra di loro e dei consumatori con la comunità”. Con la diff usione dell’accesso a internet, il boom dei social network, le comunità virtuali hanno contribuito a migliorare l’immagine del brand. “Esse – prosegue Ariela Mortare -, rappresentano un ottimo punto d’osservazione per i marketing manager che hanno la possibilità di seguire l’evoluzione delle percezioni, dei sentimenti e dei significati simbolici riferiti alla marca, permettendo di intervenire prontamente sulle criticità eventualmente messe in rilievo dalla comunità. Il monitoraggio delle dinamiche relazionali e dei dialoghi fra i consumatori fornisce anche spunti interessanti per lo sviluppo di nuovi prodotti o di nuovi concept di comunicazione (la logica del marketing collaborativo, della co-creazione e della cooperazione tra aziende e consumatori deriva in gran parte dalle comunità)”. Unica controindicazione: “Esiste comunque il rischio di una riappropriazione del brand da parte dei consumatori, pratica questa che può portare anche a un’interpretazione “deviata” (si pensi al fenomeno del cultural jamming)”. | 17


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alla radice di ogni azienda esiste sempre una persona, o più persone, e non un’entità astratta. Le imprese riflettono nel loro comportamento, e quindi anche nei loro valori, le persone che ne sono alla guida, e in quest’ottica vanno diretti gli sforzi comunicativi d’impresa. Come vede il consumatore di oggi? Come è cambiato nel tempo? “Consumatore” è un termine molto sfrut-

tato e a mio avviso anche piuttosto brutto, che dà la sensazione di un automa che esiste solo per bruciare e divorare ogni oggetto o servizio che gli viene proposto, distruggendolo, quasi fosse una belva famelica e insaziabile, dotata solo di istinti primordiali. Mi piacerebbe che questo termine fosse sostituito dalla parola “persona” o anche “cliente”, che è sicuramente più gradevole di “utente”, molto sfruttato da fornitori di servizi pubblici. Il “consumatore” infatti

non è una macchina ottusa a cui non far mancare nulla da “consumare”, ma un essere vivente con i propri bisogni, necessità, anche di natura psicologica e sentimentale. Di questo sicuramente i primi ad essersene resi conto sono essi stessi (NOI stessi) ed ecco la maggiore ricerca negli ultimi anni di un dialogo più a misura d’uomo e appagante tra chi chiede e chi off re. |

tisfaction riduttiva e restrittiva. La pubblicità non deve far sorridere ma deve far dire al consumatore “quel prodotto mi serve”. Ha parlato di team multidisciplinare. Cosa intende? Si tratta di un team che chiamo “nuovo creativo”. Subentra alla tradizionale coppia creativa e raduna prospettive diverse e competenze variegate, esperti di comunicazione e di marketing, specialisti di ambito umanistico (antropologo, psicologo, sociologo, scrittore e giornalista specialista, talent scout creativo) e di ambito scientifico (statistico, fisico, medico, tecnologo). Studia i concept, i messaggi, i canali e i mezzi di comunicazione secondo una logica ampia e innovativa.

Marzio Bonferroni, fondatore di UniOne e ideatore di Human Satisfaction

la Comunità di marca in modo dialogico soddisfacente e durevole per garantire all’azienda un presidio profondo, non vincolato a investimenti onerosi ma sporadici. L’ascolto delle esigenze del consumatore diventa quindi prioritario? Prima di progettare è necessario ascoltare. La comunicazione è dialogo e non monologo. La pubblicità monologo è difficilmente misurabile e scarsamente efficace, soprattutto per carenza di contenuti di valore riconosciuto dal pubblico, per un contributo attraverso i messaggi alla soluzione delle necessità non solo razionali ma anche emozionali ed etiche. Il dialogo e la relazione, oggi elementi strategici determinanti, sono invece possibili se si considera al centro dell’attenzione il cliente come persona globalmente intesa nelle sue necessità emotive, razionali ed etiche. Il monologo non stabilisce alcun legame durevole tra cliente e marca. Spesso i messaggi sono “figli” di una fi losofia di breve termine, che punta alla massimizzazione del profitto ma non alla sua ottimizzazione: esattamente quella fi losofia utilitaristica che tanti disastri ha procurato nel mondo finanziario e non solo. Questa filosofia a sua volta affonda le radici nella visione dell’homo oeconomicus, dimenticando che l’essere umano è in realtà homo relationalis, come insegnano l’antropologia, la sociologia, l’etica e la psicologia. La pubblicità, così come oggi la conosciamo, essendone figlia legittima, riconduce troppo spesso alla customer sa18

Qualè invece il ruolo della Comunità di Marca? È un modo per conoscere a fondo il pubblico di persone-clienti presenti nella parte alta della piramide di mercato e di conseguenza per offrire a ognuno di essi la più idonea soddisfazione emotiva, razionale ed etica. Ci permette di stabilire un mondo esclusivo di riferimento marca-clienti, raggiunto in maniera stabile e durevole. E soprattutto riduce il rischio di investimenti inutili e di campagne sporadiche.

Per quanto la pubblicità tradizionale possa essere raffinata, attenta a soddisfare bisogni e desideri dei consumatori, innovativa e coinvolgente, sembra non bastare più, e questo avviene già da tempo. Il pubblico ormai non compra più soltanto un prodotto o un servizio, compra anche e soprattutto una gratificazione Alla luce di questa necessità, cosa sono chiamate a fare sia le aziende che le agenzie di pubblicità? Si tratta di un lavoro e di un cambiamento che devono attuare entrambi. Imprese che hanno accettato di orientarsi ai valori del rispetto e della qualità umana, del dialogo e della relazione, hanno ottenuto risultati positivi di profitto. Hanno deciso di ascoltare e di risolvere le necessità che compongono quella totale e integrale soddisfazione personale che è la Human Satisfaction. | Però spero che la gente impari, ancora meglio di quanto già non faccia, a scegliere i prodotti perchè sono buoni e non per il loro marchio. Questo è il primo insegnamento di un marketing centrato prima sul cliente che sul profitto. Philip Kotler ww.humansatisfaction.it



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efficienza e risparmio con la comunicazione integrata Più

Secondo un’indagine realizzata da Siemens Enterprise Communications e Aberdeen Group, la gestione integrata dei mezzi di comunicazione porterebbe a un miglioramento del 58 per cento dell’efficienza della forza lavoro e a una reattività del 34 per cento testi di Laura Di Teodoro

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Unified Communications

Essere maggiormente reattivi nei confronti dei clienti: è questa l’esigenza principale che spinge le aziende ad adottare una soluzione di Unified Communications (UC) che permetta all’impresa di gestire, come fossero una cosa sola, i molteplici punti di contatto di un’azienda, dai telefoni fissi a quelli mobili, dai sistemi di messaggistica vocale e di videoconferenza a e-mail, sms, social media. È quanto emerge dall’indagine realizzata da Aberdeen Group per Siemens Enterprise Communications, svolta su un campione eterogeneo di 184 aziende internazionali, di piccole, medie e grandi dimensioni, appartenenti sia al settore pubblico che a quello privato. Le aziende sono state classificate come “Best in Class” (le migliori), “Industry Average” (quelle che hanno ottenuto risultati medi) o “Laggard” (le ultime della classe) in base ai seguenti parametri: riduzione dei tempi di risposta al cliente, incremento della collaborazione fra team e aumento dell’efficienza operativa. Perchè utilizzare questo tipo di soluzione? Se il primato spetta alla necessità di essere più reattivi nei confronti dei clienti, al secondo posto, con il 27%, emerge il bisogno di gestire la forza vendita dislocata sul territorio. Seguono, al terzo e al quarto posto, con lo stesso numero di preferenze, la necessità di avere un ritmo di lavoro sostenuto e continuo (25%) e il bisogno di ridurre i costi di viaggio. Le strategie messe in opera per rispondere alle precedenti esigenze, vedono in testa alla classifica, con il 38%, l’aumento della collaborazione tra la forza lavoro, seguito da una maggiore reattività nei confronti dei clienti (34%), da una riduzione della “latenza” (tempi morti, assenza di risposta) a causa della comunicazione

Grazie alla UC i tempi di risposta sono diminuiti del 75% nella comunicazione tra cliente-dipendente e del 58% in quella tra dipendente-cliente. Di conseguenza, la qualità della customer care è cresciuta del 64% e la customer satisfaction del 53% frammentata (25%) e, con il 23%, dall’ottimizzazione dei processi di business. Chi implementa una corretta soluzione di Unified Communications è in grado di migliorare del 34% i tempi di risposta ai clienti, di incrementare del 31% il lavoro di squadra e di aumentare del 58% l’efficienza della forza lavoro. Dall’analisi condotta risulta che le “Best in Class,” ovvero quelle aziende che hanno saputo sviluppare una buona soluzione di UC, ben integrata nei processi di business, hanno ridotto del 34% il tempo necessario ad aff rontare le richieste dei clienti (oltre 10 volte il valore delle “medie”, e più di 30 volte il valore delle “ultime della classe”), hanno migliorato del 31% il lavoro di squadra e la collaborazione fra team (oltre 15 volte il valore delle “medie” e 30 volte il valore delle “ultime della classe”) e hanno aumentato l’efficienza operativa del 20%, oltre 20 volte sia il

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La testimonianza di Rizzani De Eccher Un ritorno di efficienza sui processi e una riduzione dei costi. Con questi obiettivi il Gruppo de Eccher ha deciso di fornirsi di una serie di soluzioni di Unified Communication in grado di mettere in contatto i vari stakeholders che operano a livello internazionale, dall’America all’Australia. È quanto ci racconta Enrico Pillon, IT Manager del Gruppo Rizzani de Eccher, uno dei maggiori gruppi italiani presenti in tutto il mondo, nel settore dell’ingegneria e delle costruzion. Qual è il ruolo della Unified Communications oggi, secondo lei? Ritengo che le UCs siano un reale veicolo di efficienza oltre che un “servizio” di primaria utilità specie in contesti organizzativi dinamici che vedono la comunicazione come anello di imprescindibile importanza per i processi di business. Da un punto di vista fi losofico, penso che le UCs siano una sorta di ammissione di “ritorno alle origini” da parte del settore ICT, nella misura in cui torna ad essere centrale il ruolo della comunicazione, del messaggio tra un mittente e un destinatario, a prescindere dal “mezzo” che risulta appunto non essere più una discriminante di rilievo. Nello specifico, nella vostra azienda, quali soluzioni di UC avete deciso di utilizzare? Il progetto attualmente prevede la migrazione alla tecnologia IP del traffico voce fisso e mobile per poi integrare la soluzione verso ulteriori scenari di comunicazione alternativa a partire dalla messaggistica formale e informale. Un primo passo importante verso le UCs che stante la nostra presenza distribuita su 9 fusi orari all’estero implicherà uno sforzo comunque non irrilevante.

valore delle medie che delle “ultime della classe”. Questi miglioramenti rappresentano un’efficace risposta alle criticità che guidano l’adozione di una soluzione UC. Miglioramento delle performance: efficienza e customer satisfaction. I vantaggi conseguiti dalle “Best in Class” rientrano in due grandi categorie: quelli interni, relativi alla maggior efficienza e produttivi-

tà dei team e dei processi, e quelli esterni, che riguardano i rapporti con la clientela e la customer satisfaction. Analizzando i dati relativi alle Best in Class appare evidente come migliori significativamente la produttività della forza lavoro (+58%), così come si riducono i tempi per prendere una decisione che coinvolga più divisioni aziendali (49%). Notevoli i vantaggi relativi alla

Utilizzando questo tipo di tecnologia in quali dinamiche aziendali vi aspettate di registrare dei miglioramenti e in che misura? Certamente la riduzione dei costi è parte del payback atteso dall’investimento, ma direi che i ritorni di efficienza che ci attendiamo di ottenere sui processi (non sempre di immediata quantificazione economica) sono il reale motivo per cui abbiamo deciso di intraprendere questa strada. In un settore come quello dell’edilizia e delle infrastrutture dove può venire utile la Unified Communication? Abbiamo necessità di mettere in contatto in modo dinamico ed

reattività nei confronti del cliente: i tempi di risposta sono diminuiti del 75% nella comunicazione tra cliente-dipendente e del 58% in quella tra dipendente-cliente. Di conseguenza, la qualità della customer care è cresciuta del 64% e la customer satisfaction del 53%. La scelta della giusta soluzione UC, e la sua integrazione con i processi di business è dunque direttamen-

“Con la Unified Communication un aumento di produttività della forza lavoro del 58 per cento” Riduzione dei costi di gestione, aumento dell’efficienza e della produttività e ottimizzazione dei tempi. Sono questi alcuni dei vantaggi portati dall’utilizzo di soluzioni di Unified Communications secondo Riccardo Ardemagni, Amministratore Delegato di Siemens Enterprise Communications. Una Comunicazione Unificata in grado di unificare le varie modalità di comunicazione di un’impresa, dalla voce alla posta elettronica passando per il web e i dispositivi mobili.

Riccardo Ardemagni, Amministratore Delegato di Siemens Enterprise Communications

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Partiamo con il chiarire cosa si intende per Comunicazione Unificata? Con “Unified Communications” si intendono tutte quelle soluzioni tecnologiche in grado di unificare le varie modalità di comunicazione di un’impresa: voce, video, posta elettronica e messaggistica istantanea confluiscono in un’unica interfaccia di uso comune per PC, web o dispositivi mobili, rendendo più facile e veloce comunicare tra dipendenti, clienti e fornitori, snellendo il business.


Unified Communications

Essendo voi un’azienda internazionale, in quali Paesi viene maggiormente utilizzata la UC? Stiamo consolidando il progetto di UC nel nostro Paese e abbiamo già predisposto un piano di diff usione e integrazione tecnologica presso le principali Sedi periferiche a partire dal Medio Oriente. Contiamo di integrare completamente la soluzione nei prossimi 12 mesi. Enrico Pillon, IT Manager del Gruppo Rizzani de Eccher

efficiente stakeholders che operano su nostri progetti dal Nord America all’Australia. Un General Contractor fa dell’organizzazione un connotato distintivo per il successo sul mercato ed è quindi facile capire come la tempestività delle comunicazioni è una condizione necessaria per garantire l’efficacia della nostra posizione nella gestione delle dinamiche tipiche dei cantieri.

In che misura vi aspettate di misurare il ritorno dell’investimento? Come ho detto poc’anzi ritengo che i minori costi siano solo una componente dell’effettivo successo di questa scelta. La componente principale che ci auspichiamo di ottenere, erroneamente considerata da alcuni come “intangible asset”, è una maggiore fluidità operativa nella gestione dei processi caratteristici del nostro business. Per fare solo un esempio, oggi ci ve-

te correlata alla capacità di un’organizzazione di trasformare le strategie in profitto. Razionalizzazione e riduzione dei costi Il 72% delle Best in Class ha ridotto le spese di telecomunicazione mediante un routing intelligente delle chiamate tra dispositivi mobili e telefoni fissi. Il 56% è riuscita a contrarre le spese di viaggio grazie all’uso di strumenti di collaborazione in tempo reale, video conferenze e sistemi di messaggistica avanzati. Il 43% delle “Best

diamo costretti a far spostare da un capo all’altro del mondo le nostre persone magari solo al fine di partecipare a meeting di coordinamento. Auspichiamo che a breve quanto stiamo implementando non solo consenta di risparmiare i costi dei trasferimenti ma soprattutto di ottimizzare i tempi legati al coordinamento stesso. La piattaforma di UC è controllata e gestita internamente o esternamente? La gestione della piattaforma UC nel nostro Gruppo è in carico a risorse interne che si avvalgono comunque di un partnership solida con un player world-wide come Siemens. Ritengo che il giusto balancing tra l’outsurcing e la competenza “in house” sia di fondamentale importanza per rendere flessibile la gestione della tecnologia. | www.rizzanideeccher.com

in Class” ha misurato il ritorno dell’investimento in UC, cosa che, secondo l’analisi di Aberdeen, è il migliore strumento per accelerare il punto di break-even nel ROI (return of investment). Maggiore efficienza dei processi Se la soluzione di UC è il cervello di un progetto di comunicazione ben implementato, e il sistema di comunicazioni convergenti il suo cuore, allora la collaborazione può essere considerata la sua anima. Se non si migliora la collaborazione, è difficile accelerare il ROI e,

Perché i responsabili di rete aziendali dovrebbero guardare con attenzione a questo fenomeno? Grazie a un costo di implementazione relativamente basso, l’adozione di strumenti e tecnologie UC contribuiscono in tempi brevi alla riduzione dei costi di gestione, quali spese telefoniche, di comunicazione, di viaggi e trasferte. Il valore implicito di una soluzione di UC non è solo il potere di unificare le varie modalità di comunicazione di un’impresa riducendone i costi di gestione, ma anche quello di far convergere ed evolvere l’infrastruttura di base che la sorregge, in un sistema flessibile, scalabile e gestito. Non solo questione di risparmio quindi: da un’adozione strategica delle UC, le aziende possono mirare a una nuova crescita grazie all’aumento dell’efficienza e della produttività. Pensiamo ad esempio alla disponibilità di dipendenti e manager. Un’adeguata soluzione di UC permette infatti di verificare in tempo reale la presenza di un collega, di sapere che cosa sta facendo, dove si trova e di interagire con lui attraverso lo strumento più efficace: questo consente una ottimizzazione dei tempi della comunicazione a beneficio dell’efficacia del contatto e del miglioramento dell’esperienza personale di comunicazione, aumentando la produttività complessiva di tutto il sistema. Ulteriore aspetto di rilievo che permette una crescita della produttività in azienda è dettato dall’integrazione di queste soluzioni di comunicazione nei processi di business

(Sales Force, Sap, ma anche una cartella clinica di una struttura sanitaria). In Siemens quali tecnologie UC avete adottato e quali le soluzioni che proponete? Chiaramente noi stessi siamo un esempio concreto di un’adozione strategica dei migliori strumenti di Unified Communication. Il nostro percorso verso le UC è partito ormai da diversi anni con il nome OpenScape (Open vuole proprio significare l’apertura agli standard), un’architettura totalmente aperta e soprattutto integrabile in un’ottica ‘open’ con sistemi di altri operatori, da Android a iOS, da Symbian a Windows Mobile. Per noi Unified Communications non sono una nuova tecnologia, ma è il mettere a disposizione di un individuo la possibilità di utilizzare strumenti che spesso ha già in azienda ma che non utilizza perché di difficile interazione, cercando di sin23


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tetizzare e aggregare delle informazioni che, se singolarmente sono confuse, aggregate nel modo giusto possono apportare un valore significativo. Tutta l’offerta di Siemens Enterprise Communications ruota intorno al concetto di OpenScape UC suite 2011 e sul suo pilastro OpenScape UC Server che poi è ritagliato e configurato per diverse fasce di utenza con diverse applicazioni, come OpenScape Xpress, per le aziende di medie dimensioni, OpenScape Enterprise per le grandi organizzazioni, e OpenScape Office, dedicato alle piccole e medie imprese. Quali tipologie di aziende dovrebbero implementare l’utilizzo di questa tecnologia? Dalla grande azienda globale fino alla piccola media impresa: sono tutti soggetti che possono implementare in modo virtuoso soluzioni di UC. Per le grandi organizzazioni è preferibile l’implementazione di queste tecnologie con un approccio progressivo (ad esempio per aree geografiche o per funzioni aziendali) per facilitarne il deployment e un migliore coinvolgimento degli utenti finali. Quali azioni possono aiutare a stimolare significativi miglioramenti prestazionali per la singola azienda? Ci sono senz’altro diverse iniziative in grado di un sviluppare un processo efficiente e produttivo delle UC in azienda, in termini di implementazione, sponsor e approccio utilizzato. L’investimento in applicazioni di Unified Communication deve essere supportato da una esplicita strategia di implementazione, e non solo da un approccio tattico che non sempre è in grado di creare le basi per successive evoluzioni del progetto. Sicuramente è bene partire con un primo approccio focalizzato, rispetto alle aree più critiche dell’azienda, dove si concentra maggiormente l’attenzione del management, prima di procedere alla diff usione a tutta la popolazione aziendale. Questo approccio permette di avere riscontri immediati da parte degli utenti per comprendere

di conseguenza, migliorare il flusso di lavoro dei processi. Un’adeguata soluzione UC è in grado di permettere ai dipendenti di verificare in real time la disponibilità e la presenza di un collega, di sapere che cosa sta facendo in quel momento e dove si trova. Può inoltre permettere una gestione condivisa di strumenti di collaborazione come instant messanging, mobile wikis, microblogging. 24

al meglio quali siano le esigenze per poi procedere con uno sviluppo incrementale degli strumenti messi a disposizione. Questa pratica permette anche di ottenere dei forti sponsor aziendali per tali iniziative all’interno dell’organizzazione. Ruolo rilevante in termine di sponsorship è giocato dal Top Management (insieme alla Funzione Sistemi Informativi), che oltre a essere degli importanti sponsor, risultano spesso tra i principali “pionieri” nell’utilizzo di queste applicazioni: avere il Top Managment a bordo non solo come sponsor, ma anche come principale utilizzatore permette di ottenere un positivo effetto “volano” sull’intera organizzazione, favorendo la diff usione degli strumenti e creando maggior coinvolgimento organizzativo. Fondamentale, infine, come anticipavo prima, non limitarsi a un utilizzo delle soluzioni UC come puro mezzo tecnologico, ma portarlo dentro al business dell’azienda. In termini di fatturato, quanto può incidere l’utilizzo dell’UC? Grazie alle UC, seguendo proprio l’indagine che abbiamo commissionato ad Aberdeen Group, le prime della classe (che in Italia sono rappresentate dalle telco, seguite da aziende del settore biotech e finance) hanno ridotto del 34% il tempo necessario ad affrontare le richieste dei clienti, migliorato del 31% il lavoro di squadra e aumentato la produttività della forza lavoro del 58%, mentre si sono ridotti del 49% i tempi per prendere una decisione che coinvolge più divisioni aziendali. La maggiore reattività nei confronti del cliente fa salire nelle best in class anche la qualità del customer care del 64% e la customer satisfaction del 53%. La somma di tutti questi fattori va a incidere, e non poco, sul fatturato. Quali sono le principali evoluzioni sul fronte delle telecomunicazioni a cui andremo incontro nei prossimi anni e che potranno dare un ulteriore valore aggiunto alle aziende? La novità più concreta degli ultimi anni nell’IT che sta già rivoluzionando il modo di concepire e di consumare i servizi e che rappresenterà anche il futuro del settore è senz’altro quella del Cloud Computing, di cui si fa un gran parlare. C’è chi la considera la nuova rivoluzione industriale, in grado di modificare l’intero paradigma dell’informatica e delle telecomunicazioni attuali. Come Siemens Enterprise Communications osserviamo attentamente cosa è cambiato e cosa sta mutando nell’IT e nelle imprese; compito, oggi, di chi opera nella comunicazione è integrare l’offerta attuale inserendola nella “nuvola”. Sono 5 i trend identificati dalla società che diventano priorità per le imprese: l’enterprise e il consumer stanno convergendo e il secondo ha spinto i bisogni del primo; l’utente vuole avere le stesse implementazioni di cui usufruisce nel privato anche nel mondo lavorativo; il mobile che ha preso il sopravvento sul fisso; la necessità di maggio-

Business continuity Sul fronte sicurezza dati ben oltre la metà delle “Best in Class” si rende conto della possibile vulnerabilità delle soluzioni UC, tecnicamente più difficili da proteggere a causa della loro multimedialità e natura real-time. Di conseguenza, il 61% delle “Best in Class” si è dotata di una soluzione di sicurezza robusta e performante e circa la metà (49%) ha adottato controlli proce-

durali più stringenti, in linea con i vincoli di conformità e le procedure di gestione del rischio imposte sia dalle amministrazioni pubbliche che da spefiche normative di settore. Le altre aziende sono invece molto più indietro nel recipire l’importanza di implementare sia queste policy di sicurezza che le normative di conformità. Infine solo 1/3 delle aziende “Best in Class” e 1/5 delle altre sta valutando i costi e i benefici di una


Unified Communications re sicurezza, in quanto più “aperti”; infine è necessaria la facilità di implementazione del ”nuovo”. Non solo, altri 3 sono gli aspetti attualmente importanti: le aziende sono sempre di più ovunque nel mondo, anche le piccole aziende hanno una visione globale; l’avvento della multimedialità (bisogna fornire all’utente la Web collaboration, messaging, la presenza, l’instant messaging, l’email, la mobilità, l’HD, il video …); infine il social network che ormai pervade anche le imprese che tengono i contatti con i clienti attraverso Twitter o simili. Come Siemens Enterprise Communications quali obiettivi vi siete posti? Siemens Enterprise Communications è un’azienda solida con forte propensione al cambiamento e alla trasformazione della comunicazione: è stata pioniera nelle telecomunicazioni, e si trova velocemente a cambiare e a fare tesoro di un’infrastruttura solida e riconosciuta sul mercato. Forti di questo, è nostro compito concentrarci sulle esigenze dell’utenza, osservare attentamente le evoluzioni e le nuove dinamiche di settore, così da poter essere pionieri a nostra volta, capaci di anticipare processi, soluzioni, dinamiche e trend, e concretizzare il futuro, oggi. In Europa abbiamo una penetrazione molto forte e, grazie alla focalizzazione sulle nuove tecnologie e al Cloud in particolare, stiamo crescendo in tutti gli altri mercati: siamo primi nel Latino Americano, in crescita negli Usa e, come tutti, in India e Cina. In Italia la penetrazione del mercato di Siemens Enterprise Communications è legata in particolare alle grandi imprese e all’ambito pubblico, con una buona presenza anche nella media grazie alla rete dei partner. Tra i nostri obiettivi, anche quello di rafforzare il canale indiretto: attraverso il nostro nuovo programma di canale “Go Forward!” contiamo, infatti, di sviluppare la nostra presenza nello small medium business; un mercato, questo, dove ci aspettiamo una rapida crescita. |

Flavio Tavarnelli, Manager Area Rete e Telefonia dei Sistemi Informativi Humanitas spa

La testimonianza di humanitas mirasole spa Il settore sanitario sta gradualmente portando al suo interno nuove tecnologie e innovazioni per ottimizzare i tempi del personale e per migliorare la qualità del suo operato. Un’operazione che la Humanitas Mirasole Spa di Milano ha fatto propria attraverso l’utilizzo di alcune soluzioni di Unified Communication soprattutto nell’area Servizio Clienti. Ci spiega i dettagli Flavio Tavarnelli, Manager Area Rete e Telefonia dei Sistemi Informativi Humanitas spa . Qual è il ruolo della Unified Communications oggi, secondo lei? Il ruolo della UC è certamente quello di incrementare la produttività dei singoli, dei gruppi di lavoro, dei servizi aziendali consentendo al tempo stesso di facilitare il controllo, la gestione, l’integrazione dei mezzi di comunicazione più comuni: telefoni, fax, posta elettronica, messaggistica istantanea nonché condivisione documenti e video conferenze. Nello specifico, nella vostra realtà, quali soluzioni di UC pensate di utilizzare? Nella realtà Humanitas già oggi alcuni utenti utilizzano l’integrazione voce e fax con il sistema di posta elettronica, in particolare nell’area Servizio Clienti a complemento del Contact Center e delle Segreterie Medici. Nel prossimo periodo si prevede di estendere tali funzionalità ai medici e personale di staff. Utilizzando questo tipo di tecnologia in quali dinamiche vi aspettate di registrate dei miglioramenti e in che misura? Con l’introduzione delle tecnologie UC rileviamo un’ottimizzazione del tempo del personale nelle operazioni di routine, permettendo allo stesso di migliorare la qualità del suo operato. Ci aspettiamo inoltre di ottenere risparmi sui consumi telefonici riducendo la necessità di rintracciare su rete cellulare pazienti e medici, questo anche grazie all’introduzione della tecnologia DECT. In un settore come quello sanitario dove può venire utile la Unified Communication? Come già accennato la UC è molto utile nell’area del Servizio PARC (Prenotazione, Accettazione, Ricovero, Cassa), si prevede di migliorare la rintracciabilità del personale interno con i canali di comunicazione disponibili in tempo reale o differito a seconda del tipo di necessità. In quale misura vi aspettate di misurare il ritorno dell’investimento? Misurare il ritorno dell’investimento nell’ambito UC, VoIP/DECT non è semplice, prevediamo di ottenere i migliori ritorni guadagnando e ottimizzando il tempo dei professionisti mantenendo bassi i costi di gestione. Il nuovo sistema ci permetterà di ridurre i tempi e costi di MAC (Move Add & Change). La piattaforma di UC è controllata e gestita internamente o esternamente? La gestione della UC è affidata ad un partner, Siemens, che da anni ci garantisce un ottimo servizio sotto le direttive dei Sistemi Informativi.

