Bonsai & Suiseki magazine - Marzo-Aprile 2012

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BSM - Anno IV n. 2 - Marzo/Aprile 2012

CONTRIBUTORS Lorenzo Agnoletti, Fabio Canneta, Stefania Cornario, Nicola Crivelli, Gian Luigi Enny, Valeria Marras, Laura Monni, Giacomo Pappalardo, Roberto Raspanti, Elisabetta Ruo, Enrico Sallusti, Francesco Santini, Umberto Scognamiglio, Anna Lisa Somma, Mauro Stemberger, Hans Vleugels, Nevis Zanchetta

IN COLLABORAZIONE CON

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BONSATIREGGIANDO

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SOMMARIO

EDITORIALE

18

Antonio Ricchiari Editoriale

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SECRET WORLD

20

Fabio Canneta L'insieme... e l'essenza

DAL MONDO DI BONSAI & SUISEKI

28

Gian Luigi Enny Elementi fondamentali di un giardino in stile giapponese

32

Sandra Guerra Una conversazione con il Maestro

34

Giuseppe Monteleone Bonsai Club Polistena

38 32

MOSTRE ED EVENTI

38

Hans Vleugels Noelanders Trophy

AGRONOMIA BONSAISTICA

44

Luca Bragazzi La capacità di scambio dei suo-

li. CSC

IN LIBRERIA

45

Antonio Ricchiari Il buddista riluttante - W. Woollard

28 20


SOMMARIO

BONSAI 'CULT'

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9

Antonio Ricchiari Una nuova ecologia

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48

LA MIA ESPERIENZA

48 56 63

C. Scafuri, G. Pappalardo Juniperus sabina "Ultimo"

1

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N. Crivelli, N. Zanchetta Di mano in mano Mauro Stemberger Da semplice tronco a bonsai

1

v A LEZIONE DI SUISEKI & CO.

68

Luciana Queirolo La storia, le passioni, la fantasia del mio "Stone Brother", Bradley Barlow

77 46

1 1

L'OPINIONE DI...

77

Valeria Marras Massimo Bandera

1

BSM AWARD

88

Enrico Sallusti Storia di un pino nero

68 88


SOMMARIO

I FANTASTICI QUATTRO

92

L. Agnoletti, N. Crivelli, R. Raspanti, F. Santini Taxus baccata OGGI PARLIAMO DI...

102

102

Antonio Acampora La scelta del materiale di partenza per un principiante IL GIAPPONE VISTO DA VICINO

109

Anna Lisa Somma Alla scoperta del Sol Levante: Giappone - di R. Menegazzo

110 112

Hitoshi Shirota Hitoshi's World Stefania Cornario Hanami

92 112

L'ESSENZA DEL MESE

116

U. Scognamiglio, E. Ruo Prunus mume

109 116



H

o imparato ad amare il Giappone negli anni. L’ho apprezzato poco per volta. E’ l’Impero dei segni, è la patria dell’estetica, di un’estetica purissima ed essenziale, è la terra dei dettagli, della perfezione e se esistesse una perfezione assoluta oserei dire: della perfezione assoluta. E’ un mondo a sé stante. Se qualcuno, non ricordo chi, ha detto che Dio è nei particolari, il Dio di quella Terra è rappresentato in tutta quella infinità di particolari che riempiono il quotidiano. La perfezione anche nel superfluo, nell’effimero, nel minuzioso. Quanto un occidentale può capire? Quanto può penetrare questa civiltà? E’ da notare che l’aspetto “tradizionale” sia inserito in un corpo sociale dotato anche di tratti “moderni”. In Giappone, qualità come “spirito di appartenenza” e “senso dell’onore” contraddistinguono ogni gruppo. L’abilità personale ed i risultati effettivi contano molto di più della provenienza familiare. Ha scarsa importanza che un individuo sia nato in una famiglia ricca o potente oppure in una di contadini. La valutazione di un individuo viene fatta in base alla sua attività più che alla sua origine. L’attaccamento al gruppo contribuisce in maniera determinante all’identità sociale di un individuo. Questo implica lealtà verso il proprio gruppo. I giapponesi sono abituati a considerare l’ordine gerarchico come il principio fondamentale di organizzazione sociale. Questo modo di vedere si manifesta ovunque nelle attività di gruppo, ed è bene esemplificato dal concetto giapponese di democrazia. I giapponesi intendono per “democrazia” un sistema che dovrebbe stare dalla parte dei deboli, o degli inferiori, e in cui, in pratica, ogni decisione dovrebbe esser presa anche in base al consenso di coloro che occupano i livelli più bassi della gerarchia (sic!). Tutte queste brevi considerazioni mi portano ad alcune similitudini, a pensare al Paese in cui viviamo, al nostro quotidiano e, perché no, inevitabilmente la mente si rivolge al piccolo mondo del bonsai che molti di noi vivono professionalmente e quindi a tempo pieno. Mi piace pensare che chi si dedica con amore e passione al bonsai ed al suiseki, oltre alle conoscenze di tecniche e di pratica, oltre all’affinamento del senso estetico, cerchi di arricchire e coltivare qualità come quelle che sono innate nell’individuo giapponese. Certo, i valori dell’uomo giapponese hanno parametri molto diversi di quelli dell’uomo occidentale. Tutto ciò, se dovesse mutare (discorso utopico?), migliorerebbe di molto l’attuale panorama che ci rappresenta e che ci appartiene, panorama che appare oggi dai contorni sfocati, intristito da talune mancanze e carenze che minano seriamente l’aspetto aggregativo visto come unione solidale di individui che hanno in comune la medesima passione, e, quel che è più grave, l’immagine stessa di una categoria che rischia, per colpa di qualcuno, di trasformarsi in una vera e propria lobby con annessi e connessi! Si può sempre cambiare, non è facile, ma c’è sempre tempo per provarci. © RIPRODUZIONE RISERVATA


di Fabio CANNETA








I bianchi e i neri ci restituiscono un’immagine effimera e ingannevole che nulla ha in comune con la percezione dei nostri occhi abituati a stimoli policromi. Ma per uno strano gioco di vuoti e di pieni rappresentati dai bianchi e dai neri, ci porge la nuda materia spogliata delle sue seducenti pennellate intrise di colore accompagnando per mano l’osservatore verso l’essenza delle forme.



O

gni forma d'arte utilizza i propri elementi per comporre l’opera. Lo stesso avviene quando si tratta di realizzare un giardino in stile giapponese. Se analizziamo bene un tipico giardino nipponico si avvale di vari elementi che lo caratterizzano come: piante, lanterne, rocce, vasche per l’acqua, isole, stagni, ponti, alcune volte una sala da tè e paesaggi presi in prestito. Il modo in cui vengono utilizzati dai maestri giardinieri questi diversi elementi in combinazione tra loro, è ciò che porta un giardino alla sua esistenza. Le pietre sono tra gli elementi più importanti, infatti quando si comincia la costruzione di un giardino in questo

stile il progettista di solito inizia con la collocazione delle varie pietre. Il raggruppamento delle pietre può essere fatto in modo casuale o anche in forme triangolari. Secondo la tradizione giapponese le pietre sono sempre posizionati in numero e in gruppi dispari, solo in seguito si aggiungono in base al progetto gli altri elementi.Ricordiamoci che, posizionare le rocce equivale a formare l’ossatura del giardino dal quale dipenderà l’atmosfera, il decoro e soprattutto la serenità dell’intero complesso, perciò nel posizionare anche una singola roccia, ci si dovrà concentrare e impegnare seriamente senza mai farlo a cuore leggero. Le pietre possono essere incorporate in un certo numero di modi diversi, un modo


comune è quello di usarli come segna passi per un sentiero del giardino, oppure possono essere utilizzati per rappresentare una montagna e, se posizionate in un giardino Kerosansui ad un'isola. Alcuni progettisti di giardini in stile giapponese sanno sfruttare l’uso delle pietre per creare l'illusione di paesaggi presi in prestito dando una sensazione di una montagna in lontananza. L'acqua è un altro elemento molto importante utilizzata come scenografia in questi giardini essa può essere simboleggiata attraverso molti mezzi differenti, per esempio con la ghiaia rastrellata nelle rappresentazione di onde che si infrangono contro la roccia, oppure con le vaschette tsukubai per purificare la bocca prima della cerimonia del tè. Poiché l'acqua simboleggia la purezza, nello stesso tempo dona a tutto il giardino un tocco di freschezza. Uno degli usi più suggestivi è quando viene utilizzata per la creazione di cascate: dove è possibile, un salto d’acqua crea un ambiente di pace e serenità dando all’osservatore quella sensazione di naturalezza e senso di pace paradisiaca. L'acqua può essere utilizzata anche in torrenti, stagni, fiumi,

ognuno dei quali funge da centro di attrazione in un giardino giapponese. Anche la lanterna di pietra è un elemento classico della vecchia scuola, quasi mai deve mancare, il suo posizionamento è fatto in un modo molto strategico in quanto è pensata per portare simbolismo di elementi contrastanti, come lo yin e lo yang. Unitamente ai vari tipi di vegetazione il pino e l'acero giapponese sono tra gli alberi più diffusi in un giardino di questo stile, altre essenze tipiche ricercate sono: il muschio, il bambù, le magnolie, le azalee, i ciliegi, i susini, le peonie ecc. Non tutti gli elementi descritti in questo articolo sono obbligatoriamente necessari, ma se per una buona realizzazione necessitano, andranno usati con cura, parsimonia e discrezione. © RIPRODUZIONE RISERVATA


1. Vari elementi che compongono un giardino nipponico - 2. Sentiero di pietre 3. Onde di ghiaia - 4. Vaschetta Tsukubai - 5. Cascatelle


M

aestro, ma come vengono valutate le piante ai concorsi? Pongo la domanda di punto in bianco, nel mio miglior stile "senti maaaaa...", durante una lezione col mio Istruttore. La situazione è molto piú prosaica ma mi sono sentita subito nei panni di Daniel nelle prime scene di "Ka-

rate Kid". "Si valutano diversi elementi per un bonsai" - risponde lui senza nemmeno pensarci troppo, come se mi stesse elencando gli ingredienti per una pasta alla carbonara - " asimmetria, semplicità, austerità, naturalezza, sottile profondità, libertà dall'attaccamento e tranquillità." Annuisco, già convinta di aver capito tutto e applico immediatamente la mia esperienza di insegnante occidentale chiedendo: "i punteggi in che range vanno assegnati di solito? Fanno la media dei punti assegnati da ogni giudice?". E mi becco in risposta un sorrisetto - no Daniel San - che mi da la misura della profondità della mia ignoranza. "Non è matematica, non devi ragionare con la tua mente e il tuo sapere occidentale, devi osservare la pianta con il necessario distacco, essere la pianta!" Ecco. Essere la pianta. Probabilmente ho la faccia della mucca che vede passare il treno e mi sento ad anni luce dal capire che accidente significhi, ma ostinata ci riprovo.

"Ma se devono giudicare le piante, ci vogliono un metro di misura e un metodo obiettivi, no? Altrimenti ogni giudice sceglierebbe in base ai suoi gusti!" Il sorrisetto questa volta è di compatimento - dai la cera, togli la cera, Daniel San. "Continui a ragionare col tuo cervello occidentale. Devi dimenticare tutto quello che hai imparato nella tua vita, guardare con gli occhi del bambino. I giudici orientali anche senza i tuoi "parametri obiettivi" alla fine scelgono tutti la stessa pianta. Osservare un bonsai con distacco, liberi dall'attaccamento, significa svuotare la mente, lasciare che entri in te, che ti parli. Nel mondo occidentale spesso si punta a rendere evidente l'autore, a "firmare" un bonsai in modo che balzi agli occhi chi l'ha educato. In giappone invece la pianta viene prima dell'autore, non importa se é Kimura o Sandra Guerra. E quello che conta alla fine é ció che trasmette, che riesce a comunicare." Travolta dalla massa di concetti per me 'alieni' rifletto in silenzio per un po', poi tento di trarre un senso dal tutto. "Quindi che un giudice deve guardare un bonsai con distacco non significa che deve essere freddo, ma che non deve tentare di imporgli modelli mentali, schemi, caratteristiche che non sono nella pianta ma nel giudice, deve lasciare che entri nella sua mente vuota, cioè libera da legami e preconcetti e che gli comunichi sensazioni, che gli parli, lasciandosi "riempire", lasciandola "entrare"...?" Guardo speranzosa il viso del mio maestro, sicura di aver al massimo appena scalfito la profondità dell'argomento, ma questa volta - hai, Daniel san - vi trovo un sorriso di approvazione e, ci potrei giurare, una strana ombra di occhi a mandorla e baffetti. © RIPRODUZIONE RISERVATA



S

crivo con immensa soddisfazione queste poche righe. Soddisfazione per un sogno che si è realizzato a distanza di anni. Ebbene sì, nel scorso mese di dicembre 2011 si è costituito il Bonsai Club Polistena. Finalmente, dopo una gestazione durata circa sei anni, l'idea di un paio di amici si è fatta realtà. Era infatti il 2006 quando assieme all'amico ed attuale presidente del Club, Antonello Galluccio, si discuteva ogni volta che se ne aveva l'occasione, sull'assenza sul nostro territorio di un club o di una qualsiasi forma di organizzazione che raccogliesse quegli amatori che non si vedevano, ma che eravamo certi


ci fossero. Eravamo certi che nella parte più meridionale della Calabria gli appassionati ci fossero. Le frequentazioni sui diversi forum e gli interventi dei singoli sulle riviste di settore ci facevano conoscere un po' alla volta quelli che sarebbero diventati i nostri compagni di avventura. Alla scoperta di questo tesoro nascosto, fu di supporto la nostra passione. Esplicitata ad ogni occasione ed in ogni circostanza, ha sicuramente contribuito a farci avvicinare agli attuali amici e soci. La svolta definitiva si è avuta durante gli ultimi mesi dello scorso anno, quando, il gruppetto che raggiungeva già le 5-6 unità grazie al passaparola, ha

portato al primo incontro organizzato per discutere sulla costituzione del Club, ben undici amici. L'accordo e la sintonia è stata immediata, all'aperto e sotto i fantastici alberi della Villa Comunale di Polistena abbiamo concordato che la settimana successiva ci saremmo rivisti per discutere sullo statuto e definire il tutto. E così è stato. Formalizzati gli adempimenti burocratici ed amministrativi nasceva ufficialmente il Club. Che emozione!!! Ad oggi ci siamo incontrati più volte, ed almeno una volta al mese, nonostante la momentanea assenza di una sede definitiva. Alcune volte non siamo riusciti ad essere tutti, ma si



sa, la passione è più forte di tutto ed al momento l'officina di Marcello è il nostro regno! Lì discutiamo e lavoriamo, ma, devo dire, che la grande sensibilità dimostrata dall'Amministrazione Comunale è quasi emozionante. Abbiamo la promessa e l'impegno reale per l'assegnazione di un locale idoneo ai nostri scopi. Per il resto, che dire, motivazioni e scopi sono comuni a qualsiasi Club di bonsai. Ma in noi alberga un'altra speranza, quella di diventare un punto di riferimento per tutti gli appassionati di questa parte di Calabria e soprattutto di mantenere viva e possibilmente far crescere la passione per questa splendida arte. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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iunti oramai alla tredicesima edizione, la Bonsai Assocation Belgio (http://www.bonsaiassociation.be/) ha organizzato anche quest'anno il Noelanders Trophy. Questa mostra internazionale di bonsai è divenuta una delle più importanti e seguite d'Europa, questo specialmente grazie al suo organizzatore, nonché fondatore del BAB, Marc Noelanders. Per il secondo anno consecutivo, lo scenario per questa mostra è stato il sito storico minerario della città Heusden-Zolder, location che ha caratterizzato fortemente questo evento. Al suo interno sono stati esposti ben 100 bonsai. Il grande successo di questa mostra è senza dubbio il suo carattere internazionale, nonché la collaudata formula di combinare le dimostrazioni eseguite da ospiti internazionali, ad un grande mercato bonsai. Ogni anno ci sono sempre più visitatori provenienti da tutta Europa, e in alcuni casi addirittura venuti da altri continenti.


Gli ospiti principali del nutrito programma di quest'anno sono stati: William Valavanis (USA), Ryan Neil (USA), Mauro Stemberger (IT), Jorge Campos (ES) e Vaclav Novak (CZ). Nel corso del pomeriggio, hanno fatto tutti una dimostrazione in due sale separate, demo seguite e commentate da Walter Pall. Come ogni anno, questi ospiti sono stati gli stessi che hanno composto la giuria per la scelta dei bonsai da premiare. I vincitori di quest'anno sono stati: Primo premio "Noelanders Trophy": Juniperus chinensis di Luis Vallejo Primo premio Kifu "Noelanders Trophy": Juniperus c. 'Itoigawa' di Mauro Stemberger Miglior bonsai BAB: Pinus mugo di Christian Vos Menzione di merito "Noelanders Trophy": Salix babylonica di Simon Temblett Menzione di merito "Noelanders Trophy": Pinus sylvestris di David


Benavente Menzione di merito "Noelanders Trophy": Picea abies di Nicola Crivelli Menzione di merito "Noelanders Trophy": Fagus sylvatica di David Barlow Inoltre, Robert Kempinski, Presidente del Bonsai Clubs International ha assegnato al Taxus cuspidata di Mauro Stemberger il Premio BCI. Anche Simon Temblett ha ricevuto questo premio per il suo mozzafiato salice piangente Salix babylonica. Per finire, il tedesco Gormez Soler ha ricevuto il Premio EBA per il suo Carpinus turczaninovii. Le mie congratulazioni a tutti i vincitori ed ai loro favolosi lavori, ed a tutti gli altri espositori che hanno fatto di questa mostra un vero e proprio evento. Un plauso in particolare a tutti i soci del Bonsai Association Belgio, grazie al loro duro lavoro sono riusciti ad organizzare e creare un evento davvero magnifico. Come ogni anno, tutti i bonsai sono stati fotografati in uno studio fotografico professionale dal signor Willy Evenepoel. Vi invito per il prossimo anno alla XIV edizione del Noelanders Trophy, che si terrà il 19 e 20 gennaio 2013. © RIPRODUZIONE RISERVATA





Tra i valori che caratterizzano un suolo, di estrema importanza troviamo la sua capacità di scambio; è un parametro quasi per nulla considerato dai bonsaisti e come tale la sua non considerazione fa incorrere sempre più spesso in problemi legati alla fisiologia dell'assorbimento dei nutrienti di difficile interpretazione e risoluzione.

