Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio - Febbraio 2014

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BSM ‐ Anno VI n. 1 ‐ Gennaio/Febbraio 2014

CONTRIBUTORS Fabio Canneta, Stefania Cornario, Gian Luigi Enny, Stefano Frisoni, An Hojo, L., Mario Pavone, Rossana Peritore, Luca Ramacciotti, Anna Lisa Somma, Umberto Scognamiglio

IN COLLABORAZIONE CON

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BONSATIREGGIANDO

1

1

2

2

3

4

4


SOMMARIO

EDITORIALE

14

Antonio Ricchiari Editoriale

24

SECRET WORLD

16

Fabio Canneta Segni

DAL MONDO DI

BSM

24

Gian Luigi Enny Che cos'è un giardino zen? II P.

28

Stefano Frisoni Bonsai Express 2.0

32

Luca Ramacciotti Ikebana International

16 28

BONSAI 'CULT'

42

Antonio Ricchiari Il tempo ed il bonsai

IN LIBRERIA

47

Antonio Ricchiari Mai dire Bonsai

32 42


SOMMARIO

LA MIA ESPERIENZA

48 54

Rossana Peritore La ragazza dei sette veli

A LEZIONE DI SUISEKI

62

88

Mario Pavone Le due ballerine

& CO.

Luciana Queirolo Suiseki. Forma&Colore

L'OPINIONE DI...

77

1

Pietro Strada Antonio Ricchiari

OGGI PARLIAMO DI...

88

9

Antonio Acampora Bunjin. L'esaltazione dell'essenzialitĂ

48 54

77 62

1 1


SOMMARIO

IL BONSAINAUTA

96

L. Ak. è il primo allievo...

DALLE PAGINE DI

98

BONSAI&NEWS

98

An Hojo Esposizine di Bonsai Shohin

A SCUOLA DI ESTETICA

104

Antonio Ricchiari Lo stile. Visione stilistica del bonsai contemporaneo

IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

108 115 116

Stefania Cornario Mederu

118 96

Anna Lisa Somma La poesia delle piccole cose Hitoshi Shirota Hitoshi's World

L'ESSENZA DEL MESE

118

Umberto Scognamiglio Kaki

115 108









A

nche per l’Oriente l’inizio del Nuovo Anno è profondamente celebrato e pieno di signifi‐ cati. In Giappone è tradizione rendere omaggio alle divinità, chiedendo ad esse fortuna e successo per l’anno appena iniziato. Il fervore dei preparativi inizia negli ultimi giorni di dicembre con una accurata pulizia della casa, susuharai, un vero e proprio rituale che ha lo scopo di rendere l’ambiente atto ad accogliere il passaggio delle divinità. Le esposizioni che accolgono il Nuovo Anno propongono oggetti della tradizione, sono di piccole dimensioni e di fattura raffinata, con colori vivaci e ricchi di simbologia al fine di ottenere buoni auspici. Queste composizioni sono di Pino (kado‐ matsu), di pigne di riso intrecciate (shimenawa), carta tagliata e incisa che forma decorazioni e disegni (kiri‐ gami) nelle più svariate forme secondo una tradizione locale. In cucina si preparano cibi tradizionali come le polpettine di riso pestato (kagami mochi), come offerta rituale da regalare a parenti e amici, da gustare in fa‐ miglia. Alla mezzanotte del 31 dicembre centotto rintocchi delle campane dei templi buddhisti risuonano aspettando l’alba del Nuovo Anno. Si visitano allora i templi shintoisti per ricevere la benedizione dei kami. Le tradizioni occidentali che conosciamo bene e che viviamo sono altrettanto significative e piene di phatos. La tradizione cristiana, con la nascita del Cristo, è un rinnovarsi (per chi la possiede) di una fede che, probabilmente, ci conforta in un periodo partico‐ larmente critico e difficile per tutti. E mi piace e mi conforta credere che esiste un Dio di tutti gli uomini, un Dio di questo nostro Pianeta martoriato dalla follia dell’uomo. L’augurio per tutti gli uomini, al di là di razze e di di‐ versità, per tutti quegli uomini che la tradizione cristia‐ na chiama “di buona volontà”, è quello di trascorrere un 2014 sereno e con il dono incommensurabile della salute. A voi, cari amici che ci seguite, un “BUON BONSAI E UN BUON SUISEKI!”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


Tratti incerti ricercano l’essenza dell’immagine guidati da linee che fuggono il centro per estendersi nell’infinito immaginato.

di Fabio CANNETA



Onde gentili accarezzano il prato disegnando volute che cavalcano il bianco tappeto.




Curve rincorrono il buio e la luce il vuoto e li pieno incuranti di spine accuminate. Oro di spighe cercano il sole in un mare ondeggiante che sembra tempesta.


Ognuno di noi cerca i propri SEGNI e questi segni rendono unica la nostra ricerca delle forme.


IL TRATTO E’ INCERTO MA LA VIA E’ SICURA


Giardino Zen?

(SECONDA PARTE) Tsukiyama, collina giardino

N

ei giardini zen, come già ripetuto più volte, la pietra è l'ele‐ mento principale; ci sono tre tipi di giardini zen, lo Tsukiya‐ ma o collina giardino, il Karesansui o giardino secco e la Chaniwa o giardino del tè. Tutti questi giardini includono rocce. L'idea del giardino zen è la semplicità del design, qui viene aggiunta la dignità e la grazia che si trova nei giardini classici giapponese. Tutti gli oggetti collocati nel giardino simboleggiano qualcosa, ad esempio le rocce rappresentano un senso di autorevolezza e di illusione o più semplicemente può simboleggiare un senso di tranquillità a se‐ conda della forma della pietra e dello stato d’animo di chi osserva. Sono


state codificate dai maestri giardinieri cinque classi di forme delle pietra: la taido che è una roccia verticale alta,la reisho è bassa orizzontale la shigyo è arcuata, la shintai è piatta e la kikyaku è inclinata. Ogni forma è scelta con cura ed è in grado di creare una concezione esaltata della natura, insieme con la sensibilità artistica del maestro giardi‐ niere. Tutti i giardini zen se ben realizzati,

dovrebbero riuscire a fornire un luogo di ri‐ flessione e contemplazione, questi giardini devono essere realizzati con rocce e molta ghiaia che viene attentamente rastrellata con linee rette e, in forma circolare attorno alla pietra, creando in questo modo una specie di atollo in mezzo al mare. E’ comunque importante, se possibile, osservare questo genere di giardino da diverse angolazioni, permettendo alla mente di mettere a fuoco,


3 1. Karesansui. Giardino secco ‐ 2. Le rocce dal colore uni‐ forme dovranno essere raggruppate in numero dispari e ben conficcate nella ghiaia

così da comprendere l’importanza di tutto l’intero complesso. Il contorno di questo spazio roccioso è importante che venga delimitato, può trovarsi accanto a un giardino fiorito o all’interno di un giardino classico, come già detto, aggiungete una comoda panca che vi servirà per rilassarvi e vi aiu‐ terà nella contemplazione, inoltre avrete un buon punto d’osservazione leggermente sopra il vostro giardino zen. L'area composta dalla ghiaia dovrà essere rastrellata di tanto in tanto per mantenere i detriti fuori da esso, ma soprattutto servirà a dare


3. In questa immagine si possono trovare tutte le forme di rocce codificate da utilizzare nel giardino zen ‐ 4. Ghi‐ aia accuratamente rastrellata

l’impressione del movimento di onde o torrenti, vi‐ sto che in questo tipo di giardino l’acqua è bandita. Un giardino zen durerà tutta la vita, pertanto scegliete un luogo il più tranquillo possibi‐ le. Le rocce dovranno avere un aspetto naturale non lavorate con utensili moderni, ma solo dal vento e dall’acqua e con colori moderati e uni‐ formi, possibilmente affondate di circa un terzo nella terra, il tutto raggruppate in numero dispari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA




I

l BONSAI EXPRESS nasce dalla voglia di condividere con gli amici, geograficamente vicini e lontani, la passione per i bonsai in un periodo estivo dove ci si allontana e ci si perde di vista. Si tratta di una chiacchierata serale, una semplice disquisizione sui lavori di stagione da effettuare nei propri giardini. Ci si confronta sulle problematiche della colti‐ vazione o dell’ impostazione. Man mano che il gruppetto di amici cresce, si so‐ no aggiunti al Bonsai Express una serie di ospiti famosi che

hanno alle spalle un esperienza bonsaistica che dura da tempo, vincitori di mostre e concorsi, ma al tempo stesso desiderosi di insegnare ai nuovi appassionati i segreti della loro arte. Per questi maestri il BE è un occasione per far cono‐ scere, non solo le loro opere che già si vedono sulle riviste o alle mostre, ma è anche l' occa‐ sione per svelare ai nuovi appassionati i loro stili di colti‐ vazione. Attraverso la chat si fanno domande e si ottengono numerosi consigli per migliorare le proprie conoscenze. Il BE


GIORGIO CASTAGNERI organizzato in modo semplice e spontaneo, diventa quindi uno strumento utile ed apprezzato da molti, da voce alle opinioni di tutti cercando di unire e di valorizzare il bonsai‐ smo italiano fatto di grandi talenti e di tanta professionalità. Inoltre, mette in mostra la voglia di crescere e di confrontarsi per continuare ad essere apprezzati in europa e nel mondo. Il bonsai è un arte sempre più diffusa in Italia e

Bonsai Express ci impegna ad aumentare il livello artistico di chi lo pratica. Ora i due conduttori Stefano Frisoni e Claudio Casadei hanno accettato un’altra sfida, quella invernale con BONSAI EXPRESS 2.0. Sarà rivoluzionato non poco la struttura e le modalità ma il concetto rimane lo stesso: di‐ vertirsi e imparare in compagnia. Gli annunci del Live verranno inseriti in queste pagine Facebook:

https://www.facebook.com/groups/claudi‐bonsai/?ref=ts&fref=ts https://www.facebook.com/frisonis e potete seguire qui su Youtube: http://www.youtube.com/user/Stefanobonsai/feed Allora a presto in Live e buon divertimento con Bonsai Express 2.0 !! © RIPRODUZIONE RISERVATA

ARMANDO DAL COL



I

kebana International è un’associa‐ zione culturale no profit dedicata alla diffusione e alla promozione dell’arte giapponese dell’ikebana. Nasce su idea di Ellen Gordon Allen nel 1956, il cui scopo era di creare un’associazione a li‐ vello mondiale che unisse le persone che amano questa arte. Attualmente dell’Asso‐ ciazione fanno parte più di 60 paesi e oltre 7,800 iscritti. Ikebana International non è una scuola di ikebana, e non è detto che per essere iscritti si debba fare ikebana, si può anche essere solamente interessati come

ad altre arti giapponesi (la rivista che Ike‐ bana International edita ha sempre di fondo articoli sulla cultura e i luoghi giapponesi). Chi studia ikebana sicura‐ mente qui vi troverà fonte di interesse dato che si vede non solo come operano le diverse scuole qui rappresentate, ma anche come vengono “trattati” i medesimi materiali con ikebana differenti per stile, forma e utilizzo del materiale vegetale stesso. Ci sono scuole strettamente tra‐ dizionali, altre all’avanguardia e altre ancora che si collocano nel mezzo.


Free Style. Scuola Ohara. Courtesy of Silvana Mattei

Le oltre cento scuole di ikebana hanno di‐ versissimi approcci a questa arte anche se alcuni canoni restano piuttosto immutati. L’Ikebana International offre l’opportunità attraverso i suoi collaboratori (tutti volontari) di far sì che le persone interessate abbiano una visione globale di questa arte attraverso la possibilità di partecipare a dimostrazioni, conferenze e workshop tenuti dagli insegnanti delle va‐ rie scuole. Presidente onorario è Sua Altezza Imperiale la Principessa Takamado, membro della famiglia imperiale giappo‐ nese.

