Storia di Zenaide

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Istituto Comprensivo di Brivio Scuola Secondaria di Primo Grado

di Airuno

Classe III C a.s. 2007 - 2008


Zenaide


‌ una vita


8 marzo 1885 Questa bolla mi è stata assegnata il 9 marzo 1885, il giorno successivo alla mia nascita. Il numero inciso è il 290 e sotto c’è la data: 1885. Questa medaglia mi è stata appesa al collo dopo che mi hanno visitata i medici dell’Ospizio. E’ quasi stata una parte di me, l’ho indossata per molto tempo e ormai mi ero abituata. Anche se toglierla è stato un gran sollievo, perché mi dava molto prurito i primi tempi. Il giorno che me l’hanno tolta mi sono sentita senza una parte di me, mi sono sentita quasi vuota. Visto che sono stata abbandonata da mia madre, che avrei voluto tanto conoscere, e che non mi ha lasciato alcun segno di riconoscimento, questa bolla è l’unico ricordo dei miei primi giorni di vita. Ogni volta che la riguardo e la sfioro con le mani, sento l’odore di ospizio, i pianti, le urla, le risate e i silenzi dei bambini nelle sale dell’edificio. Ora che ci penso mi rendo conto di quanto sono stata fortunata ad essere allevata dai signori Angelo e Bambina, coloro che, nonostante tutto, considero madre e padre. Ma sto correndo troppo … Prima vi devo raccontare la storia di altre due coppie: i V. e i B.


A Mornago Dopo aver passato la prima notte di vita all’ospizio, il giorno seguente mi hanno portato in giro per l’Ospizio e ho visto tante persone: il curato che mi ha battezzato, poi il medicochirurgo che mi ha visitato ispezionandomi per benino e che mi ha giudicata sana e infine la sorvegliante che mi ha portato in Sala Balie. L’avvenimento più importante ed emozionante di questo giorno è che sono stata affidata ai miei primi allevatori: Teresa C. e Giuseppe V. Questi avevano deciso di allevare un esposto a pochi giorni di distanza dalla morte della loro figlia e probabilmente per i soldi che venivano dati loro per allevarlo. Nei periodo che ho vissuto con loro, in casa regnava un’aria triste, quasi tesa. Questo forse era dovuto alla sofferenza, alla mancanza del loro bimbo che era morto, mentre invece io ero lì. Teresa e Giuseppe quando avevo ventitré giorni mi hanno riportato all’Ospizio perché lei non aveva più latte.


A Pizzale di Voghera Vigevano 12 - 7- 1986 Stimatissimo signor Direttore Vorrà perdonare un’afflitta famiglia se volesse favorigli ad ridarli novamente indietro la nostra cara Z. Zelaide che e venuta consegnata ieri pregando di non darla a nessuno che ho io o pure il mio marito il giorno 13 o il 14 corrente sono a Milano per riceverla. Io prego ad favorirmi di mia cara Z. e se mi occore dei documenti prego alla Signoria vostra Illustrissima Ad rendersi previsati pregando di tenerla per me che mi sembra che mi manchi tutto in casa. Sui umilissimi servitori Emilia F. consorte B. Luigi

Già il giorno dopo due persone, che poi ho scoperto essere Luigi B. e sua moglie Emilia, mi sono venuti a prendere all’Ospizio e mi hanno portato a Pizzale di Voghera. Lì ho fatto subito amicizia con i miei due nuovi fratelli: Tommaso e Fiuravanti, di 12 e 6 anni. Mi sono fatta voler bene e anche loro erano gentili con me e mi facevano sentire una di famiglia, ma dopo più di un anno, i B., non so per quale motivo, mi riportarono all’Ospizio. Sono rimasta delusa da quel gesto, con loro stavo veramente bene. Ho saputo che l’Emilia si era pentita e ha chiesto di riavermi perché le mancavo, ma questo non è stato possibile.