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a capacità di scambio rappresenta la capacità di trattenere i cationi presenti nella soluzione circolante ed è una caratteristica chimica dei suoli molto importante. Si esprime in meq/100gr. Questa proprietà è definita dall’origine e dalla composizione del suolo e i suoli che manifestano elevata capacità di scambio sono quelli ricchi di minerali argillosi e di sostanza organica (SO). Ne risulta che i diversi suoli hanno una diversa CSC (Capacità di Scambio Cationico) e che quelli con valori elevati hanno una maggiore capacità di trattenere gli elementi nutritivi, in particolare i micro-elementi di tipo ferroso. I suoli con tali caratteristiche rappresentano un ottimo serbatoio di accumulo per le piante, che di conseguenza ne dispongono in maniera più eqilibrata, sia nella quantità che nel tempo, avendo una crescita molto più omogenea e costante. Alcuni suoli con scarsa CSC, non potendo trattenere i suddetti elementi nutritivi, risultano particolarmente poveri e come tali rappresentano un tipo di suolo costituente una validissima struttura fisica e non chimica o nutrizionale. In Agronomia bonsaistica, i substrati meglio rappresentativi per questo parametro e più considerati e utilizzati sono qui di seguito un elencati: AKADAMA = 35 KIRYU = 25 LAPILLO = 30

KANUMA = 32 POMICE = 13 TERRICCIO UNIVERSALE (TU) ricco di Humus = 200/400 Personalemente ritengo essenziale comporre una miscela con percentuali differenti dei primi substrati escludendo totalmente il TU. Una scelta simile si basa sulla necessità di avere una capacità da parte del suolo di evitare costipamento e asfissia dovuta a substrati organici quali il TU, e di garantire una struttura che conferisca alla miscela un compromesso tra aria e acqua risultando essere un validissimo supporto alle fasi di concimazione organica. Proprio tale pratica risulta essere invalidata se la si applica su substrati ricchi di SO, inquanto già ricchi di elementi nutritivi, ne consegue che praticamente risulta essere incontrollabile la somministrazione dei nutritivi. Al contrario, miscele ben strutturate fisicamente con CSC media compresa tra 20 e 25 rappresentano un eccellente supporto alla decomposizione della SO, facendo risultare perfettamente controllabile la cessione dei nutrienti, senza scompensi. Si capisce quindi, come il TU non rappresenti una gestione di tipo professionale, ma approssimativa e di comodo. © RIPRODUZIONE RISERVATA


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erché questo libro di William Woolard, autore inglese, regista, produttore, laureato ad Oxford? Perché sono fortemente convinto di due cose: la prima è di ciò che scrive l’autore “Mi sono avvcinato al buddismo armato di un acuto scetticismo riguardo alla sua possibile integrazione e rilevanza in un contesto occidentale moderno. Adesso sono convinto del grande valore che può rivestire nella vita di chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Considero quell’iniziale scetticismo come il mio miglior requisito per la stesura di questo libro”. La seconda è che bonsaisti e suisekisti debbano leggere questo prezioso ed interessante libro. Ho riscontrato una certa resistenza nelle persone, anche di un certo livello culturale, a parlare di buddhismo perché credo venga considerato una specie di tradimento verso chi pratica il cristianesimo. Niente di più errato. I principi del buddhismo e la sua interpretazione bene si affiancano alla nostra religione e sicuramente aiuterebbero a vivere

meglio, a vedere il quotidiano sotto una luce migliore, meno grigia, e soprattutto ad essere più tolleranti e disponibili verso il nostro prossimo. L’Autore, in questo libro che si legge con molta facilità, che non ha nessuna pesantezza teologica, ha raccolto le sue più scrupolose considerazioni personali sul buddhismo inteso non come sistema filosofico oscuro, astratto, inaccettabile e impraticabile, ma come insegnamento legato alla vita quotidiana. Parla, ed è importante, della determinazione, della gratitudine (ahimè, troppo spesso ignorata!), parla di felicità e di come imparare a costruire una vita migliore per sé e per gli altri, indipendentemente dalle circostanze che affaticano la nostra vita. Perché il titolo “riluttante”? Perché l’Autore ha impiegato molto tempo per capire il valore di ciò con cui era entrato in contatto per caso e che non ha più abbandonato. © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL BUDDISTA RILUTTANTE VIAGGIO DI UN OCCIDENTALE ALLA SCOPERTA DEL BUDDISMO

WILLIAM WOOLLARD ESPERIA € 10,00



I

n Italia una persona su tre si dedica al giardinaggio. Da un’indagine della Coldiretti emerge che il 37% degli italiani ama curare il giardino o l’orto di casa. Ogni città reclama il proprio riscatto vegetale; nei grossi centri urbani si registra una “versione urbana” della passione per il verde. Un nuovo modo di avvicinarsi alla natura e diverso da certi atteggiamenti ecologisti che anni addietro facevano tanto moda. Se l’ecologismo era pauperista, la nuova passione per i giardini ricavati in ogni dove: sui davanzali, sui balconi, laddove un piccolo spazio lo permette, è qualcosa di più di una tendenza del momento. E’ qualcosa che mira ad un equilibrio estetico e sociale. Si tratta di una vera tendenza a quella del giardino casalingo, la cura del balcone, l’angolo verde, perfino lo spazio condominiale viene preso in considerazione da convinti inquilini. Credo sia cambiato anche il profilo del consumatore per il pollice verde. Fino a qualche anno addietro era identificato come una cosa da attempate casalinghe o da eleganti signore o da pensionati intenti più ad occupare il tempo che a riempire vasetti di terra. Molti hanno riscoperto, riprendendosele, le proprie radici contadine. Comincia a diffondersi il desiderio di abbellire gli spazi abitativi, non solo con piante e fiori da vaso, ma anche con qualcosa che ci aiuti a tornare ad un’alimentazione più naturale. Dedicarsi al verde aiuta a mantenere un certo equilibrio. Una pianta necessita di alcuni gesti regolari e accurati, senza esagerazioni o ritmi concitati come invece accade ne caos del quotidiano. Curare il verde richiede concentrazione e creatività. Abbellire il proprio balcone o la propria terrazza può fare venire fuori un senso estetico sopito o mai scoperto ed il confronto con altri che hanno il famoso ”pollice verde” e fanno lo stesso nell’ambito del proprio appartamento è anche una forma di condivisione e una maniera efficace per uscire dal propri isolamento narcisistico. Tutti i centri commerciali hanno registrato un aumento del 30% sulle vendite del settore vivaistico. E questo è un dato che si commenta da solo. In questo panorama da “ritorno al futuro” vorrei si inserisse un angolo che veda più persone attorno al bonsai amatoriale, di quel bonsai capace di suscitare passione ed emozioni, di quel bonsai sincero e genuino che lascia fuori dal tempio i falsi mercanti e quegli interessi che immancabilmente finiscono per guastarlo ed alterarlo. Il bonsai possiede una forte capacità evocativa, ha una forte pulsione ed è capace di un forte richiamo. Perché non sfruttare tutte queste potenzialità e attivarle per un richiamo che attiri e veda nuove forse e nuovi elementi all’interno del bonsai? Se un certo ricambio è fisiologico, una bella cura rinvigorente farebbe molto bene al bonsai, con annessi e connessi! Il bonsai è un modo di avvicinarsi alla natura, è la ricerca di un equibrio estetico e, perché no, interiore. E’ un modo di apprezzare la natura, privo di ideologie e diverso dall’ecologismo militante del passato. L’uomo ha bisogno del suo giardino per vivere “con naturalezza” in un ambiente idoneo alla vita umana associata, spazio etico della comunicazione, e della vita attiva, pienezza della vita. Luogo dell’origine, tema comune alle differenti culture e aspirazione teleologica di alcune. I giardini diventano, nella città oramai multietnica, baluardi per la difesa dell’ambiente, spazi della comunicazione, terreni culturali idonei all’uomo, alla sua multiformità; al suo essere natura: da tutelare con tutto il suo patrimonio vitale e socioculturale. Nelle città sono sempre più frequenti gli episodi di giardinaggio spontaneo. Le città, in genere, non sono affatto a misura d’uomo. Il bisogno di verde è sempre più impellente. E ognuno trova, in maniera libera e creativa, una soluzione per le sue necessità. Nel nostro Paese si è tentato di tradurre community garden in “orto globale” e le iniziative e le reti di reciproca informazione crescono a vista d’occhio. C’è un grande interesse per il verde fai da te, ma non si è mai sviluppato un vero e proprio movimento. Bisogna diffondere nuove idee e cercare di fare rete, per facilitare la comunicazione fra chi vuole occuparsi di aree abbandonate, piante spontanee, orti e giardini. New York è, come spesso accade, all’avanguardia per quel che riguarda i “giardini urbani”. A tal proposito consiglio la lettura di un interessante lavoro di Michela Pasquali, edito da Bollati Boringhieri, dal titolo I giardni di Manhattan. E, credetemi, se ognuno di noi facesse la propria piccola parte, le nostre città subirebbero uno stravolgimento tale da renderle più belle e vivibili. © RIPRODUZIONE RISERVATA


Vi presento uno dei miei recenti nuovi lavori “ULTIMO”, un possente juniperus sabina dal grande futuro. Ho il piacere di affidare il commento ad un caro amico, Carlo Scafuri, che si è distinto in questi ultimi anni come caporedattore della ormai famosa rivista BSM. GIACOMO PAPPALARDO

P

er chi come me fa un utilizzo quotidiano di internet e del web, anche a scopi comunicativi, ne conosce ampiamente gli innumerevoli vantaggi, tra i quali quello di poter entrare in contatto con professionisti che fino a non molto tempo fa erano praticamente irraggiungibili. E' stato così che ho avuto il piacere di conoscere Giacomo Pappalardo indiscusso esperto dell'arte bonsai, da anni ai vertici del bonsaismo europeo - e di poter approfondire il suo modo di vedere ed interpretare il bonsai.

1. La foto mostra questo bellissimo esmeplare di Juniperus sabina ad attecchimento avvenuto. L'esemplare in qeustione rispecchia fedelmente le caratteristiche fenotipiche della specie: corteccia bruno-rossastra, portamento cespuglioso, vegetazione squamiforme di colre verde intenso - 2. Particolare del terriccio usato per l'attecchimento. L'utilizzo della pomice in alte percentuali, oltre ad assicurare un


perfetto drenaggio, garantisce un apporto ottimale di acqua utile ai capillari - 3. Dalla rimozione di un moncone, è stato possibile stimare l'età della pianta grazie alla conta degli anelli. Grazie all'uso di un buona lente d'ingrandimento, è stato possibile contare ben oltre 200 anelli (escludendo il pezzo centrale che era in stato di marcescenza), stimando l'età di Ultimo in circa 250-300 anni - 4. L'esemplare visto dal lato destro - 5. L'autore accanto ad Ultimo. Da questo semplice raffronto, quel che balza subito all'occhio dell'osservatore è la considerevole dimensione di questo pregiato araki

Ricordo che durante una nostra discussione, incentrata sul come cambino i modi di articolare gli step d'impostazione in base all'esemplare che si ha davanti, che Giacomo mi ha proposto di guardare le foto di un suo lavoro su un esemplare di sabina inedito, dicendomi, che mi avrebbe chiarito meglio questo concetto. Nell'impazienza di riceverle, mi sono improvvisamente ritrovato ad essere un bambino in attesa di aprire il suo primo regalo di Natale. Gli occhi fissi sul monitor in attesa che il programma di posta elettronica mi mostrasse quel che sapevo già essere l'ennesimo capolavoro di Giacomo. Le foto arrivano... oggetto “Ultimo”... le osservo in silenzio una dopo l'altra, in una sequenza che mi illustra passo dopo passo come un cespuglio di ginepro sia potuto diventare uno stupendo Bonsai, un degno e raro rappresentante di “arte vivente”. Un autentico tuffo al cuore! La drammaticità e la fluidità del tronco, i lunghi jin dal secco a vela ed i vasti shari presenti su

tutto l'esemplare, indicano con chiarezza come il tempo abbia plasmato, giorno dopo giorno, una forma così contorta e al contempo così affascinante. La tubolarizzazione delle poche vene vive presenti, hanno reso evidenti i passaggi vitali della pianta, quasi come se essa avesse scommesso con quali rami avrebbe potuto vincere la sua sfida con la morte. Ho ricontattato immediatamente Giacomo, con la speranza che fosse così paziente da rispondere a tutte le domande che avevo in serbo per lui. Gentile come sempre, ha accettato di saziare la mia curiosità, sicché quesito dopo quesito, mi sono reso conto che quel che stava condividendo con me era un'esperienza che avrebbe potuto arricchire moltissimi appassionati di bonsai. Non mi è restato che porgli la fatidica domanda: “Giacomo, ma perché non scrivere un articolo su Ultimo? Un simile capolavoro merita sicuramente una pubblicazione!”. “mmm.... ottima idea Carlo; te la sentiresti di lavorare a questo progetto

con me?” Inutile dire quale sia stata la mia risposta... ed eccoci qui! Giacomo mi raccontò di quando, nella primavera del 2008, vide questo yamadori di sabina durante una delle sue escursioni sulle Alpi italiane, e di come subito si fosse reso conto del potenziale che possedeva. Un buon programma di coltivazione ed una concimazione mirata, avevano fatto in modo che la pianta fosse pronta per la sua prima impostazione già nell'autunno dell'anno seguente. “Ma un solo anno dedicato all'attecchimento, non è un po' pochino per un materiale del genere?”. “Sicuramente. – mi risponde - Infatti, solitamente è una procedura che sconsiglio categoricamente. Lavorare una pianta dopo così poco tempo dalla sua raccolta, non solo è rischioso, ma può essere addirittura controproducente, inducendo l'esemplare, il più delle volte, a morte certa”. Fa una pausa, poi riprende ponendo l'attenzione su questo importante aspetto: “Con altre specie, come ad esempio il pino, le


6. Dopo un'attenta analisi del materiale, viene asportato un grosso pezo di ramo che tagliava otticamente il fronte dell'esemplare - 7. Con l'ausilio di un sega elettrica, viene inizialmente rimosso il ramo antiestetico. Successivamente si passa all'uso di una fresa per sgrossare e rifinire il taglio - 8. Particolare della fresa utilizzata per sgrossare al meglio il taglio. Successivamente è stata bruciata la parte interessata utilizzando un cannellino a gas al fine di eliminare le imperfezioni lasciate dagli utensili elettrici - 9. Il primo importante step di pulizia è terminato. Il sabina mostra finalmente tutto il suo potenziale. Sin dal primo impatto visivo non si può non restare affascinati da questo mix di caratteristiche che fanno di Ultimo un ginepro di gran pregio: dinamicità dei movimenti, drammaticità ma al contempo armonia tra le forme, sono soltanto alcune delle sue peculiarità

cose cambiano. Ma in questo caso, contando soprattutto sull'esperienza maturata in molti anni nella coltivazione di questa specie, ho potuto approcciare un primo intervento con molta tranquillità.” Parole sante le sue! Penso a quanti splendidi araki sono andati persi solo negli ultimi anni per la fretta di accelerare i tempi, per non aver dato il giusto peso alle pratiche agronomiche. Giacomo è un eccellente coltivatore, e nel tempo i suoi consigli sono divenuti per me dei veri e propri dogmi da seguire ciecamente. Rivedo le immagini che mi ha inviato, e continua a ronzarmi in testa la classica domanda che ogni amatore che si rispetti si pone quando è in presenza di simili trasformazioni: “Giacomo, ma come fai a creare queste opere d'arte da quel che inizialmente appare come un grosso, ingarbugliato ed anonimo

cespuglio? Ci sono delle forme o dei bonsai da cui trai esempio, o è tutto frutto del tuo estro?”. “Solitamente è il materiale stesso che mi indica la via da seguire. In questo caso specifico, la pianta non presentava certo una lettura facile. La sua forma confusa mi ha obbligato a guardarla più e più volte, permettendomi di farmi soltanto un'idea molto generica sul come impostarla. Le uniche certezze che avevo riguardavano alcune parti che avrei dovuto eliminare, e sulla pulizia che avrei dovuto eseguire per avere una lettura veritiera del materiale che avevo davanti.” Di nuovo una lunga pausa, poi continua insistendo molto su questo punto: “Si sente spesso parlare di disegno di una pianta prima di lavorarla, ma spesso, come in questo caso specifico, la cosa è improponibile! A mio parere, l'approccio migliore da seguire è quello di fare


10. Grazie ad un comunissimo programma di elaborazione grafica, si realizza un virtual che mostri, in grandi linee, l'aspetto che avrà questo sabina tra qualche anno. Un attento e calibarto protocollo di coltivazione/concimazione, studiato appositamente per questo bonsai, farà si che il virtuali diventi reale! - 11. Si spennella il liquido jin su tutte le superfici di legna secca. Lo scopo primario dell'applicazione del solfuro di calcio è quello di preservare il legno impedendo che col tempo marcisca sotto l'azione degli agenti atmosferici - 12. Particolare delle vene vive. E' impressionante la tubolarizzazione di questa vena linfatica principale - 13. E' arrivato il momento di collocare la ramificazione principale. Per la piega di questo grosso ramo viene utilizzato un tutore metallico. Prima del suo posizionamento, l'autore "saggia" l'elasticità del ramo prima di decidere quali tecniche adoperare


14. Con l'aiuto di un assistente, viene posizionato il tutore e successivamente avvicinato il ramo fino alla posizione desiderata - 15. Si passa ora alla filatura per posizionare e direzionare definitivamente la ramificazione primaria e secondaria


16-19. La filatura è senz'altro la pratica che richiede più pazienza, ma un lavoro ben fatto garantisce un risultato ordinato e pulito. Quando se ne presenta la necessità, vengono potati i ciuffi più "esuberanti" in modo da riequilibrare la vigoria complessiva dell'esemplare - 20. L'autore, visibilmente soddisfatto del lavoro svolto, accanto al suo sabina al termine dell'impostazione

21-23. Particolare - I ciuffi di vegetazione non sono stati filati, ma bensì lasciati crescere liberamente. In questo step non è la rifinitura dei palchi l'obiettivo da raggiungere, ma un'impostazione di massima che stressi il meno possibile la pianta - 24. Particolare della legna secca risanata


prima una pulizia generale della pianta, eliminando le parti di palese disturbo. Solo dopo ci si potrà eventualmente aiutare con un disegno.” Altra importantissima lezione, penso. “La pulizia della pianta è stata la parte più laboriosa, ma al contempo la più importante dell'intero step. Dopo aver eliminato un grosso ramo che incrociava otticamente la pianta, ed aver tolto tutto il superfluo, il disegno della pianta era oramai chiaro. Dopo aver provveduto alla definizione delle vene ed aver passato il liquido jin sulle parti secche, non restava che filare la ramificazione.” Mentre Giacomo mi spiega le operazioni che ha eseguito, osservo con più attenzione le foto, scorgendo qualcosa che mi fa storcere il naso. Conosco molto bene il modo di lavorare di Giacomo, ne ho sempre ammirato le qualità artistiche ed interpretative. Vedendo dal vivo i suoi bonsai ho potuto appurare di persona la sua meticolosità nel posizionare con precisione certosina i palchi di vegetazione. Dalle foto, invece, soltanto la vegetazione primaria e gran parte della secondaria era stata filata e messa in posizione. Rivolgo a Giacomo le mie perplessità, e lui serafico: “Giusta osservazione Carlo, ma al momento l'obiettivo da ricercare non è la rifinitura, quanto invece il giusto posizionamento della ramificazione primaria e secondaria in modo da creare una struttura portante che sia la base per le future impostazioni! Inoltre, filare i singoli ciuffi avrebbe causato un ulteriore stress per l'esemplare. Affinché la pianta sia sempre in salute, nulla va lasciato al caso! Per gli stessi motivi, finita la lavorazione, ho aspettato alcuni mesi per assicurami che la pianta rispondesse bene prima di effettuare l'operazione di rinvaso. Per una migliore coltivazione di Ultimo, ho preferito collocarlo in un contenitore più grande del vaso definitivo.” - “Su questo non posso che essere d'accordo con te, mi è stato sempre insegnato che il vaso definitivo è l'ultima cosa a cui pensare. Dimmi Giacomo, hai già pensato se e quando esporlo in qualche mostra?” - “No Carlo... ha ancora tanta strada davanti, tutto a suo tempo. Quello di cui sono sicuro è che se tutto andrà bene durante questi anni di coltivazione, il risultato finale mi ripagherà sicuramente dell’attesa e degli sforzi profusi.”