Nel 1958 Jenny Banti Pereira (una delle massime artiste in questo campo) aveva fondato a Roma il secondo Chapter al di fuori del Giappone dell’Ike‐ bana International, ma nel corso degli anni questi aveva cessato la sua attività. Due anni fa la direttrice del Chapter di Milano, la signora Keiko Ando, propose al sottoscritto di fondare un Chapter romano data l’alta percentuale di persone che stu‐ diano quest’arte nella capitale italiana. Secondo il regolamento dell’associazione era preferibile che a crearlo fossero alme‐ no due scuole di ikebana per cui mi rivolsi alle rappresentanti della scuola Ohara tro‐


vando in Silvana Mattei una valida soste‐ nitrice dell’iniziativa. Fare ikebana al di là del continuo studio, dell’esercitarsi è voler comunicare qualcosa (come tutte le arti), non fare sfoggio del proprio io per cui la base del Chapter romano è stato fatto nella più totale concordia e passione. Nel Chapter di Roma (recente‐ mente presentato durante una conferenza – dimostrazione al Museo Nazionale d’Arte Orientale 'Giuseppe Tucci' a Roma) sono riunite le tre più grandi scuole di ike‐ bana esistenti: Ikenobo, Ohara e Sogetsu. L’Ikenobo è la prima scuola in as‐ soluto di ikebana (ha più di 550 anni di

vita). Nasce come evoluzione della pratica buddista di offerta floreale sugli altari. Il suo Fondatore il monaco Senkei narra nel Diario Hekizannichiroku che nel 1462 egli stesso pose alcune deci‐ ne di rami e fiori in un vaso d’oro. L’Ike‐ nobo, nel XVI secolo, prevedeva lo studio di due diversi stili: Tatehana e Nageireba‐ na che venivano collocate in appositi spazi della casa riservati al culto. A partire dal XVII secolo, si svi‐ lupparono da questi due stili iniziali quelli che hanno caratterizzato la scuola Ikeno‐ bo: il Rikka e lo Shoka. La struttura del Rikka simbo‐


leggiava il monte Sumeru (o Meru), mitica montagna sacra per il buddhismo, e ne mo‐ stra sette caratteristiche rappresentate dai sette rami principali che nello Shoka sa‐ ranno ridotti a tre. L’attuale Maestro della scuola Ike‐ nobo Sean’Ei partendo da due stili tradizio‐ nali (Rikka Shofutai e Shoka Shofutai) ha creato altri due stili per adattare le compo‐ sizioni alla vita contemporanea e agli spazi abitativi attuali (rispettivamente Rikka Shinputai e Shoka Shinputai). La prima vera rivoluzione in questa arte si ebbe con la nascita della scuola Ohara durante il periodo Meiji (1868 – 1912) caratterizzato da una profonda tra‐ sformazione e mutamento della società e della cultura giapponese. Il suo fondatore e I° Caposcuola (Iemoto) fu Unshin Ohara che ideò il Mori‐ bana (letteralmente fiori ammassati), una forma che si sviluppava non più soltanto in altezza, ma anche orizzontalmente. Koun, il II Iemoto, seguendo la tra‐

Ikebana Sogetsu di Lucio Farinelli (Disassembling and rearranging the materials)

dizione del profondo sentimento di attenzione e di amore verso la Natura che permea tutta l’Ikebana Ohara ideerà il Moribana Paesaggio. La scuola Ohara segna un passaggio dall’ikebana classico seppur non scostandosi mai del tutto dalle tradizioni culturali e pittoriche del giappone come avviene per composi‐ zioni quali il Rimpa ed il Bunjin. Altri esempi di stili della scuola Ohara sono l’Hanamai, l’Hana‐isho e il recente Hana‐kanade. Se l’Ohara fu innovativa per l’ideazione del Moribana, il particola‐ re riferirsi alle pitture tradizionali, la creazione di paesaggi e l’attenzione davvero minuziosa alla natura la rivo‐ luzione totale nel campo dell’ikebana fu portata dalla scuola Sogetsu. La Scuola Sogetsu (lette‐ ralmente “Erba e Luna”) venne fondata nel 1927 da Sofu Teshigahara artista interessato al mondo moderno e fortemente influenzato dall’apertura delle frontiere del Giappone (Restau‐ razione Meiji 1868). Al motto "l'Ikebana fuori dal Tokonoma" si formarono le nuove tendenze per cui la rivoluzione cultu‐ rale portava a concepire l'Ikebana co‐ me un'arte scultorea. Nel 1930 venne proclamato il "Manifesto dei nuovi stili dell'Ikeba‐ na" in cui questa diviene una vera e propria arte evolvendosi in parte dai concetti filosofici che l’avevano ca‐ ratterizzata, ma soprattutto dalle re‐ strizioni nell'uso dei vegetali.


Classic Style. Scuola Ikenobo. Courtesy of Rikka Shofutai


Mankichi lanscape and kakemono. Di Silvana Mattei. Scuola Ohara


Free Style. Scuola Ikenobo. Courtesy of Rikka Shofutai


L’artista è libero di scegliere contenitori e forme imprimendo nell’ikebana la propria personalità. Il materiale vegetale diviene colore, materiale plasmabile e si va a perdere la visione fino ad allora espressa dell'Ikebana (le cui costruzioni anche tradizionali erano tutte artificiali) quale raffigurazione della Natura, resi‐ denza degli Dei; Sofu utilizzando nuo‐ vi materiali e tecniche innovative affermò che: l’ikebana poteva essere fatto da tutti in ogni momento, in qualsiasi luogo con qualsiasi materiale. L’ikebana Sogetsu è composto da linee, colore e massa e da qui si dispiega la possibilità di una creatività infinita. Sofu fu considerato un grande artista al pari dei suoi amici Picasso e Dalì e insignito di onorificenze tanto in Giappone quanto all’estero, innovatore in assoluto insegnò ikebana anche attraverso media quali la radio. I successivi Iemoto apportarono varianti nell’insegnamento della Sogetsu ideato da Sofu senza mai alterarne le nozioni tecniche di base. (Kasumi introdusse nell’ikebana il materiale dipinto e gli ikebana in miniatura, Hiroshi ideò grandi installazioni in bambù e portò l’ikebana a livelli di massima speri‐ mentazione creando stili che prevede‐ vano la presenza in contemporanea di più artisti quali il Renka e Akane che, recentemente, ha introdotto l’insegna‐ mento dell’ikebana anche presso i bambini). Il programma di insegna‐ mento della scuola, ideato per facilita‐ re l’apprendimento e l’insegnamento dell’ikebana si chiama Kakeiho e pre‐ vede due corsi di Moribana e Nageire per comprendere le dimensioni e lo spazio e durante i quali si affronta spo‐ radicamente lo stile libero e due corsi di stile libero concentrato su temi quali massa, linea e colore al fine di svi‐ luppare l’artista che è in noi. © RIPRODUZIONE RISERVATA


Ikebana Sogetsu di Luca Ramacciotti (Using both fresh and unconventional materials)



A

l contrario del concetto di tempo occidentale e moderno che ha una scansione lineare, in Giappone sopravvivono le vestigia di vita contadina. Per i giapponesi il tempo non è circolare, ma esiste una certa reiterazione o somiglianza di forme. L’assenza di una dimensione temporale si avverte nella stessa lingua giapponese, cosicchè ogni cosa è potenzialmente e contemporaneamente passata, presente o futura. Ci troviamo all’opposto del concetto di tempo lineare, che distingue le cose che sono avve‐ nute da quelle che stanno avvenendo, possono o do‐ vranno avvenire. Una scarsa linearità caratterizza il pensiero fi‐ losofico. Anche la storia appare priva di una destinazio‐ ne poiché non vi è nessuna vita futura, non esiste un secondo Avvento né una fine dell’universo. Siamo nella perfetta società esistenziale dove l’uomo esiste e l’unica cosa che conta è l’istante. Il presente svanisce costantemente, il mo‐ mento della fioritura dei ciliegi, della luna piena o delle

onde che si infrangono è sempre effimero: è il sogno di un istante che svanisce in tutta fretta. La periodicità dei riti, dei cambi d’abito e dei cibi, che oggi risalta così tanto nella televisione giapponese con i suoi motivi sta‐ gionali, ricorda ai giapponesi la ciclicità del mondo, con la primavera, l’estate, l’autunno e l’inverno. Ritmi delle stagioni che cambiano bruscamente trovano un riflessi anche nella più affollata metropoli giapponese: cogliere e sentire questi cambiamenti è molto importante per la maggior parte dei giapponesi. Il tempo varia nella qualità piuttosto che nella quantità. Può essere accelerato, rallentato o addirittura cancellato, come avviene nella cerimonia del tè, che impone agli ospiti di togliersi gli orologi prima di entra‐ re in uno spazio atemporale. Il tempo è vivo, non morto. I giapponesi lo dominano, anziché essere domi‐ nati. Al contrario degli occidentali nei quali si instaura una lotta contro il tempo e ogni ostacolo genera dolore e affanno. I superjet, i computers, i forni a microonde, le tecniche per leggere velocemente, il cibo già pronto sono tutti prodotti della preoccupazione moderna di



guadagnare tempo e velocità. L’elasticità o la relatività del tempo è una delle caratte‐ ristiche più straordinarie del tradizionale modo in cui il Giappo‐ ne si calcolava il tempo. Come avviene nelle culture tribali, il tempo letteralmente si espandeva e si contraeva. Non c’era nulla di equivalente alla settimana. La durata di un’ora era fles‐ sibile e cambiava nel corso dell’anno, in base alla stagione. Le concezioni giapponesi del tempo hanno diversi strati. In superficie possiamo trovare il tempo scandito dall’oro‐ logio occidentale (non dimentichiamo che l’introduzione degli orologi in Giappone fu un fatto complicato), ma poi troviamo il tempo delle stagioni, ritmico e magico. Esso è pieno di signifi‐ cati, non è morto, anche se – come avviene per qualsiasi altra cosa nel Sol Levante – non esiste separato dal resto. Gli alberi, la luna, i venti e le erbe sono tutti orologi che rallentano o accele‐ rano il tempo. I giapponesi non sono schiavi del tempo, lo gustano, lo assaporano, e lo usano. Ne creano per i loro scopi e raramente sembra che ne abbiano troppo (difficoltà ad annoiarsi) o troppo poco (nessuna tendenza all’ansietà). Visto l’uso ridotto del tempo passato nella lingua giapponese e i rigidi concetti di circolarità temporale, il passato fa parte del presente. Il passato è concepito come un unico contenitore in cui tutto esiste simulta‐ neamente e non è visto come un percorso ordinato verso il pre‐ sente. Vi è una sensazione di atemporalità che, attraverso l’invenzione di nuove tradizioni e una rapida dissimulazione della novità, dà alla gente l’illusione che poi non sia cambiato molto. Lunga premessa la nostra per potere inserire in questo contesto anche “il tempo del bonsaista”. Egli cura, conserva e promette in un certo senso l’eternità all’albero. Come influisce il rapporto del tempo sul bonsaista e come ciò sia causa‐effetto di determinati comportamenti: percezione del tempo, modo di vedere il tempo, interpretazione della vita attraverso i ritmi lenti della Natura? Il bonsaista ha un rapporto quotidiano con la pianta: i gesti semplici, misurati e lenti sono sapientemente dosati nel tempo. La progettazione degli interventi è diluita nel tempo, in un tempo vissuto al futuro, mai al presente. Il bonsaista ha tempi lunghi, vive al presente ed il passato è soltanto un vago ricordo di com’era la pianta e pertanto non va vissuto. Il bonsai è una lezione costante sul tempo: insegna a programmare ogni cosa, ogni atto attraverso le stagioni, gli anni. Un modo di vivere quo‐ tidiano senza angosce e assilli, di quell’incubo del tutto pronto e subito, dell’immediatezza di ogni cosa, dei risultati istantanei. Il bonsaista vuole gestire la sua pianta e non registrare il tempo: tuttavia la sua struttura di base è un calendario voluta‐ mente fondato sulla concezione del tempo quale progressione di eventi ordinati: il riposo vegetativo, il gonfiarsi delle gemme, la ripresa vegetativa, la fioritura, a fruttificazione e quant’altro. Secondo lo Zen il passato ed il futuro sono illusioni effimere e il presente è eternamente reale. La successione li‐ neare del tempo è una convenzione del nostro pensiero verba‐ le. Il vecchio e saggio maestro bonsai che programma lunghissimi interventi nel tempo, senza tenere conto della pro‐ pria età vive dunque al presente: V’è soltanto questo ora: non proviene da nessuna parte; non procede verso nessuna parte; non è permanente, ma non è non‐permanente; si muove, eppure è sempre fermo; quando cerchiamo di ghermirlo sembra fuggir via; eppure è sempre qui e non si può sfuggirgli. (Alan Watts, La Via dello Zen, Milano, Feltrinelli, 1971) © RIPRODUZIONE RISERVATA



N

ella quarta di copertina si legge: “Scritto dalla parte delle piante per conoscere le loro esigenze e curarle ri‐ spettando la loro natura”. Non capisco, trattandosi di verde in generale, il perché di un titolo tanto specifico centrato sul bonsai. Un titolo del genere mi fece sorgere qualche dubbio sull’acquisto del libro (titolo perentorio ed estremista!) ma tant’è, uno dei miei editori mi insegnò che bisogna leggere tutto. Se mai il si‐ gnor Melotti dovesse leggere queste ri‐ ghe, avrei piacere di potere avere con lui uno scambio di opinioni. Non penso comunque che questo sia il metodo giusto per portare proseliti alla botanica in generale ed al bonsai in particolare. Tra l’altro, scorrendo le pa‐ gine, noto che per un titolo centrato sull’argomento “bonsai”, questo viene liquidato in appena otto pagine.

Per dirla tutta, il capitolo 10 “Mai dire bonsai… se non sai!” non mi ha parti‐ colarmente entusiasmato perché di illu‐ strano solamente difficoltà, fallimenti e di piante già … cadavere. Dove si parla di “alberi nani già maturi” e di “piantine dall’aspetto rachitico e sofferente” vengono usati termini desueti. Trovo inadatto, inoltre, l’acronimo BONSAI (Bonsai Organization for Not Succumbing to All Inexperts). Altra affermazione che mi lascia perplesso e che non risponde al vero: “una diffusa credenza popolare ci ritiene scherzi di natura, sofferenti aberrazioni partorite dalla crudeltà umana…”. comunque, malgrado tutto, le 150 pa‐ gine risultano di facile e fluente lettura anche se il prezzo di copertina non giustifica appieno i contenuti del libro.

