Bonsai & Suiseki magazine - Settembre - Ottobre 2013

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BSM ‐ Anno V n. 2 ‐ Settembre/Ottobre 2013

CONTRIBUTORS Giacomo Bellini, Fabio Canneta, Antonio Chicca, Armando Dal Col, Gian Luigi Enny, Hiroharu Kobayashi, Daniela Schifano, Umberto Scognamiglio, Anna Lisa Somma, Andrea Valori

IN COLLABORAZIONE CON

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BONSATIREGGIANDO

1

1

2

3

3

4


SOMMARIO

EDITORIALE

8

Antonio Ricchiari Editoriale

24

SECRET WORLD

10

Fabio Canneta Testimoni del tempo

DAL MONDO DI

BSM

18

Gian Luigi Enny La quiete e la serenità

24

Daniela Schifano Il perché di un premio

30

Carlo Scafuri Tiberio Gracco. Talento Italiano 2013

10 18

BONSAI‐DO: PRATICA E SAPERE

36

Massimo Bandera Il bosco

IN LIBRERIA

43

Antonio Ricchiari Preghiere Bonsai

36 30


SOMMARIO

LA MIA ESPERIENZA

44 52 56

Giacomo Bellini Fukushima. Il vecchio saggio

75

Andrea Valori Far di necessità virtù...

9

Armando Dal Col Medusa

A LEZIONE DI SUISEKI

& CO.

62

Luciana Queirolo Dobutsu‐seki e Sugata‐ishi, le "pietre in movimento"

1

73

Sergio Bassi Da che parte guardi (il mondo) tutto dipende...

1

L'OPINIONE DI...

75

62 56

Giuseppe Monteleone Armando Dal Col

BSM AWARD

84

Antonio Chicca La dama antica

84 44


SOMMARIO

OGGI PARLIAMO DI...

92

Antonio Acampora L'esposizione del bonsai ‐ I parte ‐

DALLE PAGINE DI

98

108

BONSAI&NEWS

Hiroharu Kobayashi Non solo fiori

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

105

Anna Lisa Somma Se una notte d'inverno un gatto narratore...

106

Hitoshi Shirota Hitoshi's World

L'ESSENZA DEL MESE

108

52 98

Umberto Scognamiglio Kuromatsu. Il pino nero giapponese

105 92



I

recenti accadimenti che hanno provocato quei disa‐ strosi movimento tellurici, offrono lo spunto per alcune riflessioni, alcune amare, che riguardano il genere umano. Sembra che il nostro pianeta si voglia riscattare e colpire l’uomo, responsabile di avere trascurato e violato la propria terra a vantaggio dei propri interessi materiali. Di tutto ciò ne paga il conto, come sempre, la gente co‐ mune, il patrimonio artistico e naturale. Sì, perché la natura costituisce un bene talmente prezioso e incommensurabile che una classe politica stolta e igno‐ rante non ha saputo e voluto valutare. E noi, che amiamo i bonsai e le pietre che la natura stessa forgia e ci regala, sappiamo quanto sia complesso e lungo nel tempo il processo di ripopolazione e rifacimento della flora e del paesaggio in generale. Sentiamo forte l’urlo di una natura che mostrando la sua presenza e la sua potenza attraverso tragiche mani‐ festazioni in terra, in acqua e nell’aria, è come se volesse attirare l’attenzione degli uomini distratti da ben altro. Ci viene in mente uno dei tanti problemi costituiti dalla deforestazione che spesso si accompagna alla de‐ sertificazione e che vede come attore principale l’onnipo‐ tente albero. Per noi, gli alberi sono forti simboli di longevità e di vita, oltre che di rinnovamento. Gli alberi sempreverdi simboleggiano l’immortalità perché sembra‐ no non dovere perdere mai le foglie, anche se in realtà le cambiano in continuazione, perdendo gli aghi e sosti‐ tuendoli con i nuovi. Gli alberi decidui spesso sono il simbolo della rinascita per questo perdere le foglie e rinnovarle in primavera. I semi ed i frutti degli alberi rappresentano la fertilità e anche l’immortalità. Gli alberi sono simbolo dell’inscindibile legame fra la vita e la morta. Gli alberi sono uno dei tanti specchi usati dall’uo‐ mo per meglio comprendere se stesso. La letteratura, la poesia, le arti visive, i film sono pieni di immagini di alberi e foreste, grazie alla loro ubiquità e alla capacità di rappresentare i nostri bisogni e la nostra complessità psicologica. Gli alberi possono sembrare fragili ma posso‐ no mostrare una forza notevole grazie alla loro resilienza, l’abilità di persistere all’intrusione o al disturbo da parte di forse esterne. Noi stessi siamo esempio di forza ed al contempo di fragilità simile agli alberi. Gli alberi possono essere incredibilmente dinami‐ ci, i loro rami si spezzano ed i tronchi cadono, scivolando lungo i fiumi per poi fare entrare i loro elementi nutritivi nel circolo dell’ecosistema, trasformandoli in abitanti mo‐ bili delle foreste. Gli alberi simboleggiano le cose dell’espressione umana. © RIPRODUZIONE RISERVATA


di Fabio CANNETA


Testimoni del tempo aggrappati con ostinazione alla nuda roccia sembra vogliano prendere il volo per farsi cullare dal vento intriso di neve. Il morso del gelo che ha fatto cadere il fitto manto di foglie rivela allo sguardo segni furtivi tracciati nell’ombra da animali in cerca della tana.



Questo danzare di nebbie trasforma i pieni in vuoti lasciando intravedere un fremito una piccola briciola del tutto e quel nulla diviene forma compiuta. Quando il tuo sguardo coglierà queste emozioni contemplando i miei piccoli alberi saprò che il mio cammino non si è fermato. Quante volte i tuoi occhi hanno goduto di queste balze scoscese cosi care e familiari. Quante volte il tuo sguardo ha tentato di penetrare le nebbie della montagna.


Tutte le volte del mondo con gli occhi del tempo passato e di quello a venire fin dove le nebbie sfiorano l’infinito.


Quante volte hai ascoltato il silenzio ovattato della neve sui rami.


A Paola...





L

a maggior parte dei giardini giapponesi, che come le case tendono ad essere piccoli, spesso sono racchiusi in una cornice che fa da re‐ cinzioni: i maestri giardinieri durante la realizzazione cercano con dei trucchi pro‐ spettici di creare un'atmosfera di calma e di quiete, creando una divisione marcata tra il mondo caotico della città e il mondo del giardino. Il giardi‐ no in oriente viene infatti considerato un mondo a parte rispetto a ciò che avviene all'esterno ed è filtrato da un muro oppure da una re‐ cinzione costituita o da una siepe o da un intreccio di bambù che, da un lato richia‐ ma con i suoi disegni il conte‐ nuto della filosofia orientale e dall'altra lascia passare lo sguardo attraverso le maglie. Il giardino è visto nell’immaginario collettivo come un atollo e i grandi


1. Piccolo giardino all'ingresso di una casa 2. Recinzione in bambù 3, 4. Isole simboliche con onde formate dalla ghiaia

4 1. Piccolo giardino all’ingresso di casa ‐ 2. Recinzione in bambù ‐ 3.‐ 4. Isole simboliche con onde formate dalla ghiaia


5. Veranda di una casa giapponese affacciata sul classico giardino

5 massi sono isole in un mare di ghiaia circondato dalla vegeta‐ zione disposta in modo sparpa‐ gliato sino a formare una specie di scenografia. La disposizione delle pietre e degli arbusti deve sempre essere collocata in modo asimmetrica, come a ricordare la casualità della natura, ed è pro‐ prio questa composizione ri‐ cercata dal maestro giardiniere che induce l’osservatore a un vi‐ sione di pace e serenità. Nella tradizione nippo‐ nica uno dei principali legami tra giardino e casa è la veranda, essa ha la funzione principale di servire da accesso che va dalla casa al giardino e viceversa e, di creare una continuità tra gli spa‐ zi interni e quelli esterni, poiché ha una copertura dunque è interno, ma non ha parete e dunque è esterno. Questo modo di os‐ servare il giardino è tipico nel paese nipponico, pur rimanendo al coperto esiste la possibilità di rilassarsi e di godere delle bellezze naturali. I sentieri, oltre a guidare i movimenti all'interno del giardino, sono intesi a indi‐ rizzare i sensi e la mente, essi sono infatti utilizzati con effetti significativi: quelli diritti condu‐ cono l'occhio lungo il percorso fino alla fine, attirando chi

guarda a una camminata imma‐ ginaria per raggiungere il culmi‐ ne del percorso che può essere un'entrata o il bacino di un la‐ ghetto, mentre quelli sinuosi la‐ sciano l’osservatore a fantasticare cosa ci sarà oltre. Un'altra attrattiva che porta l’osservatore alla ricerca della quiete è il giardino zen, che, all'interno del suo spazio sviluppa un richiamo filosofico di ciò che avviene all'esterno, come già detto precedente‐ mente, le rocce rappresentano isole circondate dalle onde del mare, reso verosimile dalla ghia‐ ia rastrellata in modo da formare un sottile disegno di onde mari‐ ne che si infrangono contro gli scogli. L'uso della ghiaia per simboleggiare l'acqua è propria dell'estetica Zen che, distilla gli elementi fino a minimizzarli alla loro essenza, incoraggiando in questo modo chi osserva a libe‐ rarsi dai limiti della realtà e dell'apparenza fisica per guidare la mente verso uno stato concettuale dove la meditazione e la contemplazione fluiscano indisturbate, rilasciando nell’animo una quiete profonda.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


6. Tipico giardino zen in stile Karesansui per meditare e rilassare la mente


Febbraio 2013 III Kokoro�no Bonsai Ten Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggio di Geppino Mauriello Origine : Liguria



I

premi, alle mostre, non mancano. Ogni club orga‐ nizzatore mette sempre a disposizione numerosi rico‐ noscimenti, al fine di gratificare i partecipanti ed anche, purtroppo, assicurarsi sia un buon numero che una buona qualità nelle esposizioni. La questione è molto di‐ battuta e non sta a me dare una risposta: senza l’assegnazio‐ ne di premi avremmo lo stesso numero di partecipanti? Ovviamente sì, mi piace pensare… ma in attesa di una manifestazione senza premi e senza antagonismi, dove il commento di un esperto possa aiutarci a capire pregi e di‐ fetti, dove il confronto diventi momento di riflessione da‐ vanti ad un bonsai o ad un suiseki, nel frattempo, quindi, e sperando di non attendere troppo, anche Italiansuiseki ha deciso di inaugurare una ‘buona abitudine’, quella di offrire un riconoscimento a quegli appassionati, che impegnandosi nelle mostre amatoriali propongano un suiseki esteticamente valido e contemporaneamente ben esposto.

Ma chi è oppure cos’è Italiansuiseki ? E’ un sito web, nato dal desiderio di alcuni amici di dare uno spazio ai suiseki, cioè a quelle pietre che rispettano i principi della tradizione giapponese. Lungi da me fare da queste righe una lezione, mi basta ricordare che molte culture orientali perseguono l’arte dell’apprezzamento delle pietre, ognuna con modalità proprie e con terminologie diverse. Così in Corea si parlerà di suseok, in Cina di Gongshi, in Giappone di… suiseki. Noi occidentali ci siamo avvicinati alle pietre con entusiasmo ed in tempi recenti, e se 20, 30 anni fa gli esempi erano pochi e si riferivano soprattutto al Giappone, adesso il mondo allargato del web mette a disposizione de‐ gli amatori, a livello teorico e pratico, pietre cinesi, coreane, americane, italiane, in un grande minestrone culturale. Così, può passare il concetto che le pietre possono essere tagliate, poiché negli Usa non è da considerare come un difetto, oppure ammirando una pietra cinese ci può co‐

Dal sito www.italiansuiseki.it tre pietre delle collezione degli amici di Italiansuiseki: ∙ Taki‐ishi ‐ Pietra castata (Lorenzo Sonzini)

∙ Dobutsu‐seki ‐ Pietra a forma animale (Daniela Schifano) ∙ Toyama‐ishi ‐ Pietra montagna (Felice Colombari)