25. Dopo mesi trascorsi a recuperare la massima vigoria possibile, è stato possibile effettuare il rinvaso in un contenitore ancora piuttosto capiente ed adatto per una coltivazione ottimale. Purtroppo la posa in vaso non è stata priva di problemi. Un grosso pezzo di tronco pregiudicava il suo corretto posizionamento. Si è reso perciò necessario asportarne un pezzo - 26. Una volta entrato correttamente nel vaso, si iniziano a stringere i fili di ancoraggio, attorno al nebari

27. Foto finale. Ultimo in tutto il suo splendore


N

ella mia collezione possiedo diversi biancospini, quasi tutti provenienti da una pianta che acquistai in un vivaio nei primi anni novanta. Questa “pianta madre” fu margottata e divisa in varie piantine. Su questo esemplare (fig. 1) iniziai a piegare il tronco mediante una fessurazione a croce e tentai di radicarlo su una roccia, purtroppo l’operazione fallì e rimase per molto tempo nel mio giardino in stato di semi abbandono.

PREPARAZIONE DEL MATERIALE - Per coltivazione “semi abbandonata” non intendo ovviamente una coltivazione al limite della sopravvivenza bensì una coltivazione mirata alla sola formazione del materiale, in questa fase mi limito a far crescere liberamente i rami che ritengo debbano ingrossare potando al contrario quelli che hanno raggiunto uno spessore adeguato. Generalmente ho già una sommaria idea del disegno futuro da conferire alla pianta ma nonostante ciò lascio volutamente molti rami poiché nella coltivazione delle latifoglie tro-

9vo sia molto importante avere dei rami che in futuro potrebbero sostituire quelli che si rivelassero troppo ingrossati. Nel caso in cui un ramo si dovesse ingrossare eccessivamente andrà quindi eliminato senza indugi sostituendolo con un ramo di minore spessore già pronto a prendere il suo posto. Per tornare al biancospino fu da subito evidente che il punto di forza doveva essere rappresentato dalla creazione di una ramificazione fine. E’ noto che questo tipo di ramificazione non è certamente facile da mantenere, per questo motivo utilizzo tecniche di defogliazione parziale atte ad evitare che i rami si ingrossino eccessivamente creando in questo modo disarmonia e disturbando l’equilibrio della pianta. Nel 2008 la pianta passò di mano, Nevis cercava una pianta da lavorare durante un workshop. Gli proposi questo biancospino dall’aspetto ancora disordinato che fino ad allora non aveva praticamente regalato alcuna fioritura. Finalmente nell’aprile del 2009, durante un workshop nel mio giardino (fig. 7) per la prima volta veniva effettuata una vera e propria impostazione, era evidente che la pianta stava, sia pure lentamente, acquistando un carattere, si decise di eliminare il ramo basso a sinistra, dritto e inutile, trasformandolo in jin e di far risaltare le radici esposte adottando uno stile Han Kengai (semi cascata). Negli stili Kengai (cascata) le radici esposte sono molto importanti in quanto aumentano la drammaticità della composizione. In questo stile la pianta deve dare l’immagine di essere aggrappata saldamente ad un pendio friabile. APPLICAZIONE DEL FILO SULLE LATIFOGLIE - Nel mese di aprile la pianta presentava i germogli quasi del tutto aperti, si potrebbe quindi pensare che fosse troppo tardi per filarla. Tuttavia le latifoglie, quando inizia a scorrere molta linfa, diventano più morbide e quindi risulta più facile piegare i rami compresi quelli più spessi. L’unico accorgimento da adottare è una massima attenzione per evitare di “staccare” i teneri germogli. Un altro momento che ritengo essere ideale per mettere il filo su una latifoglia è verso la metà di maggio in occasione della defogliazione. Naturalmente si può filare anche durante il periodo invernale ma così facendo il rischio di spezzare i rami è maggiore. L’anno successivo, durante un nuovo WS, abbiamo filato e rinvasato il biancospino in un vaso di Alberto Vigoni (fig. 9). Si decise di non rischiare eccessivamente e “procedere per gradi” posizionando la pianta in un vaso più grande del dovuto senza badare eccessivamente al colore e alla forma dello stesso, al contempo veniva leggermente avvicinato l’apice al tronco principale. Il pane radicale non venne praticamente toccato ma solo aggiunta akadama ben setacciata in tre diverse granulometrie e carbone nel fondo del vaso per favorire l’assorbimento di eccesso idrico. Come mia abitudine preparo, delle bozze immaginando come dovrà svilupparsi la vegetazione e come dovrà essere il prossimo vaso: sicuramente più basso e con le radici più esposte (fig. 12-13). Questi disegni saranno utili a Nevis per pro-





grammare la coltivazione durante l’anno a venire e cercare il vaso definitivo. TIPICITÀ DELL'ESSENZA - Un concetto ben noto ai miei studenti e che personalmente cerco di non dimenticare durante l’impostazione delle piante è quello denominato “tipicità dell’essenza”.

Ogni essenza ha la sua tipicità, le conifere ad esempio hanno un loro portamento definito “tipico”, tuttavia anche tra le stesse conifere ci sono delle differenze di crescita, dovute all’ambiente e alle latitudini in cui crescono, e conseguentemente di impostazione. A titolo di esempio si osservi l’impostazione che i giapponesi conferi-

scono a due specie di pino ben conosciute dai bonsaisti, ovvero il Kuromatsu (pino nero) e il Goyomatsu (pino a cinque aghi); un occhio esperto sarebbe in grado di distinguerli l’uno dall’altro anche contro-luce, semplicemente osservando l’impostazione della ramificazione. Ovviamente anche tra le latifoglie ci sono differenze di tipicità, gli


aceri palmati ad esempio hanno una loro tipicità che è differente da quella degli aceri tridenti. La tipicità del biancospino è quella di possedere una ramificazione non propriamente delicata, piuttosto rustica e zigzagante. Le spine non invogliano certo l’osservatore ad accarezzare la sua corteccia che, tuttavia, nelle piante mature, acquista una screpolatura fine. Un elemento che però addolcisce questa essenza sono i piccoli fiori delicati e i frutti di un color rosso sangue. Si abbia pertanto bene a mente che i frutti non sono certamente pesanti e quindi non avrebbe senso abbassare gli apici dei rami. Essendo un’essenza dalla corteccia rustica che fa fiori e frutti, avendo ben a mente il concetto di tipicità, ritengo che non sia azzardato un paragone tra il biancospino e l’albicocco giapponese (prunus mume), conseguentemente sarebbero accettati shari e piccoli jin. In latifoglie di questo tipo, quando mi appresto ad eliminare un grosso ramo, piuttosto che fare un taglio a filo del tronco, preferisco lasciare un piccolo pezzetto di ramo in modo da poterlo lavorare a jin. Nel caso specifico il biancospino di Nevis imponeva un certo andamento a cascata, anche dei rami, la nuova vegetazione però, compresi i terminali dei rami, dovrà rivolgersi verso l’alto. Non dimentichiamoci che in Giappone il biancospino è un’essenza bonsai piuttosto utilizzata, anche come shoin, pertanto sui cataloghi e riviste nipponiche, si possono trovare diversi bellissimi esempi e impostazioni da seguire. In occasione della manifestazione UBI di San Marino assieme a Nevis abbiamo scelto un vaso che potesse accentuare di più l’eleganza della pianta. La scelta cadde su un vaso di Andrea Melloni (fig. 14). L’aria romagnola, ed un’adeguata concimazione, hanno fatto sicuramente bene a questo biancospino che fino a quel momento non aveva mai fruttificato (fig. 15). In primavera, durante un nuovo WS, la pianta veniva rinvasata, alzata la zolla e nuovamente filata poiché nel frattempo si stava sviluppando anche una fine ramificazione secondaria. Con il nuovo vaso la pianta era pronta per partecipare a qualche mostra; venivano provati due allestimenti, il primo un allestimento chuhin a tre elementi (fig. 16) dove l’elemento principale è rappresentato dal biancospino mentre l’elemento secondario dal pino nero. ALLESTIMENTO WABI SABI - Si confronti il precedente allestimento con il secondo, ovvero quello della figura 17, che rappresenta un allestimento singolo. Il paragone è utile perché pone evidenza al fatto come una pianta evocativa come questa sia in grado di riempire lo spazio espositivo anche da sola. Il momento ideale per esporre un biancospino è fine autunno-inizio inverno, spoglio con le bacche e possibilmente con qualche foglia gialla. In questo periodo si può apprezzare la ramificazione spinosa e sobria e gustare il calore dei rossi frutti maturi. L’allestimento di fine autunno esprime in pieno il concetto di Wabi Sabi, un concetto molto importante nel bonsai giapponese. Certamente il biancospino lo si può esporre anche in primavera durante la fioritura, i fiori delicati e le foglie tenere però non esprimono il Wabi Sabi. Il colore di questo vaso, un rosso ruggine, è invece un colore molto Wabi Sabi, che meglio si apprezzerà non appena il vaso acquisterà una patina adeguata. Questo colore inoltre ricorda il colore del frutto maturo.

COLTIVAZIONE - A questo punto sarà necessario porre particolare attenzione alla coltivazione evitando che il biancospino ingrossi il tronco ed i rami poiché, essendo una pianta elegante e slanciata, perderebbe la sua peculiarietà. In questo piccolo vaso la pianta dovrà invecchiare lentamente creando una corteccia fine e delicata mentre le radici andranno, gradualmente, esposte. Il biancospino viene esposto alla Mostra di Poppi, che si tiene annualmente nella bellissima cittadina toscana e riceve una menzione di merito.


E’ con piacere che tempo fa ho appreso della volontà di Nicola Crivelli di scrivere una nota sul biancospino. Una pianta alla quale sono particolarmente legato perché la acquistai esattamente il giorno in cui venni a sapere che sarei diventato padre con l’intendimento, e la speranza, di portarla avanti un giorno assieme a mio figlio. Essendo un amante delle latifoglie cercavo una pianta che fosse un po’ fuori dagli schemi, anche se la prima volta che la vidi nel giardino di “Kitora” non ne rimasi affatto colpito: le radici mi parevano eccessivamente dritte, poco interessanti e non era mai fiorito. Nonostante ciò, sapevo perfettamente che Nicola difficilmente coltiva piante senza prefigurarsi un futuro, ragion per cui me portai a casa. Dopo qualche mese, con poca convinzione, decisi di riportarla da Nicola per un WS, ricordo perfettamente che mi accolse tenendo in mano uno dei suoi (orami noti) progetti e immediatamente fui pervarso da entusiasmo misto a sconforto: tanto mi sembrava improbabile riuscire a impostare la pianta in quel modo (fig. 21). Prima di metterci mano ebbe inizio una lunga discussione sul concetto di tipicità dell’essenza e sull’esigenza di renderla più possibile evocativa e priva di forzature. Dopo la prima impostazione del biancospino mi resi conto che iniziavo a vederlo con un occhio diverso al punto che, tornato a casa, non lo riposi più in un angolo del giardino bensì sopra un bancale, per fargli prendere più sole. Fu quindi con grande stupore che, dopo pochi mesi, vidi spunta-

re decine di gemme da fiore, talmente numerose che decisi, in accordo con Nicola, di eliminarne una parte per non indebolire troppo la pianta. Dopo un paio d’anni di coltivazione mirata a stabilizzare il biancospino e a infittire la ramificazione, giunse il momento di scegliere un vaso che potesse rendergli maggior giustizia. La scelta fu preceduta da nuovo “studio” su colore, dimensione e forma del futuro vaso; al congresso UBI di San Marino finalmente ne trovammo uno adatto e la primavera successiva fu rinvasato nel nuovo contenitore. Su consiglio di Nicola, ma in realtà spinto dalla curiosità di visitare il paese, decisi di iscrivere la pianta alla mostra di Poppi, senza che mi balenasse nella mente la possibilità di aggiudicarmi alcunchè giacché sapevo vi avrebbero partecipato piante assai blasonate e di maggior “impatto” estetico. Mi stupii molto quindi del riconoscimento ricevuto, e ancor di più apprezzai la motivazione che l’aveva supportato, ovvero che ciò che aveva più colpito la giuria era stata la naturalezza e allo stesso tempo la semplicità della pianta: esattamente quello che ci eravamo prefissi anni addietro. La prima persona alla quale comunicai il riconoscimento fu proprio il mio Sensei ovvero Nicola “Kitora” Crivelli e rimasi molto contento di sapere che lui… era contento. NEVIS ZANCHETTA


L

a pianta oggetto di questo articolo è un tasso baccata raccolto in Spagna nel 2002 (fig. 1-3). Il materiale presentava già al momento della raccolta caratteristiche che lo rendevano un araki promettente a livello bonsaistico: ottime vene già tubolari e parti secche molto naturali scolpite dalle avversità atmosferiche. L’unico difetto che doveva essere corretto era un grosso taglio

effettuato al momento della raccolta per eliminare la grossa prosecuzione oramai secca del tronco principale. La grossa parte tagliata (fig. 4-5) presentava un diametro di circa 20 cm e nessuna particolarità che potesse suggerire linee forti da seguire al momento che si sarebbe intervenuti con attrezzi elettrici e non per donargli una forma in armonia con il resto della pianta. Pertanto ci si basò sulla

parte di secco di destra completamente naturale che con le sue particolarità di guglie e picchi caratterizzavano l’esemplare (fig. 67). Iniziò pertanto l’intervento di scultura: dapprima con un trapano per svuotare la parte interna e poi con frese ad alta potenza, vista la durezza del legno del tasso si iniziarono a definire zone più o meno movimentate che ricordassero delle fiamme ed armonizzassero il loro disegno con il secco naturale esistente. Come evidenziato nelle foto si delimitarono delle zone con un pennarello rosso nelle quali intervenire per asportare il materiale in eccesso ricavando così la forma desiderata. Questi segni aiutano molto perchè definiscono delle linee che con l’uso della fresa è più semplice seguire. Subito dopo la fase “elettrica” si bagnò per bene il legno per renderlo più lavorabile (fig. 8) e si iniziò ad intervenire in punti mirati con l’uso di sgorbie taiwanesi (da 3, 6 e 8 millimetri a seconda dell’effetto desiderato) che permettono di strappare lembi di legno e rifinire tutte quelle zone dove siamo intervenuti precedentemente eliminando i segni dovuti agli attrezzi elettrici che però sono stati indispensabili per “sgrossare”. A questo punto è giunto il momento di passare il fuoco su tutte le parti secche che sono state lavorate (fig. 9-10), in modo che tutti i rimasugli delle lavorazioni verranno eliminati e nel legno si formeranno delle micro-screpolature che lo renderanno molto più naturale. Il fuoco agisce bruciando la parte di legno più morbida e mette in risalto tutte le venature sottostanti sottolineando tutti quei livelli che abbiamo creato con l’uso delle si-diao . Ora l’ultimo tocco (fig. 11). Invece di spazzolare via la parte di legno bruciata utilizzando la solita spazzola in rame, per far emergere le particolarità donate al legno dall’uso del fuoco si vanno a proteggere tutte le parti vive della pianta con stracci e panni bagnati e si sabbiano a 6 atmosfere le parti secche. Questa tecnica


seppur documentata di rado nelle lavorazioni dei maestri giapponesi viene usata di frequente per eliminare in modo approfondito tutti i segni dovuti all’interventi meccanici dell’uomo sul legno. E’ importante sottolineare che in Giappone non sono soliti utilizzare il fuoco al termine delle lavorazioni sul secco perciò sono costretti ad intervenire in modo più massiccio con la sabbiatura. Ecco come risultano le parti secche del tasso alla fine della sabbiatura e l’applicazione del liquido jin (fig. 12-14). Grazie a fuoco e sabbiatura sono spariti i segni degli interventi di “lavorazione” e sono emerse venature e particolarità che ritroviamo di frequente in parti di legno secco esposte agli agenti atmosferici (sole/acqua) per anni. Ora la pianta è armonica in tutte le parti di legno morto e pronta per i successivi interventi sulla chioma.