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MAI DIRE BONSAI EUGENIO MELOTTI SIRONI EDITORE € 16,00


L

a storia inizia in una fredda domenica mattina di Febbraio dell’anno scorso in quel di Prato nella nostra sede durante un Laboratorio della Bonsai Creativo School. Fra le mani l’informe cespuglio di ginepro alla ri‐ cerca della forma nascosta. Quello che fin dall’ini‐ zio ha attirato l’occhio su questa pianta è stato il movimento del tronco, la presenza di uno shari naturale alla base che enfatizza la radice che esce dal terreno e non meno importante il tipo di vege‐ tazione che assomiglia in maniera incredibile a quella dell’itoigawa. La provenienza invece è ita‐ liana e si tratta di piante coltivate in piena terra per poi essere messe in vaso. PRIMA OPERAZIONE: PULIZIA DELLA VEGETAZIONE. ‐ Forbici alla mano, si iniziano ad eliminare i rami che sicuramente non potremo utilizzare successi‐ vamente, eliminiamo anche molta vegetazione alle ascelle dei rami, quella più debole o addirittura secca. Si passa alla corteccia eliminando le scaglie più grosse con un piccolo coltello facendole saltare per poi spazzolare l’intero tronco con spazzole d’ottone e plastica. Oltre a rendere la corteccia di un bel colore marrone/rossiccio questa operazione aiuta ad individuare meglio la posizione e l’anda‐ mento dei fasci linfatici. Piano piano la forma del tronco e dei ra‐ mi principali diventano più leggibili permettendo una analisi della pianta più dettagliata. La base presenta due curve molto pro‐ nunciata, una radice ormai secca esposta fuori dal terreno che ha provocato lo shari naturale visibile nella foto. Salendo verso l’apice, dopo le prime due curve, troviamo un tratto diritto e cilindrico che interrompe il movimento della pianta ed al quale,


in qualche modo, dovremo ovviare. La vegetazione è abbondante e permette molte possibilità nel pro‐ gettare il futuro bonsai. Dopo aver girato e rigirato la pianta più volte, inclinata in tutte le angolazioni la decisione è presa: “Dovrà sembrare una ragazza che fa la danza del ventre, con sette veli che svolazzano nell’aria”. Sotto la guida del nostro Maestro il pro‐ getto prende corpo: il ginepro ha una sua natura

prettamente femminile che ricorda i movimenti si‐ nuosi di una danzatrice del ventre, i futuri palchi dovranno “vestire” il tronco del ginepro, ma allo stesso tempo lasciar intravedere le curve ed i punti più interessanti dando, nell’insieme, una sensazione di leggerezza e la percezione del vento che passa attraverso e muove la vegetazione dei palchi. Il pro‐ getto è nato e addirittura autografato dal Mitico Francesco. Si eliminano ancora dei rami, si disegnano



gli shari e si abbozzano i futuri jin con l'obiettivo di creare due vene ben distinte, ben gonfie e separate che salgono lungo il tronco, mantenendo così la sensazio‐ ne di flessuosità del tronco, ma allo stesso tempo di vigoria e salute della pianta. Per eseguire questa operazione sono stati utilizzati dei coltelli affilati, per incide‐ re la legna viva senza effettuare lacerazioni e garantire una migliore cicatrizza‐ zione, e sgorbie per ripulire la parte di legno secco scoperta. Dopo la lavorazione degli shari è stata la volta del filo. I rami più grossi sono stati prima protetti con del nastro di gomma ricavato da camere d’aria per bicicletta, dopodiché è stata filata tutta la ramificazione fino ai rami più sottili. Il tempo scorre, gli ultimi centimetri di filo arrivano a lambire i ciuffi verdi della vegetazione e finalmente si passa alla modellatura. Seguendo il progetto iniziale siamo andati a riposizionare la ramifica‐ zione, aprendola a ventaglio, cercando di ricreare la struttura dei palchi che ci


avrebbe consentito una più agevole impostazione dell'intera pianta. Muovendo gli interi palchi ed accorciando la vege‐ tazione, sostituendo gli apici dei singoli rami, abbiamo ri‐ creato la struttura della pianta. Ad uno ad uno i “veli” vengono spiegati e posizionati in modo che la brezza possa passare fra un velo e l’altro muovendoli come leggere onde del mare. Come ultima operazione sono stati eliminati alcu‐ ni rami in eccesso. AGOSTO ‐ Sono passati sei mesi dalla prima imposta‐ zione di questo ginepro e devo dire che si è comportato ve‐ ramente bene crescendo rigoglioso moltiplicando la vegetazione mantenendo la sua conformazione a squame, segnale inequivocabile che ha superato lo stress delle prece‐ denti lavorazioni in modo positivo. Per tutto questo periodo la pianta è stata in posizio‐ ne soleggiata, senza alcuna somministrazione di concime, ma solo acidi umici e tanta acqua. La decisione di eseguire una seconda impostazione della Ragazza dai Sette Veli nel mese di agosto è stata dettata dalla volontà e dalla necessità di eseguire il rinvaso della pianta nella prossima stagione – marzo/aprile – per cui è stato deciso di anticipare la questa seconda impostazione per dare il tempo alla pianta di superare lo stress e recupe‐ rare energie prima di sottoporla al rinvaso. Dopotutto in questa fase non andremo a eseguire pieghe drastiche od altre lavorazioni particolarmente inva‐ denti sul ginepro, ma ci limiteremo ad eliminare il filo

vecchio che ha iniziato ad incidere i rami per sostituirlo con quello nuovo e riposizionare la ramificazione. Prima di que‐ sta operazione, naturalmente, ho eseguito una nuova pulizia della vegetazione, in particolare accorciando e sostituendo gli apici per permettere l’infoltimento della vegetazione. Dopo due settimane di riposo in una posizione ombreggiata ma luminosa, la nostra Ragazza è stata rimessa nella sua posizione soleggiata e coccolata con acidi umici, nebulizzazione della chioma e tanta acqua. A tutti Noi volevo solo dire un'ultima cosa: a volte non servono piante "stratosferiche" e varietà "griffate" per passare una giornata gradevole, imparare tante cose e go‐ dersi una "creatura" che tutti giorni potrà allietare i nostri sensi. Questo, in particolare, per chi come noi ha appena iniziato e molte volte si trova in imbarazzo davanti a certe essenze che hanno prezzi proibitivi e per la paura di sba‐ gliare ci blocca le mani e soprattutto il cervello. La Ragazza dei Sette Veli è stata acquistata in un vivaio locale ed è costata poco più di una pizza ed una birra. Con questo non voglio fare il moralista, ma credo che a volte sia utile stare con i piedi per terra. Sicuramente non la vedrete mai ad una mostra UBI, ma io spero di continuarla a godermela ancora per tanti anni...

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uesto pino mugo, è entrato in mio possesso nel 2008. In un primo momento, era stata mantenuta la stessa idea della precedente impostazione, posizionando la pianta in ca‐ scata, sfruttando il tronco di destra e collocandola in una pietra di luna. Pur essendo un'impostazione inte‐ ressante, ho provato ad immaginarmela diversamente per enfatizzare l'eleganza insita in quest'esemplare. Dopo diverse ipotesi e tentativi, ho trovato l'inclinazio‐ ne adatta per questo doppio tronco che avrebbe dato il via al mio lavoro. Pertanto, riportando il pino di 45 gradi verso sinistra, i due tronchi si allineavano in ma‐ niera elegante, dandomi uno spunto per poterla impo‐ stare in quella maniera, soluzione molto più armoniosa e naturale. Come primo lavoro, è stato necessario effettuare una bella pulizia degli aghi vecchi, operazio‐ ne questa dalla duplice finalità: da una parte si facilita l'applicazione del filo, dall'altra serve a stimolare


l’emissione di gemme arretrate. Il successi‐ vo step ha interessato i due tronchi (un po' troppo divergenti per l'idea che avevo in mente), ed in particolare l'eccessivo spazio tra loro. Con l’aiuto di un tirante, sono riu‐ scito ad avvicinare i due tronchi, dimi‐ nuendo la distanza tra essi. Una volta sistemati i tronchi, ho focalizzato la mia attenzione sulla ramifi‐ cazione. In primis ho piegato il primo ramo della pianta di sinistra, in modo da poter evidenziare correttamente il movimento del tronco altresì penalizzato. Successiva‐ mente, ho avvicinato il primo ramo del tronco destro per non farlo fuoriuscire dalla


silhouette che avevo immaginato. Al fine di eseguire un lavoro corretto e di preservare l'integrità di questi due importanti rami, ho avvolto gli stessi con del nastro di yuta (acquistabile nei comuni garden), ricoprendoli successivamente con dell'agglome‐ rante per mantenerne l’umidità sottostante e per fornire ai rami un'ulteriore protezione. Il grosso del lavoro è stato fatto, d'ora in poi solo tanto filo ed un po' di pazienza per modellare



questo mugo secondo il mio progetto. Non posso na‐ scondere che il lavoro finito mi soddisfi molto, nell'insie‐ me quest'esemplare ne ha guadagnato in armonia e gradevolezza. D'ora in avanti le “due ballerine” inizie‐ ranno il loro lungo percorso verso la maturazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA



Kamogawa�Ishi. Kinzan�Seki: Montagna in veduta ravvicinata



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l valore Estetico di una pietra da noi scelta e designata a divenire Suiseki, è stretta‐ mente legato all’analisi – considerazione di cinque elementi tra loro strettamente correlati: la sua Forma (KATACHI), la Durezza (SHITSU, qualità del materiale), il suo Colore (IRO), la sua Superficie (HADA‐AI), e, da ultimo ma non meno importante, la sua Patina che, intesa come “Età ottenuta dalla Cura o Coltivazione”(JIDAI), decreta il raggiungimento dell’obbiettivo che ci siamo preposto: “fare di una pietra, un Suiseki”, appunto.

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La forma, che è l’aspetto esteriore della pietra e quindi ne determina l’interpretazione, è a sua volta condizionata dal materiale di cui la pietra è composta. Più il materiale è di buona consi‐ stenza, più diventa difficile che si assoggetti alle vicissitu‐ dini ed al tempo, consentendo una modellazione dalla forma interessante; per la corretta valutazione di un suiseki di‐ venta pertanto importante una buona conoscenza in petro‐ grafia. Armonia ed Equilibrio, racchiusi in un Suiseki di du‐ rezza notevole e di forma no‐ tevole, fanno di una pietra un pezzo unico di valore. Nell’Arte dell'Os‐ servazione delle Pietre, è importante che la pietra abbia la capacità di evocare una scena naturale attraverso la sua forma ed il suo posiziona‐ mento, supportata dalla varia‐ bilità del materiale, del colore e della struttura di superficie.

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1. Setagawa‐Ishi (67x32xh.19 cm) 2. Forma & Colore: Clorite ‐ Giappone

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3. Sajigawa‐Ishi (30x20xh.14cm)


4. Setagawa‐Ishi (47x18xh.11cm) ‐ Pietra da Accarezzare: Il colore, in quanto tale, non è predomi‐ nante rispetto alla forma, ma concorre in egual misura. Associato alla forma, però, contraddistingue stili o tendenze, come vedremo. 5. Foto tratta da: "L'essenza delle Rocce" di Kauemon Ishii (pubblicazione 1966): Kyoto Tanba usuki‐ ishi (Usuki‐ishi: pietra mortaio.) "Come usuki‐ishi, viene considerata di buona qualità. Le linee taglienti si mescolano con quelli dolci, in modo da formare una serie complicata di montagne. Al fine di miglio‐ rarne la forma, alcuni ritocchi manuali son stati aggiunti." La pietra giapponese od in stile giapponese (quando cioè il termine suiseki risulta etimologicamente corretto) ha fatto presa sul mondo Occidentale ed in un secondo tempo e con più forza, in Europa, indirizzandoci verso colori decisamente più scuri, sobri e misteriosi: dal nero al grigio, marroni, rossi verdoni‐blu e porpora ma in tonalità spente. 6. ...Colori che armonizzano con le forme dalle linee orizzontali , che stimolano maggiormente alla meditazione, alla calma, richiamando il vuoto e riuscendo, passivamente, ad assorbire le emozioni. ‐ 7. Una Doha americana. Ricordo un detto, abbastanza noto, il quale recita: "Un bonsai può anche essere progettato dall'uomo, mentre "il punto di interesse" del suiseki deve essere scoperto." ‐ 8. Anche un insieme di più colori riceve molto apprezzamento quando rispecchia i colori di scenari naturali ‐ 9. Kamuitokan‐Ishi (28x17xh.7cm) Ecco che il colore diventa elemento in grado di sollecitare l’emotività legata alla capacità di suggestione ‐ 10, 11. alla Mehinten 2009... Ecco che il suiseki non esclude toni più chiari, al contrario, enormemente apprezza le evocanti, calde o tenere sfumature delle stagioni


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12. Mitsuminegawa‐Ishi: un colore chiaro e sfumato, abbi‐ nato a forme soavi, aiuta ad immaginare colline o monta‐ gne in lontananza. ‐ 13. Liguria: Colori chiari, che non escludano la presenza i fattori quali Durezza & Struttura (Shitsu), Kataki (Forma & Equilibrio) e, naturalmente,della Suggestione, come potere evocativo di luoghi e sentimenti. ‐ 14. Tenkai: Maguro‐ishi Jet‐black stone. "Il colore scuro non solo favorisce la concentrazione dello sguardo, ma soprattutto ricorda l’abisso del nulla, lo sfondo indetermi‐ nato da cui la pietra, come qualsiasi altro essere, deriva." ‐ 15. La storica “Kurokamiyma”. Secondo il mio sentire, una pietra totalmente nera non può dare il senso della lonta‐ nanza, anche quando la forma la dovesse suggerire.

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Parlare di colore nero per il suiseki perfetto, non ha molto riscontro nel collezionismo reale, esclu‐ dendo le numerose pietre nere vietnamite o coreane; in buona parte, ciò è dovuto alla difficoltà di reperimento, soprattutto qui da noi, dove non è impossibile trovare, ad esempio, del buon basalto con forma, ma rimane una ricerca confinata in zone estremamente esigue, se non vietate.

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20 16. Kamogawa‐Ishi (32x21xh.14cm) ‐ 17. Sengen‐Ishi (39x21xh.12cm) L'antropolo‐ go Edmund Carpenter (1922‐2011) scrisse che: "In Occidente, l'uomo percepisce gli oggetti, ma non gli spazi tra una cosa e l’altra. In Giappone, gli spazi vengono percepiti, e venerati come il MA, o intervento dell’ intervallo." ‐ 18. Kamui‐ kotan‐Ishi (31x12xh9cm) "Chiaro su nero o su verde scuro, nel suiseki contribuisce a creare il senso di MA e del Notan (buio‐ luce), dove gli spazi, positivi e negativi, creati sia per forma che per colore ( inclu‐ sioni di minerali), crea nell’osservatore una tensione visiva complessa."