gestione interna dell’infrastruttura UC rispetto a quelli possibili con una gestione in outsourcing o in modalità managed, implementata poi con tecnologia Cloud o Soft ware-as-a-Service (SaaS). | Per costituire un gruppo di lavoro occorrono tempo, pensiero e comunicazione in stretta collaborazione. Meltzer www.siemens-enterprise.com

Come vede la diffusione di questo tipo di tecnologia nel settore sanitario? C’è una certa sensibilizzazione? La tecnologia UC si sta diffondendo a macchia d’olio, il settore sanitario erediterà in ogni caso questi servizi in modo strutturato o destrutturato che sia, sarà la sensibilità degli amministratori che permetterà di scegliere in modo profittevole gli elementi UC che potranno dare i migliori ritorni di produttività a seconda delle organizzazioni ed esigenze delle singole Strutture, pubbliche o private che siano. www.humanitas.it

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giugno - agosto 2011

Innovare con la

simulazione

In un convegno organizzato al Kilometro Rosso e rivolto ai manager, Ansys Italia ha coinvolto Microsoft, Mox Off, The Open University Business School, Sistemi & Impresa e Federmanager per raccontare la simulazione numerica, i suoi vantaggi e gli effetti positivi per la competitività aziendale a cura della redazione

L’innovazione e l’efficienza aziendale viaggiano attraverso la simulazione numerica e la prototipazione virtuale, tecnologie che permettono di ridurre i costi, i margini di rischio e confezionare un prodotto di successo. Su questi e altri punti si è incentrato il convegno organizzato da Ansys Italia al Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso dal titolo “Innovare con la simulazione” aperto a imprenditori e manager di aziende. La conferenza ha visto la partecipazione di partner importanti tra cui Microsoft, Mox Off, The Open University Business School, Sistemi & Impresa e Federmanager con l’obiettivo di parlare

prese, concetto più volte sottolineato da Carlo Gomorasca, Ceo di Ansys Italia: “Innovare un prodotto è rischioso – ha detto Gomorasca -. Lo si fa per creare nuove opportunità o per creare un fenomeno legato al prodotto stesso. L’innovazione va fatta, anche su prodotti consolidati”. Il motivo? “Come più volte ha dimostrato l’esempio dell’azienda Dyson – prosegue il Ceo di Ansys -, non c’è prodotto sul mercato che non possa essere fatto meglio”. L’azienda Dyson ha infatti investito molto sulla simulazione conseguendo risultati di successo. Uno tra tutti, negli USA ha strappato ad Hoover il 21 per

direttamente ai management aziendali sull’importanza della gestione della complessità attraverso la tecnologia. In un contesto di incertezze e di crisi infatti, la simulazione numerica può diventare un elemento determinante per la competitività delle im-

cento del mercato nel settore degli aspirapolveri, costringendo il colosso a una rincorsa. “La simulazione – conclude Gomorasca – ha lo scopo di facilitare il pensiero e lasciarlo libero, evitando di prendere rischi con

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Tecnologia e Innovazione

Il valore dell’innovazione Intervista a Thierry Marchal, Worldwide Industry leader di Ansys

La Innovation Executive Conference che si è tenuta al Kilometro Rosso può essere definita come il primo momento in Italia in cui si racconta il valore delle tecnologie di simulazione a persone non tecniche, ma ai dirigenti delle aziende manifatturiere. Perché i dirigenti dovrebbero interessarsi di uno strumento tecnico e come ANSYS sta cercando di aiutarli? Una parte del mio lavoro consiste nell’incontrare i massimi dirigenti di aziende multinazionali in tutto il mondo per aiutarli a visualizzare come la simulazione, integrata nel processo di sviluppo del prodotto, possa portare a benefici strategici importanti per la competitività dell’azienda stessa. La fase in cui si impiegava la simulazione solo per migliorare le prestazioni dei prodotti o di ridurre il time to market è superata. Questi valori, seppur sempre importanti, passano in secondo piano di fronte all’enorme vantaggio che si ottiene prendendo la simulazione come base per tutto il processo di progettazione stesso, modificandolo in maniera sostanziale. Il concetto di “Simulation Driven Product Development”, in cui viene utilizzata la simulazione sistematicamente sin dalle prime fasi della progettazione fino alla prototipazione e test, richiede un cambiamento metodologico e culturale del modo in cui nuovi prodotti vengono sviluppati. Accade quello che Bob Tickel, Direttore dell’Analisi presso un’azienda internazionale che si chiama Cummins, ha chiamato “il passaggio da una cultura test-centrica a un’analisi-centrica, favorito dalla facilità d’uso e affidabilità degli strumenti oggi disponibili”. Un cambiamento così drammatico non può essere fatto senza il supporto del top management aziendale e dell’imprenditore. Anche se gli utenti e i loro manager diretti sono convinti che

la simulazione sia la soluzione da adottare, è come viene implementata che fa la differenza. La modifica di processi e gli investimenti richiesti (spesso soprattutto in termini di impegno iniziale delle persone) non sono pensabili se non c’è un forte commitment di proprietà o direzione generale. Inoltre queste persone sono le uniche che riescono ad avere una visione abbastanza ampia per comprendere tutte le implicazioni startegiche di queste scelte e non fermarsi al banale, seppur interessante, risparmio in prototipi e tempo. Perchè ANSYS a questa conferenza? Perchè il top management non è sempre consapevole di cosa sia la simulazione, e soprattutto di quali vantaggi ne stanno traendo le aziende “best in class” nel mondo. I nostri utenti spesso trovano nel management un ostacolo alle loro idee e ci chiedono spesso di aiutarli a far comprendere il motivo per cui richiedono determinati investimenti in soft ware e formazione. In Italia si è ancora indietro, e non di poco, rispetto ad altre nazioni europee come la Germania, ma anche Francia e Inghilterra. I rischi non sono pochi: il divario che si crea ora potrebbe non essere facile da recuperare. È evidente che questi argomenti sono di interesse per i vertici delle aziende, addirittura più che per i tecnici stessi. Inoltre, non dimentichiamoci che il peso strategico di fattori come innovazione sul prodotto/processo, la sostenibilità ambientale ed energetica, il costo di gestione dell’ingegneria e l’integrità di prodotto (qualità, affidabilità, robustezza..) sono di solito decisioni prese ad alto livello, che verranno solo controllate poi dal management intermedio. È quindi importante che il dirigente sia consapevole di come, per esempio, oggi alcuni prodotti si sviluppino in un decimo del tempo rispetto agli anni scorsi o si possa raggiungere con un solo prodotto obiettivi come innovazione, riduzione dei costi e riduzione dei tempi di sviluppo mantenendo la garanzia dell’affidabilità dello stesso quando fino a pochi anni fa si sarebbe dovuti scendere a pericolosi compromessi. Qual è il futuro di queste tecnologie? Cosa sta accadendo in Italia e nel mondo?

Stiamo andando verso la simulazione pervasiva: un mondo dove ogni prodotto coinvolgerà in modo continuo la simulazione durante ogni fase di sviluppo, perché questo sarà l’approccio conveniente per “fare bene la prima volta”. Questo significa che ogni decisione verrà supportata da decine, centinaia o migliaia di analisi, facilitate da soft ware che permettono agli ingegneri un’altissima produttività e velocità, concentrando le loro competenze sull’analisi dei dati. In Italia, come nel resto del mondo, ci sono aziende molto diverse tra loro per dimensioni, ma soprattutto per apertura mentale verso l’innovazione. Molte hanno paura degli investimenti, altre di stravolgere i loro processi. Per questo noi abbiamo un approccio consulenziale e le aiutiamo attraverso piani di implementazione commisurati a ogni singola realtà. Certo una società aeronautica, abituata alla tecnologia, è di solito più propensa a considerare la simulazione rispetto ad una società del settore alimentare. Sareste comunque sorpresi di vedere tutti i settori in cui la simulazione è applicabile ed è già applicata: siamo quindi già tutti sullo stesso percorso. L’Italia vive una situazione particolare: alcune aziende sono dei gioielli grazie a imprenditori illuminati che hanno fatto come tedeschi e francesi, investendo e rinnovandosi durante la crisi. Molti sono rimasti fermi a guardare una rivoluzione silenziosa e rischiano ora di dover rincorrere i concorrenti. È di fondamentale importanza capire inoltre che lo strumento offre potenzialità diverse a seconda di come viene implementato. Alcune aziende simulano solo componenti singoli, altri interi sistemi. Alcuni non utilizzano le capacità dei soft ware di accoppiare i risultati di analisi fatti su fisiche diverse (elettromagnetica, strutturale, fluidodinamica, acustica...), gestire scale diverse (nano e micro componenti), domini multitempo (chiaro l’esempio tragico delle torri gemelle quando l’impatto con un aereo, un evento misurabile in un paio di secondi, ha creato un crollo a distanza di ore), valutare l’azione del tempo sul sistema (per prevenire guasti dopo anni dall’acquisto o per valutare / allungare i cicli di manutenzione). Le aziende leader utilizzano il design exploration, la possibilità di automatizzare l’esplorazione di soluzioni diverse alla 27


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giugno - agosto 2011

ricerca dell’optimum, senza scartare quelle più originali ed innovative che potrebbero portare ad innovazioni importanti ma che spesso oggi si tralasciano per lo sfavorevole rapporto costo/rischi/benefici. Abbiamo visto un grande esempio di come una società può essere estremamente innovativa anche producendo prodotti comuni come un ventilatore o un aspirapolvere. Guardando al caso Dyson, qual è il ruolo che la tecnologia, e la simulazione in particolare, deve avere nei processi aziendali? Io non sono il primo a dire che il mondo è sempre più piccolo: il concorrente di oggi magari si trova a migliaia di chilometri di distanza, in un altro continente e non possiamo capire da cosa derivi il suo vantaggio competitivo perchè ci è difficile avere informazioni sulla sua strategia, sui suoi processi, sulle tecnologie che usa. Per mantenere noi stessi un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo dobbiamo innovare con costanza e rapidamente, riducendo nel contempo i rischi intrinseci nel fare innovazione in costrizione di budget e tempi perchè nessuno può permettersi di fare errori. Il loro costo è elevatissimo, come ci insegnano casi come quello di BP e del disastro del Golfo del Messico. Dyson dimostra che con la tecnologia possiamo sopperire al vantaggio legato al costo del lavoro e subire molto meno la concorrenza della Cina: un ventilatore oggi si vende a 30 28

Euro, quello di Dyson a 200 Euro. Il problema è che l’approccio tradizionale non riesce a governare tutte le variabili coinvolte nello sviluppo di un prodotto innovativo, sostenibile, che costi poco, che sia sviluppato velocemente e che risulti affidabile nel tempo. Quindi, aziende che vogliono emergere come leader di domani sono passate al mondo virtuale, al fine di testare anche idee insolite o addirittura considerate folli da cui potrebbero derivare esperienze importanti, nuovo know-how, innovazioni dirompenti. Chi avrebbe mai immaginato un ventilatore senza pale, appena 2 anni fa? Non dobbiamo uccidere la creatività delle nostre persone, ma dare loro strumenti per verificare in modo rapido ed economico quante più idee possibile per poi portare alla direzione aziendale l’idea stessa insieme alle prove della sua fattibilità. Le persone spesso chiedono quale sia il costo di simulazione. Dalla conferenza, sembra che sia più corretto chiedersi quale sia il costo di non usarla.... Esattamente. È facile misurare il costo della simulazione (costo del soft ware, hardware e risorse di ingegneria). Come spiegato durante la conferenza, c’è una parte di “risparmio” sui costi che è facilmente visibile e riguarda, ad esempio, l’eliminazione di molti prototipi fisici. Ma questa è la punta dell’ iceberg. Noi incoraggiamo fortemente

strumenti che riescono a limitarli. Questa tecnologia ha lo scopo di aiutare le aziende nel verificare le proprie idee per scegliere la migliore”. Un “aiuto”, il cui costo resta difficile da definire con precisione. “Sarebbe meglio – evidenzia il Ceo di Ansys - chiedersi quanto costa non fare la simulazione o meglio quanto potrebbe costare il fallimento di un determinato progetto”. La simulazione numerica e quindi la matematica, non sono concetti e argomenti lontani dalla quotidianità. Al contrario, come ha sottolineato il professor Alfio Quarteroni, direttore del centro Mox di Modellistica e Calcolo Scientifico del Politecnico di Milano “la matematica permea il mondo e i suoi modelli sono fatti per interpretare la natura e tutto quanto ci circonda”. Qualche esempio? Ogni giorno negli Stati Uniti vengono inviati 2,5 miliardi di sms il cui funzionamento è possibile grazie a un algoritmo; il sistema di ricerca in Google è possibile attraverso il Page Rank, ergo un algoritmo di analisi che assegna un peso numerico ad ogni elemento di un collegamento ipertestuale d’un insieme di documenti.

Ansys conta complessivamente 34mila clienti nel mondo. Tra le imprese nel mondo elencate in Fortune 100, 97 impiegano i software e i servizi di Ansys. Il Gruppo è forte di un fatturato di 600 milioni di euro e un organico complessivo di 1700 dipendenti, di cui un terzo è dedito all’area della Ricerca e Innovazione “In tre anni è triplicata la potenza di calcolo grazie all’utilizzo della simulazione – prosegue Quarteroni -. Grazie a questa tecnologia è possibile visualizzare i diversi scenari e le diverse soluzioni per realizzare un prodotto sempre migliore”. L’approccio alla tecnologia resta quindi, per aziende, manager e tecnici, la “migliore strategia” per aff rontare il mercato e le sfide del nuovo millennio, una considerazione che è arrivata direttamente per voce di Tim O’Donnell e Jean Pollard della Open University Business School Italia. “I rischi diminuiscono qualora vengano utilizzate le tecnologie per la simulazione e la prototipazione – hanno sottolineato -. La chiave del successo aziendale deriva proprio dal giusto e adeguato approccio strategico con questi due elementi”.


Tecnologia e Innovazione

In un contesto di “cambiamento necessario”, le aziende sono chiamate a organizzarsi sia internamente che esternamente “attraverso una formazione continua e un approccio di open innovation fatto di scambi di esperienze e tecnologie tra le aziende. Le strategie vincenti sono legate al networking e all’intreccio tra sapere universitario, mondo produttivo e ricerca”. Proprio partendo dalla simulazione una realtà come Microsoft sta cercando di inserirsi in mercati ancora poco battuti quali quello bancario e quello giuridico. “L’approccio alle tecnologie è molto cambiato rispetto a dieci anni fa – ha spiegato Beat Sommerhalder, Director WE HQ Marketing lead Technical Computing di Microsoft -. Inizialmente a fare la differenza era la potenza dell’elaboratore mentre ora quello che più conta è la funzionalità dei soft ware e delle applicazioni. L’attenzione si è spostata dalla macchina al consumatore finale. Per questo Microsoft sta collaborando con Ansys con l’obiettivo di migliorare l’interazione tra i suoi sistemi operativi avanzati e i soft ware che li usano, aumentando la velocità e ottimizzando le risorse”. Ma cambiare e rischiare non è sempre facile, come ha sostenuto Antonio Calabrese, fondatore di Rippols Active Intelligence e Direttore dei sistemi informativi di Ferrari Corse fino al 2008: “I cambiamenti sono sempre accompagnati da una serie di dubbi. Chi non la conosce, spesso teme l’innovazione – ha spiegato Calabrese - un esempio concreto è il cloud computing. Nonostante abbia portato notevoli migliorie al lavoro in azienda, ha sollevato molte questioni, tra cui la protezione dei dati e gli aspetti legali legati al cambiamento di

Stato”. Calabrese ha proseguito ribadendo l’importanza della collaborazione, non solo all’interno dell’azienda ma anche tra aziende e settori diversi. “A fare la differenza non sono solo le soluzioni, che devono essere valide – ha concluso – ma il modo di approcciarsi al problema”. Il coraggio di innovare e le giuste competenze tecniche devono essere accompagnate da un’adeguata tempestività: “Per essere leader di mercato e non followers è necessario arrivare per primi – ha sottolineato Claudia Miani, Innovation & Management Advisor nella azienda che lei stessa ha fondato dopo diverse esperienze alla guida dei team di ricerca di diverse multinazionali - e per questo la simulazione è fondamentale”. Secondo l’ingegnere Miani, il lancio di un nuovo prodotto deve essere fatto in quattro fasi: “un’attenta ricerca, lo sviluppo del prototipo, la validazione dello stesso e infine il lancio sul mercato”. Nella prima fase è molto utile avvalersi di ricercatori esperti, anche esterni all’azienda come l’Università; nelle fasi di prototipazione e di validazione invece la simulazione risulta essere la scelta vincente per il risparmio di denaro e di tempo. La Miani ha concluso sottolineando l’importanza della collaborazione per innovare, “seconda per importanza solo allo stimolo iniziale dell’imprenditore”. |

Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gloria come del pericolo, e tuttavia l’affrontano. Tucidide www.ansys.com www.kilometrorosso.it

le imprese a calcolare i risparmi e a valutare il valore reale della simulazione. Ma il costo intangibile del non usare la simulazione è ancora più grande: cosa succede ritardando il lancio di un prodotto? E se nel frattempo la concorrenza arriva prima di noi? Cosa succede se un prodotto nuovo si guasta e crea problemi ai nostri clienti? Quanto vale il danno in immagine e fiducia, e quanto costa recuperarlo? Jim Cashman, CEO di ANSYS, ha sottolineato in un suo discorso, come oggi il costo di un errore può essere insostenibile anche per un’azienda di grandi dimensioni. Alla conferenza sono stati citati diversi casi: analizzati gli impatti non solo economici, è stato opportuno risparmiare durante lo sviluppo? Abbiamo anche evidenziato come in realtà molte sono le aziende che usano la simulazione e poche quelle che la usano correttamente. Le “best practices” che abbiamo individuato sono: farne un uso sistematico, fin dalle prime fasi del processo; usare l’analisi parametrica per studiare scenari, valutare soluzioni e prendere decisioni; gestire il know-how aziendale, usando la simulazione per fare esperienza e gestendone i risultati in modo che diventino un patrimonio riutilizzabile; gestire la complessità attraverso sistemi soft ware intelligenti ed adattativi. Un recente sondaggio svolto da Aberdeen Group quantifica con chiarezza la differenza tra le aziende di maggior successo e tutti gli altri in termini di gestione di ingegneria della conoscenza: l’impiego efficace della simulazione non dipende dai tecnici, che conoscono le potenzialità della tecnologia, ma dagli executive delle aziende che temono, di fronte a ciò che non conoscono, di commettere un errore nel deciderne l’implementazione. È la stessa Aberdeen Group a dirci che invece questo è l’errore vero. Questo è il motivo per cui Ansys, da leader mondiale della tecnologia, si è evoluta da realizzatore di soft ware a consulente per supportare le aziende a quantificare correttamente i benefici e prendere decisioni tali da poter rimanere competitivi, anche di fronte ad una concorrenza globale. | 29


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giugno - agosto 2011

Artemide quando la luce è design

Fondata nel 1960, Artemide è uno dei brand di illuminazione tra i più conosciuti al mondo, sinonimo di design, innovazione e Made in Italy a cura della redazione

Un simbolo indiscusso del design italiano nel mondo, un’azienda leader nel suo settore e un‘eccellenza riconosciuta a livello internazionale. Parliamo di Artemide, realtà nata nel 1960 e tra i principali leader nel settore dell’illuminazione residenziale e professionale d’alta gamma. Il successo di Artemide ha radici profonde e risale al primo dopoguerra, quando viene creata la prima lampada denominata “Alfa”. In un periodo in cui l’immaginario collettivo identificava l’illuminazione elettrica con la classica lampadina, Artemide ha scelto di puntare sul design. “Allora come oggi era fondamentale sapersi distinguere – ha sottolineato l’ingegner Ernesto Gismondi, CEO di Artemide. – Per noi il design non è solo estetica ma è un vero e proprio modo di progettare.” Sin dagli albori, infatti, Artemide ha collaborato con i maggiori designer del mondo, da Enzo Maris a Carlotta de Bevilacqua da Michele de Lucchi a Karim Rashid fino alla recente collaborazione con Zaha Adid in occa30

sione del Salone del Mobile 2011. “Artemide ha da sempre avuto il piacere di lavorare con grandi maestri del design internazionale - ha continuato Gismondi – ed è alla costante ricerca di giovani emergenti, di talenti nuovi da portare in Artemide”. Oltre al design dei prodotti, Artemide è arrivata a toccare i livelli attuali grazie soprattutto a fattori quali: la fedeltà ai valori aziendali, l’attenzione al cliente, eccellenza professionale e innovazione. “Il nostro successo è strettamente legato allo sforzo di essere sempre noi stessi – ha spiegato l’ingegnere – alla serietà nel modo di lavorare e alla qualità dei nostri prodotti. Un impianto di illuminazione Artemide è garantito 10 anni, e in realtà dura molto di più. Una volta scaduta la garanzia siamo comunque lieti di dare assistenza ai nostri clienti”. L’innovazione e la ricerca sono due punti cardine dell’attività aziendale. “Senza ricerca non c’è innovazione – ha dichiarato l’ingegner Gismondi - e in un contesto come quello attuale è necessario innovare, stare al passo

Ingegner Ernesto Gismondi, CEO di Artemide


Azienda di successo

illuminazione all’interno del museo del ‘900 a Milano

ARTEMIDE Artemide è un’azienda produttrice di impianti di illuminazione conosciuta in tutto il mondo. Nata 51 anni fa, nel 1960, per iniziativa dell’ingegner Ernesto Gismondi, attuale CEO del gruppo, Artemide è leader mondiale nel settore dell’illuminazione residenziale e professionale d’alta gamma. Con le sue 17 filiali commerciali e la sua ampia rete distributiva è presente a livello internazionale. Gli Showroom monomarca Artemide si trovano nelle principali città, da Milano a Parigi fino a New York e le creazioni Artemide sono disponibili nei più prestigiosi negozi di illuminazione e arredamento. Questo perché i prodotti Artemide sono considerati in tutto il mondo, icone del design made in Italy. Le lampade Artemide sono presenti nei musei più prestigiosi: le sue installazioni sono esposte al Metropolitan Museum di New York, al Victoria and Albert Museum di Londra e al MoMA di New York, solo per citarne alcuni e i suoi impianti illuminano la biblioteca del British Museum di Londra, il Mart di Rovereto e da ultimo il museo del ‘900 a Milano. Numerosi sono i premi vinti dalle creazioni Artemide nel corso degli anni, 32 per la precisione, dal Compasso d’oro nel 1967, conquistato con Eclisse di Vico Magistretti, grande designer scomparso nel 2006, fino ad arrivare ai quattro Red Dot Design Awards vinti nel 2011 con Cosmic Rotation e Cosmic Angel di Ross Lovegrove e Copernico e Algoritmo di Carlotta de Bevilacqua.

con le nuove tecnologie. Chi resta indietro non ha possibilità di restare ai vertici del mercato”. Tra le nuove tecnologie un ruolo di spicco è occupato dai Led, un sistema di illuminazione su cui il Gruppo ha deciso di investire molto: “É molto importante imparare a sfruttare le nuove tecnologie – ha concluso il CEO di Artemide -. Con l’elettronica è possibile un controllo della luce prima inimmaginabile”. Questi i valori fondanti di un’azienda che dalla sede operativa di Pregnana Milanese esporta in tutto il mondo. Con le 17 fi liali commerciali e con la capillare rete distributiva, 31


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giugno - agosto 2011

Artemide punta ad avere ovunque un alto livello di servizi e qualità dei prodotti. Questo obiettivo è perseguito attraverso la presenza in loco di lighting designer che studiano le richieste del cliente e progettano la soluzione. “Nelle nostre fi liali non ci sono agenti ha spiegato Gismondi - ma veri e propri uffici di progettazione a disposizione del cliente”. Sul fronte dell’esportazione, negli ultimi anni Artemide ha scelto, come molte altre aziende del settore, di indirizzarsi verso i paesi emergenti, mantenendo sempre la propria identità. “Essere presenti in tutto il mondo non significa cambiare il proprio modo di lavorare – ha concluso l’ingegner Gismondi – i nostri clienti sono persone che riconoscono il design come valore e per questo credono in Artemide”. |

La sede di Artemide

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Artemide ha deciso di puntare sul design sin dal dopoguerra con la creazione della prima lampada denominata Alfa. Le lampade di Artemide sono considerate a livello internazionale delle icone del design contemporaneo Il design è dove scienza e arte raggiungono il bilanciamento perfetto. Robin Mathew www.artemide.com


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giugno - agosto 2011

Sabaf, etica e specializzazione per il successo

L’azienda di Ospitaletto, nel bresciano, è oggi uno dei principali produttori mondiali di componenti per apparecchi domestici per la cottura a gas. Da sessant’anni il Gruppo punta su sostenibilità ed etica a cura della redazione

Angelo Bettinzoli, Amministratore Delegato del Gruppo Sabaf

Verticalizzazione e sostenibilità. Questi i punti forti di un’azienda come Sabaf che da oltre 70 anni produce componentistica per elettrodomestici e che è arrivata ad essere nel suo settore la società leader in Italia e una tra le principali a livello mondiale. Verticalizzazione perché l’attività di Sabaf non è limitata alla realizzazione del prodotto finito; l’idea e il progetto alla base di ogni articolo made in Sabaf vengono dal reparto Ricerca e Sviluppo e lo stesso vale per i processi produttivi e per i macchinari che vengono studiati internamente fin nei minimi dettagli per ottenere il miglior risultato possibile. “A differenza di quanto accade altrove, dove si assemblano elementi acquistati da terzi – ci spiega Angelo Bettinzoli, Amministratore Delegato del Gruppo – Sabaf attua una politica di internalizzazione della produzione, limitandosi a comprare solo le materie prime”.