Angelo e Bambina Era passata una notte da quando i B. mi avevano riportato in Ospizio e il 14 luglio 1886 un signore dall’aspetto dolce e tranquillo, accompagnato dalla moglie, era venuto a prendermi. Era una giornata estiva molto calda, il cielo era limpido, l’aria pesante dell’estate entrava in tutte le stanze dell’edificio. Angelo e Bambina appena mi hanno vista mi hanno fatto un gran sorriso, loro erano sposati da poco e, come sposini, erano molto felici. Anche se io non capivo tanto perché ero piccola, l’Angelo mi ha detto che era originario di Calco e la Bambina di Olgiate due paesini immersi nella natura delle colline lecchesi. Dopo essersi sposati erano andati a vivere ad Airuno, un piccolo paese di contadini che ora mi aspettava.


Ad Airuno

Sono partita con il treno da Milano con l’Angelo e la Bambina siamo arrivati ad Airuno che era ancora chiaro. Sul treno mi piaceva sentire il fischio che sembrava mi dicesse “Ciao, Ciao” e vedevo il verde delle colline che mi dava un senso di gioia. Gli abitanti di quel paese sono stati molto accoglienti nel miei confronti, anche se non mi avevano mai vista. Lì ci sono poche case, però la mia, per me, resterà sempre la più bella. In questo piccolo paese di contadini e filatrici si conoscevano tutti e non ci si poteva mai annoiare. Con le vicine la Bambina ci parlava poco, quel poco, però, mi bastava per avere un po’ di svago con le loro figlie. Alla domenica, quando si andava in chiesa ci si ritrovava tutti lungo la strada e insieme si andava in chiesa per la S. Messa mattutina. In estate, la domenica pomeriggio, quando non c’era da lavorare nei campi io e le mie amiche andavamo a giocare lungo il Torrente Tolsera che attraversa il paese. Ci divertivamo un mondo a bagnarci i piedi e a spruzzarci.


crescevo Fin da quando ero piccola tutte le sere d’inverno mi recavo nella stalla con la Bambina e le nostre vicine: la Maria, l’Angela, la Regina e le loro figlie, che abitavano nel nostro stesso cortile. Andavamo a recitare il rosario. Il mio era di colore bianco, me l’hanno regalato per la Prima Comunione. Apparteneva alla mamma della Bambina, perciò lo conservo con molta cura. Alcune volte anch’io pregavo insieme a loro, ma altre volte giocavo con la Petronilla, l’Enrichetta e la Ida. Costruivamo bambole con gli stracci, o giocavamo con i sassi oppure a nasconderci o a rincorrerci senza fare troppo rumore, perché gli adulti non volevano. Finito il rosario andavamo a casa, ma prima le donne chiacchieravano un po’ tra di loro. Io e la Bambina eravamo molto credenti e alla sera non ci siamo mai dimenticate di recarci a pregare. Ricordo gli ultimi giorni prima che nascesse il Giuseppe, quando io e la Bambina ci recavamo nella stalla e lei aveva il pancione.


La scuola Era il 27 giugno 1895 e la scuola era finita da pochi giorni; mi mancavano molto i miei compagni di classe e il mio maestro. Verso mezzogiorno ci siamo dirette verso casa dopo il lavoro nei campi e, dopo esserci rinfrescate e pettinate siamo uscite. Chiesi alla Bambina dove eravamo dirette, lei mi rispose “Ma hai perso la memoria?” Era vero! Dovevamo andare a prendere la mia ultima pagella. Durante il viaggio la Bambina mi diede la mano, io gliela stringevo forte perché ero molto agitata: avevo paura dei voti finali, anche se sapevo che avevo dato tutto ciò che potevo. Quando siamo arrivati a scuola ho incontrato tutti i miei compagni con le pagelle in mano. Come siamo arrivati in classe, abbiamo visto il maestro con le pagelle in mano. La Bambina chiese. “Buongiorno, mi può dare la pagella della Zenaide?”, il maestro le diede la pagella e mi salutò affettuosamente. Appena uscite da scuola la Bambina mi disse: “Allora, la guardiamo o no?” io annuii perché dalla bocca non mi usciva nessun suono. Quando ho visto il sorriso della Bambina mi si è allargato il cuore, mi è tornata la voce e le ho detto che, nonostante due voti non fossero tanto belli (in aritmetica e in storia diritti e nazioni), ero soddisfatta. L’unica cosa che mi dispiaceva era che avevo finito di andare a scuola perché dovevo cominciare a lavorare.