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In verità qui, in Occidente, ciò è stato in buona parte comprovato dagli studi sulla reazione della mente umana agli stimoli del colore, sviluppati nel campo della psicologia; in riflessuologia e, parallela‐ mente, grazie alla sensibilità e ricerca di artisti come Vassily Kandinskij, pittore russo vissuto a cavallo tra il 19° ed il 20° secolo e creatore della pittura astratta. 19. Palombino risonante. ‐ 20. Vassily Kandinskij. Kandinskij, sempre in base alla teoria se‐ condo la quale il movimento del colore è una vibrazione che tocca le corde dell'interiorità, descrive i colori in base alle sensazioni e alle emozioni che suscitano nello spettatore, paragonandoli a stru‐ menti musicali. 21. Kandinskij: "Il colore squillante ferisce

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25 a lungo l'occhio, come un acuto squillo di tromba ferisce l'orecchio. L'occhio diventa irrequieto, non riesce a fissarlo, e cerca profondità o riposo nel blu o nel verde.” ‐ 22. "Alcuni colori hanno un aspetto ruvido, pungente..." ‐ 23. "...mentre altri sembrano così lisci e vellutati, che si ha voglia di accarezzarli (il blu oltremare scuro, il verde‐cromo, la lacca di garanza)". Kurama‐Ishi (43x18xh.12cm) (n.d.r.: ed è vero! A nulla può la ruvidezza della texture, di fronte ad una forma & colore sì mansueti) ‐ 24. Abegawa‐Ishi (19x11xh.14cm) ‐ 25. Coho‐Zan: Kandinskij scrive: "Anche la differenza tra toni caldi e freddi si fonda su queste sensazioni." ‐ 26. Setagawa‐Ishi (58x17xh.13cm) "Il grigio ed il verde, ugualmente statici, indicano quiete… ma nel verde è presente, seppur paralizzata, l'energia del giallo che lo fa variare verso tonalità più chiare o più fredde, facendogli recuperare vibrazione." ‐ 27. "Il marrone si ottiene mischiando il nero con il rosso; ma, essendo l'energia del rosso fortemente sorvegliata, ne consegue che esso risulti ottuso, duro, poco dinamico" (n.d.r.: in questo caso, risollevato da macchie di verde).

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28. Taihu‐stone ‐ Kandinskij continua: "Il bianco è dato dalla somma di tutti i colori dell'iride, ma è un mondo in cui tutti questi colori sono scomparsi: di fatto, è un muro di silenzio assoluto. Interiormente, lo sentiamo come un non‐suono, anche se è un silenzio di nascita, ricco di potenzialità: è la pausa tra una battuta e l'altra di un'esecuzione musicale, che prelude ad altri suoni." ‐ 29. Kamogawa‐Ishi (22,5x10xh.13cm) "Il nero è mancanza di luce, è un non‐colore, è spento come un rogo arso completamente.È un silenzio di morte; è la pausa finale di un'esecuzione musicale" ‐ 30. Kifune‐ Goshiki‐Ishi (30x15xh.12cm): "Tuttavia, a differenza del bianco (in cui il colore che vi sia contenuto rimane flebile) il nero fa risaltare qualsiasi colore." Per Kandinsky, il colore è un mezzo per stimolare di‐ rettamente l'anima: egli amava dire che l'armonia dei colori è fondata su di un solo principio: l'efficace contatto con l'anima. Ma la rispondenza delle teorie di Kandinsky all’estetica del Suiseki non si ferma al colore: egli sottolinea anche l’imprescindibile legame tra co‐ lore e forma e voi potrete testare quanto da lui enunciato, riandando agli esempi fino ad ora mostrati, in gran parte provenienti da pubblicazioni della Nippon Suiseki Association e del nostro sensei Arishi‐ ge Matzuura. "La composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. E se un colore viene associato alla sua forma privile‐ giata, gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai co‐ lori e dalla forma, vengono potenziati. 31, 32. L'effetto di risonanza è sottolineato da una de‐ terminata forma oppure attenuato da un'altra: i colori "acuti" hanno maggiore risonanza cromatica se conte‐ nuti in forme appuntite, mentre i colori "profondi" pre‐ diligono quelle "tondeggianti.” Sempre rifacendosi all’Arte tradizionale oppure attuale del Suiseki Giapponese, risulta interessante sì la prefe‐ renza per i colori tranquilli ed oscuri, ma lo è altrettanto la considerazione del Bianco come Punto Focale incluso nel contesto di una pietra, sia esso costi‐ tuito da Calcite, Quarzo, Barite, Celestina etc… Così, appaiono altrettanto interessanti i differenti (eppure a volte intersecantesi) rapporti tra Suiseki e Shangshi, la pietra cinese moderna. Essa si discosta dal classico Ghongshi o roccia dell’Erudito o Pietra dello Spirito, Scholars’ Rocks e va oltre alle quattro caratteri‐ stiche cinesi dello Shou, Zhou, Lou, e Tou (sottile ed elegante, texture,canali collegati tra loro, fori ed aperture) tipiche delle pietre verticali di Taihu, inclu‐ dendo i criteri giapponesi di “forma, colore, materiale e spirito” (in cinese: Xing, Zhi, Se, Shen)…. Ma per ora vi lascio qui; riprenderemo il discorso, se vi va. Alla prossima! Luciana © RIPRODUZIONE RISERVATA


In generale le nostre interviste sono rivolte a professionisti del settore che operano in maniera individuale. Oggi, con questa intervista, ci poniamo un obiettivo abba‐ stanza differente. Vedere il mondo del bonsai dalla parte di chi ne ha fatta una pro‐ fessione, un’azienda, una realtà professionale solida. E’ una prospettiva molto diversa ma interessante, che apre alcuni spunti di riflessione che riteniamo utili da condividere con i ns. lettori. L’intervista è stata effettuata nel Gennaio 2011 a Nara Franchi, titolare dell’azienda Franchi Bonsai, e Matthias Naglein, addetto acquisti e vendite, che ringrazio personalmente e a nome di Bonsai & Suiseki Magazine per la cortesia e la disponibilità dimostrata nel corso dell’intervista.


Sig.ra Nara ci può descrivere breve‐ mente la sua esperienza professiona‐ le e l’Azienda che lei rappresenta? L’azienda Franchi è nata molti anni fa, affermandosi inizialmente nel mercato vivaistico. Da circa trenta‐ cinque anni l’azienda s’interessa di bonsai a livello quasi esclusivo. Mio padre è passato dall’attività vivaistica alla produzione di bonsai per una pas‐ sione, per una scelta di mercato che ha fatto e che io cerco di portare avanti nel solco della tradizione ma introdu‐ cendo allo stesso tempo elementi d’innovazione che possano dare un’impronta personale alla gestione della ditta.

Ringraziandola innanzitutto per l’attenzione che ci ha riservato, vorrei focalizzare l’intervista sul te‐ ma della produzione di bonsai e pre‐ bonsai. Ci può fornire il suo punto di vista su qual è l’attuale situazione del mercato del bonsai/prebonsai in Italia / Europa. Per quanto riguarda l’Italia abbiamo una visibilità più completa poiché l’Italia è la nostra piazza princi‐ pale. Vendiamo qualcosa anche in Eu‐ ropa ma abbiamo una visione più limitata, in questo periodo il mercato del bonsai è abbastanza critico, perché purtroppo la recessione economica ha colpito tutti i settori, e indubbiamente anche il nostro. Il bonsai rappresenta un articolo sostanzialmente di nicchia,

un sovrappiù, quindi a livello stretta‐ mente economico è uno dei primi settori a risentirne. Abbiamo avvertito un calo del mercato rilevante negli ultimi due anni, unitamente alla concorrenza degli importatori cinesi arrivati in Italia, con prodotti di fascia bassa e qualità inferiore, ma a prezzi molto bassi. La concorrenza di cui parla è limitata all’ambito delle piante o si estende anche ad altri prodotti legati al mondo del bonsai, attrezzi piuttosto che altri articoli. Parzialmente anche nel mondo degli attrezzi, ma la concorrenza principale, con impatti economici sulla nostra clientela, è si‐


curamente nell’ambito delle piante. Su un prodotto che ha un ciclo di produzione così lungo, come un bonsai/prebonsai, come pianificate la produzione, e quanto incidono i gusti dei clienti, le “mode”, gli “standard” ecc. Noi cerchiamo di seguire i gusti e le tendenze dei clienti per quanto riguarda la tipologia delle piante da produrre, però questo è vero soltanto in parte, perché la nostra azienda è specia‐ lizzata nella produzione di piante mediterranee, il nostro prodotto principale è la pianta autoctona, e noi vogliamo mantenere questa linea, questa identità, che ci ha differenziato da altri fornitori pre‐ senti sul mercato. Ci interessa quindi mantenere questa diversifica‐ zione. Preferite ragionare su degli standard sostanzialmente? Preferiamo ragionare su un prodotto sul quale siamo sicuri di avere ottimi standard qualitativi e che abbiamo sperimentato a livello di produzione da diversi anni. Tenga presente che il ciclo produttivo è abbastanza complesso, lavoriamo su grossi volumi e il tempo di produzione per arrivare al prodotto finito, un piccolo bonsai, è di circa 5/7 anni di coltivazione. Ogni anno, per fornire al mercato i volumi richiesti, mettiamo in coltivazione dalle 20.000 alle 30.000 piante, con una rotazione continua. Con cicli di pro‐ duzione cosi lunghi non possiamo permetterci sbagli nella pianifi‐ cazione. Siete nella zona d’eccellenza del vivaismo italiano, ma la scelta di essere dei produttori e non dei “semplici” rivenditori e/o importatori da cosa nasce questa scelta, quali sono i razionali che vi hanno convinto a investire e a continuare credere in que‐ st’attività? Dal punto di vista economico non sarebbe stato più facile e redditizio rimanere dei semplici rivenditori e/o importatori? Quanto è importante nella vostra attività poter di‐ versificare le varie linee di business, e quale considerate la più strategica? Per quanto riguarda la produzione è stata una scelta piuttosto naturale per mio padre, poiché è sempre stato presente nel settore del vivaismo, con la coltivazione degli olivi e delle piante ornamentali. L'azienda aveva le strutture, il terreno, i vivai e il personale già abituato a lavorare intorno alle piante in una certa maniera. Per questo la scelta di mettere in produzione piante spe‐ cifiche per la realizzazione di bonsai è stata un'evoluzione e una conseguenza del lavoro che era stato impostato in precedenza da mio padre. Non a caso la prima pianta che abbiamo coltivato a bonsai e proposto al mercato è stato proprio l’olivo, la pianta che lui coltivava di più, che conosceva meglio. E’ stato quindi un passo naturale? Sì, è stata un’evoluzione naturale dell’attività precedente, mio padre era abituato a lavorare anche nel campo commerciale, perché si occupava della commercializzazione di diversi tipi di piante. E’ stato uno dei primi italiani a recarsi nella Cina Popolare, moltissimi anni fa, per stringere rapporti commerciali, iniziando da lì l’importazione dei primi esemplari. Tornando all’analisi commerciale, quali sono oggi i settori di vendita di punta, che favorite maggiormente? Oltre al settore del bonsai l’azienda si è caratterizzata anche per l’importazione di piante da giardino in stile giapponese. Ed è un settore che ci dà soddisfazione, anche perché, come per i bonsai, cerchiamo di andare direttamente nei luoghi di produzione per scegliere e comprare le piante, per ottenere un migliore



rapporto qualità/prezzo. Come volume di fatturato il settore delle piante da giardino è leggermente superiore ri‐ spetto a quello del bonsai, però il settore bonsai e prebonsai rimane co‐ munque un settore strategico per noi e quindi cerchiamo di mantenere ele‐ vato il livello qualitativo della vendita e della produzione. Ricorda un episodio particolarmente bello o significativo avvenuto in azienda? Ne parlavo ieri con Mattias, molti anni fa mio padre partecipava con la regione Toscana, con il mercato dei fiori di Pescia, alle Floriadi che so‐ no le manifestazioni europee parificate all'Euroflora, e ha partecipato in Belgio, a Bruxelles, a una manifestazione che

