Dall'Archivio Storico Comunale. REGESTO DELLE DELIBERE 1504 - 1506

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In copertina: La Chiesa di S. Giacomo Foto di Gaetano Guida


COMUNE DI CAVA DE’ TIRRENI

Dall’Archivio Storico Comunale

REGESTO DELLE DELIBERE 1504- 1506 a cura di Rita Taglé

1997



PRESENTAZIONE

Con questa pubblicazione l’Amministrazione Comunale di Cava de’ Tirreni dà il via ad un progetto ambizioso ed impegnativo: la regestazione completa e sistematica delle Delibererei XVI secolo conservate nell’Archivio Storico cittadino. I Registri delle Deliberazioni costituiscono un patrimonio di incommensurabile valore culturale, ancora quasi del tutto inedito. Si spera con questa iniziativa di sollecitare il mondo degli studiosi ad una maggiore attenzione verso la nostra città. Nello stesso tempo, però, è intento dell’Amministrazione offrire ai nostri concittadini, al di là delle difficoltà di lettura che tale materiale inevitabilmente pone, la fruizione di pagine della nostra storia, che, a distanza di quasi cinquecento anni, sembra balzare fuori, viva ed attuale, con tutte le sue valenze economiche e sociali, a volte anche con intensa drammaticità. Dà una certa emozione sfogliare le antiche pagine del Registro relativo agli anni 1504- 1506, se si pensa a quanta vita esse contengono, quante ansie, quante paure. La carestia, la peste, la guerra erano realtà con cui gli amministratori dell’epoca dovevano misurarsi quotidianamente, ed essi affrontavano queste situazioni così dure con molta dignità, molta fermezza. Alla fine della lettura del Regesto le loro figure ci sembrano diventate familiari, ne apprezziamo l’abilità, la fierezza, la capacità di badare alla sostanza delle cose. È significativo che in quest’epoca prevalga l’uso del nome di battesimo, che vengano spesso trascurati i vari titoli, che non si badi troppo a certe formalità. Il mercante, che ammette quasi scusandosi di non saper né leggere né scrivere, è chiamato ad aiutare la patria, accanto a notai ed illustri giuristi, quando, nel portare avanti una delicata contrattazione per procurarsi grano, le sue indubbie capacità possono riuscire preziose per la città. Non sarà sempre così: attraverso le Delibere ci si può rendere conto di trasformazioni di mentalità e costumi, verificatesi nel corso degli anni, purtroppo non sempre in meglio.

Il Sindaco Raffaele Fiorillo

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PREMESSA

La città di Cava ha sempre mantenuto viva nei secoli la tradizione dell’attaccamento alle proprie radici, alla propria storia, a quelle peculiarità che l’hanno caratterizzata fra le altre cittadine della Campania. Una delle conseguenze di questo atteggiamento -una fausta conseguenza- è stata l’aver conservato gelosamente le memorie storiche: non è certo un caso se Cava è uno dei pochi Comuni che possiede una documentazione tanto antica della propria vita amministrativa, politica, sociale. L’Archivio Storico Comunale è considerato uno dei più ricchi dell’Italia meridionale, e toma a vanto della città averlo salvato, pur essendo stata sottoposta più volte a saccheggi ed avendo risentito, nel corso dei secoli, di varie traversie: attraverso guerre, epidemie, carestie, terremoti ed alluvioni, è quasi un miracolo che siano giunti fino a noi gli oltre duemila fasci di tale Archivio, la cui lettura ci riporta con immediatezza al passato. Fra le varie serie archivistiche, tutte interessanti, è particolarmente degna di nota quella delle Delibere, che inizia dal settembre 1504 per giungere, sia pure con delle lacune, fino ai giorni nostri. Anteriormente a questa data, i verbali delle riunioni dell’Università e degli eletti venivano registrati nei protocolli notarili: per questa ragione non sono stati conservati presso il Comune. È possibile ritrovarli presso l’Archivio di Stato di Salerno e presso l’Archivio dell’Abbazia della SS. Trinità di Cava. Ci si augura che questa pubblicazione costituisca l’inizio di un lavoro di regestazione sistematica delle Delibere del sec. XVI1, progetto ambizioso al quale si sta pensando già da anni. I fasci relativi al ‘500 comprendono i seguenti periodi: settembre 1504-settembre 1506, marzo 1508 - agosto 1508; settembre 1516- settembre 1517, 1518- 1519, ottobre 1530 -ottobre 1531; ottobre 1532 agosto 1533, settembre 1533 - ottobre 1534, ottobre 1537 - novembre 1538, settembre 1540 - agosto 1541, ottobre 1541 - settembre 1542, ottobre 1543 agosto 1544, gennaio - dicembre 1549, marzo 1551 - ottobre 1552, settembre 1555 - settembre 1556, settembre 1558 - ottobre 1559, novembre 1559-gennaio 1562, febbraio 1562 - ottobre 1563, 1563- ottobre 1565, febbraio 1581 - agosto 1589, per un totale di 19 registri. Oltre al regesto di questo primo fascio, sono quasi pronti per la stampa, che speriamo di poter realizzare al più presto, i regesti del secondo, del terzo e dell’ultimo fascio. Il più antico registro delle Delibere custodito presso l’Archivio Storico Comunale si 1 Nella stesura di questo lavoro si è tenuta presente una iniziativa pressoché analoga realizzata dal Comune di Castellammare di Stabia, L'Archivio Storico Comunale 1513-1946, a cura di G. D’Angelo, M. Di Maio, A. Di Martino, Castellammare di Stabia, ed. a cura del Comune, 1982 ed in particolare il capitolo II, dedicato a Le delibere dell’ Universitas di Castellammare di Stabia 1513-1550, di G. D’Angelo.

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presenta di un formato particolare, cm. 29 x 11. Consta di 144 fogli, di cui gli ultimi tre bianchi. È interessantissimo non solo, ovviamente, dal punto di vista storico, ma anche dal punto di vista della storia della lingua. Le date sono in latino ed il latino ritorna nei momenti più solenni, quando si vuol dare un tono prettamente giuridico all’argomento trattato. Per il resto, siamo di fronte ad una lingua in trasformazione, ricca di fascino per le coloriture e gli influssi dialettali. Sottolineiamo che le desinenze e le concordanze latine non sono affatto rispettate, ma solo riecheggiate piuttosto caoticamente: ciò comporta, ad esempio, che in un elenco di nomi alcuni siano al nominativo in us, altri abbiano come finale la o oppure la z. I cognomi sono già abbastanza ben definiti, anche se può variare la desinenza o talvolta la forma grammaticale. Per quel che riguarda l’ortografia, è da notare che il suono gutturale della c è espresso sovente, ma non sempre, con eh: in uno stesso brano, a distanza di pochi righi, troviamo il nome Marco scritto una volta con la c e una volta con eh. Il gruppo gli in genere non ha la f, tranne quando è seguito dalla o: troveremo quindi il cognome Gagliardi spesso scritto Gaglardo o Gaglardus, così pure il verbo pigliare nelle sue varie forme diventa quasi sempre pigiare, pigia, pigiato, il verbo volere presenta la forma vogla e così via. Queste particolarità sono state evidenziate nella trascrizione, ed anche nel regesto si sono mantenute spesso le forme usate nel documento, pur con quelli che oggi sarebbero “orrori” ortografici o grammaticali, per riportare il lettore il più vicino possibile al clima culturale, sociale ed anche linguistico del tempo. Il lettore troverà quindi soprattutto i nomi di persona con tutte le loro varianti: ad esempio Vicenczo, Vicienczo, Vicenzo. Da ricordare che nella grafia dell’epoca non esiste accentazione: troveremo quindi cita per città, università per Università, né per né e così via. Per rendere più agevole la lettura, nelle trascrizioni spesso l’accento è stato inserito.

Da queste pagine balza viva la storia e la vita, con i suoi piccoli e grandi problemi, con l’immediatezza del linguaggio di chi quei problemi viveva sulla propria pelle: si vedano le pagine relative al pericolo della carestia, in cui è incombente l’incubo della fame su tutta la città, o sulla peste o l’alloggiamento dei soldati spagnoli, con tutte le conseguenze di turbamento dell’ordine pubblico che poteva comportare. Tutto è documentato, dal pagamento dei messi ad posta alla remunerazione di particolari compiti, come la copia di capitoli e privilegi, al rimborso spese per gli incaricati dell’università inviati a Napoli o in altre parti del regno. La vita della città sembra dominata da alcune gravi questioni, il difficile rapporto con l’Abbazia benedettina, la mancanza di grano, i pagamenti fiscali ed i continui affanni per procurarsi il denaro necessario, le ricorrenti epidemie e le misure per evitarle. Per comodità di lettura, proveremo a delinearle qui di seguito molto sommariamente, come invito ad un esame più attento e dettagliato del testo. Per comprendere appieno le tensioni esistenti fra l’Università ed i Benedettini dobbiamo fare un passo indietro e ricordare che da anni i Cavesi aspiravano all’episcopato autonomo, del resto promesso nel 1497 dall’abate Arsenio da Terracina, che poi, pentitosi,

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ne aveva ritardato l’attuazione2. I Cavesi «murmuraient du retard», dai mormorii passarono alle minacce e «finirent par vouloir obtenir de force ce qu’ils ne pouvaient avoir de bon grè». Nel 1503 ci fu una dimostrazione armata, i Cavesi entrarono nel monastero e sia con le minacce, sia presentando una lettera del Gran Capitano, ottennero dall’abate Giustino de Argenta la conferma delle promesse fatte sei anni prima. L’abate don Michele de Tarsia (che fu in carica tra ottobre 1504 e giugno 1506) attaccò la validità di diverse concessioni, ritenendole estorte con la forza. In questo clima si inseriscono le questioni trattate dalle delibere comunali. La stessa nomina dell’ abate era stata contrastata dall’università: il 7 sett. 1504 Perro Loise Quaranta e Vincenzo Salsano erano stati inviati a Napoli per una questione fiscale ed anche per parlare al Sacro Regio Consiglio e, se lo avessero ritenuto opportuno, addirittura al Gran Capitano, per esprimere il malcontento della città per la venuta di un abate che già in passato era stato priore del monastero (e che, evidentemente, doveva aver già manifestato con chiarezza le sue idee sulla validità delle concessioni fatte dalla Badia all’università). All’epoca della sua nomina era in corso la causa tra l’Abbazia e l’Università, che provvide a far copiare una serie di documenti riguardanti i rapporti con i Benedettini; il 22 ottobre furono lette delle lettere del notaio Vincenzo Salsano, inviate da Napoli: gli si mandi, «volando», altra documentazione. Il sindaco, il cancelliere ed altri giuristi cavesi ricevettero la disposizione di non muoversi dal Borgo per ultimare gli articoli, da spedire nella stessa serata a Napoli. Il 28 novembre si ha notizia di un mandato spedito dal monastero al Sacro Regio Consiglio, con il quale l’Abbazia rivendicava la totale giurisdizione sulla città. L’Università invece riconosce solo l’autorità delle Cattoliche Maestà, verso le quali ha dimostrato sempre la sua fedeltà ed orgogliosamente afferma «che non ha conosciuto né conosce altro signore» eccetto le Cattoliche Maestà. Il 10 dic. si decide il pagamento degli avvocati e del procuratore; si manda inoltre a Napoli il notaio Giovan Marco Jovene come «sollecitatore» della causa. Il 20 dic., come sappiamo dal Guillaume3, il Sacro Consiglio emette la sua sentenza: tutto deve essere ricondotto «ad pristinum». Tale sentenza presta il fianco a varie interpretazioni: secondo l’Università si deve ritornare al tempo in cui essa usufruiva di tutte le immunità contenute nei capitoli; se l’abate cerca un accordo, deve prima far giungere da Roma la bolla papale (27 dic.). L’abate, tramite Giovan Marino Tipaldo, fa sapere la sua intenzione di cercare un accordo, di «passare bene» con l’Università, che dal canto sua manifesta la volontà di trattare con l’abate e i monaci «come da patre et figlio et da figlio ad patre secondo se convene» ma intanto lamenta che non sia stata mantenuta la promessa di far giungere la bolla papale perché la città potesse avere il suo vescovo. Il 1 gennaio 1505, per evitare altre spese, l’Università ribadisce la sua volontà di giungere ad un accordo ed incarica un folto gruppo di cittadini di seguire la faccenda. Dal verbale del 4 2 Su questi avvenimenti cf. P. GUILLAUME, Essai historique sul l’Abbaye de Cava d’apreès des documents inédits, Cava dei Tirreni, Abbaye des RR. Pères Bénédictins, 1877, pp. 286-288 e P. DI NOTARGIACOMO Memorie istoriche, e politiche sulla città della Cava dal suo nascere sino alla fine del secolo XVI, Napoli, Tip. del R. Albergo de’ Poveri, 1831 (rist. facs. Cava dei Tirreni, Rondinella, 1981), pp. 58 ss. 3 GUILLAUME, cit., p. 288.

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gennaio 1505 apprendiamo però che gli sforzi del governatore e di Galieno de Anna, «meczani et tractaturi de accordio» erano stati vani e non erano riusciti a «ponere silentio et pace» alla questione. L’abate vuol ricorrere ad un suo superiore, il «presidente» a Napoli. Viene indetta una riunione a cui parteciperanno il presidente, l’abate, Galieno de Anna, il governatore della città e Geronimo Casaburi; gli ultimi due, prima della riunione dovranno consigliarsi con gli avvocati dell’università in Napoli e durante la riunione non dovranno prendere alcuna decisione ma riferirne poi all’università. Il 13 febbraio 1505 si parla ancora di difesa dei capitoli della città e il malcontento trova mille spunti per manifestarsi: in aprile (il 28) il sindaco ed Andrea Longo si recano dal vicario dell’abate per ricordargli che deve intervenire personalmente nelle processioni e non farsi sostituire da altri preti. Deve anche rendere la croce dell’università. Il giorno successivo, la croce viene già restituita. Il sindaco deve riporla nella cassa dell’università e il conservatore della cassa, Domenico Casaburi, non dovrà prestarla ad alcuno senza autorizzazione degli eletti e dell’università. In settembre l’abate chiede il parere dell’università sulla nomina del nuovo vicario, ma le tensioni sono ben lontane dall’appianarsi. In ottobre (4 ott. 1505) sorge un altro motivo di contrasto: l’abate aveva ingiunto ad alcuni cittadini che avevano portato il loro bestiame a pascolare sulle montagne, di uscire e di risarcire i danni, il che, secondo l’Università, pregiudicava l’uso sinora avuto delle montagne. Andrea Longo, Michele de Anna, Modesto della Corte e Simonetto Vitale si recano dall’abate a nome della città; riferiranno che l’abate intende sì rispettare l’uso avuto dall’università, ma sottolinea che la proprietà è del monastero (6 ott.). La città, avendo già sostenuto troppe spese per le questioni con i monaci, accetta, con la condizione che in caso di vendita o di «fida» fosse lecito ad ogni cittadino parteciparvi. Il 16 ottobre si dà incarico al Capitano di andare a parlare con l’abate; nessun cittadino potrà comprare l’«està» fino all’11 novembre, successivamente a tale giorno ognuno potrà far pascolare i porci per tre grana per porco. Sembra però che la risposta data il 6 ottobre non sia stata rispettata e il 13 novembre Andrea Longo, Carolo de luglio, Simonetto Vitale e il sindaco vengono incaricati di andare a parlare con il priore, in assenza dell’abate: non sembra infatti giusto che egli si discosti dal volere espresso dall’abate. Se intende attenersi alla volontà dell’abate, bene, altrimenti gli si chiederà di soprassedere almeno fino al ritorno del suo superiore. Se il priore non volesse accettare né l’una né l’altra proposta, se ne dovrà riferire in Università. Il priore evidentemente decide di attendere l’abate. Il 25 novembre, essendo venuti al monastero della SS. Trinità l’abate di Montecassino e l’abate di Napoli, l’Università incarica Andrea Longo, il not. De Iuliis e il Capitano di conferire con i due ecclesiastici e perorare la causa dell’università sull’uso delle montagne. Sembra però che l’esito del colloquio non sia stato affatto soddisfacente per l’Università. Il 1 dicembre, riunitisi gli eletti e molti altri cittadini nella chiesa di S. Giacomo, i tre inviati riferiscono sull’incontro con «lo patre abbate» (quindi hanno incontrato direttamente l’abate di Cava), il quale sostiene che la proprietà e l’uso delle montagne è suo e del monastero e propone di far esaminare la questione da una o due persone scelte da lui e dall’Università, ribadendo che è sua volontà la tranquillità e l’accordo fra il monastero e la città, ma «pare che in questo lo abbate vogla dire altre cose». Si decide di indire l’Università per le prossime feste di

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Natale, pregando l’abate di soprassedere fino ad allora. L’Università fu riunita infatti il 27 dicembre; nel corso dell’assemblea essa dichiarò fermamente che l’uso delle montagne «fo, ey stato et ey de ipsa università» e che intendeva mantenerlo e difenderlo. Il 20 gennaio 1506 troviamo che il sindaco viene incaricato di invitare il vicario a non procedere contro «particulari homini», perché la causa riguarderebbe tutta l’Università e non i singoli; si decide anche di chiedere un consiglio a due eminenti giuristi, Michele de Anna e Modesto della Corte. Essi presentano un «consiglio scripto per mano de not. Andrea Casaburi» e sottoscritto da loro e da Giovanni Gagliardi. L’ Università l’8 febbraio decide di seguire la via da loro indicata, ma si verificano delle opposizioni. Il giudice Diomede Gagliardi si reca dal cancelliere per fargli registrare che questo «consiglio» era stato sottoscritto anche da Giovanni Gagliardi, il quale non era mai stato investito ufficialmente della questione. Due giorni dopo protesta contro questo «consiglio» un eletto della provincia del Corpo, il notaio Basilio Pisapia, il quale ritiene che ne deriverebbero gravi danni all’università, danni che dovrebbero colpire solo i consenzienti e non tutta la città, soprattutto non la provincia del Corpo4. Secondo il notaio Pisapia, la decisione dell’Università non sarebbe conforme ai decreti fatti in precedenza. Il sindaco gli risponde molto fermamente che vuole eseguire quanto gli è stato ordinato dall’università e che «ey tenuto più presto obedire la università che li electi». Dal verbale del 15 marzo apprendiamo che c’era una causa in corso tra la Badia ed alcuni cittadini (il motivo è illeggibile). Il sindaco riceve l’incarico di sollecitare l’abate per far rimettere la causa a Cava. Due giorni dopo si decide di intervenire in favore dei cittadini citati in Vicaria su istanza dell’abate. Il 22 marzo ritorna il problema dell’uso delle montagne: il not. Carlo de Iuliis deve andare a Napoli per ottenere una inhibitoria contro il vicario per non far procedere contro alcuni cittadini per l’uso delle montagne ed anche per consultarsi con gli avvocati. Il 30 presenta una lettera dell’avv. Pisanello, da cui risulta che la posizione assunta dall’università sulla questione è giusta: l’Università decide quindi di confermarla e di difendere a sue spese i cittadini «molestati» dall’abate. Il 20 aprile Teseo Longo e Carlo Capova chiedono al cancelliere di registrare che essi richiedono al sindaco di impegnarsi al massimo per la questione dell’uso delle montagne. Il sindaco risponde che gli eletti gli ordinano ciò che deve eseguire e che egli è «promptissimo et paratissimo» ad eseguire le disposizioni degli eletti e dell’università. Il giorno successivo si dà incarico al cancelliere, che deve recarsi a Napoli per i pagamenti fiscali, di interessarsi anche della questione dell’uso delle montagne e di portare un ducato da dividere tra l’avvocato e il procuratore. Si susseguono pagamenti, incontri, 4 II territorio di Cava era diviso in quattro distretti, detti anche quartieri o province: Metelliano, Passiano, S. Adiutore e Corpo. Di quest’ultimo faceva parte il villaggio fortificato detto propriamente Corpo, nelle immediate vicinanze dell’Abbazia benedettina. La provincia di Corpo di Cava, chiamata a volte de la Cava, comprendeva anche i casali di Dragonea, Benincasa, Marina di Vietri, Albori, Raito, Cetara; quella di Metelliano era formata da S. Cesareo, Molina, Alessia, Casaburi, Marini, S. Quaranta, Dupino, Cesinola, Castagneto e Vietri. Al distretto di S. Adiutore appartenevano S. Pietro, Pregiato e Annunziata, a quello di Passiano, oltre al casale omonimo, S. Lucia e S. Arcangelo. I distretti di S. Adiutore e Passiano, pur comprendendo un minor numero di casali, erano i più popolosi.

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invii di documenti, fino all’8 giugno, data in cui l’Università invia dal priore Giovanni Gagliardi, Modesto della Corte, Ferrante Quaranta e il notaio Basile Pisapia: ricordiamo che nella delibera del 22 maggio si parla di una petizione da farsi «sopra la scomonica intende fare lo priore»5. Alla questione dell’uso delle montagne si intrecciano altri motivi di tensione. Uno di questi è costituito dalla carica di mastro d’atti, che secondo l’Università non deve essere esercitata da cittadini ma da forestieri. Il 1 settembre 1505, contrariamente a quanto fatto fino ad allora, l’Università propone che la mastrodattia sia esercitata da notai cittadini. La posizione assunta dall’università sembra invertirsi di nuovo l’anno seguente (8 marzo 1506) : l’abate deve nominare un mastro d’atti forestiero il quale dovrà tenere corte «alo Comercio»6. Il 22 marzo si decide di esaminare in merito i privilegi della città: se, in virtù di essi, si potrà costringere l’abate a tenere udienza «alo Comercio», «se costringa». Altro motivo di attrito era la gabella del pesce: nell’ottobre 1504 il notaio Giovan Filippo Parisi era andato dal priore a «farli intendere che non potea scomonicare» il gabelliere Luca Gagliardi. Fu avanzata la proposta di ricorrere ad un «consultore non sospetto», ma, nonostante la volontà dell’università di arrivare ad un accordo, il priore scomunicò il gabelliere7. Andrea Longo e il notaio Vincenzo Salsano ricevettero quindi l’incarico di recarsi dal Gran Capitano per esporgli la questione: i monaci, per via di questa gabella, avevano lanciato una scomunica anche contro gli eletti. Un mandato della Sommaria prescriverà di dividere la gabella del pesce per metà ai monaci e per l’altra metà al gabelliere; l’Università non è ancora soddisfatta. Un impegno costante per l’Università è costituito dalla difesa orgogliosa dei privilegi, che farà dire agli inviati cavesi in un colloquio con un alto funzionario della R. Camera della Sommaria, Michele d’Afflitto, che la città di Cava non avrebbe pagato un carlino alla regina d’Ungheria se questa non avesse fatto rispettare i suoi privilegi. Non ottennero però granché: malgrado i continui contatti con il Gran Capitano e con Michele d’Afflitto e malgrado le lamentele per l’esosità dei funzionari, il commissario della regina d’Ungheria continuerà a fare «presagla» dei muli e a volte anche ad incarcerare i cittadini cavesi, che verranno indennizzati dall’università. A causa delle gabelle e dei privilegi della città, i rapporti con le città vicine non sono facili: il 24 settembre 1504, trovandosi a Salerno la regina d’Ungheria, i Cavesi decidono di mandarle un’ambasceria per «farle intendere» i difficili rapporti con i Salernitani. Nel giugno 1505 Salerno impone una nuova gabella sulla merce che dovesse passare per il suo territorio: la città di Cava vorrebbe essere considerata franca ed invia a questo scopo Pirro Loise Quaranta. Anche con la vicina Nocera i rapporti non sono facili: il 1 giugno 1505, a seguito di «certe insolenze» che pregiudicano la «libertà» della città di Cava, è fatto divieto ai Nocerini di vendere ortaggi o altri generi alimentari a Cava e ai Cavesi di

5 Si tenga presente che anche il clero secolare, che chiedeva l’esenzione dal pagamento delle gabelle, minacciava la città di scomunica (il 22 maggio 1505 l’Università ordina agli eletti di sedare la questione con i preti, e presto, ad evitare una scomunica). 6 al Borgo, quindi, e non al Corpo di Cava. 7 Si parla del priore, anche se dal 1’ ottobre era entrato in carica l’abate.

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acquistarne in tutto il territorio di Cava ed anche di andare a Nocera a vendere vettovaglie o qualsiasi altra mercanzia. Il 12 giugno si precisa che nessun forestiero può comprare da «quelli de Nocera et revendere» a Cava, il 13 settembre i bandi contro «quelli de Nocera» vengono rinnovati: finalmente, il 28 dello stesso mese, il sindaco di Nocera comunica la sua intenzione di incontrare il sindaco di Cava, per «pacificare». Un rischio continuo era quello dell’imposizione di nuove gabelle. Nel settembre 1505 la Sommaria cercò di imporre una tassa sul formaggio, la città, difendendo i suoi privilegi, rispose all’incaricato della Sommaria che «sende retoma con lo nomo de Dio che in questa cita non se ey exapto mai tale cosa, ne ey stata solita pagare simile angaria», ma che essa era sempre stata «francha, libera et immune». Nel dicembre successivo comincerà un’altra lotta per evitare l’imposizione di una gabella sulla seta e di una sul ferro: contro tali pretese si intenta causa8. Ma fra le più gravi preoccupazioni degli amministratori del tempo c’era la necessità di far fronte in qualche modo ai pagamenti fiscali. Nel settembre 1504 un porterò della Regia Camera della Sommaria era venuto a Cava per il residuo dei pagamenti fiscali9: l’Università doveva 700 ducati. Da notare che, mentre una lettera di Michele d’Afflitto gli ingiungeva di non dare impacio all’università, gli eletti avevano potuto vedere una commissione, firmata fra gli altri dallo stesso Michele d’Afflitto, che gli dava invece la potestà di riscuotere le somme dovute. Per reperire 600 ducati l’Università cerca dei prestiti al minor interesse possibile. Nel gennaio successivo due fra i più eminenti cittadini, Ettore Cafaro e Pirro Loise Quaranta, rischiano di essere condannati per essersi resi garanti di un debito con il mercante genovese Francesco Spinola. Si decide di prendere in prestito per quattro o cinque giorni una somma dai denari dell’università messi da parte per acquistare grano: a portare la somma a Napoli a Francesco Spinola sarà proprio il cancelliere dell’università. Dalle delibere emerge una frenetica attività per trovare denaro, anche vendendo le gabelle, e per ottenere dilazioni nei pagamenti. Nella delibera del 25 maggio 1505 leggiamo che era stata imposta una nuova tassa di 5 carlini per fuoco «per caczare fore del regno gente de guerra», che va a gravare su una città che «paté de fame gravemente»: si cerca di ottenere dal Gran Capitano una dilazione e si stabilisce di imporre grana 7 sulla gabella della farina, oltre i tre che già ci sono, per i mesi di giugno, luglio e agosto: gli eletti decretano il primo giugno che da allora in avanti per ogni tomolo di grano macinato si paghino grana 6 in più, per orzo e miglio grana 4 in più. Tale gabella sarà venduta, anziché farla riscuotere da un credenziere. Da una delibera del 5 giugno apprendiamo che Leone della Monica aveva prestato duc. 340 per le rate di giugno e luglio: per agosto si deve riscuotere dai gabelloti, mentre per i due mesi suddetti le gabelle sono

8 II 24 novembre 1505 troviamo notizia di un pagamento di 5 carlini a Nardo Andrea Fronda, procuratore dell’università, per una questione in Sommaria per una tassa che si intendeva imporre non solo sul ferro ma anche sull’acciaio. 9 Da notare che all’epoca non si era troppo precisi: spesso accanto a cifre anche alte è scritto incircha o altri termini analoghi. Del resto, non c’è da meravigliarsi, se, trovandosi di fronte alla necessità di sostituire un funzionario perché non più in grado di servire l’università per ragioni di salute, ci si esprime in questi termini: «sta male o vero ey morto»!

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«obbligate» al Della Monica. Il 7 giugno viene sancito l’obbligo per i cittadini di macinare in città; la gabella delle 6 grana per tomolo di grano e 4 per tomolo di orzo e miglio non era stata ancora venduta, per cui veniva riscossa dal credenziere, Fabrizio della Corte. Il 9 giugno Teseo Longo presta all’università duc. 30010 e la gabella della carne viene posta a duc. 550. Bartolo Casaburi e Modesto della Corte erano stati intanto incaricati di recarsi a Napoli dal Gran Capitano per ottenere una dilazione nel pagamento dei 5 carlini a fuoco, o per far proprio levare la tassa. Poiché il cancelliere doveva comunque andare a Napoli per essere stato citato in Vicaria, sostituì Bartolo Casaburi in questa missione; i due inviati dovevano anche chiedere la remissione a Cava della causa contro Leone della Monica e il figlio Andrea e contro altri Cavesi, citati da altri cittadini 11. Si ottenne una dilazione di sei giorni per il pagamento della tassa di 5 carlini a fuoco: i tre Spagnoli, prontamente arrivati in città per la riscossione, furono quindi rimandati indietro (13 giugno). La questione, però, non viene risolta, anzi ben presto alcuni cittadini hanno anche delle noie dal commissario della regina d’Ungheria per i pagamenti fiscali 12: alcuni vengono trattenuti con i loro muli e a nulla vale l’intercessione di Bartolo Casaburi, che viene poi mandato a Napoli con il giudice Ursino d’Anna per parlare «verilemente» con il Gran Capitano. I colloqui con Consalvo di Cordova e con alti funzionari erano, del resto, frequenti, come dimostra la lettura delle delibere. Si intreccia con il problema delle gabelle il prestito forzoso chiesto dal Gran Capitano ad alcuni «particulari» (23 luglio 1505). L’Università gli risponde che «non fo mai solito pigliarese impronto da particulari » ed offre duc. 500, purché non siano molestati i singoli cittadini. Si fa inoltre presente al funzionario del Gran Capitano giunto in città che gli individui annotati nella sua lista13non possiedono le somme richieste. Tre eminenti cittadini vengono mandati dal Gran Capitano per supplicarlo di esentare la città dal prestito o almeno di diminuirlo e per chiarire se vuole il denaro dall’università o da privati. Lungi dall’esentare la città, Consalvo di Cordova chiede mille ducati d’oro che saranno prestati da «particulari citatini», i quali saranno poi rimborsati dall’università con la gabella della farina. Il 30 luglio si decide di vendere detta gabella, per avere subito dai compratori i mille ducati. La vendita però non risulta facile e la questione viene risolta grazie a Silvestro Longo. Saranno poi inviati a Napoli duc. 600, chiedendo la grazia o almeno delle agevolazioni per il pagamento dei restanti duc. 400,

10 Da una delibera del luglio seguente apprendiamo che Antonio de Lamberto aveva prestato duc. 400 per la tassa dei 5 carlini a fuoco. Poiché la nuova gabella delle 6 grana a tomolo poteva essere insufficiente a sanare il debito, il sindaco fu autorizzato a dargli duc. 100 presi dalla gabella ordinaria del mulino. 11 La città sosteneva infatti che le cause contro cittadini intentate ad istanza di altri Cavesi, in virtù dei suoi privilegi, dovessero essere tenute a Cava. 12 L’8 settembre 1505 si legge che «se licentia con bone, honeste et graciose parole» il commissario della Regina d’Ungheria, perché l’Università ha soddisfatto il suo debito. L’11 però si parla di Cavesi presi prigionieri dal detto commissario per via dei pagamenti fiscali. 13 fra cui c’è anche Angelo de Vitale, con cui l’Università aveva avuto forti contrasti per l’approvvigionamento di grano.