Il Gruppo è arrivato a standard così elevati grazie a un impegno costante e attento sul fronte della ricerca e dell’innovazione, settori su cui Sabaf ha investito e continua a investire molto Nella sede di Ospitaletto, nel Bresciano, si concentra tutta la fi liera produttiva di Sabaf: rubinetti, bruciatori e termostati sono il risultato di un processo che ha alla base la progettazione degli utensili, degli stampi e dei macchinari necessari per realizzarli. “In questo modo - afferma Bettinzoli - raggiungiamo un duplice risultato: da un lato abbiamo un altissimo livello di specializzazione e dall’altro poniamo una barriera ai concorrenti: il know how che otteniamo è esclusivamente Sabaf”. Una tale integrazione della produzione permette inoltre all’azienda di reagire tempestivamente a qualsiasi evenienza e di avere un totale controllo su ogni prodotto commercializzato. Il Gruppo è arrivato a standard così elevati grazie a un 34


Azienda di successo impegno costante e attento sul fronte della ricerca e dell’innovazione, settori su cui Sabaf ha investito e continua a investire molto. “Puntare sulla ricerca è sempre una scelta molto rischiosa – prosegue l’Amministratore Delegato – soprattutto quando è interna all’azienda, perché in caso di esito negativo le ricadute possono essere alte”. La fi losofia alla base del Gruppo Sabaf è la sostenibilità, sia etica che ambientale e non ultima quella economica. Ne sono una dimostrazione gli ultimi prodotti presentati dall’azienda: bruciatori ad alta efficienza in grado di ottenere un rendimento fino al 69%, contro il 55- 56 % della generazione precedente, che permette una riduzione delle emissioni nocive nell’atmosfera ben al di sopra il 52% richiesto dalle attuali normative europee. Il know how e l’alto livello di specializzazione sono fondamentali in un settore come quello meccanico in cui opera Sabaf ma spesso non sono sufficienti. È quindi necessario dare valore aggiunto alla società non solo a livello tecnologico ma anche e soprattutto sociale. “Ciò che distingue un’azienda

normale da una efficiente è la correttezza - sostiene Bettinzoli - bisogna lavorare giorno dopo giorno per coniugare valori corretti. Avere un elevato numero di brevetti serve a poco se non si ha senso etico o se non si è in grado di trasmetterlo.”. Questo principio si concretizza con la messa in rete di Sabaflife.com, un portale che si affianca al sito istituzionale e che rappresenta un luogo di incontro e di discussione su temi di attualità in materia di ambiente e di tecnologia. Inoltre il Gruppo ha scelto di rendere trasparente la sua attività e gli effetti che da essa derivano, sia nei settori economico-finanziari sia nelle ricadute ambientali introducendo dal 2001 il Bilancio Sociale, ora Rapporto Annuale, messo a disposizione di investitori, analisti e consumatori finali. La sostenibilità ambientale, strettamente legata a quella etica, è uno degli elementi fondanti della filosofia di Sabaf che, attraverso una corretta politica di investimento, ha ridotto al minimo lo spreco di risorse e l’impatto ambientale; i bruciatori ad alta efficienza ne sono una chiara testimonianza: “40 anni fa la situazione era di-

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versa. – prosegue l’amministratore delegato – Ora è impensabile ignorare l’influenza che ogni nostra azione ha sulla natura. L’ambiente per noi è uno Stakeholder a tutti gli effetti.” Sabaf si è vista premiata da questa politica, tanto da essere riuscita a reagire alla crisi mondiale che ha coinvolto pesantemente anche il settore immobiliare e dell’arredamento e di conseguenza quello della componentistica per elettrodomestici. Il fatturato del 2010, pari a 150,9 milioni di euro, ha registrato un aumento di circa il 18,7 per cento rispetto all’anno precedente,

anche se non ha ancora raggiunto i 162 milioni di euro del 2008. “Una dimostrazione - conclude Angelo Bettinzoli - di come ciò che è fatto in maniera virtuosa possa portare vantaggio a chi lo applica”. | Tieni sempre a mente che la tua decisione di avere successo è più importante di qualsiasi altra cosa. Abraham Lincoln www.sabaf.it

Sabaf: sessant’anni di storia Sabaf nasce agli inizi degli anni ‘50 per iniziativa di Giuseppe Saleri, suo attuale proprietario, in un’area a forte vocazione meccanica come continua ad essere quella di Brescia e provincia. La produzione inizialmente si incentra su prodotti in ottone. Con l’avvento del cosiddetto “miracolo economico” e, in particolare, lo sviluppo del settore degli elettrodomestici Sabaf inizia a specializzarsi nella realizzazione di rubinetti a gas, puntando sin dai primi anni su una forte verticalizzazione della produzione. L’introduzione dei bruciatori in produzione e il progressivo aumento dell’offerta portano l’azienda verso una crescita qualitativa ed economica che farà da leit motive per gli anni ’80 e ’90. Negli stessi anni l’azienda viene quotata in borsa e si assiste alla definitiva divisione tra controllo e gestione. La crescita non si arresta nel nuovo millennio: la sede produttiva della società viene trasferita da Lumezzane al nuovo stabilimento di circa 80mila metri quadrati di Ospitaletto. Faringosi Hinges viene acquistata dalla società con l’obiettivo di allargare la gamma di prodotti altamente specializzati. Parallelamente Sabaf pensa a una crescita sul fronte internazionale che viene avviata con l’apertura di un insediamento produttivo in Brasile e uffici in Messico. Nel corso del CDA di febbraio inoltre è arrivato il via libera per la costruzione di una nuova sede produttiva in Turchia. In Cina è stata recentemente completata la costruzione di un capannone di 3.500 metri quadri che sarà destinato alla produzione dei bruciatori per il mercato locale a forte potenziale come quello del Far East. Attualmente Sabaf è una delle aziende leader produttrici di componenti per elettrodomestici con un volume d’affari maturato per il 40% in Italia e per circa il 60% all’estero. 36


La casa degli imprenditori dĂ piĂš spazio alle imprese e ai servizi...

... flessibili, personalizzati e interdisciplinari per sostenere la competitivitĂ delle imprese.


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In

linea diretta col cliente

E’ il punto di forza di Qcom, compagnia Tlc specializzata nelle soluzioni di telecomunicazione b2b. Uno staff specializzato e account dedicati consentono all’operatore di essere vicino alle esigenze del cliente trasformandosi in un vero e proprio solution provider

uno degli interni della sede di Qcom

La capacità di essere sempre in prima linea. E’ probabilmente questa la chiave di lettura del successo di una realtà come Qcom, società di telecomunicazioni con sede a Treviglio nella Bassa bergamasca, che ha saputo conquistare progressivamente nuovi mercati nel settore business 38

puntando sulla fidelizzazione, la prossimità e l’assistenza diretta ai propri clienti. In un settore così affollato di operatori e di offerte, in particolare dedicato al mondo delle imprese, Qcom ha puntato in questi anni sulla “customer satisfaction”, affiancando clienti e imprenditori nelle

scelte e nei loro problemi legati ai servizi di comunicazione: dalla fonia voce a internet, dalle soluzioni web ai sistemi di centralino. Per questo oggi Qcom è uno dei principali operatori B2B della Lombardia e gestisce oltre 50 miloni di telefonate all’anno


Mondo Tlc

Amministratore delegato Aurelio Bertocchi

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su una rete di circa 4mila aziende clienti, sparse principalmente nelle province di Bergamo, Brescia, Milano, ma con un bacino complessivo che si estende in tutto il comprensorio lombardo. “Il nostro principale valore aggiunto – spiega l’amministratore delegato Aurelio Bertocchi – è sicuramente legato all’importante investimento fatto in questi anni sulle risorse umane. Tutto questo si è concretizzato su due fronti: uno staff tecnico altamente qualificato e uno staff commerciale che garantisce attenzione e presenza diretta sul cliente. La nostra forza è legata ai tempi di risposta, alla competenza e alla vicinanza con il territorio”. La formula di Qcom legata all’assistenza business è semplice e punta dritto a uno dei bisogni primari di un’utenza aziendale. Ogni cliente può contare, infatti, su un account che mantiene un rapporto costante, che garantisce anche una periodica presenza fisica

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Il nostro principale valore aggiunto è sicuramente legato all’importante investimento fatto in questi anni sulle risorse umane. Tutto questo si è concretizzato su due fronti: uno staff tecnico altamente qualificato e uno staff commerciale che garantisce attenzione e presenza diretta sul cliente


Mondo Tlc

Qcom e Aastra Italia, una partnership vincente Business Workshop Qcom sta lavorando molto anche sui progetti di marketing relazionale e sui contenuti a valore aggiunto. Per questo ha investito in una sala conferenze ad hoc dove sono calendarizzati nel corso dell’anno una serie di workshop gratuiti realizzati insieme ad aziende clienti e partner sui più svariati ambiti: dalle sponsorizzazioni sportive alla comunicazione, dal recupero del credito all’assistenza legale per l’impresa.

e che è in grado di gestire al meglio l’incontro di conoscenze e bisogni tra Qcom e l’azienda stessa. La società di Treviglio è nata nel 2004 e fin da allora ha fatto un importante percorso di crescita anche sul fronte tecnologico, anche grazie al rapporto di partnership con la consociata Interactive, per offrire servizi di ultima generazione in un’epoca ormai ampiamente solcata dalla liberalizzazione. Grazie a una centrale telefonica di proprietà, godendo della licenza ministeriale di operatore di telecomunicazioni, Qcom è una compagnia autonoma con soluzioni a pacchetto e on demand che le consentono di essere un vero e proprio solution provider per tutti gli ambiti delle telecomunicazioni. “Il settore delle Tlc – ha sottolineato Bertocchi – è ormai in una fase matura dell’epoca della liberalizzazione. A questo si è aggiunta la crisi, che ha favorito compagnie come la nostra che sono premiate dalla presenza diretta e da politi-

che innovative sui servizi. In questo modo le aziende possono fare scelte più consapevoli, appoggiandosi a un unico solution provider per tutta una serie di servizi”. Questo stretto legame con il mondo delle imprese e con il territorio rappresenta per Qcom anche un elemento d’investimento sul fronte sociale, culturale e sportivo per creare un legame ancor più saldo con la realtà circostante. Ne sono esempio i progetti realizzati per gli studenti degli istituti superiori, le iniziative di solidarietà e il rapporto di sponsorship con società come Atalanta e Albinoleffe. Insomma Qcom è in linea diretta con il proprio mondo. |

“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto” Peter Drucker www.qcom.it www.interactive.eu

Le difficoltà economiche degli ultimi anni hanno insegnato che la defi nizione di un’offerta completa e allo stesso tempo versatile e sicura è una scelta vincente come dimostrano gli ottimi risultati raggiunti dalla partnership siglata nel 2010 tra Aastra Italia e Qcom. Grazie all’ampia gamma di prodotti Aastra, fi liale italiana di Aastra Technologies Ltd. azienda leader nel mercato delle comunicazioni di impresa con sede in Ontario, Canada, Qcom è in grado di completare la sua tradizionale offerta di connettività per la Pmi attraverso la diretta fornitura della parte infrastrutturale. In particolare Aastra e Qcom hanno collaborato nella definizione del cliente “tipo” di Qcom e, sulla base dei risultati dell’analisi, hanno identificato un pacchetto d’offerta adatto a soddisfare le richieste di questa categoria di utenti in termini di comunicazione aziendale, realizzando di fatto una sorta di one-stop-shop che ben si adatta al settore della PMI a cui l’offerta è indirizzata. L’offerta ”pacchettizzata” include centrali della famiglia “Aastra Intelligate”, uno dei prodotti più installati in Europa, che fornisce risposta concreta a molte delle nuove esigenze della PMI quali: flessibilità, scalabilità e protezione dell’investimento. I sistemi Aastra Intelligate sono molto versatiti potendo essere utilizzati su tutti i collegamenti urbani: possono essere messi in rete in modo trasparente come impianti singoli o su più sedi, sia utilizzando collegamenti IP sia su tecnologia tradizionale (ISDN o linea analogica). Sono completati da un’ampia gamma di terminali, fissi e mobili, e di applicazioni CTI fondamentali e di Unified Communications quali integrazione con le diverse Directories Aziendali, Instant Messaging, Gestione della Presence, Integrazione con MS Exchange ed Outlook, Mobile Extension con l’integrazione di telefoni cellulari e condivisione del Dekstop in videoconferenza. Per i casi più complessi Aastra e Qcom collaborano strettamente nell’identificazione e nel disegno di una soluzione ad hoc in grado di soddisfare i requisiti del cliente finale grazie alla vasta gamma di prodotti disponibili nel portafoglio Aastra, che spazia dai centralini multifunzione per piccole e medie imprese a sistemi complessi per le grandi imprese e la pubblica Amministrazione, dai sistemi mobili integrati alle soluzioni per i contact center focalizzandosi sugli standard aperti. | 41


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JTS, il tessile che guarda alle sfide future La JTS di Villasanta è nata dalla fusione delle storiche aziende familiari Enrico Locati & Co con la Startes. All’origine della fusione, una sinergia e una collaborazione tra le due nuove generazioni. Una scelta dettata dalla necessità di affrontare il futuro con un maggior valore aggiunto e un prodotto più competitivo testo di Laura Di Teodoro

Stefano Poliani tra i fondatori di Jts

Un’azienda nata dalla fusione di due imprese familiari, storiche. Una nuova realtà imprenditoriale frutto di una vera e propria sinergia generazionale tra passato e futuro. Stiamo parlando della JTS, azienda di Villasanta, in provincia di Monza e Brianza, nata dalla fusione della Enrico Locati & Co di Albese con Cassano (CO) con la Startes di Villasanta (MB) e operativa dal gennaio 2011. La JTS, unendo il know how di queste due realtà, si presenta sul mercato con l’obiettivo di diventare un’azienda di eccellenza nel settore meccanotessile, per 42

la produzione di montature Jacquard (si tratta di un tipo di accessorio per i telai Jacquard). Come ci spiega Stefano Poliani, consigliere delegato di JTS e rappresentante della nuova generazione della Locati, e presidente, in scadenza di mandato, del Gruppo Giovani di Confi ndustria Como, “la nuova azienda è nata dall’esigenza di aff rontare il mercato globale, mantenere livelli alti di efficienza e per continuare a investire in ricerca e sviluppo. Tre condizioni che, restando piccoli, era difficile realizzare”. La storia della Enrico Locati & Co inizia più di quarant’anni fa in uno dei distretti più dinamici nel settore tessile, quello di Como. “La nostra azienda – racconta Poliani – ha vissuto per 40 anni le fasi più importanti della storia del tessile, dal periodo di splendore fino ad arrivare alla crisi. Inizialmente con mio nonno alla guida e successivamente con mia madre e con gli zii, l’azienda è cresciuta grazie a una buona politica di investimenti”. Con l’arrivo degli anni Novanta e il sopraggiungere dell’esigenza di allargare il raggio di azione all’Europa e al resto del mondo, la Locati si è trovata nella necessità di uscire dai confini ed esportare. “In quegli anni si esportava più del 60 percento della produzione perchè i nostri clienti, soprattutto produttori di tessuti, iniziavano a spostarsi verso

mercati più economici e dove la manodopera costava meno”.

“La JTS, operativa dal gennaio 2011, è nata dall’esigenza di affrontare il mercato globale, mantenere livelli alti di efficienza e per continuare a investire in ricerca e sviluppo. Tre condizioni che, restando piccoli, era difficile realizzare” La crisi del tessile e la più recente crisi economica hanno portato l’azienda verso la necessità di cambiare e decidere quale strada intraprendere. “Eravamo un’azienda piccola e allo stesso tempo con la voglia di investire in innovazione per restare efficienti sul mercato italiano e su quello internazionale – prosegue Stefano Poliani -. Rif lettendo sulle prospettive dei prossimi dieci anni per la mia azienda ho pensato che era necessario crescere ma l’unico modo per farlo era unirsi a una realtà simile alla nostra come


Nuove imprese

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Il bilancio da Presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Como Scade a fine giugno il mandato quadriennale di Stefano Poliani in qualità di presidente del Gruppo Giovani di Confindustria Como. Un incarico che ha permesso al giovane imprenditore comasco di crescere, imparare e soprattutto di confrontarsi con colleghi ed eccellenze dell’imprenditoria lombarda e nazionale. Il suo è stato un mandato segnato dalle fasi più calde dell’economia mondiale e nazionale: dal boom alla crisi fino ad arrivare agli spiragli di ripresa. “Sono diventato Presidente nel momento in cui l’accesso al credito per le imprese era più facile – racconta Poliani -. Ho iniziato il mio mandato partendo dalla valorizzazione del brand come asset aziendale; abbiamo avviato dei corsi sulla gestione aziendale legata agli investimenti, e abbiamo poi lanciato un progetto in cooperazione con il Credito Valtellinese per finanziare delle start-up. Si chiamava Progetto Challenge e aveva la particolarità di finanziare nuove imprese, selezionate da una Commissione di Valutazione formata da due imprenditori e due funzionari della banca. Siamo rimasti molto soddisfatti perché abbiamo dato la possibilità a 3 nuove aziende di nascere e operare sul territorio. Diciamo che c’era un gran fervore”. L’arrivo della crisi ha stravolto principi, valori, tra cui l’etica, e strategie aziendali. “L’etica è tornata ad avere un ruolo centrale. Come Gruppo Giovani abbiamo ribadito l’importanza di essere imprenditori e non speculatori: abbiamo avviato una serie di riflessioni sul ruolo sociale delle imprese quali generatrici di profitto e di ricchezze”. Ma è stato l’incontro con l’imprenditore Gianluca Rana a “illuminare” Stefano Poliani, soprattutto guardando alla sua esperienza in azienda: “Con lui abbiamo affrontato il tema del passaggio generazionale e della sinergia generazionale. È stato un incontro illuminante”. Il 2010 è stato segnato dall’accento messo sulle reti d’impresa, argomento al centro dell’Assemblea annuale: “Abbiamo portato esempi importanti quali la Germania e la sua capacità di reazione che ha condotto l’intero Paese a risultati concreti e di successo – conclude Poliani -. Sono stati 4 anni densi di avvenimenti che ci hanno permesso di crescere come uomini e imprenditori. È stata sicuramente un’esperienza dal ricco valore aggiunto”.

la Startes”. La Startes nasce a Monza nel 1937 ad opera di Luca Giovenzana e Vittorio Leoni, con la missione aziendale di sviluppare schizzi e disegni e la loro messa in carta per l’allora giovane settore dei tessuti Jacquard. “La Startes si trovava a Villasanta, nella Brianza, a 30 chilometri da noi. Producevano il nostro stesso prodotto con l’unica differenza di avere, rispetto a noi, una rete più strutturata di rapporti con l’estero. Ho avviato i primi contatti con la nuova generazione dell’azienda nel 2009 e da lì sono iniziate una serie di discussioni per capire se avremmo potuto costruire i presupposti per una solida e concreta collaborazione”. Le nuove generazioni di Locati e di Startes hanno quindi dato il via a un nuovo corso, a una nuova realtà, la JTS. “Si è trattato di una vera e propria sinergia generazionale – prosegue Poliani -. L’obiettivo era quello di avere un prodotto a prezzi competitivi, capace di coniugare il valore della ricerca fatta internamente, la nostra storia e l’innovazione tecnologica che proponiamo. Così siamo arrivati a un’unica realtà produttiva, la JTS, con sede a Villasanta, già forte di una solida presenza all’estero. Insomma, un’azienda più strutturata in tutte le sue funzioni”. 44

Se da una parte infatti la Locati stava iniziando a costruire una rete di contatti in India, la Startes stava rafforzando la sua presenza in Cina. Unendo i due know how e i rapporti già intrapresi, oggi la JTS può dirsi presente già su 40 mercati grazie agli agenti e alla rete commerciale costruita. L’obiettivo per il 2011, a detta dello stesso Poliani, resta quello di “cercare la ripresa sui mercati che più di noi stanno crescendo, quali Germania, India, Cina, Brasile e Corea”. Il prodotto “forgiato” dalla fusione delle due aziende viene descritto come “più efficiente e con una migliore resistenza all’usura e all’invecchiamento – prosegue Poliani -. Abbiamo inoltre la garanzia di un prodotto fatto completamente in Italia, e per la precisione nel nostro stabilimento, sfruttando tecnologie e componentistiche nuove”. I primi cinque mesi di vita della nuova JTS raccontano di un bilancio più che positivo: “Sono stati mesi intensi perché le operazioni di aggregazione non sono nel DNA del classico imprenditore italiano, soprattutto quando si tratta di aziende familiari dove le logiche di gestione sono sicuramente più complicate e articolate. Siamo comunque molto soddisfatti e ottimisti per il futuro”. |

Ci sono due errori che si possono fare lungo la via verso la verità... non andare fino in fondo, e non iniziare. Confucio


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La sede di Caimi Brevetti

Caimi Brevetti, quando

L’azienda di Nova Milanese ha prodotto e brevettato più di 3mila articoli per l’arredamento. Nel corso dei suoi 60 anni la famiglia Caimi ha avuto la capacità di cambiare e innovare l’attività a seconda delle esigenze del mercato, passando dai casalinghi agli articoli per fumatori fi no ad arrivare ai complementi per ufficio e a un design sempre pù ricercato

innovazione

l’

passa per il

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design

testo di Laura Di Teodoro


Azienda di successo Una storia che parla di design unico, di uno stile di arredamento nato nel cuore della Brianza, a Nova Milanese più di 60 anni fa. Stiamo parlando della storia di Caimi Brevetti, una delle principali realtà produttive europee design-oriented nel settore dell’arredamento e dei complementi d’arredo per l’ufficio e il contract. L’azienda, fondata nel 1949 da Renato Caimi, attuale presidente, ha fatto della ricerca, della sperimentazione e dell’innovazione i pilastri su cui crescere e creare centinaia di brevetti che continuano a rappresentare il cuore pulsante di questa realtà. “Dalla fondazione ad oggi sono numerosi i brevetti usciti dalla Caimi – racconta Franco Caimi, amministratore delegato dell’azienda e rappresentante della seconda generazione insieme ai fratelli Giovanni, Lorenzo e Giorgio -. Fin dal 1949 la nostra produzione si è distinta per versatilità ed eterogeneità, per l’originalità delle forme e dei materiali, per l’attenzione all’innovazione tecnologica e i nostri brevetti lo dimostrano”. Renato Caimi ai tempi lavorava come disegnatore alla Saom, azienda di accessori controllata dalla Edoardo Bianchi, storica fabbrica milanese di biciclette e automezzi. “Parallelamente mio padre, insieme al fratello Mario ha avviato un’attività di produzione di accessori da cucina, la Caimi Pentolux che diventerà Caimi Brevetti”. Nel 1960 lascerà la Autobianchi per dedicarsi completamente al suo progetto. Un progetto che nel corso degli anni è cresciuto adeguandosi ai cambiamenti del mercato: “Verso la metà degli anni Settanta Caimi Brevetti ha riconvertito la produzione passando dai casalinghi all’arredamento per ufficio, lavorando su nuovi materiali

– prosegue Franco Caimi -. Cosa continua a contraddistinguerci? La capacità di progettare e produrre nel segno di un’innovazione che declina l’originalità del designer con l’esigenza e la missione industriale, senza mai rinunciare a un linguaggio espressivo alieno da qualsiasi trucco, dove il consumatore resta al centro del mercato, vero e unico protagonista del successo di un prodotto”. Una piccola nota curiosa: il primo oggetto brevettato che inaugura la produzione del marchio Caimi Pentolux è una caffettiera per uso domestico in alluminio naturale, con la chiusura del manico a leva e il pomolo in bachelite con funzione isolante. La novità sta nei ganci

elastici in acciaio che permettono di rendere solidali la parte inferiore a quella superiore, un’alternativa economica ed efficiente alla tradizionale chiusura fi lettata. Altro prodotto storico è la cosiddetta “schiscetta”, il portavivande di varie capienze in alluminio naturale con finitura liscia o martellinata. La gran parte dei prodotti che esce dallo stabilimento di Nova Milanese viene brevettato dalla Caimi diventando un pezzo unico, motivo per cui è stato unito “brevetti” al marchio originale. “Il termine brevetto – prosegue l’amministratore delegato – contiene il programma progettuale e produttivo dell’azienda: la ricerca come proprietà intellettuale fon-

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damentale nel processo produttivo e del design”. La fase “design” può contare su grandi nomi che da anni collaborano con l’azienda, quali De Lucchi, Bellini, Forcolini, Sadler e tanti altri supportati dalla conoscenza tecnologica e produttiva presente nell’organizzazione aziendale. “Abbiamo oltre 3mila prodotti – prosegue Franco Caimi -. Sono considerati unici per il loro aspetto tecnico, lineare, essenziale e raffinato, per i materiali particolari utilizzati (metalli e plastica, spesso abbinati tra loro) e, soprattutto, per il fatto di riuscire a incorporare elementi estetici e di funzionalità che stanno alla base del successo del made in Italy”.

La gran parte dei prodotti che esce dallo stabilimento di Nova Milanese viene brevettata da Caimi diventando un pezzo unico. Gli oltre 3mila prodotti Caimi incorporano elementi estetici e di funzionalità che stanno alla base del successo del made in Italy

struttura logistica, la vastità delle gamme proposte, l’assistenza post-vendita, la strategia di comunicazione – prosegue l’AD -, sono i fattori che hanno contribuito al successo internazionale di Caimi Brevetti”. L’azienda è stata fondatore partecipante della Fondazione ADI (Associazione per il Disegno Industriale) e ha vinto il XXI Compasso d’Oro. I mercati di riferimento per l’azienda restano l’Italia in primis e oltre 70 Paesi in tutto il mondo. L’ultimo Expo di Shanghai ha dimostrato l’importanza che Caimi continua ad avere a livello internazionale: “In occasione della mostra sul design italiano – prosegue l’AD – erano esposti ben sette dei nostri prodotti a dimostrazione del valore dei nostri brevetti”. Ad oggi l’organico di Caimi conta 50 persone riunite nelle due sedi di Nova Milanese, oltre a un rete commerciale radicata a li48

Nei suoi 62 anni di attività la Caimi ha ideato e prodotto oggetti d’arredo che hanno fatto epoca: dal bollitore in alluminio anodizzato colorato (1958), al posacenere a sacco (1968) al porta riviste girevole (1975) fino a recenti creazioni come la seduta monoscocca e i sistemi di schermi divisori in acciaio e policarbonato. I prodotti Caimi Brevetti sono facilmente riconoscibili, il loro aspetto tecnico, lineare, allo stesso tempo essenziale e raffinato interpreta pienamente il concetto di industrial design, integrando forma e funzione in un’ottica di riproducibilità seriale basata su valori quali la modularità, la versatilità, la flessibilità ed il sapiente uso dei materiali. “Il servizio offerto alla clientela, l’avanzata

vello internazionale. “Il momento economico non è dei migliori – prosegue Franco Caimi -. Per non cadere è necessario continuare a investire in nuovi prodotti e soprattutto nella comunicazione. È inoltre indispensabile avere un’efficiente rete commerciale capace di creare nuovi mercati all’estero”. Per questo motivo l’azienda si è posta come obiettivi, per il 2011, di consolidare la presenza sul mercato e di “investire in innovazione”. |

Sono la passione e la curiosità a guidare l’innovazione. Dan Brown

www.caimi.com


Since 1902 La prima organizzazione fra imprenditori sorta in Italia

CONFINDUSTRIA MONZA E BRIANZA RIANZA


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Il risparmio a portata di Lampione Gianluca Moretti, amministratore delegato dell’azienda Umpi ci racconta la nascita e lo sviluppo della nuova tecnologia completamente Made in Italy che, sfruttando i punti luce dislocati nelle città permette di risparmiare fi no al 40 per cento sulle bollette

Utilizzare i comuni lampioni dislocati in paesi e città per risparmiare fino al 40 per cento sulle bollette, tutelare l’ambiente, migliorare la qualità dell’illluminazione e ottimizzare i costi di servizio. Come? Sfruttando una tecnologia completamente “Made in Italy” creata ad hoc da Umpi, azienda romagnola, per l’esattezza di Ravenna, che, sfruttando delle onde convogliate consente di monitorare costantemente lo stato degli impianti, di conoscere in tempo reale il dettaglio dei guasti, decidere con flessibilità come, dove e quando accendere, spegnere o ridurre il flusso luminoso del singolo punto luce e di risparmiare energia, nonché di ridurre l’inquinamento atmosferico e luminoso, e garantire l’efficienza e la qualità del servizio. Si tratta di un business che rientra di fatto nella moderna Green Economy, diventando un concreto esempio di risparmio ener50

getico e soprattutto di qualità completamente italiana, come ci spiega Gianluca Moretti, amministratore delegato di Umpi e deus ex machina della tecnologia vincente. In pratica il sistema brevettato da Umpi sfrutta la rete elettrica e le infrastrutture già esistenti per il flusso di informazioni necessarie al funzionamento del sistema. Ogni lampione può essere trasformato in mezzo di comunicazione per installare una rete wi-fi, per alimentare veicoli elettrici o per fornire notizie sul meteo o sul traffico attraverso appositi pannelli informativi. I risultati? Un risparmio attorno al 40 per cento sulla bolletta finale e un fatturato per l’azienda che dal 2007 ad oggi è passato da 2 milioni a 7,3 milioni di euro del 2010 e ai 5 milioni del primo trimestre 2011. E pensare che nel mondo esistono qualcosa come 1.145 milioni di lampioni...