Ottobre 2012 V Mostra Autunnale "Città dei Ragazzi" Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggio “Magia a Sesel” di Laura Monni Origine: Liguria

gliere il dubbio che la sua forma non sia naturale, perché nella Ci‐ na tradizionale lavorare la forma di una pietra serviva ad “aiutare lo spirito della pietra a esprimersi compiutamente”. Ho fatto solo due piccoli esempi, ma pensiamo anche ai tanti tipi geologici che il mondo naturale mette a disposizione. Non si tratta di dare un giudizio di merito, perché tutte le pietre sono da apprezzare, ma collocandole nella loro cultura di origine e comprendendo fino in fondo le tante differenze che le caratte‐ rizzano, dalla forma al colore, senza dimenticare le modalità di presentazione. In attesa che l’occidente sviluppi una propria personale vi‐ sione dell’arte dell’apprezzamento delle pietre, noi possiamo solo imparare a comprendere e a differenziare tra loro le proposte che provengono dall’Oriente. Tra queste, il suiseki giapponese è quello che per primo abbiamo

acquisito e sul quale sono impo‐ state le nostre imperfette cono‐ scenze. Il primo libro sull’argomento fu il famoso Co‐ vello‐ Yoshimura “The Japanese Art of Stone Appreciation”, che ci ha introdotto a termini come classificazione, durezza, patina, coltivazione, wabi, sabi, yugen, shibui, tokonoma, daiza. L’approfondimento di questi argomenti apre un mondo complesso, dove tutto ha una motivazione estetica e filosofica collegata ai principi del Buddismo Zen. Non potendo fare qui un trattato sul suiseki, vorrei solo ri‐ cordare che la bellezza di un sui‐ seki deriva, almeno in parte, dal suo potere di evocare una scena naturale od un oggetto facente comunque parte del mondo natu‐ rale, come un animale o una figu‐ ra umana. Un suiseki deve però avere qualcosa di più di una mera somiglianza oggettiva e caratteri‐ stiche fisiche come colori smorzati, equilibrio, una superficie


invecchiata dal tempo si devono sposare a qualità spirituali non definibili con un solo termine: wabi, sabi, shibui, yugen, e cioè l’asimmetria, la semplici‐ tà, l’austera nobiltà, la naturalezza, l’acuta pro‐ fondità, il mistero, la tranquillità. Un suiseki si esprime “da sé“: non va aiu‐ tato lavorandone la forma, non va completato apponendo posticci per migliorarne la comprensio‐ ne, in quanto la sua bellezza maggiore sta nel suo potere evocativo. Anche la presentazione deve essere sobria e misurata: la pietra va appoggiata su un alloggia‐ mento in legno chiamato daiza, intagliato seguendo con precisione il perimetro della pietra. Avendo la sola funzione di supporto, il daiza non deve essere lavorato in modo estroso e fantasioso, dovrà essere in una parola sola… discreto. Ecco, questa brevissima descrizione di un suiseki, che spero abbia fatto venire il desiderio di approfondire l’argomento, dovrebbe far comprendere le differenze esistenti tra esso ed una pietra cinese tradizionale, ad esempio, in quanto un Gongshi cinese va valutato attraverso caratteristiche molto diverse, come il traforo, la rugosità, la finezza, la snellezza. Il colore può essere anche molto chia‐ ro, il supporto in legno può essere molto elaborato ed intagliato. Ovviamente, seguire i principi del suiseki non ci obbliga ad acquisire solo pietre giapponesi, ma esse possono essere cercate nel nostro territorio, nei fiumi, sui monti e nei mari, tenendo però pre‐ sente quello che cerchiamo, e perché lo cerchiamo. Qualcuno ha infatti affermato: "Il Suiseki non è altro che questo: trovare una pietra, allevarla con cura e presentarla correttamente. Questo è tutto ciò che serve sapere". Sembra facile! Ma noi di Italiansuiseki vogliamo premiare con una targa chi con semplicità cerca di far suo questo percorso. Il premio è stato istituito nel 2012 e da allora è stato assegnato in occasione di quattro ma‐ nifestazioni: nel 2012 a Roma, in occasione della XIX Mostra di Primavera e della V Mostra Au‐ tunnale "Città dei Ragazzi", entrambe organizzate dall'Associazione Culturale Roma Bonsai, e nel 2013 ad Ercolano, in occasione della III edizione della Kokoro‐no Bonsai Ten, organizzata dal Na‐ poli Bonsai Club ed a Frascati, in occasione della XV Mostra Suiseki & Bonsai “Città di Frascati”, orga‐ nizzata dal Bonsai Club Castelli Romani. I premi so‐ no stati attribuiti ad opera del giudizio congiunto del team di Italiansuiseki.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Maggio 2012 XIX Mostra di Primavera Premio Italiansuiseki alla pietra disegnata “Il mare di notte” di Giuseppe Cordone Origine : Liguria


Giugno 2013 XV Mostra Bonsai & Suiseki “Città di Frascati” Premio Italiansuiseki alla pietra paesaggio presentata dal Napoli Bonsai Club Origine : Liguria



TALENTO ITALIANO 2013

di CARLO SCAFURI

C

ome consuetudine, anche quest'anno si è tenuto il Concorso "Nuovo Talento Italiano". Rappresentanti di Club, delle Scuole riconosciute UBI, e semplici amatori, hanno cercato di dare il meglio di se, alle prese con dei ginepri itoigawa, in

sole quattro ore di gara. Per questa edizione, il Direttivo UBI ha regolamentato ancor di piĂš il Concorso al fine di garantire una maggiore trasparenza e correttezza nei giudizi sugli operati dei partecipanti. I tre giudici, Antonio Gesualdi, Sandro Segneri ed Alfiero



Suardi, hanno valutato soltanto il lavoro ultimato, ben consci però di quale fosse il materiale di partenza. Degli undici partecipanti di questa edizione, i lavori che si sono distinti appartengono a: Francesco Gentile qualificatosi al terzo posto, Matteo Massaggia al secondo, e dulcis in fundo, Tiberio Gracco al primo (ottenendo il massimo del punteggio). Non è retorica, ma la vittoria di Tiberio, è la dimostrazione nei fatti che l'umiltà, la voglia di apprendere, e l'impegno costante, sia la giusta strada da percorrere per chi vuole cimentarsi in questa Dō. Per chi Vi scrive, Tiberio non è solo un amico, ma un modello da seguire. L'attribuzione più azzeccata, è quella datagli da un socio del Napoli Bonsai Club, Dario Rubertelli: "Tiberio Gracco, tutto arrosto e niente fumo!". Ed è esattamente così... umiltà e grandi capacità sono due qualità che in lui si muovono di pari passo. Ma chi è Tiberio Gracco? Molti lo hanno conosciuto grazie ai vasi che da qualche anno impreziosiscono i bonsai tra i più belli in circolazione. Ma lui non è solo un vasaio dalle indubbie capacità! Classe 1978, ha mosso i suoi primi passi nel mondo del bonsai appena nel 2004. All'epoca la sua passione non era che un timido interesse nei confronti di queste piccole piante in vaso. Con la scoperta del Napoli Bonsai Club, avviene la prima importante svolta. Grazie alla disponibilità del Presidente del Club, Antonio Acampora, ed ai suoi insegnamenti dati durante le "attività assistite", Tiberio inizia ad entrare in possesso di tutta una serie di concetti, di nozioni sull'estetica e di tecniche, che sono andati nel tempo a formare quel background conoscitivo senza il quale non sarebbe potuto progredire. Durante la nostra chiacchierata, Tiberio ha sottolineato più e più volte l'importanza fondamentale della guida di Acampora. Esseri seguiti ed indirizzati da una persona con così tante conoscenze nell'arte bonsai, ha rappresentato un caposaldo nella sua formazione. Nel 2006, in occasione della prima edizione della Kokoro‐no Bonsai Ten, entra in contatto con Sandro Segneri e la Bonsai Creativo School‐Academy... seconda svolta decisiva per il suo cammino bonsaistico. Dopo aver partecipato ad alcuni suoi seminari, nel 2007 entra a far parte dell'Accademia, ciclo formativo questo che si concluderà con ottimi risultati nel 2009.

La foto mostra il primo vaso realzzato a mano da Tiberio Gracco appositamente per questo splendido esemplare di Ginepro Fenicio, esposto al Congresso BCI‐IBS del 2008.

Mirto ‐ Coll. Tiberio Gracco Menzione di merito, Congresso UBI 2012


Siamo nel 2008. Quasi per diletto, “prova” a realizzare un vaso fatto di gres per uso hobbistico... la prima prova non è male. Lo porta con se in un incontro accademico per sottoporlo al giudizio di Sandro, che dopo averlo visto per bene, ed averne apprezzato forma, proporzioni e senso estetico, sprona Tiberio a continuare su quella strada ed a migliorarsi sempre più. Visto che realizzare vasi non gli risulta complicato, mette da parte la

modellatura, per concentrarsi sullo studio e la sperimentazione dei vari gres, le terre, gli smalti, reazione alle varie temperature di cottura, ecc. ecc. Valter Giambarresi, socio del NBC, gli commissiona un vaso per il suo fenicio, esposto successivamente al Congresso IBS/BCI del 2008. Da lì in poi i suoi vasi sono sempre stati più ricercati da un pubblico di amatori sempre più esigente. Sotto la guida di Sandro

Segneri, ha la possibilità di maturare ed apprendere in modo costante e continuativo, affinando così di volta in volta le sue tecniche. Pur diplomandosi in Accademia nel 2009, continua a seguire Segneri durante i seminari che svolge al club, e piano piano, inizia a “venir fuori”. Ai suoi successi come vasaio, iniziano ad arrivare quelli come bonsaista. Espone per la prima volta, al Congresso UBI del 2011 di Sanremo, il suo esemplare di erica, con il quale


vince il “Premio IBS” ed il premio “Io difendo l'olivo”. L'anno seguente, sempre al Congresso UBI, ottiene una “menzione di merito” con un bonsai di mirto. Sempre nel 2012, in coppia con Manuel Conson, vince il primo posto del Trofeo Arcobonsai per Club. Infine, il direttivo del Napoli Bonsai Club lo seleziona per il Talento Italiano del 2013... mai decisione fu così felice! Il suo prossimo appuntamento sarà al Congresso EBA (in Polonia nel 2014)

come rappresentate italiano al Concorso del Talento Europeo. Ed eccoci giunti alla fine di questo articolo. Ho preferito mettere in luce alcuni passaggi del progresso di Tiberio, non tanto per una celebrazione fine a stessa, quanto per evidenziare come la passione e l'umiltà siano le carte vincenti per chiunque si approcci a questa arte. La prossima edizione del Congresso UBI, e quindi del Contest

per il Talento, si terrà a Torino nell'Aprile del 2014, per una tre giorni di bonsai&suiseki da ricordare. Un grande in bocca al lupo a tutti i partecipanti, e come sempre... buon bonsai!

© RIPRODUZIONE RISERVATA



di MASSIMO BANDERA


1. Giardino dei boschi di Saburo Kato

L

e regole che determinano la composizione del bosco a bonsai sono molteplici e concorrono tutte al ri‐ cercare la possibilità di trovare il miglior equilibrio tra il materiale di partenza ed il risultato naturale. Una delle regole più importanti, alla quale è impossibile ri‐ nunciare, è l’uso di un pane di terra, e conseguentemente un vaso, estremamente piatti, proprio per dare l’esempio e la sensazione dell’orizzontalità del territorio. Le regole di profondità sono legate alla scelta crescente o decrescente del diametro dei tronchi rispetto al fronte, ed anche alla loro altezza. La profondità deve essere tanto maggiore quanto più basso è il numero di soggetti del bosco, nel senso che nei boschi a 5, 7 o 9 tronchi sarà molto accentuata la diffe‐ renza di diametro tra individui, mentre nei boschi numerosi questo elemento è meno importante nel senso che il diame‐

tro degli individui può essere “più simile fra loro”. La posi‐ zione del gruppo deve in oltre prevalere verso destra o verso sinistra lasciando uno spazio che rappresenta l’infinito, conferendo una grande profondità e tranquillità alla composizione, liberandola anche dal rischio di sembrare una coltivazione concentrata. Anche la parete frontale dovrebbe avere un po’ di spazio per contribuire ad aumentare il respiro della compo‐ sizione come si può notare dalla piantina del disegno 1. L’osservazione dal fronte deve consentire un posiziona‐ mento dei tronchi in modo da non avere più di due piante in fila proprio per rispettare la naturalezza. Anche la triangolarità dovrà rispettare le solite regole di asimmetria dei triangoli considerando la chioma dell’intero bosco nel suo insieme o nei suoi gruppi principali. Nello stile a bosco come anche nelle ceppaie e negli stili a zattera per la cultura


giapponese, sono normalmente utilizzati per rappresentare foreste o rive di laghi. Questa curiosa motivazione è dovuta all’assenza della pastorizia e dell’allevamento bovino nella montagna giapponese, per tanto in Giappone è raro vedere praterie libere in alternanza a boschetti come avviene nelle nostre Alpi, ed è per questo che nella mentalità giapponese l’area libera che rappresenta l’infinito suggerisce il lago o il fiume che sono gli unici elementi in grado di tagliare la fore‐ sta vergine, oltre all’agricoltura ed agli interventi umani in genere. Nella realizzazione del vuoto si deve lasciare lo spazio completamente libero, senza aggiungere elementi come erbe, rocce o statue che sono considerate per la raffi‐ natezza giapponese, estremamente volgari; l’arte consiste appunto nel riuscire a dare l’impressione e la sensazione

della presenza. Questo elemento di grande ricaduta estetica è un punto di fondamentale differenza tra la cultura della Cina e del Giappone, vedremo infatti com’è importante per i cinesi inserire direttamente l’elemento che si vuole rappre‐ sentare. Osservando il bosco dal fronte sarà importante mantenere tutte distanze differenti tra i tronchi, in modo da evitare ripetizioni e ricadere nella simmetria. Questa rappresentazione è particolarmente importante nel caso in cui ci siano poche piante, infatti i boschi di 7, 5 o 9 alberi sono in realtà proprio i più difficili poiché la loro posizione dev’essere praticamente perfetta. Nella composizione e fre‐ quente vedere coppie di tronchi molto ravvicinate quasi a contatto, che devono essere di dimensioni differenti e lo scopo è per ottenere una impressione più grande del tronco più grosso attraverso al contrasto col tronco più piccolo, in oltre permette di aumentare l’effetto di naturalezza facendo