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che saranno consegnati in agosto14. Successivamente (ottobre) si parla di un pagamento di duc. 1.200: il Gran Capitano concede che nei terzi di Natale e Pasqua si possa pagare la metà del dovuto, ma si deve pagare per intero la rata di agosto alla regina d’Ungheria. Per trovare il denaro necessario, alcuni cittadini vengono incaricati di occuparsi della vendita delle gabelle15, ma riusciranno a vendere solo quella della carne. Basilio Pisapia, Teseo Longo e Cola de Arminando si offrono di pagarla duc. 500, di cui 100 in giornata ( 27 ottobre 1505) e gli altri in quattro rate da duc. 100 a scadenza settimanale. L’Università accetta l’offerta, a patto di bandire la gabella, per non togliersi la possibilità di tentare di ottenerne un introito maggiore. Il 24 novembre si discute del denaro mancante per la terza di Natale. Gli eletti decidono di proporre ai concittadini riuniti in assemblea una tassa sul formaggio di un tornese a rotolo. L’ Università, riunitasi il giorno dopo, elegge quattro cittadini per esaminare introiti ed esiti e trovare il modo di far fronte al pagamento senza impone nuove gabelle. Successivamente, viene venduta la gabella della carne, per duc. 520, a Leone e Andrea della Monica; la città va anche incontro ad Alfonsetto de Adenulfo, che deve all’ Università duc. 20, tari 2 e grana 4 e in considerazione del danno da lui riportato «in tempo de sua gabella» per via della carestia di grano, gli eletti decretano che paghi solo 10 ducati. Il fatto è degno di nota, perché nel frattempo si cerca in tutti i modi di racimolare denaro: Geronimo Casaburi viene incaricato di rivedere i conti degli ex sindaci e degli ex gabellieri, al fine di far saldare tutti i debiti16. Il 20 gennaio 1506 si decide di pagare al commissario della regina d’Ungheria, Petro de Massa, tutti i residui dei pagamenti fiscali, per non essere più «impediti per tale causa», anzi si decide di invitare il commissario «ad contare con nui». Si cerca poi di ottenere dal Gran Capitano, tramite Giovan Battista Longo e Bartolo Casaburi, di poter pagare direttamente «in Cambara»: il tesoriere generale darà quindi disposizioni di versare direttamente a lui i pagamenti e il 21 aprile il cancelliere viene incaricato di portargli il denaro dovutogli, consigliandosi però con Michele d’Afflitto. Va profilandosi un altro problema: un commissario della Camera della Sommaria prende informazioni sulla gabella del sale (7 maggio) e, pochi giorni dopo (12 maggio), l’Università viene invitata a presentarsi alla suddetta Sommaria, sotto pena di mille ducati. Viene designato per sostenere le ragioni della città il notaio Basile Pisapia, che sarà affiancato da Giovan Salvo Cantarello17. Il sindaco dovrà procurare al commissario due «bestie», una da cavalcare ed una per soma e raccomandargli anche che « facza bona opera per nui che non li serremo ingrati». Il 20 maggio, ritornato il Cantarella e sentita la sua relazione, si scrive al notaio

14 II 22 agosto si decide che debba portarli a Napoli Ettore Cataro, accompagnato per sicurezza da due uomini. 15 Per via della terza di agosto, il commissario aveva sequestrato per più giorni i muli di alcuni cittadini cavesi, ed alcuni Cavesi erano stati addirittura trattenuti «prisuni». L’indennizzo per chi era stato trattenuto in «prisune» fu stabilito (17 marzo 1506) in 15 grana al giorno, mentre per chi «solum ey perduto tempo la bestia» grana sette e mezzo al giorno, altrimenti «Ile facoltate dela Università non bastariano». 16 17 marzo 1506: per i suoi affanni, i quali « in verità so stati assai», riceverà duc. 10. 17 La desinenza è sempre in o: oggi il cognome è Cantarella.

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Pisapia di non lasciare Napoli fin tanto che non sarà giunto ad un accordo. Il 2 giugno si delibera di scrivere sulla non meglio precisata questione del sale a Michele d’Afflitto, al Tesoriere Generale e al «fundichero generale». Dal verbale del 7 luglio leggiamo di problemi con i guardiani della dogana di Napoli, che sequestrano formaggio e altre mercanzie, senza rispettare i privilegi della città; alcuni mercanti devono presentarsi a Napoli. L’Università ha pigliato la causa ed insiste col doganiere di Napoli affinché voglia osservare i privilegi. Viene incaricato di seguire la questione il giudice Ursino d’Anna, che, in caso di necessità, dovrà parlarne al Gran Capitano, al Tesoriere ed a Michele d’Afflitto. Nei primi mesi del 1506 il desiderio di vedere rispettati i privilegi e di ottenere altre grazie dà luogo ad un intenso lavoro. Galieno d’Anna si offre di intercedere presso il re su tali argomenti, però chiede che l’Università gli dia formalmente l’incarico. Prontamente vengono impegnati alcuni eminenti cittadini per riassumere i privilegi e formare altri capitoli18. In data 26 febbraio la città viene anche informata del fatto che il Gran Capitano andrà in Spagna, lasciando in sua vece d. Antonio de Cardona. Pirro Loise Quaranta, Giovan Battista Longo e Modesto della Corte vengono incaricati di recarsi dal Gran Capitano per ringraziarlo di come ha sempre trattato la città di Cava e pregarlo di raccomandarla sia al suo luogotenente sia al re, quando sarà in Spagna, intercedendo per alcuni capitoli e grazie che l’Università intendeva chiedergli tramite Galieno d’Anna. Coloro che stavano lavorando ai nuovi capitoli ricevono disposizione di terminare con la massima urgenza, per dar modo al cancelliere di portarli in giornata a Napoli a Galieno d’Anna per sentire il suo parere e riferirlo all’Università o agli incaricati di tale pratica. Il cancelliere dovrà anche consigliarsi con lui su un dono da presentare al Gran Capitano prima della sua partenza e sulla quantità di denaro da mandare in Spagna per ottenere l’approvazione dei capitoli. Il 2 marzo, essendo tornato il cancelliere da Napoli ed avendo riferito il parere espresso da Galieno d’Anna, si decide di mettere i capitoli «in bona forma» e portarglieli, aggiungendone due: che si possa fare il mercato in città e che si affidi «secondo giustizia» «lo Castello de lo abbate». Si decide anche di mandare a Galieno d’Anna duc. 25 per la spedizione dei capitoli. Ma il 13 marzo si verifica un imprevisto: i tre incaricati scrivono da Napoli che messer Galieno ha «accennato» che vorrebbe 100 ducati. Inutilmente la città cercherà di sollecitare il suo amor di patria, promettendogli segni tangibili di gratitudine al suo ritorno: il 22 marzo si decide di soprassedere al tutto, anche perché il Gran Capitano non è «per partire per mo». I tre inviati dell’università riceveranno per i 7 giorni in cui sono stati a Napoli per parlare con il Gran Capitano, con Galieno d’Anna e per altre faccende dell’università, 4 carlini al giorno.

18 ed anche per regolarizzare i rapporti fra i monaci di S. Maria del Gesù e la città. I PP. Francescani nel 1501 avevano preso possesso della chiesa, fermamente voluta dall’università, che l’aveva costruita e che la mantenne a sue spese, tanto che questa fu comunemente denominata «la chiesa della città». Per un’ampia trattazione su uno degli edifici più significativi della città, si veda S. L. BUONDONNO, San Francesco al “Borgo Scacciaventi” in Cava de’ Tirreni nella storia, nell’arte, nella cultura, Cava de’ Tirreni, Di Mauro, 1993.

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Nel periodo che va tra il settembre 1504 e il febbraio 1505 è documentata un’epidemia di peste, che possiamo ipotizzare essere in atto già dall’estate 1504, dal momento che questo tipo di malattia aveva in genere la sua acme di diffusione nei mesi caldi. Suffraga questa ipotesi il fatto che dai verbali del mese di settembre figurano già in carica gli eletti “della peste”, con la funzione specifica di affrontare questa emergenza. La città è circondata da una sorta di cordone sanitario, ad evitare l’ingresso di forestieri che potrebbero portare il contagio, e, al suo interno, gli infetti ed i sospetti vengono isolati. In data 14 settembre troviamo il primo provvedimento, la proibizione, pena un ducato di multa, di far alloggiare forestieri senza licenza del governatore o del sindaco o di Domenico Casaburi o «de ciascuno de loro in solido». Due giorni dopo, gli eletti ordinari e quelli della peste, riuniti insieme, danno ordine di bruciare un pagliaio sotto il casale di Casaburi : dovranno rispettare la quarantena il proprietario e i suoi familiari e tutti coloro che sono stati in contatto con il defunto Perroloise de Alfero. Il 17 si protesta contro gli amministratori della vicina Nocera, perché non hanno avvertito del sospetto di peste nella loro città; d’ora in avanti essi non dovranno consentire a nessuno di viaggiare senza bollettino, perché a Cava non potrà entrare più nessuno senza autorizzazione. Inoltre il governatore e gli eletti dovranno proibire ad alcuni cittadini di Santa Lucia sospetti di peste di uscire di casa e di avere contatti con altre persone. Il 24 l’Università nomina otto cittadini con l’incarico di far sì che la città non si infetti. Immediatamente (26 sett.) vengono decise delle misure di sicurezza. Il 28 seti, si ordina al sindaco di querelare presso il governatore Fabrizio del Forno e il figlio Leonardo per non aver rispettato l’isolamento loro imposto, in quanto «erano et so infecti et suspecti actiso che sinde so tornati intus et senza licentia loro et del S. Gubernatore». Il 12 ottobre vengono responsabilizzati per la guardia ai cancelli della città il notaio Giovan Marco Jovene in capo lo burgo e Liberato de Conteri in pede lo burgo. I forestieri senza bollettino e i sospetti di peste non potranno entrare in città e il governatore e il Vicario per alcuni giorni non dovranno tenere corte. Il governatore per timore del contagio avrebbe voluto lasciare Cava: gli si promettono (13 ott.) dieci ducati se per un mese si recherà ogni giorno al Borgo degli Scacciaventi per provvedere con gli eletti ai bisogni della città. La peste però dilaga e si decide (14 ott.) di scacciare dal Borgo Scacciaventi gli ammalati e di isolare i sospetti. Le spese sostenute dall’ università per il loro mantenimento dovranno poi essere rimborsate, tranne che dai poveri. Si decide anche di assoldare quattro o sei uomini per servire gli infetti e i sospetti. Per far sì che «non se habiano ad infettare» Vietri, Marina e Ile Moline, si prescrive che il grano dovrà essere dato e macinato solo a chi presenterà regolare bolletta. Doveva essere drammatica la situazione degli ammalati e forse ancor più quella di coloro che erano semplicemente sospettati di aver contratto il morbo, costretti a lasciare le proprie case per una sistemazione che possiamo semplicemente immaginare. Il 17 ottobre gli eletti devono ricorrere alle minacce per convincerli a lasciare il Borgo: tutti gli infetti e i sospetti del Borgo con le loro robe dovranno recarsi «ali lochi ad loro deputati per li eletti altrimenti la università deliberara de fareneli abrusare quando non obediranno». Gli eletti ribadiscono anche la decisione di chiudere il Borgo da capo e da pede. Il 26 ottobre il sindaco riferisce agli eletti “della peste” di disordini sorti a Napoli a causa di

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cittadini cavesi sospetti di peste che vi si erano recati senza il prescritto bollettino. Gli eletti napoletani ricevono assicurazione che nessun Cavese andrà più a Napoli senza bollettino; inoltre, se dovrà portar fuori robbe gli occorrerà la firma di due eletti oppure del sindaco e di un eletto. Verrà anche mandata agli eletti di Napoli la lista degli infetti di Cava. Da una delibera del 30 ottobre apprendiamo che, malgrado le lettere spedite a Napoli, era stato scacciato dalla capitale Luca Gagliardi ( si può supporre per sospetto di peste). Nella stessa giornata si decide di dare un salario di 18 ducati ad un incaricato di «gobernare et corare tucti infecti», di seppellire i morti «per bono modo che li cani non li habiano ad magnare et depo annectare tucte Ile case infecte» e di svolgere ogni altra incombenza necessaria ed opportuna. I guardiani per sorvegliare gli infetti e i sospetti di S. Adiutore19 saranno pagati 10 carlini al mese, a partire dal 17 ottobre, giorno in cui 20 furono posti i bandi alo Tressete . Si noti che da metà novembre ci sono difficoltà per riunire gli eletti, forse per timore del contagio. È certo che ai primi di dicembre il morbo si è diffusa al Corpo di Cava, tanto che il 6 dicembre gli eletti incaricano il sindaco di proporre all’università che la corte del Vicario si tenga al Borgo degli Scacciaventi per alcuni giorni, per evitare il diffondersi del contagio. Il 5 gennaio 1505 si viene a sapere di casi di peste a Pagani e in molti altri luoghi: si ribadisce pertanto che nessuno può entrare in città senza bolectino e si conferma a Giovan Marco Jovene l’incarico di sorvegliare il cancello de capo lo burgo deli. Il 17 dello stesso mese, l’incaricato di assistere gli infetti e sospetti è sospettato anche lui di peste. L’Università gli deve del denaro «per lo governo ha facto ali infectati», perciò gli si dà un ducato per il suo sostentamento. Il 19 febbraio si decide di pagare il notaio Giovan Marco Jovene. A questo punto, dobbiamo pensare che il pericolo di epidemia sia per il momento scomparso, in quanto non si parla più di tale argomento, se non in data 6 ottobre, sempre relativamente al pagamento del notaio Jovene, «per resto dela guardia delo cancello in tempo dela peste». Un altro grosso problema affrontato in questo periodo dall’università è, come già si è accennato, l’approvvigionamento e la distribuzione del grano, per scongiurare la carestia in città. La drammatica situazione porterà ad una disputa con uno dei mercanti, Angelo Vitale, disputa che la città, dopo forti tensioni, cercherà di risolvere per potersi rivolgere a lui, e ai suoi capitali, in caso di bisogno. Già dal verbale del 7 ottobre 1504 sappiamo che questi aveva venduto all’università 300 tomoli di grano, risultati un po’ bagnati. Si decise di vendere prima il grano riposto in un altro magazzino, mentre quello ancora da scaricare doveva essere ben controllato prima della vendita21.

19 Si ricordi che il Borgo cadeva quasi interamente nel quartiere di S. Adiutore e in parte in quello di Passiano. 20 Trescite: località del villaggio Annunziata, dove era una fontana. 21 L’immissione sul mercato di grano di cattiva qualità poteva scatenare seri problemi di ordine pubblico. Il 12 dicembre si parla di disordini nati in città perché un cittadino aveva sobillato il popolo, accusando gli eletti e il sindaco di far vendere grano fracito. Gli eletti decisero che il sindaco, il cancelliere, Bartolo Casaburi e Fioravante Troise si recassero a controllare la qualità del grano: se fosse stato riconosciuto il torto del sobillatore, questi doveva poi essere «molto bene castigato» e si sarebbe dovuta avanzare querela contro di lui al governatore, come di fatto avvenne.

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Furono anche stabilite delle limitazioni alla vendita ai forestieri. L’8 ottobre si decise di chiedere al Gran Capitano di poter esportare grano dalla Sicilia, per non correre il rischio di diventare «tucti quasi affamati» (la richiesta fu ripetuta a dicembre e dovette essere accettata se in data 19 dicembre 1504 si stabilì di scrivere lettere “di favore” a vari cittadini per il ViceRe di Sicilia ed altri signori dell’isola, per procurare grano dalla Sicilia). Si ricorse anche ad una regolamentazione e ad un controllo della distribuzione del grano (14 ott.), che sembrava «andare in fumo». Ad evitare il diffondersi della peste a Vietri, Marina e Molina, come già detto sopra, si decise che il grano si potesse consegnare e macinare solo per coloro che avessero presentato regolare bolletta: il territorio venne diviso in cinque grandi aree e per ognuna di esse fu designato un cittadino per poter rilasciare la bolletta; in assenza di uno qualsiasi di loro, avrebbe provveduto il sindaco stesso. In tal modo non sarebbe stato possibile duplicare le bollette. Il 28 ottobre si ordina di riporre in un magazzino il grano da scaricare da un naviglio e venderne una parte; prima però il sindaco e Fioravante Troisi devono informarsi sul prezzo del grano di pari qualità e verificare che siano giunti tutti i 12.000 tomoli attesi ed anche, ma più soctilemente, che Angelo Vitale e gli altri non abbiano fatto venire più grano di quanto ne abbiano scaricato. In effetti (9 nov.) non erano arrivati tutti i 12.000 tomoli di grano entro il 15 ottobre, secondo l’impegno preso da Angelo Vitale ( il cosiddetto «grano delo partito»). Il 9 novembre l’Università sequestra il grano di un suo fornitore, Riccardo Cava di Maiori22; viene ordinato anche il sequestro di una certa quantità di formaggio da lui tenuta a Cetara. Intanto una sua nave carica di grano destinato alla città di Cava viene bloccata a Napoli. Gli eletti danno disposizioni di scrivere al Gran Capitano, chiedendogli di farla «liberare». Il sequestro del cacio viene prima revocato (14 nov.), poi, invece, effettuato (l’ordine viene emesso il 20 novembre). Il formaggio dovrà essere riposto a Vietri. Il 15 novembre, in considerazione delle difficoltà del Cava, che aveva bisogno di denaro per far giungere la nave bloccata a Napoli, gli viene data la possibilità di vendere il grano sequestrato (60 tomoli) a 6 carlini il tomolo. Vengono inoltre emanate disposizioni per limitare e controllare la vendita e si fa la cerca del grano in città: messo insieme, sarà distribuito dagli eletti in modo da non creare carestia. Tutti i panettieri devono essere obbligati, con mandato del governatore, a fare il pane, con il grano e la farina in loro possesso. Si cerca grano dovunque, nel regno e fuori, e si vuole obbligare Angelo Vitale, il quale intanto è retenuto in potere del governatore, a procurare la quantità di grano prescritta dagli impegni presi. Il 1 dicembre i quattro eletti ad occuparsi della questione ricevono la potestà di far liberare il Vitale e di poter comprare grano. Il 6 dicembre, di fronte all’eventualità della liberazione di Angelo Vitale e Riccardo Cava, si chiede pregiarla idonea e sufficiente. Intanto si ha notizia dell’arrivo di navi cariche di grano a Castellammare e in altri luoghi e si dà incarico a Ettore Cafaro di recarsi a Castellammare per cercare di acquistare grano. Successivamente, allo stesso scopo, saranno mandati in varie altre località del regno

22 II 19 ottobre era stato sequestrato il grano comprato da Matteo Testa. Riccardo Cava è citato in F. LUISE, Documenti riguardanti Cava nei “Partium Summarie” (1469-1500), in Appunti per la storia di Cava, curati da A. Leone, n. 1, Cava dei Tirreni, Avagliano, 1983, p. 44.

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altri cittadini cavesi. Il 13 dicembre l’Università decide di vendere 547 tomoli di grano custoditi da Zopto Jovene a tre tari il tomolo. Il 15 dicembre Teseo Longo e Geronimo Casaburi vengono incaricati di procacciare denaro per comprare grano; si ordina anche che i cittadini possano comprare grano, essendo mancato quello «delo partito». Successivamente Geronimo Casaburi rinuncia e viene sostituito da Bartolo Casaburi nel compito di occuparsi dell’approvvigionamento del grano, della vendita del formaggio sequestrato a Riccardo Cava, della modifica del prezzo dei 1000 tomoli di grano comprati da Diomede Longo, che si stavano vendendo. Geronimo Casaburi, con Ettore Cafaro, sarà poi incaricato (27 dic.) di ripartire una tassa fra i cittadini per raccogliere 1500 ducati per comprare grano. Altri cinque eletti, tutti ragguardevoli cittadini, devono requisire, pagandolo a giusto prezzo, tutto il grano che c’è in città. Si compra grano dall’università di Maiori e da un mercante di Giffoni. Il 1 gennaio 1505 si decide di vendere il grano a 7 carlini il tomolo, il 10 il prezzo viene elevato a 8 carlini. Geronimo Casaburi ( 12 gennaio) tratta con un mercante genovese. Il 19 gennaio si permette ai cittadini di poter comprare grano alla Marina di Vie tri, il 2 febbraio si ordina di vendere quel che resta del formaggio dell’università, al prezzo corrente. La questione con Angelo Vitale ha preso intanto degli sviluppi imprevedibili: non solo la causa non viene rimessa a Cava, ma il 19 gennaio, riunitasi l’Università a seguito di bandi emanati nei soliti luoghi e per casalis23 si discute la sentenza del Sacro Consiglio, considerata contraria ai privilegi della città. Si decide di continuare a lottare per vie legali contro Angelo Vitale e i suoi soci. Teseo Longo e Lucio della Corte vengono incaricati di andare a Napoli dal Gran Capitano per condolersi per la morte della regina di Spagna e supplicarlo di far rispettare i privilegi della città, secondo cui la causa sarebbe stata competenza di Cava. Si delibera anche di prendere avvocati per la causa contro Angelo Vitale, uno, due, tre o anche più, se necessario. Il Sacro Consiglio, malgrado gli sforzi dell’università, ordina però (13 feb.) di restituire al Vitale e a Riccardo Cava il denaro e anche il cacio sequestrato. Bisogna ora trovare il denaro da restituire. Gli eletti incaricati della cosa dovranno anche cercare di portare avanti la lite. Si cerca una mediazione (19 feb.) fra Angelo Vitale e l’Università, tramite il governatore e Galieno d’Anna. Il 25 febbraio giunge la proposta di accordo e alcuni cittadini vengono incaricati (2 marzo) di rivederne i capitoli, affinché tale accordo non danneggi l’Università; in caso contrario, gli stessi dovranno fare tutto il necessario per trovare il denaro da restituire al Vitale. Il 9 marzo viene approvato l’accordo. L’Università riconosce un debito di once 38 con Angelo Vitale, il 12 si parla di 264 ducati, che vengono dati in prestito all’università da Silvestro e Diomede Longo per due mesi. Dallo stesso verbale del 12 marzo apprendiamo che il cancelliere era andato a Maiori a fare lo protesto a Riccardo Cava «che se venisse ad pigliare lo caso» secondo il decreto del Sacro Regio Consiglio. Il 5 aprile si stabilisce che i cittadini possono vendere grano ai panettieri. La carestia è incombente in città, dove non ci sono più di 100 tomoli di grano. Raimondo Cantarella lamenta che non può vendere grano e che sarebbe molto danneggiato nel caso ne arrivasse altro.

23 eccezionalmente, in quanto i bandi di solito venivano emanati al Borgo.

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L’Università gli dà assicurazione che se arrivasse altro grano si dovrà vendere prima il suo, Infatti (7 aprile), giunto dell’altro grano, si danno disposizioni in merito. Si decide di comprare poi a credito 400 tomoli di grano (6 maggio); si cerca di comprarne altro al minor prezzo possibile, promettendo il pagamento tramite i gabellieri. L’8 maggio si riunisce l’Università per discutere sui pagamenti fiscali e sul fatto che non si trova grano. Si stabilisce che, malgrado i debiti per i pagamenti fiscali, si debbano comprare due o tremila tomoli di grano, cercando di avere in prestito dal mercante stesso duc. 300 per tre mesi: oltre alla promessa di restituirgli il denaro, l’Università si impegna a far vendere solo il suo grano. Non trovando il denaro a Napoli, si dovrà comunque procurare: il prestito sarà restituito con la vendita delle gabelle. Il 10 maggio si decide di prendere 400 tomoli di grano a otto carlini e mezzo il tomolo da Leone della Monica, da vendersi prima di altro grano entro luglio, per ricavarne la somma necessaria per far fronte ai pagamenti fiscali. Venduto questo, il mercante potrà vendere l’altro grano suo ai cittadini a non più di otto carlini e ai forestieri al miglior prezzo che potrà. Il sindaco, Fioravante Troisi ed Ettore Cafaro devono prendere il grano che Vincenzo da Ponte compro dal Palermitano. Gli stessi devono incontrarsi alla Marina di Vietri con Silvestro e Diomede Longo e parlare dei 5100 tomoli comprati dal Palermitano a tari 4 e grana due il tomolo. L’ 11 maggio si stabilisce di prendere tutto il grano disponibile, compresi i 500 tomoli di Leone della Monica. Fioravante Troisi dovrà, in certo modo, soprintendere alla vendita, che andrà fatta con una bolletta, a rilasciare la quale viene ricaricato un rappresentante per quartiere. Il Troisi è incaricato anche di controllare la qualità del grano. Due giorni dopo, si delibera che i mille tomoli comprati dal Palermitano a 8 carlini si dovranno vendere solo ai cittadini a 9 carlini il tomolo. Sul guadagno, 100 ducati si dovranno restituire a Leone della Monica per il prestito fatto all' Università; i rimanenti 240 ducati furono prestati da altri. Questi mille tomoli devono essere divisi «chiesia per chiesia», secondo una certa quantità di tomoli di grano 24. Sugli acquisti di grano sorgono continuamente questioni, che rappresentano una spia celle tensioni esistenti. Leone della Monica aveva venduto a Riccardo Cava 500 tomoli a otto carlini meno un grano a tomolo: l’Università lo aveva sequestrato. Si decise (17 maggio) di dame 400 tomoli al Cava e tenerne 100 per l’Università: per questi 100 tomoli il Cava intentò una causa contro Leone e Andrea della Monica (il 27 dicembre viene disposto per loro il rimborso di carlini 4 e grana 2). Il 25 maggio si discute se i 500 tomoli venduti all’università da Silvestro e Diomede Longo siano stati misurati ala mesura napolitana» o «ala mesura dela cita», secondo la quale doveva essere venuto: si cerca di dirimere la questione nel modo più giusto per l’una e per l’altra parte. Intanto la popolazione del casale di Cetara lamenta di non essere stata relevata per la divisione del grano (24 maggio). Ancora, l’Università sostiene di dover avere due tomoli di grano da Matteo Costa, che, invece, nega (16 giugno). Il 1 giugno il sindaco viene incaricato di cercare di acquistare grano ad un carlino in meno al tomolo di quanto si vende alla Marina e di prendere accordi per la vendita.

24 molto interessante per quanto riguarda la distribuzione della popolazione.

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Riesce a procurarne 300 tomoli, che saranno venduti a nove carlini il tomolo: fino all’esaurimento di questa scorta non si potrà vendere altro grano. La proibizione viene fatta con un bando del governatore, ma successivamente si viene a sapere (7 giugno) che ne erano stati venduti oltre 100 tomoli in più: se in questo si troverà che c’è colpa del credenziere, sia multo bene castigato. In data 21 luglio si manifesta la volontà di risolvere definitivamente la questione con Angelo Vitale25, affinché 1’ Università possa poi rivolgersi a lui in caso di bisogno, come sopra detto: il 6 settembre vengono nominati quattro rappresentanti dell’Università per fare conto con Angelo Vitale di quanto deve avere. Il Vitale potrà trattenere 10 once che deve all’università come «fundichiero dello sale» e comincia anche a ricevere del denaro. La città si procura la somma necessaria ricorrendo ai prestiti, ma il 27 ottobre i suoi “garanti” sono citati alla corte del Capitano dal mercante. L’ Università cerca un accordo col Capitano, con un dono. Probabilmente la lite dovette essere risolta, perché non se ne fa più parola. Cava risentì, ovviamente, delle scorrerie dei vari eserciti che si affrontavano anche nel suo territorio: è fin troppo noto il comportamento tenuto dalla città all’epoca di re Ferrante e la sua fermezza nel resistere alle violenze e alle intimidazioni da parte francese. Un accenno ai danni subiti è proprio nella prima delibera, laddove si parla di risarcire alcuni cittadini «per le robe habero li Francisi». I primi anni di viceregno vedono la città sempre schierata al fianco del governo legittimo, mantenendo buoni rapporti con Consalvo di Cordova, dal quale, del resto, ci si aspettava un autorevole appoggio per difendere i propri privilegi e i propri interessi. All’epoca della ribellione contro il Gran Capitano, Cava si appresta alla difesa: 1’ 8 luglio 1505 gli eletti danno disposizioni al sindaco di far scendere dal Corpo di Cava al Borgo «farchonecti dui» con venti «pallocte de chiumbo» e dieci rotoli di polvere, da riporre in casa del Governatore; intanto ci si informa per dove dovranno passare gli Spagnoli. Il giorno dopo, saputo che gli Spagnoli ribelli al Gran Capitano erano entrati a Samo e temendo che si dirigessero verso Cava, si decide di emanare un bando, in modo « che omne persona de dicta cita se sarve allo forte Ile robbe soe et Ile dopne con le figliole adzo non se pata de desonore ne de robbe»; tutti i cittadini cavesi che si trovano a Napoli, inoltre, devono rientrare per occuparsi delle « loro robbe case et famiglia». Andrea Longo viene incaricato di far mettere in ordine l’artiglieria. Intanto il nipote del Gran Capitano è giunto a Cava con altri gentiluomini: la città offre loro una colazione. Il 10, per evitare il passaggio per Cava dei ribelli, si stabilisce di sorvegliare giorno e notte i passi di Croce, Orilia e Tre Mergoli. Il 14 si passa alle vie di fatto, deliberando di pagare «trenta guastaturi per guastare li passi». Per la carestia e la mancanza di denaro, si cerca di ridurre le spese, sia quelle per i messi, che continuamente in questo periodo venivano inviati fuori, per tenere i necessari collegamenti, sia quelle per l’ospitalità da offrire agli uomini mandati dal Gran Capitano, sia con la riduzione delle guardie ai passi. Il cancelliere e due eletti, questi

25 che dal 13 luglio figura fra gli eletti aggiunti per affrontare la difficile situazione che la città stava vivendo.