Modelli di Green Economy Gianluca Moretti, quando e perchè è iniziata la sua avventura in Umpi? Sono in Umpi dal 2007. Provengo dal settore plastico, prima infatti lavoravo come direttore generale in un’azienda di quel settore. Per avvicinarmi alla mia famiglia e alla mia Rimini decisi di cambiare lavoro e di passare a Umpi, al tempo un’azienda elettronica che si occupava prevalentemente di domotica e di piccole forniture. Era p principalmente orientata al lato tecnico, a un prodotto già interessante, al telecontrol telecontrollo, al risparmio e alla illuminazione pubblica. Quando arriv arrivai in azienda la prima cosa che si fece fu un’analisi di mercato per capire quali fosse fossero le reali esigenze. È emerso che ciò che avrebbe potuto interessare era principalmen principalmente il risparmio unito a un certo tipo di servizi. Da qui abbiamo modificato la miss mission dell’azienda, passando dall’essere venditori di una particolare tecnologia all’ess all’essere venditori di servizi unici orientati al risparmio energetico, al rispetto dell’ambien dell’ambiente e all’efficienza. La lampada lampad poteva diventare generatrice di servizi grazie all’applicazione dei nostri sistemi e così c è stato. Nelle nostre città esistono una media di un lampione ogni 30 metri. Abb Abbiamo praticamente un mondo già cablato perchè sfrutta la vecchia rete elettrica. Una svolta che potremmo definire “rivoluzionaria”.... ch siamo passati dalla new economy alla new energy e quello che facciamo Diciamo che noi è proporre propo soluzioni concrete, occasioni di sviluppo e un reale risparmio. Con questa tipolo tipologia di servizi possiamo arrivare a una sorta di gestione intelligente di tutta la città. Come azienda abbiamo iniziato a muoverci nella direzione del mercato e non più solo del d prodotto.

Il sistema brevettato da Umpi sfrutta la rete elettrica e le infrastrutture già esistenti per il flusso di informazioni necessarie al funzionamento del sistema. Ogni lampione può essere trasformato in mezzo di comunicazione per installare una rete wi-fi, per alimentare veicoli elettrici o per fornire notizie sul meteo o sul traffico attraverso appositi pannelli informativi

un esempio di applicazione di telecontrollo

Come viene percepita questa novità dal mercato italiano? Diciamo che stiamo avendo più successo all’estero. Offriamo servizi differenti qu quali: meteo, videosorveglianza, pannelli informativi, totem multimediali, wi-fi, ricarica delle bici b elettriche e stiamo lavorando a un prototipo che riguarda la gestione dei cassonetti per ve verificare quando siano effettivamente pieni o meno, il soccorso cittadino, i sensori del traffico e i sensori ambientali. Si tratta di servizi che interessano soprattutto la pubblica amministrazione, amministra ergo un tasto abbastanza dolente per il nostro Paese. L’Italia soff re di un ritardo cronico dato dai vari patti di stabilità, dalla burocrazia e purtroppo da una certa diffidenza. Abbiamo invece lavorato molto bene: per le autostrade in Repubblica Ceca; a Lisbona; a Bruxelles; per pe la base militare di Stadhallendorf, in Germania; a Temperlu in Scozia, a Cordoba in Spagna e Montesou in Francia. Grazie alla nostra rete vendita che sta lavorando in Europa e non solo, siamo riusciti a fare crescere di molto il fatturato estero arrivato a coprire nel 2010 il 75% del fatturato totale. Come mai secondo le lei? All’estero c’è sicuram sicuramente una maggior sensibilità per la tematica Green, per l’innovazione e il settore Energy in generale. gene Qui in Italia si potrebbe puntare molto sul mercato della pubblica amminis amministrazione che presenta margini di sviluppo enormi ma purtroppo burocra crazia e problemi vari ne ostacolano la crescita. Ad oggi stiamo facendo degli impianti “pilota” per far conoscere e far 51


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Umpi Elettronica Fondata nel 1982, Umpi Elettronica è la società del Gruppo Umpi specializzata nel progettare e realizzare prodotti e sistemi intelligenti basati sulla trasmissione digitale su linea elettrica (Power Line), mirati alla telegestione degli impianti di illuminazione esterna e al controllo degli edifici nel settore pubblico e privato. Grazie all’esperienza e alla professionalità acquisita nel corso degli anni nell’utilizzo di questa specifica tecnologia Umpi Elettronica è considerata oggi una delle aziende più qualificate in Europa in grado di affiancare i propri partner e clienti nella ricerca, ideazione e realizzazione di soluzioni tecnologiche finalizzate al risparmio energetico, alla tutela ambientale e al miglioramento della qualità della vita.

prendere coscienza dell’importanza di questi temi. È possibile quantificare questi “margini di sviluppo”? Certo. Basti pensare che in Italia ci sono 8.100 comuni; c’è un palo ogni 6 abitanti, per un totale di 10 milioni di punti luce con un costo per punto luce pari a 250-350 euro. Tra Italia, Europa e Emirati Arabi abbiamo installato il più grande parco di telecontrollo Punto a Punto con 450mila punti intelligenti. Ci può raccontare in cosa consiste questa vostra innovativa tecnologia? Innanzitutto sfrutta la tecnica di trasmissione a onde convogliate

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che trasforma i lampioni e gli impianti di illuminazione in reti di comunicazione intelligenti integrabili a basso costo per servizi di pubblica utilità e sicurezza quali monitor informativi, segnaletica dinamica e wi-fi, servizi per l’ambiente (inquinamento acustico, PM10 e meteo), servizi per la sicurezza quali la videosorveglianza, emergenza sanitarlia ed emergenza sicurezza. È una tecnologia che permette di arrivare al 45 percento di riduzione dei consumi energetici. Fornisce tutte le informazioni sugli impianti e i costi di gestione, consentendo interventi di manutenzione tempestivi e mirati. Inoltre contribuisce alla riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera, diminuisce l’inquinamento luminoso e previene condi-


Modelli di Green Economy

zioni di pericolo generate dagli impianti. Si ripaga in breve tempo, nel giro di 3-6 anni producendo risorse finanziarie. Alcuni esempi di applicazioni? Nella città illuminatissima di Medina, una delle più importanti dell’Arabia Saudita, il nostro sistema è stato scelto dopo una gara internazionale. A oggi sono stati installati, su un totale di circa 85mila punti luce presenti nella città, 25mila dispositivi Syra per il telecontrollo lampada e 300 centrali Andros per il telecontrollo del quadro. Tutti i punti luce e i quadri sono controllati da remoto attraverso Minos X. Questo ha permesso di migliorare il servizio reso eliminando le lamentele dei cittadini per le lampade guaste e i ritardi negli interventi di manutenzione, diminuendo sensibilmente i costi generali del servizio. Quanto contano per voi Ricerca e Innovazione? Noi investiamo e puntiamo solo su questi settori e sulla parte commerciale naturalmente. Abbiamo un protocollo ben preciso da seguire per cui produciamo i nostri

prodotti solo in Italia. Il motivo? Vogliamo garantire il massimo dell’efficienza; i prodotti non devono fallire, devono essere fatti bene e con qualità.

Umpi ha segnato il passaggio dalla new economy alla new energy con la presentazione di soluzioni concrete, occasioni di sviluppo e un reale risparmio. La tecnologia Umpi permette di arrivare a ridurre del 45 percento i consumi energetici e contribuisce alla riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera e alla diminuzione dell’inquinamento luminoso

Parlava della rete commerciale. Da quante persone è composta? Sul mercato abbiamo 107 venditori e internamente all’azienda abbiamo un organico di 45 persone. Questo ampio ventaglio sul fronte del commerciale ci ha permesso di passare da un fatturato di 2 milioni nel 2006 a 7,3 milioni nel 2010. E nel primo trimestre 2011 abbiamo registrato entrate per 5 milioni di euro. Prospettive di crescita? I margini sono esponenziali. Pur essendo una realtà piccola abbiamo la possibilità di crescere molto. L’età media del personale è di 30 anni quindi si tratta di un’azienda giovane con un quarto di secolo di esperienza alle spalle. Ci stiamo accreditando a livello mondiale e nazionale. La sfida futura sarà quella di allearci con altre aziende e altri settori quali la biometria per avere prodotti sempre più performanti e diventare così ancora più tecnologici. | L’innovazione consiste nel vedere cio’ che hanno visto tutti pensando ciò che non ha pensato nessuno. Albert Szent-Gyorgyi www.umpi.it

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giugno - agosto 2011

Expo 2015 la personale sfida di Arditti

Intervista al Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne per Expo 2015 sull’appuntamento più atteso degli ultimi anni. Come Milano e l’Italia si stanno preparando all’evento e come sta lavorando la Comunicazione per promuovere l’Italia di fronte al mondo

Un grande evento, il più grande degli ultimi anni, da organizzare stimolando l’Italia intera “nell’accettare una sfida davanti al mondo”, mettendo in campo le migliori doti manageriali, idee e progetti milanesi, lombardi e nazionali e coinvolgendo aziende, territori e soggetti pubblici e privati. Expo 2015 rappresenta prima di tutto una sfida a tutto campo per Milano, per la regione e per l’Italia che vede, per questo 2011, due priorità: lanciare le gare per i lavori sul sito espositivo e il coinvolgimento dei vari territori. Parallelamente la Comunicazione resta il canale privilegiato per promuovere e portare in primo piano l’argomento Expo, i suoi progetti e tutte le novità. Una comunicazione che oggi come oggi punta al coinvolgimento e all’ascolto, come ci spiega Roberto Arditti, Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne di Expo 2015. Cosa rappresenta l’esperienza Expo 2015 per una carriera come la sua in cui si sono toccati numerosi aspetti del mondo del giornalismo e della comunicazione? Una sfida straordinaria, per mettere a frutto tutto quello che ho imparato in questi anni e porlo a servizio della più importante occasione di promozione dell’Italia di fronte al mondo intero. Quali sono le sfide da aff rontare per arrivare preparati all’appuntamento di Expo? Sono essenzialmente tre. Preparare un grande evento all’interno dello spazio espositivo, capace di attirare i visitatori per una esperienza accattivante e educativa. 54

Stimolare la città di Milano e poi la Lombardia e l’Italia ad accettare la sfida davanti al mondo, rendendo il 2015 l’anno in cui gli occhi di tutto il pianeta saranno puntati su di noi. Infi ne mettendo mano alla dimensione culturale e immateriale di Expo 2015, di cui il progetto Carta 2015 guidato da Umberto Veronesi è il primo tassello.


Verso Expo 2015 sotto rendering del progetto expo 2015

Ad oggi 34 le adesioni a Expo 2015 Attualmente sono 33 i Paesi che hanno aderito ufficialmente a Expo Milano 2015, ai quali si è già affiancata l’Onu, per un totale di 34 adesioni. Oltre alle Nazioni Unite, i Paesi che hanno già aderito ufficialmente a Expo Milano 2015 sono: Svizzera, Montenegro, Azerbaijan, Turchia, Romania, San Marino, Egitto, Perù, Russia, Uruguay, Togo, Germania, Guatemala, Cambogia, Honduras, Mauritania, Slovenia, Principato di Monaco, Uzbekistan, Spagna, Albania, Israele, Kuwait, Colombia, Armenia, Siria, Iran, Gabon, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Mongolia e India. Il tema di Expo 2015 sarà “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”. Nel corso dell’evento internazionale sarà data visibilità alla tradizione, alla creatività e all’innovazione nel settore dell’alimentazione, raccogliendo tematiche già sviluppate dalle precedenti edizioni di questa manifestazione e riproponendole alla luce dei nuovi scenari globali al centro dei quali c’è il tema del diritto ad una alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutto il pianeta.

Come state gestendo e gestirete la campagna di comunicazione di Expo tra il web e gli altri media? Questo è il momento del coinvolgimento e dell’ascolto. Poi verrà il momento degli annunci e dello stimolo a visitare l’Esposizione. Oggi dobbiamo mettere vicino a noi le tante energie che possono rendere l’evento del 2015 davvero irripetibile. Da questo punto di vista la rete è fondamentale. E non a caso proprio la rete ha scelto il nuovo logo di Expo 2015. Cosa significa gestire la comunicazione di questo evento? Significa confrontarsi con

una sfida nella quale sono importanti Milano e i suoi quartieri ma anche l’Argentina e la Nuova Zelanda. Insomma una partita terribilmente complessa. Come Expo comunicherà in Italia e come invece all’estero? In Italia stiamo iniziando a lavorare tenendo fisso il timone su un punto: a fare notizia, mi scuso per la ripetizione, sono le notizie. Quindi dobbiamo dimostrarci capaci di produrne. Per l’estero la partita vera inizia dal 2012. Quali caratteristiche servono per far funzionare in

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Roberto Arditti Roberto Arditti, 46enne lodigiano, laureato in Discipline Economiche e Sociali alla Bocconi di Milano è giornalista professionista dal 1995. Ha iniziato la sua carriera nel 1988 come ricercatore junior al Centro Studi “Furio Cicogna” dell’Università Bocconi. Dal 1988 al 1992 ha lavorato all’Ufficio Gabinetto del Presidente del Senato, Giovanni Spadolini. Dal 1992 al 1997 è stato direttore di Rtl 102.5 News e dal 1997 al 2001 autore della trasmissione televisiva “Porta a Porta” su Rai 1, esperienza ripetuta dal 2002 al 2007. Dal 2001 al 2002 è stato Direttore della Comunicazione del Ministero dell’Interno. Dal 2003 al 2008 ha condotto la trasmissione radiofonica “L’indignato Speciale” e la rubrica “A Tutto Campo” su Rtl 102.5. Arditti nel 2007 ha pubblicato il suo primo libro “Obiettivi quasi sbagliati” edito da Sperling&Kupfer. Dal 2008 al 2010 è stato direttore de “Il Tempo”. Dall’aprile 2010 è Direttore Comunicazione e Relazioni Esterne per Expo 2015.

maniera efficiente ed efficace l’intera macchina di Expo? Gli ultimi italiani che hanno organizzato un’esposizione universale l’hanno fatto a Milano nel 1906. Quindi la ricetta non è così a portata di mano. Però i criteri della buona managerialità e dell’apertura mentale al confronto con il mondo consentono di andare nella direzione giusta. E da questo punto di vista una guida saggia e innovativa come il nostro amministratore delegato Giuseppe Sala è una garanzia.

L’Expo sarà situata in un’area

Quale valore concreto può avere un evento come Expo per le imprese lombarde, e non solo, e per un loro rilancio? Un valore molto grande, che sarà meglio quantificare a posteriori. A un patto però: Expo 2015 non si fa da sola, tutti si debbono rimboccare le ma-

almeno due terzi dall’Italia

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nel settore nord-ovest di Milano e occuperà una superficie di 1,7 milioni di metri quadrati, comprendente parte del territorio della città di Rho. Ci si aspetta oltre 20 milioni di visitatori di cui

niche e farsi avanti con idee e progetti. Quale priorità vi siete dati per questo 2011? Due obiettivi fondamentali. Il primo è

quello di passare alla fase della concretezza, lanciando le prime importanti gare per i lavori sul sito espositivo. Il secondo è quello di coinvolgere i territori, come stiamo facendo girando l’Italia in lungo e in largo. Cosa rappresenta l’evento Expo per il mondo della comunicazione e dell’editoria? Una significativa occasione di lavoro a contatto con una dimensione internazionale molto spesso ignorata in Italia. |

Non c’è sicurezza in questo mondo: ci sono solo delle opportunità. Douglas MacArthur www.expo2015.org



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Lady Economy

orgoglio

L’

di essere una donna

manager

Paola Carniglia è la responsabile commerciale dell’azienda di famiglia, la OTIM di Milano. Nell’intervista racconta la passione e l’entusiasmo di essere manager e le difficoltà dell’essere donna e mamma in un Sistema ancora “troppo maschilista” testo di Laura Di Teodoro

Una storia imprenditoriale di terza generazione. Una storia che parla di passione per il lavoro, di difficoltà superate a causa di un “maschilismo ancora troppo radicato”, di gioie e dolori di un passaggio generazionale in atto e dei sacrifici nell’essere madre single e manager impegnata su più fronti. È la storia di Paola Carniglia, responsabile Commerciale e Relazioni Esterne nell’impresa di famiglia, la OTIM spa di Milano, azienda attiva da 60 anni nel mercato dei trasporti internazionali e marittimi. Paola Carniglia, oltre ad essere manager in azienda, ricopre diversi incarichi: è consigliere del Gruppo Giovani di Confi ndustria Monza e Brianza e promotore per la Lombardia della Fondazione Italia-Cina.

gine di mio padre e la mia ammirazione nei suoi confronti, uniti al desiderio di dare un seguito al lavoro fatto da lui in questi anni. Inoltre mio padre è stato bravo a rendermi il lavoro “stuzzicante”: a soli 20 anni mi sono trovata a dover viaggiare in Cina o in America con responsabilità importanti. Grazie alla sua spinta ho imparato moltissime cose e ho iniziato ad appassionarmi a questo lavoro.

La sua è una storia imprenditoriale di terza generazione. Come e quando è nata l’azienda? L’azienda è stata fondata sessant’anni fa da mio nonno ed è cresciuta grazie all’imprenditorialità di mio padre Mario che ancora oggi, nonostante i suoi 70 anni, è a capo della OTIM. Adesso ci siamo io e mio fratello Enrico che stiamo vivendo il passaggio generazionale e i numerosi cambiamenti dettati dalla crescita degli ultimi anni. Al contrario, mio padre si è trovato a dover gestire l’azienda da solo, a 20 anni a causa della morte improvvisa del nonno. Noi invece abbiamo avuto, entrambi, la fortuna di studiare, crescere in realtà diverse per poi approdare in azienda. Gli scenari e i contesti in cui prima nostro padre e oggi noi, stiamo vivendo il periodo di transizione erano e sono differenti e di questo bisogna tenerne conto.

Paola Carniglia è responsabile

Come è stato il suo personale percorso di avvicinamento e ingresso in azienda? Dopo la laurea in Economia alla Bocconi ho fatto un’esperienza di un anno negli Stati Uniti dove ho lavorato per una compagnia marittima. Sono stati dodici mesi stupendi e se fosse stato per me, sarei rimasta oltre oceano ma le circostanze, il carisma di mio padre e le prospettive future me lo impedirono.

I sette anni trascorsi seguendo il settore Fiere in azienda, sono stati sicuramente i più belli e stimolanti: mi dividevo tra Italia, Cina, Stati Uniti, lavorando anche di notte per via dei vari fusi orari. I ritmi erano logoranti ma l’entusiasmo era tanto. Dopo questo primo step in azienda, e in seguito alla nascita di mio figlio, sono diventata responsabile dell’area commerciale, marketing e relazioni esterne.

Colgo un po’ di amarezza... Forse. A quell’età avrei voluto fare la giornalista, scrivere libri. I sogni erano altri ma l’azienda chiamava e io non ho potuto tirarmi indietro. Inoltre il mio essere donna non ha facilitato le scelte: abbiamo una serie di problematiche che un uomo non conosce, soprattutto in un lavoro come questo in cui è necessario viaggiare molto. Purtroppo c’è ancora molto maschilismo e a causa di un tessuto ancora duro a estinguersi tutto diventa più complicato. Da quando sono mamma, single, le difficoltà e i pregiudizi si sono accentuati. Dove ha trovato la motivazione per aff rontare la sfida in azienda? Mi hanno aiutato da una parte l’orgoglio e dall’altra la forte e carismatica imma-

Commerciale e Relazioni Esterne nell’impresa di famiglia, la OTIM spa di Milano, azienda attiva da 60 anni nel mercato dei trasporti internazionali e marittimi

È ancora molto presente questo fattore del maschilismo nella sua quotidianità? Purtroppo si. E i motivi sono due: da una parte c’è una mentalità difficile da cambiare e dall’altra viviamo in un sistema, quello italiano, ancora troppo povero di strutture 59


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in grado di supportare le mamme che lavorano. Lo dico sinceramente: se non potessi permettermi una persona fissa a casa avrei serie difficoltà a lavorare. Si pensi che negli Stati Uniti la maternità dura due mesi, di contro però esistono strutture pubbliche in grado di aiutare una mamma. Purtroppo a noi donne vengono richiesti sforzi enormi. Se vogliamo che l’imprenditorialità femminile cresca bisogna chiedere al Paese di puntare su una politica di asili nido pubblici che non privilegi solo determinate categorie ma che si apra a tutte le mamme.

Il mercato cinese per voi è un punto di riferimento importante... È fondamentale e fa parte della storia dell’azienda. Siamo presenti fisicamente a Pechino con i nostri uffici e questo ci ha permesso di creare un rapporto di fiducia con i clienti cinesi che rappresenta la nostra vera arma vincente. Grazie a mio padre e

Cosa ne pensa dell’aumento delle quote rosa nei CDA? Per me è una regola inutile. La nomina deve essere meritata non imposta. Il problema è a monte, senza cambio di mentalità il problema resterà.

ancora troppo maschilista, che permea

Quali sono i principali meriti di suo padre? Sicuramente l’aver traghettato l’azienda verso traguardi importanti. È stato grazie a lui se la OTIM è stata una tra le prime imprese italiane ad approdare in Cina, nel 1975.

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“La nomina delle donne nei consigli di amministrazione deve essere meritata e non imposta. Deve cambiare la mentalità, il nostro sistema Paese e per quanto mi riguarda, il mio settore” al suo lavoro, si è puntato molto sulle fiere e le prime manifestazioni fieristiche cinesi le abbiamo seguite noi e continuiamo a raccogliere i frutti di quelle geniali intuizioni paterne.


Lady Economy

La otim Fondata nel 1948, OTIM ha raggiunto durante oltre 60 anni di attività una rilevante posizione sul mercato, adeguandosi sempre alle esigenze più complesse della propria clientela. OTIM si caratterizza per l’ampia gamma di servizi offerti grazie ad un’organizzazione composta da reparti altamente specializzati che consentono rapidità di decisioni operative e costante cura dei dettagli. Dal 1975 OTIM è attiva sul territorio cinese ed ha maturato attraverso questi anni una specifica esperienza in quell’area geografica ove è presente con propri uffici a Pechino, Shanghai, Canton, Shenzhen, Taipei e Pyongyang, prima azienda italiana ad aprire un ufficio nella Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord). E’ inoltre presente negli Stati Uniti ed in Venezuela. Grazie alla lunga presenza sul mercato, OTIM ha sviluppato una fitta rete di Corrispondenti che le consentono di coprire anche gli angoli più remoti del mondo.