2. Bosco di abeti. Disegno di Giu‐ seppe Attini ‐ 3. Bosco realizzato dal Maestro Masahiko Kimura. ‐ 4. Bosco di Ezo di Saburo Kato


vedere che è nato un tronco piccolo vicino al grande albero. I boschi formati da gruppi di piante sono molto interessanti perché permettono di ottenere gli spazi vuoti anche in composizioni con moltissimi tronchi, come il caso del disegno 3 e 4, in cui notiamo una struttura di latifoglie in vaso e su lastra a tronchi dritti ed a tronchi mossi. Nella rea‐ lizzazione pratica questo tipo di bosco è un insieme di bo‐ schi semplici, normalmente 2 o 3, accostati tra loro rispettando le stesse proporzioni come se fossero grossi soggetti. Le superfici del pane di terra non devono essere piatte, ma al contrario devono seguire degli andamenti

naturali, facendo talvolta piccoli salti, gradini e dislivelli che vanno via via degradando verso il margine, soprattutto nel caso dei boschi su lastra. Dal punto di vista della coltivazione i boschi bonsai che diventano capolavori si ottengono normalmente con piante giovani che crescendo insieme per molti anni avranno delle forme particolarmente armonizzate tra loro, mentre l’uso di piante grosse assemblate all’ultimo momento difficilmente porteranno un risultato completo dal punto di vista dell’estetica Zen. © RIPRODUZIONE RISERVATA



M

è stato regalato, all’inizio di questo anno, un libretto che ho trovato curioso nel titolo, al di là del grande valore spirituale per i suoi contenuti. E’ uno di quei libretti, molto agevoli, che bisognerebbe tenere sempre a portata di mano, per una specie di “prontuario” per lo spirito! Una considerazione per chi come me ha visto nascere il bonsai in Italia: come il termine “bonsai” sia da tempo entrato nell’uso comune e usato perfino i

in libri di carattere religioso. Gli autori scrivono a pro‐ posito delle preghiere che “sono come le piante bonsai: piccole; si colgono con uno sguardo; affasci‐ nanti per la loro bellezza. […]queste brevi preghiere, come i bonsai, sono in se stesse complete nella loro brevità. Come per quelle piante, occorre molta attenzione, una continua cura perché non appassiscano.” © RIPRODUZIONE RISERVATA

PREGHIERE BONSAI 365 BREVI ORAZIONI PER OGNI GIORNO DELL’ANNO A CURA DI LUIGI GUGLIELMONI E FAUSTO NEGRI EFFATA’ EDITRICE € 8,50


Q

uesto ginepro itoigawa da vi‐ vaio di provenienza giappo‐ nese risulta molto diverso dai soliti itoigawa ricchi di ramifi‐ cazione, curve e vegetazione molto fitta. E’ caratterizzato da due masse ve‐ getative ben distinte, una sul primo ra‐ mo posto a circa 2/3 del tronco e l’altra concentrata all’apice del ginepro e da un tronco abbastanza flessuoso e slanciato. Queste due caratteristiche connotano un carattere decisamente femminile che influenzerà il progetto del futuro bonsai. Già al momento della scelta di questa pianta mi hanno colpito proprio le potenzialità che questo ginepro pos‐ siede nel poter diventare un bonsai che esprima la leggerezza e la saggezza di un vecchio letterato. Gli shari come rughe profonde che solcano il viso, il ramo con la parte di legna secca spezzata come una ci‐ catrice legata ad un lontano ricordo, la scarsa vegetazione di verde intenso co‐ me la candida capigliatura che circonda lo scarno viso di questo vecchio saggio. Pochi giorni dopo che questo ginepro entrò nel mio giardino avvenne il disastro di Fukushima dove

alla forza devastatrice della natura si è andata a sommare la furia altrettanto devastatrice dell’uomo. Da quel giorno ho sempre avuto l’idea che questo gi‐ nepro dovesse rappresentare la forza rinnovatrice della natura che, nella sua complessità, riesce a contrapporre forze devastanti fragorosamente improvvise e di una potenza inimmagi‐ nabile, al maestoso silenzio che ne contraddistingue la rinascita con il suo continuo, impercettibile ed incessante trasformarsi che ha permesso la rea‐ lizzazione di questo stupendo pianeta, nonostante la presenza dell’uomo. Fukushima sarà il nome di questo bonsai per ricordare a tutti noi la contraddizione umana che è capace di distruggere tutto quello che lo circonda ed allo stesso tempo, con la disciplina, l’orgoglio, la dignità, la soli‐ darietà e la volontà di ricominciare, si rimbocca le maniche e riesce ad anda‐ re comunque avanti. BASE E RADICI ‐ La prima cosa che salta all’occhio sono le tre radici che parto‐ no dal tronco ed in particolare quella con l’attaccatura al tronco più in alto, che sicuramente rappresenterà un pro‐ blema dal punto di vista estetico.

TRONCO ‐ La parte iniziale presenta due curve molto nette mentre poi assume un andamento più rettilineo con alcuni movimenti appena accennati fino alla parte apicale dove il tronco si divide in due parti, di cui una secca conse‐ guente di una precedente potatura, mentre l’altra finisce con una piccola curva con tre rami principali che portano tutta la vegetazione apicale. Per tutta la lunghezza del tronco ci so‐ no varie parti di legna secca in evi‐ denza che potranno diventare uno o più shari lungo tutto il tronco. Questi potranno fornire ancora più movi‐ mento all’intero bonsai nel progetto fi‐ nale. Contemporaneamente, la de‐ finizione delle vene vive e la loro tu‐ bolarizzazione daranno ancora più carattere e movenza al tronco. Uno dei lavori da fare durante l’impostazione del bonsai, sarà proprio quello di indi‐ viduare le zone di secco non evidenti ed allo stesso tempo delineare le vene vive ed approcciare gli shari. RAMIFICAZIONE E VEGETAZIONE ‐ A parte i due piccoli rami posti a 2/3 del tronco, che andranno sicuramente eliminati qualsiasi sia il progetto finale, le masse


vegetative della pianta sono es‐ senzialmente due: la prima sul ramo posto dopo la prima metà del tronco e la seconda, formata da tre rami prima‐ ri, all’apice del ginepro. In tutti e due i casi abbiamo la presenza di una parte secca emergente che rappresenta la parte interna del ramo e del tronco per l’apice. Questa situazione molto pro‐ babilmente ci costringerà a fessurare e separare la vena viva dalla parte secca

per permettere la piegatura e la messa in posizione. La vegetazione sembra in buona salute, di un verde intenso, anche se in alcune zone ci sono dei piccoli rami con vegetazione ad aghi che denunciano un minimo stato di stress della pianta. CARATTERE ‐ La conformazione del tronco, la ramificazione e la vegetazio‐ ne a disposizione non ricca, danno

immediatamente idea di una pianta dal carattere femminile ed elegante nonché sofferto. Il progetto del futuro bonsai non potrà prescindere da que‐ ste caratteristiche ed anzi cercheremo di evidenziarle. Volendo identificare uno stile che più si avvicina al carattere di questo itoigawa sicuramente viene in mente un bonsai con due masse ve‐ getative ben distinte composte da tanti piccoli palchi leggeri che mettano in


evidenza il movimento del tronco e soprattutto il gioco di alternanza fra vene vive e zone di legna secca. Due ipotesi più estreme potrebbero prevedere l’eliminazione di una delle due masse vegetative per crea‐ re un bunjin con un aspetto ancora più drammatico. In questa versione il punto focale o elemento caratte‐ rizzante saranno i jin, gli shari, ovve‐ ro tutta la legna secca che dovrà essere lavorata per rendere evidente l’azione degli agenti atmosferici, del trascorrere del tempo e dell’intervento dei fenomeni naturali su questa parte della pianta. A questo punto iniziamo a

ruotare ed inclinare la pianta per individuarne l’aspetto fondamentale di ogni bonsai: il fronte. LATO A ‐ Esaminando il ginepro da questo lato la parte iniziale alla base del tronco risulta piatta, “bidi‐ mensionale”, anche se inclinata. Ri‐ salendo, dopo la prima curva, il tronco tende ad allontanarsi verso il retro e, dopo la seconda curva, ri‐ sulta rettilineo fino alla curva nella zona apicale che tende verso destra. Il ramo a sinistra è molto rettilineo, cilindrico e indirizzato verso l’alto fino al punto dove emerge la parte centrale, secca. I


piccoli rami, intermedi, posti sul davanti hanno una dimensione del tronco molto esile e quasi sicuramente verranno eliminati du‐ rante l’impostazione. Da questo lato sono evidenti i due shari principali al livello delle due curve ini‐ ziali. Questi potranno in futuro rappresentare un punto focale del progetto. Sono visibili anche due rami potati in precedenza che po‐ tranno essere trasformati in jin.

getazione, ed in particolare l’apice, si trova tutta rivolta verso il retro e difficilmente può essere reindirizzata verso il fronte o ai lati a causa delle parti di legna secca che emergo‐ no sia dal ramo principale, sia dall’apice. Unica nota esteticamente valida può essere il movimento del tronco che mette in evidenza tutte le curve presenti. I due rami potati potrebbero essere sfruttati per creare dei jin e degli shari.

LATO B ‐ In generale, se visto da questo lato, il ginepro diventa ancora più anonimo: il tronco diventa particolarmente rettilineo e ci‐ lindrico sia nella prima parte che nel tratto successivo alle due curve. Partendo dalla base, la radice già evidenziata nell’analisi generale della pianta è molto visibile e sicuramente rappresenta un elemento di disturbo nella visione del bonsai. Gli shari non sono più visibili e soprattutto il primo ramo va a ritrovarsi completamente sul retro della pianta. Anche volendo piegarlo verso il fronte andrebbe a posizionarsi pro‐ prio sulle due curve del tronco. Anche eliminando il primo ramo e sfruttando la vegetazione apicale rimangono i difetti della prima parte del tronco.

Lato D ‐ La prima parte del tronco ha una forma molto ristretta rispetto al resto del tronco stesso con una zona molto più sottile fino alla prima curva verso sinistra che pro‐ voca una leggera contro‐conicità molto anti‐ estetica. La pianta tende ad allontanarsi rispetto all’occhio dell’osservatore. In questa situazione il primo ramo è posizionato proprio sul fronte ed anche pie‐ gandolo verso destra, la vegetazione andrebbe a finire sulla prima curva. La parte superiore del tronco rispetto al primo ramo risulta molto rettilinea senza alcun movi‐ mento fino alla vegetazione nella zona api‐ cale. Gli shari non sono visibili e l’insieme della pianta non presenta nessun punto d’interesse.