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ultimi a turno secondo una lista, per essere pronti ad affrontare in ogni momento qualsiasi evenienza devono trattenersi di notte al Borgo, con il Governatore. Si dispone di far preparare alla locanda di Zabacto «una bona cambera», per dare una dignitosa ospitalità al cancelliere e agli eletti. Le guardie ai passi, poste ad evitare il passaggio degli Spagnoli del Principato che intendevano unirsi a quelli di Castellammare, dovevano essere pagate 15 carlini al giorno: tale spesa, però, risultava gravosa per una città già tanto provata, che chiese, infatti, di esserne esentata appena possibile. A fine luglio le guardie furono abolite, perché non più necessarie. In agosto giunse l’ordine di non far passare alcun fante senza prima disarmarlo. Il 31 dello stesso mese il sindaco fu incaricato di provvedere al pagamento dei tre mulattieri che avevano trasportato al Borgo Scacciaventi i falconetti e la polvere da sparo e poi li avevano riportati su, perché non ce ne era stato bisogno. Il 13 settembre si ordina al sindaco di far «intendere» al Capitano che non deve consentire di far venire a Cava i soldati del castello di Salerno armati. Da un verbale del 15 settembre 1505 apprendiamo, inoltre, che l’Università aveva ricevuto l’ordine di far «guardare lo tenimento suo», affinché i mercanti che andavano a Salerno non fossero «assaltati et arrobati». Il passaggio di truppe portava come conseguenza il problema del loro alloggiamento, che era visto come una vera calamità, per i danni che poteva apportare ai cittadini nei loro beni e nell’onore delle loro donne. Si cercava quindi in tutti i modi di evitare di dover far fermare soldatesche in città, ricorrendo anche a donativi per i loro capi; in caso poi non si riuscisse proprio nell’intento, l’Università preferiva ospitare i soldati a sue spese al Borgo, dove probabilmente erano più sotto controllo che non rimanendo nei casali. Nel verbale della seduta del 10 dicembre 1504 troviamo la prima notizia di Spagnoli che avrebbero preferito alloggiare nelle case private: gli eletti avevano fatto in modo che, invece, alloggiassero nelle locande del Borgo. Si delibera quindi di pagare gli osti per quanto avevano offerto agli Spagnoli e per il vino (si badi che viene considerato a parte!). Il 20 dicembre si parla di 200 Spagnoli che dovrebbero passare per il Borgo e si teme che vogliano alloggiare in città: il sindaco e il Governatore vengono incaricati di evitare questo, offrendo se necessario del denaro ai loro capi, sei ducati o anche di più. Il 30 gennaio 1505 si delibera la spesa di 4 tari dati dal Governatore per pane e vino offerti «ad certi Spagnoli che passaro per lo burgo», il che risultò di «multa comodità» per la città: grazie all’ intervento del Governatore gli Spagnoli «sende andaro con Dio et non alloggiaro». Il 19 febbraio furono rimborsati al Governatore sei ducati e mezzo, da lui spesi per dare da «magnare et bevere» a Spagnoli ospitati in casa sua, per evitare riconvenienti se avessero alloggiato nei casali. Il 29 marzo si discute del fatto che 800 Spagnoli che stavano a Gragnano sarebbero dovuti venire di stanza a Cava, il che avrebbe comportato molto danno alla città e «periculo de lo honore de qualche citatino»: Pirroloise Quaranta, Bartolo Casaburi e il Governatore devono recarsi dal Gran Capitano a Napoli, per supplicarlo di evitare questo, in nome della fedeltà sempre dimostrata dalla città, ed anche per via della carestia e della peste. I tre inviati raggiungono Consalvo di Cordova ad Aversa. Il 14 aprile lo alguczino del Governatore viene mandato a Napoli e a Gragnano per informarsi se gli Spagnoli sarebbero venuti o meno a «stantiare ala Cava». Probabilmente la ambasceria presso il Gran Capitano era andata a

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buon fine, perché dell’arrivo a Cava di queste truppe non c’è traccia nei documenti. Di nuovo alla fine di maggio, però, si toma a temere l’arrivo in città di soldatesche. La città risente fortemente gli effetti della carestia e mentre decide di prendere 9 tomoli di grano, fame farina e tenerla da parte per un eventuale arrivo degli Spagnoli, invia un messo a cercare Silvestro Longo, che si trovava ad Eboli o a Montecorvino, per chiedergli di intervenire a favore della città. Nel verbale della riunione del 26 maggio leggiamo che anche il (Governatore si era dato da fare per ottenere che i fanti si limitassero solo a passare per Cava26: per risarcirlo di varie cose da lui date agli Spagnoli, la città gli deve 6 ducati, poi portati a 15, più 5 tari per i suoi famigli. Il Governatore però non accetta (1 giugno) e si delibera di dargli 25 ducati. Ancora il 16 ottobre il verbale documenta il pagamento degli osti per aver alloggiato un capitano spagnolo e la sua compagnia, che avrebbero voluto stantiare al Borgo fino a nuovo ordine Sofferta di sei ducati li aveva fatti desistere. Il 15 febbraio e il 21 aprile 1506, infine, troviamo il pagamento all’oste Zabacto per aver ospitato degli Spagnoli. Abbiamo avuto già modo di notare come fosse frequente l’uso di offrire un dono a persone influenti, per poter agevolare la città nel risolvere i suoi problemi. Il 24 settembre 1504 veniva deliberato un dono di 15 o 20 canne di tela sottile per la regina d’Ungheria: nell’ offrirglielo però bisognava precisarle che la città era in debito e non aveva potuto fare di più. Il 19 ottobre si parla di due botti di vino per Berardino de Cioffo, razionale della Regia Camera della Sommaria: gli saranno mandate a dicembre. Per il luogotenente della Camera della Sommaria, Michele d’Afflitto, si pensa ad una tela di canne 20 larga in mezzo, poi, però, si preferisce una tela sottile, dalle 25 alle 30 canne, «quale tela se havesse pigliata in Napoli da alcuno deli nostri»: Andrea Longo e Vincenzo Salsano la prendono in credito da Paride de Rosa a Napoli, per un costo di 27 diciassette ducati e mezzo . All’avvocato della città vengono invece portate delle «palombelle» (5 nov. 1504). Nel verbale della riunione dell’università del 30 novembre si legge che alcuni eletti, per beneficio universale, avevano dovuto fare delle “dimostrazioni” verso alcuni personaggi influenti, per poter favorire la città nella causa contro i monaci dell’Abbazia della SS. Trinità ed anche per alcuni pagamenti: l’Università approva ciò che hanno fatto e ciò che faranno in tal senso. Il 7 aprile 1505 troviamo notizia di caciocavalli dati al commissario in segno di gratitudine per aver «fatto accorto» il sindaco sul fatto che gli dovevano essere rimborsati «li denari dela mesoratura delo sale». A volte su un donativo si poteva anche discutere con la persona interessata. E questo il caso documentato in data 5 luglio: erano state promesse a Pietro de Massa, commissario per i pagamenti fiscali, tele per due camicie, il commissario sosteneva che gliene erano state promesse 10 canne. Si decise infine di dargli 20 carlini o l’equivalente in tele, ma dobbiamo supporre che il patteggiamento dovette proseguire, anche se ciò non è documentato: certamente, il 19 luglio, per i molti servigi da lui offerti alla città, si decise di aumentare il

26 nel loro passaggio, portarono via del grano di Silvestro Longo. 27 2 e 5 nov. 1504.

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dono a 3 ducati o all’equivalente in tele. In data 27 ottobre c’è la proposta di un donativo al Capitano, presso il quale erano stati citati in giudizio da Angelo Vitale i garanti dell’università: si pensò ad una cifra massima di 11 ducati (29 ott.), per decidere poi per 6 ducati (13 nov.). Abbiamo del resto già visto che per convincerlo a restare in città a fare il suo dovere nel tempo della peste gli era stata offerta una discreta somma di denaro. Il 27 ottobre l’Università propone anche un donativo, per un massimo di 10 ducati, a Giovan Battista Spinelli, intervenuto a favore dell’università cavese sulla questione dei duc. 1200. Il 29 gli eletti decidono per «sey quarantini de oglio bono et sey presocti alo meno preczo che porrà». Il 26 febbraio 1506 si parla di un dono da offrire al Gran Capitano prima che parta per la Spagna. Il 17 marzo 1506 ritorna il nome di Giovan Battista Spinelli: Il Gran Capitano aveva ordinato alcune cose al Reggente della Gran Corte della Vicaria, il quale le aveva riferite verbalmente a Pirro Loise Quaranta, Modesto della Corte e Giovan Battista Longo, dando loro una lettera “di credenza”. L’Università avrebbe dovuto eseguire quanto da loro riferito: il Reggente voleva tutte le scritture dei sindaci e dei cancellieri «dala intrata deli Spagnoli in Napoli fi ad questo di, parlanteno de alcuno donativo havesse facto la università ad messere Joanne Baptista Spenello». Inoltre Andrea Longo e Geronimo Casaburi si sarebbero dovuti presentare a Napoli per essere interrogati in proposito. Il 22 marzo l’Università delibera di scrivere al Reggente che il giorno successivo Andrea Longo e Geronimo Casaburi sarebbero stati da lui con le copie delle scritture. Tantissimi altri sono i temi trattati nelle delibere, anche se ad essi è dedicato meno spazio che a quelli suindicati. Per quel che riguarda i rapporti con la Chiesa, oltre ai difficili rapporti con la Badia, la città viveva una questione con il clero secolare, che vole- va essere esentato dalle gabelle (v. nota 4); era molto sentito inoltre il problema di avere un prete «grato e benevolo» «ali figliarli» di S. Pietro, la parrocchia all’epoca più grande e più popolosa: la cosa era talmente importante da investirne anche il Gran Capitano (1 dic. 1504). Il 22 ottobre 1504 troviamo notizia di lavori in muratura per la chiesa di S. Sebastiano28. C’è anche una notizia riguardante la chiesa di S. Maria del Gesù: il 2 settembre 1505 Carlo Capova e Geronimo Casaburi furono incaricati di vedere i conti della gabella del vino, donata a tale chiesa «in beneficio dela frabica». Nel periodo in esame vennero accettati come nuovi cittadini mastro Luca di Campagna, cretaro, e Pietro e Salvatore Pagano29, della Rocca (1 giugno 1505) ed anche 28 Oggi detta di S. Rocco. S. Sebastiano, come S. Rocco, è considerato santo protettore contro la peste. L’Università offre un ducato al procuratore della cappella di S. Sebastiano per opere di muratura già deliberate. V. anche delibera del 18 giugno 1506. Su tale chiesa cf. V. ANNARUMMA, B. SPARANO, L’ antico Borgo e i suoi palazzi, Cava de’ Tirreni, ed. a cura del Comune, 1996, pp. 7172; S. MILANO, Ondaci del XV secolo, in Dall'Archivio Storico Comunale. La città de la Cava e i suoi sindaci, a cura di R. Taglé, Cava de’ Tirreni, ed. a cura del Comune, 1996, p. 29, dà notizia di lavori di muratura già nell’anno 1500. A. POLVERINO, nella Descrizione istorica della città fedelissima della Cava, parte I, Napoli, Roselli, 1716 (rist. anast. Sala Bolognese, Forni, 1981), p. 200, parla della cappella di S. Rocco e Damiano, santo il cui culto è ugualmente collegato con la peste, diruta e riparata nel 1610. Una curiosità: il 14 aprile 1517 fu impiccato un uomo davanti alla chiesa di S. Sebastiano. Il sindaco provvide sollecitamente a far rimuovere il cadavere, perché «non era conveniente starano Ile furche avante la ecclesia» (dal registro delle Delibera del 1516-1517, f. 120; a chi provvide all’impiccagione fu pagato un carlino). 29 II successivo 28 agosto si parla di un Salvatore Pagano, cavese, prigioniero a Rocca. Il sindaco deve recarvisi per parlare in suo favore.

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Faurillo de Pascarello di San Lorenzo e Matteo Imperato con i suoi fratelli, di Maiori (8 febbraio 1506). C’è qualche accenno alla criminalità comune: in data 19 gennaio 1505 si chiede che il Governatore faccia giustizia contro Marino Pecoraro ed altri delinquenti che avevano ucciso Minico de Canali. Diverso il caso trattato nel verbale del 15 febbraio, in cui la città ancora una volta difende i suoi privilegi, in virtù dei quali si sarebbe dovuta tenere a Cava la causa contro un cittadino cavese30, Stefano Cafaro, accusato di aver “rubato” una donna, insieme a «certe robe», ad uno Spagnolo. In favore di Stefano Cafaro l’Università aveva già scritto al Reggente della Vicaria; prega ora il Capitano di non mandarlo a Napoli prisone. Il 2 marzo, però, si parla di lettere giunte dalla Vicaria che ingiungono al Capitano il trasferimento a Napoli dell’imputato: il Capitano non può che obbedire, ma l’Università manifesta la sua volontà di fare tutto il possibile per far rimettere a Cava il processo. Ancora, il 28 aprile 1505 si delibera di scrivere al Gran Capitano in favore di un cittadino a cui erano state sottratte delle tele da certi greci. Qualche curiosità non può che stimolare alla lettura delle pagine che seguono. Per la morte della regina di Spagna31, l’Università, oltre ad inviare a Napoli due suoi rappresentanti a porgere le condoglianze al Gran Capitano, indisse solenni esequie nella chiesa di S. Maria del Gesù, alle quali avrebbe dovuto partecipare il clero tutto, dietro mandato dell’abate (19 genn. 1505). Con ben diverso spirito il 28 agosto 1506 fu deliberata la spesa di due “coronate” per far fare le lumenarie, avendo avuto notizia della venuta del re nel Regno di Napoli32. Il 7 aprile 1505 ci si lamenta che non si può provvedere con la dovuta celerità nelle cose che riguardano la collettività per l’assenza degli eletti dal Borgo. Si ordina pertanto agli eletti di convenire al Borgo tre volte alla settimana, nei giorni dispari; per i contravventori si impone la pena di un tari. Sembra che il segreto d’ufficio sia stato sempre un problema per le pubbliche amministrazioni: in data 24 sett. 1504 l’Università dispone che gli eletti debbano giurare «de non reportare maj ne dire quello se propone in lo consiglio secreto ne dire lo tale electo have proposto tale cosa alo consiglio», pena l’espulsione dal consiglio stesso; in data 12 agosto 1505 si enuncia che «quando se parla puplicamente multi homini malevoli dela Università hanno soluto et soleno reportare quello se propone in benefìcio universale. Ilo che sole redondare il maleficio dela Università». La città di Cava aveva in fitto una casa a Napoli, di proprietà di Federico Gagliardi (18 sett. 1505), al quale il sindaco deve pagare, a nome della città, un’oncia per anno. Poiché l’Università rinuncia a questa casa, si deve saldare il debito prima di lasciarla 30 Sono frequenti nelle delibere i riferimenti a citazioni in giudizio contro cittadini cavesi, a volte influenti come Leone della Monica e il figlio Andrea, Domenico Casaburi, Zopto e Rampino Jovene, Andrea Mangrella, Fioravante Troisi. Altre volte viene citato lo stesso sindaco. In genere si cercava di bloccare la causa, invitando gli autori della citazione a desistere e facendo intervenire il Governatore ed altre alte personalità. In caso di insuccesso, la causa, poiché si veniva a minare l’osservanza dei privilegi, veniva sostenuta a spese dell’ Università. 31 La regina Isabella era morta il 26 novembre 1504. 32 1 sovrani giunsero nel Regno di Napoli a novembre per ripartire nel giugno successivo.

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definitivamente (24 ott. 1505). L’ Università aveva anche una questione per una casa e un terreno a Cava, tenuti da Joanne de Anna. Il sindaco e il not. Tommaso della Corte vennero incaricati (17 marzo 1506) di ottenere la restituzione della casa per poter conservare l’artiglieria. Dovevano anche controllare l’inventario delle munizioni che erano nella casa; il d’Anna doveva inoltre impegnarsi a «reducere ad pristinum statum» il terreno e a levare la chiusa, in attesa che la giustizia facesse il suo corso per stabilire chi fosse il legittimo proprietario. Il d’Anna però sostenne il suo diritto di proprietà, mostrandone le scritture (22 marzo). Nelle frequenti trasferte potevano accadere piccoli incidenti: va ricomprato a spese dell’Università «lo calamaro con lo asso» perso dal sindaco in un suo viaggio a Salerno (27 ott. 1505). L’ Università aveva voce in capitolo sui suoi capitani: in data 16 novembre 1505 si delibera di scrivere a Consalvo di Cordova una lettera di «ben servire» per un ex capitano della città. Nel giugno precedente l’Università aveva deciso di supplicare il Gran Capitano per far riconfermare per un altro anno in carica il commendator Sabater, regio governatore della città. Viene chiesto al governatore se preferisce che si scriva al Gran Capitano o che gli parlino direttamente due inviati dell’ Università, Altobello Longo e Modesto della Corte, che devono incontrarsi con il ViceRe anche per altre questioni. Il governatore sceglie questa seconda alternativa, ma evidentemente, come si legge in seguito, fu scritta anche una lettera. Qualcosa però dovette turbare i rapporti tra il funzionario regio e l’Università se in data 12 agosto 1505, avendo il Sabater terminato il suo anno di carica, si chiede al Gran Capitano di mandare un nuovo ufficiale, «non dicendo novo ne vechio», ma se volesse riconfermare il Governatore, bisognerà ricordargli il rispetto dei privilegi della città, «fando intendere che po la lectera so emerse cose che la Università desidera la observatione de dicti privilegi». Il 2 marzo 1506 l'Università si oppone al fatto che Alessandro di Costanzo di Napoli chieda per sé il governo della città e fa sapere al Gran Capitano che non intende accettarlo: sarà ascoltata. Il nuovo Capitano sarà Amelio Severino: già l’8 marzo è in carica33. I funzionari non dovevano essere troppo invadenti verso la città: in data 2 marzo 1506 si fa presente, senza mezzi termini, che il portolano non deve interessarsi del peso di carlini, ducati e altre monete; è infatti compito del sindaco far controllare i pesi e farli adjustare. Anche i rapporti di lavoro erano disciplinati dall’università, con appositi capitoli: gli cerai dovevano essere pagati la sera e poiché a volte questo non accadeva, l’Università ordinò al cancelliere di redigere dei capitoli da sottoporre agli eletti 34. Ma poteva anche eccedere che gli operai promettessero la loro opera e non si presentassero poi al lavoro. In tal caso «quello che ey stato gabato» il giorno dopo avrebbe potuta esigere dall’operaio «lo soldo», la giornata perduta. Il datore di lavoro, dal canto suo, era tenuto a pagare gli operai la sera (17 aprile 1506). Il 20 maggio troviamo la notizia che a Geronimo 33 Aveva un assessore cittadino; gli si fece presente che stava contravvenendo ai privilegi, in quanto questi doveva essere forestiero. Il Capitano non creò questioni con l’Università ed accettò il rilievo. 34 24 e 25 nov. 1505.

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Jovene, che bandì i capitoli relativi a questa questione su tutto il territorio cittadino, impiegando due giorni, furono pagati 5 carlini. Il 17 agosto, però, tali capitoli furono cancellati, non sappiamo perché. A volte le vicende pubbliche si intrecciano con problemi privati e molto umani: nel verbale del 9 dicembre 1505 troviamo che il Capitano «desastrosamente cascando se guastao lo pede»: non potendo cavalcare, chiese di poter tener corte al Borgo e non al Corpo. Ciò gli fu accordato, ma solo fino alle feste di Natale e in data 20 gennaio 1506 si decise di invitarlo a tornare a tener corte al Corpo. Si provvedeva, ovviamente alla riparazione di beni dell’università e delle strade. L’8 febbraio 1506 e si deliberò di conciare la cassa dell’università e di fame quattro chiavi, una per provincia. Il 30 marzo si stabilì di aggiustare la via di Vietri, «dalo Burgo abassio dove ey necessario». Il 17 aprile venne nominato «capo mastro ad fare conczare» le strade mastro Ambrosi Quaranta e il 18 giugno 1’ Università sancì che questi dovesse riparare la strada maestra. Cerchiamo ora di conoscere più da vicino i protagonisti di queste pagine35. Il primo settembre 1504, riunitasi l’Università nella chiesa di S. Giacomo36, vengono eletti a governare la città quattro cittadini per ogni provincia. Sindaco uscente è il notaio Vincenzo Salsano, un personaggio molto influente nella società dell’epoca: «fu familiare della Reina Giovanna IV d’Aragona moglie di Re Ferrante II, dalla quale in remunerazione de’ suoi servigij hebbe in dono alcuni feudi nella Terra della Tripalda detti le Coste nel 1502»37. Il sindaco in carica è un altro notaio, Silvestro de Alferi 38. Cancelliere il notaio Antonino Gagliardi, del distretto di Passiano, che sarà riconfermato in carica a settembre 1505. Gli eletti della provincia di S. Adiutore sono Michele d’Anna, Perroloise Quaranta39, il giudice Giovanni Gagliardi e Berardino de Adinulfo, architetto ed intraprenditore40. Per la provincia di Metelliano l’Università elegge Andrea

35 Un pregevole lavoro sulla classe dirigente cavese nel XVI secolo è stato pubblicato da A. PISAPIA, Organizzazione territoriale e amministrazione della città «de la Cava» nel XVI secolo, in «Rassegna storica Salernitana», N.S., n. 24, 1995 n. 2 (dicembre) pp. 149-173. 36 A.M. ATTANASIO, La più antica delibera comunale, in Appunti..., n. 1, cit., p. 43 e la recente guida di V. ANNARUMMA e B. SPARANO, cit., pp 78-79. 37 O. BELTRANO, Breve descrittone del Regno di Napoli diviso in dodeci provincie, Napoli, Beltrano, 1640, pp. 186-187. Cf. anche ATTANASIO, cit., p. 46 e p. 49. 38 Ivi, p. 46 e p. 48: l’Archivio di Stato di Salerno custodisce in tre volumi atti rogati da lui tra il 1479 e il 1506. 39 Cf. Su Pierluigi Quaranta cf. A. Genoino, Vicende medioevali del Mezzogiorno da un discorso araldico del secolo XVII, un lavoro del 1931 dell’illustre storico cavese ripubblicato in A. Genoino, Scritti di storia cavese, a cura di T. Avagliano, Cava dei Tirreni, Avagliano, 1985, pp. 76-77. 40 G. FILANGIERI, Documenti per la storia le arti e le industrie delle provincie napoletane, voi. V: Indice degli artefici delle arti maggiori e minori, I, Napoli, 1891, p. 4 s.

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Longo41, Pietro Antonio Longo42, Geronimo Casaburi43 e Fioravante Troisi 44, per quella di Passiano il notaio Giovan Filippo Parisi45, Fabrizio della Corte46, mastro Giase de Angrisano, Nataliello Capova47. Il quartiere del Corpo ha come suoi rappresentanti : Andrea de Perrello48, Carlo Punzi, il notaio Vincenzo Salsano e Lorenzo Salsano. Il 1 settembre 1505 viene eletto sindaco Solimanno della Corte, della provincia di Passiano49. Risultano eletti per la provincia di S. Adiutore Giovanni d’ Anna, il notaio Carlo de Iuliis, Simonetto Vitale50, Ferrante Quaranta51, per quella di Passiano Carlo Capova52, Zopto Iovene53, il notaio Tommaso della Corte54, Giase Angrisani, riconfermato; per Metelliano Teseo Longo55, Bartolo Casaburi, Giovanni Di Mauro56, Giovanni

41 Cf. ATTANASIO, cit., p. 46 e p. 48; S. MILANO, Le tradizioni guerriere e religiose di Cava rievocate zella festa di Castello, Cava de’ Tirreni, Tip. De Rosa & Memoli, 1988, p. 33: Andrea Longo era figlio di Giosuè, che aveva, con il fratello Marino, condotto 500 Cavesi a portare aiuto a re Ferrante nello scontro armato presso Samo. Il contributo dato alla battaglia, che stava volgendo a sfavore del re, «consentì comunque i Ferdinando di ritirarsi [...] e di potersi riorganizzare per la ripresa delle ostilità». 42 ATTANASIO, cit., p. 46 e 48. 43 Ne 1487 contattava un artigiano genovese maestro nell’arte di torcere la seta «per fare drappi come si costuma a Florentia, ed in altre parti d’Italia»: FILANGIERI, cit., V, p. 16; v. anche ATTANASIO, cit., p. 46 e 48. 44 Sull’attività svolta nel commercio della seta dal ricco ed attivissimo mercante Fioravante Troisi cf. A. Leone, Cava e la seta calabrese, in Profili economici della Campania aragonese, Napoli, Liguori, 1983, pp. 67 ss., nonché ATTANASIO, cit., p. 46 e pp. 48-49s. e FILANGIERI, cit., VI, Indice degli artefici, II, p. 70. 45 ATTANASIO, p. 46 e 49. L’Archivio di Stato di Salerno conserva due suoi protocolli, datati 14961499: Guida storica dell'Archivio di Stato di Salerno, a cura di L. Cassese, Salerno, Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, 1957, p. 216. 46 ATTANASIO, p. 46 e p. 49. Fu sindaco nel 1487-1488 e tra il 1489 e il ‘91 (MILANO, I sindaci..., cit., pp. 23-24. 47 Tessitore. Cf. A. Leone, Aspetti di uri economia: l’artigianato, in Profili economici..., cit., p. 43. Il 24 dic. 1504 gli eletti incaricati dell’approvvigionamento del grano gli affidarono il compito di recarsi ad Atripalda per comprare grano al minor prezzo possibile, vendendo anche del formaggio. II Capova si preoccupò del fatto di non saper né leggere né scrivere, per cui non avrebbe potuto «mectere cunto» per iscritto del suo operato. Gli eletti gli risposero di andare tranquillo («ande con Dio»), perché lo consideravano «homo ebbene» «et che facza lo devere suo corno ad bono figliolo dela Università»: sarebbe bastato poi un suo giura- mento («nde staranno ala fede sua mediante suo juramento»). 48 ATTANASIO, cit., p. 46 e p. 49. Nel 1494 fu tra i rappresentanti dell’ Università inviati a rendere omaggio al nuovo sovrano, Alfonso II. Con lui erano Giosuè Longo, Nicola Antonio Gagliardi, presidente della Regia Camera della Sommaria, Sansonetto de Curtis e Alfonso de Alferio: MILANO, Le tradizioni guerriere ..., cit. p. 50. 49 Cf. R. TAGLÉ, I sindaci dal XVI secolo, in Dall’Archivio Storico Comunale. La citta de la Cava e i suoi sfidaci, cit., p. 40. 50 II 24 sett. 1504 era stato nominato eletto “della peste” con Pirro Loise Quaranta, il notaio Giovan Filippo Parisi, Fabrizio de Falco, Bartolo Casaburi, Francesco David, Andrea Longo e Vincenzo Salsano. 51 Genoino, cit., pp. 77-78. 52 Sindaco nel 1497-98 e nel 1502: La città de la Cava e i suoi sindaci, cit., p. 28 e p. 39. 53 FILANGIERI, cit., V, p. 22 e p. 37: con Rampino Jovene commissiona opere di fabbrica per uso di magazzini con portici al Borgo ( 1479-1480). 54 Un suo protocollo, datato 1515-1519, è conservato presso l’Archivio di Stato di Salerno (Guida storica, cit. p. 216). Fu sindaco della città tra il 1498 e il 1500 (MILANO, / sindaci..., cit., p. 29. 55 FILANGIERI, cit., V, p. 21 e p. 378. Cf. anche MILANO, cit., p. 50: Teseo era un altro figlio di Giosuè, fratello quindi di Andrea, eletto per la stessa provincia l’anno precedente, ed anche di Diomede, mercante di grano, che ha una parte di primo piano in molte delle pagine che seguono. 56 Nel 1518 ospitò nelle sue case parte del seguito di Giovanna IV (MILANO, Le tradizioni guerriere..., p. 66).

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Antonio Longo, per il distretto del Corpo il notaio Basile Pisapia, Giovanni Catozzo57, il giudice Berardo Punzi e viene riconfermato Andrea Perrelli. Il 2 settembre 1506 la carica di sindaco viene affidata a Joannocto Troise; viene nominato cancelliere un eletto dell’ anno precedente, il notaio Tommaso della Corte. Al di là di un semplice elenco di nomi, risulta chiaro il fatto che poche famiglie gestivano in pratica la pubblica amministrazione: « il patriziato monopolizza il potere cittadino riservandosi le cariche della città»58 e «interi casati detengono il potere, diventano arrendatori o forniscono crediti alla città»59. Tantissimi altri sono gli uomini che figurano in queste pagine: ne citeremo solo alcuni, per dare un’idea della società e della classe dirigente del tempo. Nicoloso d’Anna, grassiere per S. Adiutore nel ’4, era un tavolario ed agrimensore60, Damiano de Damiano, come Fioravante Troisi commerciava in seta61; il notaio Giuliano Pappalardo, incaricato di rilasciare le bollette per la distribuzione del grano a Cetara, sarà il sindaco del 1508 e «durante la sua carica, avvenne l’episodio della espulsione dei monaci dall’Abbazia della SS. Trinità e la conseguente scomunica di un buon numero di eminenti cittadini »62; Colantonio Quaranta fu «per la sua nobiltà e virtù carissimo al Principe Antonello Sanseverino»63. Ancora una curiosità: tra il 1 settembre 1504 e il 2 settembre 1506 1’ Università si riunisce 78 volte. Il luogo prescelto per tenervi le assemblee cittadine era, come già detto, la chiesa di S. Giacomo, dove l’ Università si riunisce 71 volte; solo in quattro casi non è indicato il luogo; si tennero due sole riunioni nell’osteria di Sciavo de Luciano ed una sotto il portico della casa del governatore al Borgo Scacciaventi. Gli eletti, sia quelli ordinari che quelli incaricati di particolari questioni, si riuniscono 150 volte. 75 incontri avvengono nella chiesa di S. Giacomo (in due casi si specifica nel cortile della chiesa). 26 volte non è specificato il luogo. Qualche riunione si tiene presso la curia del notaio Antonino Gagliardi, cancelliere dell’università (7) o di altri notai (12 presso quella di Andrea Casaburi, 3 presso quella di Carlo de Iuliis, una presso il not. Giov. Filippo Parisi); il sindaco notaio Silvestro de Alferi mette a disposizione la sua curia 18 volte. Altre volte gli eletti si incontrano presso il fondaco di Geronimo Casaburi o nell’osteria di Geronimo Casaburi, dove esercita Zobacta Quaranta (3 incontri), sotto il portico dell’osteria di Sciavo de Luciano in Scazaventulis (1), presso l’abitazione del governatore (3, in un caso è specificato sotto il portico della sua casa) e una sola volta nel fondaco di Pirro Joanne de Anna.