La malattia L’autunno dello stesso anno, il 3 ottobre, la Bambina e l’Angelo mi hanno riportata all’Ospizio perché da un po’ non mi sentivo bene. Lì mi hanno curata, non si stava tanto male. Tutte le mattine mi alzavo all’alba e andavo a pregare, ricordando con nostalgia di quando andavo nella stalla assieme alla mamma, finito di pregare facevo vari lavori, come cucire. Al mattino e prima di mangiare i dottori mi davano delle medicine che avevano un cattivo sapore. Alla sera si dormiva nei dormitori, facevo fatica ad addormentarmi perché pensavo ai miei fratelli, Peppino e Pietro, alla Bambina e all’Angelo.


La filanda All’età di undici anni ho iniziato a lavorare ad Airuno nello stabilimento Albini; eravamo in tanti tra cui donne, bambine e solamente un uomo. Il primo giorno ero impaurita, sperduta, inesperta e un po’ impacciata, ma sapevo che mi dovevo abituare subito. Il mio lavoro era l’incannatrice, per cui servivano mani delicate e molta sensibilità nelle dita. Alla mattina mi alzavo alle cinque e con due mie compagne, che abitavano vicino a me, ci recavamo in Filanda. Le ore di lavoro dipendevano dalla durata del sole nell’arco della giornata: in estate iniziavamo prima e finivamo tardi sfruttando la luce; mentre in inverno, visto che lavoravamo con le lucerne, incominciavamo verso le sette e mezza e finivamo verso le cinque. Dopo il lavoro in filanda spesso dovevo aiutare i miei genitori nei campi . La “divisa” in filanda era uguale per tutti: un fazzoletto da mettere in testa e un grembiule, entrambi bianchi. In filanda ho conosciuto delle ragazze provenienti da paesi vicini (Brivio e Calco), ma la maggior parte le conoscevo già perché erano di Airuno.


L’“assistenta” e la maestra

Al lavoro dovevo fare i conti con l’“assistenta”, Francesca Alberio, che girava con un bastoncino e lo usava per “sgridarci” quando magari chiacchieravamo tra di noi. Il padrone ci osservava dall’alto e ci fischiava per farci smettere quando in coro cantavano. Non ero la più piccola, c’erano anche altre bambine più piccole di me, e se avevamo bisogno di una mano l’unica che sapeva darcela e che ci comprendeva era la maestra, Felicita Bonfanti, che era sempre a disposizione di tutti.


La paga! L’avvenimento più bello che ricordo di aver passato in filanda era quando era quando ho portato a casa alla Bambina per la prima volta la paga che era di 55 centesimi. Ero orgogliosa perché me li ero meritati; quel giorno fui felicissima e quei soldi li ho usati anche per comprarmi dei nuovi zoccoli, perché quelli che indossavo si erano ormai rotti.


Il premio di 20 lire A quindici anni il sindaco ha comunicato a me e alla mia famiglia che avrei potuto ricevere un premio se avessi scritto una lettera da mandare all’Ospizio di Milano, per dimostrare di avere ricevuto una buona istruzione e un buon allevamento. Al mattino, appena svegliata, ho indossato il vestito della festa e, dopo aver terminato di prepararmi, mi sono avviata per andare in Municipio con la Bambina. Sapevo di dover stare calma, ma allo stesso tempo avevo la consapevolezza di non dover fare errori di ortografia, di scrivere tutto ordinatamente e sotto dettatura del signor Sindaco, il signor Pizzagalli: un uomo che avevo visto qualche volta in giro per il paese, serio, ben vestito e che parlava spesso in italiano: io avevo paura di fare brutta figura.