Marzo 2009 un ulteriore lavoro di rifinitura della vegetazione lasciata crescere con sola spizzicatura durante la stagione vegetativa precedente (fig. 15-18). I rami vengono minuziosamente ripuliti e legati al fine di posizionarli nella posizione corretta e dare luce ed aria alle nuove gemme arretrate che crescendo daranno spessore agli stessi palchi fogliari conferendo così all’esemplare in un paio d’anni la maturità richiesta per essere esposto ad una mostra. © RIPRODUZIONE RISERVATA



"...sono orgogliosa di avere un amico così emotivamente entusiasta della vita e di ciò che la natura ci offre di bello... le sue pietre rispecchiano la sua vitalità ed amore per esse." - Luciana Queirolo


N

ato a Brisbane, in Australia, nel 1966, Bradley iniziò a collezionare e raccogliere bonsai / penjing, a livello di hobby amatoriale, nel 1993. Essendo Brisbane una zona di tipiche coltivazioni subtropicali, le specie locali di Ficus sono perfette per bonsai e così, egli si specializzò in questa ed in altre specie di produzione locale ed in alberi decidui, tra cui Olmi cinesi e Bagolari. A partire dal 2000, anno in cui Bradley iniziò ad esporre le sue creazioni tramite concorsi fotografici e convegni locali e nazionali, vinse numerosi riconoscimenti locali, nazionali ed internazionali: arrivò secondo al "Ben Oki International Design Award" sponsorizzato dal BCI; ha vinto per quattro volte l'Australian Associated Bonsai Clubs Natio-



nal Awards; ha meritato il Primo & Secondo posto nella Competizione Fotografica Internazionale di “Bonsai Today”, Sezione Amatori. Una frequente partecipazione al "JAL" ( International Bonsai Award), ha fruttato a Bradley l'Oceania Prize, con uno dei suoi pregiati alberi di Ficus autoctono. Dal 2004, Bradley ha avuto la possibilità di iniziare a frequentare Convegni Internazionali, cominciando con il Congresso del BCI in Taiwan. Durante gli ultimi 8 anni, ha frequentato tutte le Conventions del Bonsai Club International e dell' Asia Pacific Bonsai e Suiseki, tenute nella regione Asia-Pacifico (APAC). Questo ha permesso a Bradley di viaggiare ampiamente in Cina ed in molte occasioni. Durante un Tour in Cina assieme all'allora presidente del BCI, il signor Alan Walker, Bradley è stato introdotto al mondo delle pietre cinesi. Da quel momento, egli ha progressivamente spostato il suo interesse primario dal Bonsai / Penjing alla raccolta di "Pietre oggetto", per lo più provenienti dalla regione Asiatica. Facendosi molti amici in Cina, Bradley è stato in grado di accrescere la sua raccolta via Internet quando non è stato in grado di viaggiare di persona. Tra i suoi vasti contatti, Bradley ha sviluppato una collaborazione con i maggiori artisti di lavorazione ad intaglio di daiza cinesi, con sede a Shanghai. Questo gli permette di acquistare pietre provenienti da tutta l'Asia, che poi spedisce a Shanghai per l'intaglio di disegni che egli stesso crea. Bradley si dichiara completamente assorbito dalla cinese interpretazione della raccolta di pietra: "La principale differenza tra questo ed il Suiseki tradizionale giapponese, è facilmente visibile nella vasta gamma e colori della pietra raccolta in tutta la Cina e nella creatività dei cinesi ad includere Pietre Oggetto di alta qualità a rivaleggiare con le magnifiche pietre paesaggio trovate. Questa creatività si estende poi al posizionamento delle pietre in sculture squisitamente dettagliate allo scopo di valorizzare al meglio il matrimonio tra pietra naturale ed





umana abilità professionale." "Durante il mio più recente tour di raccolta in Cina, ho potuto godere di 5 settimane in lungo ed in largo per tutto il paese, compreso il Congresso BCI 2010 a Tianjin. Tutti i miei tours finiscono a Shanghai, con un festoso banchetto assieme ai famosi scultori di daiza, creando assieme nuovi e stimolanti progetti su cui lavorare e celebrando il reciproco rispetto tra la cultura tradizionale della pietra cinese ed il crescente interesse per essa, nel resto del mondo." © RIPRODUZIONE RISERVATA



Si è avvicinato al mondo dei bonsai nel 1978, quando era ancora un bambino e in Italia non si sapeva ancora niente di quest'arte. Da quel momento ha affrontato con grande successo una sfida dopo l'altra, raggiungendo traguardi sempre più importanti. E' allievo del maestro Masahiko Kimura; ha fondato la sua scuola, la Fuji Kyookai Bonsai scuola d’avanguardia presso la Fuji Sato Company; è Direttore del BCI e istruttore IBS. Certo non è facile riassumere in poche righe la poliedricità di questo personaggio. Per avere un'idea di tutto quello che ha fatto, vi rimando alla lettura del suo curriculum che troverete sul suo sito. In quest'intervista ho cercato di approfondire alcuni aspetti, forse meno “pubblici”, che mi sembravano importanti. Spero in questo modo di riuscire a soddisfare la curiosità di almeno una parte di voi... Ringrazio Massimo Bandera per la sua disponibilità, per me è stato veramente un grande piacere intervistarlo.



La prima domanda riguarda l'anno in cui ha iniziato a occuparsi dei bonsai. Era ancora un bambino... ci vuole raccontare come si è avvicinato a quest'arte e com'era nel 1978 il mondo bonsaistico italiano? Si, ero proprio un bambino, avevo 11 anni. A quei tempi non c'era ancora niente. Gli anni 70 sono anni mitici, ma in realtà c'era solo qualche personaggio che aveva fatto qualcosa di spontaneo. Genotti negli anni 60, Oddone, Paccagnella, Franchi, forse anche Crespi. Ma in realtà in Italia in quegli anni non c'era niente. Quindi io nel '78 ho iniziato ovviamente da autodidatta, anzi, ancora meno. Abito in una valle alpina, la parte di montagna del mio paese è una faggeta e su' avevamo la baita, dove trascorrevamo le vacanze d'estate. Io raccoglievo delle piccole piantine di abete rosso. Le raccoglievo e le mettevo nei vasi, quindi avevo già un'attrazione per queste piantine piccole senza sapere neanche che esisteva il bonsai. Poi in una grande e famosa libreria di Torino trovai il libro di K. Murata “Bonsai pratico per principianti” tradotto in italiano, l'unico in quel periodo. Si trattava di un libricino molto piccolo e rimasi scioccato dallo scoprire che qualcun altro già faceva questa cosa, e raccogliere queste piantine piccole era addirittura un'arte. I nomi tecnici non erano tradotti, io li ho studiati lì e me li ricordo da quei tempi. Quindi ho iniziato come autodidatta. A quei tempi, sembra retorica, la maestra era la Natura. Il contatto con la Natura è stato il mio primo insegnamento ed io sono rimasto molto legato all'idea di osservare la Natura, soprattutto aspra e selvaggia come quella delle montagne in cui vivo. Visto che l'accesso alle informazioni era ridotto o nullo, ha inizialmente incontrato delle difficoltà o comunque è stato tutto molto naturale? Ora lei ha un suo sito, quanto pensa sia utile internet come mezzo di diffusione delle conoscenze nel campo dei bonsai ? Già nel 1982 ho iniziato gli studi di agraria e ho imparato le tecniche di coltivazione, quindi, dopo le primissime esperienze negative, bene o male sono riuscito a far sopravvivere le piante. Il primo approccio è stato quindi di tipo agronomico e botanico e solo dopo è arrivato quello giapponese. Internet ovviamente è un elemento molto importante, ma in realtà è solo una questione di metodo. Gli articoli li scrivevo anche prima, solo che prima li scrivevo su un foglio e li spedivo, ora li mando via mail. L'informatizzazione agevola il lavoro, ma non ne toglie, anzi forse ne aggiunge. Internet permette una maggiore fruizione delle informazioni, che prima era limitata al mio giro, ai miei allievi, alla mia scuola. Oggi riesco a essere molto più famoso anche in ambienti lontani, grazie proprio al mio sito. Ora c'è il fenomeno tipo facebook, quindi l'uso dei social network che è ancora tutto un mondo a parte nel quale ancora non mi sono addentrato e credo sia una frontiera ancora più interessante ed efficace come metodo di diffusione dell'immagine. Sulla formazione sono più negativo. La conoscenza dell'arte bonsai è impossibile che passi tramite internet. Se io guardo un video o leggo anche solo un libro non posso far passare la profondità del kuden giapponese, cioè il metodo dell'apprendistato tra Maestro e discepolo, che può essere fatto SOLO col Maestro. Questo rimane insostituibile, lo dicono tutti i Maestri giapponesi, ma ne sono convinto anch'io. Nel suo curriculum leggo che nel 1980 ha iniziato le sue collezioni d'arte giapponese. Ci può dire quali sono? A quale pezzo è più affezionato, o quale, per valore simbolico la rappresenta di più e perché? Nella mia famiglia c'erano già diverse persone che avevano collezioni d'arte, quindi già da bambino ero abituato a vedere cose belle. A parte i bonsai, ho collezioni di ceramiche, pittura e vecchi libri, soprattutto materiale giapponese. La ceramica è forse il settore in


cui mi sono appassionato di più. Tra l'altro negli anni 80 si comprava anche molto bene, rispetto a oggi. Appena iniziata l'attività professionale in Giappone, con i broker e le importazioni per il centro bonsai Castagno prima e la Fuji Sato dopo, ho avuto la possibilità d'incontrare molti antiquari di alto livello a Tokyo. Si è comprato molto bene fino agli anni 90, oggi non si trova niente. Ci sono molti pezzi ai quali sono affezionato, in particolare a oggetti che non sono solo preziosi o a volte non lo sono affatto, ma insegnano qualcosa. Quando ho iniziato la mia attività didattica, nel 2000, mi sono reso conto che avevo già collezionato oggetti molto interessanti da un punto di vista didattico. Oggetti che insegnano qualcosa, che esprimono un valore estetico giapponese, o un aspetto tecnico e ancora oggi mostro questi oggetti ai miei allievi per insegnare qualcosa. Non so, per esempio mi viene in mente un bellissimo vaso di Seto che ha proprio quel gusto estetico dello Yawarake che è il concetto di attenuato, di una bellezza attenuata che sa esaltare il piacere della rinuncia, un concetto zen molto difficile da cogliere nell'opera, ma che anche il bonsai dovrebbe avere. Per quanto riguarda i bonsai invece, quali sono le sue essenze preferite? Riesce sempre a conciliare i numerosissimi impegni con la cura dei suoi esemplari? Io amo un po' il taglio botanico, ogni essenza mi piace per la sua bellezza e non cerco di stereotipare le essenze più adatte al bonsai, questo in generale, poi, però forse mi piacciono un po' di più le conifere. Per quanto riguarda la cura non riesco quasi mai a conciliare tutti gli impegni, infatti, per due volte ho fatto una grande selezione per avere pochi pezzi, e poterli seguire. In origine, negli anni '90 avevo quasi 120 bonsai, poi sono sceso a 80 e cinque o sei anni fa sono sceso a 30, e chiaramente riesco a seguirli meglio. E' inevitabile per chi ama i bonsai un avvicinamento al mondo e alla cultura giapponese.. ma Lei è andato oltre la semplice conoscenza, diventando un profondo conoscitore della cultura nipponica. E’ difficile in poche righe, ma può cercare di illustrarci quali sono i concetti (filosofici, religiosi, ecc) che nel mondo giapponese sono applicati all'arte

dei bonsai? Diciamo che quando usiamo la parola “bonsai” automaticamente parliamo di un'arte giapponese, se ci riferissimo a quella cinese, parleremo del "penjing", che è un'altra cosa. Il bonsai è un albero in vaso, vivo, miniaturizzato e costruito secondo un'estetica che è quella della bellezza giapponese. Il penjing è lo stesso, ma cambia l'estetica che non è quella giapponese ma quella taoista, appunto cinese. Poi oggi potremo anche considerare un bonsai più universale che da un punto di vista critico chiamiamo bonsai contemporaneo o d'avanguardia, che si basa sulla radice giapponese e in più prende anche degli aspetti della modernità artistica internazionale, da Kimura in avanti. Comunque rimane sempre un concetto di base: il bonsai è una tecnica che si appoggia su una coltivazione, e presuppone la conoscenza di un'estetica che in fondo è quella della Natura, perché poi la vera bellezza zen è quella. Si tratta quindi di un concetto di bellezza universale; ecco perché in realtà più si studia l'estetica giapponese, più ci si rende conto che si era già di quell'idea, proprio perché è universale. Io penso che oggi sia indispensabile studiare questo tipo di estetica per raffinare i nostri bonsai, ed anche le nuove generazioni devono farlo. Non si deve ricercare la bellezza dal proprio punto di vista. Il bonsai deve sottostare a quei canoni estetici perché solo così riesce a esprimere quel tipo di bellezza, altrimenti non è bonsai. La sensibilità alla vera bellezza dell'estetica è un impegno senza una meta, è un cammino, il do. Dopo gli studi che ha intrapreso e tutte le esperienze che ha fatto, pensa di avere una visione più orientale o più occidentale del mondo? Esistono dei punti d'incontro fra le due culture o sono permeate da concetti opposti? Molto interessante questa domanda, che tra l'altro è uno dei tormentoni della filosofia mondiale. Io più vado avanti più sono occidentale, questo è stranissimo. All'inizio uno è molto occidentale, poi si rimane affascinati dall'oriente, soprattutto estremo e incredibile come quello del Giappone, che è l'apice del fascino, perché è veramente così sconosciuto e difficile da capire. Dopo 10-20 anni uno rimane così affascinato che vorrebbe quasi di-

ventare un giapponese. Poi dopo venti, trent'anni di esperienza s'incomincia a dire: ma forse è meglio che ognuno rimanga se stesso. D'altronde, anche quando, soprattutto negli anni '70, si cercavano i sincretismi anche a livello filosofico e religioso, ossia si andavano a cercare dei punti di contatto ad esempio tra buddhismo e cristianesimo, oppure tra psicanalisi e zen o tra il concetto artistico d'autore giapponese e quello occidentale alla fine oggi si è arrivati a una considerazione diversa, più moderna, più giusta. Si ritiene che ognuno abbia le sue caratteristiche, soprattutto il Giappone, che ha fatto un'esperienza culturale così totalmente staccata da noi. Non ha senso cercare questi punti di contatto, perché sono due esperienze completamente diverse. Anche quando ci sembra che ci sia una cosa uguale, in realtà, proprio perché il contesto è diverso, c'è veramente molta, molta differenza tra noi e loro, da ogni punto di vista. Quindi anche in un'arte come il bonsai, che ha la sua componente universale, chiaramente ci sono grandi differenze, per cui oggi finiamo per avere un'interpretazione giapponese pura ed un'interpretazione contemporanea come quella di noi occidentali, soprattutto italiani, devo dire, che è un po' diversa. Ci sono degli elementi differenti. Occidentali e orientali hanno un modo diverso di approcciarsi alle cose. La cultura orientale è orientata verso l'interno. E' forse necessario un raccoglimento interiore estremo per realizzare opere d'arte di un certo livello? In Italia abbiamo un senso estetico molto sviluppato ma non la stessa capacità d'interiorizzare. Qui c'è un punto fondamentale, perché chiaramente i giapponesi hanno il loro percorso storico, artistico, culturale. Tra l'altro loro non sono abituati a fare rivoluzioni come in Cina, quindi tutto s'innesta su quello precedente, per cui oggi c'è un'estetica giapponese ma anche proprio una sensibilità e una psicologia incredibilmente complessa, perché ha tutto questo retaggio vecchio, di una cosa sovrapposta all'altra, che per noi è difficile da studiare. Però ci sono dei punti cruciali. Per esempio, se si va a vedere proprio nel bonsai in dettaglio, siccome la sua estetica si basa sulla natura, alla fine continuiamo a fare quasi sempre bene


o male la stessa cosa. Una grande differenza tra i due punti di vista è legata al concetto d'Autore. Per la vera estetica giapponese, l'Autore deve sparire dietro l'opera. I vecchi Maestri dicevano che un bel bonsai sarà veramente naturale quando avrà passato più mani, due o tre persone, allora perde la artificialità che ha creato un autore singolo. Invece noi vogliamo l'opera firmata, dove vedi che sia veramente di M. Kimura, piuttosto che di J. Naka, piuttosto che di Sandro Segneri, piuttosto che di un autore in concreto. Secondo me questo è un punto chiave dove effettivamente si può creare una certa differenza anche dal punto di vista del critico d'arte che valuta un'opera. Per questo un'opera molto classica è quella valutata tramite i puri, purissimi valori estetici dell'estetica giapponese. Quindi c'è la bellezza del vuoto, c'è la bellezza dell'imperfetto, la pianta è molto raffinata, molto attenuata, molto naturale. Mentre nel bonsai contemporaneo la pianta è molto più imponente, molto più importante, forse anche più formale per certi versi. Questa è una cosa di prerogativa tipicamente occidentale ma ci sono anche i grandi esempi giapponesi, tanto è vero che il Maestro giapponese numero uno al mondo, Kimura, sicuramente fa il bonsai contemporaneo, lo dichiara e sono tutti d'accordo, anche in Giappo-

ne. E' un bonsai che ha anche una grande componente d'autore. Durante il suo percorso formativo ha avuto la possibilità di entrare in contatto con i più grandi Maestri giapponesi, lei ora prova ancora un timore reverenziale nei loro confronti o si rapporta alla pari? Io ho avuto l'occasione di conoscere negli anni '80 diversi Maestri, ma rimasi poi affascinato dal mio Maestro, cioè Kimura, quando ricevetti a casa i suoi libri in originale, che appunto comprai. Lì vidi il suo lavoro e rimasi affascinato, non solo dalla persona, ma anche dal fatto che lui amava lo stesso tipo di natura che io avevo conosciuto da bambino, nei boschi, quella delle piante devastate appunto dalle forze della natura e del tempo, nell'alta montagna dove vivo. Per questo è nato tutto quel feeling col Maestro. Poi c'è tutta la storia di come l'ho conosciuto.. Chiaramente quando scegli un Maestro, scegli quello e basta. Non ce ne sono più altri. La scelta del Maestro è per sempre. E' un aspetto della loro tradizione. Se io volessi fare qualcosa con qualcun altro, dovrei comunque chiedere il permesso, non è che non potrei farlo, ma il rispetto per lui dev'essere massimo. Poi oggi c'è comunque un rispetto esagerato perché lui è un Maestro giapponese di tipo formale,

quindi non potrò mai considerarlo al mio livello, rimarrà sempre e comunque a un livello superiore. Poi, insomma, parliamo di M. Kimura, che è di un livello così irraggiungibile. Ora sta facendo un percorso per diventare tesoro nazionale vivente, che è un titolo di stato, e sarebbe il primo nel mondo bonsai perché per ora ci sono solo quelli per le arti maggiori, cioè ceramica, pittura ecc. Se lo raggiungerà, sarà davvero un inavvicinabile. Durante il percorso che abbiamo fatto per dare ad Arco di Trento per la prima volta un premio a suo nome in una telefonata con l'interprete a un certo punto gli chiedevo delle cose, e volevo chiederne altre. L'interprete mi ha fermato e mi ha consigliato di non farlo perché sarebbe stato un po’ scortese: non vorrei rovinare l'armonia della conversazione. Ormai lo conosco dal 93 dopo trent'anni di professione. A un italiano non verrebbe neanche in mente di dire una cosa del genere, e questo fa capire cosa vuol dire ancora oggi il rapporto che deve avere un discepolo con un Maestro di quei livelli. E' un mondo feudale. C'è un altro aspetto che credo sia giusto approfondire a questo proposito. Nel mondo occidentale non esiste una figura neanche lontanamente paragonabile a quella


di un Maestro. E' stato difficile per lei, adattarsi a una condizione, nella quale, come scrive lei, ci vuole “Obbedienza, completa dedizione, niente domande né obiezioni adattamento, e se il maestro dice che è nero davanti al bianco, l’allievo deve accettarlo”. Come può un occidentale accettare una cosa del genere? Non mi sembra che gli occidentali siano umili fino a quel punto. Alla fine diventa naturale? E' molto difficile. Non è neanche una questione di umiltà, ma è proprio una questione di differenza tra un evo medio e uno moderno. Noi siamo in un evo moderno da 500 anni quindi non accettiamo più un metodo feudale. Ossia, lui mi spiega una cosa ed io non posso dire: no, non sono d'accordo, penso che sia così, ah sì, interessante, ma penso che.. No. lui me l'ha detta quindi io la so. Finisce lì. E lui me la dice quando pensa che io riesca a capirla. Questa è una regola feudale. Ad esempio, nella regola di San Benedetto il metodo era quello, il metodo ascetico del monachesimo era di tipo feudale. Chiaramente non è che non siamo