57 ad contractus iudex, sindaco nel 1491-1492: MILANO, / sindaci, cit. pp. 24-25. 58 PISAPIA, cit., p. 171. 59 Ibidem. 60 FILANGIERI, cit., V. p. 23. 61 LEONE, Cava e la seta calabrese, cit., p. 67; FILANGIERI, cit., V, pp. 157-158 e VI, p. 466: mercante, trattava affari con Giov. Battista Spinola di Genova, ma è anche definito «maestro nell’arte del tessere la seta» e nel 1472 prendeva dei discepoli «per l’esercizio dell’arte sua». 62 TAGLE’, I sindaci...,cit., pp. 40-41. 63 Era fratello del già nominato Pierluigi (Genoino, Vicende medioevali..., cit. pp. 76-77).

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Può forse essere opportuno in questa sede precisare che ogni delibera inizia con l’indicazione della data (es.: «Die XXVII mensis novembris VIII indictionis Cave » ). Se era 1’ Università a riunirsi segue generalmente la formula «congregata Universitate civitatis Cave intus ecclesiam Sancti Jacobi ad banni emissionem more solito » e nella quasi totalità dei casi è annotato anche che la riunione si teneva con licenza del governatore e alla sua presenza, o alla presenza di un suo subordinato. Per le riunioni degli eletti, oltre al luogo dell’ incontro, di solito troviamo: «congregati li subscripti electi» (ovviamente, è anche indicato se erano incaricati di particolari questioni: electi dela peste, ad esempio) e in calce al verbale vengono riportati i nomi dei presenti. Per ragioni di brevità, tali nomi sono stati omessi nel regesto.

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Ritratto di Consalvo Ferdinando di Cordova (tratto da Storia di Napoli, voi. Ili, Napoli, ESI, 1976)


Delibere dal 1504 al 1506


Una pagina del Registro delle Delibere


F 1) “Iesus.1 Hic est liber manualis Cancellane et Credenczarie civitatis Cave factus per me notarium Antoninum Gagliardum de Cava Cancellarium civitatis predicte pro presenti anno VIII indictionis 1504, in quo scribuntur et annotantur omnia decreta, “provisione”s et deliberaciones facienda et faciende per dictam universitatem et electos civitatis eiusdem pro dicto anno VIII indictionis”.

1 settembre 1504 “Intus ecclesiam Sancti Jacobi sitam et positam in burgo Scaczaventulorum”. Congregata l’Università "‘per banni emissionem sicut moris est”, furono “preposte” molte cose riguardanti il beneficio della città dal notaio Vicenczo Salczano sindaco per il passato anno, cose che furono ripetute dal sindaco in carica, not. Silvestro de Alfero. L’Università deliberò nel modo seguente. Come “eletti” della città, per la provincia di S. Adiutore l’Università ha eletto messere Michele de Anna, messere Perroloise Quaranta2, il giudice Joannes Gagliardo, Berardino de Adenulfo; per la provincia di Mitigliano messere Andrea Longo, messere Perro Antonio Longo, messere Geronimo Casaburi, messere Fioravante Troise; per la provincia di Passiano il notaio Joanphilippo de Parise, Fabricio dela Corte, mastro Giase de Angrisano, Nataliello Capova; per la “provincia dela Cava” messere Andrea de Perrello, messere Carolo Punczo, il notaio Vicienczo Salsano, Laurenczo Salsano. Vengono nominati grassieri Nicoloso de Anna per la provincia di S. Adiutore [“Agiutoro”] , Carolo Capova per la provincia di Passiano, per la provincia di Mitigliano Francesco Davit, per la provincia “dela Cava” il notaio Thomasi dela Corte “in defectu provincie carentis homine eligendo et loco ipsius provincie fuit electus dictus notarius Thomasius”. I grassieri avranno il potere di esigere da quanti contravvenissero ai loro ordini due tari di “pena”.

1 L’invocazione “Iesus” è in testa al foglio. Questa delibera è pubblicata integralmente da A.M. ATTANASIO, La più antica delibera comunale, cit. pp. 45-49. 2 Sindaco nel 1501-1502 (MILANO, I sindaci...» cit. , p. 30.

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Vengono eletti a controllare i conti di Vincenzo Salsano3, sindaco per l’anno passato. Hectorro Cafaro, Geronimo Casaburi, Fioravante Troise e Frabicio dela Corte. F 2) Poiché è necessario che per le faccende dell’Università si vada “in Napoli et in multi altri lochi”, si stabilisce di pagare 5 carlini al giorno a chi dovesse andare fuori su incarico dell’università, come salario e rimborso di spese di cavalcatura, garzoni o altro. L’Università si ritrova debitrice alla “regia et reginale Corte” dei tre tari per fuoco per duc. 550 circa, e quanto si ritrova “soperchio ale gabelle” non è sufficiente a coprire il debito; l’Università ordina che si impongano due tornesi alla gabella del mulino e che sulla gabella predetta si esigano grana tre per tomolo anziché grana due4. Avendo considerato che i preti della città devono essere “franchi et exempti dale gabelle”, “per exoneratione dela conscencia de ipsa Università et homini de quella”. l’Università decreta che i preti possano macinare ciascuno sette tomoli di grano all’anno senza pagamento alcuno. F 2 v) Quanto alla gabella della carne, si dà potestà agli eletti di accordarsi con i preti. Il sindaco dello scorso anno, not. Vincenzo Sai sano, deve rimborsare alcuni cittadini “per le robe habero li Frantisi”. Dalla somma destinata a questi se ne dovrà prendere “uno certum quid”, per darlo a Solimanno dela Corte, uno dei deputati per “taxare dicte robbe”, come suo salario. Tutti i panettieri che facessero pane al presente o per l’avvenire sono tenuti a venderlo e “adzò lo pane sia saporito et possase meglio magnare” sono tenuti a mettere il sale, nella proporzione di un quarto di rotolo di sale per due tomoli di pane.

F 3) 2 settembre Gli eletti deliberano che Ioanmarcho Jovene5 vada a Salerno per la questione del sale, senza però comprarlo, per non dare modo al fondachiero di lamentarsi dell’università. Gli deve essere corrisposto il salario dato di solito a chi veniva mandato a Salerno per conto dell’università, e la cavalcatura.

3 Era stato sindaco, infatti, nel 1503-1504; lo fu ancora nel 1515-’ 16 (R. TAGLÉ, I sindaci..., cit. pp. 39-40 e 41-42). 4 Un’oncia equivaleva a sei ducati, un ducato a 10 carlini, un carlino a 10 grana, un grano a 12 cavalli, in tornese a mezzograno; un tari equivaleva a due carlini, uno scudo a 13 carlini. 5 Notaio. Documenti da lui redatti tra il 1505 e il 1528 sono custoditi nell’Archivio dell’Abbazia dell’ SS. Trinità (M. VILLANI, I protocolli notarili conservati nell’Archivio della SS. Trinità, in Appunti per la storia dì Cava curati da A. Leone, n. 2, Cava de’ Tirreni, Avagliano, 1986, p. 38. Cf. anche G. FILANGIERI, cit. VI. P 331 e p. 400: in quest’ultima pagina il Filangieri cita una convenzione stipulata dal notaio Jovene tra l’Abbazia benedettina e il pittore Andrea Sabatini da Salerno).

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3 (?) settembre Nella curia del notaio Andrea Casaburi6 si riuniscono gli eletti, parte degli ordinari e parte di quelli eletti per curare la questione con il “Sacro Monasterio dela Cava”. L’Abate del monastero aveva nuovamente creato un mastro d’atti, ma non aveva voluto che desse “pregiaria” o alcun patto, secondo quanto prescritto nei capitoli intercorsi fra l’Università e l’abate. Gli eletti deliberano che, dal momento che gli “officiali” creati dall’abate devono dare detta “pregiaria”, questi siano tenuti a darla, secondo i capitoli, e dopo potranno tenere corte. F 3 v) 7 settembre Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Andrea Casaburi, sita al borgo degli Scacciaventi. Il sindaco passato, not. Vincenzo Salsano, fa presente come ci sia un debito con la R. Camera della Sommaria di duc. 650, debito che però era stato condonato dal Gran Capitano al tempo della sua entrata in Napoli. Si delibera di mandare a Napoli Perroloise Quaranta e lo stesso not. Vincenzo per parlare con messer Berardino de Cioffo, razionale della Camera della Sommaria, o con messer Michele de Afflicto, e per redigere un memoriale sulla grazia suddetta, per poterla godere. Gli stessi Perroloise Quaranta e not. Vincenzo debbono recarsi al Sacro Consiglio o dal suo capo, messere Antonio de Jennaro, e parlare della causa che la città tiene contro il monastero della SS. Trinità secondo quanto loro ordinato dagli eletti e, se sarà il caso, parlare anche con il Gran Capitano, esternando il malcontento della città per la venuta di un abate che già in passato era stato priore del monastero, sollecitando il Gran Capitano a prendere provvedimenti. Già molte volte gli eletti avevano ordinato al sindaco di farsi riconsegnare la mula dell’università, tenuta da Joanne Antonio Longo e appartenuta al defunto Filippo Stipano, una volta Capitano della città. Il sindaco deve assolutamente farsi dare la mula ed avutala deve chiamare il procuratore del fu messer Filippo. La mula è contesa: “ de po se facza quello vole la iustitia”.

11 settembre Si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo parte degli eletti ordinari e parte di quelli che si occupano della lite con la Badia.

6 I protocolli da lui redatti fra il 1502 e il 1550 sono custoditi presso l’Archivio di Stato di Salerno (Guida storica..., cit., p. 216).

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Si discute sul fatto delle “pregiane” che devono essere date dagli ufficiali nominati dal monastero della SS. Trinità e sul fatto delle montagne; gli eletti ordinano al sindaco di far copiare le relative “provisioni”, pagando quanto è giusto. Se ne dovranno fare due copie : una sarà mandata a Napoli a messer Perroloise Quaranta e a not. Vincenzo Salsano, che sono lì per alcune faccende dell’Università, pagando il messo secondo il solito.

F 4 v) 11 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di San Giacomo. Il sindaco fa presente che era stato a Cava un “porterò” della R. Camera della Sommaria, di nome Colantonio de Caramanico, per il residuo dei pagamenti fiscali della “terza” di agosto scorso; erano poi arrivate delle lettere da Michele de Afflitto, luogotenente della R. Camera, dirette al “porterò” “che non dea impaczo” all’ Università. Al corriere va dato il resto del suo salario. Gli eletti avevano visto una commissione del “porterò”, spedita il 1 settembre contro Alfonsecto de Adenulfo e sottoscritta da Michele de Afflitto e da due razionali, secondo cui il “porterò” avrebbe invece avuto tale potestà. Tra la R. Corte e l’Università c’era una questione per circa 700 ducati di diritti fiscali. In conclusione, gli eletti stabiliscono di pagare al “porterò” tari 5 per i due giorni impegnati e questo secondo la commissione suddetta. Il sindaco ha letto certe lettere inviate da Perroloise Quaranta e dal not. Vincenzo Salsano, che sono a Napoli per “lo bisogno” dell’università. È necessario mandare la risposta. Si dispone di pagare al messo grana 15, più le grana 10 che vuole per portare la risposta a Napoli. Se non volesse tornare, il sindaco deve trovare un altro messo e dargli il salario che si dà di solito “ad simili missi mandati ad posta”.

F 5) 13 settembre Si riuniscono gli eletti “de li mandati de lo monasterio” e parte degli eletti ordinari nella curia del not. Andrea Casaburi. Ordinano al sindaco di farsi fare la copia di un contratto fatto da d. Francesco de Abundo, notaio apostolico, fra il procuratore del monastero e l’Università, nei giorni passati; l’Università dovrebbe mandare alcuni eletti, per via di una lettera inviata all’abate dal Gran Capitano, per la concessione di alcuni capitoli. E se vuole esser pagato, gli si paghi quanto è giusto.

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14 settembre7 Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Andrea Casaburi. Ordinano che nessuno né cittadino né forestiero o abitante in città possa alloggiare alcun forestiero senza licenza del Governatore o del sindaco o di Domenico Casaburi o “de ciascuno de loro in solido”, e con la licenza non si incorrerà nella pena che sarà contenuta in un bando da farsi dal R. Governatore, che sarà di un ducato per i contravventori. Viene incaricato Perro Antonio Longo di dame notizia al Governatore.

16 settembre Si riuniscono nella curia del not. Andrea Casaburi gli eletti “de lo Regemento” e quelli “dela pesta”. Ad evitare il diffondersi della peste, si ordina di bruciare un pagliaio sotto il casale di Casaburi. Né il proprietario né alcuno di casa sua dovrà allontanarsi dal luogo dove si trovano al presente. Anche coloro che hanno avuto “contatto” col fu Perroloise de Alfero non devono “practicare” fino a nuove disposizioni. Si dispone di mandare un uomo a Salerno da messer Joanne per presentargli la lettera mandata dalla regina circa il fatto della tragola e chiedergli di rispettare i privilegi della città, secondo il tenore della lettera. Il sindaco e il cancelliere devono recarsi dal Governatore del mastro del mercato di Salerno e mostrare i privilegi della città; ciò a causa di un impedimento fatto ad un cittadino di Cava nella città di Salerno, costretto a presentarsi al mastro del mercato, in conseguenza di un avvenimento del tempo di guerra. Se questo impedimento dovesse rimanere, se ne farà un altro parlamento. Le spese e la cavalcatura saranno a carico dell’università. Si deve mandare un uomo a Napoli con tutte le scritture in favore dell’università nella causa col monastero, dandogli tre carlini come salario.

17 settembre Si riuniscono gli eletti ed altri “particolari” nella curia del suddetto notaio». Si è avuto sentore di sospetto di peste nella città di Nocera. Si delibera che il cancelliere e il sindaco facciano una lettera all’Università, al sindaco ed agli eletti di Nocera

7 Trascritta integralmente da T. AVALLONE, La relazione della peste del 1656, in Appunti..., 1, cit. p. 70.

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lamentandosi che di tale sospetto non sia stata data notizia e che d’ora in avanti non facciano andare nessuno senza “bolectino”, “altrimente non le faranno intrare”. Si ordina che si faccia un mandato da parte del Governatore e degli eletti a certi sospetti di peste di Santa Lucia, con il divieto di “practicare” senza licenza rilasciata da loro e di uscire dalle loro case sino a nuovo provvedimento. Saranno pagate grana tre al giurato che andrà a portare questi ordini.

18 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. A causa del cittadino cavese “impedito” nella città di Salerno, che aveva dovuto presentarsi davanti al “mastro del mercato”, si decide che vadano a Salerno il vice sindaco not. Andrea Casaburi ed il cancelliere not. Antonino Gagliardo, per portare i privilegi della città e richiedere al mastro del mercato, da parte delle Cattoliche Maestà, il rispetto dei privilegi della città di Cava. Essi devono portare a Baptista Lomellino e compagni, arrendatori “de lo fundico delo sale” della Provincia di Principato Citra, e al “fundichiero” del sale la lettera della R. Camera della Sommaria, secondo cui si devono dare 1.600 tomoli di sale all’università di Cava, che deve averli dalla Regia Corte, e “fare opera se habia dicto sale”. Devono presentare a Joanne di Salerno una lettera della regina d’Ungheria8, secondo cui non deve “dare impaczo” ai cittadini di Cava sul fatto della tragola, ed invitarlo ad osservare i privilegi ed il tenore della lettera, altrimenti saranno avanzate proteste contro di lui. “Et perche non ej iusto che li predicti debiano andare ad loro spese”, avranno un tari. Il sindaco deve dare grana 15 a Jo. Marcho Jovene che nei giorni passati è andato a Salerno, per ordine dell’università, per il fatto del sale. Sono stati copiati vari documenti della causa che tiene l’Università contro i monaci, documenti mandati a Napoli al procuratore e avvocato della città. Vengono incaricati

8 Beatrice, ultima dei sei figli di Ferrante I d’Aragona e di Isabella di Chiaromonte, andata sposa al re d’Ungheria Mattia Corvino. Morto il re nel 1490 senza figli legittimi, la sua vedova osteggiò la successione al trono di Giovanni, figlio naturale di Mattia Corvino, appoggiando invece Ladislao di Boemia, con il quale contrasse anche un matrimonio segreto. Ottenuto il trono, questi la ripudiò. Beatrice rimase in Ungheria fino all’anno 1500, quando il papa Alessandro VI, malgrado tutte le lotte e i tentativi fatti da Beatrice per far riconoscere la validità del matrimonio, lo annullò. Ladislao, con la dispensa del Papa, passò a nuove nozze e Beatrice ritornò a Napoli, accolta dal fratello Federico, che intanto stava lottando duramente per difendere il suo regno. Ferdinando il Cattolico, nel suo viaggio a Napoli, nel 1506 si recò a farle visita (malgrado, con il suo tradimento, fosse stato l’artefice della fine del regno di Federico e della rovina della sua famiglia). Beatrice d’Aragona morì nel 1508.

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Michele de Anna e il not. Jo. Philippo de Parisi di “vedere quello che ej meritato per la dicta copia”. Il sindaco provvederà al pagamento.

19 settembre Nella curia di not. Andrea Casaburi. “Essendo Ila congregati” Michele de Anna e il not. Jo. Philippo de Parisi, hanno determinato che il sindaco paghi al not. Antonino Gallardo, per la copia delle scritture concernenti la causa contro i monaci, tari uno. Il sindaco deve disporre il pagamento anche per le copie di altri documenti, sempre riguardanti il rapporto con il monastero della Trinità.

20 settembre Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Andrea Casaburi. Avendo inteso la relazione del vice sindaco e del cancelliere, secondo cui Berardo Selvagio non voleva dare il sale che la R. Corte era tenuta a dare secondo gli ordini della R. Camera della Sommaria, dispongono di mandare un messo a Napoli con delle lettere: una a messer Michele de Afflicto, una a messer Iacobo Inserras ed un’altra a messer Berardino de Cioffo razionale; le lettere vengono spedite nello stesso istante. Il messo riceverà tari 1 e grana 10 e mezzo. Il sindaco e il cancelliere dovranno tornare a Salerno a fare un’altra richiesta al mastro del mercato di Salerno circa l’osservanza dei privilegi della città. Riceveranno come rimborso un tari per le spese ed uno per le cavalcature.

24 settembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo. Avendo il sindaco proposto molte cose circa il beneficio universale, ha ordinato: in primo luogo, che messer Andrea Longo, messer Perroloise Quaranta, messer Michele de Anna, messer Joanne Baptista dela Moneca9, messer Bartolo Casaburi e messer Joanne Gagliardo debbano personalmente presentarsi al priore del monastero della SS. Trinità e “ad quello fare grata risposta, dele bone parole et imbassiata” fatta da lui a messer

9 Nel 1531 commissiona, insieme a Benedetto della Monica, una cappella nella chiesa di S. Pietro a Siepi (FILANGIERI, cit., VI, p. 120).

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Andrea. Con queste buone prospettive, dovranno trattare, senza pregiudizio per i capitoli da poco concessi dall’abate, e riferirne all’università. Da antichissimo tempo è consuetudine che l’abate abbia cura di far “gratificare ali figliani delle ecclesie et parrocchie” e di mettere un prete nelle chiese per i “figliani” a loro gradito: essendo morto il cappellano della chiesa di S. Pietro a Siepi, Sua Paternità voglia condiscendere a gratificare i figliani di detta parrocchia ponendovi un prete a loro ”grato” e “ benevolo”. Vengono confermati e ratificati tutti i decreti e gli istrumenti fatti dall’università circa il divieto di esercitare la mastrodattia ed altri uffici nella città da parte dei cittadini di questa, “sub certa pena” “Item per che multe fiate alcuni electi soleno preponere molte cose per beneficio universale ad li altri electi ordenari de ipsa cita et de po se retrova per alcuni altri electi o alcuno de loro essere reportato non sencza vilipendio de ipso electo proponente [...]; ha ordinato dicta Università che tucti li electi ordinarli habiano ad jorare [...] de non reportare maj ne dire quello se propone in lo consiglio secreto ne dire lo tale electo have proposto tale cosa a lo consiglio”. Gli eventuali contravventori saranno allontanati dal consiglio [“sia casso”] per quell’anno. F 9 v) Per evitare il diffondersi della peste, l’Università nomina i seguenti eletti: “Perroloise Quaranta, not. Jo Philippo de Parise, Simonecto de Vitale, Frabitio de Falco, Bartholo Casaburi, Francesco Davi, messer Andrea Longo e not. Vicenczo Salsano”, i quali hanno ogni potere per provvedere a che la città “non se habia da infestare”. L’Università è debitrice della R. Corte di una certa somma, residuo dei tre tari per fuoco, e si insiste per il pagamento [l’Università “ej multo sollicitata et molestata de pagarle”]. Il tesoriere Jo. Pugiali, per mezzo dello scrivano Vicenczo de Mauro, propone, con grande beneficio per la città, che il pagamento avvenga per le feste di Natale. L’Università accetta ed ordina al sindaco e alla “mayore parte” degli eletti ordinari di fare la “cautela”. F 10) All’epoca si trovava a Salerno la regina d’Ungheria, Beatrice d’Aragona. L’Università ordina che si rechino a renderle omaggio “messer Andrea Longo10, Fabrizio dela Corte, messer Perroloise Quaranta, messer Jo. Baptista dela Moneca et messer Bartholo Casaburi”; dovranno anche “farle intendere” i difficili rapporti con i Salernitani, che non rispettano i privilegi della città di Cava, come il mastro del mercato; né è stata rispettata la franchigia della tragola, malgrado le lettere della regina.

10 Su questo avvenimento e su Andrea Longo cf. S. MILANO, Provvedimenti riguardanti la pubblica istruzione a Cava nel sec. XVI, in «Rassegna storica salernitana» N.S. n. 9, 1988 n. 1 (giugno), p. 240 n. 13.

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Si decide di acquistare della tela sottile, da quindici a venti canne, da donare alla regina, dicendole che l’Università è in debito e non ha potuto fare di più.

25 settembre Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Andrea Casaburi. F 10 v) Ordinano che il sindaco “mandi uno misso ad posta in Napoli” con una lettera a messer Vincenczo de Mauro con un contratto di messer Jo. Pugiali su 170 duc. dovuti dall’università alla R. Corte e per recuperare la polizza di ricevuta, secondo gli accordi presi col not. Vincenzo Salsano e con Perroloise Quaranta. Al messo sarà dato il solito salario di tari 1 e grana 10.

26 settembre11 Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Andrea Casaburi. Hanno ordinato che si mandi in Salerno messer Joanni de Anna “per la causa dela tragola et deli nostri privilegii et altre robe besognando sopra de zo”; per le sue spese, “famiglio et calvachatura” riceverà duc. 1 corrente. Il sindaco, gli eletti e il Governatore devono fare un bando che proibisca ai medici di visitare ammalati, ai barbieri di “insignare” qualcuno e ai notai di andare a far testamento ad alcuno senza licenza del sindaco, degli eletti o del Governatore; nessuno dovrà prendere panni dagli “azzematuri”, né gli speziali dovranno dare medicina “senza consulta deli medici ala pena de unza una applicanda alo S. Gubernatore”. Hanno ordinato che si paghi a Sciavo de Luciano tutto ciò che ha dato da mangiare, da bere e il letto per un corriere mandato da Napoli da messer Michele de Afflicto sui pagamenti fiscali. Hanno ordinato al sindaco di pagare a not. Joanphilippo de Parisi grana 10 per la copia di un contratto fatto dal sindaco ed eletti dei 150 duc. che deve avere messer Inserra, col signum del notaio, copia che dovrà essere mandata a Napoli.

28 settembre Gli eletti si riuniscono nella curia del notaio Andrea Casaburi. Hanno ordinato che notar Vicenzo Salsano debba recarsi a Nocera e a Pagani, 11

Trascritta integralmente da T. AVALLONE, La relazione della peste, cit. p. 70.

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portando con sé un uomo; gli si paghi la cavalcatura e il famiglio. Deve trovare “certe testimonianze per la causa dela tragola de Salerno per defensione deli nostri privilegii” pagando “quello serra suo arbitrio” in quanto dette testimonianze “andranno in Salerno” per essere esaminate in giornata. Lo stesso giorno gli stessi eletti riunitisi nella curia del not. Casaburi hanno ordinato al sindaco di querelare presso il Governatore Fabritio delo Fumo e il figlio Leonardo, perché era stato loro proibito “pratichare”, in quanto “erano et so infecti et suspecti actiso che sinde so tornati intus et senza licentia loro et del S. Gubernatore”. F 11 v) Lo stesso giorno gli eletti hanno ordinato al sindaco di pagare il messo mandato a Salerno a portare una lettera a Joanne de Anna, “per causa che ipso messer Joanne non parta”, perché domani saranno esaminate le testimonianze giunte a Salerno circa il fatto della tragola. Al messo si daranno grana dieci “per che la hora est tarda et quasi nocte”. [Solo tre eletti fanno questa delibera: not. Joanphilippo de Parisi, notar Vicenzo Salsano e messer Joanne Gallardo].

1 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Ordinano al sindaco e al cancelliere “che si habia ad fare” una lettera di favore a messer Colantoni Quaranta, indirizzata alla regina d’Ungheria.

2 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco espone molte cose e principalmente espone il problema dei pagamenti fiscali. L’Università deve reperire circa 600 ducati, compreso il residuo dei tre tari per fuoco. Bisogna inoltre “mandare in Napoli” dal Gran Capitano “per alcuni besogni universali” e dalla regina d’Ungheria a causa della differenza della tragola con Ioanne Gnirsulo[?] di Salerno. L’Università delibera che gli eletti ordinari in numero “da sei in su inclusive” possano cercare di avere la suddetta somma con l’interesse minore, possano provvedere a “mandare in Napoli per li besogni preposti” e in più, poiché per “li besogni che accascano da hora in hora non se po accossi de farli congregare”, dà loro potestà di poter deliberare “circa li bisogni et occurrentie” dell’università, per una spesa massima di 30 carlini, in numero da sei in su e tali delibere avranno valore come se fosse stata congregata tutta l’Università; le spese saranno bonificate al sindaco e gli eletti dovranno fargliele rimborsare. 44


3 ottobre Gli eletti hanno ordinato che si mandi “Hectorro Cafaro de Cava” a Napoli per portare a Francesco Spinola, mercante genovese, duc. cento come parziale rimborso di un prestito fatto all’università per il pagamento dei tre tari per fuoco e dal quale “habia da recuperare idonea cautela”. Hectorro dovrà essere pagato per le sue spese.

F 12 v) 5 ottobre Si riuniscono gli eletti in numero di dieci, nella chiesa di S. Giacomo. Circa “lo grano delo partito”, ordinano a Perroloise Quaranta e Michele de Anna di andare alla Marina a vedere il grano, “et de po referire ala Università dela bontà et qualità de dicto grano”, e ancora di provvedere dei “magazeni” dove messer Angelo de Vitale dovesse riporre il grano; al sindaco tocca il compito di trovare le cavalcature per i due incaricati e pagarle grana 10 ciascuna.

7 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “per banni emissionem” e alla presenza del Governatore. Visto un tomolo di grano “portato delo partito delo grano” e ascoltata “la referenda” di Perroloise Quaranta e Michele de Anna, l’Università delibera di vendere il grano del “magazeno” di Ramundo Cantarello; le trecento “thomena” all’incirca che sono nel magazzino di Angelo “nollo habia ad vendere per mo per che so un poco bagnati”. Gli altri grani ancora da scaricare devono essere riposti in un altro magazeno e non dovranno essere venduti prima del controllo sulla loro qualità da parte di incaricati dell’università i quali potrebbero essere indifferentemente scelti o no fra gli eletti e l’assisa non dovrà essere minore di once 32 per 3 tornesi “secondo lo passato”. Si delibera inoltre di emanare un bando che proibisca ai cittadini di vendere più di un tortano di pane ai forestieri e “ni grano ni farina”.

8 ottobre Si riuniscono gli eletti. Ordinano che si paghi a Ioanne de Anna a complemento del suo salario per l’andata che fece in Salerno per il fatto della tragola, dove “vacao” quattro giorni con famiglio e cavalcatura, una corona, perché ne aveva già ricevuta un’altra “et che ipso si habia ad accordare lo famiglio”. 45


Ordinano “che siano facti boni alo sindico in lo ponere de sui cunti” tari tre che pagò al detto Ioanmarco dei denari dell’Università per l’esame di cinque testimonianze e per altri atti fatti in detta causa. Lo stesso giorno, poiché la R. Corte richiede i pagamenti fiscali, cioè i residui di agosto e il residuo dei tre tari per fuoco, e “ad questo effecto si è venuto lo porteri”, non avendo l’Università modo di pagare, deliberano di prendere denaro in prestito al minor interesse possibile. E, fatta una ricerca diligente, non si trova altro partito se non quello di Leone dela Moneca12, di vendere duecento tomoli di grano a Salerno alla ragione di tari 3 e grana 5 il tomolo; questo ed altro grano sarà venduto come meglio si potrà e il denaro ricavato dalla vendita sarà speso in parte per la tassa dei tre tari per fuoco, in parte per il residuo di agosto e in parte per la rata dovuta a Davit Imparato. Il sindaco ha piena potestà di dare in pagamento a Leone dela Moneca la gabella che vorrà per detto prezzo per il mese di dicembre prossimo, girandogli da adesso la partita. In più, decretano di mandare a Napoli Perroloise Quaranta tanto per pagare i pagamenti fiscali alla R. Corte, quanto per la causa dell’università con i monaci e per la causa della tragola e per ottenere dal Gran Capitano lettere per poter esportare dalla Sicilia “li grani delo partito”, altrimenti si sarebbe corso il rischio di diventare “tucti quasi affamati”. Il Quaranta riceverà il solito salario e potrà spenderlo “secondo lo besogno parerà in Napoli”. Hanno anche ordinato che si paghi al notaio Antonino Gallardo tari uno per due copie che fece in Salerno, una del capitolo della conferma dei privilegi delle franchigie, fatta dal Gran Capitano, l’altra di un capitolo dello stesso privilegio secondo cui i cittadini cavesi non potevano essere costretti a presentarsi al mastro del mercato, come era successo nello scorso mese di settembre. Hanno ordinato di pagare ad Angelo “porteri” della Sommaria tari due e grana quattro per la spesa fatta all’osteria di Zabacto dove alloggiò due giorni quando venne a comandare al sindaco e agli eletti di presentarsi a Napoli, a causa dei pagamenti fiscali dovuti alla R. Corte.