è stata visitata anche dai precedenti reali del Belgio. Ricordo dalle parole di mio padre che in quell’occasione la regina Fabiola fu molto colpita dal bonsai di olivo portato da mio padre per quell’evento. Talmente colpita che, alla fine della mostra mio padre lasciò il bonsai come omaggio alla re‐ gina. E questo per me è un ricordo bello e significativo di mio padre e dell’amore e dell’entusiasmo che metteva nel proprio lavoro. L’utente finale motiva il proprio acquisto, oltre che da fattori estetici propri e personali, dall’elemento prezzo. Non sempre è facile capire o giustificare, in alcuni casi, questo parametro. Ci può aiutare, a fronte della sua esperienza, a capire come

si arriva a determinare il prezzo fi‐ nale di una pianta, sia nel caso di una pianta prodotta localmente che nel caso di una pianta importata? Per quanto riguarda le piante prodotte da noi, il costo principale è rappresentato dalla manodopera, rapportata al tempo che impiega una pianticella da vivaio per diventare un bonsai. Ogni anno dedichiamo molte ore di lavoro, svolto da personale spe‐ cializzato, alla cura delle piante. Abbiamo spese di riscaldamento, di concimazione, di trattamenti fitosani‐ tari e d’irrigazione, quindi il costo to‐ tale del bonsai è rappresentato solo in minima parte dal costo iniziale della pianta, alla quale vanno aggiunti in % i costi del personale e di mantenimento per gli anni di lavoro (dai cinque ai



sette anni) necessari per arrivare al ri‐ sultato finale. Per quanto riguarda le piante importate dall’Oriente i prezzi sono determinati dal mercato, in gene‐ rale è il mercato che dice quale valore ha la pianta, ci sono dei canoni estetici ben precisi che guidano il prezzo, uni‐ tamente alla domanda sul mercato, per esempio in questo momento è molto richiesto il ginepro a cascata e semicascata. Ci sono poi, nel caso dell’importazione, tutta una serie di costi aggiuntivi che contribuiscono a elevare il costo della pianta, mi riferi‐ sco in particolare, oltre al costo puro di acquisto, a tutte le spese aggiuntive, come il trasporto, le assicurazioni, i dazi per l’importazione. Per giudicare se il prezzo è giusto, non considerando distorsioni palesi, c’è anche un discorso personale, legato al gusto di chi acquista, alle capacità tecniche e al grado di esperienza, al come chi “legge” la pianta è in grado di apprezzarne le potenzialità e l’evolu‐ zione nel tempo. Tornando al puro aspetto economico, oggi per stare sul mercato ci si deve adeguare al trend ed evitare di proporre e rivendere piante con margini al di sopra di quelle che sono le logiche e i parametri di questo settore, regola che vale per noi ma ovviamente per tutti gli altri concorrenti che operano nel settore del bonsai. Parlavamo prima di crisi del settore, questo ha portato a una riduzione o a un aumento dei prezzi delle piante importate? La riduzione, o meglio mancata riduzione dei prezzi, è fa‐ cilmente spiegabile. I due principali esportatori di bonsai sono il Giappone e la Cina, negli ultimi anni, basta guardare gli archivi storici dei cambi, lo yen si è rivalutato di circa il 35% ri‐ spetto alla nostra moneta, quindi mantenendo fissi i prezzi di acquisto in Giappone le piante sono mediamente più care del 35% rispetto a qualche anno fa. In Cina tutti sappiamo che nel 2010 il PIL è cresciuto del 10%, quindi c’è una certa svalutazione anche della valuta interna, che si traduce poi in un aumento dei prezzi di vendita all’este‐ ro. Gli acquisti sono diventati più cari, la riduzione dei prezzi alla vendita in Italia non c’è stata, per contro c’è stata una forte riduzione, per noi importato‐ ri, sui margini, per contenere e compensare, nei confronti dei clienti, gli effetti legati agli aumenti dei prezzi

di acquisto. Generalmente, in questo mercato così specifico (bonsai e prebonsai), il potenziale cliente identifica in una pianta di provenienza asiatica e/o giapponese un modello di riferi‐ mento, per ragioni culturali ed este‐ tiche. Nel settore della produzione di bonsai e prebonsai, può descrivere le differenze tra il mondo dei colti‐ vatori giapponesi e quelli italiani. Ci sono delle contaminazioni, avete applicato qualcosa di questi modelli nel vostro ciclo produttivo, o vice‐ versa avete insegnato qualcosa a lo‐ ro, oppure i modelli e i processi asiatici non sono applicabili nei no‐ stri ambiti produttivi. Se non sono applicabili, ci descrive, a suo modo di vedere, quali sono i motivi ? (differenze culturali, tecnici, pratici, clima ecc.). Lo scambio di competenze c’è stato soprattutto nei primi tempi, per acquisire le tecniche, però la rea‐ lizzazione è prettamente basata sulle competenze della manodopera italiana e per quanto riguarda il ciclo di produ‐ zione, i sistemi, le esigenze sono dettate dalle richieste del mercato ita‐ liano che è comunque diverso dalle esigenze del mercato asiatico. Diciamo che ci poniamo a metà strada fra il mercato giapponese, molto legato alla tradizione e con una forte presenza di piccoli produttori locali, molto specia‐ lizzati ma con una ridotta capacità di produzione (dalle trenta alle cinquanta piante anno) e il mercato cinese, che ha avuto una fortissima accelerazione e con cicli produttivi molto più veloci. Noi abbiamo una nostra tipologia di produzione, con i nostri cicli, le nostre tecniche che utilizziamo per poterci proporre sul mercato italiano ed euro‐ peo con un prodotto che comunque si differenzia da quello cinese, da quello giapponese, e che stilisticamente, per nostra esperienza, incontra di più il gusto occidentale. Per gli addetti ai la‐ vori il bonsai giapponese resta il massi‐ mo dell’espressione artistica, tecnica e culturale, però per un normale cliente, che non ha le conoscenze e la compe‐ tenza per apprezzare un bonsai giapponese, o che approccia il bonsai per la prima volta, la raffinatezza e la ricercatezza del bonsai giapponese non sono indicate, semplicemente perché non ha gli strumenti per capirne il valore. Facciamo un esempio, uno su tutti, lo stile literati, al

cliente medio di una pianta di un de‐ terminato valore che può avere un mercato di riferimento abbastanza ampio, questo tipo di pianta non pia‐ ce, non ne capisce il valore. La forma è troppo ricercata, la forma della pianta ha delle implicazioni filosofiche, una tradizione e un retaggio culturale che per la maggior parte delle persone è incomprensibile. Se togliamo gli appassionati competenti, che costitui‐ scono il 10% dei nostri utenti, il re‐ stante 90% è costituito da clienti che approcciano il bonsai per la prima volta, e che lo acquistano come alternativa a una pianta normale. Dobbiamo quindi fornire una pianta che sia semplice anche come manu‐ tenzione perché altrimenti si corre il rischio di far nascere nella gente l’idea che il bonsai sia una pianta difficile, da soli addetti ai lavori, una pianta che muore subito e quindi si allontana la persona invece che avvicinarla a que‐ sto settore. Avendo un certo numero di addetti che lavorano sulla parte bonsai, dobbiamo avere ovviamente una certa sicurezza sul rientro, sia per gli investi‐ menti fatti sia per i volumi generati. Tenga presente che produciamo circa trentamila piante per anno, su una su‐ perficie di produzione di cinque ettari, in un secondo vivaio terminato re‐ centemente, realizzato secondo le specifiche di produzione più moderne. Nella struttura che vede, teniamo le serre per l’acclimatamento delle piante che arrivano dall’Oriente, le serre per la vendita e l’esposizione, il museo Bonsai, che consigliamo a tutti di visi‐ tare. Il mercato dei produttori è molto concorrenziale. L’Italia è molto lunga e stretta, e dal punto di vista climati‐ co è simile al Giappone. Questo suggerisce l’idea di unioni tra i pro‐ duttori per fornire tutte le tipologie di piante e ridurre i costi. E’ stato fatto qualcosa del genere oppure i tempi non sono maturi? Le spiego il perché di questa domanda, la visibi‐ lità che si ha dall’esterno, rispetto al mondo della produzione e della distribuzione di bonsai è comunque qualcosa di frammentato, un settore chiuso al proprio interno, nel senso che ognuno fa un po’ per se. Siamo in un momento di crisi, può avere senso, anche per espandere il mercato verso altre realtà europee piuttosto che locali, pensare di colla‐ borare maggiormente tra le aziende


del settore? La risposta non è facile, perché non ci sono molti dati conosci‐ tivi su altre aziende che svolgono que‐ sto tipo di produzione. E’ vero che dall’esterno il mondo del bonsai può sembrare molto frammentato e in parte è così. A livello teorico il ragiona‐ mento ci può stare, però nella pratica non saprei da dove iniziare per attivare questo tipo di collaborazione. Il raggruppamento tra produttori po‐ trebbe avere la sua valenza se esistesse anche una richiesta forte, ma da quello che vediamo, anche dai nostri rapporti con l’estero, non sembra di vedere una grande richiesta di bonsai mediterra‐ neo europeo all’estero. In secondo luogo l’aggregazione è difficile, cono‐ sciamo diversi produttori di bonsai in Italia, però sono realtà molto piccole che non hanno neanche loro stesse l’esigenza o l’interesse ad aggregarsi. In pratica è anche un problema di mentalità, il ragionamento è “io faccio per me”, anche perché le realtà picco‐ le hanno un sistema produttivo e una tendenza a mantenere la propria posi‐ zione di nicchia e normalmente non si accollano il rischio d’investimenti pro‐ mozionali, per esempio all’estero. La logistica poi è un altro grosso proble‐ ma, essendo l’Italia e lunga e stretta e parlando per il centro e sud dell’Italia portare il prodotto in Europa centrale ha dei costi paurosi. Noi siamo abba‐ stanza fortunati perché ci troviamo all’interno di un polo vivaistico, quindi ci sono molti spedizionieri che sono attrezzati in maniera specifica per il trasporto delle piante. Immagino altri produttori che si trovano in zone meno servite, che interesse potrebbero avere a espandersi quando in zona non hanno la possibilità di avere dei servizi di spedizione efficienti e attrezzati, de‐ vono rivolgersi a corrieri che non sono in grado di garantire trasporti cli‐ matizzati, con il rischio di gelate in inverno o d’estate seccano per mancanza d’acqua. Il vincolo della lo‐ gistica secondo noi è quello che frena maggiormente l’espandersi di una cultura della collaborazione tra le aziende, unitamente a una mentalità dei produttori, non solo di bonsai, che comunque sono poco propensi ad allargamenti di questo tipo. Tempo, Produzione di massa, produ‐ zione di qualità e giusta remunera‐ zione. E’ una sintesi impossibile oppure esiste una ricetta? Sulla pro‐

duzione di massa abbiamo visto quasi tutto nei passi precedenti, per quanto riguarda le piante di qualità, in altre parole piante con una maggiore anzianità e dimensioni, in grado di soddisfare le richieste degli appassionati che faticano a trovare materiale valido? Questo è un grosso problema, sinceramente per noi coltivare pre‐ bonsai dal punto di vista logistico non è molto semplice. Sul mercato, grazie al fatto che molti amatori sono di‐ ventati dei raccoglitori con uno spiccato senso degli affari, sono dispo‐ nibili prebonsai di elevata qualità. Pro‐ durre del materiale in vivaio, che sia altrettanto valido come quelle raccolte in natura, è molto difficile e diffi‐ cilmente si arriva a risultati simili. E’ vero che noi siamo piuttosto limitati nella produzione di prebonsai ma per noi è veramente impossibile perché la quantità di tempo necessaria per la produzione porterebbe a costi di vendita assolutamente fuori mercato. Inoltre esiste un rischio d’impresa non indifferente, poiché dovremmo pro‐ durre materiale di qualità senza avere la certezza di venderlo in tempi brevi una volta disponibile. Certo una mini‐ ma produzione la facciamo selezio‐ nando i materiali più promettenti, ma il numero di queste piante è esiguo in confronto alla quantità della produzio‐ ne normale. Tornando al discorso della raccolta in natura, ed evitando qualsia‐ si ragionamento sulla liceità di queste operazioni, a fronte di un investimento di tempo e di costi molto ridotti, con un rischio che si traduce solo all’attecchimento del materiale raccolto, questi esemplari sono piante che hanno dai 20 ai 70 anni di età. Produrre e coltivare una pianta in viva‐ io per un tempo così esteso non è eco‐ nomicamente sostenibile e soprattutto non abbiamo notizie, né qui ma neanche in Giappone, di aziende che compiano dei cicli produttivi così complessi. Naturalmente l’interesse c’è, ma in un ambito di produzione i costi sarebbero talmente elevati che diventerebbe poi impossibile riuscire a vendere il prodotto finale. Internet e bonsai. Velocità e lentezza. Due mondi lontanissimi eppure sempre più vicini. Quanto è utile Internet nel vostro modello di svi‐ luppo del business? A oggi per noi Internet è un mezzo per tenerci in contatto più ve‐

locemente i fornitori esteri ma non lo consideriamo ancora uno strumento di vendita, perché non amiamo molto l’e‐ commerce su Internet. Abbiamo un nostro sistema di vendita, i nostri ri‐ venditori si ritagliano il tempo per vi‐ sionare e controllare le piante una per una. Certamente Internet è utile e lo usiamo per le normali attività di lavoro, contatti, amministrazione, ma non ne vediamo ancora un uso efficace per incrementare le vendite e promuovere la nostra ditta. Consideriamo ancora Internet e la nostra attività due mondi distanti e poco compatibili, molte ditte del settore ci hanno contattato per avviare l’e‐commerce, ma le soluzioni proposte non ci hanno convinti. Per gli appassionati di bonsai crediamo invece che sia molto positivo poter avere questi strumenti d’informazione rapi‐ da, quali i forum, che consentono di scambiare velocemente informazioni tecniche, pareri e cultura del mondo bonsai. Oltre al lato commerciale, svolgete attività di promozione, culturali e formative nel mondo del bonsai. Ci racconta quelle più efficaci dell’ulti‐ mo periodo? Oltre ai corsi bonsai che stia‐ mo portando avanti con i nostri istruttori ci proponiamo di riproporre, nel 2012, la manifestazione che abbiamo realizzato nel 2010 (Sotto il cielo d’Inverno). Questa manifestazio‐ ne ci è sembrata particolarmente gra‐ dita alle persone che hanno partecipato. Cercheremo di fare una manifestazione piacevole e interes‐ sante, indicativamente verso fine febbraio per evitare sovrapposizioni con altre manifestazioni. Abbiamo già preso contatto il maestro Kobayashi, che è venuto in Italia già diverse volte, ma questa volta porterà con sé il ge‐ nero, un maestro molto giovane, sulla trentina, ma che ha già ricevuto diversi premi in Giappone. Vogliamo fare una manifestazione che impronteremo sul confronto generazionale fra un mae‐ stro di provata esperienza quale Koba‐ yashi e un maestro della nuova generazione. Speriamo di attirare tanti appassionati, faremo sempre laborato‐ ri, le dimostrazioni e una piccola mo‐ stra. A differenza dell’anno scorso cercheremo di suddividere le piante tra quelle provenienti dal Giappone e rilavorate in Italia, e quelle realizzate totalmente in Italia, perché secondo noi il livello qualitativo dei bonsaisti