LATO C ‐ Da questo lato emergono imme‐ diatamente due elementi negativi: ‐ Il tronco viene prepotentemente in avanti verso l’osservatore ed anche inclinando note‐ volmente la pianta la situazione non migliora di molto; ‐ La ve‐

I MOTIVI DELLA SCELTA ‐ MOVIMENTO. In questa posizione si ha il massimo del movimento ed anche la parte più rettilinea risulta attenuata dalle piccole curvature del tronco. L’inclina‐ zione che prima tende ad andare indietro per



poi tornare verso l’osservatore all’altezza dell’apice, insieme alle curve iniziali, au‐ mentano la dinamicità d’insieme. Gli shari e le vene vive andranno ancora ad accentuare il movimento ed il carattere del bonsai. POSIZIONE DELLA VEGETAZIONE. Qui ha giocato un ruolo fondamentale la presenza della legna secca e l’andamento verso l’osservatore. LE MASSE VEGETATIVE: UNA O DUE? Forse con due avremo una pianta più equilibrata e tranquilla, con una soltanto, in particolare se scegliamo di costruire la pianta sul primo ramo e di creare un jin apicale, la drammaticità aumenterà no‐ tevolmente, ma forse realizzeremo qualcosa di già visto. Sfruttare solo la vegetazione apicale creando dei palchi leggeri potrebbe essere un giusto compromesso. Un’altra strada percorri‐ bile potrebbe essere un percorso in due fasi: nella prima impostazione sfrutteremo tutta la vegetazione. Questo ci permetterà di avere il tempo sufficiente per valutare meglio e poter prendere una decisione più serena. In un se‐ condo momento valuteremo l’evoluzione che vorremo dare al nostro bonsai. Dopotutto un bonsai non è mai una cosa definita e definiti‐ va. LA REALIZZAZIONE ‐ L’occasione era di quelle da non perdere assolutamente! Il Mae‐ stro Kunyo Kobayashi ospite alla manifestazio‐ ne “Sotto il Cielo d’Inverno” organizzata da

Franchi Bonsai. All’interno della manifestazio‐ ne due giorni di workshop con Kobayashi ed il suo genero Akiyuma. Il giorno arriva, giusto il tempo di sa‐ lutarsi con tanto di inchino ai due Maestri, e subito gli mostro il progetto spiegandogli quello che avrei voluto realizzare. Kobayashi ed Akiyuma esaminano la pianta girandola ed inclinandola più volte ed alla fine concordano con il mio progetto suggerendomi una maggiore inclinazione in avanti in modo da accentuare la direzione dell’apice verso l’osservatore ed allo stesso tempo accentuare il movimento iniziale del tronco. Subito dopo Kobayashi mi spiega quali rami intende utilizzare per realizzare l’apice del bonsai ed un attimo dopo i rami superflui sono già caduti sul tavolo. L’eliminazione di questi rami rende subito più chiara anche la situazione delle parti di legna secca che andremo a realizzare. Continuo a pulire il tronco ed a delimitare le vene vive che alimentano la vegetazione ri‐ spetto alle parti già secche. Da questa opera‐ zione emerge chiaramente che avremo due vene, posizionate ai bordi esterni del ginepro e che circondano la parte centrale di legna secca, che andranno rispettivamente ad ali‐ mentare le due masse vegetative, quella del primo ramo in basso a sinistra e quella della parte apicale. In una successiva sessione di la‐ voro mi dedicherò proprio alla lavorazione di tutta la legna secca in modo da alleggerire do‐


ve necessario e mettere in evidenza i jin e gli shari così da creare ancora più movimento sull’intera fisionomia del bonsai. Completate queste prime due fasi, indispensabili quando approcciamo qualsiasi pianta che vogliamo tra‐ sformare in un bonsai, inizio con la fase di applicazione del filo a tutta la ramificazione. In questo caso comincio con il primo ramo a sinistra. Questo è caratterizzato dalla vena viva che si è ormai completa‐ mente staccata dalla parte secca del ramo in modo naturale, sicuramente a causa degli agenti atmosferici che ne hanno determinato il distacco. Dovendo effettuare la piega della vena viva verso il basso rispetto al jin naturale, proteggo la vena stessa avvolgendo con rafia inizialmente tutto il ramo per poi andare a salvaguardare la sola vena viva fino all’ini‐ zio della ramificazione secondaria. Sulla rafia viene applicato il filo di rame raddoppiando le spire in modo da garantire ancora una maggiore protezione alle fibre della vena durante la piega. Il ramo viene ruotato e spinto verso il basso rispetto al jin cercando di non stressare eccessivamente la vena e non

rompere il punto di contato con la parte secca. Per mante‐ nere il ramo in posizione viene utilizzato un piccolo cuneo di legno che viene posizionato nel punto di apertura fra ra‐ mo secco e vena viva. Con il tempo andremo a premere ancora di più il cuneo verso l’interno in modo da accentuare la separazione ed allo stesso tempo spostare il ramo verso il basso e verso l’interno del tronco. Anche nella parte apicale viene applicato il filo di rame cercando di raddoppiare sempre le spire sulle parti che devono subire le piegature più drastiche. Utilizzando un filo di diametro minore, ma raddoppiandolo sul ramo, si ottiene una maggiore protezione rispetto agli sforzi di estensione, compressione e rotazione delle fibre all’interno del ramo stesso se paragonato all’applicazione di un singolo filo con un diametro leggermente maggiore. Nel nostro caso abbia‐ mo usato un filo di 2,5 mm raddoppiato quando sarebbe stato sufficiente un singolo filo da 3,5‐4 mm. Su indicazione del Maestro Kobayashi il lavoro è continuato su tutta la ramificazione fino alla vegetazione più fine utilizzando fili di diametro sempre più piccolo. Mentre a me tremavano le mani per la paura di spezzare la vegetazione verde tipicamente fine dell’itoigawa, sia Kobayashi che Akiyuma procedevano con una velocità ed una sicurezza impressionante. Finalmente ogni piccolo rametto ed ogni ciuffo di vegetazione è legato e si può procedere alla modellazione del ginepro. Con la stessa facilità e leggerezza con le quali Kobayashi metteva il filo di rame ha preso fra le sue mani ogni ramo ed ha iniziato a piegare e posizionare la vegeta‐ zione per disegnare il futuro bonsai. Dopo il lavoro del Maestro ho cercato di rifinire ancora meglio le parti di legna secca abbozzate nelle fasi precedenti e poi ho definitiva‐ mente tolto le mani dalla pianta. Ultima operazione una ricca nebulizzata di acqua su tutta la vegetazione. Adesso il Vecchio Saggio sarà lasciato riposare per tutta la prossima stagione curando la coltivazione e l’esposi‐ zione in modo da farlo recuperare dallo stress di questa pri‐ ma impostazione e favorire l‘infoltimento della vegetazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA



far di necessità

P

remetto che ho scritto questo articolo con grande emozione. Sono un bonsaista amatore ed è la prima volta che ho la possi‐ bilita di scrivere un articolo per una rivi‐ sta specializzata. Un "grazie" è doveroso alla redazione. Il materiale qui preso in esame non è di pregio, ed il mio obiettivo è stato quello di cercare di va‐ lorizzare al massimo tutto ciò che la pianta poteva esprimere, cosa assoluta‐ metne non facile visto il materiale di partenza. Il tasso era in mio possesso da diversi anni, ed in questo tempo mi so‐ no solo dedicato a coltivarlo nel miglior

dei modi. Due anni fa la pianta subì un incidente che la caratterizzò per sempre. Una violenta folata di vento la fece ca‐ dere dal bancale, causandone la divisio‐ ne del tronco in due parti. Decisi di non intervenire e di attendere la sua reazio‐ ne. Sorprendentemente non perse nemmeno un germoglio. Alla fine del 2011 decisi di approcciare un primo step di impostazione. Come prima cosa ho iniziato a ripulire la vegetazione e le scaglie di corteccia aiutandomi con un coltellino... e qui sono iniziate le sorprese. Pian pia‐


no venivano portate alla luce tutte le sue peculiarità, evi‐ denziando shari naturali e vene belle gonfie. Procedo con la filatura ed il disegno della pianta inizia a prendere forma. Parto dal primo ramo e salgo fino all'apice tenendo in considerazione alcuni punti importanti. Per mia fi‐ losofia, la prima cosa da tenere in considerazione è che il la‐ voro non deve intaccare la salute della pianta, così da riuscire a tirar fuori l'anima nascosta del tasso senza effettuare interventi drastici. Altri punti importante che ho considerato, sono quelli inerenti al movimento e all'armonia. La pianta aveva tre rami e con quelli dovevo fare tutto. Quindi ho lasciato un primo ramo importante per dare carattere e direzione, uno di profondita e l'ultimo per la continuità del tronco. Essendo quest'ultimo dritto e rigido, il primo ramo non potrà avere curve morbide, ma eventualmente curve strette e ravvicinate, cosa quesa da escludere, visto che lo spessore del ramo e la vegetazione ravvicinata avrebbe messo a rischio la sua salute. Quindi l'ho lasciato dritto e rigido come il tronco per rendere il tutto più naturale, mentre la parte alta del tronco avrà curve molto leggere. Un problema di questa pianta era lo spacco nel tronco; questo poteva essere un punto di interesse ma anche un disturbo. Se si fosse aperto ancor di più, si sarebbe creato un'antiestetica V, e per renderla più naturale si sarebbe dovuto


torcere il tronco su se stesso, cosa che avrebbe comportato degli elevati rischi per la pianta. Inoltre, il resto del tronco sarebbe rimasto dritto e rigido, e le due parti sarebbero state fortemento in contrasto estetico tra loro, rendendo l'intera pianta assolutamente non credibile. Decido quindi di minimizzare lo spacco, come se volessi "chiuderlo", giocando molto creando sull'effetto ottico con un "vedo non vedo". A lavoro ultimato, il risultato mi appaga davvero molto. L'insieme risulta molto naturale e armonico. Nei prossimi step mi preoccuperò di potare la vegetazione superflua, soprattutto nel primo ramo. Essendo la sua prima impostazione ho lasciato volutamente più massa verde al fine di non stressare troppo la pianta. Volevo ringraziare il club che frequento, lo Zerozen, e Francesco Pieralli, mio amico e maestro. E' solo grazie al loro prezioso aiuto e supporto che ho la possibilità di migliorare un pas‐ so alla volta sempre di più.

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L

a betulla ama un ambiente fresco, so‐ leggiato e pedemontano dove esprime il meglio di sé. La storia di questa be‐ tulla fatta da seme nata nella primavera del 1966, inizia con la prima foto del febbraio del 1971, quando decisi di dargli una forma come la chioma di Medusa usando il filo di ra‐ me degli elettricisti. Forma sicuramente insolita per una betulla, poiché mi ero ispirato alla So‐ phora japonica tortuosa cui ero rimasto molto affascinato. Infatti, come le serpi della chioma di Medusa, la Sophora japonica intreccia i suoi rami contorti e tormentati. Purtroppo, la totale mancanza di informazioni sulle tecniche bonsaistiche se non quelle da me sperimentate, non mi avevano permesso di conoscere le esigenze della be‐ tulla che mal sopporta ad essere modellata co‐ me la chioma di Medusa e così, anno dopo anno alcuni rami perirono. Ci son voluti alcuni anni di osserva‐ zioni sul comportamento della betulla per riu‐ scire a comprenderla. Infatti, la betulla è una pianta affascinante ma piuttosto "permalosa" poichè crescendo velocemente ha un altro handicap, mal sopporta "potature a legno", in particolar modo se vengono effettuate con la luna crescente; i ritiri di linfa sono le cause più comuni nel far perdere un ramo con la po‐ tatura. Fortunatamente, la betulla ha la capacità di generare gemme e germogli sia alla base delle radici, sia all’ascella dei rami, stimo‐ lando così la formazione di germogli e di polloni. Per ovviare alla perdita dei rami è ne‐ cessario intervenire con una certa frequenza con la potatura dei germogli e del taglio delle foglie più grandi, in questo modo si riesce a mantenere una vegetazione compatta, usando nel frattempo contenitori bassi per frenare la crescita mantenendo il substrato sempre umi‐ do. © RIPRODUZIONE RISERVATA


1. Come le serpi della chioma di Medusa, la Sophora japonica intreccia i suoi rami contorti e tormentati. ‐ 2. La betulla vista nel 1991. Dopo la perdita di alcuni rami, si era sviluppato alla base un robusto pollone. ‐ 3. Primavera del 2001 ‐ Alla base delle radici si è sviluppato un giovane germoglio il quale contribuirà a formare il nucleo famigliare nello stile: padre, madre e figlio.


4. Marzo 2011. La betulla è ancora spoglia. 5. Aprile 2011. La betulla in piena vegetazione. 6. Giugno 2011. La betulla è stata defogliata e modellata nello stile penduloâ€?piangente ondulato, usando il metodo "Seishi".


7. La base annosa della betulla nei suoi 45 anni di vita reali evidenzia la caratteristica corteccia sugherosa, ti‐ pica delle vecchie betulle. ‐ 8. Nel frattempo si sono formati dei nuovi germogli nei punti strategici nel mi‐ gliorare la chioma della “Madre", però anche sulla chioma del "Figlio" ci sono già delle tracce iniziate. L’evoluzione continua! ‐ 9. Infatti, come previsto anche la chioma del “Figlio” si sta infoltendo.


10. La betulla vista nel mese di luglio 2011 dopo l’avvenuta germogliazione post defogliazio� ne. � 11. Armando con la Betulla nel 2011. Sono trascorsi 40 anni dalla prima immagine visibile nella foto che tiene in mano; le dimensioni della betulla non si sono discostate di molto, anzi direi che si sono ridotte, mentre i capelli di Armando si son fatti canuti, e cosÏ pure la corteccia della Betulla mostra i segni del tempo trascorso. � 12. Armando sembra dialogare con la Betulla. E come non potrebbe essere dopo 45 anni di vita trascorsi insieme?



R

endere un daiza "invisibile" scegliendo la giusta forma del "muro"e dei piedini... scendendo a seguire fedelmente la linea di perimetro massimo della pietra nelle sue evoluzioni... colorazione e finitura... queste son tutte fasi necessarie, ma conseguenti alla scelta di un corretto inserimento della pietra nel legno, alla ricerca del giusto equilibrio, del "centro di gravità o bari‐ centro". L’opera della Natura, nel suo incessante lavo‐

ro di modificazione della materia e della sua forma, non necessariamente tiene in conto che la cima principale di una forma a montagna, ad esempio, sia equilibrata rispetto alla linea di orizzonte, che abbia a degradare piacevolmente in maniera asimmetrica ed armonica da ogni lato, che sul retro lo spazio si estenda a dare il senso della tridimensionalità e dell’infinito, etc. etc.