12 ottobre In Scazaventulis, e propriamente sotto il portico del l’osteria di Sciavo de Luciano, si riuniscono gli eletti. Su proposta del sindaco circa il problema della peste e la necessità di provvedere “per ne posseremo rendere salvi”, dispongono di nominare due guardiani per sorvegliare gli ingressi del Borgo e impedire l’entrata ai forestieri “senza bolectino” e ai cittadini sospetti di peste. Viene incaricato il not. Ioanmarco Iovene di “guardare lo cancello de

12 Nella chiesa di S. Pietro a Siepi c’è la sua lapide tombale, con lo stemma e la scritta «Leo de Monica et Antonella coniuges hic conquiescunt ann. sal. MDXXI».

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capo lo burgo” e “in pedi de dicto burgo” Liberato de Conteri. Essi avranno la solita “provisione” data ai guardiani dei cancelli nei tempi passati. F l4 v) Il sindaco deve recarsi alla presenza del Governatore e del Vicario e supplicarli di non tenere corte per alcuni giorni, per poter provvedere alla salute della città e “cavare fore lo morbo”. [Seguono, con gli altri, anche i nomi degli eletti per la peste].

13 ottobre

Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Antonino Gallardo. Il Governatore “voleva questa matina calvaczare” ed andarsene dalla città a causa della peste. Era stato pregato di mantenere corte per il sospetto di peste, ma ad evitare che fosse partito, per poter amministrare la giustizia nel caso si rendesse necessario, per il fatto della peste per incutere timore agli “inhobedienti et scandalusi” e per ovviare agli altri inconvenienti che potrebbero sorgere per la sua assenza dalla città, gli eletti decretano di dargli una sovvenzione di dieci ducati correnti per un mese durante il quale dovrà intervenire ogni giorno al Borgo degli Scacciaventi con gli eletti per provvedere a tutto quello che dovesse accadere giornalmente. Il sindaco riceve la disposizione di pagare i dieci ducati man mano che avrà il denaro.

14 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem per lo Burgo” degli Scacciaventi per Antonino de Amphora, giurato della città, per molte urgenti e grandi necessità della città. Avendo il sindaco proposto molte necessità e bisogni della città, soprattutto “delo facto dela peste la quale tanto si ej dilatata per la cita, et ancora delo facto dello grano parea sinde andasse in fumo senza ordene nullo in modo che in brevi dì faria dicto grano spazato in detrimento de ipsa Università”, l’Università congregata decreta che tutti gli infetti “si habiano ad cazare”, soprattutto quelli del borgo degli Scacciaventi e si debbano isolare i sospetti, dando potestà al sindaco e agli eletti di assoldare quattro o sei uomini per servire gli infetti e i sospetti ; il sindaco farà “Ile spese ad dicti infecti et suspecti che da loro non si poranno mantenere, durante il tempo dell’infezione o del sospetto d’infezione”, annotando “ad chi” si faranno dette spase. Una volta guarito, chi può pagare sarà tenuto a rimborsare queste spese, anche costringendolo avanti al Governatore; per chi è povero, le spese saranno a carico dell’università. F l5 v) L’Università dà pieno potere al sindaco e agli eletti “delo governo et dela peste” e alla maggior parte di loro su quanto decreteranno e faranno circa il “partito delo grano”; i denari che si pagheranno “per commissione loro a quelli so ordinati” saranno a carico dell’università. Essi possono inoltre ricorrere ad ogni altro espediente per

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scacciare la peste. L’Università ratifica e accetta tutto quanto è stato fatto finora sia come spese che come decreti, specialmente il decreto di dare dieci ducati al Governatore per farlo restare a Cava “ad dare omne expediente necessario et oportuno circa lo facto dela peste predicta et omne altro occurrente besogno de epsa Università”. Quanto al fatto del grano che sembra andare in fumo, decretano che non se ne debba dare “ad persona nulla de dicta cita né ad foresteri”, ma solo ai cittadini nel seguente modo: ai panettieri una salma per volta e ai cittadini uno o due tomoli per volta e non di più, di modo che il panettiere ne abbia tre some a settimana e il cittadino secondo il bisogno che ha in casa. F 16) Il credenziere dovrà dar conto “ad chi dà dicto grano”; dovrà intervenire con quelli che vanno troppo spesso, commettendo un dolo, per evitare che, riuscendo a fare “moltetudine” di grano, lo vendessero poi fuori città ai forestieri. L’Università ha ordinato che venduto il “grano delo partito” “che se vende allo presente de Rezardo de Cava”, si debba “clamar lo credenzeri che porte lo cunto suo et quinterno” per vedere che si è fatto del grano e a chi si è venduto, affinché l’Università non resti ingannata. Affinché Vietri, la Marina e “Ile Moline non si habiano ad infettare”, l’Università ordina che si scriva una lettera al credenziere perché non faccia dare grano, né si macini, se non per quelle persone che porteranno le bollette ordinate dall’università; le bollette si dovranno fare per il grano e il mulino. “Lo ordene delle bollette ej questo” : che agli uomini della provincia di S. Adiutore rilasci la bolletta Berardino de Adenulfo, agli uomini del “Corpo dela Cava” Andrea Longo, e in sua assenza Ioanne Catozo, agli uomini della provincia di Passiano not. Ioanphilippo de Parisi, agli uomini della provincia di Mitigliano Bartholo Casaburi, agli uomini di Dupino, Santi Quaranta, Casaburi, l’Anna ad Alessia e Marini not. Andrea Casaburi e in mancanza di alcuno per tutte le province il sindaco, così che le bollette non si possano duplicare.

17 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo riferito messer Perroloise Quaranta, mandato a Napoli per pagare certi denari alla R. Corte, per il fatto della causa dei monaci e per ottenere lì di poter “caczare” dalla Sicilia “ li grani delo partito” fatto con Angelo Vitale e per il fatto della tragola ed altre cose dell’università, considerato necessario mandare un uomo a Napoli per seguire le predette cose, il quale vi rimanga il tempo necessario, si dà questo incarico al not. Vincenzo Salsano, che riceverà come salario tre carlini al giorno.

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F 17) Si era sparsa per la città la voce che le moline stessero male in ordine. Gli eletti incaricano il sindaco e Fioravante Troise di recarsi a vedere le moline e intendere se i molinari hanno obbedito alle disposizioni e posto in ordine le moline. I due incaricati dovranno riferire agli eletti quello che trovano “et che abbiano la collatione per questa matina”. Ordinano al sindaco che in ogni modo faccia chiudere il borgo degli Scacciaventi, così che non si possa entrare che “da capo” o “da pede” del borgo, per difendersi dalla peste e sapere con chi “practicare”, perché potrebbe entrare uno infetto o sospetto ed infettare un cittadino. Tutte le spese saranno a carico dell’università. Si devono cercare [“requedere et monire”] tutti gli infetti e sospetti del borgo che si vogliono cacciare fuori, insieme con le loro robe. Essi dovranno andare “ali lochi ad loro deputati per li electi altrimenti la Università deliberara de fareneli abrusare quando non obediranno”, affinché l’infezione non si propaghi.

F 17 v) 18 ottobre Gli eletti decidono di mandare un messo alle Camerelle [“ad lo Faro dele Cabarelle”] a chiamare not. Vincenzo [Vicenczo] Salsano, perché l’Università ne ha bisogno per mandarlo a Napoli “per alcune facende de ipsa Università”.

19 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco, accompagnato da un famiglio del Governatore, deve prendere per l’Università il grano “delo partito” sequestrato a nome dell’università, ma che Macteo Testa aveva comprato. E se detto Matteo ha commesso un errore e non ha rispettato i bandi emanati dall’università, sia “multo ben castigato” dal S. Governatore. Gli eletti deliberano un donativo di due botti di vino di S. Severino “o delo bono” dello stesso tipo, per Berardino de Cioffo, razionale della R. Camera della Sommaria per benefici fatti all’ Università e che T Università spera di avere anche in futuro. F 18 Messer Ioanne de Anna si era recato a Salerno “quando nce fo la regina de Hongaria” per il fatto della tragola di Salerno, ”dove vacao cincho dì”. Il suo salario era stato stabilito in due corone “per suo salario et spese etiam de famigli”. Poiché sembra sia poco, annullando tutti i precedenti decreti, gli eletti deliberano che gli siano dati “omnibus computatis per dicti cincho dì”, incluso il salario del suo famiglio, tre ducati correnti.

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22 ottobre Si riuniscono gli eletti “delo Regimento et dela causa tene la Università con li abbate et monaci de lo monasterio de dicta cità” nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco riferisce su lettere spedite a lui e agli eletti da not. Vincenzo Salsano, che sta a Napoli per la causa predetta, in cui scriveva che “subito volando” gli si dovevano mandare gli articoli repulsatorii. Finora gli articoli repulsatorii non erano stati spediti né era stato dato debito ordine. Gli eletti deliberano che si facciano detti articoli, con i testimoni e “co ogne ignominia loro che se po dire de ipsi per defensione de la causa de ipsa Università” e tutte le “repulse” e ignominie che riceveranno i testimoni saranno fatte agli eletti e a tutta la città e non a particolari cittadini. F l8 v) Gli eletti ordinano che il sindaco “oge” non debba andare via “dali Scaczaventi”; deve tenere con lui messer Lucio de Corte, messer Ioanne Gagliardo, messer Michele de Anna, not. Joanphilippo de Parise e not. Antonino Gagliardo, per fare gli articoli “repulsorii” secondo un estratto dato loro dagli eletti, con potestà di aggiungere o diminuire ogni cosa a difesa della causa. Gli articoli devono essere pronti “per questa sera, et volando se habiano da mandare in Napoli ad not. Vicenczo” con un uomo “ad posta”, che deve essere pagato molto bene, purché gli articoli giungano a destinazione “craj ad hora de consiglio” ; si mandi anche del denaro al procuratore. Il sindaco dovrà far fare colazione ai “deputati” al borgo, affinché si faccia più presto possibile per la spedizione. Al messo si daranno tari due purché arrivi a Napoli al tempo predetto. Il sindaco deve dare un ducato al procuratore della cappella di S. Sebastiano, parte di una somma già destinata a questa cappella, per lavori di muratura. Bisogna pagare al “porterò” del Sacro Consiglio tari uno e grana dieci per la copia di un mandato fatto all’università, al sindaco ed eletti “che non debiano innovare cosa alcuna ali abbate et monaci delo monasterio de dicta cita”.

F 19) 21 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. “Avendono intiso la referenda” fatta dal not. Joanphilippo de Parise, mandato dal priore del monastero della SS. Trinità per la causa che ha il priore contro messer Luca Gagliardo, gabelloto del pesce, per “farli intendere che non potea scomonicare dicto messer Luca” e che doveva rispettare privilegi e istrumenti concessi in passato; avendo detto “alcune parole” anche il Governatore, gli eletti rispondono che anziché far passare di padre in figlio la gabella del pesce, per una volta l’hanno venduta a messer Luca con i soliti capitoli e deliberano che si esponga al vicario mandato dal priore che gli eletti a nome dell’università e lo stesso messer Luca si contentano di quanto hanno esatto

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finora da detta gabella e quanto si esigerà in futuro sarà depositato; successivamente si farà una minuta da mandare ad un consultore non sospetto. L’Università e messer Luca accetteranno il suo giudizio. Questo deposito non dovrà pregiudicare le ragioni né del monastero, né dell’Università né di messer Luca, perché sono tutti “in eodem robore fi ad tanto lo caso venera determinato da dicto consultore”. Il sindaco deve fare questa “imbassiata” al vicario, che a sua volta deve riferire al priore quanto detto dal Governatore e dagli eletti. F 19 v) Gli eletti, considerata l’importanza del “partito delo grano” fatto dall’università e della funzione del “credenczero” che “sta a la Marina sopra dicto grano”, decretano che ogni mese ci sia un credenziere diverso e dal mese prossimo tocchi alla Provincia di Passiano, che propone questi nomi: Frabitio dela Corte, Costantino Capova, Philippo Sorrentino e Zopto Iovene. Viene nominato credenziere Zopto Iovene, “homo antiquo practico et da bene”, il che non vuole essere un giudizio negativo per gli altri o per il presente credenziere, che deve essere rimosso dal suo ufficio. Lo stesso giorno gli eletti hanno ordinato di pagare il messo mandato da Napoli a Cava da not. Vincenzo Salsano, che “sta Ila” per ordine degli eletti “dela causa deli monaci”.

F 20) 25 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Lette certe lettere di not. Vincenzo Salsano “che sta in Napoli per la causa deli monaci” e considerando che ci sono da citare altri testimoni e solo oggi c’è di tempo, ordinano che il sindaco mandi più giurati a citarli e, poiché Ioanne Calabrese non può citare per oggi detti testimoni, hanno ordinato che si mandi in compagnia di un famiglio del S. Governatore, che può citarli e che dovrà essere pagato e “ad Jacobo che citao certi altri testimoni” saranno dati grana 5, per che è importante fare le citazioni in giornata.

26 ottobre Si riuniscono gli eletti della peste nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco fa leggere una lettera degli eletti napoletani circa disordini “de alcuni inobedienti citatini de questa cita”, sospetti di peste, che si erano recati a Napoli senza prescritto bollettino. Per non avere “interdicta la practica”, si dispone di rispondere con una lettera ai detti eletti “de bona maniera”, secondo cui nessun cittadino o abitante di Cava potrà più andare a Napoli senza bollettino controfirmato secondo le disposizioni già date e se dovrà portare fuori “robbe” occorrerà la firma di due eletti o del sindaco e di un 51


eletto. Si stabilisce anche una pena. Inoltre si manderà agli eletti di Napoli la lista degli infetti della città. Gli eletti ordinano che si faccia un bando che tutti i cittadini o abitanti della città che volessero andare a Napoli debbano ottenere il sopraddetto ordine alla pena predetta. Nello stesso bando “se ordene et commanda” da parte del Governatore e degli eletti che tutte le persone alle quali è stata vietata “la practica” e sono state cacciate fuori come infette o sospette, non debbano “desordenare”, nell’ubbidire agli eletti sopra di ciò deputati, e se alcuno fosse venuto al borgo, debba andare “alo loco ad loro deputato” e non se ne allontani senza licenza di detti eletti.

28 ottobre Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Silvestro sindaco. Il sindaco propone molte cose e soprattutto il problema del “grano delo partito”, quello del commissario che è venuto per i pagamenti fiscali e quello della scomunica fatta dal priore contro Luca Gagliardo “gabelloto delo pesce”. Si decide di rispondere al commissario che alla fine del mese si riscuoteranno le paghe delle gabelle e l’Università potrà soddisfare il più possibile il suo debito. Quanto al fatto della scomunica, deliberano di mandare a Napoli Andrea Longo, il quale, con il not. Vincenzo Salsano che già si trova lì, deve recarsi dal Gran Capitano ed informarlo che, volendo i monaci “recoglere da quello che vende lo pesce ad loro uno grano per carlino”, sia lecito che l’Università ordini al venditore che debba far franco chi compra il pesce per i monaci di un tornese per carlino; similmente chi vende il pesce della decima del monastero dovrà pagare grana uno per carlino al gabelloto, secondo i capitoli fatti “da tempo fo facta dicta gabella” dall’università per far fronte ai pagamenti fiscali. Nonostante che l’Università per pubblico istrumento avesse stabilito che tutto quello che fosse stato esatto e da esigersi venisse messo in deposito, per poi far fare “lo casso o vero punto” da un consultore non sospetto, esigendo la somma che questi avesse determinato, il priore ha scomunicato per tutte le chiese della città il gabelloto del pesce, messer Luca Gagliardo. Similmente dovranno dichiarare al Gran Capitano che i dì passati a causa di detta gabella i monaci fecero un’altra “scomonicatione” contro gli eletti. In quanto al fatto dei grani, hanno decretato che si debbano scaricare i grani “che so sopra lo navilio” e porre in un “magaczeno”. Di quello se ne prenderà una parte secondo i capitoli, per venderlo. Il sindaco e Fioravante Troise ricevono l’incarico di informarsi del prezzo del grano di pari qualità e bontà e di verificare se è giunta tutta la somma di dodicimila tomoli e riferirne affinché si possa provvedere all’interesse della città. Essi devono inoltre indagare “soctilemente” se “ Angelo e compagni delo partito haveno facti venire più grani de quello che hanno scarrecato ala marina de Veteri per lo partito”. Si paghi al commissario “la despesa sua che ha facta per la causa predicta”.

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F 21 v) 29 ottobre Si riuniscono gli eletti “innante la curia” di not. Ioan Philippo de Parise. Decidono di mandare a not. Vincenzo Salsano a Napoli per la causa “deli monaci” due ducati in conto del suo salario, per mezzo di Andrea Longo che va a Napoli a parlare col Gran Capitano “per la causa de dicti monaci”. Anche messer Andrea Longo per la sua andata a Napoli deve avere due ducati per le spese, cavalcatura e garzone. Gli eletti ordinano al sindaco di pagare al commissario ducati cinque in parte di quello che l’Università deve alla R. Corte e di pagare le spese al commissario e al “porterò”. Deve intervenire Fioravante Troise al loro conto, “per intendere quello hanno avuto per spesa li dicti commissario et porterò”.

30 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo inteso che messer Luca Gagliardo “dela Cava” era stato cacciato da Napoli, nonostante le lettere mandate dall’università ai Sig. Napoletani, “hanno ordenato che se facza lectera ad dicti S. electi de bona manera che restamo admirati de tale acto”, giustificando il viaggio a Napoli di messer Luca. Al messo che deve portare questa lettera a Napoli si daranno tari due perché deve tornare presto.

F 22) 30 ottobre13 Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo “per alcune facende importanti ala Università”. L’Università è debitrice di una certa quantità di denari al banchiere Francesco Spinola. Poiché non ha modo di pagare, si delibera di mandare a Napoli Hectorro Cafaro a cercare un accordo con lui, offrendogli “alcuna cosa” per ottenere una dilazione di un mese. In più gli eletti hanno ordinato che Hectorro Cafaro porti cento ducati, o di più se il sindaco glieli può dare, alla R. Corte, per la rata dello scorso agosto e per i tre tari per fuoco, e ne ottenga “polisa de recepto da ipsa Regia Corte”. Si decide di salariare per ducati 18.[...] delo Fumo “che habia ad gobernare et corare

13 Stessa data della precedente delibera: die penultimo mensis octobris.

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tutti infetti de questa cita et quelli che moraranno sepellire et sopterare per bono modo che li cani non li habiano ad magnare et depo annectare tucte Ile case infette” e fare ogni altra cosa necessaria ed opportuna. L’Università aveva ordinato che fossero “creati” due guardiani per sorvegliare gli infetti e i sospetti di S. Adiutore: ciò non si ritrova scritto. Si delibera di pagarli 10 carlini al mese ciascuno, cominciando dal giorno in cui furono posti i bandi “alo Tressete” per questa causa, cioè dal 17 ottobre ad oggi. F 22 v) Da oggi in avanti gli eletti intendono consultare l’Università. Si paghino a not. Joanphilippo de Parise grana 10 per la copia “delo protesto” fatto dal sindaco contro il priore e i monaci del monastero.

2 novembre Gli eletti, considerando il bisogno dell’università, che non ha modo di far fronte ai pagamenti fiscali, deliberano di donare una tela di canne 20 larga in mezzo a Michele de Afflitto, che “ej quello homo che ej” e cerca di favorire sempre l’Università, perché ne potrebbero derivare molti benefici per 1’ Università stessa.

3 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Decidono che si paghi il solito salario al mastro d’atti mandato dal Consiglio per la causa tra 1’ Università e i monaci (8 carlini al giorno per 11 giorni). F 23) Si paghino tre carlini al messo venuto da Napoli a Cava, e mandato al sindaco e agli eletti da Andrea Longo e Vincenzo Salsano, che “stanno ad Napoli sindici per facto dela Università”.

5 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo Andrea Longo riferito quello che ha fatto in Napoli, dove fu mandato per i pagamenti fiscali, per la tragola e per la causa dei monaci, deliberano di donare una tela sottile, dalle 25 alle 30 canne, a Michele de Afflitto, “quale tela se havesse pigliata in Napoli da alcuno deli nostri”. Andrea Longo, mandato a Napoli “alo medesimo effetto”, ha riferito che la tela fu presa da lui e da not. Vincenzo Salsano in credito da Paride de Rosa in Napoli, per il prezzo di ducati 17 e mezzo. Il sindaco deve pagare questi ducati 54


c perché con questo dono l’Università ha conseguito e conseguirà molti benefici da h messer Michele. e Deliberano di pagare per avvocato, “ultra quello che havimo ala causa dela Università con li monaci”, Pirro Pisanello di Napoli e che “per mo seli mandano in g cunto de suo salario duc. tre de carlini”. l i F 23 v) Gli eletti hanno “inteso” che il Governatore ha ricevuto l’ordine di far tener s corte nell’udienza dell’abate al not. Thomase de Catoni e di immetterlo nell’ufficio di a mastro d’atti. Ordinano al sindaco di andare dal Governatore a chiedergli copia di tale r ordine per far ricorso al Gran Capitano. Il fatto che il mastro d’atti sia un cittadino può a portare molti mali ed estorsioni indebite. Intanto si deve chiedere al Governatore di n rispettare i privilegi della città, di soprassedere nel porre nell’ufficio di mastro d’atti il n not. Catoni e pregarlo di “replicare” sulla questione al Gran Capitano. o Si paghino ad Hectorro Cafaro i duc. 12 che diede a Francesco Spinula “per la gracia ne “ f a c t o

fece uno mese de centoventi ducati”[dal quale l’Università aveva ottenuto la dilazione di un mese per il pagamento di detti denari]. Si paghino ad Hectorro Cafaro tari cinque, da lui dati a Nardo Andrea Fronda, procuratore dell’università nella “causa deli monaci” e grana cinque da lui pagati al “porterò delo consiglio”.

Si paghi a Hectorro Cafaro “lo solito salario”, cioè carlini 5 al giorno, per 4 giorni in cui “vacao ad portare certi denari ala Corte e ad obtenere la dicta grazia et dilatione da b dicto Francesco Spinula tari deici”. o n i F 24) Gli eletti ordinano che si “faczano boni” ai conti del sindaco i 142 ducati, tari 1 e grana 12 che not. Antonino Gallardo, luogotenente del sindaco, diede a Perroloise a Quaranta, spese straordinarie fatte da lui in beneficio dell’università; all’avvocato duc. l 2, tari uno e mezzo per certe scritture e altrettanto per “palombelle” portate all’avvocato, l tre ducati per le giornate che “vacao in Napoli”. o Nei giorni scorsi il not. Antonino Gagliardo, luogotenente del sindaco, aveva consegnato a Hectorro Cafaro duc. cento da pagare alla R. Corte. Hectorro dice che nell’“assignare” p detti denari fu trovata mancante la somma di undici tari. Al not. Antonino consta o averne consegnati 100, Hectorro fa fede che ne mancavano tari 11 e gli eletti “per non se n dare carrico ad nullo”, deliberano di far rimborsare dal sindaco, al quale saranno e “facti boni”, i tari 11 ad Hectorro Cafaro “per havenereli pagati de li soi fi ala summa r de cento ducati”. e Si paghi a messer Joanne Gagliardo e a not. Antonino l’assistenza da essi fatta per d undici giorni al commissario che esaminò le “repulse” e il produrre dei testimoni “dove e in verità pigliaro faticha assai”, non per salario ma per una “collatione”, s o i c u n t i ” , p e

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Dovendosi stabilire il salario del “credenczero sta alo partito delo grano”, che deve essere pagato da messer Angelo Vitale, decretano che il suddetto salario sia di tari 12 e mezzo al mese. F 24 v) [Ai nomi degli eletti segue una lista di altri quattro nomi, di uomini “vocati ed adiunti”: Luca Gallardo, Hectorro Cafaro, Bartolo Casaburi, Simonecto de Vitale].

9 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “more solito” ed in presenza del Governatore. Molti cittadini lamentano che messer Angelo Vitale non osserva i capitoli e quanto fatto dall’Università circa “lo partito delo grano” e che si era convenuto che dovessero giungere per il 15 ottobre 12.000 tomoli di grano nella Marina di Vietri; l’Università riunita decreta che messer Angelo sia costretto all’osservanza dei capitoli, affinché la città abbia la quantità di grano che 14 deve avere, e che si faccia ogni debita “provisione” per l’osservanza dei capitoli . Poiché messer Angelo ha contravvenuto ai capitoli e non ha fatto portare nella Marina di Vietri i 12.000 tomoli di grano per la metà di ottobre, il che, per essere “in quisto tempo che simo porria redondare in grande prejudicio”, il sindaco deve recarsi alla Marina di Vietri e comandare all’uomo di messer Angelo Vitale di consegnare il denaro proveniente dalla vendita del grano “delo partito” al credenziere dell’università, Zopto Juvene, che lo custodirà “ad opus dicte universitatis” e per maggiore cautela si farà spedire un mandato dello stesso tenore dal Governatore.

12 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Francesco de….“have sosorrato et dicto che lo grano delo partito ey fracito”, mostrando nel borgo del grano fradicio, dicendo che era quello “delo partito” e facendo sollevare il popolo contro il sindaco e gli eletti che facevano vendere detto grano, “Ilo che sta per possebele ad essere et non essere lo vero”: se fosse vero sarebbe degno di punizione Angelo [Vitale], se no, Francesco per aver sobillato il popolo. Siccome messer Angelo è tenuto ad osservare i capitoli e se ha commesso l’errore di far vendere 14 È opportuno ricordare che contemporaneamente un episodio analogo ma di ben più vaste proporzioni aveva coinvolto a Napoli il mercante Paolo di Tolosa. Consalvo di Cordova fu sospettato di connivenza nelle manovre speculative di cui fu accusato il mercante. Su questo episodio e più in generale su questo periodo storico cf., fra gli altri, G. D’AGOSTINO, Il governo spagnolo nell’Italia meridionale (Napoli dal 1503 al 1580) in Storia di Napoli, voi. Ili , Napoli, ESI, 1976, pp. 9-20; G. CONIGLIO, I ViceRe spagnoli di Napoli, Napoli, Fiorentino, 1967, pp. 7-13.

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“grani fraciti” deve essere castigato, gli eletti deliberano che il sindaco, Bartholo Casaburi, Fioravante Troise e il cancelliere si rechino assieme a detto Francesco alla Marina di Vietri per controllare; se si troverà che ha ragione, si procederà per via di giustizia contro Francesco “e che molto bene sia castigato”, per aver suscitato uno scandalo contro gli eletti. F 25 v) Se Francesco è in errore, “da mo” danno il potere agli eletti e deputati predetti di fare querela contro di lui al Governatore. Uno dei “compagni de lo partito”, Richardo Cava, era tenuto a procurare per la metà di ottobre una certa quantità di grani; egli ha condotto alla Marina di Vietri del grano ma dice che non è tutto suo: gli eletti ordinano il sequestro di tutto il grano che c’è sopra il “navilio”, per farlo porre in magazzino; ordinano anche di sequestrargli “certa quantità de casi se dice have in Cetara”.

14 novembre Gli eletti si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo, “chiamati Ila per lo sindico”. Hanno ordinato che si risponda a Caradasso di Giffoni che Richardo Cava era “tenuto ala Università per resto di una rata” per tomoli 1.300 circa di grano, che il grano sequestrato sarà tenuto “da si ad tanto fa venire li soi” e che 1’Università non ha niente contro di lui ma con Richardo e il grano rimane sequestrato come sta. Hanno ordinato al sindaco di richiedere al Governatore di castigare Francesco de .... per la querela che gli ha fatto il sindaco a nome dell’Università. Hanno ordinato di fare una lettera di favore a Richardo Cava, indirizzata al Gran Capitano, dichiarando che il naviglio bloccato a Napoli dagli eletti napoletani, patronizzato da Io. Galiano Genuese, è carico “delo grano delo partito” e supplicandolo di farlo liberare. Bisogna fare anche lettera di credenza al not. Vincenzo Salsano, “che nde parie” al Gran Capitano o agli eletti di Napoli. Si mandi not. Vincenzo a Napoli per la causa “deli monaci” e che risponda con il consiglio degli avvocati ad un mandato della Sommaria che divide la gabella del pesce per una metà ai monaci e per l’altra metà a Luca Gallardo. Hanno ordinato al sindaco, a Joanne Gallardo e “ad not. Antonino cancellerò” di recarsi a Citara “ad pigliare la informatone de lo facto dela mecza gabella delo pesce et vedere se se ponno havere li quaterni deli gabelloti”. Hanno revocato il decreto di sequestro del “caso” di Richardo Cava, dal momento che gli sono stati sequestrati i grani.

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F 26 v) [Seguono i nomi degli eletti. Sono presenti solo cinque: Andrea Longo, Michele de Anna, Berardino de Adenulfo, Fioravante Troise, Joanne Gagliardo e, in più, il not. Andrea Casaburi e Jo. Marcho Iuvene “vocati in defectu aliorum electorum”].

15 novembre “Congregati li subscripti electi in defectu aliorum vocaturum” nella chiesa di S. Giacomo. [Sono: Perro Antonio Longo, not. Jo. Philippo de Parisi, Berardino de Adenulfo, Joanne Gagliardo, Fioravante Troise, Bartholo Casaburi]. Il sindaco riferisce che Richardo Cava aveva scaricato alla Marina circa sessanta tomoli di grano, che il sindaco stesso aveva fatto sequestrare “per causa delo partito era venuto meno”; poiché Richardo Cava aveva bisogno di denari per far condurre il suo “navilio” con il grano, bloccato a Napoli, e farlo giungere alla Marina di Vietri, gli eletti hanno decretato che Richardo venda il grano ai cittadini “in cunto delo partito” a 6 carlini il tomolo e con i denari faccia il beneficio [di far arrivare il grano]. Detto grano non si deve vendere ai panettieri “excepto ad particulari citatini ad uno et ad due thomole per citatino”, fin tanto che non si vedrà “lo quatemo” del mercante, del credenziere e del gabelloto, per vedere “dove so andati” i grani.