Quali invece i risultati sul fronte statunitense? Quello americano è un mercato molto più complicato dove è necessario esserci fisicamente. Se in Cina il nostro merito è stato quello di avere un socio di riferimento, negli Stati Uniti invece abbiamo solo un ufficio di customer service. Ci abbiamo provato ma è un Paese molto più costoso e un mercato più competitivo dove c’è molto poco spazio per un’azienda di nicchia come la nostra. Chi sono i vostri concorrenti di riferimento? Chiunque faccia trasporti, senza alcuna distinzione. Come distinguerci? Puntando su un servizio personalizzato, creato su misura anche se oggi, per molti, è la variabile di prezzo l’unica discriminante. Tornando sul discorso del passaggio generazionale. Quali sono gli aspetti più critici di questa fase? Senza ombra di dubbio lo scontro tra

nuova e vecchia generazione. Da una parte ci siamo io e mio fratello che vorremmo spingere verso una ristrutturazione aziendale più “accademica” e organizzata, di contro c’è chi tende a voler far restare le cose immutate. Mio padre è entrato in azienda quando ancora c’era la teleselezione, il telex. Oggi è tutto accelerato, la comunicazione in primis, e di conseguenza il lavoro e il modo di lavorare sono cambiati: la competizione è aumentata e si lavora su margini molto più bassi. L’azienda andrebbe ri-strutturata di conseguenza. Di contro mi rendo conto della difficoltà di cambiare la mentalità di un uomo di 70 anni arrivato in azienda a soli 20, un uomo che ancora oggi ha voglia di lavorare, seguire in prima linea le quotazioni più interessanti senza delegare. In questo momento stiamo provando a trovare una via di mezzo tra le due generazioni e le due mentalità ma la strada resta in salita. Un sogno nel cassetto? Il mio sogno resta quello di riuscire a con-

tinuare una tradizione che dura da tre generazioni, dando la possibilità a mio figlio di avere un futuro qua dentro, se vorrà naturalmente. Vede qualche prospettiva di crescita? Se parliamo di mercati non vedo nuove possibilità. Dovremo essere bravi a sfruttare quello che c’è, potenziando i nostri punti di forza e rafforzando il nostro know how in tutto il mondo. Le fiere continueranno ad essere il nostro settore di punta, nonostante la concorrenza si sia fatta più dura soprattutto da parte dei grossi spedizionieri. Ma la nostra esperienza e la nostra storicità rappresentano un valore aggiunto che ci ha permesso, tra le altre cose, di essere gli spedizionieri ufficiali di Expo Shanghai 2010. | Esser donna è così affascinante. È un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non finisce mai. Oriana Fallaci www.otim.it

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da sinistra a adestra: Marcello Meregalli amministratore delegato e il padre Giuseppe Meregalli - Foto Goblin Monza

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Eccellenze d’impresa

Meregalli un distillato d’imprenditorialità Il Gruppo con sede a Monza, leader nella distribuzione di alcolici e distillati festeggia quest’anno i 155 anni di storia. La fotografia di un’azienda che ha saputo crescere puntando su innovazione, internazionalizzazione e new business testo di Mauro Milesi

Una storia imprenditoriale lunga 155 anni, scritta da 5 generazioni di imprenditori che hanno vissuto la nascita e il progressivo sviluppo di un’azienda che è oggi leader nella distribuzione di alcolici e distillati. Fare oggi la fotografia del Gruppo Meregalli significa immortalare i tratti di una realtà che rappresenta alcuni dei più importanti marchi del settore, che ha saputo puntare sulle nuove tecnologie, che ha saputo lavorare sul fronte dell’internazionalizzazione e sviluppare new business. A raccontarci passato, presente e futuro del Gruppo con sede a Monza è il trentatreenne amministratore delegato Marcello Meregalli. Ben 155 anni di storia, 5 generazioni di imprenditori e oggi è lei a guidare il Gruppo. Come ha vissuto il passaggio generazionale all’interno dell’azienda? Mio padre Giuseppe mi ha insegnato a convivere con l’azienda fin da piccolo. La storia della nostra famiglia è immancabilmente legata a quella della nostra impresa. Così ho imparato presto a conoscere le dinamiche e la vita di tutti i giorni all’interno del nostro Gruppo. E’ stato un passaggio generazionale morbido, proprio perché ho sempre vissuto questo ambiente. Se posso fare una battuta, ricordo che ho sorseggiato il mio primo cognac quando avevo 8 anni, era una bottiglia del 1805... Oggi quali sono i suoi principali incarichi in azienda? Rivesto il ruolo di amministratore delegato e mi occupo anche degli aspetti strategici del commerciale. Inoltre, ho seguito direttamente anche l’introduzione delle nuove tecnologie che hanno fornito un’importante crescita per il Gruppo. Presto attenzione anche alle attività di valorizzazione del nostro marchio e alle più importanti iniziative di marketing. Un’azienda che ha radici così lontane, fin dal 1856, come riesce a far convivere elementi di continuità ed elementi d’innovazione? La distribuzione fa parte del nostro Dna. Poi con mio padre l’azienda ha dato vita a un vero cambiamento proiettandosi prima sul circuito nazionale e, dagli Anni Settanta, puntando anche ai mercati esteri. La continuità è il fi lo conduttore della storia della nostra famiglia, ma in ogni epoca siamo stati capaci di cavalcare l’onda dell’innovazione, anzi ad essere spesso dei precursori. 63


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Quanto conta oggi il processo d’internazionalizzazione? E’ un aspetto importante che comprende circa il 20% dei nostri volumi. Lavorare sui mercati esteri è stato un elemento importante anche per soddisfare l’esigenza di export dei marchi italiani che distribuiamo. In alcuni paesi operiamo direttamente con delle sedi distaccate, come ad esempio in Svizzera e Francia. Quali sono alcuni dei grandi marchi che rappresentano il fiore all’occhiello della distribuzione Meregalli? Qui in Italia tra i più conosciuti c’è il Sassicaia della Tenuta San Guido, poi c’è lo Champagne Bollinger con cui abbiamo una storia lavorativa fin dal 1994 ricca di soddisfazioni: basti pensare che abbiamo sestuplicato le vendite arrivando al traguardo di 110mila bottiglie all’anno in Italia. Molto importante anche la partnership privilegiata con la borghesia di Bordeaux di cui noi curiamo direttamente la vendita di grandi etichette tra cui Château

panoramica dell’attività logistica all’interno del magazzino di lissone

La partnership con Davidoff sigari Meregalli investe molto dal punto di vista del marketing non soltanto per sostenere e promuovere i marchi distribuiti, ma anche per dar vita a una serie di iniziative ed eventi a valore aggiunto con importanti brand che possano creare un importante legame con il Gruppo. Di recente è nato anche l’accordo con i marchi di sigari Davidoff in Italia, per una serie di preziose collaborazioni. Il legame tra il gusto del buon bere e l’arte del fumo lento fa parte di una filosofia che Meregalli e Davidoff condividono in pieno: “Credo che ci sia un collegamento naturale - ha spiegato Marcello Meregalli - in questa dimensione del benessere, del piacere di vivere. E poi come avviene per i superalcolici, spesso anche il fumo viene demonizzato. Ma il nostro target, come quello di Davidoff, è rivolto a persone consapevoli, che conoscono a fondo i nostri prodotti e apprezzano bien vivre a cui sono collegati”. enrico della pietà, brand manager davidoff e marcello meregalli in occasione dell’evento celebrativo dei 155 anni dell’azienda

Lafite. Poi nel settore spirits abbiamo tante notevoli referenze tra cui la grappa Jacopo Poli, con mezzo milione di bottiglie vendute nel solo canale horeca. A proposito di spirits, ci parli del progetto “Vino è Arte”... E’ un progetto nato nel 2007 con un pizzico di follia e di fortuna. Se fosse partito un anno dopo, in piena crisi, probabilmente non l’avremmo fatto. Tutto è nato dalla consapevolezza che abbiamo circa 1200 articoli di cui un terzo è composto da spirits. Così abbiamo deciso di puntare su un’innovativa idea di marketing e di logistica, con un piano di distribuzione 64

completamente diverso. In un momento di crollo dei consumi, siamo andati sul mercato proponendo agli operatori soluzioni d’acquisto su misura, con kit di bottiglie completamente personalizzabili. E’ stata una scelta di successo. Il fatturato è in crescita così come le voci di prodotto. Abbiamo trovato una nicchia interessante e da qui è nata la srl del Gruppo specializzata nel settore che si chiama appunto “Meregalli Vino è Arte”. Diamo qualche numero relativo al suo Gruppo... Una rete di 140 persone, 93 mandati di distribuzione, una serie di agenzie di rife-

rimento in posti strategici come Milano e Roma, circa 1200 etichette a catalogo, che diventano 1800 con Svizzera e Francia. I nostri clienti in Italia sono circa 9000 con la Gdo che rappresenta il 2% del fatturato. Abbiamo alcuni punti vendita diretti tra wine-bar ed enoteche, in punti strategici legati al nostro territorio. Dal suo osservatorio privilegiato, come è cambiato il settore horeca in questi anni? Direi che siamo tornati agli Anni Ottanta. Ci sono ancora troppi operatori all’interno di un ambito di consumi in cui il potere d’acquisto è sceso. Oggi ci sono ancora


Eccellenze d’impresa

il privé bollinger nele cantine meregalli Foto Goblin Monza

troppe improvvisazioni, realtà che non sono al passo con i tempi, locali “finti” senza identità. Nel canale della ristorazione tengono bene il passo i ristoranti storici, in particolare quelli di fascia media, mentre crescono i wine bar con prezzi abbordabili.

foto aerea della Tenuta Fertuna Foto Goblin Monza

E, invece, com’è evoluta la consapevolezza del consumatore? Sicuramente la consapevolezza è crescita. Dagli Anni Novanta gli appassionati del buon bere sono cresciuti anche grazie a iniziative mirate di associazioni di sommelier o eventi di degustazione e a una maggiore attenzione da parte dell’editoria. Oggi il vino è finito per diventare come il calcio, ci sono troppi “tifosi-allenatori”. Si tende spesso solo a criticare senza avere la giusta comprensione. Si rischia di restare un po’ in superficie, ma anche questo ovviamente genera interesse. Al di là della distribuzione, il Gruppo ha puntato anche su alcuni iniziative di new business... C’è Aznom, un’azienda nata non direi per gioco, ma sicuramente per passione. Siamo partiti nel 2007 creando delle linee di accessori di design legati al mondo del vino e poi abbiamo allargato su prodotti innovativi e oggettistica luxury e business. In questi ultimi anni, inoltre, abbiamo aperto 3 wine-bar a Monza, ciascuno con una propria identità, con un format preciso e un buon zoccolo di fatturato. Abbiamo, poi, messo un piede anche nell’ambito editoriale, che è un mondo al di là del nostro core-business, ma sicuramente interessante e con importanti potenzialità.

Poi c’è la Tenuta Fertuna... Esatto. Abbiamo completato l’acquisizione nel 2008 di questa azienda vinicola che era già in parte di nostra proprietà. Siamo in piena Maremma, una zona perfetta per il Super Tuscan, abbiamo 150 ettari di cui 50 vitati in produzione. La tenuta sfrutta le più moderne strumentazioni hi-tech ed è legata anche a un progetto di accoglienza non solo turistica, ma anche per la formazione specializzata e l’incentive aziendale. E’ un vero e proprio Château di Toscana. |

La vita è troppo breve, per bere del vino cattivo. Gotthold Lessing

www.meregalli.it www.meregallivinoearte.it www.fertuna.it www.aznom.com

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Giro “ Saint-Gobain ” Ritorna il

Hotelplan Incentive per il secondo anno consecutivo è stato partner di Saint-Gobain Italia nell’organizzazione di un vero e proprio Giro per l’Italia, all’inseguimento della “maglia rossa”

Venti giorni, letteralmente di corsa, “pedalando” su e giù per l’Italia. Dal 9 al 29 maggio scorso, Hotelplan Incentive, per il secondo anno consecutivo è stata partner di Saint-Gobain Italia azienda leader nel settore dell’edilizia - nell’organizzazione di un evento non stop tenutosi proprio in occasione del 94° Giro d’Italia. Qualche numero: 21 tappe e 9 cene di gala – da Genova a Termoli, da Milano a Capua - con oltre 3.000 ospiti invitati, 17 le persone dello staff coinvolte e migliaia di chilometri all’inseguimento della famosa “maglia rossa” (dedicata al vincitore della classifica a punti, ndr) sponsorizzata da SaintGobain, che ormai da diversi anni accomuna i propri marchi (Glass, Gyproc, Isover, Pam e Weber) alla più importante manifestazione sportiva italiana. Anche per l’edizione del 2011, la scelta di Hotelplan Incentive è ricaduta su location spesso fuori dai circuiti tradizionali, cercando di privilegiare l’esclusività e l’originalità.

MAPPA DEL 94° GIRO D’ITALIA

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Il Castello degli Angeli di Bergamo è, ad esempio, una delle magnifiche strutture medioevali che da secoli convive con la solennità della storia e che ha ospitato una “tappa del giro”. Non è da meno, in quanto a bellezza, la Tenuta San Domenico a Capua, anch’essa sapientemente ristrutturata e immersa in una natura profumata e magica, che ha fatto da cornice ad una delle nove serate di galà.


Viaggi Incentive

la Tenuta San Domenico a Capua

Impatto scenografico e cura dell’estetica, certamente, ma al contempo un’attenzione quasi maniacale ai dettagli: dagli inviti alla gestione delle hostess, dal catering – che spesso ha creato menu di qualità privilegiando i sapori del territorio e i cibi di stagione – alla creazione di spettacoli che hanno allietato le serate. Infatti, proprio con l’agenzia di comunicazione Cleis, è stato definito un format unico e originale per la presentazione delle soluzioni Saint-Gobain: momenti istituzionali sono stati

Il Castello degli Angeli di Carobbio degli Angeli

Dal 9 al 29 maggio scorso Hotelplan Incentive è stata partner di Saint-Gobain Italia nell’organizzazione di un evento non stop tenutosi proprio in occasione del 94° Giro d’Italia. Più di 3mila gli ospiti radunati nel corso delle 21 tappe e nelle 9 cene di galà intramezzati e allietati da interventi di artisti del calibro di Giorgio Verduci (Zelig) e Monica Seller che, in chiave gustosa e ironica ma al contempo raffinata, hanno presentato le numerose novità per l’edilizia lanciate da Saint-Gobain. Per il secondo

anno consecutivo, Saint-Gobain affida a Hotelplan Incentive il suo evento di punta. Un altro successo, frutto della perfetta sinergia e della professionalità di una squadra che ha scelto di non risparmiarsi mai. | sotto eventi hotelplan

www.hotelplanitalia.it

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Ottimizzare il processo di vendita per raggiungere

risultati aziendali inimmaginabili L’efficaciia della forrza vendita è diventata una delle preoccupazioni principali tanto per i produttori di apparecchiature medicali, come in questo caso, che per molti altri, perché i margini si erodono e la crescita rallenta. La maggior parte delle aziende ha fatto investimenti sostanziosi per potenziare la forza vendita e sfruttare al meglio la tecnologia, ma poche hanno ottenuto benefici continuativi e risultati sostenibili. Questo caso applicativo racconta come la divisione commerciale europea di un’importante azienda del settore abbia conseguito un incremento sostanzioso dei ricavi grazie a un’azione ad ampio spettro che ha permesso di migliorare i processi di vendita locali, estendere i miglioramenti a tutta l’area geografica e porre le basi per l’implementazione di un sistema CRM.

La scelta di ottimizzare tutti i processi di vendita prima di implementare un sistema CRM ha consentito alla divisione europea di un’azienda leader nella produzione di apparecchiature medicali, di conseguire un incremento significativo dei ricavi di Massimo Appiotti e Steve Crom Valeocon Management Consulting

zato a ottimizzare i diversi processi di vendita locali prima di implementare il nuovo sistema CRM. L’obiettivo complessivo era migliorare i processi che contribuiscono ad aumentare le vendite effettuate da ciascun agente. Se il metodo avesse permesso di individuare, acquisire e conservare nuovi clienti e ordini con le stesse risorse, o meno ancora, il suo contribuito sarebbe stato notevole. Tuttavia, non era chiaro come si sarebbero dovute affrontare le sfide poste dal caso specifico.

Questo caso applicativo racconta come la divisione commerciale europea di un’importante azienda del settore abbia conseguito un incremento sostanzioso dei ricavi grazie a un’azione ad ampio spettro che ha permesso di migliorare i processi di vendita locali, estendere i miglioramenti a tutta l’area geografica e porre le basi per l’implementazione di un sistema CRM

PREMESSA DeviceCorp EU (il nome è fittizio) è la divisione europea di vendita e marketing di una multinazionale di apparecchiature medicali, con oltre 20 uffici commerciali locali che propongono una gamma completa di apparecchiature con diversi marchi. I clienti sono da un lato chirurghi e personale infermieristico (che acquistano prevalentemente in base a criteri di efficienza dei sistemi), dall’altro amministratori di ospedali (che valutano soprattutto l’aspetto economico). Il presidente della divisione, davanti a richieste pressanti di implementare un sistema CRM per l’intera regione europea, ha capito di avere un’occasione unica: ogni forza vendita ha al proprio interno alcuni agenti capaci che raggiungono o superano sempre gli obiettivi fissati. Quali sono le caratteristiche del loro modus operandi (processo) che determinano questi risultati straordinari? Individuando i processi più efficaci e replicandoli sull’intera struttura sarebbe stato possibile aumentare notevolmente l’efficacia dell’intera forza vendita. L’azienda ha quindi deciso di lanciare un progetto basato sul metodo Lean Sigma e finaliz68

• Come si poteva lavorare su una porzione rilevante del processo di vendita, sufficiente per ottenere un impatto significativo, invece di suddividere l’attività in sottoprocessi, come ad esempio la qualifica delle opportunità di vendita, che di per sé non contribuiscono all’aumento delle vendite? • Come si poteva evitare la duplicazione degli sforzi adottando processi simili in tutti i Paesi; ad esempio, come si poteva sfruttare l’esperienza dei primi progetti di aumento delle vendite che avevano dato risultati positivi? • Come si poteva ottenere il consenso e l’impegno dei vari agenti, per linee di prodotto o per Paese, a utilizzare le best practice per i processi di vendita? • Come misurare l’efficacia della forza vendita? L’APPROCCIO La sfida organizzativa richiedeva di intervenire su aree di miglioramento sufficientemente rilevanti da ottenere un cambiamento significativo, evitando al tempo stesso di complicare eccessivamente i progetti. Sono stati quindi elaborati i principi di progettazione riportati di seguito per superare le varie sfide: • investire il tempo necessario per analizzare con cura i progetti insieme ai loro sponsor, poiché i processi di vendita sono tipicamente meno definiti; • raggruppare i progetti collegati per ottenere pienamente l’effetto desiderato, mantenendo nel contempo gestibili i singoli progetti; • arruolare i senior manager come project leader, per supervisionare che i processi “to-be” (auspicabili) fossero effettivamente implementati; • sfruttare al massimo i tempi nei quali il personale di vendita e marketing non è sul cliente; • strutturare la formazione e il lavoro di progetto in una serie di workshop più brevi


Processi di vendita e frequenti; • svolgere quanto più lavoro possibile nell’ambito dei workshop; • creare un comitato guida con un alto livello di seniority per individuare e perseguire obiettivi comuni e per sfruttare i risultati conseguiti operando trasversalmente su business unit e Paesi diversi; • impegnare alcune risorse a tempo pieno nella strutturazione e nella gestione dell’iniziativa. Raggruppando i progetti attorno a un tema comune (ad esempio, individuare le opportunità commerciali qualificate), ciascun addetto poteva dedicarsi a sottoprocessi specifici contribuendo al tempo stesso al miglioramento complessivo del sistema (ad esempio, il processo generale di partecipazione alle gare d’appalto). Sono stati organizzati numerosi workshop con i direttori commerciali per analizzare progetti significativi in tutti i processi di vendita e marketing, focalizzati su Paesi specifici. Ogni project leader aveva due obiettivi: un processo “to-be” che risolvesse il problema illustrato dal suo sponsor locale, e un processo “best practice” che potesse essere adottato da altri nella regione. I partecipanti erano direttori commerciali e marketing con responsabilità operative relative ai processi sui quali stavano lavorando. Alcuni dei partecipanti erano chiaramente “opinion leader” e figure molto rispettate per le prestazioni offerte nelle rispettive mansioni. Volendo creare progetti di riferimento per la regione e processi che potessero essere adottati su larga scala, era necessaria una rappresentanza regionale. L’approccio adottato è stato quello di unire la formazione Lean Sigma tradizionale con workshop a piccoli gruppi e sessioni di coaching individuali. In questo modo ogni project leader ha avuto la possibilità di presentarsi ai colleghi della regione e ottenere da loro un input, apprendendo nel contempo la metodologia. I vantaggi di un approccio basato su fatti e dati concreti come Lean Sigma sono stati subito evidenti. I team sono stati invitati a dichiarare esplicitamente le loro

ipotesi per ciascun processo. Seguendo la metodologia, i team hanno documentato i processi correnti e raccolto dati che possono essere usati per testare l’ipotesi iniziale. In molti casi, le evidenze fornite dai team erano in netta contrapposizione con le convinzioni più radicate e miglioravano la comprensione dei fattori realmente importanti, ad esempio: Pianificazione delle telefonate commerciali Le attività vengono gestite più degli obiettivi; gli strumenti di gestione delle vendite controllano la qualità dell’attività invece di migliorare la qualità delle telefonate commerciali. Gestione degli stakeholder I venditori più bravi puntano alle figure più influenti, mentre quelli con prestazioni medie chiamano amici e conoscenti. Prezzi Non esiste una correlazione statistica fra sconto e volume. Formazione professionale Formalizzare la selezione e il follow-up è fondamentale per migliorare la generazione di ricavi. Appropriazione capitale Ogni Paese ha metodi previsionali diversi, ma è possibile armonizzare il metodo previsionale. Definire il prezzo di listino e minimo In passato non esistevano processi basati sui dati per questo aspetto critico. Gare È sorprendente che nel 27% dei casi non arriviamo a vendere le quantità minime in offerta, considerando che questo minimo è un impegno contrattuale proveniente dai clienti. Tempo di vendita effettivo Su una giornata lavorativa di 10,4 ore, gli agenti guidano per 3,5 ore e si dedicano ad attività diverse dalla vendita per altre 3,5 ore. Un partecipante ha ammesso: “Vendo appa-

recchiature medicali da sette anni, ma solo ora ho capito veramente che cosa vuol dire vendere in maniera efficace.” Con l’eccezione di un solo progetto, la prima tornata di 18 progetti è stata portata a termine con successo e ha prodotto un beneficio netto di 8 milioni di dollari. Tuttavia, ognuna di queste soluzioni era stata sviluppata nel contesto del mercato specifico in cui operava il team. Nella seconda parte di questo articolo tratteremo dei risultati ottenuti globalmente con questo approccio e di come sia stato possibile decuplicare i risultati con un meccanismo di diff usione degli stessi progetti nelle varie filiali europee. |

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ostacoli della burocrazia nei rapporti extra-Ue Gli

E’ stato pubblicato dalla Commissione Ue il rapporto 2011 “Trade and investment barriers”, sugli ostacoli tariffari e burocratici in cui si imbattono le imprese che internazionalizzano su mercati extra-Ue. Un’analisi sui mercati della Cina, India, Giappone, Brasile, Argentina, Russia e Usa in collaborazione con Promos – Internazionalizzazione e marketing territoriale

La Commissione Ue ha pubblicato un report sugli ostacoli tariffari e burocratici che devono fronteggiare le imprese europee per fare business nei mercati extra–Ue. L’Unione europea è contro il protezionismo e per l’apertura commerciale anche perché dal 2015 il 90% della crescita degli scambi avverrà nei paesi extra Ue (in particolare in Asia). L’analisi conferma che non sono tanto i dazi il vero ostacolo da superare, ma la burocrazia doganale, i balzelli e le norme restrittive che di fatto impediscono la libera esportazione dei beni europei. Per la loro importanza in termini di interscambio commerciale e di Investimenti Diretti Esteri il report si focalizza su alcuni partner strategici per l’Ue: • Cina • India • Giappone • Mercosur: Brasile – Argentina • Russia • Usa. Cina La Cina, secondo partner commerciale dell’Ue, rappresenta non solo una fonte importante di beni di consumo a prezzi ridotti e di input fondamentali per il sistema produttivo europeo, ma anche un vitale mercato di destinazione per l’export europeo (cresciuto del 4% nel 2009 rispetto al 2008 e raddoppiato dal 2005 al 2010). Dieci anni dopo l’ingresso nella Wto, la Cina non è ancora oggi in grado di garan70

tire il rispetto di parametri fondamentali quali la trasparenza, la libera concorrenza e la non discriminazione delle imprese straniere: • esistono norme tecniche e standard di difficile comprensione per gli esportatori europei • nel procurement non vengono sempre rispettati gli standard internazionali • esistono sussidi all’export, prestiti pubblici a tassi agevolati, energia a costi ridotti per le imprese locali che falsano il quadro competitivo • la tutela della proprietà intellettuale non è sufficientemente garantita. Non è un caso se l’Unione europea ha introdotto dei dazi antidumping proprio contro alcuni prodotti cinesi: nel 2006 per contrastare l’invasione di scarpe (i dazi non sono più in vigore dal 1° aprile 2011); il 18 marzo 2011 contro l’importazione di piastrelle cinesi. India L’India sta crescendo con un tasso annuale superiore all’8% e negli ultimi 4 anni l’interscambio commerciale con l’Ue è cresciuto del 31%. Il contesto commerciale è comunque restrittivo: alle alte barriere tariffarie si aggiungono numerose barriere non tariffarie (restrizioni quantitative, licenze di importazione, certificazioni varie) e procedure doganali complesse e burocratizzate. Anche la tutela della proprietà intellettuale non è sempre garantita e sono

numerosi i casi di contraffazione e pirateria. Così pure le norme sugli appalti internazionali non rispettano, a volte, gli standard internazionali. Il governo indiano non consente alle aziende straniere della grande distribuzione di operare nel mercato multi-brand locale; richiede alle aziende del settore IT di impiegare anche ingegneri indiani, introduce restrizioni alle esportazioni di cotone che ne aumentano il prezzo, pretende più certificati sanitari di quelli normalmente richiesti per consentire l’importazione di carne, frutta e ortaggi. Giappone Il Giappone è il settimo mercato per l’export dell’Ue. Mentre le tariffe sono generalmente basse, gli ostacoli e le restrizioni alla libera circolazione dei beni e servizi stranieri permangono alte. Questi i tre esempi riportati: • gli operatori stranieri hanno un accesso molto limitato alle gare d’appalto giapponesi • l’introduzione di medical device è particolarmente difficile (solo la metà di questi prodotti europei e statunitensi sono utilizzati in Giappone • nel settore assicurativo c’è spazio unicamente per le imprese locali.


Internazionalizzazione Mercosur: Brasile e Argentina L’Ue è il principale partner commerciale del Brasile che è il primo fornitore di prodotti agricoli dell’Ue. Brasile e Argentina fanno parte del Mercosur che sta trattando un accordo di libero commercio con l’Ue. In Brasile il procurement privilegia i prodotti e i servizi locali a danno dei fornitori stranieri. L’Argentina, a seguito della crisi del 2008, ha inserito diverse misure restrittive a favore del tessile – abbigliamento, calzaturiero, giocattoli, macchine, food… Brasile e Argentina hanno siglato accordi di trasporto commerciale che di fatto impediscono alle imprese europee di operare nei traffici commerciali tra i due Paesi. Russia La Russia per proteggere il proprio sistema industriale dalla crisi internazionale ha introdotto nel 2008 una serie di misure unilaterali di riduzione degli scambi che si sono aggiunte agli alti dazi all’esportazione su legname, ferro e metalli non ferrosi. Le pratiche doganali sono sempre più complicate (la situazione è peggiorata dall’1 gennaio 2011 per l’entrata in vigore dell’Unione tariffaria e doganale con Kazakhstan e Bielorussia). Anche la tutela della proprietà intellettuale e industriale non è sempre garantita e la contraffazione è piuttosto diffusa. Il Report sottolinea infine la spinosa questione dei Certificati fito sanitari che continuano a bloccare, senza una reale giustificazione scientifica, ingenti quantitativi di prodotti agricoli europei. Stati Uniti Il più importante partner dell’Ue sia a livello commerciale che finanziario, gli Stati Uniti attraggono il 20% dell’export totale Ue. I bue blocchi danno vita al più integrato sistema di relazioni economico finanziarie al mondo. Ciononostante esistono una serie di misure non tariffarie che rendono difficoltose le relazioni economiche bilaterali. Il mercato del procurement pubblico statunitense è praticamente in mano all’imprenditoria locale. Ma preoccupa soprattutto la nuova norma anti terrorismo che prevede la “scansione” di tutto il traffico container in arrivo negli Usa che entrerà in vigore il 1 luglio 2012. Sono attese pesanti ripercussioni sui tempi di gestione dello sdoganamento. Dopo la panoramica sui più importanti partner commerciali, il Report presenta le più ricorrenti barriere che ostacolano l’internazionalizzazione delle imprese europee (leggi sul procurement, protezione effettiva dei diritti di proprietà intellettuale, restrizioni all’export di materie prime, restrizioni agli investimenti, barriere tecniche e di certificazione). |

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valore gestione dei processi di comunicazione Creare partendo da una giusta

Nel mercato di oggi le aziende dovrebbero differenziarsi investendo su fattori di competizione che vadano oltre i confi ni del tradizionale mercato. Un brand comunicato in modo coerente e controllato comunica solidità e consistenza del business che ne è alla base a cura di Sara Baroni, fondatrice di OfficinaStrategia e Stefano Righetti, esperto di servizi e tecnologia a supporto dei processi di comunicazione

La realtà in cui operano i direttori di marketing e IT di aziende impegnate nella comunicazione dei propri brand, in un contesto sempre pù complesso, è fatta di contenuti digitali da veicolare su canali diversi, che tuttavia raggiungono lo stesso interlocutore. Coerenza e controllo sono dunque i prerequisiti di una comunicazione efficace, nel rispetto della brand identity. Questo si traduce in un carico di lavoro per il marketing centrale, che spesso è insostenibile per ridondanza di asset, processi e costi, con un rischio conseguente per il risultato aziendale.