La mia richiesta Nonostante tutta la mia buona volontà, mentre scrivevo, non riuscivo a stare tranquilla: tremavo!. Appena ho finito di scrivere mi sentivo più leggera e soddisfatta di me, infatti ho fatto un buon lavoro. Ho ricevuto addirittura i complimenti del signor Sindaco che, molto sorridente, mi ha detto: “Brava tusa!”. Qualche giorno dopo ho ricevuto dall’Ospizio il premio di buona istruzione e di buon allevamento di 20 lire!


Alessandro Io e Alessandro Rocca ci siamo conosciuti attraverso la sensale, una signora che trova marito alle giovani. Di lui mi ha colpito il suo sguardo e il sorriso, abbiamo cominciato a parlare e da quel momento non ci siamo più lasciati, infatti conoscendolo bene ho capito che lui era l’uomo della mia vita. Oggi, 8 mggio 1909, non ho dormito tutta la notte dall’agitazione perché mi devo sposare domani mattina. Mi sono svegliata presto e ho fatto colazione in fretta, poi, con l’aiuto di Bambina, mi sono vestita per la cerimonia: una camicia bianca e una gonna nera. La camicia era ricamata sul colletto e sui polsini, in più avevo degli zoccoli nuovi. Tutti, nel tragitto da casa mia alla chiesa parrocchiale, mi hanno fatto gli auguri e i complimenti per il vestito.


Sposa! La chiesa di Airuno era illuminata dal sole splendente di maggio ed io ero molto emozionata. Stavo per entrare in chiesa! Ho chiuso gli occhi e ho tirato un gran respiro. La cerimonia è durata più di un’ora, ma a me sono sembrati pochi minuti. I nostri testimoni sono stati P. Giovanni e B. Angela. Alla fine della cerimonia, ricevuti gli auguri di parenti e conoscenti abbiamo festeggiato con un bicchiere di vino questo evento. A brindare con noi c’erano e miei testimoni e i miei allevatori. A questo punto mi sono avviata con Alessandro verso la nostra nuova casa a Santa Maria Hoè.


La dote di 100 lire Subito dopo il matrimonio ho fatto richiesta all’Ospizio di avere la dote, poco tempo dopo ho ricevuto 100 Lire. Sono stata molto contenta, non me l’aspettavo, anche Alessandro era soddisfatto, mi propose di comperare con quei soldi dei mobili per la nostra casa. Io, però, ero convinta che ne avessimo a sufficienza, quindi decisi di comprare delle coperte calde e resistenti. Il resto dei soldi li mettemmo via per il futuro.


La guerra Era una giornata di sole quando a casa di nostro padre arrivarono due cartoline precetto indirizzate ai miei fratelli Pietro e Peppino. Esse chiedevano che i miei fratelli andassero in guerra: Peppino, il piĂš piccolo, aveva pianto tutto il giorno, invece Pietro aveva paura di non tornare mai piĂš. Il giorno dopo, preparata la valigia con pochi vestiti e oggetti, partirono, questa volta piangevamo tutti. Pochi mesi dopo ricevetti un paio di lettere di Pietro e Peppino. Nelle lettere descrivevano la loro vita al fronte, la mancanza di igiene, la sporcizia, la fatica, la scarsitĂ di cibo.


I lutti Nel 1917 ho ricevuto la notizia che mio fratello Pietro era morto. All’inizio non ci credevo, mi sembrava impossibile non vederlo più tornare a casa in licenza. Molto spesso mi chiedevo quando sarebbe finita questa guerra, pareva non terminare mai! Io non sopportavo questo dispendio di vite, tutti quei ragazzi, i padri, i figli, i mariti che andavano a morire al fronte o fatti prigionieri non tornavano più a casa. Nel 1919 è morto anche mio fratello Peppino al quale ero molto legata: lui era attaccato a me, soprattutto dopo la morte della Bambina, mi considerava quasi una seconda madre. Ha sofferto di più rispetto a Pietro, dopo una ferita alla gamba in guerra, il dolore lo consumava ogni giorno di più. La morte dei miei fratelli è stato un dolore immenso. Loro sapevano che per me erano un punto di riferimento e io per loro. La loro morte è stata per me come sentirmi mancare la terra sotto i piedi, come se l’essere al mondo non avesse più senso. Avrei voluto urlare dall’alto delle nostre montagne affinché la mia voce, più vicina al Cielo, potesse avere una risposta. Ma non avrebbe risposto più nessuno, era il vuoto.