italiani e delle loro piante è cresciuto moltissimo, e merita di essere ricono‐ sciuto per il valore specifico che ha. Una domanda riguardante l’occupa‐ zione. Oggi che tutti vogliono andare sulla luna, ritornare alla terra po‐ trebbe essere una buona idea. Ritie‐ ne che questo settore abbia ancora degli spazi per essere un punto di partenza o un’alternativa per chi ha delle idee imprenditoriali, o sempli‐ cemente abbia voglia di lavorare e mettersi in gioco. Che consigli vi sentite di fornire a chi vorrebbe intraprendere un’attività in questo settore? Penso che ci siano degli spazi nel nostro settore, meno di alcuni anni fa perché molte piccole aziende sono cresciute, realizzate da persone che si sono staccate da aziende del settore, lo spazio quindi si sta restringendo e il momento non è dei migliori per inizia‐ re. Non è in ogni caso una cosa molto semplice, perché attivare una piccola azienda richiede un investimento di capitali, all’apparenza non elevatissi‐ mo, ma bisogna inquadrare il tutto ri‐ spetto alla lunghezza del ciclo di produzione. Poiché ci vogliono anni per arrivare a ottenere una pianta da immettere sul mercato si ha un antici‐

po di capitali elevato, soprattutto nell’investimento in manodopera. Inoltre ogni anno deve essere impo‐ stata e pianificata la produzione per gli anni successivi, senza la possibilità di fermarsi, e quindi prima di rientrare del capitale investito i tempi si allunga‐ no di parecchio. Il nostro lavoro è bello, però non crediamo ci sia alla fi‐ ne una grandissima possibilità di crea‐ zione di molti posti di lavoro, perché in ogni caso è sempre un’attività parti‐ colare, di nicchia, per cui lo spazio occupazionale è per definizione limi‐ tato. Quali sono stati i momenti più diffi‐ cili? Diciamo la verità, una crisi come quella di adesso non l’abbiamo mai vista. Da quando abbiamo iniziato a lavorare i bonsai con mio padre e andavamo in giro con il camion a fare la tentata vendita si vendeva bene perché il mercato era interessato al piccolo e non c’era molta concorrenza. Poi la situazione è andata complicandosi con il passare degli anni, sia per l’aumento della concorrenza e dei fornitori, e non c’è stato un aumento proporzionale dei clienti. La cosa peggiore in questo mo‐ mento è il trend negativo del settore,

che non è dovuto all’affacciarsi di una concorrenza particolarmente agguerri‐ ta, non riscontriamo perdite di quote di mercato ma proprio uno spro‐ fondamento del mercato in generale, con una forte diminuzione della ri‐ chiesta da parte dei nostri clienti. Il settore del bonsai ha avuto sì nel tempo un’espansione ma non sarà mai secondo noi una pianta di massa, co‐ me la stella di Natale o il ciclamino, non entrerà mai in tutte le case, sia per il suo costo che comunque è sempre più alto rispetto ad altre piante, sia perché comunque incute sempre un po’ di soggezione agli acquirenti. E poi il bonsai non è molto amato dalle donne, lo vediamo più come una pianta amata dagli uomini ma che le donne difficilmente acquistano per se, per mantenerlo e appassionarsi a que‐ st’arte. E giacché a livello statistico la maggior parte degli acquirenti dei garden sono donne, è difficile vedere un grande sviluppo della clientela del bonsai. Un altro problema che voglia‐ mo evidenziare è quello della pre‐ senza, nei supermercati e in generale nella grande distribuzione, di prodotti di qualità scadente, che sono spacciate per bonsai e sono proposte a prezzi molto bassi. Queste politiche inquina‐ no il mercato, perché il target di riferi‐ mento di queste azioni commerciali è


il cliente che acquista d’impulso, che a fronte di prezzi molto bassi non ha la capacità e l’interesse per capire la differenza tra un tronco messo in un vaso, senza drenaggio, senza retina e fis‐ saggio, e una pianta curata, colti‐ vata per mesi e rinvasata secondo le regole. Non avendo poi la pos‐ sibilità di fare una scelta ponde‐ rata, è chiaro che questo tipo di cliente sceglie sulla base del costo minore, e ovviamente non sce‐ glierà la pianta che presenta un costo maggiore. Noi, per filosofia aziendale cerchiamo sempre di garantire un’alta qualità della pianta non solo dal punto di vista estetico, ma anche dal punto di vista della conservazione e del mantenimento. Capirete che a fronte dei volumi di piante distri‐ buite in questi centri, la competi‐ zione è molto difficile.

Che strategie di comunicazione si possono adottare nel vostro settore per spingere la richie‐ sta? Noi non investiamo molto a livello di pubblicità nelle riviste per gli utenti finali, prefe‐ riamo investire nelle pubblicazio‐ ni di settore, per invogliare il mercato dell’utenza finale a oggi non vediamo grosse soluzioni, se non una maggiore disponibilità all’acquisto, legata però a una ri‐ partenza dell’economia in gene‐ rale, e quindi maggior disponibilità alla spesa. Sicura‐ mente ci sono altre attività collaterali che possono aiutare, ad esempio con i corsi tenuti da Francesco (ndr Francesco Santini istruttore I.B.S.) abbiamo avuto dei risultati incoraggianti, siamo partiti un po’ timidamente ma è stato alla fine un buon successo,

con un ottimo coinvolgimento dei nostri clienti. Tramite il nostro museo del bonsai abbiamo poi molte visite da parte delle scola‐ resche, sia delle elementari sia delle scuole medie, e questo po‐ trebbe essere un’area da miglio‐ rare, coinvolgendo maggiormente i ragazzi in attività istruttive e di formazione, anche approfittando della vicinanza con Collodi che potrebbe agevolarci. Inoltre abbiamo anche visite di scuole di agricoltura specializzata e istituti universitari che vengono dalla Francia e dalla Svizzera, che vengono per vedere la nostra collezione di piante e quant’altro può offrire la nostra azienda.

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BUNJIN

L'esaltazione dell'essenzialità

L

'albero che appare nelle fotografie è un esemplare dal tronco vecchio e sottile, con molti rami apicali. Si pensa provenga da raccolta in natura; dovrebbe avere circa 80‐90 anni di vita. Prima dell'intervento qui esposto non era mai stato lavorato. Que‐ st’articolo descrive il primo intervento di formazione di un pino silvestre in stile bunjin partendo da un materiale completamente grezzo. Prima di iniziare ad illustrare la lavorazio‐ ne vorrei fare insieme con voi alcune riflessioni sullo stile bun‐ jin‐gi. La forma oggi conside‐ rata rappresentativa per un albe‐ ro bunjin è di un esemplare dal tronco vecchio ed esile, con po‐ chi rami essenziali, un albero che possiede una grazia natura‐

le, un albero che guardandolo non mette tristezza, ma placa l'animo. Letteralmente bun si‐ gnifica lettere, scrittura ejin si‐ gnifica persona, quindi si potrebbe tradurre il termine bu‐ njin come persona che ha le lettere, persona colta. Bunjin erano quindi letterati, per lo più monaci, ricchi proprietari terrieri o artisti o calligrafi. Il contrario di Bunjin è Bujin, cioè uomo d’armi o soldato. Riferendosi invece a un bonsai, si utilizza il termine Bunjin Bonsai o Bunjin‐ Gi o Bunjin‐Ki (Gi e Ki significa‐ no albero). Bunjin era una persona che non sentiva l’incanto della celebrità, del potere o della glo‐ ria, era una persona ricca di spi‐ rito. Pertanto un albero bunjin deve esprimere la natura spiri‐


tuale di questo tipo di persona. Forma e rami sono di una raffinatezza eterea. L'albero rifiuta il superfluo, riducendo i suoi elementi all’es‐ senziale. I Bunjin raffinati scrittori e pittori erano in sintonia con la filosofia taoista e s’ispiravano ai fondamenti del Confucianesimo. Il Confucia‐ nesimo era una scuola di pensiero cinese fondata da Confucio, che era un letterato. Il Confucianesimo divenne dottrina base dello Stato cinese fin dalla Dinastia Han. Il principio ordinatore dell'Universo, secondo questa scuola di pensiero, era l'armonia (li'), che rappresentava il fine ultimo cui doveva tendere l'uomo attra‐ verso il culto del divino e degli antenati, la cultura, il rispetto degli altri e l’esercizio co‐ stante delle virtù. Dal loro pennello emergevano il vuoto, la solitudine, la malinconia e l'avversio‐ ne che scatenava in loro la finzione. I letterati giapponesi che subirono l'influenza del gusto e del pensiero cinese, ricercavano la sublimazione nell'arte e permeavano il loro quotidiano di raffinatezza e spiritualità, rifuggendo da tutto ciò che era volgare. Non solo ammiravano le piante in forme naturali ma cercavano anche di vivere seguendo questa corrente artistica. Ma i letterati subirono anche l'influsso della filosofia taoista, che aveva una visione positiva della Natura e usava i paesaggi, per evocare splendide rappre‐ sentazioni del Paradiso taoista e delle Montagne sacre. Quindi, i letterati non si avvicinarono al Bonsai per perfezionare ed apprendere l'esteti‐ ca, bensì per rappresentare alcune verità filoso‐ fiche e metafisiche. I bunjin adottarono l’immagine del Pi‐ no cresciuto su un dirupo, essendo il pino simbolo dello spirito del bunjin che cerca di vi‐ vere dei suoi ideali, senza compromessi. A poco a poco iniziarono a raffigurare i loro ideali in forma di bonsai. La pittura bunjin (bunjin‐ga) non era realistica, né multicolore, ma più vicina alla pittura suiboku (letteralmente acqua e inchiostro, una pittura in bianco e nero, priva di linee e contorni marcati). Questo era lo stile che meglio poteva esprimere la raffinatezza e la gra‐ zia della natura universale, la mutevolezza dell'energia vitale, il ki di tutta la natura: monta‐ gne, fiumi, erbe, alberi... Si dice che per ritrarre un paesaggio il bunjin viaggiasse a lungo, solita‐ rio, in contatto con la natura, disegnando schizzi degli scorci più suggestivi; quindi tornava, stendeva un foglio di carta e con inchiostro e pennello dava voce a quel bagaglio di sensazio‐ ni e stati d'animo che altro non erano se non il respiro dell'universo. In altre parole l’uomo conviveva con la natura unendosi con essa e continuando a vivere insieme. Questa via per scoprire l’essenza della vita è collegata fino ad essere essa stessa “l’estetica del Bonsai.” La nascita dello stile Bunjin non è ben delineata, anche se pare ricollegarsi alla seconda metà del periodo EDO, che intercorre dal 1603 al 1868. Prima di allora, intorno all'epoca Ka‐



makura 1333, si parlava comunemente di bonsan (albero in vaso), termine adoperato in poesia o nelle presentazioni cinesi e del quale si trova ancora all'inizio dell'epoca Edo (1600‐ 1868), per indicare genericamente ciò che oggi è il bonsai. La gente comune usava i termini hachi‐ue, o anche ue‐ki, con il signifi‐ cato di albero messo in un vaso. La parola bonsai compare per la prima volta nel XVIII secolo. Solo dall'epoca Meiji appare la deno‐ minazione albero bunjin o bunjin‐gi. Lo stile Bunjin nasce a cavallo tra la fine dell'Era To‐ kugawa (1868) e l'inizio di quella Meiji (1869), grazie ad alcuni letterati giapponesi molto conosciuti, come Sanyo, Chikuden, Yo‐ sa Buson (haiku) Taiga (pittori) Aoki Mokubei (ceramisti) e Chokunyu, che seguivano le re‐ gole di pittura descritte nel Manuale di pittura del giardino del seme di mostarda, inoltre ammiravano e studiavano a fondo dai libri Yuo Hikusai‐ gafu e Kaishi‐en‐kaden o Keshi‐ Gaden, considerati libri di testo per tutti quei pittori che si definivano innovatori e che era‐ no ispirati dalla pittura Nansoga o Nanga (1127‐1279) condizionata dal folklore e dai dipinti della scuola cinese meridionale, la cui opera più famosa è il dipinto Canto del Sud. Dopo la metà del periodo Meiji, il bonsai cessa di rappresentare il campo d’inte‐ resse dei soli letterati ed emerge la possibilità di sviluppo come arte di stile occidentale. La condizione di ricerca spirituale del periodo Edo che era l'aspirazione ostinata al principio "rispetta la realtà e liberati dalle illusioni", non era più adeguata al periodo Meiji, caratte‐ rizzato da una cieca impazienza per l'Occi‐ dente e i suoi valori. Venuta meno l'essenza del letterato, l’appellativo di bonsai bunjin, si allontana dalla natura del letterato per di‐ ventare espressione di forma. Non più,

quindi, riferimento alla sfera spirituale, il no‐ me si lega semplicemente alle caratteristiche di un aspetto esteriore. Le caratteristiche e gli attributi (splendida‐ mente descritte da Naka per noi occidentali) dello stile Bunjin sono: 1. Pur avendo un suo aspetto, non esiste una forma o un modello predefinito 2. Non è lineare ma irregolare 3. Come un cibo che all’inizio non ha sapore, ma più ne mangi e più la sua bontà ti pervade. 4. Sembra come se stia lottando per so‐ pravvivere pur essendo in realtà estrema‐ mente in salute. Ciò che sembra quasi una lenta sofferenza deve essere solo concettuale, “non reale”. Il suo aspetto ge‐ nerale, deve semplicemente essere libero, non costretto, comprensibile, leggero, arguto e non convenzionale. 5. Un buon esempio, deriva dall’osserva‐ zione di alberi che abbiano sopravvissuto ad ogni sorta di disagio. 6. Evitare di aggiungere cose superflue, la forma definitiva deve essere essenziale 7. Dovrebbe indicare un grandioso ritratto pur essendo un semplice schizzo, un grande poema con una piccola frase 8. Una figura modellata dal vento, dal tempo, non troppo robusta ma semmai gradevole La natura e le qualità del bonsai bu‐ njin possiamo così tratteggiarle: l'apprezza‐ mento del paesaggio; il cielo in un vaso; il senso di un'opera pittorica, un sogno, una sintesi, il sentimento di una poesia; eleganza, quiete, vetustà, modestia, mistero, la creazio‐ ne di una forma che non ha bisogno di giusti‐ ficazione..., di cornice... che testimonia la vita nonostante tutto... Basta.... il NULLA (mu, non voler dire unicamente nulla, ma significa