in grado di accettarla perché è feudale, ma perché non ci appartiene più da mezzo millennio. Però se noi facciamo un certo tipo di esperienza, anche in altre nostre antiche arti scopriamo che il metodo è lo stesso, quindi anche noi occidentali possiamo capire quel metodo, chiaramente molto duro, molto difficile sicuramente, ma una cosa è certa con quel metodo passano delle informazioni che con un sistema accademico non potrebbero essere insegnate. E loro ne sono ancora convinti e quindi continuano a spiegare in questo modo, che poi è il concetto dell'apprendistato. E' chiaro che la figura di sensei è qualcosa di una dimensione tale che da noi non c'è, non è paragonabile al maestro di scuola. Forse potremmo paragonarlo, rimanendo in tema musicale, ad una figura come Giuseppe Verdi, che era un Maestro, un grande personaggio. Sicuramente il maestro spirituale del monachesimo è la figura che si avvicina di più, perché comunque assume anche un aspetto profondo dal punto di vista spirituale: nella cultura giapponese, infatti, si parla di “concetto estetico- mora-


le”, in quanto i due aspetti sono uniti. In definitiva, tornando alla sua domanda, io non mi sono ancora adattato completamente a questa condizione. E' una cosa difficilissima, però è talmente affascinante che uno cerca di concentrarsi e conservare per lo meno una parte del rapporto seguendo quel metodo, che poi è quello che vuole il Maestro, anche se capisce che è un'impresa impossibile per un occidentale. Quindi rimane proprio quasi una sorta di confronto culturale dove entrambi cercano di fare una cosa che sanno che è impossibile. Però il tema rimane aperto. Ci può descrivere com'è una “giornata tipo”, se esiste, tra Maestro e allievo? La giornata tipo dal Maestro è una giornata sostanzialmente di lavoro tecnico, poi ci sono i lavori di stagione, che possono essere la pizzicatura, la concimazione, la legatura, la preparazione della mostra, un viaggio da qualcuno o un'escursione in natura o semplicemente osservare il lavoro del maestro. Quindi molto tecnico. Praticamente in quasi totale silenzio dall'alba al tramonto, tipo dalle otto alle undici di sera, con le pause per mangiare. Il rapporto spirituale è il silenzio, quindi è il contatto con la figura quasi ascetica che è il grande Maestro. Poi diciamo che qualcosa di simile a una lezione di tipo accademico praticamente non esiste. Il Maestro non parla mai. Cita una frase che piove dal cielo, come una cosa di un peso, di una grandezza incredibile; dichiara la grande verità in quattro parole. E' quello il sistema. E sono quelle le giornate più belle perché comunque sono quelle più intense dove l'informazione ti rimane molto. E' lì si vede proprio la differenza con il sistema accademico, dove c'è un professore che spiega mille perché l'allievo impari 10 o 100. Invece lì lui ti spiega uno ma a te rimane uno perché l'informazione è data in una condizione talmente preparata che tu la cogli totalmente. Faccio un esempio. Una volta stavamo facendo degli innesti su un ginepro, quindi una cosa molto tecnica. Ora, l'innesto sul ginepro è una cosa praticata dappertutto, tutti lo fanno ma non tutti gli innesti attecchiscono, anzi molti non prendono perché c'è qualche piccolo trucchetto. Il Maestro voleva insegnarmi questo metodo, io guardavo, e mi dicevo: questo è

quello che abbiamo sempre visto, non è che ci sia qualcosa di particolare però chiaramente continuavo a guardare il lavoro. A un certo punto lui si ferma, mi lancia uno sguardo m’indica dove guardare, fa un gesto che è durato un decimo di secondo ed io sono rimasto scioccato perché ho detto: ah, ecco è lì la differenza. Si tratta di qualcosa che non può essere messa in un articolo, non può essere filmata e non può essere detta a parole. E' stato solo uno sguardo dal quale ho capito qual era il problema e quale è il segreto del successo dell'attecchimento totale di quel tipo d'innesto. Questo è il concetto di “segreto”; era una cosa che lui aveva preparato, e quando me l'ha svelato io l'ho colto all'istante perché ero preparato per vederlo. Il Maestro sa quando è il momento giusto di dirlo. Questa è la vera difficoltà del loro metodo d'insegnamento. Ma è qualcosa che funziona moltissimo perché permette di far passare cose anche molto difficili, la coltivazione è piena di queste cose. Ad esempio la bagnatura, ecc. Però è una cosa di un fascino incredibile, sono proprio quelle cose per le quali viene da dire: è impossibile, stiamo facendo una cosa impossibile. Io spesso penso: sono un italiano che deve fare un'arte giapponese, in un paese dall'altra parte del mondo, che già solo l'andarci è una cosa difficile. Eppure non riesco a fermarmi perché è talmente bello... Se chi si avvicina ai bonsai non ha la possibilità di fare un'esperienza del genere può arrivare a certi livelli? E' sufficiente una conoscenza di tipo tecnico o è indispensabile un rapporto con un Maestro? In questo tipo di arte, il rapporto col Maestro è praticamente indispensabile. La scelta del Maestro è una responsabilità dell'allievo. Io ho puntato su quello perché volevo lui, ed era una cosa difficilissima. Non importa quanto sia grande, l'importante è che ci sia un Maestro, che abbia studiato dai veri Maestri chiaramente, non da autodidatta, altrimenti decade tutto. Questo è molto più importante di una laurea perché la conoscenza di tipo scientifico in realtà è un supporto, loro addirittura dicono che possa essere un ostacolo. Io, che ho tutte e due le esperienze dico che non è un ostacolo perché molte cose le ho approfondite con la mia conoscenza di tipo scientifico (agronomico,

botanico, ecc) però indubbiamente è un'altra cosa. E' una cosa in più, ma quello che è fondamentale è la parte bonsai. Si può rinunciare veramente a uno studio di tipo scientifico, tanto è vero che i grandi Maestri giapponesi dal punto di vista agronomico hanno una conoscenza quasi ridicola. Io dico che, quando si fanno studi agronomici e poi vedi il metodo bonsai, la prima cosa che dici è: qua i casi sono due, o questa gente non capisce niente oppure c'è qualcosa che mi sfugge perché tutto è diverso da come dovrebbe essere. Questo perché l'obiettivo è diverso, non è la produzione, non si deve seguire l'evoluzione botanica della specie, ma si fa il bonsai, che è una cosa miniaturizzata, quindi tutto un altro tipo di obiettivo. Allora vale molto di più la conoscenza del metodo di coltivazione di Kimura che una laurea in agronomia, perché alla fine ciò che serve è quello. Inoltre, sia la sensibilità sia la capacità artistica, sono doti che abbiamo tutti, ma solo un grande Maestro è in grado di tirarle fuori. Di questo l'oriente è convinto. C'è una grande differenza religiosa, chiaramente, perché noi abbiamo l'idea che la capacità artistica, essendo un dono di Dio, sia data solo a qualcuno, invece è data a tutti, solo che non tutti la esprimono. L'uomo, per essere tale ha in sé queste capacità, queste sensibilità che magari sono adombrate, coperte, schiacciate, annientate e il percorso anche di un'arte così tecnica e pragmatica come quella di un'arte fine giapponese come il bonsai è in grado di risollevarti ed estrarre queste capacità e diventa anche un'esperienza di vita. C'è anche un altro aspetto affascinante. Quando nel medioevo le persone cercavano i maestri spirituali per ritirarsi in stato ascetico o spirituale venivano respinte, tant'è che nella regola di san benedetto c'è scritto che se uno vuole abbracciare la vita monastica dovrà essere respinto. Se poi insiste, insiste e insiste, alla fine sarà accettato perché così si è sicuri che ciò che voleva era proprio quello. Con i Maestri giapponesi delle arti fini succede ancora oggi la stessa cosa, quindi tu ci provi e ci riprovi e alla fine forse sarai accettato. Anche Kimura, alla prima lettera che gli ho mandato, non ha neanche risposto, allora la seconda l'ho iniziato scrivendo: le ho mandato una lettera, non è che non le è arrivata? In realtà c'è la tendenza iniziale a respingere,


quello che è bello però è che, una volta che il sistema è agganciato, non potrai essere rifiutato, salvo che non si faccia qualcosa di tremendo e allora si viene buttati fuori. Ci vogliono due o tre anni perché il Maestro. capisca se tu sei in grado di raggiungere un livello alto, altrimenti, se quello è un grande Maestro, smette d'insegnarti, ti rifiuta, ti manda via. Perché lui può seguire qualcuno, che porterà avanti il suo nome, solo se pensa sia alla sua altezza. Il problema è che ci mette due o tre anni per capire se tu sei in grado di essere avviato agli insegnamenti più alti. Anche questa è una cosa tipicamente feudale. Da noi la conoscenza è per tutti, invece lì no. Un'altra grande differenza tra occidente e oriente è che noi abbiamo l'idea dei metodi che vanno per obiettivi e per mete. Invece nel kuden non c'è la meta, non c'è l'obiettivo ma c'è il percorso. Quindi tutto è percorso, c'è sempre un miglioramento, che è il concetto del miglioramento continuo (KAIZEN). Anche nelle piccole cose, non solo nelle grandi. Chiaramente questo è il livello massimo, ma la natura del bonsai dovrebbe essere questa qua. Si può fare bonsai anche solo dal punto di vista tecnico, quindi coltivare, lavorare e fa-

re una figura che magari è anche molto bella. Ma è uno stereotipo, non è l'arte bonsai. Nel 2000 ha fondato la Fuji Kyookai Bonsai. Che cosa significa questa scuola per lei e cosa l'ha portata a scegliere anche la Spagna come sede della sua scuola? Oggi sostanzialmente nell'ambito dei bonsai faccio tre lavori. Uno è l'insegnamento nella scuola. Scuola che ha una sede a Torino, una a Maiorca e una a Marbella. A Torino ci sono i bonsaisti, quindi come nelle altre scuole, più una sezione per i bimbi dai 4,5,6 anni e quelli delle scuole elementari, poi abbiamo anche una sezione per i portatori di handicap psichici della fatebenefratelli. Molto affascinante quest'esperienza d'insegnamento del bonsai, che è stata molto apprezzata dai padri della fatebenefratelli perché avere a che fare con i bonsai, vuol dire prendersi cura di qualche cosa e quel tipo di pazienti ha molto bisogno di questo. E' un'esperienza che ha funzionato molto bene ed è uno dei fiori all'occhiello della mia scuola. Un secondo lavoro, quello più professionale è la manutenzione e la gestione delle collezioni. I collezioni-

sti sono persone che amano i bonsai, li comprano e fanno gli interventi quotidiani tipo bagnare, concimare mentre tutti i lavori specialistici vado a farli io, quindi le manutenzioni, i lavori di stagione, cosa che tra l'altro avviene anche in Giappone. E poi il mio terzo lavoro è il commercio perché, chiaramente lavorando tre giorni alla settimana in un centro bonsai mi occupo anche di commercio, quindi import export da Cina e Giappone, bonsai e materiali a loro connessi. Anche il commercio io lo trovo molto interessante, molto affascinante perché offre molte opportunità di conoscere ancora altri tipi di ambienti professionali. Tra l'altro in Giappone la figura del Maestro è molto mischiata nel commercio, non è separata come avviene qua. Per quanto riguarda la scelta della seconda sede c'è un motivo storico anche lì. Nei primi anni 90 c'era un collezionista di Marbella che aveva una grande collezione e sostanzialmente non se la cavava più, voleva la mano di qualcuno che lo aiutasse a sistemare un po' le piante e combinazione aveva conosciuto un commerciale dell'allora centro bonsai Castagno che mi conosceva e gli consigliò di contattarmi. Ci siamo conosciu-


ti così. Lui due anni dopo, grazie ad un fondo per lo sviluppo del comune di Marbella ha fondato un museo, che per allora era una cosa straordinaria, ci voleva quasi un milione di euro per farlo un miliardo e ottocento milioni di lire di allora, una cosa davvero colossale che è ancora magnifica oggi. Mi nominò assessore del museo e alla fine cominciai ad andare periodicamente a sistemare le piante. Andavo dieci, quindici giorni l’anno e sistemavo le piante, in quelle occasioni lui invitava altra gente, altri professionisti, io avevo già l'esperienza di Kimura e quindi ogni volta che andavo a fare la manutenzione c'era una sorta di gruppo che veniva a vedere i lavori. Alcuni erano di Maiorca e alla fine si appassionarono, formarono dei club e iniziarono a chiedere miei interventi sporadici all'interno dei club e così ho iniziato a essere conosciuto in Spagna. Poi nel 2000 io fondai la scuola in Italia, nel 2001 iniziai il primo programma e parlai di questo progetto ai bonsaisti spagnoli. Dissi loro che avevo organizzato un programma di tipo scolastico, con più corsi, (la mia era la terza scuola nata in Italia, dopo quella della

Scuola d'Arte e la scuola di Crespi). Mi proposero di svolgere quel programma anche da loro. E così abbiamo fatto un programma che consta di due, tre interventi l’anno fisicamente là, più le web conference ogni mese, con lezioni di tipo teorico più tutta un'altra serie di viaggi, programmi, stage, scambi tra le scuole, una cosa molto articolata. Quindi è nata così. A proposito del bonsai italiano. com'è visto il movimento bonsaistico italiano all'estero? In tutto il mondo, a parte in Giappone il bonsai italiano è visto come una cosa eccezionale, di qualità altissima. Si chiedono come abbiano fatto gli italiani a fare delle cose così belle e la spiegazione è che gli istruttori italiani hanno cercato di organizzarsi in maniera più sistematica, sono nati i diversi gruppi d’istruttori, e, un po' per una maggiore organizzazione, un po' per la concorrenza, si sono dati molto da fare e hanno sia importato che raccolto materiali notevoli e lavorato, molto e molto bene. Molti degli istruttori italiani hanno come istruttori dei Maestri giapponesi quindi alla fine è

proprio la qualità e la ricerca disimpegnata, che ha portato l'Italia a questo livello. Chiaramente questa è una cosa molto legata al bonsai contemporaneo ed è comunque molto legata all'Occidente perché i giapponesi pensano che il nostro bonsai sia proprio base, agli inizi, come un bambino che ha iniziato a fare i primi vagiti. Loro non considerano solo il bonsai contemporaneo ma chiaramente tutta la storia del bonsai quindi, dall'alto dei loro secoli non possono considerarci a un livello alto, anche perché per loro molti materiali devono invecchiare secoli o comunque tanti decenni, non quaranta anni. Se andiamo a vedere in realtà il bonsaismo italiano ha quaranta anni, ma i primi dieci anni moriva tutto perché non sapevamo curarli, i secondi dieci è sopravvissuto qualcosa ma erano orribili, i terzi dieci abbiamo fatto dei bei bonsai, però i materiali non erano importanti. Sono solo dieci anni che stiamo lavorando molto bene con materiali molto belli, quindi i bonsai più belli che abbiamo in Italia non sono ancora vecchi perché quelli che avrebbero dovuto fare quaranta anni fa non ci sono, a


parte qualche rarissimo caso. Un bonsai dopo dieci anni è ancora un bambino. Dopo venti incomincia ad avere una certa maturità. Ma quando inizi a vedere i capolavori giapponesi che hanno 80, 100, 200, 400 anni … non si possono neanche comprare. Il mio Maestro. dice che un bel bonsai va da 1 a 10 milioni con qualche cosa di interessante, sopra i 10 milioni è veramente un bel bonsai, sotto 1 milione non è neanche un bonsai, ma sono mi-

lioni di yen,quindi un bel bonsai va sopra i 90 mila euro. Ci può dire quali sono i suoi prossimi impegni professionali? E quali i suoi progetti futuri? Il problema è che quando si mette tanta carne al fuoco poi bisogna anche portarla avanti. Io concepisco i programmi al meglio che riesco dal punto di vista teorico, poi quando li attuo, piacciono e quindi alla fine biso-

gna portarli avanti. La mia scuola AVREBBE un programma di 5 anni, peccato che quando arrivano all'inizio del 5° vogliono assicurarsi che non sia l'ultimo. In Spagna addirittura mi hanno abolito il concetto dei cinque anni, cioè l'hanno trasformato in primo anno propedeutico, quadriennio specialistico, post scuola illimitato, quindi praticamente ogni volta che faccio qualche cosa è a vita, per cui oggi ho un certo timore nell'aumenta-


perplesso, non capivo cosa potessi fare in un'associazione di americani. Però in effetti era un'associazione che aveva un respiro mondiale. Alla fine seguii il consiglio di Chiara e divenni prima socio, poi istruttore, poi ambasciatore e alla fine anche direttore, siamo in venticinque nel mondo. E' un'esperienza abbastanza impegnativa. C'è molto da fare, si discute di diversi temi, ci sono le votazioni, abbiamo un nostro forum per discutere le varie tematiche; chiaramente implica un'attività da svolgere al di là del congresso e della rivista. E' molto macchinoso perché, avendo un respiro così mondiale, è un'organizzazione immensa, però è molto affascinante, è una bella esperienza, poi si svolge tutto in inglese. Ora c'è il Sudamerica che si sta muovendo molto.

re gli impegni. Comunque ho in programma l'edizione del mio libro, “Bonsai d'avanguardia” in spagnolo, che dovrebbe essere pubblicato alla fine dell’anno. Sarà interessante perché probabilmente riusciremo ad avere qualche opportunità in più, quindi sarà con le immagini a colori e anche qualche capitolo in più perché nel frattempo sono riuscito chiaramente a fare qualche capitolo in più. In italiano abbiamo in progetto di farne due. Uno sui vasi, e questo sarebbe molto interessante perché non c'è un libro non in lingua giapponese solo sui vasi. Ci vorrà ancora un po' di tempo perché ci sono molti tipi d'informazione, soprattutto sul cinese, di cui ho il materiale, ma è' ancora tutto da tradurre, quindi c'è ancora un gran lavoro da fare. Poi uno solo per i bambini, molto affascinante ma particolare; c'è il confronto con un altro tipo di professionalità che deve sviluppare la parte fantastica, un misto di favola e gioco. Ci tengo molto perché è una sezione della scuola molto, molto bella. E, sempre per quanto riguarda i suoi impegni, ci vuole dire qualcosa sulla sua collaborazione col Magazine? La collaborazione col Magazine è nata da una richiesta che mi ha fatto Sandro Segneri. Sandro era già venuto da me nel 2006 perché aveva l'idea d'inserire una sorta di master all'interno della sua scuola; chiaramente a me ha proposto la parte di

cultura giapponese e insieme nasceva l'idea del magazine, che è andata avanti e continua tuttora. Mi aveva detto che il magazine avrebbe dato una grande opportunità, perché chiaramente non avrebbe avuto i limiti di diffusione che può avere una rivista cartacea e anche per il fatto che è gratuita. Io ho creduto subito in questo progetto proprio per la modernità, oltre alla bellezza con cui Carlo riesce a creare una rivista veramente magnifica. Quando poi sono diventato direttore del BCI mi è stato chiesto se si poteva creare una collaborazione tra il magazine e l'associazione mondiale che ho generato. Questo ha permesso di ampliare sensibilmente il numero di visitatori della rivista che oggi è seguitissima grazie anche al rapporto con il BCI. La rivista è bellissima, è letta in tutto il mondo e trovo che sia molto specchio della realtà del bonsai contemporaneo. Tra i membri del BCI sono rimasti così affascinati dal B&S Magazine che si stanno organizzando per fare una rivista simile, che è quasi pronta. Che cosa rappresenta per Lei il BCI, di cui è Direttore dal 2009? Ho conosciuto il BCI nei primi anni 90, quando sono stato in America per il congresso e c'era ancora J. Naka. E allora mi ricordo la mitica frase di Chiara Padrini che mi disse: uno come te dovrebbe iscriversi all'associazione mondiale. Io rimasi un po'

Per concludere... quali consigli darebbe a chi si è avvicinato da poco a quest’arte? Ai ragazzi che vengono nella scuola, il primo e il secondo anno in Italia, quasi tutti ragazzi giovanissimi, (dai trent'anni in giù) io dico: il bonsai è una cosa che si fa per divertirsi, per piacere, perché è una cosa bella, ecc, voi quindi dovete capire prima di tutto perché lo fate. Cioè fate bonsai perché volete divertirvi, conoscere una cultura giapponese, fare soldi o trovare un lavoro, perché volete avere uno svago, o una valvola di sfogo, cioè, dovete capire perché fate bonsai. Secondo cosa vi aspettate potreste essere delusi in quanto il bonsai è una cosa molto lunga e difficile. Dopo uno o due anni ci si rende conto della sua complessità, quindi si potrebbe avere un rifiuto. C'è molta gente che magari inizia, ha un primo approccio e poi rimane deluso dalla lunghezza e dalla difficoltà di quest'arte. Quindi una prima cosa che io faccio è mettere in guardia e consiglio di capire cosa si vuol fare. E poi, se uno non si è avvicinato a una scuola, assolutamente, la prima cosa è cercare qualcuno che t'insegni bonsai. Non ci vuole un atteggiamento autodidatta perché col bonsai non funziona. Quella è la cosa che consiglio. Bisogna scegliere un Maestro perché altrimenti non si va da nessuna parte, non si fa il vero bonsai.