Una direzione di crescita prevede l’ottimizzazione del processo comunicativo in termini di diminuzione della ridondanza di dati e informazioni nei processi comuni legati alla pianificazione, definizione e veicolazione della comunicazione sui diversi canali a disposizione I beni digitali si trasformano in asset aziendali quando diventano strategici per la generazione di valore. Quando? È fondamentale il modo in cui vengono gestiti i flussi di creazione, gestione e veicolazione dei beni digitali per la comunicazione. Tutte le aziende fanno comunicazione e, per farlo, si avvalgono di una filiera di operatori, costituita dai centri media per la pianificazione, le agenzie per la creatività, le aziende di premedia per la produzione, gli editori (stampa, video, web) e gli stampatori. Una fi liera traballante di questi tempi, in cui le esigenze del cliente finale (l’azienda che comunica) hanno messo in discussione ruoli e funzioni di ogni attore, con una conseguente confusione per il cliente e spesso una ridondanza di attività e dispersione di risorse. Siamo di fronte ad un cambiamento drastico, tanto forte da preludere un nuovo disegno della catena. Ma quali sono gli obiettivi di chi si occupa di marketing e come gli attori di questa catena lo possono aiutare? Innovazione di valore è il concetto intorno a cui ruota tutto. Nel mer72

cato di oggi le aziende dovrebbero differenziarsi investendo su fattori di competizione che vadano oltre i confini del tradizionale mercato, alla ricerca di spazi unici in cui il DNA di ogni azienda sia la risposta di valore al problema di quella nicchia. Prima di tutto viene la strategia di marketing, che nasce sulla coerenza con l’azienda stessa e ancora impone coerenza assoluta nelle attività di comunicazione. Un brand comunicato in modo coerente e controllato comunica solidità e consistenza del business che ne è alla base. Il marketing manager di oggi vive in un contesto mutevole caratterizzato da un traffico di beni digitali sempre più intenso con la multimedialità. La comunicazione dev’essere rapida, si fa più forte l’esigenza di allineare la comunicazione su tutti i media, aumenta il carico di lavoro, soprattutto per chi gestisce agenzie o reti in franchising con budget limitati. Una direzione di crescita prevede l’ottimizzazione del processo comunicativo in termini di diminuzione della ridondanza di dati e informazioni


Comunicazione

Che cosa e’ il dam? L’acronimo DAM (Digital Asset Management) identifica tutte le attività inerenti la gestione, l’archiviazione e la condivisione dei beni digitali. Esempi di beni digitali sono fotografie digitali, video, file musicali ma anche formati tecnici (.jpg,.dwg, etc.), ovvero beni la cui consistenza è legata ad una rappresentazione digitale (cfr. numerica). Un sistema di Digital asset management è efficace ed efficiente quando il controllo dell’immagine da parte del brand raggiunge un livello tale da garantire una percezione costante di solidità del business da parte del cliente finale. Come? L’evoluzione dei sistemi DAM è il concetto di DAM di prodotto, con cui si intende la possibilità di referenziare tutti i beni digitali al prodotto a cui fanno riferimento e non più al processo di produzione per cui sono stati generati.

nei processi comuni legati alla pianificazione, definizione e veicolazione della comunicazione sui diversi canali a disposizione. E la tecnologia? Esisitono soluzioni informatiche classificate in varie modalità e con vari acronimi: DAM, CMS, workflow automation, e-procurement, remote approval, file manager, timone elettronico, etc. In sostanza si tratta di soluzioni informatiche più o meno integrate tra loro, che supportano le attività che i vari attori coinvolti nei processi compiono – come la ricerca di immagini, la gestione di copyright, cicli di correzione e approvazione dei materiali digitali, tracking dei progetti, gestione ordini e prenotazioni, impaginazione, post-produzione, report... Il valore di questi sistemi sta nella configurazione dei flussi di lavoro che andrebbero a supportare. Prendiamo come esempio la piattaforma Chalco.net, composta da una serie di moduli che possono essere offerti individualmente oppure integrati. Essi possono essere assemblati in diversi modi, a formare una vasta serie di soluzioni, in relazione alle necessità degli utilizzatori e al contesto d’uso. Li si pensi come ad un insieme di “mattoncini Lego” che, opportunamente uniti tra di loro, vanno a realizzare innumerevoli costruzioni. Diversi brand le utilizzano già, in particolare le soluzioni più richieste sono: • Chalco.Brandlife per organizzare, gestire e distribuire tutti gli asset digitali a tutela del brand; • Chalco.Pos Portal per rendere disponibili on-line tutti i materiali promozionali per i punti vendita e controllare in modo centralizzato l’integrità dell’immagine del brand; • Chalco.Adv Portal per gestire le campagne pubblicitarie da una console web, controllando i file e l’interazione con gli attori; • HBS per rendere navigabili ed interattive sui diversi media le pubblicazioni commerciali cartacee; • HSL360 per automatizzare il ciclo completo di fotografia, di preparazione e di pubblicazione online di immagini dei prodotti interattive a 360° in alta definizione. |

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Tutela, amministrazione e conservazione del

patrimonio: perchè scegliere una fiduciaria

Cosa succede ai beni quando li affido a una fiduciaria? Quali sono le differenze rispetto a quando li affido a una banca o a una fi nanziaria? Un articolo per spiegare cosa si intende per fiduciaria di Marco Bolognesi – Presidente Argos Group Attualmente, è opinione di molti che le società fiduciarie servano principalmente a occultare la proprietà di beni mobili e immobili e a eludere il fisco. In realtà, per fiduciaria bisogna intendere quella struttura, professionalmente qualificata, autorizzata e vigilata dal Ministro delle Attività Produttive e ora, per chi decida di assoggettarvisi, anche da Banca d’Italia (D.Lgs 141/2010), in grado di operare come intermediario sostituto d’imposta e di offrire una serie di servizi e di benefici economici derivanti da un’attenta pianificazione e ottimizzazione fiscale. Sono dunque società fiduciarie e di revisione quelle che si propongono, sotto forma di imprese, di assumere l’amministrazione di beni per conto terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni. Caratteristica principale delle società fiduciarie è che agiscono in nome proprio, ma per conto del cliente, che rimane l’unico effettivo proprietario dei beni. Al contrario di istituzioni bancarie e finanziarie che dispongono per conto proprio dei capitali dei correntisti per erogare finanziamenti. Altra caratteristica peculiare dell’attività fiduciaria è la separazione dei beni dei fiducianti da quelli della società: la legge infatti impedisce che i creditori della società fiduciaria possano rifarsi sui beni trasferiti in mandato fiduciario. Inoltre alle società fiduciarie sono inibite tutte le operazioni in assenza di totale copertura finanziaria. Questi disposti congiunti escludono pertanto l’ipotesi del 74

fallimento di una società fiduciaria. Nel caso di stato di insolvenza, infatti, le società fiduciarie sono assoggettate alla procedura di liquidazione coatta amministrativa (che si applica anche a banche, imprese di assicurazioni, cooperative, istituti per le case popolari e consorzi obbligatori).

Caratteristica principale delle società fiduciarie è che agiscono in nome proprio, ma per conto del cliente, che rimane l’unico effettivo proprietario dei beni. Al contrario di istituzioni bancarie e finanziarie che dispongono per conto proprio dei capitali dei correntisti per erogare finanziamenti Mentre però per il fallimento, l’unico presupposto oggettivo è lo stato di insolvenza, per la liquidazione coatta amministrativa possono essere previsti anche altri elementi che sono: la violazione di norme o di atti amministrativi (es: fido) e motivi di pubblico interesse che, a giudi-

zio insindacabile della Pubblica Autorità, impongano la soppressione dell’ente. In caso di procedimento coatto, inoltre, il fatto che la società fiduciaria non acquisisca la proprietà dei beni che, abbiamo detto, rimane in capo al cliente, e non vada in fallimento, è garanzia di sicurezza assoluta per il fiduciante. Abbiamo detto che il procedimento di liquidazione coatta si applica anche alle banche, ma il fatto che esse acquisiscano la proprietà degli attivi (con una serie di esclusioni), può chiaramente avere conseguenze sui capitali versati. In caso di depositi bancari (tipicamente conto corrente) per esempio, il correntista è coperto dalla garanzia del Fondo interbancario di tutela dei depositi fino a un importo massimo di 103 mila e 291,38 euro per depositante, non molto diversi sono i rischi che il cliente corre nei confronti di altri intermediari finanziari, quali Sim o Sgr (come la cronaca talvolta certifica). Perché dunque rivolgersi a una fiduciaria? Innanzitutto per un tema di riservatezza. Si tratta di un’effettiva tutela della privacy nei confronti di terzi, però, non nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Infatti, per ogni nuovo mandato ricevuto, la fiduciaria è tenuta a segnalarlo all’Anagrafe Tributaria, oltre chiaramente a dover assolvere alla funzione di sostituto d’imposta per gli attivi di cui è amministratrice nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Nel caso in cui, poi, i proventi non siano sostituibili d’imposta (per esempio su


Società fiduciarie

dividendi di partecipazione qualificata), la fiduciaria è tenuta a segnalare sul Modello 770 che il fiduciante ha ricevuto tale tipologia di provento nel rapporto fiduciario per cui l’Agenzia delle Entrate potrà procedere alle opportune verifiche. Oltre alla riservatezza, un altro plus implicito nell’amministrazione da parte di una fiduciaria è l’ottimizzazione fiscale. Mettiamo il caso del sig. Rossi che abbia un rapporto con la banca X e con la banca Y; cosa succede nel caso in cui il soggetto in questione abbia conseguito un risultato di gestione positivo con la prima banca e negativo con la seconda? Nella realtà dei fatti, le due posizioni si compensano, ma lasciando la gestione separata alle due banche, il soggetto dovrà versare le imposte nel primo caso, mentre vanterà un credito d’imposta nel secondo. Attraverso l’amministrazione di una fiduciaria invece, è possibile consolidare fiscalmente le due posizioni, evitando qualsiasi esborso: chiaramente non si tratta di elusione o evasione delle tasse, ma semplicemente di un uso razionale della norma. Sul fronte investimenti poi, le possibilità operative di una fiduciaria sono molto più ampie rispetto a quelle bancarie. Qualora infatti, io fossi interessato a crearmi un portfolio di attivi finanziari, a esempio acquistando delle sicav, rivolgendomi a una banca, avrei due limiti precisi: da un lato, la banca mi offrirà l’acquisto solo di quelle sicav che hanno un rapporto di collocamento con la stessa; dall’altro, mi venderà o collocherà solo classi retail che hanno costi di gestione e sottoscrizione molto più alti rispetto alle classi istituzionali che normalmente non prevedono commissioni di distribuzione per gli intermediari. La fiduciaria invece, non potendo avere ritorni economici da nessuna controparte, non ha alcun interesse a limitare l’universo investibile del cliente e può acquistare direttamente classi istituzionali. Di fatto quindi, con una fiduciaria, il cliente può fare le stesse cose che farebbe con un’intermediazione bancaria, di Sim o Sgr, ma a minor

costo e con maggiore scelta. Qualora poi io voglia avere accesso al mondo finanziario, nel caso in cui scegliessi un gestore professionale autorizzato, per esempio a Londra, dovrei inviargli il capitale da investire, monitorarlo sul mio Unico, procedere per ogni operazione del gestore a calcolare e autoliquidare l’imposta, complessità che il più delle volte mi faranno optare per un ritorno nel mercato domestico. Avvalendomi, invece, di una fiduciaria, potrei gestire rapporti multipli in tutto il mondo con assoluta semplicità: sarà infatti la fiduciaria ad adempiere a tutta la normativa sul monitoraggio e alla parte di sostituto d’imposta, liberandomi di qualsiasi barriera operativa. Concludendo, se proprio dovessimo indicare un difetto che affligge l’istituto fiduciario, lo individueremmo nella sua scarsa e, spesso, distorta conoscenza da parte del mercato quando invece si pone, per caratteristiche, come strumento straordinariamente efficiente ed efficace per il raggiungimento professionale di moltissimi obiettivi dei clienti. Qualche curiosità storica Il mandato fiduciario vanta il suo antenato più antico nel “fedecommesso ereditario romano”, figura nata per tutelare alcuni soggetti “deboli” (schiavi, donne, impuberi e quanti sottoposti al pater familias) che per legge non potevano ricevere beni in eredità. Intorno al 100 a.C., per raggirare questo ostacolo normativo, il fedecommesso divenne anche erede fiduciario con il compito, in assoluta segretezza, di restituire al soggetto designato, i beni ricevuti in eredità. In Italia, fu la promulgazione delle leggi razziali che impedivano agli ebrei italiani di essere proprietari di aziende o di gestire attività rilevanti, a far nascere l’esigenza di strumenti in grado di tutelare i patrimoni delle famiglie ebraiche. Ed è proprio del 1939 la prima legge sulle società fiduciarie, tuttora alla base del nostro ordinamento. | 75


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Aziende

declinanti e aziende di successo Fattori chiave in mercati globalizzati

Diminuisce la vita media delle aziende e le previsioni per il 2011 parlano di segnali di fragilità e incertezza per molte società di capitali. Come cambiare strategie e pianificazioni in questo contesto critico testo di Alberto Claudio Tremolada Customer & Supplier Relationship Manager fonderie – Consigliere e socio Adaci sez. Lombardia/Liguria (Ass. It. di Management degli Approvvigionamenti)

I dati 2010 sulle chiusure Aziendali dei Tribunali Fallimentari sono allarmanti, l’aumento medio in Italia è stato del 18%. Lo scenario per il 2011 presenta forti segnali di fragilità e incertezza: il rischio di insolvenza tra le società di capitale italiane rimarrà a livelli significativamente superiori rispetto al periodo pre-crisi, con 67,7 su 100 secondo il Cerved Group

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Risk Index (indice elaborato da Cerved Group che fornisce una misura predittiva del rischio medio di insolvenza). Il rischio che il ciclo di vita delle imprese si interrompa è alto, soprattutto in quelle famigliari che hanno dinamiche diverse dalle altre tipologie di aziende, essendo legate soprattutto alle sorti dell’imprenditore o dei suoi eredi nel caso di passaggio generazionale (meno del 15% delle imprese sopravvive alla terza generazione secondo un focus Intesa San Paolo Private Banking). Ma anche per grandi aziende, come evidenziano report editi in Usa e in Europa sulla vita delle aziende di successo (quelle che figurano tra le prime 500 nella classifica Fortune), la vita media è di diciotto anni; il 60% di quella stilata da Fortune nel 1970 non esiste più. L’incertezza dei mercati sempre più liquidi (secondo Zygmunt Bauman sociologo e filosofo polacco), appare strutturale essendo rivolta al futuro come sottolinea Peter Drucker (economista e saggista austriaco) in “The Practice of management”. L’incertezza è diventata così grande da rendere inutile la pianificazione su analisi probabilistiche. Michael Porter (accademico, economista statunitense e professore all’Harvard Business School) individua nella differenziazione uno dei vantaggi competitivi e rappresenta uno degli obiettivi della strategia. Secondo lo stesso Porter “un’impresa si differenzia dai suoi concorrenti quando fornisce qualcosa di unico, che abbia valore per i suoi acquirenti”. Henry Mintzberg (accademico Canadese studioso di scienze gestionali, ricerca operativa, organizzazione e strategia) teorizza che la strategia effettivamente realizzata è quella “emergente”, ovvero l’insieme di decisioni che i singoli manager adattano alle circostanze esterne. Le decisioni derivano dalla conoscenza e dall’esperienza; l’importanza di saperle gestire è stata messa in evidenza da Nonaka e Takeuchi nel libro intitolato “The Knowledge-Creating Company - how


Focus Azienda

Japanese Companies create the dynamics of Innovation” (ediz. 1995). Secondo il Knowledge Management, di cui Nonaka e Takeuchi sono i padri, le fondamenta sono costruire, gestire conoscenza e informazioni di valore per renderle condivise a tutta l’organizzazione, ergo uno degli intangibles asset fondamentali da non disperdere come fattore competitivo differenziante dell’organizzazione. Dalla teoria di Nonaka possiamo ricavare quattro tipologie di KM: • Kaizen, per incrementare l’efficienza nella gestione attività aziendali; • Incremento, di valore generando profitto attraverso il patrimonio conoscenza; • Concentrazione, di risorse disperse nell’organizzazione; • Unione risorse, rendere attivi gli stakeholders creando relazioni e reti. E quattro metodologie per la realizzazione: • Best practice sharing • Knowledge Network • Knowledge Asset • Knowledge Sharing

Per questo 2011 il rischio di insolvenza tra le società di capitale italiane rimarrà a livelli significativamente superiori rispetto al periodo pre-crisi, con 67,7 su 100 secondo il Cerved Group Risk Index Il ruolo della proprietà, del top management è fondamentale per lo sviluppo e l’operatività per fare in modo che sia condivisa da tutta l’organizzazione. Come disse Peter Drucker “Quando vedi un affare di successo vuol dire che qualcuno ha preso una decisione coraggiosa”. Le considerazioni valgono per tutte le dimensioni aziendali ma se vogliamo identificare fattori chiave della scarsa longevità di una piccola o media impresa dobbiamo prendere in considerazione : • Il passaggio generazionale (difficoltà, preparazione e problemi ecc.); • Distinzione fra proprietà e gestione; • Scarse deleghe strategiche/operative; • Mancanza di management nei ruoli chiave; • Ritardo con il quale l’imprenditore si

rende conto dei segnali premonitori crisi strutturale della sua azienda. Per le imprese le fasi sono nascita, sviluppo, maturità e declino (che può comportare il dover chiudere o uscire dal business); in generale quando un’impresa si trova in una fase di crisi (corrispondente a quella intermedia fra maturità e declino) decide di cambiare, ma spesso ha raggiunto un punto di potenziale irreversibilità. Se in azienda si decidesse il business change management fra le fasi sviluppo e maturità, si innesca una nuova curva di crescita, si dispone di maggiori risorse e l’appetibilità per le istituzioni del credito è maggiore, attivando un nuovo percorso di development competitive advantage. Decidere non è facile, presuppone uno spostamento paradigmatico interno dell’azienda. Durante la fase di declino anche gli indicatori economico-finanziari sono l’evidenza del non buono stato di salute aziendale. Gli elementi negativi sono sotto l’occhio di tutti: • Commitment e fidelizzazione stakeholders (anche clienti) ai minimi livelli; • Perdita immagine e reputazione sui mercati; • Caduta dei profitti; • Perdita dei collaboratori migliori (che possono fare la differenza); • Gestione quotidiana reattiva che genera muda (sprechi); • Esaurimento dei key competitive factor; • Il declino colpisce le aziende di settori che non hanno saputo cambiare rotta sotto il montare della commoditizzazione che li ha colpiti. Prendiamo come esempio alcune aziende del settore fonderie alluminio e ghisa: sono principalmente di piccole dimensioni per numero di addetti e per fatturato, a conduzione padronale. Sulla scia dei successi ottenuti quando i mercati erano locali e bastava produrre e vendere non si sono “attrezzate” per i cambiamenti. Hanno un potenziale molto alto ma sfruttato in minima parte (in tal senso basterebbero alcuni interventi mirati a costi

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minimi, sui quali non entro nel merito pur potendo dare suggerimenti). Lo dimostra il loro approccio da follower reattivi (solo in caso di crisi evidenti), capaci principalmente di attività spot sui mercati, vendita door to door, telemarketing, partecipazione a fiere. Bruciando risorse come scrive Danilo Zatta partner Simon Kucher & Partners autore del libro “Battere la crisi 33 azioni a rapido impatto per la vostra”.

Il ruolo della proprietà, del top management è fondamentale per lo sviluppo e l’operatività per fare in modo che sia condivisa da tutta l’organizzazione Senza reali benefici strutturali di lungo periodo per quanto riguarda fatturato e profitti, per loro il declino potrebbe essere una parte del prossimo futuro, se non si vorranno adattare all’idea che da soli (senza validi collaboratori anche esterni e facendo network) non possono andare molto lontano rischiando di bruciare tutto quanto costruito. In un recente workshop dal titolo “Integrare per innovare” Andrea Pontremoli (Ceo di Dallara Automobili Spa) ha evidenziato come “le aziende devono essere aperte, uniche ed avere una collocazione precisa nel mercato”. L’unicità genera stakeholders value e intangibles know how, parte degli asset fondamentali per competere nei mercati glo-calizzati liquidi. Una “Pursuit of Excellence”, per usare il

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claim del loro sito web, che per Dallara Automobili Spa significa leadership nel settore automobili da competizione difficilmente clonabile, o come Mtv Italia nell’affollato settore dei music media. Ha saputo intercettare un pubblico difficilissimo e nomade come quello dei giovani (con i quali gli approcci classici di marketing non funzionano), diventando “trendsetter” con capacità di lanciare, dettare mode e tendenze. Apple e Ducati sono esempi di altri brand, che in mercati ben più affollati e difficili di quello delle fonderie (che hanno barriere all’uscita e scarsi prodotti sostitutivi per i clienti), hanno saputo ridefinire i mercati stessi potendosi permettere di dettare “nuove regole”. Pertanto “volere è potere”. Le aziende veramente innovative che hanno saputo per tempo rivoluzionare il loro business, aprendosi all’esterno, facendo conto sui talenti (non necessariamente espressione del ramo famigliare) stanno avendo successo. Imprenditori illuminati come il mitico Adriano Olivetti e aziende best in class quali Brevini Spa, Brunello Cucinelli Spa, Elica Spa, Illy Caffè Spa, Ferrero Spa, Gromart Spa, Yoox Spa, Landi Renzo Spa, Luxottica Group Spa, Pagani Automobili Spa, Technogym Spa, Tod’s Spa, Thun Spa lo dimostrano. Award quali i Goodwin (Università di Siena), L’Imprenditore dell’Anno (Ernst & Young), Sodalitas Social (Fondazione Sodalitas) e il Great Placet o Work premiano le eccellenze Italiane. Il ciclo di vita del prodotto è assimilabile a quello aziendale. Introdotto nel 1965 da Theodore Levitt (Economista Americano e professore all’Harvard Business School) è il susseguirsi delle fasi di introduzione, crescita, maturità, declino e implica l’adozione di differenti strategie di marketing e posizionamento del prodotto. Strumento molto utile ma pericoloso se si limita la visione all’in-

terno dei mercati di riferimento. Youngme Moon (professoressa di Business Administration all’Harvard Business School) propone tre strategie per “rivoltare” il classico ciclo di vita del prodotto che è assimilabile a quello aziendale. Attraverso queste strategie è possibile riposizionarsi in modo inaspettato (interessante con trattazione approfondita dell’argomento il suo libro “Differente - Il conformismo regna ma l’eccezione domina”): Reverse positioning – Brand Capovolti Eliminando attributi e funzionalità inutili, semplificando, ma aggiungendo servizi nuovi ed inaspettati. Così è possibile riportare un prodotto-azienda ad una nuova fase di crescita. Google e Ikea un esempio. Breakaway positioning – Brand Defezionisti Uscire dalla categorizzazione cambiando la percezione degli stakeholders permette di saltare dalla maturità ad una nuova fase di crescita. Kimberly Clark (con pull-ups), Fox (con i Simpson) e Swatch (con gli orologi fashion di plastica) esempi. Stealth Positioning – Brand Defezionisti Posizionamento circospetto per associare un prodotto-azienda ad una categoria ben accolta dal mercato. Per esempio Sony, con Aibo non assimilato a robot ma a cane elettronico di compagnia. Daniel Kahneman, psicologo, vinse insieme a Vernon Smith (economista statunitense) il Premio Nobel per l’economia nel 2002 con la seguente motivazione: «Per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza». Amos Tversky, psicologo, dimostrò, tramite esperimenti, che i processi decisionali umani violavano sistematicamente alcuni principi di razionalità. Nel caso specifico posizionando e presentando un prodotto-azienda in maniera differente, ma pur sempre con stakeholders value esperienziale. Ma il Brand Diversity Management necessita di un’attenzione maniacale dei dettagli, se ci vogliamo riferire ai dettami di quanto scritto in “Selfmarketing - avere successo nell’era del mercato sociale” di Nicola Santoro e Luigi Di Salvo, che necessita di una trattazione a parte approfondita. |


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giugno - agosto 2011

I Fondi Paritetici Interprofessionali un aiuto alle imprese per la formazione I Fondi rappresentano attualmente lo strumento maggiormente utilizzato dalle imprese per poter ďŹ nanziare le iniziative formative dei propri dipendenti. Possono essere considerati la componente del “sistema nazioneâ€? che concentra le maggiori risorse ďŹ nanziarie a sostegno della formazione dei lavoratori testo di Massimo Sperlecchi 80


Formazione professionale

I Fondi Paritetici Interprofessionali nazionali per la formazione continua sono organismi di natura associativa, promossi dalle organizzazioni di rappresentanza delle Parti Sociali attraverso specifici Accordi Interconfederali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Si finanziano attraverso il trasferimento dello 0,30% del cosiddetto “contributo obbligatorio contro la disoccupazione involontaria” versato all’Inps da tutte le imprese private con dipendenti. La modalità di accesso delle imprese ai Fondi è relativamente semplice e snella. L’impresa, attraverso il Modello UNIEMENS INPS (ex DM10) sceglie a quale Fondo aderire, l’ Inps, trasferisce le risorse al Fondo da essa indicato e il Fondo, a sua volta, mette a disposizione delle imprese le risorse per finanziare gli interventi formativi tramite gli Avvisi. Nel caso in cui l’impresa non formuli alcuna preferenza, le risorse vengono invece trasferite d’ufficio, per un terzo al Ministero del Lavoro che le destina al finanziamento degli interventi ex lege 236/93 e per due terzi al Ministero dell’Economia che le destina al cofinanziamento degli interventi del FSE. I Fondi rappresentano attualmente lo strumento maggiormente utilizzato dalle imprese per poter finanziare le iniziative formative dei propri dipendenti. Nel periodo compreso tra il gennaio 2009 e il giugno 2010, i Fondi hanno infatti approvato, secondo i dati forniti dall’ISFOL nel rapporto annuale sulla formazione continua del 2011, oltre 9.800 piani formativi, a loro volta suddivisi in circa 39.500 iniziative (mediamente 4 per ogni Piano), per un totale di oltre 73 milioni di ore di formazione destinate a circa 1 milione 288 mila dipendenti appartenenti a più di 32.500 imprese. I Fondi ad oggi possono essere considerati la componente del “sistema nazione” che concentra le maggiori risorse finanziarie a sostegno della formazione dei lavoratori. L’insieme dei 18 Fondi Paritetici riconosciuti dal Ministero del Lavoro può contare, infatti, su un introito annuo che supera i 450 milioni di euro. Tale strumento viene attualmente utilizzato dal 45% delle aziende private italiane che rappresenta il 66% dei lavoratori nazionali. Il dato nasconde tuttavia una disomogeneità sia a livello territoriale che a livello di dimensioni nell’accesso delle imprese ai Fondi Interprofessionali. Al Nord si è raggiunto ormai da tempo un livello di adesione ai Fondi elevato, soprattutto per quanto riguarda le imprese medie e grandi: in alcune aree del Nord-Est sono stati raggiunti tassi di incidenza superiori all’85% difficili da superare. Al Sud una parte rilevante delle piccole e delle piccolissime imprese non sembra invece sufficientemente informata sulle opportunità offerte dai Fondi e non pare in grado di esprimere autonomamente una domanda formativa sufficientemente strutturata. Del resto è molto difficile pensare che in assenza di sostegni di tipo strategico e consulenziale possano prodursi spontaneamente quei fenomeni di aggregazione territoriale e settoriale necessari per elaborare e proporre piani formativi suscettibili di finanziamento. Ma quali iniziative formative sono state approvate e finanziate dai Fondi Interprofessionali nel corso dell’ultimo anno e mezzo in termini di contenuti, durata e modalità di realizzazione? Nel periodo compreso tra gennaio 2009 e giugno 2010, circa il 40% dei lavoratori coinvolti ha partecipato a progetti formativi

che si sono occupati del tema inerente la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Un peso altrettanto decisivo è costituito dalle iniziative finalizzate a sviluppare le abilità personali dei dipendenti. Le lingue e l’informatica hanno invece un peso trascurabile in quest’ambito, mentre crescono rispetto al passato, seppur in modo limitato, le tematiche specialistiche, legate soprattutto ai processi produttivi nei diversi settori d’ufficio e di segreteria. L’aula rappresenta ancora oggi il contesto di apprendimento maggiormente utilizzato (75%), seguita dai corsi di formazione a distanza. Un ruolo crescente sembra avere il training on the job e la rotazione programmata nelle mansioni lavorative. Per quanto riguarda la durata dei singoli moduli didattici si riscontra una forte incidenza delle iniziative molto brevi (fino ad 8 ore); in molti casi si tratta di corsi di aggiornamento o di partecipazioni a seminari ed a workshop. In ogni caso oltre la metà delle partecipazioni si realizza in percorsi che non superano le 24 ore.