F 27) 19 novembre Si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo i sottoscritti eletti “in defedo de multi altri in numero oportuno chiamati per lo sindico alo subscripto effecto e volenteno comparere”. Per la questione del grano “delo partito” si ordina a Zopto Iovene credenziere di tenere in suo potere il denaro che gli è stato ordinato di custodire e di pagare tutta quella quantità di grani che messer Angelo vuole comprare e, avuto il grano, lo venda “ala ragione solita delo partito e ugualmente piglia li denari de dicto grano in potere suo et de omne cosa tenga bono cunto”. Poiché il sindaco ha proposto molte cose che concernono “lo facto universale” e che “non se ponno mandare ad effecto per li electi”, gli eletti hanno ordinato che si bandisca l’ Università “per crai matino”. Hanno ordinato che si risponda a Caradassio de Gefuni circa il fatto dei grani dati da Richardo Cava: domani si faccia Università e gli si faccia risposta. Si faccia un mandato da parte del Governatore a tutti i panettieri di fare il pane con quantità di grano e farina che hanno in loro possesso.

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tutta la


F 27 v) 20 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “more solito per banni emissionem” con licenza del Governatore. Il sindaco riferisce molte cose, soprattutto sul partito del grano, su un “protesto” fatto all’università da Caradassio de Gefuni su certo grano, e su altre cose. Sentita la proposta e “considerando che qua se tracta de vita”, tenuto conto del fatto che Angelo Vitale è venuto meno alle promesse fatte “per capitoli et contracto” non consegnando 12.000 tomoli di grano alla Marina di Vietri per la metà di ottobre scorso, e che messer Angelo dice di avere giusta causa di impedimento, l’Università elegge Jacobo Mangrella, Lucio dela Corte, Geronimo Casaburi e Benedetto dela Monica15, per esaminare le ragioni dell’una e dell’altra parte senza recare pregiudizio né all’una né all’altro. L’Università dà ai suddetti 4 eletti potestà di “compartire” il grano che c’è alla Marina in modo da non venderlo presto, dandolo ad ognuno come nei giorni passati, ma oculatamente e secondo modalità che dovranno essere prescritte dagli eletti. F 28) L’Università ordina a detti eletti di fare la “cercha” dei grani per la città, annotando chi ha i grani “delo partito” di modo che, “besognando, la Università pocza provedere che li poveri et altri non habiano ad morire de fame”. Provvedano gli eletti a far mettere il grano tutto insieme, affidandolo “a chi parerà ad dicti electi puro che siano sufficienti e la terra non stea senza”. L’Università dà agli eletti potestà informare delo partito alo viceRe”.

di

“far fare lictere ad messer Angelo:

Ordina al sindaco di rispondere alla protesta di Caradossio de Gefuni per del grano che pretende sia stato fermato dall’università, che l’Università non ha fatto sequestrare grani né a lui “né ad persona nulla delo mundo”, ma che Richardo Cava doveva 12.000 tomoli di grano alla città per la metà di ottobre; non avendoli egli consegnati e avendo l’Università inteso che era giunta una certa quantità di grano di Richardo alla Marina, ”la Università volendo intendere lo facto suo”, lo stesso Richardo aveva consegnato al sindaco certa quantità di grano, da tenersi dall’università fin tanto che non avesse consegnato tutto quello che era tenuto a consegnare. F 28 v) Ha ordinato al sindaco e al cancelliere di recarsi a Cetara per requisire dei "casi” di Richardo. Ha ordinato di fare “boni” al sindaco carlini 7 pagati a Cola de lo Fumo e a sei altri compagni, che accompagnarono “dali Scaczaventi fi ali Pagani” tre persone dell’Università a Napoli. 15

Cf. nota 9.

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Ha decretato che la mula che al presente è in potere del sindaco e le altre cose che sono in potere di altre persone e che una volta appartenevano al fu messer Philippo Stipano, fossero date “con cautela” in potere del procuratore del fu messer Philippo; hanno ordinato anche di pagare tutti i creditori di messer Philippo. I quattro eletti suddetti hanno potestà di fare tutto come si è detto: le spese saranno sostenute dal sindaco e a lui rimborsate. F 29) 21 novembre Si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo i quattro eletti “ordenati per la Università supra lo facto delo partito”. Avendo sentito dalla relazione del sindaco che non si era potuto eseguire il sequestro dei “casi” di Richardo Cava da parte del cancelliere Antonino Gagliardo non avendo potuto avere per tempo l’istrumento, hanno deciso che il sindaco e il cancelliere dovranno tornare a Cetara con il not. Carolo de luglio, che stipulò il contratto fra l’Università, Angelo Vitale e il detto Richardo, con il giudice del Governatore e con il famiglio, e dal notaio Carolo con l’assistenza del giudice “fare fare la presa ad dicto caso”. Fatta detta “presa subito faczano pigliare dicto caso” e lo facciano condurre alla Marina di Vietri e consegnare a Raymondo Cantarello per tenerlo ad istanza dell’università. Il sindaco deve pagare tutte le spese occorrenti per condurre il “caso” alla Marina, “tanto ad quelli che conduceranno li casi alle barche corno ali barcharoli, et ancora, lo jodece et famiglio et not. Carolo”, sia per il viaggio che per la scrittura dell’istrumento. F 29 v) Hanno ordinato al credenziere Zopto Iovene di presentarsi a loro in questa stessa giornata alle ore venti, con i conti relativi al grano e tutta la quantità di denaro proveniente dal grano del “partito”.

22 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “more solito per banni emissionem”, con licenza del giudice assessore e luogotenente del Governatore. Nei giorni scorsi si era fatta Università sul partito del grano che tiene l’Università con messer Angelo Vitale. L’Università sosteneva che Angelo fosse “contravvenuto”; messer Angelo “pretendea iusta causa de impedimento”. Erano stati nominati quattro eletti “ad intendere questo” e sentite le ragioni delle due parti riferirne all’università. L’Università è quindi riunita a questo scopo e gli eletti hanno riferito che messer Angelo non aveva una giusta causa di impedimento e che era tenuto all’osservanza dei

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capitoli. L’Università decreta pertanto che messer Angelo debba osservare “dicto partito”, debba procurare la quantità di grano concordata, e ancora debba rispettare il tenore dei capitoli. Il compito e il potere di far osservare tutto ciò viene affidato agli stessi quattro eletti. F 30) Essi devono provvedere anche “ad intermedia” con qualunque quantità [di grano] da parte di messer Angelo. Ricevono inoltre il potere di fare tutto ciò che farebbe l’Università “piena”. Se qualcuno degli eletti mancasse, “la majore parte de loro” potrà provvedere ad eseguire “quello ad loro parerà” secondo il potere a loro concesso dall’università con il presente decreto. Nei giorni scorsi l’Università attraverso i suoi eletti aveva ordinato a Zopto Iovene, credenziere, di prendere tutto il denaro proveniente dalla vendita del grano e da lui custodito e di non consegnarlo a nessuno senza lettera dell’università. Con il presente decreto l’Università gli ordina di consegnare il denaro a Berardino de Adenulfo con intervento dei suddetti quattro eletti; il denaro dovrà essere tenuto “ad opus et instantia” dell’università, affinché possa provvedere ai suoi bisogni più urgenti [“ala sua indemnità”]. I quattro eletti potranno prendere da questa somma la cifra che vorranno, senza condizione alcuna, per il beneficio universale. F 30 v) L’Università dà loro potestà che “se pare ad loro” facciano venire da Cetara il residuo di cacio di Richardo Cava, sequestrato dall’università, per farlo riporre a Vietri, affidato a Raymondo Cantarello o ad altro di loro fiducia. Tutte le spese fatte e da farsi per la causa predetta saranno a carico dell’università.

25 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito de licentia domini Gubematoris” il quale interviene. “Per causa de lo partito delo grano” che tiene l’Università con Angelo Vitale, avendo “inteso” sia il Vitale che il credenziere, l’Università conferma i quattro eletti “sopra de zo posti”, con il compito di far osservare i capitoli e di provvedere “ad intermedia, ita che la terra non se affama”; l’Università promette loro di “cavareli inlesi de omne dapno spese et interesse che per tale causa se potesse” e dà ancora loro potestà di comprare grano per il bisogno della città. Devono inoltre difendere il valore dei capitoli e fare tutto quello che farebbe l’Università “essendo tucta insiemi congregata” per procurare altro grano oltre quello di messer Diomede e messer Silvestro Longo, dovunque possibile, nel Regno e fuori. L’Università promette “le cavare” da ogni danno; per ogni spesa possono attingere alla somma depositata presso Berardino de Adenulfo e derivante “dali grani de dicto partito” e a lui consegnati dal credenziere Zopto Iovene per ordine dell’università.

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Da questa somma potranno spendere ciò che vorranno, affinché si abbia il grano. Ordinano nel contempo a Berardino de Adenulfo di consegnare loro la quantità di denaro che richiederanno. Possono anche prendere il cacio di Richardo Cava, “capto” dall’Università. Ancora, 1’ Università ratifica, omologa e accetta tutto ciò che sarà fatto da detti eletti. Lo stesso giorno i suddetti quattro eletti hanno ordinato di emanare un bando secondo cui “nesciuno citatino ne habitante de dicta cita presuma ne ardisca comparare grani de fore la cita excepto deli grani delo partito ne che presuma guastare et preiudicare ali capitoli” e a quanto fatto con messer Angelo Vitale su detto partito e che si debba eseguire quanto sarà ordinato dagli eletti per non contravvenire ai capitoli, ancor che siano rispettati da messer Angelo; la pena per i contravventori sarà di once 25, da “applicarese” dal Governatore per una metà e l’altra metà ad arbitrio degli eletti. Tale bando fu emanato il giorno stesso e nei giorni seguenti “in burgo Scaczaventulorum”. [Seguono i nomi dei quattro eletti, “messer Geronimo Casaburi, messer Jacobo Mangrella, messer Lucio dela Corte, messer Benedicto de Monica”].

26 novembre I quattro eletti hanno ordinato che si faccia bando che tutti i panettieri debbano fare oncie 32 di pane, alla pena di un’oncia da applicarsi ad arbitrio dell’università ai contravventori. Il sindaco riferì che il bando era stato emanato al borgo degli Scacciaventi.

27 novembre Gli eletti ordinati per l’Università sul fatto del grano [manca Iacobo Mangrella] si riuniscono nella curia del not. Antonino Gallardo cancelliere. Hanno ordinato che si debba dare “lo libello” del sindaco con gli accordi con Richardo de Cava, che, con messer Angelo Vitale è tenuto al rispetto dei capitoli [si riporta di nuovo la questione]. Hanno deciso che, se pure messer Angelo desse idonea e sufficiente “pregiaria”, sarebbe da detti eletti ricercato, davanti al Governatore, e non potrebbe allontanarsi senza licenza degli eletti stessi; essi dovranno intervenire nel definire la cauzione per la sua libertà, altrimenti “se debia stare retenuto corno allo presente ey” in potere del Governatore.

28 novembre Gli eletti [ordinari] si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo.

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Vengono proposte molte cose, soprattutto il fatto di un mandato o ‘'provisione” spedita in consiglio ad istanza del monastero contro l’Università, in cui il monastero sostiene di avere la totale “omnimoda et ampia iurisdictione sopra ipsa cita”, il che “non ey sencza” vilipendio per la città e pregiudizio dello stato delle Cattoliche Maestà verso le quali la città è stata sempre ed è fedelissima, “et che non ha conosciuto ne conosce altro signore excepto Ile Captolice Maestà”; per questo gli eletti hanno ordinato di far bandire l’Università per i luoghi soliti e consueti della città. Ogni persona dovrà trovarsi “sabato proximo che vene” al borgo Scacciaventi, per discutere su questa ed altre cose per servizio delle Cattoliche Maestà e beneficio della città. F 32 v) Hanno ordinato al sindaco di far intendere al not. Raymondo Pisano che, in osservanza dei privilegi, non deve esercitare l’ufficio della mastrodattia del vicario, ma lo debba esercitare il not. Petro Salato, ordinato dal monastero a detto ufficio per il presente anno. Si risponda alla lettera presentata da Cola Berardino Capocesaro [?] di Napoli, secondo cui deve avere dei denari per “certe robbe” da lui date alla regina, in conto dei pagamenti fiscali. L’Università deve rispondere che non ha modo di pagare e dovrà studiare il tempo e il modo [“ne po respondere resolutamente de quello che potesse fare”]. [Nomi degli eletti: Andrea e Pirro Antonio Longo, Joanne Philippo de Parise, Fioravante Troise, Geronimo Casaburi, Benedicto de Monica, Perroloise Quaranta, Joanmarco [?] Gagliardo, Berardino de Adenulfo, Natalello Capova, Lucio dela Corte].

30 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo,” per banni emissionem”, “more solito”, presente il Governatore. Il sindaco relaziona su come l’abate con i monaci del monastero della SS. Trinità “novamente tentava innovare cose nove ad ipsa cita” e soprattutto tentava di far esercitare la mastrodattia dai cittadini, il che per le molte estorsioni fatte dai cittadini e per evitare scandali e timore che in qualche causa una delle parti fosse parente del mastrodatti, aveva fatto sì che si stabilisse che “per capitolo” la mastrodattia fosse esercitata da un cittadino forestiero. L’Università ha osservato questo decreto. L’abate e i monaci stanno tentando di violarlo, facendo esercitare detto ufficio presso l’abate da un ‘cittadino assente’, ciò in vilipendio della città e in pregiudizio dello stato e servizio delle Cattoliche Maestà, e dichiarano di avere “jorisdictione amplissima de fare exercitare «belo officio”, mentre “da tanto tempo” c’è memoria del contrario. L’Università decreta die tale cosa sia fatta intendere al Gran Capitano, ricordandogli la fedeltà della città di Cava e supplicandolo di provvedere a che “dicti monaci vogliano actendere ad fare lo officio loro” e non molestino la città “omne di per diversi tribunali”, mettendola “in dispendio grandissimo” e che la città vuole questo più per le Cattoliche Maestà che per i

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monaci. Bisognerà anche far presente al Gran Capitano che ormai la città non può più resistere ai continui “stimoli, piati, tentativi et questioni” dei monaci; questo deve essere fatto intendere sia alle Cattoliche Maestà in Spagna sia al Gran Capitano. F 33 v) A questo effetto vengono nominati Andrea Longo, Perroloise Quaranta, Modesto dela Corte, Bartholo Casaburi, Raymondo dela Monica, il giudice Iustino [?] de Anna e Antonio de Lamberto, i quali hanno potestà di spiegare la questione al Gran Capitano, portando con sé, a loro arbitrio, altri cittadini di Cava che sono in Napoli. Poiché nei giorni scorsi alcuni eletti, solo per poter resistere ai continui “stimuli tentativi et piaiti che nce hanno dati dicti monaci”, per beneficio universale hanno dovuto fare delle “dimostrazioni” verso alcuni per favorire la città sia per le cause predette sia per alcuni pagamenti, ordina pertanto che sia “rato” e fermo ciò che hanno fatto e faranno detti eletti. L’Università “ha dato per agiunto” ai revisori del conto di Carolo Capova, “olim sindico”, Geronimo Casaburi e Lucio dela Corte, i quali devono “fare iustitia”. L’Università ratifica e accetta ciò che da loro sarà fatto. F 34) L’Università supplica il Governatore di provvedere sul fatto delle moline “che habiano da stare bene in ordene”. Ordina di fare una lettera di favore per Lione dela Monica e i suoi figli alla regina d’Ungheria.

1 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “per banni emissionem”, “more solito”, in presenza del Governatore. Il sindaco ha proposto molte cose sul fatto del ‘partito dello grano’ “del che più fiate ey parlato”. Avendo l’Università “intiso” “lo voto” dei quattro eletti su questo fatto, li conferma nella carica e dà loro potere di far liberare messer Angelo con o senza “pregiaria” e di poter comprare grano con l’intervento del sindaco o contrattando essi stessi e il sindaco lo comprerà “secondo meglio ad loro parerà expediente per beneficio de dicta cita”, con interesse di chi “se deve de iustitia”, così che la città non si abbia ad affamare. Gli eletti di cui sopra hanno anche il potere di vedere gli istrumenti intercorsi con messer Angelo, e ciò sarà fatto, sia per l’acquisto del grano sia per il “giusto impedimento” e la liberazione di messer Angelo. F 34 v) L’Università accetta e ratifica il loro operato, dando potestà ai quattro eletti, eleggendoli ad “intendere” il preteso impedimento allegato da messer Angelo e intese le

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sue ragioni, di decidere, secondo i capitoli e il contratto, non pregiudicando né i capitoli né il contratto. Il sindaco deve far venire da Cetara il cacio di Richardo Cava già preso dall’Università e consegnarlo a Raymondo Cantarello, come è stato riposto l’altro. Ciò che si spenderà per far condurre detto cacio e riporlo sarà “facto bono” al sindaco “allo ponere de sui cunti”. L’Università ha decretato che si faccia favore “ali figliani de Sancto Petro ad Sepi”, tanto con l’abate quanto con il Gran Capitano, di mettere un prete a S. Pietro “grato et accepto ali figliani”. Il notaio Raymondo Pisano deve esercitare l’ufficio di mastro d’atti del vicario a beneplacito dell’università e non altrimenti e non pregiudicando ai capitoli e ai privilegi della città.

F 35) 6 dicembre Gli eletti [ordinari] si riuniscono nella curia del not. Silvestro sindaco. In questa città era giunto un capitano chiamato “el capitano Aulina”, commissario sul Lazio, che portava “comessione che li fusse stato dato stantia strame et lecto sencza pagamento alcuno”. Gli eletti ordinano al sindaco di pagare tari uno e grana 15 all’oste Zabacto, che aveva ospitato nella sua “hostaria” il capitano suddetto. Poiché è giunta notizia che il giudice e assessore del Governatore vuol liberare Richardo de Cava e Angelo Vitale “ad pregiaria”, [si vuole] che la pregiarla sia idonea e sufficiente. Poiché in città c’è penuria di grano ed è meglio provvedere anziché poi “levata la ferita cerchare remedio”, avendo avuto notizia che a “Castello ad mare”, a Baja e ad altri luoghi “Ila convecini” erano giunti “certi navilii de grano”, gli eletti hanno ordinato che Hectorro Cafaro debba recarvisi “et che omni modo che po cercha de trovare qualche quantità de grano tenendo manigio con li patroni de lo preczo”; deve avvisare gli detti “deputati de supradicto partito” “trattando la cosa”, come meglio gli sembrerà, sì che darà avviso agli eletti e ne avrà risposta, stabilendo “al presente” per le spese “et cose necessarie et cavalcatura” carlini venti. Poiché, in base ai privilegi deve intervenire “in omne examinatione fa lo officiale in Atta cita” il giudice ‘annale’ che al presente non è stato ancora “criato”, e poiché è cosa che “redonda” in beneficio grandissimo per la città, si decide di nominare giudice per il presente anno il not. Ioanne della Corte. F 35 v) Il giudice del Governatore non ha dato pregiaria per i suoi uffici, come è “comone observantia” e se facesse qualcosa di indebito ne risponderebbe il Governatore non il giudice né la Regia Corte. Per questo ordinano al cancelliere di parlare “con

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honesto modo” al Governatore, affinché per sua sicurezza e per beneficio della città voglia degnarsi di far dare pregiarla al giudice. Poiché c’è la peste al Corpo di Cava, dove si tiene la corte del Vicario, gli eletti ordinano “che se proponga in Università per lo sindico” che la corte si tenga al Borgo degli Scacciaventi per alcuni giorni “per evitare alcuna contagione de peste potesse causare per la practica” che si farebbe per tenere la corte, non pregiudicando però capitoli e immunità dell’università. Il cancelliere Antonino Gagliardi [“item che se paghe ad me not. Antonino”] deve essere pagato per le copie di tre privilegi, una di un privilegio di re Ferrante I, una di un privilegio di re Federico e quella del privilegio della conferma dei capitoli del Gran Capitano, copie segnate dal not. stesso e che servirono per il fatto della tragola di Salerno, per essere mandate a Napoli alla regina d’Ungheria. Il sindaco deve quindi pagargli tari duc. Il sindaco deve inoltre pagare grana 15 a Geronimo Iovene per due copie di una “provisione” del Sacro Consiglio data per l’abate e i monaci del monastero contro l’Università e riguardante la giurisdizione sui territori della città. Di queste due copie, una fu mandata a Napoli, l’altra rimase al sindaco.

7 dicembre Nella curia di not. Silvestro sindaco. Messer Lucio dela Corte e Benedicto dela Monica eletti “delo partito delo grano”, in assenza degli altri due “compagni loro” hanno ordinato a Hectorro Cafaro di andare solamente a Castellammare e là vedere se c’è il grano e fare altro secondo le istruzioni di detti eletti; per le sue spese e salario deve avere un ducato. Hanno ordinato che si mandi un uomo “ad posta” in Napoli per portare lettere “ali sindici solla” cioè i messeri Modesto, Perroloise, Bartolo e Raymondo16 con le copie dei privilegi delle franchigie, la copia della “provisione” del Sacro Consiglio sul fatto di Richardo Cava e Angelo de Vitale e la copia della pregiaria che diede l’attuale mastro d’atti. Il messo riceverà come salario carlini tre.

F 36 v) 10 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem ut moris est” alla presenza del giudice e assessore del Governatore, Actursio de Ebulo.

16 Sovente nelle delibere gli eletti sono indicati col solo nome di battesimo. Anche il sindaco viene spesso indicato semplicemente come "not. Silvestro sindico”.

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Il sindaco propone molte cose per beneficio universale; l’Università prende le seguenti decisioni. L’Università deve ancora 54 ducati di carlini d’argento all’incirca per resto del pagamento dei tre tari per fuoco e non ha modo di pagare. Deve quindi trovare chi può prestare questi ducati 54 e fame cautela; il pagamento dovrebbe essere fatto [“che anche promectesse pagare”] a proprio nome a febbraio prossimo e la R. Corte rilascerebbe all’università “poliza de recepto”. L’Università congregata “se contenta” che Perroloise Quaranta dela Cava a nome dell’università faccia cautela e prometta a suo nome di pagare la regia Corte, recuperando la “poliza de recepto”, per febbraio prossimo. L’Università a sua volta promette di pagare “ad quello che dicto Perroloise se farra debitore”, di salvaguardare da ogni danno che dovesse venire per detta causa lo stesso Perroloise e vuole che questa promessa abbia valore come pubblico istrumento. F 37) L’Università ha ordinato che si mandi a messer Diomede avvocato e a Nardo Andrea Fronda, procuratore dell’università nella causa con i monaci, l’ultima paga a loro dovuta. Si mandino inoltre ducati tre, in parte del suo salario, a messer Pierro Pisanello, “novo advocato” nella causa predetta. L’Università ha ordinato di mandare in Napoli come sollecitatore della causa predetta il not. Joanne Marcho Iovene, il quale “habia ad stare sollecitamente et essere con li advocati” e, quando ci sarà bisogno, debba avvisare l’Università “de quello che besogna”, ricevendo un salario di tre carlini al giorno per tutte le sue spese. Si mandino tutte le scritture necessarie tanto per la causa dei monaci tanto per la causa “delo partito dello grano”, pagando “Ilo justo salario” a coloro che copiano dette scritture. Al Borgo avevano alloggiato certi Spagnoli “in bono modo”. Questi avrebbero voluto essere alloggiati nelle case dei cittadini ma gli eletti disposero che stessero al Borgo dove ebbero vitto, “carne e pomi” e altre cose dagli eletti e vino dagli osti e “andarose con Dio questa matina sencza pagare cosa alcuna”. L’Università ordina al sindaco di pagare tutto ciò che ebbero gli Spagnoli e “ad intendere et vedere lo vino che habero” elegge Carolo Capova e Vinciguerra de Mauro, che insieme col sindaco e il cancelliere vadano “hosto per hosto” a vedere il vino “che hanno dato” e a pagare. F 37 v) L’Università o gli eletti di essa avevano decretato di fare un dono a messer Berardino di Cioffo, razionale della Sommaria, di due botti di vino buono e l’Università vuole che si esegua tale decreto: le due botti di vino si mandino sino a Castellammare, se non è possibile offrirgli dei ducati. La provincia di Passiano ha chiesto la restituzione di una somma prestata in servizio di “nostro signore di Soligny”; 1’ Università ordina a Fioravante Troisi, Frabitio dela Corte, Hectorro Cafaro e Geronimo Casaburo di vedere se le altre province hanno ricevuto 67


la loro rata. In tal caso “sia facto bono” alla provincia di Passiano quello di cui si ritroverà ad essere creditrice. L’Università ordina ai quattro suddetti Fioravante, Frabitio, Hectorro e Geronimo di vedere tutti i conti e residui di quelli che hanno “menestrato” cose dell’università e quelli che si troveranno essere debitori legittimi, verificati i loro mandati, dovranno essere rimborsati dal sindaco. L’Università ha ordinato di mandare a Napoli per difendere la causa “dello grano” e farla rimettere a Cava, Iacobo Mangrella, Joanne Baptista Longo e Lucio dela Corte e se a Napoli troveranno “alcuna quantità de grano” provvedano e facciano “corno meglio ad loro parerà per beneficio di questa cita actento lo grande besogno che se tene”. Si paghi tari uno e mezzo a Raymondo de Armenando “che mo se parta” per andare a Serino a chiamare messer Iacobo Mangrella “che subito venga, a qua a la Cava alo effetto predicto”. Il pagamento è avvenuto subito, presente il cancelliere stesso [ “me presente”].

13 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza del Governatore e in presenza di Actursio de Ebulo giudice e assessore del Governatore. L’Università ha decretato che si vendano i tomoli 547 di grano custoditi da Zopto Iovene a tari tre il tomolo e che sia credenziere Ioanne de Ourilia e che debbano tener conto dei grani e denari Zopto e Ioanne ed assegnare giorno per giorno 97 tomoli di grano secondo la lista “annotata alo libro” del detto Ioanne credenziere; i denari “debiano venire in mano de Zopto, et quelli sera per sera li debia et habia ad consignare in potere et mano de Berardino de Adenulfo et da ipso pigliare polisa de recepto”. L’Università ha decretato che “per mo” si debbano dare a Rampino Iovene due tomoli di grano . F 38 v) E nello stesso istante il sindaco dichiarò “in piena universitate” come l’Università era debitrice alla Regia Corte e non aveva modo di pagare e il sindaco stesso non voleva essere accusato di negligenza. Ciò viene annotato nel libro della Cancelleria17.

15 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo.

17 II linguaggio e la scrittura in questo passo diventano prettamente giuridici.

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In primo luogo, poiché messer Iacobo Mangrella, messer Joanne Baptista Longo e messer Lucio dela Corte furono mandati a Napoli “per causa dela appellatione” fatta da Angelo de Vitale e Richardo Cava e scrivono che è sufficiente che rimanga a Napoli uno solo di loro, resti a Napoli Iacobo Mangrella per sollecitare la causa e “provvedere alo besogno”; gli altri ritornino “per meno despendio dela Università”. Poiché “mandano cerchando” gli atti relativi a detta causa, fatti alla corte del Governatore, cioè la copia dell’istrumento “facto dela presa de lo caso di Richardo Cava”, la copia dei decreti fatti dall’Università “con la fede delo notaro”, la copia della “provisione” fatta dai quattro eletti contro Angelo de Vitale riguardo al fatto di aver avuto un impedimento, con la risposta di Angelo e la replica del procuratore della città; l’ Università ordina che si mandino le scritture autentiche, che si paghino quelli che le copiano ed autenticano e che si paghino tre carlini a Raimondo de Arminando, il quale deve partire immediatamente per Napoli e portare dette scritture a Jacobo Mangrella, in modo da essere a destinazione “crai marino per tempo” e che gli altri eletti possano partire e ritornare “aqua ala Cava”. Raimondo de Arminando partì immediatamente con le scritture. Tramite il detto Raymondo vengono mandati a messer Iacobo tari dieci “per poterese substenctare in Napoli”. Poiché ad istanza dell’università nei giorni scorsi fu fatta “la presa sopra certi casi” di Richardo Cava come “pregio” di Angelo Vitale “alo partito” e l’Università è giunta a questa decisione per causa e colpa loro, ed ha “patuto et paté continuamente”, l’Università stessa ha deciso che detti “casi” si vendano per Macteo Costa e Raymondo Cantarello con intervento di Colangelo Polverino e Natalello Capova eletti sopra di ciò e in modo e forma come in un contratto fatto per mano di not. Joanne Philippo de Parisi lo stesso giorno; questo perché non si affami la città e “nce vole poco ad affamarese” per i sotterfugi e le malizie di Angelo de Vitale o di detto Richardo. F 39 v) Si è saputo che a Palinuro sono arrivati dei “navilii de grano”. Si decide di mandare Tommasio Troise a vedere, dandogli potestà di acquistare tutto il grano che può e di mercanteggiare il prezzo per condurlo alla Marina di Vietri, dove dovrà stare per 15 giorni, al termine dei quali, non giungendo altro avviso dall’università, si potrà procedere alla vendita. Arrivando, deve avvisare per lettera l’Università di tutto ciò che avverrà, e ogni compera dovrà essere considerata come fatta dall’università, senza pregiudicare “alo partito” che l’Università tiene con Angelo de Vitale e “pregi predicti”. Il salario di Tommasio viene stabilito in dieci ducati al mese e “al presente” per i detti quindici giorni gli si danno ducati cinque. L’Università deve fargli la procura per poter comprare il grano a nome dell’università stessa, con la promessa che essa darà per rato e fermo ciò che sarà fatto da lui per il pagamento del grano; “che se paghe la procura”. L’Università ha ordinato “che se faczano lictere” al Gran Capitano supplicandolo per poter “caczare grani” dalla Sicilia, “adzo la cita non se affama” e se dovesse replicare che già in passato era intervenuto in favore della città, bisogna fargli presente che ciò

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che fu fatto era in favore di Angelo Vitale e compagni e che quelle lettere non ebbero effetto. F 40) L’Università elegge messer Theseo Longo e messer Geronimo Casaburi “ad vedere de potere fare qualche bona summa de denari”, per poter comprare grano, per beneficio della città, o in Sicilia o altrove. Ha ordinato che sia lecito a tutti i cittadini e abitanti della città “de possere comprare grani”, essendo mancato quello del “partito”: la città era infatti “multo restrecta de fame” per questa mancanza, dovuta ad una colpa di [“per defecto de”] Angelo Vitale e compagni, senza pregiudicare i capitoli e il contratto fatti con il detto Angelo, né quelli fatti lo stesso giorno “piena universitate” per mano del not. Joannis Philippi de Parisio de Cava.