S

ono Enrico Sallusti, Presidente dell’Associazione Culturale Roma Bonsai, la mia passione per il bonsaismo risale ormai a molti anni fa, sono circa 40 anni che pratico questa arte e continuo ad amarla. Molte piante fanno parte della mia collezione e per ognuna di esse avrei tante cose da raccontare, come per il mio pino nero (varietà Villetta Barrea), uno yamadori che mi ha dato molte soddisfazioni. Ricordo che era l’anno 2000 il 12 di Luglio e con un mio cugino e un suo amico, tutti e due non bonsaisti ma fungaioli, la mattina presto ci avviammo per raggiungere una zona montuosa in Abruzzo alla ricerca di funghi appunto. Proprio il giorno precedente parlavo di stili bonsai con il mio amico Fabrizio Petruzzello e scherzando presi un foglio di carta ed abbozzai un disegno di un bonsai con le curve al posto giusto e i rami distribuiti nelle curve esterne e con la giusta conicità, come ogni bonsaista desidererebbe fosse la sua pianta “perfetta”. Fabrizio sorridendo disse che noi bonsaisti non smettiamo mai di sognare! Insomma ero in montagna coi miei amici fermo in una piazzola lungo la strada e godevo dell’aria fresca e della vista panoramica, intorno a me maestosi pini neri, ed una fascia di terreno tenuta libera da alberi e vegetazione, probabilmente dal corpo forestale dello stato oppure dai cantonieri, sicuramente per motivi di sicurezza e per non permettere ad un fuoco accidentale di propagarsi dalla strada verso i boschi circostanti, insomma per diversi anni l’intervento dell’uomo aveva mantenuto bassa la vegetazione in quel punto. E proprio in quel tratto di terreno il mio sguardo venne attratto da un pino nero basso sul terreno, mi chinai per vedere bene il tronco e rimasi stupito nel vedere come potenzialmente poteva somigliare al disegno che avevo fatto il giorno prima “sognando” uno yamadori che mi potesse dare delle soddisfazioni. Per abitudine in macchina porto sempre con me una piccozza, dei sacchi e del nastro da pacchi e quindi decisi di provare a raccoglierlo. Il terreno in quel punto era molto morbido e sciolto, quindi è stato facilissimo liberarlo dalla terra e in pochi minuti la pianta era nel bagagliaio della macchina. Ero molto eccitato per quella fortunata scoperta, non appena arrivato a casa ho rinvasato il pino in una comoda


ciotola utilizzando pomice come terriccio. Ho coperto poi con una grande busta di plastica trasparente fissandola al vaso, così che facesse una specie di miniserra per mantenere una umidità costante. L’unico problema evidente era la vegetazione che si trovava a circa un metro dal tronco. Ho dovuto quindi ragionare su come far arretrare la vegetazione senza creare problemi alla pianta in attecchimento, scegliendo perciò i passaggi giusti per arrivare al risultato che si può ammirare oggi. Per questo motivo ho lasciato trascorrere due anni di coltivazione, per non correre rischi e per far diventare il pino molto vigoroso, quindi nei primi giorni del mese di giugno, dopo che le candele si erano riempite di aghi al massimo turgore, ho tagliato le candele lasciando dalle 4 alle 8 coppie di aghi decrescendo dall’alto al basso. Notai con piacere che dall’autunno di


quell’anno alla primavera successiva il pino aveva prodotto numerose nuove gemme a ritroso sui rami fino al tronco, tanto che nella primavera del 2004 le gemme hanno dato origine a tanti nuovi rametti. Nell’autunno dello stesso anno finalmente ho potuto dare la prima impostazione. Nella primavera del 2005 la buona salute della pianta mi consentì di trapiantarla in vaso bonsai e a quell’epoca risale la prima foto. Da quel momento in poi il bonsai di pino mi ha dato tantissime soddisfazioni ed è stato esposto in varie occasioni e nelle Mostre dell’Associazione Roma Bonsai. E’ stato inserito nel Catalogo n.14 U.B.I. del 2010 quando è stato esposto al Congresso Nazionale di San Marino. Nello stes-

so anno a Napoli è stato esposto al “Kokorono Bonsai Ten” e si è guadagnata la targa del Bonsai & Suiseki Magazine. Nel 2011 alla Mostra della Giareda di Reggio Emilia ha vinto il secondo premio Conifere Categoria Amatori. Non poteva essere più giusto quest’ultimo premio, infatti io così mi considero: un amatore dell’arte bonsai. La cosa che ho imparato da questo pino e da tutti gli altri che posseggo da tanti anni, è la loro facilità di coltivazione. Rispondono alle potature ad alle cure senza troppi sforzi e mi danno una grande sensazione di serenità. Insomma siamo cresciuti insieme: io come bonsaista, loro come bonsai! © RIPRODUZIONE RISERVATA



Il bonsai preso in esame dai nostri Fantastici Quattro è per questo primo progetto un araki di tasso. Dalla sua raccolta, le uniche operazioni svolte su questo esemplare sono state unicamente la capitozzatura per ridurne l'eccessiva iniziale altezza, ed il rinvaso finalizzato alla graduale riduzione del pane radicale ed allo sviluppo di nuove radici.


LORENZO AGNOLETTI

P

er quanto riguarda la prima pianta da trasformare in bonsai credo sia di aiuto specificare che il lavoro da fare sarà lungo. In poche parole si tratta di decidere il fronte possibile, in questo caso quello dove si vede una grossa radice a sinistra che sporge, e togliere completamente i monconi di rami dritti in basso a sinistra ed a metà a destra. In queste zone andranno lasciati uno o due rami per formare i successivi palchi. Per quanto concerne l´apice anche questo dovrà essere selezionato cercando di spaziare bene i vari rami. Nel tasso è bene iniziare da subito a dare

un movimento ed una direzione ai rami selezionati. Per aumentare velocemente il diametro dei rami si può lasciar crescere liberamente l´apice di ogni ramo. Prendendo in considerazione la grossa e antiestetica radice si può iniziare ad incidere la parte superiore e con il tempo allargare il taglio per dividerla in due parti e diminuire l'impatto visivo. Durante i rinvasi di coltivazione si può mettere della plastica o una piastrella sotto le radici come si fa con gli aceri per far sviluppare una base più larga. Con le opportune concimazioni penso che in tre anni si potrà avere un discreto albero da lavorare.

NICOLA CRIVELLI ANALISI DEL MATERIALE Il tasso è un’essenza molto vigorosa, questo materiale ha moltissima vegetazione giovane. Da quello che si può dedurre dalle foto, si tratta di un materiale da vivaio, fatto ingrossare in campo e poi capitozzato. Avendo una vegetazione molto fitta si fa molta fatica a vedere la struttura del tronco. Con un po’ di fantasia immagino un tronco più o meno come quello che ho evidenziato in ros-

so nel primo disegno. Nella creazione di un tasso bonsai è molto importante la lavorazione della legna secca. La legna secca rientra nella tipicità dell’essenza del tasso, ogni essenza, in natura e bonsai, ha una sua tipicità. Il ginepro chinensis, shinpaku, ha un secco molto tipico, contorto, a spirali e piatto. Guardando un dettaglio di legna secca, un occhio esperto, sa riconoscere subito a che essenza appartiene. I tassi in natura e di conseguenza in bonsai, non hanno quasi mai un comportamento contorto, la loro crescita è spesso dritta, nei parchi si sviluppa quasi a scopa rovesciata. Per la facilità con cui forma i polloni, spesso lo si trova in stile a ceppaia, quasi sempre con tronchi dritti. Il legno del tasso è molto duro, ma con il tempo tende a svuotarsi all’interno, tipico del tasso è perciò il sabamichi (tronco cavo) Quando si analizza un materiale, la prima cosa che si cerca è il nebari. Il piede di questo tasso è abbastanza difettoso perché si sviluppa solo da un lato. Un nebari che si sviluppa solo da un lato non si presta alla formazione di un bonsai negli stili Chokkan (eretto formale) e Moyogi (eretto informale). Potrebbe andare bene per uno stile inclinato (Shaka) o semi cascata (Han Kengai) - fig. 1 Si inclina il tronco leggermente verso sinistra per migliorare il nebari che formava uno scalino. Dopo il nebari si analizza il tronco. Anche in questo caso ci troviamo con un tronco non molto conico, quindi dovremo cercare di dare conicità al tronco intervenendo sulla legna secca, ovvero creando delle parti secche, jin e shari dove il tronco è cilindrico - fig. 2 In arancione ho evidenziato quale sarà il movimento del fusto. L’apice verrà ricostruito con un ramo giovane. Le parti che non servono per la costruzione del tronco si lavorano a jin e shari, in questo modo cerchiamo di dare conicità ed un po’ di movimento al tronco - fig. 3


Si selezionano i rami utili al disegno. Si selezionano le vene (se non già definite naturalmente). I tratti cilindrici verranno lavorati a legna secca, i monconi e il tronco principale verranno svuotati della parte centrale. Bisogna lavorare il secco in modo che sembri naturale e non artificioso. Nello stile inclinato è importante che ci sia un ramo forte nella parte opposta alla direzione della pianta. Il sashi-eda, il ramo principale che enfatizza la direzione, sarà il secondo ramo di sinistra. L’apice torna verso il centro per poi direzionarsi a sinistra. Questo tasso avrà una direzione molto marcata, è importante che il flusso di energia che parte dal nebari verso l’apice, fluisca verso sinistra. Nel limite del possibile bisognerebbe evitare una triangolarità della chioma. Nel bonsai sono molto importanti i vuoti e i pieni, come nella musica e nell’arte in generale. Con essenze come il tasso, in pochi anni si possono ottenere degli ottimi risultati. Vedrei bene una pianta di questo genere in un vaso rettangolare di questo tipo.



ROBERTO RASPANTI IL PIACERE DELLA PROGETTAZIONE Senza dubbio è uno degli argomenti più stimolanti nella realizzazione di un bonsai: ipotizzare un progetto grafico che ci permetta di ottenere un albero il più evocativo possibile, partendo dal materiale che abbiamo a disposizione. Prima di iniziare questa, spero, proficua collaborazione, terrei ad esprimere una piccola considerazione personale riguardo al mio modo di vedere ed intendere il bonsai… il bonsai per me è pura forma, a prescindere dal tipo di essenza che mi trovo a lavorare. Talvolta può essere riduttivo, in termini di creatività e di espressione artistica, precludere alcuni tipi di interpretazione solo perché poco conformi alle peculiarità del tipo di essenza. Personalmente tendo a seguire quello che la forma suggerisce o lascia intuire. ANALISI OBIETTIVA/OGGETTIVA DEL MATERIALE Taxus Baccata, probabilmente proveniente da raccolta in natura. Il soggetto appare in buone condizioni di salute, per quanto concerne il vigore e la qualità della vegetazione. Osservando le foto che ritraggono il tronco, si evincono circa quattro punti dai quali nascono i rami. I rami stessi appaiono “giovani”

(emessi dopo potatura). Sembrano essere assenti vecchi rami aventi diametri significativi. Sulla lunghezza del tronco si “leggono” almeno due cambi di sezione significativi. Legna secca poco presente o almeno da creare tramite le consuete operazioni di jinning. Se si esclude la base e parte del tachiagari l’essenza non esprime molti altri punti focali che catturino lo sguardo dell’osservatore. ALBERI ED IMMAGINARIO Dopo aver osservato ed analizzato oggettivamente la pianta, la nostra mente inizia ad ipotizzare forme, soluzioni atte a trasformare il nostro araki in un bonsai con delle buone potenzialità. E’ buona norma, oltre che una ottimale forma di esercizio, provare a mettere su carta una o più soluzioni grafiche del nostro “albero immaginato”. IPOTESI DI PROGETTO Liberando la creatvità e restando fedeli alle caratteristiche mostrate dall’albero (il bonsai disegnato va poi realizzato!) sono diverse le soluzioni che ne scaturiscono… ne ho estrapolate due, molto diverse da loro.

PROGETTO A Da realizzarsi mantenendo quasi la totalità dell’araki: altezza del tronco originale, mantenendo tutti i punti di inserzione dei rami. Il risultato è quello di un vecchio albero, alto ed imponente, modellato dahli anni e dal continuo e leggero soffio del vento...


PROGETTO B Prevede un drastico cambio delle proporzioni. Pianta molto più bassa, chioma compatta, direzionalità e senso dinamico molto pronunciati. Ad onor del vero non ho una netta preferenza tra le due soluzioni: ambedue rappresentano due valide alternative per poter interpretazre un materiale di partenza povero, ma che se approcciato con il giusto sistema, può regalare delle belle soddisfazioni bonsaistiche.


FRANCESCO SANTINI ANALISI DEL MATERIALE Il tasso in questione è un materiale grezzo di notevoli dimensioni e in ottime condizioni di salute. Presenta un nebari molto piatto e allungato. Una caratteristica non certo perfetta che dovrà prevedere delle modifiche. Il tronco appare dritto e senza movimenti particolari e con un portamento cilindrico. Solo nella parte alta sono presenti rami di discreta dimensione, anch’essi cilindrici, che possono rappresentare eventuali sostituzioni di apice. La vegetazione ricca e abbondante è costituita da ramificazione veramente giovane e di diametro ridotto, non proporzionato alla dimensione del tronco. LAVORI PREPARATORI La prima cosa da fare è una pulizia e un’adeguata preparazione della pianta. Questa lavorazione consiste nel mettere in evidenza le caratteristiche della tasso che al momento sono nascoste come ritiri di linfa, eventuali jin o shari. Allo stesso tempo è consigliabile una pulizia della corteccia in modo da evidenziare il bel colore rosso tipico di questa essenza. Il nebari potrebbe essere migliorato con la creazione di shari. A riguardo potrebbe essere utile studiare il percorso delle radici, la loro vigoria e l’eventuale loro eliminazione. Gli shari dovranno essere realizzati soprattutto sulla parte superiore del nebari (o delle radici) e in tutta la sua lunghezza in modo da rendere meno cilindrico il tutto. La legna secca potrà essere successivamente estesa anche lungo il tronco. Nella creazione degli shari l’osservazione del fusto puo’ darci utili indicazioni sul dove realizzarli. Al tatto sarà possibile scoprire che il tronco non cresce uniformemente dritto e cilindrico ma presenta dei piccoli e impercettibili avvallamenti. Sarà in questi punti in cui andremo a incidere la corteccia. Altri shari potrebbero essere realizzati a partire dagli eventuali jin già presenti. Così facendo diamo movimento a un tronco altrimenti dritto e cilindrico spezzandone la monotonia e andando a creare degli importanti punti focali. Un altro passo prima della progettazione è lo sfoltimento della vegetazione. Si opera in modo oggettivo senza curarsi dell’eventuale progetto. Si eliminano i rami deboli e secchi, si lascia un solo ramo qualora in un punto ne nascessero più d’uno. Dopo queste fasi è il momento della progettazione. Cosa possiamo realizzare con un materiale del genere? Ad una prima valutazione, la soluzione più immediata potrebbe essere lo sfruttamento di quasi tutta l’altezza della pianta, cercando di distribuire la vegetazione in modo uniforme e radiale creando un bonsai in stile moyogi o inclinato. Questa soluzione per quanto corretta, dipenderebbe in modo sostanziale da tutto un’insieme di valutazioni riguardo alla posizione e grandezza degli shari, alla conicità e al movimento del tronco. In un certo senso sarebbe un’ottima so-

luzione solo se il lavoro sul tronco e sul nebari avesse risolto in modo sostanziale i difetti analizzati in precedenza (cilindricità, assenza di movimento, assenza di punti focali). IL PROGETTO La soluzione che però vorrei proporre è invece una scelta molto drastica e mira all’eliminazione degli evidenti difetti presenti. È una soluzione che conferirebbe una nuova personalità al tronco e al risultato finale. Naturalmente è una proposta che si basa sulle foto e sulle poche informazioni a disposizione, e che vuole rappresentare solo un’alternativa a soluzione più immediate. La fattibilità del progetto deve in ogni caso essere valutata con l’osservazione reale e l’analisi della pianta. Partiamo dal presupposto che il difetto principale della pianta è in un nebari lungo e sproporzionato e in un fusto cilindrico e senza punti di interesse particolare. L’eliminazione di gran parte del tronco creerebbe una porzione di legno di generose dimensioni che lavorata potrebbe creare un vero punto focale. Inoltre ci sarebbero i presupposti per il ridimensionamento del nebari attraverso la riduzione del legno in eccesso. Forse meglio delle parole può parlare il progetto stesso rimandando a dopo le spiegazioni per la sua realizzazione Vediamo nei dettagli le motivazioni che mi hanno portato a una scelta del genere. Una prima considerazione è la possibilità di mettere a dimora questa pianta in un vaso adeguato. La presenza di lunghe radici legnose limita la grandezza nella scelta del vaso. Più radici vengono eliminate più sarà facile rinvasare la pianta in un piccolo recipiente. A questo scopo l’eliminazione di gran parte del legno e la successiva creazione della chioma con due/tre piccole vene comporta l’utilizzo di un pane radicale estremamente piccolo. Una seconda motivazione è la scelta drastica di eliminare i punti deboli di questa pianta. Le parti troppo rigide e cilindriche (tronco e nebari) vengono completamente ridiscusse e rimodellate concependole come legna secca. Starà all’abilità del bonsaista creare conicità, profondità, ritmo e naturalezza dove prima non c’erano! Una bella sfida! La drammaticità del legno secco non può che suggerire una modellatura della chioma in cui la natura ha dato la sua impronta. Personalmente non amo chiome centrate ed equilibrate su legni secchi particolarmente drammatici e contorti. Una natura così severa si riflette non solo sul disseccamento di grandi porzioni di legno ma anche su una struttura vegetativa molto squilibrata e ricca di linee di forza. In questo caso ho previsto una chioma fortemente verso sinistra. Se ci si immagina il vento che proviene dalla destra, non sarà difficile trovare coerenza e naturalezza in un tale progetto. La costruzione della chioma prevederà la