A questo, ove si renda necessario, dobbiamo ovviare noi che abbiamo dalla nostra, la possibilitĂ di integrare il mancante con il legno, nel complice buio dello scavo di una base.


Determinare poi quali siano i lati di una pietra, è la semplice conseguenza della scelta di quale sia il fronte e quale il retro… ma è proprio qui che, sovente, ci si lascia sedurre & sopraffare dalla migliore "vista" che poi non sempre corrisponde ad una scelta esteticamente corretta. "GENGIS KHAN" di Andrea Schenone

Ma della ricerca del corretto posizio‐ namento di pietre paesaggio ci occuperemo nel prossimo incontro. Qui, vorrei per un attimo invece soffermarmi sulla estrema va‐ riabilità di scelta offerta da una pietra a forma cosiddetta "astratta", ove l’interpretazione può fallire, come diventare arte, genialità o semplice intuizione come mixer tra la nostra predisposizione a fantasticare e la intrinseca capacità di suggestione della pietra.


Il risultato che ne può scaturire non sarà obbligatoriamente legato ai classici richiami naturalistici, ma anche solo a linee di movi‐ mento, dinamicità espressiva, misterioso intri‐ go: immagini ispiratrici di sentimenti o semplice curiosità creativa.


"LA VELA” di Andrea Schenone ‐ Ciò che la tiene otticamente ancorata al piano di appoggio (simbolicamente, la barca che solca il mare) è quel nodo di legno. Questa sua forma sinuosa e sottile è in grado di rendere "la pietra", più leggera di quel "nodo". Palpabi‐ le è la levigatezza della superficie: carezzata dall'acqua per migliaia di anni, ora pare mate‐ ria malleabile, cedevole al primo soffio di vento.


La nostra fantasia, il nostro senso estetico, poi, vengo‐ no messi alla prova dalla forma di pietre che, vuoi per le proporzioni verticali predominanti, vuoi per angolazioni o curve, vuoi per masse sovrapposte tra loro etc. si riallacciano alla morfologia appartenente al regno animale e/o umano o riferentesi ad iconografie divine.

Nella tradizione giappone‐ se, Suiseki è la Pietra Pae‐ saggio, mentre pietre in forma umana od animale sono state (e non sempre) accettate come acquisizio‐ ne recente, tra le Keisho‐ seki e comprese nelle Chin‐seki o Pietre Rare.


Maggiore rispetto è riservato ad immagini di kannon (Kannonâ€?seki) o personaggi storici; mentre pietre a forma di animale (Dobutsuâ€?seki) o forma umana (Sugataâ€?ishi) vengono di preferenza interpretate come "rocce a forma di" e non il contrario.


Mr. A. Matsuura nota che, comunque: “non è buona cosa che la somiglianza si avvicini troppo alla cosa vera” e che “se pur sia importante giocare con il cuore e con la mente, forme grottesche non sono buone”.


Una Seigaku‐ishi dall'equilibrio perfetto. La sistemazione di una Sugata o di un Dobutsu nel legno, l’inclinazione della pietra nel daiza (che siamo liberi di scegliere sino ad un grado più indietro da ogni possibile rovinosa cadu‐ ta), può determinarne l’interpretazione, l’assegnazione del tema, lo stato di stasi od il movimento etc. La pietra figura non deve, come un paesaggio, radicarsi al suolo, bensì percorrerlo, sostarvi, riposarvi, fuggirne, ergervisi come su un trono od altare.



DA CHE PARTE GUARDI (IL MONDO) TUTTO DIPENDE... DI SERGIO BASSI

H

o sentito spesso amatori di suiseki come me, commentare una pietra che era possibile posizio‐ nare in modi diversi. Se questo può succedere per una singola pietra, figu‐ riamoci poi per un'esposizione multipla dove le pietre sono molteplici. Ritengo sia normale fare, pri‐ ma della mostra, molte prove fina‐ lizzate alla ricerca di un'esposizione

corretta ed armoniosa; per un amante del Suiseki, scegliere le pietre è una delle cose più divertenti che ci possa essere: fare le prove per esporre quelle che ci sembrano più adatte, cercare il livello, la posizione, gli abbinamenti... accorgersi magari che quella che "ci andrebbe meglio" non ha la base fatta e che ci dobbiamo affrettare, perché la mostra è sempre più vicina e si rischia di portarla con la vernice ancora fre‐ sca... Non voglio annoiarvi facendo‐ ci vedere tutte le prove che abbiamo

fatto, io e Claudio, ma voglio rendervi partecipi della scelta sulla postura di una piccola pietra oggetto (animale), che abbiamo ritenuto adatta per completare il multiplo. Analizzando la pietra, possia‐ mo apprezzare i pregi che dimostra: una bella coda, forse un po’ spessa, ma della lunghezza giusta; un anello di calcite a delimitare ma anche ad abbellire il collo; il muso, un po’ allungato e con un’inclusione sempre in calcite, ci può far immaginare un becco ma non solo. Rigirandola fra le


mani ci siamo accorti che semplice‐ mente cambiando inclinazione, la sua espressività cambiava decisamente. Partiamo da quella che pos‐ siamo definire "massima inclinazione" (foto A). La testa molto bassa e la coda rivolta verso l'alto, mi ricordano un passerotto nell'atto di strofinarsi nella terra smossa, o mentre sta facendo il bagno in una pozza... oppure, si po‐ trebbe interpretare come se stesse mangiando o bevendo. Se portiamo le due estremità quasi allo stesso livello (foto B), abbia‐ mo l'impressione di un animale che si sta muovendo, lentamente, in modo vigile ma tranquillo, assorto nelle attivi‐ tà abituali di tutti i giorni, alla ricerca di cibo ed altro. Alzando ancora "la testa" e ovviamente abbassando "la coda" (foto C), in questa posizione può cambiare

anche l'animale rappresentato; il collo lungo potrebbe ricordare un dinosauro dallo sguardo attento e sempre pronto, conscio del fatto che lo stare all’erta fà la differenza fra essere preda o pre‐ datore. Posizioniamo la pietra con la massima verticalità (foto D). L'animale si slancia verso l’alto, il petto promi‐ nente ed il collo lunghissimo sembra che vengano mostrati con orgoglio; possiamo immaginare che si muova (caratteristica molto difficile da ri‐ scontrare in una pietra), probabilmente che stia danzando. Tutto questo ha certamente uno scopo: gli animali usano questo stratagemma per mettersi in mostra, quando cercano una compagna. Que‐ sta posizione ci intriga moltissimo: pos‐ siamo definirla "richiamo d’amore"; la ricerca continua, comune a tutte le

specie, di "dare vita nuova per dare un senso alla nostra vita". Non c'è niente di più nobile e gratificante. La piccola pietra in oggetto è qui posizionata all'interno del multiplo (foto E) presentato nella XV edizione della mostra dell'AIAS avvenuta nel 2012 a Bondeno di Gonzaga, dove ho avuto il piacere di aggiudicarmi il pri‐ mo premio di categoria. Quanta fantasia, quanto pia‐ cere, quante interpretazioni da una piccola pietra! Matti? Forse, ma è una pazzia contagiosa & gioiosa e Dio solo sa quanto bene faccia allo spirito di ognuno ed all'amicizia tra molti! Da Luciana e Sergio... alla prossima!

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Salve amici, questa nuova intervista è un vero e proprio tuffo nella storia. La storia del Bonsai nel nostro Paese. Armando Dal Col è questo, una pietra miliare per tutti quelli che amano il bonsai, un termine di paragone e, permettetemi, un modello da imitare. Persona modesta e sempre disponibile, ha il suo regno nel SEI WA MUSEUM BONSAI EN (giardino museo della serenità) diventato meta imprenscindibile per appassionati e semplici curiosi. Inutile parlare delle sue piante, chi non le conosce? Un solo accenno va al suo Faggio Patriarca una della più belle piante che si siano mai viste. Ora, prima di cadere nella celebrazione del personaggio lascio la penna al Maestro. Buona lettura.



Maestro, con un po' di emozione mi accingo all'intervista e mi rivolgo a te dandoti del tu. Inizio in maniera forse insolita chiedendoti che ne è del famoso pesco da frutto che fu l'inizio della tua e nostra storia. Premetto che gli alberi da frutto nel periodo della fioritura il pesco con i suoi fiori rosa pastello era quello che mi emozionava di più, ed è per questo che scelsi in un viva‐ io nella lontana primavera del 1963 proprio un pesco e do‐ po qualche giorno una Cydonia da fiore. Purtroppo non mi resi conto all’epoca delle enormi difficoltà che avrei incontrato nello scegliere proprio un pe‐ sco, soggetto com’è alle malattie come la “bolla del pesco”, la “gommosi” ed altre patologie. Ben diverso sarebbe stato se avessi scelto per esempio un melo, la cui fioritura è se‐ conda solo al pesco con la sua gamma di colori bianco‐ro‐ sati. Ciò nonostante e senza nessunissima esperienza il pesco è vissuto sempre in vaso per ben 34 anni, passando a miglior vita nell’autunno del 1997 a causa delle ife tumorali che si erano propagate in tutte le sue ramificazioni. Conservo comunque il pesco ed è esposto fra alcuni dei miei trofei poiché lo considero come una reliquia. Mentre la Cydonia fortunatamente gode ancora ottima salute, ed alla Mostra‐Congresso UBI 2012 ad ARCOBONSAI è stata esposta in uno spazio a me dedicato così, migliaia di perso‐ ne l’hanno potuta ammirare. Leggendo di te mi hanno colpito i tuoi inizi, ti sei inventato "gli alberi in vaso" ignorando l'esistenza del bonsai dall'altra parte del mondo. Ci puoi raccontare co‐ me hai avuto questa intuizione? Il mio approccio con il Bonsai era dovuto proba‐ bilmente al mio DNA per il mio carattere romantico; da ra‐ gazzo, infatti, mi piaceva ammirare gli alberi fioriti in primavera, ed allungando un braccio vedevo l’albero pro‐ iettarsi sul palmo della mia mano. E fu così che mi nacque l’idea di creare un albero in miniatura che potesse vivere in una ciotola da tenere fra le mani. Fermo restando che le difficoltà incontrate da te, Giorgi, Franchi e gli altri, pochi, storici pionieri, siano ai più no‐ te, mi piacerebbe che ci raccontassi quello che è stato il nostro big bang, l'inizio di tutto a partire da quel famoso pesco. Cosa vi ha fatto superare tutti gli ostacoli che vi siete trovati di fronte, come avete fatto a non desistere? Fortunatamente con la prima EUROFLORA di Ge‐ nova del 1966 che viene riproposta ogni cinque anni, ebbi l’opportunità di leggere un articolo di questo grande evento. L’articolista annotava che fra le novità e le cose più interes‐ santi da vedere c’erano degli alberi in miniatura coltivati nei vasi, esposti dai giapponesi, ma non geneticamente nani, bensì creati artisticamente dall’uomo! Quasi sobbalzai leggendo questa notizia, allora si può fare! Commentai fra me, ma quando cominciai a chiedere in giro nessuno ne sa‐ peva niente. E così dovetti "accontentarmi ancora una volta" ad osservare la natura per carpirne i suoi segreti nei suoi molteplici aspetti. Nel 1968 entrai in possesso di un piccolo manuale appena pubblicato dall’Edagricole: Bonsai pratico per principianti di Kenji Murata. Era la prima volta che conosce‐ vo la parola Bonsai! Ma fu SOLO nel 1978 dopo aver letto un articolo sul Bonsai in una rivista di giardinaggio scritto da Carlo Oddone di Torino, che appresi dell’esistenza di altri