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anche la libertà totale che si consegue distaccandosi da qualsiasi forma e materia) che circonda l'albero... Il bu‐ njin‐gi deve trovare spazio nel vuoto, ma non colmarlo, nel vuoto ciascuno può manifestare cosa ha nell’ animo. Tuttavia non sempre tutti questi elementi sono riconoscibili nei bonsai bunjin. Per avvicinarsi a que‐ sto stile sarebbe vantaggioso studiare i Kanji (scrittura cinese o giapponese, Shodo). Bunjin è un albero che, no‐ nostante il tronco sottile, ha sopportato innumerevoli tempeste di

neve; il continuo accanimento della natura ha ridotto il numero dei suoi rami e l'albero mostra la sua forza nella forma che gli consente di so‐ pravvivere alle avversità della natura. Avrà una forma raffinata ed eterea ma colma dei rigori della natura implicita in essa. Quest’aspetto ha in sé qualcosa d’impenetrabile, una bellezza unica, rappresenta lo stato di una profonda comprensione dei principi di wabi (semplice, calmo, quieto, solitario, ecc.) e sabi (maturo, vecchio, sereno, mite, ecc.) In origine tutti i bonsai bunjin erano creati ri‐


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spettando i principi di wabi e sabi. Per creare un albero bunjin è es‐ senziale riprodurre sui suoi rami quelle linee forti e marcate, nelle quali la natura è maestra. Anche se non esistono norme precise, i bunjin‐ gi dovrebbero avere una forma che richiami alberi che crescono in valli profonde, con cre‐ scita allungata in cerca della luce del sole, condizionati da altri alberi vicini. POTATURA DI UN ESEMPLARE BUNJIN ‐ La foto 1 mo‐ stra il materiale di partenza scelto per creare un bunjin che esprima una condizione estrema: un Pinus silvestris alto circa 70 cm, che non pre‐ senta ancora una maturità di coltivazione (mo‐



chi‐komi). Come albero bunjin mostra intensamente, attraverso il tronco, la severità della natura che ne ha forgiata la forma. Non si può dire che sia molto elegante. Al momento la parte superiore presenta una crescita libera e vigorosa e i rami sono riuniti formando una chioma disordinata. Non c'è armonia con il tronco che, invece, esprime la severità della natu‐ ra. Si tratta essenzialmente di elimina‐ re i rami superflui ed avvolgere gli altri, correggendone la posizione. La difficoltà sta nel decidere, prima di tutto, il fronte dell'albero, poi i rami da togliere, quelli da mantenere e come correggerne la posizione. In altre parole occorre disegnare con precisio‐ ne nella mente una forma chiara da realizzare. Il primo passo è di esami‐ nare attentamente l'angolo d’inclina‐ zione e decidere il fronte dell'albero. Come si può valorizzare la torsione del tronco alla base delle radici? Valu‐ tando tutti i pregi e i difetti, progressi‐ vamente si determina il punto di visuale migliore: il fronte dell'albero. Viene eliminato il ramo lungo sul lato destro dell'apice, lasciando un monco‐ ne poi rifinito come jin. Dopo sono stati eliminati i rami nella parte apica‐ le, lasciando soltanto pochi rami. Questo perché il movimento del tronco è perfetto per evocare una condizione ambientale sfavorevole alla crescita (foto 2, lato posteriore). La forma bunjin ha un fascino ed un valore del tutto peculiare, do‐ vuti all'intensa suggestione di maturità che esprime. Normalmente presenta un ramo marcatamente discendente, che dà carattere all'esemplare. I pregi particolarmente ammirati della forma bunjin sono la maturità di coltivazione (mochi‐komi), che dovrà acquisire ne‐ gli anni, le curve delicate ed eleganti del tronco e l'atmosfera suggerita dalla ramificazione. Il ramo discendente sul lato destro è fondamentale per dare carattere all'esemplare. Per questo motivo, dal fronte, si deve vedere chiaramente la sua posizione ed il suo movimento. Nel Pinus, i rami apicali do‐ vranno essere alleggeriti nei prossimi

interventi. Si osservi la foto che mostra l'esemplare al termine della mo‐ dellatura: l'apice è una cupola di ve‐ getazione formata da tanti rametti come avviene negli alberi vecchi e maturi, che hanno perso la spinta di crescita verso l’alto e raggiunta stabilità ed equilibrio di crescita. Avvicinare i rami al tronco e il disegno sarà valorizzato da ramifica‐ zioni corte e molto vicine al tronco. Si tratta di rami che in giapponese sono chiamati kuytsuki‐eda, cioè rami che mordono il tronco, “bocconcino” e rappresentano una peculiarità della forma bunjin. Come quelli chiamati hashirieda cioè rami lunghi. Alleggeri‐ re il disegno è più facile a dirsi che a farsi. Normalmente non basta un uni‐ co intervento: occorre accorciare i ra‐ mi gradualmente fino ad ottenere nuovi germogli in prossimità della ba‐ se, che consentano il mantenimento di rami corti e compatti. Questo pro‐ cedimento richiede meno tempo nel caso dell'apice, poiché è la zona dell'albero che cresce e si sviluppa con maggior vigore, mentre è più difficile da applicare sui rami marcatamente discendenti della zona inferiore, meno vigorosa. Dopo questi interventi rile‐ vanti non ci saranno altre potature della stessa portata, ma il lavoro so‐ stanziale consisterà nel rendere folti i palchi, nella rifinitura e nel manteni‐ mento del disegno raggiunto. Il ramo dominante discendente è avvicinato al tronco per accentuarne l'angolo acuto alla base, segno di maturità e dell'ambiente se‐ vero tipico dell'alta montagna. Dopo l'intervento si può osservare un maggiore equilibrio tra le masse di ve‐ getazione; il nuovo aspetto valorizza il movimento del tronco, mentre ogni ramo risulta più essenziale ed importante nel suo ruolo. Nel complesso il pino appare partico‐ larmente vecchio, maturo ed evocati‐ vo del suo paesaggio tipico.

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DI

A

k è il primo allievo ed qui da 4 anni, il prossimo anno dovrebbe essere l'ultimo del suo apprendi‐ stato. Proviene da una famiglia di coltivatori ed innestatori di bonsai. Il padre di Ak è molto consi‐ derato per i bonsai grezzi che riesce a coltivare e trasforma‐ re, bonsai che spesso finiscono nei giardini dei maestri più conosciuti e da questi nelle pagine delle riviste o nelle espo‐ sizioni. Penso che il padre di Ak voglia fare con il figlio un salto di qualità ed avere un futuro giovane maestro di livello mondiale. Ak ha le qualità per divenire un ottimo maestro bonsai, intelligente, riflessivo, con un ottima manualità e dote non indifferente in un allievo intuisce immediatamente i pensieri del Maestro. In un primo momento ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte ad una sfinge visto il suo distacco e la mancanza di espressioni del volto, mi sono in seguito accorto delle pupille mobilissime che tutto vedeva‐ no e controllavano, con il tempo si rivelerà una persona piacevole e con un senso dell'umorismo molto britannico e poco giapponese. Pur avendo solo 23 anni ha già in mente tutte le fasi della sua carriera, è calcolatore ed estroso come il Maestro, per questo è il suo allievo preferito fra quelli che ha avuto anche se non lo vuol dare a vedere. Piccola nota a margine: il modello tradizionale vorrebbe l'allievo di qualsiasi livello muto se non gli viene chiesto di rispondere, sordo se non gli viene chiesto di ese‐ guire, cieco se non gli viene chiesto di guardare, e cosa importante non far fare brutta figura al suo maestro. Non

L.

sembri una mia esagerazione, nei mesi seguenti incontrerò gli allievi di altri maestri che in pubblico si comporteranno in questo modo, anche alcuni occidentali. La persona attorno alla quale ruoterà il mondo du‐ rante la mia permanenza è il Maestro penserete voi, invece no è Fu. la moglie del Maestro, il Maestro stesso ammette che senza di lei non sarebbe diventato importante. Come ogni moglie giapponese Fu ha il controllo della casa e della cassa e anche dell'azienda. Fu deve accudire a due figlie ed un anziano suocero e con il mio arrivo a tre allievi, due giapponesi e per la prima volta uno straniero che rimarrà per un lungo periodo. Per fortuna con Fu ci siamo incontrati e frequentati all'estero durante le manifestazioni bonsai e mi ha accolto baciandomi sulle guance e abbracciandomi, atto molto poco giapponese. Dovrò fare attenzione nei prossimi mesi perché in questo giardino per l'esuberanza del Maestro si mescolano riti e tradizioni uniti ad una severa disciplina a scherzi e giochi ed affettuosità e sarà difficile cogliere il registro di comportamento da tenere nei vari momenti. Queste sono le persone con le quali sarò a stretto contatto ma il giardino del Maestro ospita amici, studenti, clienti che mi forniranno una varietà di caratteri da raccontare, li presenterò di volta in volta sul filo della memoria di questi 5 mesi in un altro mondo. © RIPRODUZIONE RISERVATA









U

na più matura comprensione degli Stili ed una diversa interpretazione è pos‐ sibile a chi si rende disponibile ad un’ottica diversa e non prigioniera degli schemi tradizionali. Le nuove espressioni del bonsai non devono necessaria‐ mente essere trasgressive od oppositive rispetto a quelle codifiche che ca‐ ratterizzano gli Stili. Un allargarsi del panorama estetico e un recupero di qualità creative e interpretative (dell’albero) può avvenire sicuramente attraverso una ricerca minuziosa, quasi pedante e uno studio più approfondito. In tutti gli Stili albergano i concetti di wabi e sabi propri dall’estetica Zen, riaffermati anche dalla visione stilistica dei più grandi Maestri contemporanei del bonsai che hanno portato interpretazioni innovative a quest’arte. Dal punto di vista percettivo abbiamo GLOBALITÀ ‐ DETTAGLIO


perché è vero ‐ secondo la formula gestaltica ‐ che la somma delle singole parti non è equivalente al tutto; ossia che la globalità, la olisticità dell’albe‐ ro (dal greco holon, sommatoria funzionale delle parti che è sempre maggiore della somma delle prestazioni prese singolarmente) non è uguale alla somma delle sue componenti (rami, foglie, radici, etc.) ma è qualcosa di sé stante, di inscindibile, di non differenziabile nelle sue singole partizioni. Molto spesso, nell’osservare un bonsai, accade che non si tenga abbastanza conto del



dettaglio per rivolgersi subito all’intero; ma spesso si sbaglia nel considerare il particolare come equiparabile al totale. Nel bonsai d’avanguardia si tende verso l’aumento della complessi‐ tà che rende meno leggibili e più evi‐ denti l’armonia e l’equilibrio visivo, che va verso l’eliminazione radicale della corrispondenza ordinata delle parti quale criterio cardinale di identi‐ ficazione del bello (che appare in que‐ sto modo al di fuori di qualsiasi legame, nella complessità strutturale dei pieni e dei vuoti). Tutto questo si manifesta con un orientamento che, privilegiando l’espressività, si allonta‐ na, con uno scarto, rispetto agli schemi stilistici tradizionali. In questo contesto hanno un ruolo maggiore tutte quelle lavorazioni avanzate di cui ci occupia‐ mo nello specifico. Ciò accade come superamento ed elaborazione nel pie‐ no di una fase artistica che si considera

“classica”, ossia produttrice di modelli esemplari, da proporre all’ammirazio‐ ne e all’imitazione. Ecco perché si parla di bonsai d’avanguardia. Molti i fattori che conducono a reali o apparenti effetti di abbando‐ no delle norme codificate: il pathos che forza l’accettata compostezza delle forme precedenti; l’accentuazione di alcuni aspetti già rinvenibili nei prece‐ denti “stili classici”; e un’altra variante, forse la più efficace, si ha quando l’artista acquisisce un potere crescente a quella forza eversiva e irrispettosa delle norme codificate che è l’immagi‐ nazione, la quale ‐ secondo Pascal e Baudelaire ‐ “dispone di ogni cosa” e continuamente “crea un mondo nuo‐ vo” e, poiché lo produce, è anche “giusto che lo governi”. Non ci si aspetti però nuove regole codificate; occorre essere inve‐ ce alla ricerca di un’ostinata armonia,

che deve celarsi per non apparire subito evidente e scontata. Le teorie e le pratiche bonsaistiche si devono spo‐ stare invece in direzione di una interpretazione dell’albero che si inventi, di volta in volta, le proprie re‐ gole. Diminuito il fascino degli schemi tradizionali, prende sempre più consistenza la ricerca del “nuovo” tra‐ mite una più elaborata e immaginata visione dell’albero, dagli effetti sorprendenti. La percezione del bonsaista perde così l’innata staticità intesa come organo recettivo: nel loro legame con la mente si rivela esercizio del varcare la nuova frontiera del bello che è però retaggio del bonsai contemporaneo. In tutto ciò si racchiude l’evo‐ luzione stilistica che è un processo ra‐ zionale e irreversibile: l’habitus creativo è riempito in modo differente

da ogni Maestro. Il bonsaista deve sa‐ pere indagare nel regno della visibilità, della tattilità, della manualità, tenendo fissa l’attenzione alla matrice estetica del bonsai. Lo stile è dunque il risultato scaturito da uno studio delle forme passate, con tutte le condizioni e le circostanze del divenire. Questo ci pone di fronte a molteplici implicazio‐ ni chiamate in causa dal concetto di stile: il rapporto dello stile con gli stili (del passato, delle tradizioni, etc.); lo stile immanente al tipo di materiale (albero) scelto. La creazione di un nuovo stile non può essere risolto con soluzioni empiriche, pratiche, volonta‐ ristiche, connesse ad una qualche teo‐ ria dell’invenzione ex abrupto. L’arte del bonsai ricondotta ad un unico principio – L’uomo non

può creare che in maniera impropria: tutte le sue produzioni portano l’impronta di un modello. Se il bonsai‐ sta, per originalità, fa di alcune parti della pianta un insieme contrario alla natura, così degradandola, valida dei limiti segnati e quando li si sorpassa ci si perde. La funzione del bonsaista non consiste nell’immaginare ciò che non può essere, ma nel ritrovare ciò che è. Per quanto concerne il bonsai, inventare significa riconoscere dove è e come è. Imitare è copiare un mo‐ dello. Questo termine contiene due idee: 1. l’albero che porta i tratti che si vo‐ gliono imitare; 2. l’esemplare che lo rappresenta. La natura, cioè tutto quello che è, o che noi concepiamo age‐

volmente come possibile: ecco il pro‐ totipo o il modello bonsai. L’arte bonsai non crea le proprie regole: esso sono indipendenti dal capriccio e invariabilmente tracciate sull’esempio della Natura. Da questo principio, bisogna concludere che, se l’arte bonsai è imi‐ tatrice della Natura, l’imitazione deve essere saggia e illuminante, tale che non copi servilmente, ma che sce‐ gliendo talune peculiarità li presenti con tutta la perfezione di cui sono su‐ scettibili. In breve, una imitazione in cui si veda l’albero come esso è in se stesso, ma quale potrebbe essere, co‐ me potrebbe essere concepito me‐ diante lo spirito.