Tra il gennaio 2009 e il giugno 2010, i Fondi hanno approvato oltre 9.800 piani formativi, per un totale di oltre 73 milioni di ore di formazione destinate a circa 1 milione 288 mila dipendenti appartenenti a più di 32.500 imprese La concentrazione dell’attività di formazione realizzata in tempi brevi, unita alla prevalente attività d’aula, evidenzia la natura standard della maggior parte dei progetti formativi che transitano attraverso i meccanismi della formazione finanziata. Non a caso circa l’89% di essi prevede esclusivamente attività di formazione, mentre altre tipologie di intervento hanno ancora un ruolo assai marginale. Laddove sono presenti, i servizi aggiuntivi riguardano prevalentemente la fase che precede la formazione con un particolare focus rivolto alle attività di orientamento e bilancio delle competenze. Non particolarmente incoraggiante è il dato relativo alla certificazione delle attività formative: la maggior parte delle iniziative termina con il rilascio di dispositivi di certificazione forniti direttamente dall’organismo che eroga l’intervento o senza alcuna certificazione. I percorsi formativi che si concludono con attestazioni riconosciute e rilasciate da soggetti terzi coinvolgono complessivamente circa il 20% dei partecipanti. In sintesi, sebbene tali numeri dimostrino come la formazione finanziata costituisca attualmente un’opportunità conosciuta ed assai utilizzata dalle imprese, in ottica futura, risulta necessario operare sul piano strutturale recuperando alcune direttrici che privilegino la qualità dell’intervento formativo e contemplino la facilitazione all’accesso da parte di tutte le piccole medie imprese del panorama italiano mediante la loro aggregazione, l’ampliamento delle metodologie utilizzate per il trasferimento delle conoscenze/competenze e la definizione di dispositivi per il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite direttamente sul campo formativo. |

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Guidare i creativi è impossibile? Una disciplina che affianca, fa ricerca e offre spunti ai designer: la semiotica. Come far comprendere e apprezzare i valori di un’azienda attraverso i progetti intrapresi a cura di Paola Bergamelli di Umania Prod duct design, paackagging design, experience desiggn, game design, interaction design, software design, user experience design, interface design, web design, communication design, material design, sound design, architectural design, automotive design, fashion design, furniture design, interior design, urban design, food design. Delle discipline qui sopra certamente alcune sono più conosciute di altre, tutte sono accomunate da un’idea di fondo: si parte da una necessità aziendale: serve la progettualità e la competenza per portarla avanti e occorre una buona dose di creatività che possa aggredire il foglio bianco dell’idea in sé e per sé. Ogni progetto, sia esso una sedia, un sito internet, una colonna sonora per un evento, ha lo scopo di rafforzare, rinnovare o creare l’identità dell’azienda. Per questo motivo, lavorando a ritroso, analizzando un prodotto di design possiamo capire molto dell’azienda, del mercato, del momento economico, del target e del pubblico di riferimento. Uno strumento per fare questo tipo di indagini è la semiotica, disciplina amata e odiata che divide o unisce chi l’ha sperimentata, ma che negli anni ha saputo evolversi e plasmarsi per rispondere alle esigenze che non sono più quelle di trent’anni fa, quando la domanda unica che le si proponeva era: cosa vuol dire questo oggetto? Oggi la semiotica è chiamata a rispondere a quesiti che riguardano non solo gli oggetti ma molto di più, le relazioni che questi oggetti hanno con gli utenti, al sistema che si crea partendo da queste relazioni. I risultati di tali analisi sono usate per aiutare il designer, affinché il suo non sia un puro atto creativo ma una sintesi costituita da contributi diversi e stimolanti. Il famoso semiotico Roland Barthes scriveva: “il principio attivo 82

di una forma non è quello che essa esprime, ma ciò che essa articola” gli oggetti intorno a noi ci permettono di comunicare. Gli occhiali che indossiamo, la cucina che abbiamo scelto dicono agli altri qualcosa di noi, del nostro essere e dei nostri valori. Ogni oggetto ci parla, e parla di noi per il solo fatto di averlo scelto tra molti altri. Allo stesso tempo l’oggetto parla dell’azienda, della sua identità e dei suoi valori ed è grazie alla semiotica che si possono sviscerare e analizzare. L’esperto di semiotica vede un oggetto come “contratto” come accettazione e mediazione dei valori tra l’azienda e l’utente che ne acquista i prodotti. Riportiamo ora una seconda citazione: “Un buon progetto nasce non dall’ambizione di lasciare un segno, ma dalla volontà di instaurare uno scambio, anche piccolo, con l’ignoto personaggio che userà l’oggetto da voi progettato”, è curioso pensare che non sia stata detta da un semiotico, bensì dal noto designer Achille Castiglioni e risulta quindi evidente come le connessioni tra le due discipline siano molte e di come sia indispensabile il dialogo costante. Far comprendere e apprezzare i valori di un’azienda dovrebbe essere l’obiettivo di ogni progetto che l’azienda stessa intrapren-

spremiagrumi Juicy Salif di Philippe Starck


La semiotica

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La semiotica è una disciplina amata e odiata che divide o unisce chi l’ha sperimentata, ma che negli anni ha saputo evolversi e plasmarsi per rispondere alle esigenze che non sono più quelle di trent’anni fa. Oggi la semiotica è chiamata a rispondere a quesiti che riguardano non solo gli oggetti ma molto di più, le relazioni che questi oggetti hanno con gli utenti de. E’ per questo motivo che alcune realtà come studi di architettura, di design e di comunicazione sempre più spesso fanno ricorso alla semiotica per i propri progetti. Come in Umania, dove il semiotico collabora con i progettisti, i designer e gli esperti di usabilità e i ricercatori per portare valore aggiunto: la certezza che il progetto sia capace di dire non solo “chi è” , ma che arrivi a “urlare” anche i valori aziendali. Se coinvolta in maniera costruttiva e sin dalle prime fasi del progetto, la semiotica può contribuire a fare di un progetto un

caso di successo. Tuttavia da sola non basta, occorre che gli spunti, le osservazioni e le analisi semiotiche siano integrate ad arte con altri contribuiti che arrivano da diverse competenze. In un progetto ci sono limiti tecnici che incanalano le scelte creative del designer anche se, con il passare del tempo, questi vincoli divengono più ridotti grazie all’utilizzo di una tecnologia sempre più “nano” e sempre meno invasiva rispetto all’involucro nel quale è contenuta. I creativi possono quindi azzardare scelte più ardite, sfruttare gli sti-

moli dei mondi anche lontani dall’oggetto da progettare per approdare a soluzioni geniali e inedite. Unitamente a questi piccoli o grandi, dipende dai casi, “paletti” il designer deve tenere conto anche delle scelte di marketing e comunicazione che a loro volta sono dettate dal mercato. La semiotica può quindi fungere da collante tra tutte queste necessità ed aiutare il designer a mettere ordine e gerarchia alle diverse necessità. Il futuro della disciplina è sicuramente in continuo divenire e le domande alle quali la semiotica può dare una risposta sono sempre più numerose e articolate. Per le aziende oggi diventa fondamentale distinguersi. Comunicare i propri valori in maniera chiara e concreta attraverso i propri prodotti può diventare la scelta strategica vincente e la semiotica può contribuire a tutto questo. |

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Quanto costa un kilowattora da Fukushima? Alla luce dei recenti fatti di cronaca, tra cui il terremoto in Giappone e il disastro di Fukushima, diventa ancora più importante guardare con attenzione e investire sulle fonti rinnovabili: fotovoltaico, idroelettrico ed eolico di Dario Fiorina, Energy Manager Abenergie Rinnovabili

In questo articolo vorrei analizzare alcuni punti di un discorso estremamente coraggioso e insolito, quasi “non professionale” ma molto chiaro e categorico. Plamen Dilkov, il direttore esecutivo di PVB Power Bulgaria ha “tirato le orecchie” ad alcuni rappresentanti del potere nel Paese. Ingegnere e investitore, uomo ed ecologo, Dilkov è cresciuto in Italia e nel corso degli anni è arrivato a intrecciare questi quattro mondi diversi in un’unica lega omogenea. Secondo Plamen Dikov il vero sviluppo su scala mondiale delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili, è pianificato dai governi centrali delle super potenze, per gli anni successivi al 2025. Ma il futuro non è d’accordo, si ribella ai complotti mondiali. Dopo il 2025 i grandi monopoli avranno ammortizzato per l’ennesima volta il ciclo di vita degli impianti di estrazione di carburanti fossili, le grandi lobby del nucleare potranno contare su un numero d’impianti sufficiente a giustificare i parametri finanziari con cui i grandi fondi mondiali danno loro credito e riconoscono valore aggiunto alle loro azioni. La caduta fino a qui, è garantita, anzi, si può certificarne il buono stato. È tutto qui? Davvero è solo un problema di cifre, di coefficienti, di carte, di prodotti finanziari, di rapporti geopolitici che ormai nessuno si ricorda esattamente ma in moltissimi ne godono i benefici economici, a diritto e senza averne il diritto? Il futuro nostro e dei nostri figli costa questo? Crescita continua della produzione, a cui va garantita una crescita altrettanto 84

continua di consumi, a qualsiasi prezzo, ambientale, culturale, addirittura economico? Come nel 2006, anche oggi rimaniamo convinti che il migliore megawatt prodotto, il più conveniente, sia il negawatt, cioè quello non prodotto. Un paradosso in bocca a chi produce energia per mestiere, ma ne siete davvero sicuri?

Secondo Plamen Dikov il vero sviluppo su scala mondiale delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili, è pianificato dai governi centrali delle super potenze, per gli anni successivi al 2025. Ma il futuro non è d’accordo, si ribella ai complotti mondiali L’energia non è solo indispensabile, ma è anche un fattore di sicurezza nazionale. Chi ha energia, ha l’indipendenza, può trattare da posizione di forza, ha influenza politica anche sui Paesi che lo circondano. Quindi, come per una equazione matematica, chi produce megawatt produce potere. Vero, ma in un mondo infestato appunto dai prodotti finanziari, dalle provvigioni

sulle forniture, dagli scambi politici che non si possono dichiarare, perché ignobili o addirittura vietati dalle convenzioni internazionali, è un po’ difficile razionalmente e coerentemente, sottoscrivere l’equazione. L’equazione rimane vera, ma è inaccettabile per un mondo che si professa democratico. Ma il futuro spesso non è come lo programmiamo. Lo dimostrano i fatti di Fukushima e il massacro di un popolo serio, ordinato e addirittura cultore, per carattere e per religione, della natura, come quello giapponese. Non avremmo voluto mai sentire che sarebbe potuta succedere una seconda Chernobyl. Adesso speriamo con non sia peggio di Chernobyl. Speriamo inoltre che non si rovesci qualche petroliera in mare, che nessuno incendi pozzi di petrolio e che le stazioni di rilevamento della qualità dell’aria delle metropoli mon-


Energie Rinnovabili

diali non registrino valori micidiali per la nostra salute. Il futuro viene e ci prende per le orecchie, perché lo abbiamo ipotecato. Basandoci su un’equazione matematica e qualche carta, forzata e spesso truccata, abbiamo intrapreso un modello di sviluppo industriale che professa il massimo del consumo e non l’ottimizzazione, che postula la crescita infinita invece che quella sostenibile, e non solo dal punto di vista ambientale, ma anche umano. Quale poesia intensa o vibrante potrà scrivere un giapponese sul fiore del ciliegio, oggi che una civiltà millenaria rischia il genocidio per colpa dell’atomo e della sua fusione? Rispetto ai giapponesi nel mondo della tecnologia e dell’industria di meglio in generale c’è poco, pochissimo. Quanto costa oggi e in futuro la centrale nucleare di Fukushima? Qualcuno ha aggiornato il business plan? Gli ammortamenti? Il costo di riparazione delle opere era previsto nei costi d’investimento? Chi pagherà per i prossimi secoli i processi industriali necessari per far decadere la radioattività di quanto fuoriuscito? Quanto costa veramente oggi un kilowatt prodotto dalla centrale di Fukushima? Qual è il suo tempo di ritorno? A quanto si avrebbe dovuto vendere un kilowatt prodotto da Fukushima? Forse a questo potranno rispondere solo i nostri figli. Adesso vorrei parlare delle energie da fonti rinnovabili che la natura ha generosamente predisposto in tutto il mondo e sicuramente in Europa. All’interno dei nostri confini possiamo per la prima volta partecipare a sviluppare un modello economico alternativo a quello che ci vogliono imporre i soliti noti. Acqua, vento, sole e vegetali vari sono gli stessi qui come in America

o in Germania, in Cina e in Francia. Dappertutto ci viene spiegato che le rinnovabili sono costose, un lusso. Forse sì, le cose in parte stanno così, ma solo perché non esiste un vero dibattito pubblico, non esiste una chiara e consapevole strategia da parte del mondo politico, di tutto il mondo politico. Alcuni governi, in altrettanti Paesi, stanno investendo massicciamente sullo sviluppo del proprio potenziale rinnovabile; investono nella qualità della propria aria e soprattutto nel futuro dei propri figli. L’Italia ha un potenziale rinnovabile da sfruttare, che va pianificato e condiviso. Sappiamo quanta energia servirà tra 20 o 30 anni al nostro sistema? Abbiamo contabilizzato quali sono i potenziali risparmi a seguito di maggiore efficienza degli impianti e delle nostre industrie e abitazioni? Quale sarà il modello economico nel futuro? Acqua, vento e sole non costano, a differenza di ogni altro combustibile necessario alla generazione di energia. Abbiamo contabilizzato i costi di approvvigionamento dei combustibili, la loro reperibilità sul mercato, la loro sicurezza, il loro smaltimento, gli effetti della loro combustione? Abbiamo valutato e contabilizzato lo sviluppo demografico del nostro paese, le sue peculiarità, esigenze specifiche, necessità di sviluppo in termini di infrastrutture minime, di creazione di ricchezza? Mi riferisco alla potenzialità concreta, per le municipalità, di partecipare direttamente al futuro, a generare energia dalle risorse che la natura ha generosamente messo a disposizione, affinché nessuno venga preso per le orecchie da qui a poco, grazie ad un modello di Smart-Grid come quello danese. Il giorno che verrà realmente valutato il costo di un kilowatt prodotto da rinnovabile e da convenzionale, contabilizzando tutti i fattori, anche le rinnovabili avranno una loro sostenibilità economica dignitosa, con ritorni dell’investimento calcolati su periodi brevi. Il futuro ha bussato alla nostra porta nel 1994, quando a Kyoto politici e governi illuminati crearono le basi per un progresso civile alternativo ed erede alla rivoluzione industriale ottocentesca. Con quanto sta accadendo in Giappone, oggi il futuro ha sfondato le porte: guai a non voler cogliere l’opportunità del cambiamento.Alla base dell’energia nucleare vi è un’equazione matematica. Anche alla base di quella idroelettrica, di quella fotovoltaica e di quella eolica. Stessa scienza, pari dignità. |

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Alta orologeria

Finalmente in Italia l’orologio dedicato al mondo del

Golf

Jaermann & Stübi, Timekeeper del St Andrews Links, è l’unico brand di orologi pensato e progettato per i giocatori di golf. Adesso arriva in Italia con un’esclusiva di distribuzione della maison Rusconi

sullo sfondo uno dei mitici campi da gioco del st andrews links. a sinistra il nuovo modello “hole in one” di jaermann & stübi

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L’unità di misura del tempo del golf. È Jaermann & Stübi, il primo e unico orologio al mondo studiato e realizzato appositamente per gli appassionati del green. Un orologio esclusivo, fatto a mano da esperti orologiai e per questo irripetibile, ma con l’ulteriore valore aggiunto di essere pensato per i golfisti. A sigillare il legame tra l’alta orologeria e pianeta golf c’è un elemento fondamentale: J&S è il timekeeper ufficiale del St Andrews Links. Il campo da golf più antico e prestigioso del mondo, cullato dai venti del mare del Nord, dove tante e tante volte hanno giocato e giocano i più grandi campioni di questo sport.

rapida, precisa e completamente meccanica in modo da permettere al giocatore di concentrarsi sul match. E adesso, dopo il successo riscosso nel resto d’Europa, in America e Asia, Jaermann & Stübi arriva in Italia. A partire da giugno 2011 anche per gli appassionati italiani del green sarà possibile acquistare questo prodotto innovativo, unico nel suo genere.

La particolarità di questo brand Ma cosa rende gli orologi Jaermann & Stübi così innovativi e adatti a questo sport? Un movimento meccanico a carica automatica e una complessità tecnica che incontra i più elevati standard estetici; in particolare questi orologi sono dotati di un apposito contatore dei colpi pensato per tutti coloro che amano giocare a golf. “Se fossi stato un buon giocatore - ha dichiarato Urs Jaermann, ideatore del brand - non avrei mai potuto sviluppare un orologio dedicato a questo sport. Da giocatore poco esperto mi sono ben presto reso conto di quanto contare i colpi sul green interferisca con la concentrazione”.

non è solo l’innovazione ma anche l’altissimo livello qualitativo e la cura dei dettagli. Tutti gli orologi Jaermann & Stübi sono lavorati a mano, appartengono a piccole serie

Tutti gli orologi Jaermann & Stübi comprendono oltre al contatore dei colpi per buca, molto utile durante una partita di golf; il calcolo del punteggio totale e il confronto con l’handicap possibile grazie ad una lunetta e ad un sistema ammortizzante brevettato. Tutte le informazioni vengono raccolte durante lo svolgimento della partita in maniera

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e sono numerati uno a uno L’imminente lancio nel nostro Paese, culla dello Stile, è stata una scelta naturale per un marchio come Jaermann &


Alta orologeria Stübi, come ha dichiarato lo stesso mister Jaermann. “Essere presenti in Italia per noi è fondamentale. Il mercato italiano è molto importante per tutti i produttori di orologi d’alta gamma e sono convinto che gli italiani contribuiscano in modo significativo alla determinazione dello stile nel mondo”. La particolarità di questo brand non è solo l’innovazione ma anche l’altissimo livello qualitativo e la cura dei dettagli. Tutti gli orologi Jaermann & Stübi sono lavorati a mano, appartengono a piccole serie e sono numerati uno a uno. Questo attento e minuzioso lavoro rende questi orologi tra i più ricercati ed esclusivi in Svizzera e nel resto d’Europa. Distributore ufficiale del brand in Italia è la Rusconi, maison specializzata nella commercializzazione di orologeria e gioielleria d’alta gamma. A proposito di questa partnership, in casa Jaermann sottolineano che c’è un legame solido con il distributore italiano per una ragione molto semplice: “In Rusconi non abbiamo trovato solo degli esperti di orologi, ma anche degli appassionati del green. Il nostro brand di orologi è dedicato ai golfisti e siamo lieti che i nostri partner condividano con noi questa duplice passione”. Gianluca Rusconi, amministratore delegato dell’azienda italiana, si è detto molto soddisfatto di seguire in esclusiva il lancio e la distribuzione di questo brand. “Porteremo in Italia un marchio di orologi innovativo e di alta gamma. Abbiamo scelto di curare la distribuzione di Jaermann & Stübi perché questo brand è in linea con la nostra fi losofia aziendale – ha continuato Rusconi - La lavorazione a mano e i materiali rendono ogni pezzo Jaermann & Stübi assolutamente unico. Per noi il lusso non è la moda del momento, avere quello che hanno gli altri: il lusso è esclusività.”. Insomma, J&S non un semplice orologio ma l’unione di due grandi passioni: il golf e l’alta orologeria. |

BALLESTREROS TESTIMONIAL JAERMANN & STü BI Il campione spagnolo di golf Severiano Ballestreros, morto il 7 maggio scorso, è stato per anni testimonial degli orologi Jaermann & Stübi. A 54 anni, con 87 titoli vinti di cui tre British Open e due Masters è considerato uno dei miti del mondo del golf. La collaborazione della maison svizzera con il giocatore spagnolo è arrivata fino alla creazione di una linea di orologi Jaermann & Stübi che porta il suo nome. La particolarità di questi orologi, assolutamente unici è che nascono dalla fusione delle mazze da golf con cui Ballestreros ha vinto il Chunichi Crowns Open nel 1991. Il quadrante dell’orologio e la lunetta sono in blu scuro, colore preferito dallo spagnolo, ogni orologio è numerato e porta sulla scatola l’incisione del ferro con cui è stato forgiato. Jaermann & Stübi “Seve Ballestreros” sono in edizione limitata e oltre all’elevato valore qualitativo hanno assunto un altissimo valore simbolico. il punto è che non importa sembrare una bestia prima o dopo il colpo, l’importante è la bellezza al momento dell’impatto. Seve Ballestreros www.jaermann-stuebi.com www.serafinoconsoli.it www.fasanagioielli.it www.lagioielleria.eu

Il nuovo “Hole in One” presentato a Basilea 2011 A giugno arriverà in Italia anche il nuovissimo Hole in One presentato lo scorso marzo a Basilea 2011. Il modello presenta un nuovissimo display per il conteggio del numero di colpi per buca. Questo modello, equipaggiato con la complicazione brevettata per il conteggio dei colpi, ha integrato un assorbitore d’urto come tutti gli orologi Jaermann & Stübi. Inoltre l’eleganza sportiva della nuova serie Hole in One è accentuata dalla combinazione di diversi materiali come l’acciaio con PVD e l’oro con PVD. La lunetta girevole è rivestita con una nuova ceramica ibrida. 89


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Davidoff un progetto innovativo dedicato al trade ATTESTATO ency al Tobacco Ag Internation di e n io rtecipaz attesta la pa

Mario Rossi

servanza tenuto in os al seminario ida dettate dal gruppo delle linee gu off Oettinger David

Nascono “The Exclusive Experience” e “ITA Academy”, due concept che uniscono formazione, fidelizzazione ed esperienza emozionale nella creazione di un nuovo rapporto tra brand e circuito rivendite

Enrico Della Pietà 1 Napoli, 5 giugno 201

à ico Della Piet

Enr a Davidoff Itali Brand Manager

un esempio dell’attestato di partecipazione alla ita academy rilasciato alla fine del corso

li

Un concept innovativo che punta su formazione, fidelizzazione, valore aggiunto della marca. E’ il nuovo progetto marketing & sales del mondo sigari di Davidoff in Italia, che si trasforma in una serie di eventi studiati e dedicati pricipalmente al circuito trade. Tutto questo prende il nome di “The Exclusive Experience”, l’ultimo concept-event marcato ITA (il distributore dei marchi di sigari Davidoff nel nostro Paese, ndr) che rappresenta una vera e propria “esperienza”, dal punto di vista emozionale, sensoriale e conoscitivo per scoprire in profondità cosa c’è dietro ai prodotti e ai servizi a valore aggiunto legati ai brand Davidoff sigari. Fiore all’occhiello della “Exclusive Experience” è la “ITA Academy”, una sorta di accademia formativa che si svolge durante ciascun evento e rivolta al settore trade per accrescere sempre di più la conoscenza del prodotto, al fine di migliorare il servizio di consulenza all’acquisto e l’attività di vendita consapevole nei con90

Questo format per noi rappresenta un momento importante nel dialogo con tutte le nostre rivendite. E’ importante che chi presenta sul mercato un sigaro del Gruppo Oettinger-Davidoff, ne sia un vero e proprio ambasciatore, sapendo spiegare e valorizzare ai clienti finali tutte le caratteristiche distintive dei nostri prodotti d’eccezione


Mondo Davidoff

una delle splendide location della ita academy, il centro congressi sant’agostino, all’interno di palazzo righini a fossano (cn)

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giugno - agosto 2011

Un viaggio nel Bel Paese Da marzo a settembre, “The Exclusive Experience” viaggia lungo l’Italia con una serie di tappe in alcune località d’eccezione. Ma gli eventi collegati al marchio sono molti di più e sono strutturati anche ad iniziative specifiche e accordi di partnership che consentono di creare eventi mirati tutti con il tocco di classe dei sigari Davidoff.

fronti del consumatore finale. La “ITA Academy” nasce dall’intuizione del brand manager Davidoff per l’Italia, Enrico Della Pietà, che ha voluto dare un significato ancor più importante sotto l’aspetto formativo alle attività promozionali di Davidoff rivolte agli operatori del settore: “L’Academy vuole rappresentare un momento di grande valore aggiunto - ha spiegato Enrico Della Pietà perché dà l’opportunità di conoscere davvero meglio la qualità dei nostri sigari, le differenti tipologie e l’arte della degustazione, ovviamente in chiave business to business”. L’evento “The Exclusive Experience” si chiude ogni volta con una prospettiva più emozionale che rappresenta la fi losofia “Davidoff The Good Life”, ossia il connubio ideale di un convivio tra i piaceri della tavola, del bere e di un’ottima fumata. Tutti gli ospiti, quindi, sono chiamati a un percorso di degustazione che conclude la giornata in una location d’eccezione. L’iniziativa mette a frutto anche le importanti partnership di Davidoff con l’Associazione italiana sommelier, il Gruppo Meregalli (leader in Italia nella distribuzione di vini e alcolici di alta gamma), la nostra rivista B&G - Business&Gentlemen e le location di ogni tappa. “Questo format – ha sottolineato Enrico Della Pietà – per noi rappresenta un momento importante nel dialogo con tutte le nostre rivendite. E’ importante che chi presenta sul mercato un sigaro del Gruppo Oettinger-Davidoff, ne sia un vero e proprio ambasciatore, sapendo spiegare e valorizzare ai clienti finali tutte le caratteristiche distintive dei nostri prodotti d’eccezione”. |

alcune immagini della ita academy nelle varie tappe svolte in Italia

Non ho fatto marketing. Ho solo amato i miei clienti. zino davidoff

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giugno - agosto 2011

bandiera che sventola nei mari

La

Un viaggio alla scoperta della storia di vessilli e bandiere nel mondo della nautica. Dalla prima bandiera della Marina Militare Italiana del 1861 all’emblema dello Yacht Club Italiano a cura di Roberto Magri

“La ragion d’essere di ogni bandiera, nel significato generale del termine, è quello di inviare un segnale, chiaramente visibile a distanza, allo scopo di rendere noto ad ogni osservatore che là dove la bandiera è mostrata vi è un’entità portatrice di un diritto o che un diritto vuole affermare”. Questo è “l’incipit” di un pregevole lavoro dal titolo ”Insegne, bandiere distintive e stemmi della marina in Italia” edito dalla blasonata “Rivista Marittima” e pubblicato nel 1992 a cura di Gino Galuppini e Franco Gay, alti Ufficiali della Marina Militare Italiana e apprezzati studiosi della materia. L’uso della bandiera, che all’origine 94

era più semplicemente un “vessilloide”, cioè un oggetto simbolico quali gli emblemi delle legioni romane, è piuttosto recente e si fa risalire al tempo delle crociate, da cui ebbe origine anche la frequente presenza della croce nel decorativo del vessillo. Nel medioevo, con il progressivo frazionarsi delle entità statali, che lasciavano progressivamente il posto al sistema feudale, i signori adottarono presto segni distintivi per distinguersi tra loro e per essere riconosciuti dagli altri e così nacquero le insegne che consistevano in un drappo di stoffa sul quale erano riprodotti gli stessi segni che erano presenti sugli scudi.