selezione e l’utilizzo dei rami più forti che possono assicurare la creazione di altrettante vene linfatiche sufficientemente grandi e vigorose. Un discorso a parte richiede la programmazione delle lavorazioni: potare drasticamente la pianta tutto in una volta non è una soluzione adeguata. Preferisco operare con progressive operazioni di potatura a distanza di tre mesi l’una dall’altra. Una potatura così diluita permette alla pianta di reagire adeguatamente superando meglio lo stress che si verrebbe a causare da una potatura unica. Nel corso del primo anno andremo a potare progressivamente la pianta, favorendo sempre la vigoria della vegetazione utile. In questo stesso periodo dovremo assistere il tasso con una coltivazione adeguata e ricca di concime in modo da portare

la salute al massimo. Allo stesso tempo potremo accennare la creazione dei primi shari e la potatura delle radici. Una piccola attenzione alla radice legnosa presente sulla destra. Non potarla drasticamente ma lasciarla lunga in modo da poterla utilizzare come legna secca fuori dal vaso. La “coda” di legno sulla destra è infatti una appendice legnosa da posizionare fuori dal vaso. Una volta eliminata tutta la vegetazione inutile, si procede con la prima lavorazione del secco. Questa operazione dovrà essere effettuata prima del necessario rinvaso in modo da non danneggiare le radici durante la fase di scolpitura. L’utilizzo di frese e scalpelli fa infatti vibrare la pianta e quindi è meglio che questa lavorazione avvenga prima del trapianto. Solo

circa un anno dopo il rinvaso potremo passare alla prima modellatura. Dunque, a conti fatti, il filo di rame sarà utilizzato solo dopo due anni dall’inizio del lavoro. Ma in questo periodo avremo raggiunto anche un altro obiettivo: con la crescita vigorosa di questi due anni avremo ottenuto i diametri voluti della vegetazione. Diametri proporzionati alla grandezza del tronco. La scelta di un progetto così drastico non è cosa facile. Al di là di quella che è la sua possibile realizzazione, valutabile solo con la pianta davanti, resta il fatto di aver proposto una soluzione che vada a eliminare tutte le componenti negative del tasso in questione. Naturalmente è una delle tante soluzioni possibili.



L

'esperienza più scoraggiante per un principiante bonsaista è forse il non riuscire a trovare del buon materiale di partenza a un prezzo adeguato. Talvolta si riesce a trovare qualcosa importato dal Giappone, e solo poche sono le ditte italiane che producono buon materiale, ed il prezzo è tuttavia piuttosto elevato, anche se giustificato, e non sempre alla portata di tutti. Quindi penso che il bonsaista debba essere capace anche di selezionare e preparare il proprio materiale. Essenzialmente ci sono due modi di procurarsi il materiale: adattare piante cresciute spontaneamente o coltivate per altri scopi, però trovare qualcosa di veramente valido è tutt'altro che facile e molto raro, oppure bisogna comprarlo. Una maniera semplice per organizzare una collezione di bonsai, naturalmente per chi sia disposto a spendere anche cifre notevoli e non se la senta di affrontare il lungo periodo di educazione della pianta è di acquistare un certo numero di esemplari già formati. E sempre bene preferire per l'acquisto un vivaio specializzato, perché un simile vivaio potrà costituire in seguito un valido punto di riferimento per la soluzione di ogni problema che possa sorgere circa le cure e il mantenimento del bonsai. Prima di comprare i bonsai sarebbe utile documentarsi un po', osservando il maggior numero possibile di esemplari, in modo di formarsi un proprio gusto, di chiarirsi le idee su ciò che si desidera. Sarebbe bene scegliere, anche per non spendere un capitale e per apprendere le cure, delle piante piuttosto giovani,



ma che siano bene impostate, che rivelino, cioè, già tutta la loro potenzialità a divenire dei bei bonsai. All'inizio magari puntiamo sulle latifoglie anziché sulle conifere che hanno un punto in più di difficoltà (anche se tassi, ginepri, cedri e cipressi consentono un buon margine di approccio al principiante). Le piante da fiore e da frutto richiedono anch'esse un tantino in più di esperienza specialmente per quanto riguarda gli interventi di potatura. Come inizio possono essere sufficienti sei, sette esemplari in modo di creare una certa varietà di stili e di specie. Per evitare di possedere una collezione monotona bisognerebbe assortire bonsai di conifere: sono piante molto longeve, che modificano poco il loro aspetto nel corso dell'anno, che si oppongono con determinazione agli agenti

atmosferici, spesso riportandone danni evidenti, il cui sviluppo del tronco è sui rami, è estremamente ordinato e rispondente a leggi biologiche precise, quasi geometriche. Generalmente sono considerati i bonsai più importanti, come pini, cipressi e ginepri, tassi. ecc. Con piante decidue dalle foglie piccole, che si spogliano d'inverno, ma hanno il pregio di cambiare aspetto nel corso delle stagioni. A differenza delle conifere hanno la capacità di adattarsi all'ambiente lasciandosene modellare ma senza riportare grossi danni e rigenerandosi ad ogni anno. Le loro forme sono generalmente gentili ed aggraziate. Si preferisce osservarle d'inverno quando sono spoglie e se ne può apprezzare la ramificazione. Con piante da fio-

re: queste latifoglie, sia decidue sia sempreverdi, sono apprezzate per la nota di colore che danno con la loro fioritura. I giapponesi preferiscono le fioriture copiose e di breve durata, e questo rispecchia il loro concetto estetico-filosofico della bellezza apprezzata proprio per il suo essere effimera. Inoltre, fra le piante, dovrebbero esserci anche alcuni esemplari di stile diverso, come un boschetto, una zattera, un bonsai su roccia o uno a cascata. Per organizzare una collezione di bonsai si potrebbe scegliere: una varietà di cotoneaster, che si ricopre molto presto di foglie di un verde vivace, ha una bella fioritura primaverile e in autunno assume un'intensa colorazione rossa coprendosi di piccole bacche, che durano fino all'inverno; una varietà di acero tridente, pianta che


possiede una ricca chioma e cresce velocemente; un ginepro, le piante più classiche per i bonsai, sempre molto belle e decorative; inoltre sarebbe consigliabile anche una varietà di olmo. Infine si potrebbe completare la collezione con un carpino e un melo da fiore. Questo elenco vuole solo fornire un'indicazione dell'impronta iniziale da dare a una collezione di bonsai. Il criterio generale è, come si è già detto, quello di unire stili e specie diverse: dalle conifere, fondamentali protagoniste dell'arte bonsai, alle piante da frutto e da fiore che, con la loro variabilità d'aspetto, durante l'anno daranno alla collezione una nota sempre diversa. LE PIANTE DI VIVAIO In sostanza quasi tutte le piante adatte a divenire un bonsai sono rinvenibili nei vivai che vendono piante da giardino: non essendo dei prebonsai, sono molto meno costose dei bonsai veri e propri, e allo stesso tempo si ha una certa sicurezza che non soffriranno eccessivamente per il trapianto e che sono esemplari sani e robusti. E

sempre bene che la scelta cada su una specie di pianta diffusa nella zona in cui si vive, perché non bisogna assolutamente dimenticare che i bonsai devono stare all'aperto e quindi più il clima è adatto agli alberi scelti e meno problematica sarà la loro ambientazione e la loro sopravvivenza. Il periodo migliore per cominciare a educare una pianta è l'inizio della primavera poco prima che inizi la ripresa vegetativa, oppure in autunno quando gli alberi hanno già perduto le foglie e i frutti hanno raggiunto la maturazione, quando, cioè, sta per iniziare il riposo vegetativo. Quando si va a scegliere la pianta bisognerebbe avere già in mente lo stile che si vuole ottenere, oppure bisogna riuscire a valutare tutte le caratteristiche dell'alberello per riuscire a immaginare, una volta che sarà stato trasformato in bonsai, quale risultato potrà dare. Un criterio da seguire nella scelta, sarebbe quello della massima disponibilità a seguire i suggerimenti e gli spunti che le piante stesse possono dare. A volte la chioma e i rami di certe piante, co-

me il cotoneaster, nascondono completamente il tronco, così che non è facile valutarne le dimensioni e la lunghezza; in questo caso, per decidere se la pianta è adatta o meno, ci si può aiutare con le mani, facendole scorrere per tutta la lunghezza della pianta fino alla base per meglio comprendere se la forma è promettente oppure no. Con lo stesso sistema ci si può rendere conto dello stato delle radici, che in un bonsai dovrebbero essere disposte uniformemente in tutte le direzioni, in modo da fare una forte presa sul suolo. MATERIALE VALIDO PER ESSERE LAVORATE A BONSAI

Per capire quali essenze sono valide per essere lavorate a bonsai, in primo luogo si osservano le caratteristiche genetiche dell'essenza: ad esempio la foglia piccola è un grande pregio (olivastro), ma ci sono molte essenze a foglia grande che rispondono benissimo alla miniaturizzazione, ed in genere sono quelle che sullo stesso ramo presentano foglie di grandezze differenti (querce, lecci). Invece quelle che hanno foglie composite, generalmente rispondono poco alla miniaturizzazione. Altra cosa da tenere presente è che la foglia a margine lobato, o comunque irregolare, dà l'impressione di essere più piccola di una foglia di uguali dimensioni, ma a margine liscio (querce, biancospino). Altro fattore essenziale per decidere se un'essenza è bonsaisticamente promettente, è vedere come risponde all'impostazione con il filo. Alcune essenze hanno legno duro e fragile, senza elasticità, che si spezza al tentativo di piegarlo; altre lasciano impostare i rami col filo ma, nell'arco di po-


chi mesi o 2, 3 anni, questi rami s’indeboliscono fino a morire (corbezzolo, leguminose e acacie). Altro fattore importante è il modo in cui l'essenza risponde alla coltivazione in vaso da bonsai. Alcune essenze dei climi caldosecchi hanno apparati radicali molto sviluppati che scendono nella profondità del suolo dove ci sono umidità e calore costanti. Queste essenze poco tollerano di vivere in un vaso basso da bonsai dove calore ed umidità cambiano di continuo, il che può far soffrire la pianta o modificarne caratteristiche come la fioritura o fruttificazione. I CRITERI DI VALUTAZIONE DI UN BEL BONSAI

Può essere utile, per meglio guidare alla scelta della pianta giusta, elencare quelli che sono i criteri di valutazione di un bel bonsai. Le caratteristiche del buon materiale sono un nebari regolare, Il colletto (nebari) che presenta grosse radici disposte radialmente rappresenta un elemento di primaria importanza in modo particolare nelle latifoglie perché, oltre ad attribuire maggiore stabilità contribuisce a dare un aspetto di maturità all'albero. La conicità del tronco è un requisito essenziale, in modo particolare per le caducifoglie. Da evitare tronchi che si allargano verso l'alto, che presentano segni antiestetici d’innesto o gibbosità. Ma avere un tronco conico, e presentarsi con la corteccia tipica della specie, e la presenza di molti rami sottili e flessibili. Per tale motivo il primo passo non è guardare la chioma, bensì mettere allo scoperto le prime grosse radici. Spesso, infatti, il nebari è in profondità e non a filo terra, ed il tratto di tronco interrato può modificarne radicalmente il disegno, o addirittura presentare difetti tali da renderlo inutilizzabile. Le radici devono irradiarsi in modo regolare senza essere intrecciate o rivolte verso l'alto, il tronco deve assottigliarsi bene verso la cima partendo da una base solida; inoltre un'apparenza piuttosto vecchia è sempre da preferirsi. Il bonsaista principiante che sceglie un materiale bonsai spesso guarda il tronco già esistente in tutta la sua lunghezza, ma così fini-

rà quasi inevitabilmente col realizzare un bonsai dalla scarsa conicità, invece conviene immaginare il maggior numero possibile di sostituzioni d'apice fin dalla parte più bassa del tronco. Quindi, spesso, risultano molto interessanti quelle piante che hanno il primo ramo molto grosso e molto basso con cui fare la prima sostituzione d'apice; questo caratterizzerà movimento e conicità. Per quanto riguarda invece i rami, in primo luogo vanno eliminati tutti i rami grossi e non flessibili, lasciando dei monconi per realizzare degli jin se l'essenza li prevede. Per quelle essenze che non rigettano dal tronco, è indispensabile che ci siano il maggior numero possibile di rametti molto flessibili. Invece, per quelle essenze che hanno la capacità di rigettare abbondantemente dal tronco questo può essere lasciato anche completamente spoglio e ricostruire tutta la ramificazione con i nuovi getti. Nella scelta dei rami da lasciare, tenere presente che ne servono un numero molto maggiore, degli impalchi che si prevedono per il bonsai, una volta giunta a maturazione; comunque, non lasciare mai a lungo due rami allo stesso livello, altrimenti si rischia che in quel punto si formi un antiestetico rigonfiamento del tronco. La chioma più apprezzata è quella nella quale i rami più grossi si estendono verso i lati e i più piccoli verso la parte frontale e posteriore. I mikikiri-eda sono per i giapponese quei rami che, posti di fronte, tagliano di traverso tronco, i kuruma-eda sono invece quelli che partono da uno stesso punto, a raggiera e i kannuki-eda quelli che crescono opposti, orizzontalmente, l'arte bonsai non apprezza e non considera di valore nessuna di queste tre categorie di rami. Le foglie devono essere piccole, folte e movimentate. I bonsai dal fogliame minuto e fitto, detti himesho o yatsubusasho, son di gran pregio. Infine la zona apicale dell'albero, essendo dai giapponesi considerata un simbolo di vita, deve mostrare una forte vitalità. © RIPRODUZIONE RISERVATA


IN SINTESI · BUON APPARATO RADICALE. · UNA RAMIFICAZIONE BEN DISTRIBUITA. · INTERNODI BREVI, FOGLIE POSSIBILMENTE PICCOLE. · ESSERE IN GRADO DI TOLLERARE POTATURE, ANCHE DRASTICHE. · REAGIRE BENE AGLI INTERVENTI DI TORSIONE E AVVOLGIMENTO. · SOPPORTARE FERTILIZZAZIONI ANCHE COSPICUE. · ESSENZA FACILE DA COLTIVARE. · ESSERE RESISTENTE A PARASSITI. · ESSERE ADATTA AL CLIMA E ALL'AMBIENTE IN CUI VIVRÀ. · ESSERE ADATTA ALL’ESIGENZA DEL PROPRIETARIO.



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uardandolo dallo spazio, il Giappone somiglia a un arco affiorante a pelo d'acqua nell'indaco dell'oceano Pacifico. L'arcipelago, frammentato in una miriade di isole, si snoda per circa tremila chilometri, dalle nevi dello Hokkaidō sino ai cedri di Yakushima, passando per le foreste subtropicali delle isole Ryūkyū e gli onsen (terme) disseminati un po' ovunque. Per una coincidenza bizzarra (o forse no), la cultura nipponica pare riflettere la medesima ricchezza e varietà del paesaggio, lasciando il curioso o l'appassionato di lungo corso incantati e talvolta smarriti dinanzi a tanta grazia. In Italia, purtroppo, gli strumenti di qualità per districarsi in questa selva scarseggiano o sono poco conosciuti: è il caso di Giappone di Rossella Menegazzo (Mondadori Electa, 2007, pp. 384, € 22), studiosa e soprattutto sincera amante della cultura del Sol Levante. Ricalcando sinteticamente la struttura di un'enciclopedia, il volume passa in rassegna i principali ambiti

del sapere (arte, letteratura, storia, religione, usi e costumi, manifestazioni tradizionali... ), rimarcandone non solo gli eventi notevoli, ma anche personaggi di spicco e opere salienti. Un ricchissimo apparato iconografico — che ritrae monumenti, luoghi e capolavori del Giappone di ogni epoca — ci accompagna pagina dopo pagina, permettendoci un'immersione totale tra le pieghe del tempo, alla scoperta delle tante essenze che hanno fecondato il suolo nipponico, sempre illustrate dalla Menegazzo con un linguaggio accessibile e puntuale. Travolti dalla bellezza lucente delle lacche, dall'eleganza chiara e sobria dei templi, dalla pace che emanano i volti assorti delle mille e uno dee Kannon di Kyōto, dimentichiamo così il consiglio che Hakuin Ekaku riportò più volte nelle sue pitture zen: «Sia la vita interiore sia il mondo fluttuante intorno a noi / sono come ciechi che vagano su un ponte. / Una mente che possa andare oltre è la guida migliore».