appassionati, il quale ci invitava ad incontrarci. Mi misi subito in contatto e così andai a trovarlo a casa sua. Lui co‐ nosceva altre sei sette persone in Italia appassionate di Bonsai e, fra queste, Gianfranco Giorgi di Firenze che incontrai successivamente, e fu proprio grazie a Gianfranco col suo grande entusiasmo che mi coinvolse maggiormente, destando in me quella scintilla che ha fatto scattare il big bang. Infatti, per ben 15 anni sono stato completamente isolato senza conoscere nessuno che ne sapesse qualcosa, poichè il mio unico Grande Maestro è stato la NATURA! Facciamo un salto di qualche decina d'anni, cosa ti piace e cosa non ti piace del bonsai odierno? In questi decenni, il Bonsai italiano si è evoluto no‐ tevolmente grazie alla conoscenza, alla maggiore informa‐ zione e, soprattutto, alla scelta dei materiali di partenza. Come sono lontani quei tempi quando partivo anche dal seme. Oggi giorno, si notano dei Bonsai che sembra abbia‐ no subito quasi tutti dei grossi traumi dovuti per lo più da "ipotetici colpi di fulmine" per ridurne le dimensioni. Ma, ahimè, dove sono finite le proporzioni dei rami rispetto alle dimensioni del tronco! Ti faccio una confessione, sfogliando le pagine del tuo si‐ to sono rimasto ammirato dalla foto della tua betulla. Quattro decenni passati assieme, quattro decenni di cure quotidiane. Cosa si prova a condividere più di metà della propria vita a prendersi cura di una pianta? La storia di questa betulla fatta da seme nata nella primavera del 1966, inizia ad essere documentata con la prima foto del febbraio del 1971, quando decisi di dargli una forma ispirandomi alla Sophora japonica tortuosa. Purtroppo, la totale mancanza di informazioni sulle tecniche bonsaistiche, se non quelle da me sperimentate, non mi avevano aiutato a conoscere le esigenze della betulla che mal sopporta ad essere modellata e frequentemente potata grazie alla sua vigoria, abbandonando facilmente dei rami per ritiri di linfa. Ciò nonostante le difficoltà incontrate (e che incontro tuttora) è la consapevolezza di accettare questa disciplina del Bonsai che è calma ma severa, e vivere in armonia con le leggi della natura. Il tuo giardino museo bonsai della serenità è meta di mi‐ gliaia di persone, a parte il naturale interesse degli appassionati, qual'è l'atteggiamento che hanno i semplici curiosi nei confronti delle tue piante? Quello che percepisco nelle persone che visitano il mio giardino bonsai è il loro atteggiamento mentale in un totale "abbandono" dai problemi della vita; qui sembrano essere soggiogati dall’atmosfera rarefatta che emana il mu‐ seo con i suoi I Bonsai, non semplicemente esposti, ma inglobati nel verde quasi fossero un tutt’uno; divengono così un luogo di riflessione, di meditazione, di ricreazione, di di‐ letto. Ed è per questo che provano una grande serenità in presenza di queste piante. Torno all'Armando Dal Col pioniere. Che sensazioni provi nel pensare che il bonsai italiano deve a te una buona parte di quello che è oggi? Mi piace pensare di lasciare una traccia della mia esistenza poiché la vita di un uomo è talmente effimera che scompare al primo soffio del vento. Per passare ai posteri ho SOLO la certezza del mio nome che resterà per quello che


ho fatto, se qualcuno vorrà ricordarmi. Tanti sono stati i tuoi viaggi in Giappone. Che influenza hai avuto dal mondo nipponico? Sicuramente l’estrema cura dei giardini Bonsai giapponesi e quelli dei templi, tutti estremamente curati fino all’ossessione, dove ci si sente coinvolti in un’atmosfera rarefatta intrisa di filosofia Zen. Compagna di vita e discepola, fondamentale sembra il ruolo di tua moglie Haina con la quale formate un binomio unico e di assoluto valore, ma poco si sa dei suoi inizi. Prima di conoscerti era già parte di questo mondo? Nel mio primo viaggio nelle Filippine avvenuto nel dicembre del 1986 ero stato invitato da Serapion Metilla, sicuramente il leader del bonsai nelle Filippine. Dopo aver svolto alcune dimostrazioni fra i maggiori collezionisti, volli avventurarmi fra le isole dell’arcipelago come un semplice turista. Grazie alla guida di amici filippini incontrati lì, conobbi Haina dove fui il primo europeo a metterci i piedi nella sua isola. Mi colpì particolarmente la dignità di Lei e della sua famiglia pur essendo di una povertà assoluta. Haina saltuariamente lavorava a Manila facendo anche la guida turistica. Pur conoscendo i Bonsai non si era mai avvicinata, poiché prediligeva coltivare le orchidee. Dal nostro breve incontro nacque una tenue amicizia che ci permise di frequentarci per un certo periodo e, in febbraio del 1987 nel giorno di San Valentino ci sposammo a Manila. Werther Pacca‐ gnella che sicuramente molti di voi lo avranno conosciuto, anche se non visto (fu anche Presidente dell’Associazione Italiana Bonsai), è stato un po' il promotore del mio viaggio nelle Filippine, e quando seppe che mi sposai con una filippina espresse il desiderio di farmi da



testimone di nozze, ed io ne fui immensamente grato. Giunti in Italia, Haina fu colpita dalla mia collezio‐ ne di Bonsai e, a poco a poco se ne innamorò seguendomi nelle cure quotidiane, afferrando le varie tecniche da me usate. La mia fama incontrastata è cresciuta grazie anche ‐ e soprattutto ‐ alla preziosa collaborazione di Haina, divenuta discepola appassionata e silenziosa, dotata di un grande entusiasmo e di un intenso amore per la Natura. Innumerevoli sono i riconoscimenti avuti dalle maggiori associazioni mondiali, ma qua 'è quella che ti ha dato maggiore soddisfazione? Sicuramente i riconoscimenti avuti dalla Nippon Bonsai Association che è la massima autorità mondiale è molto importante, e così pure la profonda stima che colleghi e semplici amatori hanno nei miei confronti.

Ti capita spesso di essere membro di giurie, visti da die‐ tro la "cattedra" come giudichi i bonsaisti italiani? Vedo con particolare interesse che ci sono diversi giovani artisti degni di nota con i quali non esito confrontarmi. Purtroppo i ritmi frenetici di quest’ultima ge‐ nerazione che vuole tutto e subito fa dimenticare gli aspetti fondamentali che impone la disciplina del Bonsai. Come frequentatore del Napoli Bonsai Club Forum, ho spesso modo di apprezzare i tuoi interventi e sopratutto i suggerimenti ai meno esperti. A questo proposito ti chie‐ do quanta voglia di imparare dai più esperti vedi tra le nuove generazioni. Secondo te non c'è poca umiltà tra i neofiti? Sicuramente molti di questi giovani "affilano gli



artigl"” per farsi strada fra di loro, dimenti‐ cando che non è sufficiente saper impostare bene una pianta. Ed è proprio in questo contesto che taluni "peccano" di umiltà. Visto che hai attraversato tutti i cambia‐ menti dell'associazionismo in Italia, ti chiedo come giudichi l'attuale situazione. Quali le criticità e quali i punti di forza del sistema italiano? L’associazionismo in Italia è sicura‐ mente all’avanguardia rispetto a molti paesi nel mondo, solo che noi italiani "pecchia‐ mo" troppo di individualismo ed è questo che ci danneggia. Uniti, penso che daremo del filo da torcere ai giapponesi stessi, poi‐ ché, anche se eccelsi nella loro arte, non tutti quelli che hanno gli occhi a mandorla ci possono oltraggiare. Ecco perché l’asso‐ ciazionismo legato ad una associazione sa‐ na che rappresenti l’Italia come la nostra amata UBI diventerebbe imbattibile. Prima di chiudere una domanda d'obbli‐ go, visto che hai lavorato con le essenze più disparate, ce n'è una che ti da una soddisfazione particolare? Fra le conifere prediligo il larice poiché esprime le sensazioni di una cadu‐ cifoglia, la quale muta il suo aspetto nel lento fluire delle stagioni. E poi come potrei non soffermarmi sul faggio, così potente da captare la vita che pulsa sui rami ancora spogli. Nel ringraziarti per il tempo che ci hai dedicato, ti chiedo un saluto per i nostri lettori. Ringrazio prima di tutto Giuseppe Monteleone per l’intervista fattami, e ringrazio soprattutto l’amico Emilio Capozza per aver avuto il pensiero di ini‐ ziare proprio con me la serie di interviste dei vari personaggi del Bonsai sul Notiziario UBI. Un mio pensiero lo dedico infine a tutti i lettori; e per la pazienza con cui leggeranno questa intervista dedico una mia breve poesia legata alla natura.

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" ARMANDO DAL COL ‐ Il mio rapporto con la Natura



ANTICA


ph © Titti Fabozzi ‐ DMVcomunicazione


G

ente strana i bonsaisti… almeno alcuni, non guardano le piante fio‐ rite. I fiori forse non li notano neanche, non sono neanche attratti dalle foglie enormi e tirate a lucido, guardano i tronchi! Magari di piante che sono li chissà da quanto tempo, magari in una zona anche frequentata, ma che non attirano l’attenzione. Piante che hanno subito qualche incidente, che hanno perso qualche ramo, o l’apice è seccato e ricresciuto più volte. Piante che non raggiungono di certo le di‐ mensioni delle sorelle più fortu‐ nate, a causa della loro vita di stenti. Piante che molti non prendono in considerazione neanche per una serata con carne alla brace. Gente strana i bonsaisti, guardano queste piante… e le tro‐ vano belle! Una corteccia vecchissi‐ ma, uno shari naturale subito dopo la base, incorniciato da due vene linfatiche perfettamente ci‐ catrizzate, un elegante movimento del tronco, rami bassi. Tutto questo nei primi 60 centimetri della pianta alta all’origine circa tre metri. E poi, è un cipresso! Un vecchio sogno, nel giro di poco tempo la pianta arriva a casa. Forte il sospetto che anch’io sia strano! La pianta viene accorciata (foto1), si conservano i rami che po‐ trebbero essere usati per il disegno fina‐ le. Viene posta in un vaso grande e profondo che ne faciliterà l’attecchi‐ mento e la ripresa, un buon programma di coltivazione la metterà in perfetta sa‐ lute. La passione per il progetto è forte , i sogni e i disegni volano uno dietro l’altro, ma la nostra passione è un alternarsi di interventi ed attese, cre‐ scite e tagli. È il momento dell’attesa. Il cipresso, pianta generosa, ri‐ sponde bene alla coltivazione ed arriva il momento di un altro passo. Una delle prime cose che si imparano avendo a che fare con gli alberi è che… iniziano sotto terra. Ed è li che si concentra il vero primo grande intervento su i nostri futuri bonsai. L’apparato radicale va ridotto e

sanato (foto 2), messo in condizione di crescere vigoroso per poter garantire forza al nostro albero. Alle forbici va affiancato un buon programma di colti‐ vazione che dia salute e forza alla no‐ stra pianta. Molti considerano questa prima fase come una perdita di tempo, in realtà la formazione dei nostri alberi subisce una accelerazione al cubo! E il cipresso conferma tutto questo, se pur in un vaso di coltivazione abbastanza ridotto produce molta vegetazione e ra‐ mificazione tale da farlo apparire pronto per il primo intervento di forma‐ zione (foto 3). La prima modellatura getta le basi per il disegno finale (foto 4). Il fronte è scelto e mette in risalto il movi‐ mento elegante del tronco. Un grosso ramo viene tagliato e questo libera l’energia di un’altro ramo poco più in

alto che diventerà il futuro primo ramo, cosi caratterizzante per tutto il disegno finale. L’apice deve ancora crescere, ma la prima impostazione già mette in ri‐ salto il carattere femminile di questo cipresso, il primo giro di danza è fatto (foto 5). La generosità di questa essenza è proverbiale, se ben coltivato il cipres‐ so cresce con una velocità sorprendente. La parte superiore della pianta è ormai cresciuta e pronta per un secondo step. Si decide di liberare verso l’alto l’energia della pianta e alleggerirla di qualche ramo. Il disegno finale è sempre più concreto, tra la ra‐ mificazione si percepisce il vento che soffia nella direzione segnata dai rami. La dama inizia a danzare (foto 6). Coltivazione e interventi, l’alternanza di questi elementi regala al





cipresso sempre più ramificazione e definizione (foto 7). La vegetazione occupa sempre più spazi e il disegno è sempre più completo e ricco di particolari. È il momento del primo vaso bonsai la pianta reagisce bene e prosegue la sua formazione. Al momento della sua prima uscita alla XIV Mo‐ stra Nazionale Bonsai e Suiseki “Città di Frascati” viene premiata con la targa "Bonsai & Suiseki magazine". Il commento più frequente che ho ascoltato su questo albero "…è una pianta vecchissima e molto ele‐ gante" credo fotografi molto bene l’amina di questo cipres‐ so. Un albero che accarezzato dal vento danza nell’aria come "una dama antica". Ma il lavoro per nostra fortuna non finisce qui, un vaso più adeguato e una modellatura più dettagliata dei particolari mi regaleranno a breve un altro giro di danza con la vecchia dama. © RIPRODUZIONE RISERVATA


ph Š Marco Cenci


L

'esposizione dei bonsai ha il compito di mettere in risalto e far emergere tutta la bellezza del bonsai. I giapponesi consi‐ derando i bonsai rappresentanti della divinità. L'esposizione nel tokonoma mette in rilievo la cultura giapponese. Per molti giapponesi l'esposizione rappresenta perfino la prova del livello culturale e formativo dell’espositore. Ne scaturisce che è necessario cono‐ scere la cultura giapponese e i suoi va‐ lori estetici per una perfetta e impeccabile esposizione in tokonoma. Esporre in Giappone è un’arte

che serve ad esaltare le varie arti, una delle scuole più importanti è quella del M. Ichiu Kataiama. La scuola di Keido che si rifà allo spirito tradizionale come praticato da Sen.no Rikyu. Una pianta diventa bonsai solo quando è posta su un tavo‐ lino in una esposizione. Implica questo il concetto di rispetto e riconoscimento di "autorità" che va tributato a una pianta matura e degna del nome bonsai. L'essenza dello studio dell'espo‐ sizione è in una "padronanza della bellezza dello spazio". Contemplare bonsai e suiseki,

principalmente se esposti nel tokono‐ ma tradizionale, significa considerare la sacralità della natura, ed esserne completamente partecipe. I propositi dell’esposizione. Gli intenti di una Bella esposizione sono: 1 ‐ Creare un legame tra: il proprio stato mentale, e l'espressione dei propri sentimenti e filosofia. Vedere come la pianta negli anni si è modificata nello stile. 2 ‐ Tempo per riflettere sui propri pro‐ gressi. Vedere i cambiamenti nella tecnica. Vedere la transizione della propria filosofia bonsai o suiseki.