17 dicembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco ha esposto che ad istanza di Angelo de Vitale e Richardo Cava egli stesso e gli eletti erano stati “citati” al Sacro Consiglio, perché rendessero i “casi” e denari “pretendeno habia pigliati” la Università. Gli eletti hanno ordinato che si mandi a Napoli a Iacobo Mangrella una copia della citazione perché faccia tutto il possibile affinché la causa venga rimessa a Cava al giudice competente. F 40 v) In “defecto” dei quattro eletti, hanno ordinato al cancelliere, per la questione con Angelo de Vitale e Richardo Cava, di fare “la presa” del denaro che il sindaco doveva loro e dei pregi. Hanno decretato che si faccia “omne debita “provisione”” per ottenere da Francesco de Abunto, notaio [?] apostolico, la copia di un contratto fatto dall’abate Giustino all’università, in favore della causa dell’Università contro “li monaci delo monasterio”. Si paghino ad Angelo de Amphora grana dieci per la copia di un documento [“monito”] del priore del monastero agli eletti sulla gabella del pesce. A richiesta degli eletti, un certo Spano fece sì che non fossero intimati gli eletti.

18 dicembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Dovendosi mandare delle scritture, riguardanti la causa con i monaci e quella con Angelo Vitale e Richardo Cava, a Napoli a Jacobo Mangrella, “per essere malo tempo 70


de pioge” e non essendovi altri eletti nel borgo, mentre era importante questa spedizione, decidono di mandare Raymondo de Arminando, tornato ieri da Napoli “et de novo ad messer Jacobo Mangrella con multe scripture et decreti dela Università”. Il suo sala­ rio sarà di tre carlini.

F 41) 19 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” con licenza del Governatore. Riguardo al fatto del grano, l’Università ha eletto, al posto di Geronimo Casaburo, che ha rinunciato, messer Theseo Longo e messer Bartholo Casaburi, con la potestà di “potere chiamare ad Corte et accosare lo preiurio” e di fare tutto il necessario per evitare la mancanza di grano. L’Università dà potestà agli eletti di comprare grano al prezzo migliore, non pregiudicando i capitoli intercorsi tra Angelo Vitale e l’Università stessa. Dà loro potestà di vendere il cacio requisito a Richardo Cava, ad un giusto prezzo secondo il loro parere. F 41 v) Il sindaco dovrà eseguire e far eseguire tutto ciò che sarà disposto da detti eletti. L’Università dà potestà ai suddetti eletti che ai 1.000 tomoli di grano che si stanno vendendo, comprati da Diomede Longo, possano aumentare o diminuire il prezzo; sia per questo che per il fatto “delo partito” e la vendita dei caci, il loro operato sarà considerato come se fosse di tutta l’Università congregata. Ha ordinato al sindaco e al cancelliere di fare lettere di favore ad ogni cittadino di questa città al viceRe di Sicilia o ad altri signori dell’isola, per poter esportare grano, per la grassa della città. Si dispone che “se facza lo debito” a Hectorro Cafaro, Fioravante Troise e compagni, revisori dei conti dei residui passati, secondo il solito. F 42) Poiché Giovanni Calabrese “sta male o vero ej morto”, viene eletto al suo posto Angelo de Amphora con la solita “provisione”. Di nuovo 1’ Università promette agli eletti di “cavarli” indenni e illesi da ogni danno, spese e interesse in cui potessero incorrere nello svolgere il loro compito, e simile assicurazione viene fatta anche al sindaco, per quanto attiene all’esecuzione delle disposizioni degli eletti. 71


20 dicembre Si riuniscono gli eletti "delo partito delo grano" nella curia del not. Antonino cancelliere. Avendo ricevuto ordine dall'Università di poter vendere i "casi" dell'Università, ordinano al sindaco not. Silvestro de Alfero di farlo vendere da loanne de Aurilia a quelle persone della città vorranno comprarlo, a tari 21 il cantaro, a quelli che lo volessero cacciare fuori dalla città a tarì 20 il cantaro; detto Ioanne dovrà tenere "quaterna" tanto dell'introito che dell'esito; dovrà "recipere dicto caso a qua alo burgo ad fila" e tenere il conto "delle file iuste che recepe"; dovrà vendere secondo l'ordine detto e tener conto delle file e del peso giusto; il sindaco dovrà promettergli di "cavarelo" indenne da ogni danno che detto ne dovesse "patere" per tale causa, secondo il potere dato agli eletti dall’Università. Joanne dovrà tenere conto dei denari provenienti dalla vendita di detto formaggio e versarli a chi "per dicti electi sena ordenato"; dovrà vendere i "casi" di giorno in giorno, secondo l'ordine con cui glieli darà il sindaco. La sua "provisione""se la reservano" gli eletti. Si dà potestà a detto Joanne di vendere a cittadini e "potecari de dicta cita" a credito ["credencza"] " et ad quello tempo porra fare secondo sua descrectione". Immediatamente il sindaco, secondo le disposizioni ricevute dagli eletti, dà a sua volta a Joanne tutte le disposizioni e le assicurazioni sopra dette. F 43) Gli eletti hanno ordinato che si faccia un mandato da parte del Governatore a Macteo Costa e a Raymondo Cantarello, "ala pena" di once 4 per uno, che non debbano vendere "li casi loro ad citatini ne ad foresteri ne per alcuno modo contractare" "in li tenimenti de dicta cita" fino a che non sarà finita la vendita e l'esportazione dei caci dell’università. Lo stesso giorno "Li prefati"eletti [Theseo Longo, Bartholo Casaburi, Lucio dela Corte, Benedicto de Monica], visto il tenore dell' istrumento intercorso fra l'Università -o i quattro eletti- e Zopto Iovene per la vendita di 547 tomoli di grano comprati da certi mercanti di Giffoni e poiché secondo il conto del credenziere si erano trovati mancanti 12 tomoli, hanno decretato che Zopto è tenuto a restituire i 12 tomoli e che il sindaco deve costringerlo, alla corte del Governatore, a consegnarli della stessa qualità e bontà del grano da lui venduto senza ordine degli eletti; una volta consegnato il grano, il sindaco deve far restituire a Zopto i tre tari per tomolo per il prezzo del grano, ordinando a Berardino [de Adinulfo] che su richiesta del sindaco e degli eletti restituisca i detti tre tarì per tomolo, riservandosi il sindaco e gli eletti di poter "accosare lo periurio ad dicto Zopto et omne altra ragione che compete ad dicta Università per vigore de dicto instrumento".

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F 43 v) Lo stesso giorno Si riuniscono gli eletti ordinari nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco ha riferito che dovranno passare per il Borgo degli Scacciaventi circa duecento Spagnoli e si teme [“dubitandosi”] che vogliano alloggiarvi, il che di solito è dannoso per la città, in quanto vanno “per multi casali” facendo danni grandissimi ai cittadini. Gli eletti ordinano che il sindaco vada dal Governatore e insieme provvedano a far sì che gli Spagnoli non alloggino in città, anche offrendo del denaro ai loro capi. Essi potranno offrire sei ducati e, se non bastassero, anche “alcuno altro ducato”, perché i danni che farebbero alloggiando in città sarebbero senz’altro maggiori.

23 dicembre Si riuniscono gli eletti, “parte deli ordinarli et parte de quelli dela causa delo monasterio”, nella curia di notaio Silvestro sindaco. “Intesa la referenda” di Ioanne Marco Iovene “che ej stato in Napoli per la causa deli monaci” e la lettera dell’avvocato Pierro Pisanello, decidono di mandare a prendere a Napoli copia della sentenza del S. Consiglio sulla causa predetta, “con la fede” del mastro d’atti, e di far portare la copia del processo, posseduta da messer Pieno Pisanello, autorizzando il sindaco a pagare sia la copia sia la persona che deve andare a Napoli. “Venuta dicta copia et quella stodiata per li electi sende habia ad fare universitate”. Hanno decretato che “siano facti boni alo sindico allo ponere de soj cunti” tutte le spese fatte da Pierro Loiso Quaranta a Napoli “ad più cose”, secondo una sua “declaratoria facta de sua propria mano” il 20 dicembre 1504, per la somma di ducati 3 e grana 15.

24 dicembre Si riuniscono gli eletti “delo partito” nella chiesa di S. Giacomo. Per cercare di procurare grano per la città, ordinano al sindaco di mandare Natalello Capo va ad “Atripaldo” a comprar grani al miglior prezzo possibile. II sindaco per ordine degli eletti deve fargli dare da Berardino de Adenulfo 50 ducati e del formaggio da vendere per comprare “quella quantità de grano che porrà ad quello meno preczo se po et faczalo conducere in questa cita per suo besogno” e comprare quanto più grano possibile da mille tomoli in giù; per fare questo dovrà stare qualche giorno e riceverà il suo salario; dovrà vendere i “casi” meglio che si potrà, e comprare grano. Quando avrà trovato da comprare grani, avvisi di ogni cosa, perché l’Università vuol mandare i muli per il grano e sapere il prezzo. 73


Natalello Capova ha fatto intendere che non sa né leggere né scrivere, per cui non potrà “mectere cunto” di quanto da lui eseguito per iscritto. Gli eletti ordinano che “ande con Dio” perché lo hanno eletto “per homo dabene et che facza lo devere corno ad bono figliolo dela Università”, che ciò che farà sarà giusto e ben fatto e che basterà un suo giuramento (“nde staranno ala fede sua mediante suo juramento”). F 45) Fioravante Troise viene incaricato di “investigare soctilemente” sul prezzo del grano che si vende “in magazeno extra partito”. Deve inoltre vedere se è possibile comprare 1.000 tomoli di grano e a che prezzo, preparando ogni cosa per il mercante.

27 dicembre 1504 Si riunisce l’Università con licenza del Governatore “per banni emissionem”. Si delibera di mainare messer Iacobo Mangrella a Napoli, dove era già stato a sollecitare che la causa di Angelo Vitale fosse rimessa a Cava alla corte del Governatore, per sollecitare ora presso la regina d’Ungheria la causa della tragola e per prendere la lettera che scrisse il Gran Capitano quando venne dalla Sicilia. Gli si deve pagare il suo salario “passato ed lo advenire”. F 45 v) Poiché riguardo alla causa con l’abate e i monaci c’è un decreto del Sacro Consiglio secondo cui tutto deve essere ricondotto “ad pristinum”, al tempo cioè in cui l’Università usufruiva di tutte le immunità contenute nei capitoli, l’Università ordina “unanimiter, pari voto et nemine discrepante” che vengano mantenuti i diritti del “glandare de porci per uso et mercantia [...] erbatico aquatico et Ugnami infructiferi” e il “dare dela pregiarla” dei vicari, mastri d’atti e portolani e che si faccia intendere a tutti i cittadini che vengono mantenuti i diritti tenuti fino al giorno in cui “foro passati” i capitoli. Se l’abate e i monaci “tentassero dicta Università de accordio et de volere bene passare”, prima di concludere cosa alcuna dovranno far “venire bolla et potestà autenticha delo papa o vero sede apostolica”; quello che contrattano e concludono con l’Università dovrà rimanere valido. F 46) Messer Ioanne Marino Tipaldo ha riferito che l’abate “li ha dicto che facza intendere alo sindico universale de dicta cita” che, visto che ora c’è una sentenza sulla causa tra l’Università e il monastero, “ej per passare bene con questa Università et fare tucto quello che possea in beneficio de dicta cita”; l’Università risponde che dal canto suo è dello stesso avviso e che mai mancherà di “passare con dicti abate et monaci da patre et figlio et da figlio ad patre secondo se convene”. Dagli abati era stato garantito di “creare lo episcopato in dicta cita” alla morte del Rev.mo Cardinale di Napoli, perpetuo Commendatario del monasterio, o ad una promozione, con la promessa di far venire a loro spese bolla autentica del papa e fede apostolica.

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Fino ad ora la promessa, però, non è stata mantenuta. L’Università ordina al sindaco di recarsi personalmente dall’abate con il giudice e con testimoni per sollecitarlo a far venire a sue spese la bolla autentica del papa e fede apostolica. Geronimo Casaburi e Hectorro Cafaro dovranno fare l’elezione degli uomini della città e stabilire la tassa per “fare” 1.500 ducati "‘de oro in oro” per comprare grano per beneficio universale. L’Università circa il fatto del grano ha confermato i cinque eletti “sopra de czo deputati”, Theseo Longo, Bartholo Casaburi, Lucio dela Corte, Jacobo Mangrella e Benedicto de Monica, con tutti i poteri a loro dati e ordina loro di prendere tutto il grano che c’è in città, tanto dei cittadini che dei forestieri, pagandolo ad un giusto prezzo, secondo quanto valgono in città e nei luoghi marittimi vicini, e questo perché la città ha estremo bisogno di grano e “ej periculo de se affamare”.

F 47) 28 dicembre Si riuniscono gli eletti “de lo partito”. Hanno ordinato che il sindaco debba dare o far dare in credito a Rogiero, Marcoantonio e Viseno [?] Davit cantara due di “caso” di Sicilia, alla ragione di ducati 4 il cantaro “tempo ad pagare ad tornata di viagio ita che lo pagamento non se differisca [...] più che octo di da oge innante". Iacobo Mangrella ha fatto delle spese per il grano in Maiori: si faccia “una credencza” per pagare l’Università di Maiori prendendo 500 tomoli di grano per sostentamento di questa città; un’altra simile lettera si faccia alla duchessa di Amalfi18 e per la barca e spesa il sindaco dia tari uno. Hanno ordinato al sindaco di comprare da Caradossio di Giffoni 300 tomoli di grano “che so ala marina de Veteri” a nove carlini il tomolo, facendoli pagare “lo integro preczo” a Berardino de Adenulfo dal denaro che custodisce dell’università e ciò senza pregiudicare “alo partito” ed ai capitoli.

F 47 v) 1 gennaio 1505 L’Università si riunisce “per banni emissionem more solito in curti hostarie Sciavi de Luciano” con licenza del Governatore e alla sua presenza, ad onore e fedeltà verso le Cattoliche Maestà e per il buon governo della città.

18 Maria, figlia naturale di Ferrante I.

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Riguardo alla causa che verte con il monastero, per sedarla, vista la proposta e offerta fatta dall’abate, l’Università ha eletto “ad intendere et accordio se po tractare et fare”, per levare fastidi e spesa, i sottoscritti cittadini “o la majore parte de ipsi”, che dovranno “intendere” dal Governatore e da messer Galeno de Anna i termini dell’accordo e riferirne all’università e far intendere loro, se sembrerà opportuno, il bisogno dell’università. Per eseguire ciò l’Università dà agli eletti “ampia potestà”. Gli eletti sono: “messer Andrea Longo, messer Silvestro Longo, messer Theseo Longo, messer Ioanne Baptista Longo, Berardino de Adenulfo, messer Michele de Anna, messer Pirro Antonio Longo, not. Fioravante [?] de Monica, messer Hectorro Cafaro, messer Perro Loisi Quaranta, Carolo Capova, messer Lucio dela Corte, messer Luca Gallardo, notar Thomaso dela Corte, not. Carolo de luglio, not. Vicenczo Salsano, messer Battitoio Casaburo, messer Geronimo Casaburi, messer Jacobo Mangrella, messer Ioanne Gagliardo, messer Joanne Baptista de Monica, messer Raymondo de Monica, messer Solimanno de Curti, not. Ioanne Philippo ae Parisi, Simonecto Vitale, messer Ioanne Marino Tipaldo, messer Modesto de 19 Curti , Ioanne Marco Iovene, Iannocto Troise20, messer Ioanne de Anna, Frabitio dela Corte. F 48) L’Università ha ricevuto l’intimazione di pagare il “terzo di Natale” alla regina d’Ungheria, secondo l’ordine della R. Camera, ma non ha “denari manualmente per possere pagare parte de dicto terzo”. Ha decretato di prendere cento ducati “che se teneno per li grani” e pagare con quelli; poi entro la fine del mese bisognerà prenderli dalle gabelle per la rata di questo mese “et quelli retomare per la causa delo grano predicto”. Ha decretato che il grano si venda a sette carlini il tomolo, “licet sia comprato nove carlini ad interesse de Angelo”; l’orzo comprato a 5 carlini “se stea per mo”.

2 gennaio Si riuniscono gli eletti “delo partito”. Hanno ordinato al sindaco di pagare Joanne Baptista Longo, Jacobo Mangrella e Lucio dela Corte mandati a Napoli per far rimettere la causa di Richardo Cava e Angelo de Vitale, prendendo i denari dell’ Università custoditi da Berardino de Adenulfo. I tre sopraddetti riceveranno due tari e mezzo al giorno “per li dì che vacaro sopra de czo in Napoli”. Il sindaco deve prendere da Berardino de Adenulfo ducati 100 per i pagamenti fiscali “secondo appare per decreto universale facto die primo dicti mensis” e gli altri denari 19 “Fu giudice di Vicaria”:A. POLVERINO, Descrizione istorica della città fedelissima della Cava, cit. parte I, p. 4. 20 Mercante. Per la sua attività cf. A. LEONE, Profili economici..., cit., p. 72.

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che bisogna pagare ai sopraddetti, facendone polizza a Berardino che deve consegnare questi denari, mentre Berardino deve prendere dal sindaco una ricevuta [“poliza de recepto”], di modo che alla fine del mese i denari si debbano prendere dalle gabelle e “ponerenose alo loco da donde si prendono.

4 gennaio Si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo gli eletti “deputati per la Università alo primo delo presente mese” sulla causa dei monaci. Dal momento che il Governatore e Galieno de Anna “meczani et tractaturi de accordio” tra l’Università e l’abate e i monaci non hanno potuto “ponere silentio et pace”, perché l’abate “vole fare notitia alo presidente che ey in Napoli” e affinché non si possa mai dire che l’Università non ha fatto tutto il suo dovere, gli eletti ordinano che messer Geronimo Casaburi debba andare a Napoli con il Governatore per avere consigli da messer Perro Pisanello, avvocato dell’Università e poi, chiamato dal Governatore e da messer Galieno de Anna, tutti insieme si presentino davanti al presidente con il padre abate. Dovranno poi riferire tutto all’università, ma non dovranno concludere niente senza aver consultato prima l’Università; inoltre, dovendo andare dal Gran Capitano, ci si vada, facendogli capire come l’Università è sempre pronta a stare in pace con i monaci, ma dal canto loro questi ultimi dovrebbero fare lo stesso, e “essendo da loro ricercati pigiare omne possibile et honesto accordio referendo ala Università”.

F 49) 5 gennaio La maggior parte dei sopraddetti eletti si riunisce alla presenza del Governatore nella sua abitazione. Hanno ordinato a messer Geronimo di non andare a parlare con il padre presidente e l’abate in Napoli prima che avessero loro parlato il Governatore e Galieno de Anna; se chiamato da loro da parte del presidente e dell’abate, gli danno potestà di andare, condurre la cosa come già detto e riferire all’Università. Hanno ordinato che si facciano tre “lictere de credencza” a messer Geronimo, una indirizzata all’Ill.mo S. Gran Capitano, una al presidente e l’altra all’avvocato dell’università messer Pierro Pisanello. Lo stesso giorno Gli eletti della peste, poiché a Pagani, Samo e in molti altri luoghi c’è la peste, per non far infestare la città, ordinano che Ioanne Marco Iovene debba stare a guardia del cancello “de capo lo burgo deli Scaczaventi”, e che non debba fare entrare nessuno 77


senza “bolectino”, dichiarando che Joanne Marco è stato “ala dicta guardia” dal 2 gennaio su loro ordine. [Nomi degli eletti: Andrea Longo, Pirro Loisi Quaranta, Bartholo Casaburi, Ioanne Philippo Parise].

F 49 v) 10 gennaio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “per banni emissionem” con licenza dell’assessore del Governatore, Accursio d’Ebulo. Considerando che l’Università si ritrovava del grano comprato a nove carlini il tomolo che per suo ordine si sta vendendo a sette carlini il tomolo, il che danneggia l’Università stessa, si decide che si debba vendere ad otto carlini il tomolo, fino a che non ci sia una diversa decisione.

12 gennaio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza dell’assessore del Governatore. Avendo l’Università “intesa” una lettera di Geronimo Casaburi su del grano, del quale ha parlato in Napoli con un mercante genovese, e poiché non “nce so tante gente che havesso possuto concludere tale partito”, l’Università ha ordinato che “tenga manegio con dicto mercante”, che dilazionasse per alcuni giorni “mentre che ipso tornasse a qua et parlasse con la Università” per dargli dopo una risposta. Gli si faccia una lettera per farlo tornare subito, “approntando” questo con il mercante. F 50) Lo stesso giorno Nello stesso luogo gli eletti “de lo partito” [Teseo Longo, Lucio dela Corte, Bartolo Casaburi e Benedetto de Monica], avendo “inteso lo tenore de certe lictere” mandate da Iacobo Mangrella, “che sta in Napoli per la causa de Angelo Vitale et compagni”, hanno ordinato che si scriva una lettera a messer Iacobo “che stia sollicito” per far rimettere la causa a Cava e “che stea si ad tanto se interloquisca in dicta causa, se se deve remectere o no”; dopo interloquito, tomi a riferire all’università, che “provvederà alo besogno”. Il sindaco deve mandargli due ducati. Se non si trova un messo per mandare detta lettera, il sindaco deve mandare “uno misso ad posta”, dandogli tre carlini, il salario solito che si dà a simili messi mandati a Napoli.

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13 gennaio Si riuniscono i sopradetti eletti. Avendo ricevuto risposta da Iacobo Mangrella, che è necessario avere avvocato e procuratore nella causa m Angele Vitale e compagni, ordinano di mandargli un “messo ad posta", senza perdere tempo. scrivendogli di stare di buon animo, di stare “sollicito” a far rimettere la causa a Cava, e che, se gli pare necessario, prenda pure avvocati. Gli si mandano inoltre 3 ducati “ad respecto che”, se bisognerà prendere un avvocato, possa farlo, e se no, faccia “corno più espediente li pare” per beneficio dell’università. Inoltre dimenerà: che si scriva una lettera di “credencza” a Pirro Pisanello, in persona di Iacobo Mangrella, “che se degne pigiar lo patrocinio de dicta causa” e che si diano al messo, come di solito, tre carlini.

15 gennaio Nella curia del cancelliere si riuniscono gli eletti Teseo Longo, Lucio dela Corte e Bartolo Casaburi. Hanno ordinato al sindaco di far emanare un bando “per li lochi soliti”, prescrivendo che ogni persona la prossima domenica, venti gennaio, debba recarsi al borgo degli Scacciaventi “ala Università", perché detti eletti vogliono riferire molte cose circa il fatto “delo partito delo grano".

17 gennaio Riunitisi nel borgo degli Scacciaventi messere Andrea Longo, Pirro Loiso Quaranta, not. Joanne Philippo de Parise, eletti della peste, in assenza degli altri loro compagni, poiché c’è un sospetto di peste sulla casa di…delo Fumo e poiché l’Università gli deve del denaro “per lo governo ha facto ali infettati”, decidono di dargli un ducato per il sostentamento.

F 51) 19 gennaio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo, “per banni emissionem” [in questo caso si specifica: nei soliti luoghi pubblici della città e “per casalis”], con licenza del Governatore e alla sua presenza. Avendo sentito da messer Iacobo Mangrella il decreto del Sacro Consiglio nella causa contro Angelo Vitale e compagni, decreto che va contro i privilegi della città, ottenuti con grande sudore e dispendio, l’Università ha confermato i cinque eletti sopra 79


detto partito, con ogni potestà, come da altri decreti fatti dall’università, i quali decreti vengono confermati, con l’autorità di “accusare” lo “periurio” ad Angelo e compagni, nel tribunale che “ad dicti electi parerra più expediente per dicta Università”. Inoltre due dei detti eletti, Teseo bongo e Lucio dela Corte, devono recarsi a Napoli a parlare con il Gran Capitano: prima dovranno condolersi da parte dell’università per la morte della regina di Spagna e poi supplicarlo di far osservare i privilegi della città, dal momento che la sentenza del S. Consiglio va contro i privilegi. Una prima causa intentata in Consiglio contro Angelo Vitale, cittadino di Cava, ha dato come risultato “che se veda in Consiglio”, il che è contro i privilegi e in deroga anche ai privilegi del monastero della SS. Trinità, che ha le cause civili della città stessa. Per questo dovranno supplicare il Gran Capitano, che nonostante il decreto dato in Consiglio voglia ordinare allo stesso Sacro Consiglio di rimettere la causa nella città di Cava. Ha ordinato al not. Andrea [?] Casaburi, che stipulò il contratto con Angelo Vitale, di andare a Napoli con detti eletti e fare quanto gli sarà da essi ordinato sulla questione de “lo partito”. Ordina ai detti eletti di recarsi da messere Michele de Afflicto per fargli intendere come l’Università delibera di non pagare un carlino alla regina d’Ungheria, se Sua Maestà non fa prima osservare i privilegi della città nella tragola di Salerno, dal momento che la regina ha promesso “più et più fiate” di far “expedire” tale causa e far osservare i privilegi, ma ciò fino ad ora non è accaduto. Dà potestà a detti eletti di prendere uno, due, tre o anche più avvocati se necessario, per la causa contro Angelo Vitale, pagando quello che a loro sembrerà “honesto”, e di fare ogni altra spesa necessaria per il patrocinio della causa, con potestà ancora “de persequire la reclamatione et appellatione” della causa, se sarà necessario. Il sindaco deve dare loro tutto il denaro occorrente. L’Università “se contenta et cossi vole” che il Governatore faccia giustizia dell’omicidio commesso da Marino Pecoraro e altri delinquenti in persona del fu Minico de Canali. Ha deliberato di fare una “demonstratione” per la morte della regina di Spagna. Il sindaco deve far presente questo al padre abate perché faccia un mandato a tutto il clero di recarsi tutti sabato mattina al borgo degli Scacciaventi: 1’ Università ha infatti deciso che tale dimostrazione si faccia nella chiesa di S. Maria del Gesù, come sarà ordinato dal Governatore, e a tale effetto ha ordinato al sindaco di comprare dieci ducati di “intorche” e farle preparare per il prossimo sabato. Dopo questa “demostratione o vero exequia” la cera rimasta dovrà essere lasciata alla chiesa di S. Maria del Gesù. Dà potestà ad ogni cittadino di comprare il grano che si vende alla Marina, senza pregiudicare le ragioni dell’università nella causa contro Angelo de Vitale. 80


23 gennaio Si riuniscono messer Theseo Longo, messer Iacobo Mangrella, Lucio dela Corte e messer Bartholo Casaburi, eletti “delo partito”.

messer

Hanno ordinato che il sindaco mandi un messo “ad posta” a Napoli per portare lettere a Nardo Andrea Fronda procuratore dell’Università, disponendo che se non avesse già reclamato per il decreto del Sacro Consiglio nella causa tra l’Università e Angelo de Vitale e compagni, lo facesse subito. Immediatamente il sindaco manda Joanne Papa de la Cava, con il salario di carlini tre.

27 gennaio Nel borgo Scacciaventi si riuniscono i sopraddetti eletti. Hanno ordinato al sindaco di mandare un messo “ad posta” a Napoli al procuratore della città Nardo Andrea Fronda con la copia del mandato fatto dal S. Consiglio all’università che dovrebbe rendere il “caso” a Richardo e i denari ad Angelo Vitale. Il procuratore, d’accordo con l’avvocato, deve rispondere a detto mandato “come meglio parerà ad ipso”. Il messo deve avere come salario tre carlini e due carlini devono essere mandati al procuratore per pagare il mastro d’atti, dovendo rispondere al mandato.

30 gennaio Si riuniscono gli eletti [Theseo e Andrea Longo, Lucio dela Corte, Fioravante Troise, Jacobo Mangrella, not. Joanne Philippo de Parise, Perroloise Quaranta, Joanne Gagliardo, Michele de Anna, Benedetto de Monica e Berardino de Adenulfo] nella chiesa di S. Giacomo. L’Università è debitrice a Francesco Spinola di ducati 73, tari 3 e grana 10, resto di maggior somma. Di questa cifra si resero debitori Perroloise Quaranta e Hectorro Cafaro, i quali sono stati citati e saranno condannati. Il sindaco non ha modo di prendere questa somma da nessuna parte. Si dispone di prenderla da denari dell’università tenuti da Antonio de Marco, per ordine di Theseo Longo e compagni, eletti “delo partito delo grano”, in prestito per quattro o cinque giorni, di modo che il sindaco possa riscuoterli dai debitori e possa restituirli. Con il presente decreto si ordina ad Antonio de Marco di consegnare il denaro fino alla somma di ducati 76. Hanno ordinato di bonificare al sindaco “allo ponere de sui cunti”, 4 tari che ha pagato al Governatore, “per tanto pane et vino dede ad certi Spagnoli che passaro per lo burgo, per el che ne resultaro multa comodità dela Università et per interpositione de Sua S. sende andaro con Dio et non allogiaro”. 81


Hanno ordinato “che io notar Antonino Gallardo” debba andare a Napoli a portare il denaro a Francesco Spinola, pagare e far rompere l’istrumento e recuperare dal detto Francesco la polizza della R. Corte. Per la cavalcatura e spese, il cancelliere riceverà tre tari di carlini.