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T

radurre (dal latino tra‐ducere: condure al di là) significa trasporre in una lingua diversa una serie di parole che non sono soltanto “parole” ma contengono concetti spesso estranei alla lingua in cui si traduce. Questi concetti appaiono tanto più lontani quanto più lontana è la cultura della lingua dalla quale intendiamo tradurre. In questo caso parliamo della lingua giapponese, in cui il significato e il significante assu‐ mono un valore estetico totalmente estraneo a noi occidentali. I kanji, con i loro tratti “pittorici”, sembrano contenere un linguaggio segreto, qualco‐ sa di inaccessibile anche quando riusciamo a coglierne il senso. In parti‐ colare, c’è una parola giapponese che sfugge a qualsiasi traduzione e comprensione: si tratta di mederu che vuol dire letteralmente “apprezzare le cose belle della natura”.


Mederu, il cui suono sembra trasportarci già in una dimensione di calma e di contemplazione, racchiude tutta l’importanza che la natura riveste per i giapponesi. Viene subito in mente il rito annuale dell’hanami, du‐ rante il quale si contemplano i ciliegi in fiore; oppure l’autunnale momijigari i cui protagonisti sono i bellissimi aceri giapponesi. Come dimenticare, inoltre,

l’incipit del “Makura no Soshi” (Note del Guanciale) di Sei Shōnagon: "L'au‐ rora a primavera: si rischiara il cielo sulle cime delle montagne, sempre più luminoso, e nuvole rosa si accavallano snelle e leggere..." dove la natura, da sola, costituisce uno spettacolo d’insu‐ perabile bellezza. Nessun traduttore, per quanto abile e fantasioso, riuscirà mai a trasporre in un’altra lingua que‐ sto concetto che è anche il segno

dell’anima di un intero popolo. Tutta‐ via, chi si è anche solo avvicinato alla sublime arte del bonsai, riesce a carpi‐ re il senso profondo di questo bellissi‐ mo verbo. Piantare, coltivare, potare e veder crescere lentamente il proprio albero, significa sperimentare mederu e farne il motivo dominante del pro‐ prio lavoro certosino. L’estetica del bonsai, basata su asimmetrie e vuoti pieni di senso, è intrisa di mederu ed


è, probabilmente, uno dei pochi canali che noi occi‐ dentali possiamo percorrere per comprendere questa misteriosa parola. Ogni bonsaista, con la sua arte paziente, rie‐ sce a tradurre in un linguaggio non verbale questa incredibile parola e a rendere tangibile un concetto che, altrimenti, resterebbe per noi impenetrabile.

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E

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difficile parlare di Prima neve sul Fuji (Einaudi, pp. 149, € 9,50), come lo è per una qualsia‐ si raccolta di racconti di Kawa‐ bata Yasunari. Non perché la scrittura sia oscura, dal momento che la prosa è limpida e avvolgente; si tratta di qualco‐ sa di più midollare e intimo, che s'annida nel fondo delle parole e degli eventi. In queste storie incontri sfumati, desideri reconditi e segreti, avvenimenti minimi come una visita inaspettata rive‐ lano i lati, consueti o inquietanti, dell'esi‐ stenza, in cui si insinuano sottilmente il dubbio, il senso di colpa, il rimpianto; persino nel gioco innocente dei bambini e nel rumore delle gocce di pioggia tra‐ pelano dissapori e sofferenze. La natura, presenza silenziosa ma pregnante, accompagna e a suo mo‐ do spiega la bizzarra vita degli uomini,

come appare in Un filare di alberi o in Yumiura, in cui la bellezza discreta di un viottolo di gingko o la magnificenza d'un vecchio tramonto sulla baia sembrano contrapporre l'incessante mutare delle stagioni agli accadimenti umani, effimeri eppure carichi di affanni. Soltanto la memoria, seppure a tratti, e le piccole, inaspettate meraviglie possono forse re‐ stituire un briciolo di pace ed eternità agli animi tormentati. L'esempio più toccante è certo Crisantemo nella roccia: qui il nobile fiore in cui s'è incarnato lo spirito di una donna in perenne attesa dell'amato pare raccontare una fragile vittoria della vita sul tempo e sulla morte.

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PRIMA NEVE SUL FUJI YASUNARI KAWABATA EINAUDI € 9,50


HITOSHI'S WORLD


photo Š Hitoshi Shirota




FAMIGLIA: EBENACEAE GENERE: DIOSPYROS NOME COMUNE: CACHI, KAKI Albero deciduo, in Giappone il cachi viene coltivato per i suoi frutti. Invecchiando, il tronco si tinge di sfumature marrone‐nerastre. Molti dei sui rami sono divergenti, e le foglie alterne di forma ovale si animano d’autunno di un bel colore rosso. Se come bonsai di piccole e medie dimensioni si usano anche il royagaki (Diospyros rhombifolia), il tokiwagaki (Diospyros Morrisiana) o il mamagaki dai piccoli frutti, nessuno ha l’eleganza del cachi di montagna (Diospyros kaki). Sui frutti giallo‐rossi del cachi sembra sempre diffondersi la calda luce del tramonto.

I

l fascino di una tradizione mille‐ naria circonda ancora ai nostri giorni gli alberi di cachi, i cui frutti, dal sapore delicato e parti‐ colare, solleticarono la fantasia dei popoli antichi, che individuarono in essi "il cibo degli dei". Originario della Cina, dove viene indicato col nome di "Mela d’Oriente", il Caco viene larga‐ mente coltivato anche in Giappone e occupa un posto di primaria importanza nella dieta alimentare di quei popoli.

ESPOSIZIONE ‐ Il Caco si colloca in po‐ sizione ventilata e soleggiata. Poiché le foglie non si bruciano per la mancanza d’acqua, non è necessario mettere la rete ombreggiante, neanche in piena estate. Se si ha poco tempo per innaffiare, è meglio posi‐ zionarlo in modo che non sia esposto al sole pomeridiano. In inverno occorre evitare che il terriccio geli. INNAFFIATURA ‐ Per una produzione ottimale di, il Diospyros predilige


VARIETA' DI KAKI

innaffiature regolari in prima‐ vera e in autunno , ma gene‐ rose in estate. Anche se gli alberi di cachi tollerano bene la siccità , la qualità dei frutti risente della mancanza di un apporto regolare di acqua . In condizioni di siccità persi‐ stente infatti, la pianta reagi‐ sce frutta POTATURA E FORMAZIONE ‐ Se l’obiettivo è la formazione dei rami, si pota da ottobre a febbraio dopo la caduta delle foglie, periodo che coincide con la quiescenza della pianta. Se invece l’obiettivo è la fruttificazione, una volta che i frutti interrompono la loro crescita (giugno), si pota‐ no i rami selezionando quelli che si intende lasciare. I rami del Caco sono abbastanza ri‐ gidi, ma rimangono morbidi fino a quando le vegetazioni non raggiungono i 15‐20 cm: il giusto procedimento è di fermare in quel momento le

DIOSPYROS LOTUS Il termine Diospiro deriva dal greco 'dios' = divino e 'py‐ ros' = grano, frumento e per estensione 'frutto' cioè 'frutto divino' in riferimento alle proprietà organolettiche dei frutti eduli. La pianta originaria dell'Asia, è stata introdotta in Europa nel 1596; già alla fine del 18° secolo era regolarmente coltivata nel sud dell'Europa. Essendo più resistente al freddo del D. kaki viene impiegato come porta‐innesto; è una pianta frugale, slanciata, raggiunge i 15‐18 metri a maturità: nel nostro clima si sviluppa bene, anche in terreni calcarei e asciutti (in collina può essere un’ottima ed originale scelta, una possibile alternativa di colore) La specie è conosciuta sotto diverse denominazioni, tra le quali "legno di Sant'Andrea" e "legno santo" perché una leggenda so‐ steneva che Sant'Andrea fosse stato crocifisso su quest'albero. Ha foglie caduche, semplici a lamina ovoidale lanceolata, margine intero. La specie è pianta a fiori unisessuali e, raramente, anche poligami: per questo la pianta si può presentare con soli fiori a funzione femminile o con soli altri a funzione maschile; può anche avere solo fiori ermafroditi o addirittura riunire con combinazioni diverse le varie caratteristiche. I frutti, dunque, possono derivare da fecondazione o dal principio di parteno‐ carpia: nel primo caso hanno una polpa più dolce e più soda e un colore bruno. In alcune varietà i frutti, se partenocarpici, so‐ no (usando una classificazione utilizzata dai giapponesi per contrapporli a quelli dolci) astringenti. Per la coltivazione bonsai vengono utilizzati Cachi selvatici, assai diffusi nei boschi dell'Ita‐ lia settentrionale e centrale, che producono frutti astringenti, ma staccati dal ramo. Assai semplice da preparare e da seguire nel processo di crescita e formazione, questo alberello è consigliabi‐ le ai principianti e offre immediate soddisfazioni anche ai bonsaisti meno pazienti. Fruttifica infatti entro un anno o due dall'inserimento nell'apposito contenitore e quindi acquista immediatamente un aspetto gradevole, anche se, naturalmente, solo le cure e le modifiche che verranno apportate nel corso di anni, sapranno conferirgli il carattere di un artistico ed armonio‐ so bonsai. DIOSPYROS KAKI È stato sviluppato dalla specie selvatica D. roburghii. Spesso è innestato su portainnesti del più resistente e tollerante D. lotus. L'albero può raggiungere altezze fino a 12‐18 m (40‐60 ft); le foglie sono alterne . La specie è generalmente monoica con fiori maschili e femminili presenti su piante separate . I fiori maschili, che sono generalmente in gruppi di 3, hanno 16‐24 stami, mentre i fiori femminili solitari hanno 8 pseudostami (sta‐ mi sterili, assenti le antere e polline). Il frutto ha un elevato


nuove vegetazioni con il filo (avvolge‐ re con il filo ferma la crescita dei rami, se questi vengono curvati verso il bas‐ so); su torsioni e piegature più impe‐ gnative è opportuno l’utilizzo della rafia. RINVASO ‐ Il periodo migliore per effettuare il rinvaso è la primavera, prima del risveglio vegetativo; si lava via il vecchio terriccio e si sostituisce con un substrato che garantisce un buon drenaggio. Poiché le radici cre‐ scono vigorosamente, si consiglia l’uti‐ lizzo di un vaso più profondo in modo da avere una maggiore umidità nel terreno. Si rinvasa ogni tre anni, ma una volta superata la fase di crescita, quando l’obiettivo sarà quello di otte‐ nere una maggiore fruttificazione, si dovrà rinvasare ogni anno. CONCIMAZIONE ‐ Somministrare conci‐ mi organici azotati in primavera e concimi ricchi di fosforo e potassio in autunno; se non si concima adeguata‐ mente non si ottiene una buona fiori‐ tura. Diminuire la concimazione da prima della germogliazione fino a quando maturano i frutti. MALATTIE ‐ Il Diospyros è abbastanza resistente all’attacco dei parassiti anche se è importante trattare perio‐ dicamente con insetticidi; se la comparsa di cocciniglia è associata alla presenza delle formiche, queste rego‐ lano la loro proliferazione. Un eccesso di acqua a volte può provocare marciumi radicali la cui conseguenza è perdita di fiori e frutti giovani.

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CURIOSITÀ Nel 1983, il presidente Ronald Reagan ha avuto in dono da Hassan II, re del Ma‐ rocco, un bonsai di Diospyros kaki proveniente dalla sua personale collezione. Il bonsai è stato collocato nel National Bonsai and Penjin Museum.




contenuto di tannini che conferiscono proprietà astringenti; con la maturazione si riducono i livelli di tannino consentendone la commestibilità. DIOSPYROS RHOMBIFOLIA Originariamente scoperto in Ci‐ na, è stata successivamente introdotto in Giappone dove viene utilizzato come bonsai per le foglie molto piccole e i frutti non più grandi di 2 cm; es‐ senzialmente dioica (piante maschili e femminili) ha bisogno di sole pieno per migliorare la fruttificazione. I frutti sono ricchi di flavonoidi antiossidanti come le catechine e le gallocatechine nonché di acido betulinico, importante anti‐tumo‐ rale. Le catechine sono note per avere proprietà anti‐infettive, anti‐infiammato‐ rie e anti‐emorragiche..



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