I PARTE

DI

3 ‐ Diventare amici e ospiti con stima e cordialità. TIPI DI ESPOSIZIONE HIRAKAZARI (SEKIKAZARI ‐ Esposizio‐ ne su tavola piatta) ‐ Sistemazione di due o tre o più esposizioni su di una larga tavola piatta. Questo tipo di esposizione de‐ riva dal Tokokazari, poiché, con il tempo, sempre più gente s'interessò al Bonsai. All’inizio furono tenute mostre più ampliate, benché private. Ripiani bassi uniti posti sul pavimento vicino ai lati delle pareti della stanza erano siste‐

mati per la larghezza e su di essi un tessuto blu per esposizione. Le mostre erano ammirate da persone sedute sul pavimento. Date le circostanze, i rotoli non erano usati per le difficoltà di appenderli. Finalmente quando il Bonsai iniziò a divenire una passione per persone mene ricche, si tennero mostre pubbliche, e i ripiani furono innalzati su alti tavoli per ricevere il largo nume‐ ro di visitatori che venivano a vederli. Si noti come nel sekikazari non sono appesi i rotoli. TANAKAZARI (HAKIKAZARI) ‐ Esposi‐

ANTONIO ACAMPORA

zioni a "ripiani". L'esposizione a menso‐ le dovrà eliminare il senso d’imprigionamento che fa di Hakikaza‐ ri (a 5 soggetti) il più difficile da ottene‐ re. Questa termine è usato per le esposizioni di shohin. All’inizio le piante erano mostrate esclusivamente nei cofanetti cinesi da mostra. E' abitu‐ dine considerare dei contenitori come una rappresentazione di un rilievo geografico. In questo schema, specie di alta montagna, pini, abeti, ecc. sono posti in cima, e le piante di pianura so‐ no poste nelle mensole più basse.


Esempio di esposizione di Sekikazari

L’esposizione su tavolini multipli deve essere fatta in modo da riprodurre, l’ambiente naturale che ci circonda. Quindi in cima la montagna più importante e "lontana", poi altri elementi del paesaggio che possono essere, cascate, capanne, figure umane ed animali, pozze d'acqua, barche... con inserimento anche di elementi verdi. SOSAKUKAZARI ‐ Sosaku significa "creare". L'esposizione creativa è un modo molto recente e molto libero di siste‐ mare i Bonsai e i suiseki. Può essere usato per sviluppare un tema, creare uno stato d’animo o rappresentare una scena. Per esempio, fabbricare una larga impalcatura dalla sagoma di una montagna, drappeggiata di tessuto su cui mostrare molti mame bonsai, che saranno posti secondo l'habitat naturale delle varietà esposte. TOKOKAZARI ‐ Il tokonoma è un universo immaginario posto all'interno di una casa per godere della grandezza della natura in forma di microcosmo. In origine nella capanna giapponese, fu progettato contro il lato di una parete un pagliericcio, dove dormire, un po'sollevato in modo da non avere le conseguenze insalubri dell'umidità e di parassiti e animali. Quindi il talamo rimane come un punto prediletto nella mentalità giapponese: la porzione migliore della casa. Ancora oggi il tokonoma è un luogo preferito dove riporre le cose più rilevanti della famiglia. Con il passare del tempo il tokonoma è diventato il luogo di esposizione dell’essenza divina e delle sue rappresentazioni. Ed è quel capolavoro di quel disequili‐ brio, di asimmetria e al contempo di armonia, che solo con un profondo studio di questi elementi ed un intimo cambiamento del proprio lo, che si può giungere ad un'armonia differente che è una decisa contrapposizione con la nostra tradizione di equilibrio, di armonia di simmetria. Solo nel XX° secolo sono stati accettati i bonsai nel tokonoma, proprio per la presenza della terra, una co‐ sa corruttibile, deteriorabile, sporca, incompatibile con la formazione scintoista. Nell'epoca di guerre interne del Giappone, il


territorio era diviso tra vari feudi in continua lotta tra loro, a capo vi era un Damyo, un signore della guerra che vi‐ veva in una fortezza. Nel luogo più interno, protetto e inaccessibile del ca‐ stello, vi era la sua stanza da letto, e il letto stesso, formato dal TATAMI di 186 x 90 cm, era rialzato rispetto allo spazio attiguo. In questa nicchia rialzata, egli riceveva i propri sottoposti e li ascolta‐ va da questa posizione rialzata. Questo spazio si chiamava TOKONOMA. Quando egli era lonta‐ no, lasciava appeso in questo spazio un rotolo recante una scritta, uno JIKU o scroll, e di fronte a questo rotolo si raccoglievano i suoi aiutanti, la sua fa‐ miglia, e i sudditi, proprio come se lui fosse presente. Questo era lo spazio più sacro dell'intero feudo. Più tardi, in epoca Edo, sotto lo shogunato con l'obbligo dei Damyo a risiedere nella capitale, solo che l'assenza del feudata‐ rio lo rese uno spazio vuoto ed es‐ senzialmente rappresentativo, ove lo scroll raffigurava la volontà e il potere del Damyo espresso a distanza. A volte vi era il suiseki che egli prediligeva, o una sua veste o armatura, una ceramica o altro. Con la fine dello shogunato

nel 1834, il TOKONOMA viene a rappresentare l'Imperatore, anch'esso raffigurato nelle case benestanti di no‐ bili, commercianti e imprenditori. Questo ci permette di capire come nel Tokonoma vi sia un ordine gerarchico d’importanza e delle regole precise, derivate da più di 500 anni di storia. Difatti al suo interno, l'ele‐ mento più importante è lo SCROLL, assolutamente indispensabile, seguito nell'ordine dal SUISEKI, dall'IKEBANA, dal TENPAI, dal BONSAI e per ultimo dal KUSAMOMO. Pertanto se voglia‐ mo esporre un bonsai, all'interno di qualunque spazio che non sia esatta‐ mente un TOKONOMA formale, come lo spazio informale (sekikazari) non sa‐ rà accettabile esporre né scroll, né SUI‐ SEKI, né TENPAI. Questi oggetti fanno parte, infatti, ad un livello gerarchico superiore rispetto al bonsai, ed esso non sarebbe più il protagonista dell'esposizione bensì un complemento di secondo piano. Le due erbe di compagnia più idonee a qualsiasi occa‐ sione sono il bambù di varietà nane ed il muschio. Esse possono essere usate tutto l'anno, poiché con le loro varia‐ zioni di colore e la presenza di gemme o foglie secche, sono capaci di espri‐

mere ogni stagione. Pure i tavolini in bambù o in legno lavorato a bambù sono adopera‐ bili tutto l'anno, a patto che il piano di appoggio sia in legno liscio. Sono da evitare le piccole basi in bambù o cannucciato, e tavolini con il ripiano in bambù, in quanto raffigurano le vecchie canne che galleggiano sull'acqua dei laghetti in estate, e quindi sono usati solo in estate per esprimere frescura ed umidità di laghi o fiumi. Le erbe che fioriscono vanno usate solo al momento della fioritura, come non si possono utilizzare in nes‐ suna stagione erbe secche, e tutte le erbe inadatte al mochicomi che confe‐ risce la sensazione della vecchiaia. TOKO‐NO‐MA: significa lette‐ ralmente spazio e tempo (ma) del (no) giaciglio (toko), un concetto di spazio, tempo indefinito, che riposa su se stes‐ so. “Toko” significa altresì una piccola area verde destinata alla semina, alla coltivazione. Quindi si comprende co‐ me il tokonoma possa essere conside‐ rato anche il luogo della coltivazione di sé, uno spazio “consacrato” dove non è permesso camminare o sedere. Spazio caratteristico dell’architettura giappo‐



nese, senza uguali in altri paesi. Si tratta di una nicchia, di un’alcova, rica‐ vata in una parete della stanza princi‐ pale della casa, di dimensioni varie secondo gli stili; generalmente è pro‐ fonda 90 cm e larga 180 cm, le di‐ mensioni di un tatami. Vi è appeso un rotolo con un dipinto, generalmente legato alla stagione, o una calligrafia, e vi è collocata una composizione d’ike‐ bana o un bonsai, talvolta un oggetto di particolare bellezza o valore. Il pavi‐ mento del tokonoma (jodan) è rialzato rispetto al pavimento della stanza, per permettere una giusta visione dello spazio e di ciò che vi è contenuto a chi sia seduto nella tradizionale posizione giapponese (seiza) sui tatami della stanza stessa. La soglia può essere grezza o rifinita con cura, ma anche quando è ben squadrata, può conservare qualche superficie naturale nelle curvature del tronco da cui è stata sbozzata e che era stato scelto proprio per questa caratteristica (un’imperfezione” che spesso i nostri carpentieri considererebbero un di‐ fetto!). Il pavimento del tokonoma è di solito lucido; spesso se è spazioso è ri‐ coperto da un tatami, orlato in genere da una fettuccia bianca. Nelle case delle autorità i tatami erano orlati di fettuccia nera. Il pilastro della parete di sinistra è un tronco d’albero, semplice‐ mente scortecciato, detto tokobashira. E’ quasi sempre un tronco d’albero al naturale o privato solo della corteccia ed è molto più apprezzato se è contorto o con venature elaborate, o se presenta nodi o protuberanze. Nel punto in cui la trave superiore si unisce al tokobashira, sono usati chiodi con la capocchia ornamentale, chiamati kaza‐ rikugi, spesso in metallo minuziosa‐ mente cesellato in varie forme tratte dal mondo naturale o dal repertorio tradizionale. Talvolta di fianco al toko‐ noma si può trovare un’altra nicchia detta chigaidana, (chigai significa "differente", e dana significa "ripiano" perché i ripiani sono alternati. Viene chiamata anche usukasumidana, cioè "ripiani a forma di bruma": i ripiani, in questo caso, sono collocati nel modo con cui l'arte giapponese rappresenta tradizionalmente in forma semplificata la bruma o le nuvole) che contiene uno o più ripiani alternati e di solito sormontano un ripiano continuo chiu‐ so da sportelli scorrevoli. Quando c'è

un unico ripiano, la nicchia è chiamata ichiyo¬dana ("un solo ripiano"). Quando il bordo libero in fondo al ri‐ piano del chigaidana ha una cornice, o una parte rialzata, il ripiano si chiama makimonodana. È quello su cui si tengono i rotoli dipinti in orizzontale, detti makimono, e il copricapo da ceri‐ monia. Nelle case della nobiltà, sopra l'armadietto era posta anche una tavo‐ letta di legno detta shaku, oggetto che in passato i nobili portavano al co‐ spetto dell'imperatore per prendere appunti, ma più tardi è sopravvissuta solo come espressione del cerimoniale di corte. Anche il supporto della spada potrebbe trovare posto sopra l'arma‐ dietto. In onore ad ospiti influenti, il supporto con la spada veniva collocata nel tokonoma, al posto d'onore, ossia al centro, davanti al dipinto appeso. Nei dettagli del chigaidana viene evitata quasi sempre la simme‐ tria. È infrequente trovare due case che abbiano il chigaidana con ripiani e armadietti disposti nello stesso modo. Spesso il tramezzo che separa i due spazi ha un’apertura ornamentale che si presenta come una finestrella, chiusa o meno da una grata, spesso di bambù. Le tipologie del tokonoma e del chigai‐ dana sono in realtà molto varie. Di so‐ lito le due nicchie sono disposte perpendicolarmente alla veranda, ma può esservi anche solo il tokonoma. Nell'abitazione di un nobile, il tokonoma era molto più spazioso del vano attiguo, che in questo caso era vi‐ cino alla veranda; il chigaidana era piccolo e poco profondo, e gli spazi sotto i ripiani erano chiusi da pannelli scorrevoli che formavano armadietti a muro. Questo rimane in ogni caso lo spazio più importante, tanto che l’ospi‐ te di maggior riguardo viene fatto sede‐ re vicino ad esso, di spalle, quasi incorniciato da tale preziosa visione, mentre l’ospite di minor riguardo occu‐ pa lo spazio vicino al chigaidana. La nascita e l’evoluzione del tokonoma sono strettamente correlate all’uso di esporre un rotolo dipinto o una calli‐ grafia. A rilevare l’intimo legame esteti‐ co e funzionale tra lo spazio e l’opera appesa è indicativo un particolare co‐ struttivo. La parte superiore del toko‐ noma, a 50 cm. circa dal soffitto, è attraversata da una trave ben rifinita, che nasconde agli occhi di chi è seduto