Nautica Story

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giugno - agosto 2011

Quadro di C.A. Lorentzen del 1809 - La battaglia di Lyndanisse

La Marina non poteva andare esente da tale fenomeno e, anzi, rappresentò l’ambito nel quale le bandiere ebbero la massima diff usione dovendo soddisfare oltre all’esigenza di rappresentare anche quella, particolarmente importante in mare, di comunicare. Fu così, quindi, che tutti gli stati sovrani e non solo, si pensi al proposito alla pirateria, trasferirono in mare gli emblemi che li contraddistinguevano in terra dando vita, da un punto di vista distintivo, alla bandiera di marina, rappresentata solitamente dalla bandiera sovrana arricchita sovente da motivi riconducibili al mondo della marineria. La bandiera più antica, ininterrottamente utilizzata almeno a far tempo dal XIII secolo, è il “Dannebrog”, la bandiera danese che la leggenda vuole essere caduta dal cielo nell’anno 1208 durante la battaglia di Felin, in Livonia, ove i danesi, tentando disperatamente di riequilibrare le sorti di una sconfitta annunciata, invocarono l’aiuto divino. La bandiera della Marina Militare Italiana, come la vediamo sostanzialmente tutt’oggi, nasce il 17 marzo 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia e la costituzione della Regia Marina Italiana. Al centro, in campo bianco, era presente lo stemma sabaudo sormontato dalla corona che, con il successivo avvento della Repubblica, si trasformerà in uno scudo sannitico con gli emblemi delle quattro repubbliche marinare, sempre sormontato da una corona. E’ curioso osservare come la marineria italiana, pur nella sostanziale uguaglianza, abbia voluto diversificare, come

Il galateo delle bandiere Probabilmente molti avranno sentito parlare di bandiera di cortesia e, altrettanto probabilmente, molti ne ignorano l’uso corretto. La bandiera di cortesia, come è intuibile, rappresenta un atto di galateo marittimo, un atto di rispetto per il paese che ospita l’imbarcazione e va armata, sulle imbarcazioni a vela, alla crocetta di dritta mentre sulle imbarcazioni a motore che non abbiano alberetto, può essere montata sull’alberetto di bompresso, in pratica, ove c’è, sulla battagliola della delfiniera: mai comunque insieme alla bandiera nazionale. La bandiera di cortesia è la bandiera nazionale dello stato ospitante – e non la bandiera della marina ospitante ove fosse differente- e va armata solo nelle acque territoriali della nazione ospitante. Quindi, Signori diportisti, di ritorno dalla Corsica e per tutto l’inverno, abbiate rispetto per il paese che vi ha ospitato ed ammainate la bandiera la quale, peraltro come tutte la bandiere compresa la bandiera nazionale, e con la sola eccezione del guidone di club che va armato in testa d’albero, va alzata alle otto di mattina e ammainata al tramonto. Il galateo navale vuole però che se in porto vi è una nave militare, ciascuno yacht debba attendere l’ammaina bandiera della nave prima di procedere al proprio. La bandiera della nazione va armata all’estrema poppa, all’asta o sul paterazzo che, nelle barche a vela, è la sartia posta a poppavia e collega la testa dell’albero con lo scafo. Nel caso si sfili una nave militare di controbordo si procederà al saluto ammainando lentamente la bandiera nazionale per tre volte e ponendo leggermente la prua al vento. Ove la bandiera fosse invergata all’asta e non sul paterazzo si procederà al saluto sfilando l’asta ad abbassando la bandiera al bordo di murata. E’ vietato salutare usando le trombe! La bandiera dell’armatore va issata alla crocetta di dritta e solo ove sia presente a bordo. Se si trova all’estero e quindi la crocetta di dritta è occupata dalla bandiera di cortesia, quella dell’armatore passerà a sinistra ovvero tornerà a dritta, sotto quella di cortesia, se a sinistra sarà armata la bandiera della nazionalità di un illustre ospite a bordo. In ogni caso è indispensabile il massimo rispetto per la bandiere e, almeno quando la barca non è frequentata, educazione vuole che la bandiera venga ripiegata e riposta con rispetto per ciò che essa rappresenta.

da sinistra a destra: bandiera navale regia marina; bandiera marina militare italiana; bandiera marina mercantile italiana

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Nautica Story

(1)

(2)

(3)

(4)

da sinistra a destra: (1) bandiera mercantile finlandese, bandiera militare finlandese; (2) bandiera mercantile danese, bandiera militare danese; (3) bandiera mercantile svedese, bandiera militare svedese; (4) bandiera mercantile norvegese, bandiera militare norvegese

accade anche per altri stati, la bandiera della Marina militare da quella commerciale e lo ha fatto con molta eleganza. Infatti nella bandiera della Marina mercantile lo scudo contenente lo stemma della Marina, e cioè gli emblemi delle quattro repubbliche marinare non è sormontato dalla corona, e l’emblema della repubblica marinara di Venezia è rappresentato dal leone di San Marco la cui zampa, in luogo di brandire la spada, significativamente poggia su di un libro.

Altri stati hanno assegnato emblemi differenti alla Marina mercantile come è il caso della Marina inglese che si differenzia, quanto per quella mercantile, dal colore rosso e dalla assenza della croce, mentre la bandiere militari di Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia, le cui tradizioni si sovrappongono ad ogni piè sospinto, si differenziano da quelle mercantili solo nella foggia. Si diceva che, specialmente sul mare, la bandiera oltre che essere emblema, cioè elemento distintivo e di riconoscimento, aveva e ha tutt’ora, anche se le moderne tecniche di comunicazione ne hanno ridotto drasticamente l’uso, funzione comunicativa. Una prima forma comunicativa è rappresentata dalla posizione della bandiera che a seconda di dove venga armata, cioè esposta, trasmette all’osservatore delle informazioni. Così, se le insegne di comando sono “a riva” sull’albero di maestra significa che a bordo vi è l’ammiraglio di squadra mentre se quella stessa insegna è armata sull’albero di trinchetto significa che a bordo, in luogo di un ammiraglio di squadra, vi è un ammiraglio di divisione.

Ma al di là del mero alfabeto, ciò che ebbe particolare importanza nel segnalamento marittimo fu l’uso di alcune lettere, da sole o in gruppo, che assunsero un particolare significato. Fra le più significative vale la pena di ricordare la arcinota bandiera gialla, lettera “Q” con la quale la nave alla fonda nell’avamporto, esaurita la quarantena, o dichiarando di esserne indenne, chiedeva di poter fare libera pratica, cioè di poter ormeggiare in banchina e ricollegarsi, per così dire, alla terra ferma. Similmente va ricordata la bandiera bianca e azzurra, la lettera “A”, con la quale viene segnalata la presenza di un sommozzatore in immersione con l’invito, quindi, di tenersi a distanza ed oggi, nella pratica subacquea, sostituita da una bandierina rossa con fascia trasversa bianca montata su galleggiante.

La bandiera oltre che essere emblema, cioè elemento distintivo e di riconoscimento, aveva e ha tutt’ora, anche se le moderne tecniche di comunicazione ne hanno ridotto drasticamente l’uso,

la radio, che ha permesso immediate comunicazioni fra navi e fra la terra e le navi, le bandiere hanno assolto ad una funzione comunicativa insostituibile. Le bandiere del codice internazionale svolgono una funzione altrettanto importante nell’ambito delle competizioni veliche dove le comunicazioni tra giuria e regatanti, e viceversa, avviene ancora attraverso l’uso del predetto codice. Non possiamo però non ricordare, in ossequio all’originale funzione dei vessilli, che la spinta iniziale nasceva dall’esigenza di riconoscere ed essere riconosciuti e pertanto non possiamo sottacere, nel mondo soprattutto diportistico, la funzione dei “guidoni sociali” che contraddistinguono le imbarcazioni armate da soci appartenenti al medesimo sodalizio. In Italia, come si è avuto modo di ricordare in altra occasione, vi sono svariati circoli velici, alcuni di grande tradizione ed altri di minor rango ma tutti destinati a promuovere la nautica da diporto. Certamente il più blasonato è rappresentato dallo Yacht Club Italiano (nell’immagine a fianco, ndr), con sede a Genova, il cui guidone sociale non fa mistero di tale appartenenza. Forse non tutti sanno che, nell’ambito dello stesso club, i soci possono essere autorizzati ad issare a riva, come si suol dire, un proprio emblema che consenta di identificarne l’armatore. |

funzione comunicativa Ma certamente la massima forma comunicativa esplicata dalle bandiere è data dal “codice internazionale delle bandiere e dei segnali nautici” riconosciuto internazionalmente, al pari delle espressioni foniche della singole lettere, dalla seconda metà del secolo XIX. Tale sistema comunicativo è stato, per molto tempo, prima cioè dell’avvento delle comunicazioni telegrafiche e soprattutto radiofoniche, l’unico sistema con il quale, a condizione di essere a portata ottica, due navi, o una nave e la costa, potessero comunicare per scambiarsi informazioni, soprattutto inerenti la navigazione.

E poi ancora la lettera “Z” che significa “richiedo rimorchio” ovvero per la flotta peschereccia “sto calando le reti”, e ancora la lettera “G” con la quale si “richiede pilota”. E si potrebbe continuare così per pressoché tutte le lettere dell’alfabeto, dei pennelli numerici e dell’intelligenza. In sostanza, prima dell’avvento del-

La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, nunzio dell’antichità Marco Tullio Cicerone

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CT 200h il lusso ibrido targato Lexus

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La nuova CT 200h della Lexus si presenta con uno stile elegante e rivoluzionario. Ciò che rende CT200h un modello decisamente fuori dal comune, è la trasmissione Full Hybrid frutto dell’unione e del funzionamento sinergico di due motori


Angolo motori

Una vettura rivoluzionaria, elegante, pensata per gli automobilisti del futuro. Stiamo parlando della nuova CT 200h, il gioiello targato Lexus, marchio prestigioso del gruppo Toyota. Dotata della tecnologia Lexus Hybrid Drive, questa berlina a 5 porte assicura prestazioni elevate associate a livelli di emissioni e consumo molto contenuti. La stile elegante della nuova CT 200h si traduce in una vettura non solo silenziosa alla guida ma anche dotata di un’estrema precisione e stabilità. Il nuovo modello uscito da casa Lexus è la perfetta sintesi tra prestazioni Full Hybrid e raffi natezza Lexus. Con l’elegante linea del tetto, l’assetto ribassato e il design innovativo che ottimizzano il flusso dell’aria intorno alla vettura, la CT 200h rappresenta gli ultimi sviluppi stilistici della fi losofia L-fi nesse. Ciò che rende CT200h un modello decisamente fuori dal comune, è la trasmissione Full Hybrid frutto dell’unione e del funzionamento sinergico di due motori. Da una parte abbiamo un motore termico, ovvero il motore benzina 1.8 VVT-i ciclo Atkinson da 99 Cv, dall’altro un potente motore elettrico da 6o KW. Quest’ultimo è in grado di supportare costantemente il motore benzina ma anche, visto il suo potenziale, di fornire trazione alla vettura in autonomia. Il motore elettrico è composto da 2 elementi principali: il primo svolge una funzione di motore vero e proprio mentre il secondo provvede alla produzione di energia (nelle fasi di ricarica) e funge anche da motorino di avviamento. Il motore elettrico è in grado di far avanzare

la CT 200h fi no a 45 km/h utilizzando solo l’energia fornita dalla batteria brida. In questa fase la vettura è estremamente silenziosa, non utilizza benzina e non produce emissioni. A velocità superiori a 45 km/h, il motore a benzina entra in funzione silenziosamente ricevendo assistenza dal motore elettrico se necessario. Grazie alla perfetta sinergia tra i due propulsori, la CT 200h off re un eccezionale comfort di guida, unitamente ad un basso livello di emissioni ed a consumi contenuti. In fase di decelerazione o di arresto, il motore a benzina si spegne, portando a zero le emissioni. Frenando o rilasciando il pedale dell’acceleratore, il sistema frenante rigenerativo incamera l’energia cinetica che su altre vetture viene dissipata sotto forma di calore. Questa viene trasformata in energia elettrica ed immagazzinata nella batteria ibrida, motivo per cui non sarà mai necessario ricaricare dall’esterno un veicolo Lexus Full Hybrid. Grazie al selettore della modalità di guida posto sulla console centrale, si può adattare CT 200h alle proprie esigenze di guida. Selezionando EV (Veicolo elettrico) il Lexus Hybrid Drive off re una guida silenziosa fi no a 45 km/h, senza usare benzina, con zero emissioni di CO2 e NOX. Per una guida fluida ed efficiente a velocità più elevate si selezionano le modalità ECO e NORMAL che utilizzano il motore a benzina integrato con la propulsione elettrica. Nelle modalità EV, ECO e NORMAL l’illuminazione della strumentazione e dell’abitacolo è di colore blu, mentre l’econometro consente di guidare in modo più efficiente.

RIVAUTO Dal 1998 Rivauto è anche concessionaria ufficiale Lexus, il marchio di lusso di Toyota, per le province di Como, Lecco e Sondrio. Entrare nel mondo Lexus significa ricevere un trattamento unico ed esclusivo, sia in termini di offerte di prodotto che di servizio. Una filosofia che Rivauto applica a 360°, studiata per rispondere a tutte le esigenze di un cliente Lexus. Con una struttura e uno staff completamente dedicati, siamo in grado di offrire ai nostri clienti Lexus la vera “Lexus Experience”: immergersi nel mondo Lexus e in tutti i vantaggi che ciò comporta per il cliente. Per Rivauto infatti, il momento dell’acquisto è solo l’inizio di un rapporto che prosegue con i servizi esclusivi della nostra concessionaria. Chilometro dopo chilometro, potete contare su assistenza, precisione e un team di tecnici altamente qualificati. Assistenza dal Lunedì al Venerdì dalle 8.00 alle 12.00 e dalle 14.00 alle 18.00. Sabato fino alle 12.00. Questi i servizi offerti: manutenzione ordinaria e straordinaria; preventivi trasparenti; servizio carrozzeria; servizio pneumatici con assetto elettronico; bollino blu; centro revisioni; sostituzione cristalli; ricambi originali; vettura di cortesia; lavaggio gratuito dopo ogni intervento. Una novità esclusiva è il servizio Pick-Up & Delivery: ritiro e consegna a domicilio della vostra Lexus per gli interventi di manutenzione ordinaria. Il servizio è gratuito.

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giugno - agosto 2011

ibrida, lo spazio a disposizione per i bagagli è paragonabile a quello di altre vetture compatte. Sotto il pianale del bagagliaio, un vano nascosto consente di sistemare anche oggetti di valore. I sedili posteriori sono ribaltabili 60/40 e possono essere completamente ripiegati per fornire uno spazio utile di 985 litri per trasportare oggetti ingombranti.

La stile elegante della nuova CT 200h si traduce in una vettura non solo silenziosa alla guida ma anche dotata Per una guida più dinamica, selezionate la modalità SPORT: CT 200h modificherà la sensibilità dell’acceleratore per un’accelerazione più reattiva, portando inoltre la potenza della batteria da 500 a 650 volt. La modalità SPORT regola anche il servosterzo elettrico e il controllo elettronico della stabilità e della trazione per una guida più stimolante. Con un sorprendente abitacolo, CT 200h fissa nuovi standard in termini di comfort e raffinatezza nel segmento delle compatte premium. I sedili anteriori sagomati assicurano un ottimo sostegno in curva, mentre la conformazione dello schienale off re più spazio

per le gambe dei passeggeri posteriori. Per assicurare un clima gradevole all’interno della vettura, l’efficiente impianto di climatizzazione di CT 200h diffonde aria pulita nell’abitacolo in modo silenzioso ed uniforme, con controlli separati della temperatura per guidatore e passeggero anteriore. CT 200h può essere equipaggiata con un impianto audio Panasonic® con 6 o 10 altoparlanti, oppure Mark Levinson® con 13 altoparlanti. L’abitacolo di CT 200h è ben rifi nito ed estremamente pratico. Grazie al posizionamento intelligente della batteria

di un’estrema precisione e stabilità. Il nuovo modello uscito da casa Lexus è la perfetta sintesi tra prestazioni Full Hybrid e raffinatezza Lexus Novità assoluta per questa categoria di vetture, CT 200h può essere equipaggiata con il sistema Pre-Crash Safety (PCS) che, di fronte a un ostacolo, allerta il guidatore e attiva il sistema di assistenza alla frenata Pre-Crash per garantire una potenza frenante supplementare. Se una collisione è giudicata inevitabile, il PCS attiva la frenata Pre-Crash per ridurre la forza d’urto e pretensiona automaticamente le cinture anteriori un attimo prima dell’impatto. |

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Angolo motori

CARATTERISTICHE TECNICHE CT 200h Dimensioni e pesi Lunghezza

mm

4320

Larghezza

mm

1765

Altezza

mm

1430/1440*

Passo

mm

2600

Capacità bagagliaio

l

275/375/985

Capacità serbatoio carburante

l

CX

0,28/0,29*

Numero posti

45 5

Massa a vuoto

kg

1370/1465

Massa complessiva

kg

1790/1845

Massa rimorchiabile

kg

-

Potenza Max kW

CV 100

136 Cilindrata

CV fiscali

19

Lexus hybrid drive

Prestazioni e consumi Velocità massima

Km/h

180

Accelerazione

0-100 Km/h

sec 10,3

Ciclo urbano

l/100km

3,7 – 4,1

Ciclo extra urbano

l/100km

3,7 – 4,0

Ciclo combinato

l/100km

3,8 – 4,1

Emissioni CO2

g/km

87 – 94

Standard emissioni inquinanti

EURO V

Corpo vettura: Sterzo Servosterzo

Elettrico, ad irrigidimento progressivo in funzione della velocità (EPS) Raggio minino di sterzata (m): 5,2

Sospensioni Anteriori

MacPherson, molle elicoidali

Posteriori

A doppio braccio oscillante

Impianto Frenante Anteriori

mm

Dischi ventilati

Posteriori

mm

Dischi solidi

Sistema fernante

ABS elettronico con EBD e BRAKE ASSIST

Ruote Cerchi in lega

15” - 16” - 17’

Pneumatici

195/65 R15 - 205/55 R16 - 215/45 R17 101


Business&Gentlemen

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giugno - agosto 2011


Turismo a cinque stelle

Africa d’ amare

Nakuru Masai Mara Amboseli Tsavo

Mombasa Chale

Un viaggio alla scoperta del Kenya: da Mombasa all’isola di Chale, passando per il Parco nazionale del Tsavo, l’Amboseli Nation Park, il lago Nakuru e la riserva del Masai Mara in collaborazione con Hotelplan Italia

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Business&Gentlemen

giugno - agosto 2011

Un modo diverso di vivere l’Africa: non più da turista ma da protagonista, vivendo emozioni veramente intense, partecipando attivamente ad un safari fotografico negli angoli più suggestivi di quel magnifico paese che è il Kenya. Per gli amanti del continente nero non c’è sensazione più forte che quella di immergersi nell’infinita varietà di colori e sorprese che la savana offre, ascoltarne i rumori, conoscerne le infinite specie di “abitanti” che la popolano! Hoteplan propone il “Safari Kusi”, di 9 giorni e 7 notti - in minibus e con autista che parla in italiano – per partire alla scoperta del magico mondo abitato da zebre, gazzelle, elefanti, leoni e leopardi. L’itinerario parte da Mombasa, seconda città del Kenya, e si snoda, successivamente, verso il Parco nazionale dello Tsavo, il cui nome deriva dal fiume che lo attraversa, parco che, con i suoi 21.812 km2, è oggi il più grande ambiente naturale del paese: suddiviso nel 1948 in orientale e occidentale, oggi viene considerato, data la sua eccezionale biodiversità, una delle riserve naturali più preziose al mondo. Quindi, ecco che il viaggio si muove verso l’Amboseli National Park, vera culla della popolazione Masai, ai piedi del monte Ki-

l’isola di Chale

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Il viaggio termina sull’isola di Chale, una baia di “borotalco” protetta dalla barriera corallina, destinata a romantiche fughe e momenti di relax e tranquillità, lontani dal frastuono: il mare dalle molteplici sfumature, la sabbia fine e la piccola foresta tropicale con all’interno un laghetto limangiaro, a circa 1.200 metri di altitudine: il parco ha un’infinita scorta d’acqua, fi ltrata attraverso migliaia di metri di roccia vulcanica dal Kilimangiaro. Ed è proprio questa ricchezza idrica il domicilio ideale per elefanti, zebre, giraffe, rinoceronti e leopardi, oltre che per una miriade di specie di uccelli. Si prosegue poi verso il lago Nakuru, a circa 190 Km dalla capitale Nairobi, per un breve safari sulle sponde del lago. Infine, dopo un lungo percorso misto di strada asfaltata e pista, si arriva alla


Turismo a cinque stelle riserva faunistica del Masai Mara. Prolungamento naturale della riserva di Serengeti in Tanzania, proprio questo è il punto più vero dove vivere da protagonisti il selvaggio Kenya: ben 320 km2 di natura che fanno di questo angolo d’Africa uno dei luoghi più suggestivi dove ammirare esemplari di fauna e sentirsi parte di un documentario, faccia a faccia con i Big Five. Dopo nove giorni trascorsi tra meravigliosi parchi e incredibili animali, non può mancare un po’ di riposo sulla piccola

ma rigogliosa isola di Chale, a circa 600 metri dalla costa kenyota. Un luogo d’incanto minuscolo, una baia di “borotalco” protetta dalla barriera corallina, destinata a romantiche fughe e momenti di relax e tranquillità, lontani dal frastuono: il mare dalle molteplici sfumature, la sabbia fine e la piccola foresta tropicale con all’interno un laghetto, renderanno proprio indimenticabile il soggiorno qui. Il TClub The Sands at Chale è un piccolo angolo d’Africa, curato veramente nei mini-

INFO UTILI SUL KENYA Capitale: Nairobi Lingue: Inglese, kiswahili; sulla costa è diff uso l’italiano. Religioni: Cristiani (60%), musulmani (10%) animisti/seguaci di religioni tradizionali (28%), altri (2%). Norme sanitarie: Non è richiesta nessuna vaccinazione. Tuttavia vi suggeriamo di sottoscrivere la polizza integrativa che prevede una copertura illimitata. Fuso orario: Il Kenya è 2 ore avanti rispetto all’Italia. Quando da noi c’è l’ora legale soltanto una.

mi dettagli: tra le altre cose, il resort dispone di un centro benessere dove, immersi in un’oasi di pace e serenità, si possono sperimentare trattamenti per rilassarsi e rinvigorire il corpo e la mente. E ancora, per gli amanti delle immersioni è a disposizione un centro diving attrezzato e all’avanguardia con istruttori qualificati. Tante le alternative tra cui un’uscita in cata-

marano, kayak, snorkeling in barca, windsurf, pesca, immersi in quello che può essere considerato un vero e proprio paradiso. Hotelplan propone il safari Kusi in abbinato ad un soggiorno al TClub The Sands at Chale (per un totale di 14 notti) con quote a persona da euro 5.360 in camera doppia con trattamento di pensione completa. |

l’Amboseli Nation Park

Valuta: La valuta locale è lo scellino keniota (Ksh). Uno scellino vale circa un centesimo di euro. Quindi: 1 Euro = 100 Ksh Documenti: Oltre al passaporto valido, occorre essere in possesso di un biglietto aereo di andata e ritorno per il Kenya, Il passaporto deve avere una validità residua di almeno sei mesi al momento della richiesta del visto. Quando andare: L’alta stagione turistica va da gennaio a febbraio, in quanto il clima - sempre caldo e umido - è considerato in questo periodo più sopportabile. Il periodo che va da giugno a settembre è considerato ‘stagione di passaggio’, in quanto ha un clima ancora piuttosto secco, mentre tra marzo e maggio (e in misura minore da ottobre a dicembre) si scatenano le piogge che, solitamente non impediscono ai turisti di compiere escursioni.

L’Africa mi toccò l’animo già durante il volo: di lassù pareva un antico letto d’umanità. E a 4000 metri di altezza, seduto sulle nubi, mi pareva d’essere un seme portato dal vento. Saul Bellow www.hotelplan.it

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B&G - Business&Gentlemen Pubblicazione trimestrale www.businessgentlemen.it Anno IV – numero 18 giugno - agosto 2011

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Direttore responsabile Mauro Milesi mauro.milesi@cobalto.it Redazione Coordinamento, redazione e contenuti web: Laura Di Teodoro laura.diteodoro@cobalto.it

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Hanno collaborato Massimo Appiotti, Marco Bolognesi, Elisabetta Casarin, Fabiano Cattaneo, Steve Crom, Sebastiano De Lorenzo, Dario Fiorina, Daniela Lussana, Renzo Maria Morresi, Alice Sofia Neri, Alessandro Rossi, Elena Sottocornola, Massimo Sperlecchi, Paola Bergamelli

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Fotografie B&G Vincenzo Lombardi, Sara Fratus Archivi fotografici Caimi Brevetti Spa, JTS, Hotelplan, Umpi, Expo 2015, Rivauto, Tenuta San Domenico Immagini uffici stampa Hoepli, UniOne, Dagcom Communication, Artemide, Ghenos, Agenzia di comunicazione Cleis Editore e Redazione Cobalto Srl via Angelo Maj, 24 - 24121 Bergamo tel. 035.226599 - fax. 035.3830350 Pubblicità Nazionale Cobalto Adv via Angelo Maj, 24 - 24121 Bergamo tel. 035.226599 - fax. 035.3830350 Stampa CPZ Spa via Landri, 37 - 24060 Costa di Mezzate (BG)

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anno IV - numero 18 | giugno - agosto 2011

Human satisfaction Pubblicità: oggi non ci sono più “clienti”, ma “persone”

Prototipi virtuali

Finalmente in Italia l’orologio dedicato al mondo del golf. Da oltre 600 anni si gioca a golf sull’Old Course del St Andrews Links. Molte straordinarie innovazioni che sono oggi alla base di questo sport, sono nate su questi mitici fairway. Questa è veramente la Casa del Golf e Jaermann & Stübi è l’official timekeeper, oltre che fornitore ufficiale. Tuttavia, non è necessario recarsi in Scozia per vivere questa esperienza. Basta uno sguardo al polso del tuo orologio Jaermann & Stübi per avere l’ora precisa, ma non solo: il numero di colpi per buca, il numero totale di colpi su 18 buche e il tuo punteggio comparato al tuo handicap. Il movimento è meccanico ed è protetto da un ammortizzatore brevettato all’interno della sofisticata cassa.

© 2011 ST ANDREWS LINKS LIMITED

www.jaermann-stuebi.com

SUPPLIER

Riventitori ufficiali Jaermann & Stübi Serafino Consoli, via Roma, 24064 Grumello del Monte (BG) – www.serafi noconsoli.it Fasana Gioielli, via Matteotti 15, 22063 Cantù (CO) – www.fasanagioielli.it La gioielleria, via Ciotti 36/40, 34072 Gradisca d’Isonzo (GO) – www.lagioielleria.eu

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale 45% - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1, DCB BERGAMO - COBALTO SRL In caso di mancato recapito inviare al CMP/CPO di BERGAMO per la restituzione al mittente che si impegna al pagamento dei resi. www.businessgentlemen.it

anno IV - numero 18 | giugno - agosto 2011 | € 5,00

Innovare con la simulazione la nuova frontiera dello sviluppo

Case history

Artemide, Caimi Brevetti, Jts, Sabaf, Qcom

Incentive

Hotelplan al servizio dei clienti business

Unified Communications

Nuove sfide: gestire in modo integrato tutti gli strumenti di comunicazione dell’impresa, dai cellulari ai social media

Protagonisti

Riccardo Ardemagni Roberto Arditti Marzio Bonferroni Paola Carniglia Marzio Dal Cin Thierry Marchal Marcello Meregalli Gianluca Moretti Enrico Pillon


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