‌ ma la vita continua


Chi Siamo? Siamo una classe della scuola Secondaria di Primo Grado di Airuno, un paesino della provincia di Lecco che è situato lungo il corso del fiume Adda. In classe seconda abbiamo approfondito a livello multidisciplinare il tema del lavoro minorile in Brianza (abbiamo imparato i canti delle filande, allevato bachi da seta, conosciuto le leggi ottocentesche che regolavano il lavoro dei fanciulli, ecc). Su questo tema è stato costruito uno spettacolo teatrale da noi scritto e interpretato con l’aiuto di un attore professionista, Michele Fiocchi. In classe terza, la nostra insegnante di lettere ci ha proposto un laboratorio in cui si lavorava con materiale d’Archivio, sia fornito dalla professoressa sia trovato “rovistando” negli Archivi locali. Il fine era di scrivere creativamente la storia di un personaggio realmente vissuto partendo da documenti cartacei e non. Questo è il risultato, noi siamo ormai alla fine di questa scuola, speriamo che altri continuino il nostro lavoro!


Materiale Utilizzato Le immagini raffigurano documenti o fotografie di personaggi e luoghi di questa ricostruzione Siamo partiti da documenti presenti nell’Archivio Comunale di Airuno relativi alle aziende tessili presenti sul territorio alla fine dell’800 (foto n. 11- 13 – 14). Quindi, incuriositi da una delle piccole lavoranti, abbiamo richiesto il suo fascicolo personale conservato nell’Archivio storico della Provincia di Milano e facente parte del fondo relativo all’Istituto degli esposti e delle partorienti (foto n. 5 – 6 – 16). Questo fascicolo ci ha permesso di conoscere nomi, date e luoghi che ci hanno guidato nella ricerca presso l’Archivio Parrocchiale di Airuno (foto n. 18). Non abbiamo trascurato di visitare i cimiteri di Airuno e dei paesi limitrofi per cercare di dare un volto ai nostri personaggi (foto n. 7 – 15 – 21). A volte ci siamo riusciti, ma il grande rimpianto è, senza dubbio, quello di non aver potuto “vedere” Zenaide, la nostra eroina! Di alcuni momenti della vita di Zenaide, ad esempio la scuola e le vicende che hanno coinvolto i “fratelli”, non abbiamo potuto trovare documenti. Abbiamo quindi scelto di avvalerci di testimonianze indirette, ad esempio la pagella scolastica di un alunno della scuola elementare di Airuno negli ultimi anni dell’800 e le lettere autentiche di soldati airunesi della Prima Guerra Mondiale. Presa visione dei materiali, abbiamo creato degli “autentici-falsi” cercando di essere il più verosimili possibile (foto n. 10 – 20). La “bolla” è stata riprodotta seguendo la descrizione della dott.ssa Reggiani, archivista presso l’Archivio storico della Provincia di Milano. Infine, nonostante il centro storico di Airuno sia stato mantenuto, per fortuna, abbastanza integro, non abbiamo ritrovato, tranne in qualche caso, i luoghi della vita quotidiana di Zenaide (foto n. 8 – 9 - 17). Siamo riusciti ad illuminare una parte della vita di una persona che era sprofondata nel buio del passato, ma la sua vita di adulta rimane, per noi, un mistero: la ricerca continua…


Ringraziamenti Ad Airuno il signor Angelo Tavola, il parroco di Airuno don Antonio Cogliati, il signor Pier Angelo Tagliabue, il signor Enrico Panzeri, la signora Rita Mauri A Milano la dott.ssa Flores Reggiani, l’avv. Alberto Zoia, la dott.ssa Stefania Del Nero


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