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GIAPPONE ROSSELLA MENEGAZZO MONDADORI ELECTA € 22,00


HITOSHI'S WORLD


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l senso della vita e dell’arte giapponese potrebbero essere racchiusi in una pratica che si ripete immutata da centinaia di anni; si tratta dell’Hanami, che vuol dire letteralmente “ammirare i fiori”. L’Hanami è la consuetudine di ammirare, per sole due settimane l’anno, la fioritura dei ciliegi in varie parti del Giappone. Le origini di questa usanza sono antichissime e risalgono, molto probabilmente, al periodo Nara (710–794) quando ogni anno, all’arrivo della primavera, si contemplava la fioritura dei pruni (ume). Questa pratica fu definitivamente consolidata nell’epoca Heian (794–1185), quando la fioritura dei ciliegi (sakura) preannunciava l’inizio del periodo di semina del riso. Era opinione diffusa che nell’albero di ciliegio vivesse una divinità, per questo motivo alle sue radici venivano poste laute offerte di sake capaci di propiziare la semina e rendere proficuo il successivo raccolto. Ben presto l’imperatore Saga, cominciò ad organizzare feste nella sua corte di Kyoto, durante le quali si componevano poesie in onore dei fiori di ciliegio, si beveva sake e si ammirava

l’effimero ondeggiare dei petali, metafora della caducità della vita. Inizialmente queste feste erano riservate esclusivamente ai nobili, ma dal periodo Edo (1603-1868) in poi esse furono estese ad ogni singolo suddito dell’Impero. Un ruolo importante nella diffusione di questa pratica si deve soprattutto allo shogun Tokugawa Yoshimune che ordinò di piantare centinaia di ciliegi in ogni area del Giappone, in modo che questa festa potesse estendersi davvero a tutti. L’Hanami ha da sempre affascinato artisti e scrittori; ne troviamo traccia in numersi tanka, haiku e, non ultimo, nel testo più rappresentativo della letteratura giapponese: il Genji Monogatari di Murasaki Shikibu. Ancora oggi l’Hanami è vissuto come un momento importantissimo da tutti i giapponesi, tanto che l’Agenzia Meteorologica monitora costantemente la fioritura (sakurazensen) che raggiunge l’apice tra il 25 marzo e il 15 aprile. I ciliegi fioriscono fancedo la prima comparsa nell’isola di Okinawa per poi spegnersi definitivamente nell’isola di Hokkaido. Ogni fase della fioritura, dai primi boccioli (kaika) al momento




di massimo splendore (mankai), è seguita attentamente da tutta la popolazione che si reca nei parchi per assistere a questo magnifico spettacolo naturale, unendo la contemplazione della natura a feste, musica e pic-nic. Anche di notte, in quello che si chiama yozakura, è possibile ammirare questa straordinaria pioggia di ciliegi che, complice la luna, assume un carattere incredibilmente romantico. L’Hanami si sta lentamente diffondendo anche in Occidente, in particolare negli Stati Uniti dove si celebrano l’"International Cherry Blossom Festival" (Macon, Georgia) e l’”Annual Sakura Matsuri Cherry Blossom Festival” (Brooklin, New York). Di recente questa pratica è arrivata anche in Italia, grazie ai ciliegi giapponesi piantati al laghetto dell’Eur di Roma che, da qualche anno, ricreano la magica atmosfera senza tempo di questo suggestivo spettacolo naturale. © RIPRODUZIONE RISERVATA




FAMIGLIA: ROSACEAE GENERE: PRUNUS NOME COMUNE: MUME, UME, PLUM Il genere Prunus comprendente alberi ed arbusti coltivati per i loro frutti: albicocche, ciliegie, pesche e prugne e specie coltivate a scopo ornamentale per la bellezza dei loro fiori. Il Prunus è un bonsai molto apprezzato proprio per la sua fioritura che può durare alcune settimane, dalla fine dell'inverno a primavera inoltrata, ma anche per il portamento, la distribuzione dei rami e il tronco rugoso che danno aspetto vetusto e fascino all'insieme. È adatto a tutti gli stili, eccetto l’eretto formale e quello a scopa.

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l Prunus ha una tradizione millenaria nella cultura cinese. Attraverso lo studio letterario e le raffigurazioni artistiche, già sotto le dinastie Quin , Han e, successivamente, Song (960-1270), è stata documentata la presenza dell’educazione a bonsai di questa essenza: spettacolare per la bellezza ed il profumo dei suoi fiori, per il portamento e per il suo ritmo. In un antico testo vengono descritti due bonsai di Prunus (plum è il nome dato dai cinesi) che rappresentano la forza e il ritmo, un terzo ed un quarto Prunus che rappresentano la bellezza e il colore dei fiori, e un ultimo che rappresenta l’inizio della primavera. L’introduzione del Prunus mume in Giappone risale al VI secolo e se ne trova testimonianza in un libro di poesie chiamato “Kaifusoo”, scritto nel 751, in cui viene celebrata la bellezza dei fiori di questa specie. PROPAGAZIONE - Il Prunus si propaga dai semi estratti dal frutto maturo; i semi vengono stratificati in una miscela di sfagno e sabbia per tre mesi a 4°C e messi a dimora in primavera. La propagazione per talea prevede l’utilizzo dei giovani rami prelevati in estate. ESPOSIZIONE - Il Prunus predilige un’esposizione luminosa e

soleggiata. Proteggere a mezz'ombra in estate piena e in serra fredda, o con altra protezione adeguata, in caso di gelate invernali. Attenzione al troppo sole in inverno perché potrebbe anticipare la fioritura. POTATURA - Prima di iniziare la potatura, dobbiamo tener presente lo stato della pianta, se è giovane o vecchia, a che punto della sua formazione si trova, se ha internodi corti o lunghi. La potatura di formazione si effettua durante stagione vegetativa, in primavera, quando le gemme cominciano a muoversi; andrà effettuata su tutti i rami contemporaneamente in modo da indurre la pianta ad attivare nuovi germogli da foglia, molto vicini al tronco. E’ molto importante mantenere delle gemme da foglia per non perdere il ramo. Si può ripotare a fine luglio o agosto. Se la potatura è diretta all'ottenimento di fiori, si attende il termine della fioritura per eliminare l'eccesso di crescita dell'anno precedente. I fiori appassiti vanno eliminati. Durante l’estate si formeranno le gemme per l’anno seguente e quando queste si saranno differenziate si potrà procedere con una nuova potatura, che mirerà a mantenere quante più gemme da fiore possibile. Le gemme da fiore si


distinguono da quelle da foglia poiché sono più grosse e arrotondate. Dopo la potatura e nella successiva fase vegetativa, i nuovi germogli crescono; quelli nella zona apicale o sulle estremità dei rami forti sono molto vigorosi per cui si interviene pinzando; questo è molto importante perché se lasciassimo crescere liberamente, i rami più deboli della parte interna della pianta non riuscirebbero a germogliare. Invece, limitando il vigore della vegetazione forte, i rami deboli più interni cominceranno a muoversi. DEFOGLIAZIONE - Dai primi di Maggio fino a giugno, si cimano le punte dei rami forti, lasciando due o tre internodi e si esegue la defogliazione. Questa tecnica viene utilizzata per ottenere gemme da vegetazione alla base dei rami. Il tempo ottimale per farlo è appena prima della caduta delle foglie; l’obiettivo della defogliazione, normalmente, è quello di

Il noto bonsai di Prunus mume è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle rosaceae. Il nome della pianta e del frutto è Ume in giapponese e Maesil in coreano. La pianta si può considerare una forma intermedia tra un pruno ed un albicocco. Non essendo una pianta autoctona, sono meno evidenti nella nostra cultura e letteratura medica le sue proprietà, ciò nonostante possiamo tener conto del suo uso culinario in quanto i frutti vengono molto utilizzati, ad esempio nella preparazione dell' umeboshi, un diffuso condimento asiatico. Oppure il succo dei frutti viene estratto tenendoli sotto zucchero e serve come base per una bevanda rinfrescante, dal sapore agrodolce, spesso usata in estate. In Corea, il succo di Maesil', che è commercializzato come una bibita salutare, sta godendo di una crescente popolarità. I frutti vengono anche utilizzati per aromatizzare l'aceto (umezu o umesu). L'umeboshi è un popolare condimento della cucina giapponese a base di prugne salate. Vengono utilizzate, abitualmente, le prugne giapponesi arrivate a maturità. Il colore naturale è un bruno aranciato - dato dal contenuto in beta-carotene - ; spesso tuttavia si preferisce colorare l'umeboshi per fargli assumere un più piacevole colore rosso. La colorazione viene effettuata mediante le foglie di shiso, una pianta aromatica, molto ricche di antociani. L'umeboshi ha un gusto accentuato acido e salato dato principalmente dalla macerazione delle prugne nel sale. L’umeboshi e quindi il prumus mume, hanno delle proprietà terapeutiche date dal beta-carotene che agiscono nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, di alcuni tipi di tumore e dell’invecchiamento. Il beta-carotene è contenuto nei frutti come le albicocche, i cachi, i meloni, le pesche, le arance e nelle verdure come le carote, i pomodori, la zucca gialla, i peperoni rossi, ma anche verdure a foglia verde come gli spinaci, i broccoli, le rape e la cicoria. Il beta-carotene, giunto nell'intestino, viene convertito in parte in vitamina A, una sostanza fondamentale per la salute della pelle e degli occhi, e il resto viene assorbito e immagazzinato come tale. È fondamentale per il nostro organismo in quanto offre una vera e propria protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari e di alcuni tipi di tumore. Ecco l’importanza di una dieta alimentare ricca di frutta e verdura, per l’ elevata assunzione di vitamine e sostanze ad azione antiossidante naturalmente presenti in questi alimenti (beta-carotene, vitamina C, vitamina E, selenio). Le sostanze antiossidanti avrebbero infatti la capacità di neutralizzare almeno in parte i "radicali liberi", prodotti di scarto che si formano costantemente nel corso delle reazioni cellulari e capaci, attraverso reazioni chimiche definite ossidazioni, di danneggiare cellule e tessuti dell'organismo. Potrebbe esserci un effetto indesiderato nell’assunzione di troppo beta carotene, che si manifesta in genere quando esso viene integrato, difficilmente succede solo con l’alimentazione, e può essere la comparsa di una colorazione giallastra, soprattutto del palmo della mano e della pianta del piede (carotenodermia): questo inestetismo che si manifesta nell'arco di 2-6 settimane è solitamente dovuto all'assunzione di una quantità eccessiva beta-carotene; si attenua e scompare riducendo o sospendendo l'assunzione.



PREPARAZIONE DELL’UMEBOSHI Dopo aver lavato i frutti freschi e maturi, questi vengono lasciati per alcuni minuti nell'acqua fredda per togliere l'amaro. In seguito vengono scolati ed asciugati con un panno. I frutti vengono poi disposti sul fondo di un recipiente adatto (prima sterilizzato con acqua bollente) e spruzzati o vaporizzati con acquavite. Viene a questo punto aggiunto il sale (in proporzione di circa 200 grammi di sale per chilo di frutta) mescolando accuratamente affinché il sale penetri bene nei frutti. A questo stadio l'umeboshi può essere consumato ma più frequentemente viene colorato di rosso con le foglie di shiso. Dopo aver lavato le foglie nell'acqua fredda, queste vengono mescolate al sale marino. Questo miscuglio viene disposto a strati, con le prugne per favorire la fermentazione. Il recipiente viene coperto con un peso per ben pressare i frutti nella loro salamoia che deve durare da quattro a cinque settimane. Quando la fermentazione è avvenuta le prugne vengono ritirate e fatte seccare. Possono essere consumate intere o ridotte in polvere a formare un condimento chiamato shiso momiji.

aumentare il numero dei rami, ma serve anche ad aumentare il numero di gemme da fiore per la vegetazione successiva. AVVOLGIMENTO - Applicare il filo dalla primavera all'estate proteggendo la corteccia e procedendo con cautela per la fragilità dei rami. È meglio evitare l’applicazione di questa tecnica e formare la pianta soprattutto con le potature. Eventualmente si può ricorrere ad altre tecniche come tiranti, pesi, morsetti, etc. IRRIGAZIONE - Un punto focale nella coltivazione del Prunus è l’annaffiatura: evitare che manchi l’acqua, che la pianta consuma in gran quantità. Durante l’inverno si può decidere di ridurre molto l’apporto di acqua: questo comporta la formazione molte gemme da fiore per la stagione

successiva ma rischia di debilitare seriamente la pianta. C’è da dire, comunque, che i Prunus Mume fioriscono abbondantemente, eccetto per alcune varietà vecchie e rare; perciò possiamo concimare e irrigare abbondantemente, ripetendo la pinzatura e la filatura. CONCIMAZIONE - Anche la concimazione è molto importante poiché, se il Prunus perde forza, nella primavera seguente la maggior parte delle gemme sarà solo da fiore, il che è un problema per la continuazione della ramificazione. Si consiglia l’utilizzo di concimi organici a lenta cessione ogni 20-30 giorni dalla primavera, dopo la fioritura, all'autunno con un intervallo a luglio e agosto. In autunno utilizzeremo prodotti ricchi di potassio e fosforo. In caso di rinvaso non fertilizzare per tre mesi.


SHISO - Visto che ho nominato le foglie di questa pianta mi sembra giusto parlarne. La Perilla è una pianta erbacea annuale della famiglia delle laminacee alla quale appartengono anche la menta, il basilico e il timo. Può arrivare all’altezza di 1 metro e le foglie sono verdi (aoshiso – perilla bianca) o porpora (akashiso – perilla rossa), piuttosto grandi e con i contorni seghettati. Produce un’infiorescenza estiva (a partire da Luglio) con piccoli fiori bianchi, rosa o lilla, da cui poi si svilupperanno i semi. E’ molto bella anche come pianta ornamentale, ma bisogna fare attenzione ai suoi numerosi semi che si propagano e possono farne una pianta altamente infestante. La Perilla è nativa dell’Asia orientale (Cina, Giappone, Tailandia, Corea). La sua coltivazione è molto semplice in quanto non ha bisogno di cure particolari: sole quanto basta e

terreno drenante che mantiene una buona umidità. Le foglie di shiso hanno un gusto molto piacevole e vengono usate nella cucina giapponese per aromatizzare i piatti (sushi, riso, zuppe o salse), in insalata o fritte (tenpura). Il seme, inoltre, fornisce un olio da cucina nutriente e ricco di Omega 3, mentre lo shiso rosso viene anche usato per dare colore a molti piatti marinati come ho già anticipato all’umeboshi). Foglie spezzettate di shiso rosso mischiato al riso al vapore subito dopo averne ultimato la cottura, gli forniscono un bel colore rosa e un sapore leggermente speziato, molto buono. Tagliato a striscioline e messo nello tsuyu, aromatizza i piatti di soba e udon freddi. Si può usare anche per aromatizzare spaghetti e pizza, al posto del basilico Lo shiso ha anche proprietà medicinali: le foglie hanno proprietà

antibiotiche e sono ricche di vitamina A, B2, ed E, contengono inoltre calcio e ferro. L’olio estratto dai semi è ricco di acidi grassi polinsaturi, in particolare l’omega 3, i più potenti tra gli antiossidanti vegetali, presenti anche nel pesce, i quali esercitano sull’organismo una funzione particolarmente benefica. Oltre a costituire un ottimo rimedio contro l’invecchiamento cutaneo e il decadimento fisico, mantenendo vitali, lubrificate e idratate mucose e pelle, la Perilla può essere usata anche come antiallergico e antinfiammatorio, inoltre può essere importante anche per il suo ruolo preventivo rispetto alle malattie cardiovascolari. D’altronde è stato usato per secoli nella medicina orientale come antiasmatico, antibatterico, antimicrobico, antipiretico (febbre), antisettico, antispasmodico, come farmaco antitosse, e per le sue caratteristiche


emollienti, espettoranti, ristoratrici, come tonico e anche per combattere la nausea in gravidanza. La perilla contiene molti antociani il cui nome deriva dall'unione delle parole greche "antro kyanos" = fiore blu; sono pigmenti colorati presenti in quasi tutti i frutti e gli ortaggi presenti in natura, ai quali conferiscono le sfumature del rosso e del blu. Alcuni ritengono che gli antociani siano essenziali per attirare, dapprima gli insetti impollinatori sul fiore, e, successivamente, gli animali sul frutto. Certi autori attribuiscono a questi pigmenti la capacità di filtrare le radiazioni solari nocive ; altri ancora estendono questa ipotesi attribuendo agli antociani una funzione protettiva dalla siccità nei momenti di illuminazione elevata. Gli antociani, pur non essendo indispensabili per la nutrizione umana, esercitano un'azione positiva sull'intero organismo, un vero e pro-

RINVASO - Nel Prunus il rinvaso va effettuato a radice nuda ogni anno per le piante giovani, ogni 2-3 anni per esemplari più maturi . Il periodo più indicato è in primavera, dopo l' appassimento dei fiori, o in autunno, dopo la caduta delle foglie. Utilizzeremo un terriccio composto da: 60% akadama, 30% torba e 10% sabbia grossolana, ricco di sostanza organica, non eccessivamente drenante e molto poroso. Il vaso deve essere abbastanza profondo e smaltato con colori che mettano in risalto la fioritura di queste piante. PARASSITI E MALATTIE - I nuovi germogli sono soggetti all’attacco degli afidi, per cui utilizzeremo un insetticida preventivo. I Prunus come tutte le rosacee possono andare incontro a mal bianco o oidio, corineo, ruggine fogliare, mal del piombo parassitario, cancri fungini ai rami, marciumi radicali, tumore batterico alle radici, cancro batterico, virosi varie, carie del legno, galle al colletto.

prio antidoto naturale contro l’invecchiamento. La proprietà più interessante degli antociani riguarda l'azione protettiva sul microcircolo. Per questo motivo il succo di mirtillo, che rappresenta la principale fonte naturale di glicosidi antocianici, viene sovente consigliato per combattere la fragilità capillare ( cellulite, varici, emorroidi); inoltre, grazie alla sua azione antiedemigena ( contro l’edema, il gonfiore), è molto utile per risolvere i problemi di ritenzione idrica. Gli antociani del mirtillo sono importanti anche per il trattamento della fragilità e della permeabilità capillare dell'occhio. Ai glicosidi antocianici vengono attribuite proprietà antinfiammatorie ed antiaggreganti piastriniche che, unitamente all'azione vasodilatatoria ed antiossidante, costituiscono un vero toccasana per l'intero sistema cardiovascolare e una delle più valide protezio-

ni contro gli effetti negativi indotti dall’ipercolesterolemia. Infine, gli antociani hanno azione scavenanger (scova rifiuti) sui radicali liberi e sono quindi importantissimi per il benessere generale dell'organismo (protezione dagli agenti cancerogeni)) e per rallentare l'ineluttabile fenomeno biologico dell'invecchiamento. Le fonti naturali più ricche di queste sostanze sono i frutti di bosco, le melanzane, l'uva scura e la bietola rossa. Gli antociani abbondano anche nei fiori della malva e del carcadè, così come nelle arance, nelle ciliege, nelle mele, nelle fragole e nelle pere. In linea generale tanto più il loro colorito (rossastro o bluaceo) è intenso e tanto maggiore è il prezioso carico di antociani.


L' Umeshu (a volte tradotto come "succo di pruno") è una dolce bevanda alcolica giapponese e coreana prodotta immergendo i frutti verdi in shochu (un liquore). “ume” vuol dire “prugna” (ma è una prugna giapponese che sembra un’albicocca, le stesse usate per le umeboshi) e “shu” che vuol dire “alcool”. Il sapore e l'aroma dell'umeshu può attirare persino quelle persone che normalmente disdegnano gli alcolici. La ricetta è molto semplice, ci vogliono: · 1 kg di prugne giapponesi acerbe, ma vanno bene le prugne italiane o anche le albicocche. · 1.8 l di liquore a 35 gradi vodka o grappa · da 400 a 600 grammi di zucchero o miele. Le prugne vanno lavate e pulite accuratamente, mondate del picciolo e asciugate bene. Non danneggiare la buccia durante il lavaggio. In un grande contenitore perfettamente pulito di vetro (ideali quelli con la chiusura ermetica da 3 o 4 litri), fate uno strato di frutta, poi mettete lo zucchero o il miele, lo zucchero nero d’Okinawa, per conferire un aroma speciale. Quindi coprite ancora con la frutta restante. Coprite il tutto con il liquore scelto. Lasciare l’umeshu in un luogo protetto e al riparo dalla luce, deve maturare almeno 3 mesi. Si beve liscio, con ghiaccio o allungato in acqua calda o fredda oppure con soda o acqua tonica. Non dimenticate di mettere almeno una prugna nel bicchiere: bisogna mangiare anche quella! Cin Cin! Anzi... Kanpai!




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