il chiodo cui è appeso il rotolo. Il toko‐ noma quindi occupa un posto di rilievo per comprendere il “ma”, il complesso concetto di spazio della cultura giapponese. E Tanizaki nel “Libro d’ombra” si domanda se il tokonoma “…una nicchia colma di nulla e di buio…” non contenga la chiave per penetrare nel segreto dell’Oriente. Ge‐ neralmente il tokonoma s’incontra entrando nella casa, dopo aver attra‐ versato la veranda, riparata da una tettoia, su cui si affacciano gli shoji, (porta scorrevole che separa l’interno dall’esterno della casa, costituita da un graticcio di legno rivestito con carta di riso). Il tokonoma è uno spazio privo di evidente funzionalità pratica; fa parte della stanza di soggiorno, dove scorre la vita quotidiana col suo rumore e il suo tempo, ma ne è separato; il suo pavimento infatti è rialzato e diffe‐ rentemente rifinito rispetto a quello del soggiorno. E’ uno spazio limitato in cui non si può sedersi o sostare, che tutta‐ via immette in una dimensione priva di limiti, in cui l’azione è sospesa per fa‐ vorire la concentrazione e la contemplazione. Silenzioso, ma non immobile; al contrario, uno spazio vi‐ vo, in cui il legame profondo con il re‐ spiro della natura si manifesta concretamente, nella scelta dei fiori per l’ikebana e del kakemono che di volta in volta si accordino alla stagione, alla ricorrenza o alla festività del momento. La disposizione degli elementi nello spazio obbedisce ad un criterio estetico di raffinata essenzialità. Nella casa del tè, di fronte al tokonoma non esisteva differenza tra daymio, samurai e gente comune. Al centro dell’attenzione era posto qualcosa di più importante dell’ego dei partecipanti alla cerimonia. E’ importante che gli oggetti nel tokono‐ ma abbiano la patina del tempo, abbiano una storia perché il tokonoma è anche luogo dove si coltiva e si mantiene viva la memoria. Sono pre‐ sentati uno alla volta perché ciascuno di essi possa essere ammirato nella sua unicità. L’incontro con un bonsai, un fiore, un essere, può realizzarsi se non c’è sovrapposizione, se si lascia uno spazio vuoto e un tempo di silenzio in cui cogliere la vita propria delle cose. © RIPRODUZIONE RISERVATA









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U

na realtà in profondo mu‐ tamento come quella giapponese del periodo Meiji (1868‐1912), una fa‐ miglia di Tokyo come tante, un felino che studia con attenzione ogni cosa attorno a sé per poi darne un'opinio‐ ne: se Natsume Sōseki non fosse il grande scrittore che è, Io sono un gatto avrebbe potuto assumere con facilità i tratti di un divertissement dal sapore paradossale. E, invece, que‐ st'opera è unanimemente ritenuta uno dei maggiori romanzi della letteratura nipponica dello scorso secolo, tuttora amata da milioni di lettori per la fre‐ schezza che emana e la capacità di rievocare in modo vivido e godibilissi‐ mo un mondo scomparso con i suoi riti quotidiani, le aspre maldicenze, le sottili ambiguità, le piccole e grandi speranze per il futuro. Grazie allo sguardo limpido e penetrante del gatto protagonista (nonché narratore) emergono in su‐

perficie azioni e comportamenti degni di una tragicomica commedia umana, priva di qualsiasi alone eroico: anzi, più i personaggi si sforzano d'apparire distinti e raffinati (come il proprietario della bestiola, un intellettuale insulso eppure pieno di sé), più si mostrano ridicoli e mossi da interessi meschini. Sornione e acuto, l'animale assomiglia per certi versi a un maestro zen; osserva, riflette, prende co‐ scienza della vera essenza delle vi‐ cende degli uomini e se ne distacca ricorrendo alle due armi del saggio per eccellenza, l'ironia e la lucidità. Così facendo, con la massima natura‐ lezza, il felino impartisce una lezione tanto fondamentale quanto difficile da attuare: saper sorridere di noi stessi e della nostra fragile, contraddittoria umanità.

IO SONO UN GATTO NATSUME SOSEKI BEAT € 9,00

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HITOSHI'S WORLD


photo Š Hitoshi Shirota




FAMIGLIA: PINACEAE GENERE: PINUS NOME COMUNE: PINO NERO GIAPPONESE Il Pinus thunbergii è senza dubbio tra le migliori specie utilizzate nella pratica bonsai; questo pino prende il nome dal dottor Carl Peter Thunberg, botanico ed entomologo svedese autore di un trattato sulla botanica giapponese. Questa specie è stata a lungo considerata da molti come il "re" tra i bonsai

I

Il pino nero, albero molto vigoro‐ so, viene comunemente coltivato in Giappone; ha aghi spessi, scuri e verdi, fino a 5‐7 centimetri di lunghezza sostenuti in gruppi di due. Sebbene questi aghi siano piuttosto lunghi, le dimensioni possono essere ridotte, con l'uso di tecniche di po‐ tatura bonsai. Il P. thunbergii tollera condizioni di crescita estreme come terreni sassosi e poveri. TECNICHE DI MODELLATURA ‐ L'idea di base di questa tecnica è quella di bi‐ lanciare le aree di crescita della pianta in modo da distribuire in modo equi‐ librato lo sviluppo.

Iniziare a concimare il vostri pini entro la metà di marzo in modo blando e a cadenza settimanale. Dalla fine di aprile alla metà di maggio, quando le candele hanno cominciato ad allungarsi, ma prima che gli aghi singoli appaiano, esaminare il vostro pino con attenzione per determinare la sua forza complessiva. Se l'albero ha una crescita debole, non procedere con il piano di riduzione dell’ago: in questo caso continuare a concimare, esporre la pianta al sole, rinvasare in un contenitore più grande per un anno o due per ripristinarne il vigore. Se si è soddisfatti della cre‐ scita della pianta e che un certo nu‐


MEKIRI Nel mese di giugno si pinzano i rami del p. thunbergii; questo è utile per riequilibrare la forza dei rami e viene fatto sulla vegeta‐ zione dell’anno; se le candele si sono aperte contemporanea‐ mente, pinzeremo in una sola volta lasciando un piccolo moncone alla base della nuova vegetazione. Sarà pinzata prima la vegetazione meno forte; ridurremo il numero degli aghi dei germogli più vigorosi per indebolirli. Quando i germogli meno forti inizieranno a muoversi allora accorceremo quelli della zona apicale. Dopo la pinzatura bisogna rimuovere il concime per evi‐ tare di bruciare i germogli e per evitare che la seconda vegeta‐ zione non si allunghi oltremodo. Alla fine di giugno, quando gli aghi delle candele nuove sono completamente aperti, la pianta è pronta per il passo successivo. Con gli alberi più giovani, tutti i nuovi germogli do‐ vrebbero essere tagliati completamente, tutti allo stesso tempo, lasciando solo dei piccoli monconi per evitare un ritiro di mette‐ rebbe il ramo a rischio di morte. Con piante più mature, dove i rami sono già in posizione e sono cresciuti alla loro lunghezza ideale, lasciare intatti i germogli più deboli; eseguire la scandelatura dei germogli più forti della parte bassa della pianta. Attendere circa una settimana /dieci giorni e poi rimuovere tutti i germogli più lunghi nella zo‐ na centrale della pianta. Infine, dopo una settimana/ dieci giorni, tagliare tutti i germogli rimanenti intorno alla parte superiore dell'albero e alle punte delle superiori. Dopo poche settimane, alla base del moncone lasciato dopo la pinzatura, si sviluppe‐ ranno le nuove gemme che daranno seguito alla seconda germogliazione. A questo punto continuare solo con la vostra cura estiva fino alla parte successiva del progetto. A metà agosto si inizierà a vedere diversi nuovi germogli che si formano su tutti i rami in cui è stato rimosso il germogli nel mese di giugno e l'inizio di luglio. All'inizio di settembre rimuovere tutti i nuovi germogli, tranne due per ogni estremità del ramo. Mantenere i più quasi sull'orizzontale e su lati opposti del ramo. A questo punto andare avanti con la concimazione au‐ tunnale dei vostri alberi fino a quando è quasi ora di metterlo in protezione invernale. Due settimane dopo che le caducifoglie hanno perso le foglie, poco prima di mettere i pini in rimessaggio invernale, è tempo per la prossima parte della formazione. Da questo mo‐ mento in poi fino ai primi di gennaio, è necessario strappare (o tagliare corto, lasciando solo la guaina dell'ago) tutti aghi di tre anni di età. I Pini neri di solito mantengono aghi per circa tre anni


mero di candele si sono allungate oltre i 3 cm, spezzare a circa 2 cm le punte più lunghe. Quindi posizionare la pianta in un luogo soleggiato, irrigare e concimare fino all'inizio dell'estate. nella lavorazione del pino è es‐ senziale equilibrare il vigore della pianta anche perché esso ha una forte crescita all’apice e all’estremità dei ra‐ mi. In primavera le candele si allungano producendo i nuovi aghi; a questo punto è necessario accorciare le candele per riequilibrare il vigore della pianta. Sui rami più deboli le candele saranno le ultime ad aprirsi e normalmente non verranno accorciate; nella zona intermedia le candele ritarderanno la loro apertura formando aghi non troppo lunghi; nella zona apicale, le candele saranno le prime a svilupparsi. Le candele della zona forte saranno accorciate ad un terzo, quelle della zona media della metà. Attendere fino alla fine di giu‐ gno e iniziare la parte successiva dello sviluppo. ESPOSIZIONE ‐ I pini in generale e il pino nero giapponese in particolare tollerano esposizioni in piena luce; inoltre una buona circolazione dell’aria garantisce una crescita ottimale ed una buona resistenza all’azione dei patoge‐ ni. IRRIGAZIONE ‐ Il Pino T. preferisce avere l’apparato radi‐ cale costantemente umido rispetto alla maggior parte degli altri pini che prediligono un terreno asciutto. SCELTA DEL VASO ‐ La scelta del vaso dipende, es‐ senzialmente, dal peso ottico della pianta. Un pino ne‐ ro, essendo una conifera, per la caratteristica della sua corteccia fessurata e per la sua possanza, dovrà essere abbinato ad un vaso lineare con superficie grezza scura antracite o marrone, mai smaltata (in gres naturale); maggiore sarà la forza di questa conifera più scuro sarà il colore del vaso.

VARIETÀ DI PINO NERO I pini neri possono essere classificati in tre categorie: Nishiki, quelle che hanno una evidente corteccia fessurata; Yatsubusa, le varietà ad ago corto; e Seedling, quelle coltivate partendo da seme: tra queste una delle più apprezzate è la varietà Mikawa. Questo pino è noto per la sua corteccia fessurata e colore bluastro; buone varietà Nishiki includono Gekka Yatsubusa, apprezzata per le gemme che arretrano abbastanza facilmente e Katsuga il cui tronco incecchia velocemente ed ha aghi di un intenso verde scuro. Le varietà Yatsubusa includono Ban‐Sho‐Ho con i suoi aghi corti e spessi, e Koto‐Buki che è ampiamente coltivato in Giappone.






RINVASO ‐ I pini neri vanno rinvasati in primavera appena prima che le gemme iniziano a gonfiarsi; il substrato deve esse‐ re formulato in modo da avere ben presente due condizioni: una elevata durezza e resistenza alla degradazione, perché la crescita e lo sviluppo radicale nel pino nero è molto forte e continuo; un perfetto drenaggio, caratteristica imprescindibile per una buona coltivazione. Uti‐ lizzeremo perciò uno strato di pomice di media granulometria sul fondo del vaso e, poiché la composizione del terriccio varia in relazione al grado di forma‐ zione della pianta, per piante in coltivazione useremo una mi‐ scela composta da kiryu (60%), pomice (15%), zeolite (15%), carbone attivo (5%) e lapillo vulcanico (5%); per piante in ri‐ finitura utilizzeremo una miscela composta dagli stessi compo‐ nenti e relative percentuali ma con granulometria inferiore (da 2 a 5 mm). Piante giovani pos‐ sono essere rinvasate ogni due o tre anni almeno, mentre pini più maturi anche ogni quattro/sei anni. In fase di rinvaso è molto importante ricordare che il pane radicale non va completamente rimosso, ma si tende a mante‐ nere parte della zolla per la pre‐ senza di ectomicorrize simbionti. © RIPRODUZIONE RISERVATA



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