2 febbraio Si riunisce l’Università nel portico della casa del Governatore sita al borgo degli Scacciaventi, “per banni emissionem” nei soliti luoghi e con licenza del Governatore. F 54) Ha ordinato di vendere quello che resta del “caso” che è al presente dell’università, al prezzo corrente, e fino a che dura questo “caso” non se ne debba vendere altro, all’infuori di quello dell’università “et più” si deve vedere e pesare la quantità rimasta da vendere per il primo giorno di Quaresima e venderla al prezzo predetto. Conferma gli eletti “so stati per lo passato” “con quella potestà che haviano da primo sopra lo goberno de lo grano et caso”. Messer Theseo e messer Lucio devono andare a Napoli, come già disposto dall’università con decreto, per il primo dì di Quaresima. L’Università decreta che si debba “liberare” la mula, per il prezzo che si è trovato [?]. Perché don Francesco e compagni sono comparsi davanti all’Università e l’hanno pregata di voler loro dare “expediente de loro ragioni sopra le gabelle so state imposte per li tempi passati”, l’Università ha concluso che si debba eseguire “sencza replica alcuna” tutto ciò che sarà ordinato dal Governatore, sindaco ed eletti ordinari e ancora dal padre presidente, che “ej al presente alo monasterio dela Cava”, “adzo dicta Università et loro restano bene contenti da patri et figli”.

F 54 v) 13 febbraio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo [con le solite modalità], con licenza e alla presenza del Governatore. Il sindaco ha proposto molte cose concernenti il bene pubblico. Messer Theseo e messer Lucio, mandati a Napoli dall’università per molte cause e soprattutto per la questione di Angelo Vitale e Richardo Cava, hanno riferito sul loro operato. L’Università, visto che il S. Consiglio ha deciso che essa deva restituire i denari e il “caso” a Angelo Vitale e Richardo, “sub certa pena”, conferma gli eletti deputati “sopra lo partito delo grano et causa predicta”, con ampia potestà per poter trovare il denaro da restituire ad Angelo e Richardo, e trovatolo restituirlo, in osservanza del decreto del Sacro Consiglio e per evitare la pena. 82


L’Università ha confermato detti eletti dando loro potestà di “havere consulta” sulla questione rimessa dal S. Consiglio al tribunale del vicario della città di Cava e, avutola, di portare avanti la lite nel tribunale del vicario o in altra parte e infine fare tutto ciò che sarà necessario per detta causa. Dà ampia potestà agli eletti ordinari “et ala majore parte de loro” circa la questione con i monaci: “che quello che ej dela Università sia de quella, et quello che ej delo monasterio sia delo monasterio”. “Per banni emissionem”. si faccia intendere ad ogni cittadino che ognuno si “manutenga et conserva” quello che spettava “in tempo foro passati li capitoli per abbate lustino”, in modo da non arrecare pregiudizio in futuro all’università. L’Università ha eletto messer Michele de Anna e messer Modesto dela Corte e il cancelliere per mastro d’atti a sindacare messer Angelo de Ursellis, olim vicario della città. Nel sindacare il suo operato interverrà il “moderno vicario”.

F 55 v) 19 febbraio Si riunisce l’Università “ad banni emissionem ut moris est”, nella chiesa di S. Giacomo con licenza del Governatore. “Avendo intiso una imbassiata” fatta all’Università da Hectorro Cafaro da parte di Galieno de Anna, che dice di aver tenuto “manigio” con Angelo de Vitale ed è del parere che si giunga ad un accordo, l'Università congregata decide di rimettere a Galieno de Anna e al Governatore la questione, senza pregiudicare le ragioni né dell’una né dell’altra parte. Il trattato prevede la sospensione del termine per la restituzione di “robbe” e danaro, come stabilito dal S. Consiglio. Tale termine sarà fissato in 10 giorni dopo la stipula dell’accordo. Modesto dela Corte e Hectorro Cafaro devono andare a Napoli, per questa e altre faccende dell’Università, conferire con messer Galieno su questo e “mectere bono effecto” a questa causa. L'Università dà per rato ciò che sarà fatto da Galieno de Anna e dal Governatore. L’Università ha ordinato a Modesto dela Corte e ad Hectorro Cafaro di parlare col Gran Capitano del fatto della tragola, lamentandosi che finora la regina d’Ungheria non ha voluto cercare di risolvere il problema. F 56) Essi devono parlare al Gran Capitano lamentandosi del comportamento dei commissari della regina, “quali hanno facta presagla ad dicta cita pigiando multi muli” e portandoli a S. Severino “non volendo ad multe pregane delo S. Gubernatore aspettare per octo di”. Sia lecito a forestieri e cittadini venire a vendere grano alla Marina di Vietri, e sia lecito ai cittadini comprarlo “ad loro piacere”, così che “lo partito” fatto dagli eletti “dello grano” con Antonino Cafaro di Messina “habia loco” e venga osservato. 83


L’Università ha decretato che si levi il carlino a tomolo imposto sul grano e sul mulino, di modo che non si abbia da pagare di macinatura “excepto Ilo solito”. L’Università vuole e ordina che sia pagato il danno ai “mulecteri et boyari” ai quali sono stati levati muli e buoi dal predetto commissario. Ha ordinato che sia pagato il not. Jo. Marco, per il tempo che ha fatto da guardia al cancello “dove ha guardato per la peste”, come sono stati pagati gli altri guardiani. F 56 v) Ha ordinato che “siano facti boni alo sindico in lo ponere de soi cunti” duc. 6 e mezzo, da lui rimborsati al Governatore, il quale aveva speso “per magnare et bevere dede” a certi Spagnoli. Il Governatore, per evitare inconvenienti se avessero alloggiato nei casali, “Ile fece stare et magnare in sua casa ad spesa sua”. Similmente siano “facti boni” al sindaco tre ducati dati al Governatore e due dati a Geronimo Casaburi, per essere andati a Napoli su ordine dell’università per la causa con i monaci e per parlare con il presidente “de la religione de santa Iustina”. Questi ducati “loro foro dati per loro despesa”. Il sindaco e il cancelliere devono provvedere al pagamento di spese sostenute dall’università, recuperando “poliza de recepto”. Devono pagare Francesco Trabucco per aver fatto “lo castellano”21 nelle esequie della regina, Nardo Salerno per certe pitture e Berardino de Adenulfo. Si paghi a Domenico Casaburi l’eccedenza sui 10 ducati di cera ordinata per le esequie della regina (e “ce ne andò uno certo quid più”). F 57) Lo stesso giorno I quattro eletti “delo partito”, cioè Theseo Longo, Lucio dela Corte, Bartholo Casaburi e Jacobo Mangrella. Hanno ordinato al sindaco di pagare a Jo. Marco Jovene, che andò a Castellammare “per causa de lo partito” e “per due dì vacao”, tari due e mezzo e per la cavalcatura tari uno, e a Loise Salerno, che per due giorni stette con il not. Jo. Marcho, tari uno.

22 febbraio Si riunisce l’Università su licenza di Iacobo Mangrella, luogotenente del Governatore, “ad banni emissionem ut moris est”. “Have decretato et concluso, actento che lo comissario dela regina de Hongaria ha facta una presagla de certe bestie” ed il sindaco non aveva denari per pagare, che si

21 Notar Giacomo, nel descrivere le esequie della Regina di Spagna fatte a Napoli, parla di una castellana, un baldacchino funebre sotto il quale si metteva il feretro: NOTAR GIACOMO, Cronica di Napoli, Napoli, dalla Stamperia Reale, 1845 (rist. facs. Bologna, Forni, 1980), p. 275.

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prendano in prestito per otto giorni dai denari dell’università che “tene” Antonio de Mauro ducati 80; il sindaco integri la somma di duc. 100 e subito si mandi il denaro a Napoli, a pagare la Regia Corte. Detti duc. 100 si mandano alla R. Corte per Marcozello Tagliaferro che deve ritirarne ricevuta e ancora ""provisione” se rendano li muli pigiati per dicto comissario”. Si scriva una lettera "ad li sindici so ad Napoli”, cioè Modesto dela Corte e Hectorro Cafaro, che vogliano dire a Michele de Afflitto di far osservare i privilegi della città, non mandando a Cava commissari di S. Severino e di Salerno. F 57 v) Due o tre mulattieri vadano con Marcozello a Napoli, per “secorta deli dicti denari”. Saranno rimborsati delle spese. Saranno bonificati al sindaco 3 tari pagati a Laurenczo [...] e a Colamarino delo Bello, mandati in diversi dì in Napoli "ad dicti sindici per causa dela Università”. L’Università ha inoltre decretato che gli eleni ordinari, o la maggior parte di essi, possano sedare la questione con "li preyti” e lo facciano presto, ad evitare una scomunica.

25 febbraio Si riunisce l'Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza di Iacobo Mangrella, luogotenente del Governatore, "ad banni emissionem ut moris est”. Essendo “venuti certi capitoli” fatti a Napoli da Jo. de Lamberto, Angelo de Vitale e Richardo de Cava, e da Modesto e Hectorro Cafaro “sindici mandati supra deczo”, per interposizione del Governatore e di messer Galieno de Anna “supra lo partito dello grano”, l’Università ha ordinalo che si risponda al Governatore, a messer Galieno e ai “sindici, che so ad Napoli”, che essa si contenta di prendere 6.000 tomoli di grano “et non più alo dicto preczo in tre partite”, cioè per il 6 marzo la terza parte, l’altra terza parte alla fine di marzo e l’altra ancora per la metà di aprile. Il grano deve essere bene asciutto, non “fetente né mescato de grano fracito”. Sui primi 2.000 tomoli di grano, deve essere bonificata all’Università la somma di duc. 500 per il danno sofferto, pagando poi il resto del debito alla fine di giugno ["per tutto lo mese de jugno”]. Il formaggio [“et che lo caso”] si deve restituire, secondo il decreto del Sacro Coniglio. Le pregiarie e cautele “se faczano justa lo tenore de dicti capitoli”. Si mandi una lettera con cresta decisione a Napoli al Governatore e ai “sindici”. Al messo “ad posta” si diano un tari e mezzo per suo salario, come di solito.

2 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem ut moris est” con licenza del Governa: tre e alla presenza del suo luogotenente. 85


L’Università aveva affidato al Governatore e a messer Galieno de Anna la questione con Angelo de Vitale e compagni e da essi “so stati formati certi capitoli” con Angelo Vitale, Jo. de Lamberto, Richardo Cava e compagni “de tale accordio”, “donde la università havendo intisi tali capitoli evidentemente pretendea et apparea essere lesa, in quanto alo facto delo tempo de la consignatione deli grani et dela bontà de quilli, dello caso et in multe altre parti de dicti capitoli et accordio”. Per questo l’Università ha eletto messer Theseo Longo, messer Ursino de Anna, messere Raymundo de Monica, messer Jo. Baptista Longo e messer Solimanno dela Corte, a cui dà potestà amplissima di discutere i capitoli e vedere di moderarli, in modo da ricavarne un beneficio per l’Università. Tutto ciò va fatto “per mano meczo et interpositione” del Governatore e di messere Galieno “per lo honore de loro signorie”. Se è possibile trovare un accordo che non sia lesivo nei confronti dell’università, bene, altrimenti dà loro simile ampia potestà per trovare i danari da restituire ad Angelo Vitale, in osservanza del decreto del Sacro Consiglio. L’Università accetta e ratifica tutto ciò che faranno per trovare la somma necessaria e per proseguire la causa, prendere avvocati pagandoli a nome dell’Università e fare ogni altra cosa necessaria ed opportuna. Inoltre, la maggior parte di loro potrà agire come se fossero tutti insieme. F 59) Non sia lecito ad Antonino Messinese vendere alla Marina di Vietri il grano che tiene in un magazzeno in quel luogo, fuori che il lunedì ed il martedì, dal momento che verosimilmente “po havere venduto octocento thomola de grano in circha che fece parti- to con li electi li di passati, da quello tempo che fo concluso dicto partito”. Il sindaco deve pagare Colantonio di Caramanico, “porterò dela Summaria”, che dice aver “vacato”, per i pagamenti fiscali. Il sindaco deve farsi rilasciare “polisa de recepto”. Quando sarà opportuno, si faccia intendere al Gran Capitano o alla regina d’Ungheria in che maniera il commissario e “lo porterò” hanno trattato questa Università, ed anche a Michele de Afflicto, facendogli sapere che “lo porterò” “ha voluto più che quello li tocca per suo salario”; che l’Università non ha potuto fare altrimenti per non soffrire altri danni e “li muli che stavano prisuni per dicta causa quali non hanno voluto restituire excepto primo havuto lo indebito salario”.

F 59 v) 9 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” con licenza del Governatore e alla sua presenza. Avendo Theseo Longo e compagni riferito dell’accordo fatto con Angelo de Vitale, l’Università lo approva ed accetta nella forma in cui è stato concluso da Theseo Longo e dagli altri eletti e come appare per pubblico istrumento fatto per mano di pubblico notaio. 86


Poiché in virtù di detto accordo tanto Angelo Vitale che Richardo Cava devono avere 38 once, per poter pagare. l’Università dà potestà agli stessi eletti di comprare a Rocca [?] tanta quantità di grane o altro, "secondo parerà ad loro”, affinché sia soddisfatto il debito di once 38 con il suddetto Angelo Vitale. I revisori dei conti dell’ex sindaco Vincenzo Salsano fanno presente che c’è una certa quantità di denaro e che non sono tenuti a controllare. Ricevono l’ordine di controllare tutto e se si ritrovano debitori "quelli significare” in modo che non si possano dare altre dilazioni ai pagamenti. L’Università ordina che il grano del "partito” fatto con Diomede Longo e con Silvestro Longo e quello che avessero trovato e preso i detti eletti, cioè quello per il pagamento delle 38 once ad Angelo de Vitale, si possa vendere sia a forestieri che a cittadini, e questo per pagare al più presto le 38 once a messer Angelo. Si paghino ducati 6 al Governatore per le spese sostenute quando è stato a Napoli, per due volte, a causa dell’accordo fra l’Università e Angelo Vitale.

12 marzo Si riuniscono gli eletti [ordinari]. Hanno ordinato al sindaco di mandare a Napoli Hectorro Cafaro, per incontrarsi con Colanello Imperato e con messere Michele de Afflicto, per cercare di ottenere da loro che l’Università potesse pagare il residuo di Natale scorso anziché a metà di questo mese alla fine; se no, egli ha il compito di trovare tanti denari “che se accorda la Corte de quello che deve havere”. cioè da cento ducati "abasso”, per quanto potrà.

F 60 v) 15 marzo Gli eletti [sono gli incaricati dell’accordo con Angelo Vitale] si riuniscono nella curia di not. Antonino Gallardo cancelliere. Avendo visto il conto di 24 carlini che ha avuto Bartolo Casaburi da Berardino de Adenulfo e degli 8 carlini che ha avuto da Antonio de Mauro, hanno decretato che ne debba restituire all’università tari 9; ordinano al sindaco di esigerli. L’Università è debitrice ad Angelo de Vitale di duc. 264: il sindaco con questa somma, prelevata dal denaro di .Angelo Vitale in consegna a Berardino de Adenulfo, pagò il fisco. Dal momento che detti eletti hanno ricevuto potestà di trovare denari, o in grano o in altro modo, per pagare Angelo Vitale, ed hanno trovato questa somma in prestito da Silvestro e Diomede Longo per due mesi, iniziando dal 5 marzo, ordinano al sindaco della città Silvestro de Alferi di promettere a Silvestro e Diomede Longo il pagamento dei duc. 264 in detto tempo dando “pregi”. I Longo riscuoteranno dai gabelloti 87


che vorranno o gli stessi gabelloti potranno costituirsi debitori dei Longo e il sindaco darà loro ricevuta “secondo la rata li toccano dela dicta summa”. F 6l) Ordinano al sindaco di pagare tari due “ad me notare Antonino” per essere andato fino a Maiori per fare “lo protesto”come pubblico notaio a Richardo Cava “che se venesse ad pigiare lo caso”, secondo il decreto del S. Consiglio.

25 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del* Governatore, commendator Sabater. Il sindaco propose molte cose, in primo luogo circa il problema dei pagamenti fiscali e sul fatto che il padre abate pregava l’Università di accettare messer Angelo de Ursellis nell’ufficio del vicariato, che l’anno passato non c’era stato per via della peste. L’Università fa leggere certe “ordinatiuni” composte da alcuni cittadini ed ordina che abbiano efficacia e siano fatte conoscere per mezzo di bandi nel borgo degli Scacciaventi. Al “governo” della peste vengono eletti cittadini annotati “in pede de dicte ordinatiuni”. Sulle altre proposte non fu preso alcun provvedimento.

29 marzo Gli eletti [Pirro Loise Quaranta, Michele de Anna, Fioravante Troise, Jo. Gagliardo, Pirro Antonio Longo e Berardino de Adenulfo] si riuniscono nella curia del sindaco, notar Silvestro. Il sindaco “propone” come “al presente” non era possibile “retrahere” dai gabelloti i pagamenti fiscali. Gli eletti gli ordinano, “per evitare la venuta delo comissario”, di trovare duc. 100 ad interesse, nel miglior modo possibile. Lo stesso giorno. Gli eletti [Teseo e Silvestro Longo, Geronimo, Bartolo e not. Andrea Casaburi, giudice Ioanne Gallardo, Filippo Costa, Luca Gagliardo, Pirro Loise Quaranta e not. Io. Philippo de Parisi] e “altri citatini in defecto deli altri electi”. Si era saputo che circa 800 Spagnoli che stavano a Gragnano sarebbero dovuti venire di stanza a Cava, il che avrebbe portato molto danno alla città e “periculo de lo honore de qualche citatino”. Hanno quindi ordinato a Pirro Loise Quaranta e Bartholo Casaburi e pregato il Governatore “per amore de questa patria” di andare a Napoli dal Gran Capitano e supplicarlo di non far “venire dicti Spagnoli ad stantiare in dicta cita, 88


porgendoli la fedelita de dicta cita, la penuria grande et carastia e ancora la peste che ej in dicta cita”. Il sindaco deve dare al Governatore “per sua despesa per lo viagio predicto” duc. 3 correnti e a Pirro Loise Quaranta e Bartholo Casaburi carlini 15 per uno.

4 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Sentita la lettura di una lettera del sindaco da Napoli sul denaro che si soleva prendere ad interesse per i pagamenti fiscali, secondo cui non era possibile trovarne se non al cinque per cento, hanno ordinato che gli si scriva una lettera “che errore fo andare Ila” con Hectorro Cafaro, di trovare i 100 ducati al minor interesse possibile e che abbia modo di avere “lo in capito dei sali” del “terzo” di Natale. Si deve, quindi, mandare un “messo ad posta” al sindaco con questa lettera, dandogli il solito salario. F 62 v) “Item che se bandisca per craj matino la università” con licenza del Governatore, che “se facza università” e si propongano tre cose, la “pregiaria” del vicario, i pagamenti fiscali e la questione di due cittadini costretti a comparire davanti al Governatore [per essersi “scapellati”]. il che lede i privilegi della città.

5 aprile Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Governatore, per alcune occorrenze e necessità dell’università, fra cui, in primo luogo, i pagamenti fiscali e la conservazione dei privilegi. Ha ordinato al sindaco di prendere duc. 200 al minor interesse possibile, come gli era stato ordinato dagli eletti, e di procurare di avere “lo incapito” del sale di Natale. Quanto ai privilegi, il Governatore ha dichiarato “in piena universìtate” di voler rispettare i privilegi e di non procedere “in nullo delieto sencza accosatore”. F 63) Quanto al fatto di messer. Angelo “che se dice essere habitante de dicta cita et ej consoltore de lo S. Gubernatore de ipsa”, il che va contro i privilegi della città, l’Università decreta che gli eletti “vedano” i privilegi, e “se per quelli se propende derogarese” “per la habitatione che fa dicto messer Angelo in dicta cita”, facciano tutto ciò che c’è da fare per l’osservanza dei privilegi stessi. Poiché per ordine degli eletti il Governatore, Pirro Loise Quaranta e Bartholo Casaburi si recarono ad Aversa per parlare col Gran Capitano al fine di non far venire di stanza a Cava gli Spagnoli, e ricevettero per le loro spese 3 duc. il Governatore e 3 duc. 89


gli altri due, L’Università decreta che a “complemento” delle spese del Governatore gli si diano altri 3 duc. F 63 v) L’Università deve alla Regia Corte “lo terzo de Pasca”, ma non c’è modo di pagare poiché non ci sono i denari delle gabelle. Viene ordinato agli eletti ordinari di provvedere alla vendita di qualche gabella “per lo anno da venire”, o di prendere il denaro ad interesse, o “per alcun altro meglio modo che se potè”. L’Università ha “per rato” e fermo ciò che essi faranno sopra di ciò. Alla Marina sono stati fatti bandi secondo cui nessun cittadino possa vendere grano che si trovi a Cava o nei suoi distretti, eccetto che ai panettieri. In città non ci sono più di circa cento tomoli di grano. “Ey comparso” Raymondo Cantarello dicendo che egli tiene questa quantità di grano e non può venderla, ma se dovesse accadere che arrivasse del grano, ne sarebbe grandemente danneggiato. L’Università ordina che se “per ventura” arrivasse altro grano, si dovrà vendere prima il suo. Per ripagare il danno subito dai mulattieri con il sequestro dei muli per 1 pagamenti fiscali, gli eletti ordinari o la maggior parte di loro devono valutare tale danno. Il sindaco deve risarcirlo e gli sarà bonificata la somma, “allo ponere dei sui cunti”, dietro ricevuta dei mulattieri.

7 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. È arrivato del grano alla Marina di Vietri e, poiché era stato promesso a Raymondo Cantarello di fargli vendere prima i suoi cento tomoli di grano, gli eletti hanno ordinato al sindaco di recarsi alla Marina di Vietri e di far vendere “per oge” il grano di Raymondo Cantarello e domani “craj marino” si potrà vendere l’altro grano. Il prezzo, nell’un caso e nell’altro, è libero [“ad quello preczo che porrà”, “corno meglio porranno”], in modo che se a Raymondo Cantarello restasse una parte di grano invenduta, si debba distribuire ai panettieri, al prezzo del grano che è alla Marina. Hanno ordinato di dare due [...?] di caciocavalli al commissario. Gli erano stati promessi dal sindaco perché “lo fece accorto” che gli dovevano essere “facti boni li denari dela mesoratura delo sale”. Il sindaco, il cancelliere ed Hectorro Cafaro devono fare “lista” del danno che “pateno” i mulattieri e riferire agli eletti affinché possano “decretare” in merito. F 64 v) “Item per che multe fiate” succede “che accascano multe cose ala università” e non si provvede con la celerità dovuta per l’assenza degli eletti dal Borgo, “adzo le cose dela università habiano bono effecto”, hanno ordinato che gli eletti devono convenire al borgo tre volte la settimana, il lunedì, mercoledì e venerdì. Ciò deve essere fatto “intendere”

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a tutti gli eletti, per i contravventori è prevista una pena di un tari, che dovrà essere applicata dal Governatore. Siano “facti boni” al sindaco tari sei pagati “alo sansaro che fece la sansaria de fareli trovare ducati ducento” che ha preso in prestito “per bisogno universale”.

14 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo saputo che Angelo de Amphora “per sua indespositione et male che tene” non può servire l’Università, gli eletti, “sencza nota de infamia”, lo rimuovono dal suo incarico, che viene assegnato ad un altro. Da questa stessa data, il salario che toccava ad Angelo viene dato al nuovo incaricato. Dal salario di Angelo devono essere tolti i denari pagati dal sindaco a diversi “jorati per farese servire” “in defecto suo”. Devono essere bonificati al sindaco carlini sette pagati “ad lo alguczino” del Governatore mandato a Gragnano e a Napoli “ad intendere deli Spagnoli erano per venire ad stantiare ala Cava, si o no” su ordine degli eletti. L’Università aveva dato potestà agli eletti o alla maggior parte di loro di tassare e moderare il danno richiesto dai mulattieri che avevano avuto i muli requisiti per via dei pagamenti fiscali, in S. Severino. Per questo gli eletti “vista la carta facta per dicti molicteri” stabiliscono che essi devono essere pagati grana sette e mezzo per ciascun giorno che i loro muli stettero “pristini”, secondo una declaratoria fatta da Martuczello Taglaferro [sic] e Marino [?] Pisapia. Il mulo di Galione “stette prisone multo di più che non stectero li altri”, per cui il suo danno viene valutato tari sette e mezzo. F 65 v) Il sindaco deve prendere la copia del testamento del not. Basile che lasciò del denaro all’università. Sopra. Di ciò “se habia consiglio”; il sindaco poi eseguirà quanto “la università li ordinarra havuto lo consiglio”

28 Aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato di fare una lettera di favore ad Orlando de Conterò presso il Gran Capitano, per una somma di [?] di Pernizzano che gli fu tolta da “certi greci et al presente ej in potere de messer Petro del Ponte [?] et de messer Theodoro, capi [?] ala debellatione de Conversar” 91


Il sindaco deve prendere la copia del testamento di not. Basile e pagare tari uno al not. Jo. Philippo, che fece questo testamento, per la copia da lui stesso autenticata. Si deve fare una “imbassiata” a don Riccardo, vicario e luogotenente dell’abate, il quale deve intervenire personalmente nelle processioni e non farsi sostituire da altri preti, e ancora “che voglia rendere la croce dela università”. Devono andare a parlargli Andrea Longo e il sindaco.

F 66) 29 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Decidono che siano pagate le spese “per quelli dì che vacarrà at qua” a messer Petro de Massa, venuto come commissario “per lo residuo de augusto proximo passato”. Poiché il vicario e luogotenente dell’abate del monastero della SS. Trinità, don Riccardo, ha restituito la croce dell’università al sindaco, ordinano al sindaco di riporre la croce nella cassa dell’università e a Dominico Casaburi, conservatore della cassa, di non prestare la croce “ad nesciuno” senza espressa licenza degli eletti e dell’università. Lo stesso giorno. Gli eletti, riuniti nella curia del not. Silvestro, sindaco. Poiché l’Università è costretta da Pietro de Massa, commissario della regina d’Ungheria, a consegnare a messere Grabiele Stagnolo, che vive ad Ischia, duc. 200 sui pagamenti fiscali e poiché si ritrova “in extrema necessità” e non può pagare, hanno ordinato che il sindaco mandi un uomo “ad posta ad Isca” a pregare messer Grabiele di concedere una dilazione almeno per tutto agosto, o un pagamento “per mese”; l’Università farà “cautela sufficiente”. Il messo dovrà essere pagato secondo il migliore accordo che si potrà fare.

6 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Silvestro sindaco. Il 5 aprile l’Università aveva ordinato di trovare del denaro per far fronte ai pagamenti dovuti alla Regia Corte per i residui passati e “lo terzo de Pasca”; finora non era stato possibile trovare altro se non comprare a credito per tutto agosto prossimo 400 tomoli di grano “da chi meglio se porranno trovare”. Perciò gli eletti ordinano al sindaco, a Fioravante Troise, a Hectorro Cafaro e a Frabicio dela Corte di recarsi a Vietri per cercare di comprare grano dai mercanti di questa città, più che dai forestieri, al minor prezzo possibile, promettendo il pagamento tramite i gabelloti entro agosto [“fandoli promissione darli per tenuti li gabelloti per dicto tempo et per lo preczo de dicti grani”]. 92


F 67) “Item perche qua ey venuto” un gentiluomo spagnolo che vuol fare emanare “insoliti” bandi “delo facto dela gabella dela seta quale may fo solito fare in dicta cita”, con pregiudizio delle immunità e dei privilegi della città e del sacro monastero, gli eletti ordinano al sindaco e al cancelliere che uno di loro si trovi all’esposizione dei bandi e ne impedisca l’emanazione e “ad ipsi banni contradicano”, protestando per non far “generare prejudicio” verso i suddetti privilegi. Si paghi un tari al giorno “per cincho dì ha vacato ad andare et tornare” da Ischia a Colamarino de Cesaro, mandato “ad posta” ad Ischia da messer Grabiele Stagnolo per ottenere una dilazione dei pagamenti.

7 maggio Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo il sindaco fatto presente che non si era potuto trovare grano ed esposto ancora il problema della gabella della seta, hanno ordinato al sindaco di far bandire l’Università per “domani po magnare” per fare “piena università” su queste e su altre cose. F 67 v) Si mandi un messo “ad posta” con le istruzioni “delo facto dela seta” a Napoli, dall’avvocato e procuratore della città, il quale deve rispondere “in Sommaria” per il mandato avuto dall’università “per lo commissario de dicta gabella”. Il messo riceverà il solito salario, cioè tre carlini.

8 maggio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Governatore. Essendo l’Università debitrice per “lo terzo de Pasca” di circa 300 ducati e non avendo modo di procurarseli, decide di mandare a Napoli Hectorro Cafaro “indereczato” a messer Galieno de Anna, per poter trovare tramite suo in prestito al minor interesse possibile 300 duc. all’incirca, per poter far fronte ai pagamenti fiscali. “Item che non obstante Ilo predicto”, il sindaco, Fioravante Troise, Hectorro Cafaro e Frabicio dela Corte debbano andare alla Marina di Vietri ed incontrarsi con tutti i “mercanti che so Ila allo presente de grani tanto foresteri quanto citatini”, per poter comprare due o tremila tomoli di grano per il bisogno della città, al prezzo che potranno, in modo che “lo preczo se habia da pigiare per ipso mercante di per di vendendonose dicti grani”. Se il prezzo del grano salisse o diminuisse, questo grano si dovrà comunque vendere al prezzo convenuto con detti eletti. 93


F 68) Questi dovranno anche cercare di avere in prestito dallo stesso mercante duc. 300 per tre mesi; 1’ Università gli farà opportuna cautela che il denaro allo scader del tempo gli sarà restituito ed in più gli concederà una specie di monopolio nella vendita del grano [“non fare vendere altri grani excepto li grani soi”). Se non fosse possibile trovare il denaro a Napoli, l’Università dà potestà agli eletti ordinari “che poczano fare et desponere tanto quanto fusse tucta la università insiemi congregata de trovar dicti denari” al minor interesse possibile. Per poter restituire il prestito, l’Università dà anche potestà agli eletti ordinari di far bandire le gabelle e venderle per il prossimo anno “et adjongere sopra dicte gabelle quello che loro parerra”. L’Università promette di avere “rato, grato et fermo” il loro operato. Si dia notizia all’università del '‘liberare dele gabelle”. Andrea Longonen un altro scelto da lui dovrà andare dall’abate a raccomandargli il vescovo di Massa e altri due prelati, don Laurenczo de Ariente [?] e don Palomedesso Genuese. Il Governatore aveva emanato un bando con la proibizione di vendere la seta; inoltre si era avuta una lettera della Sommaria secondo cui si “devesse permettere fare rescotere la gabella de la seta ad uno messer Alfonso spagnolo in questa cita”. L’Università aveva reclamato ed aveva avuto tre giorni di tempo per presentarsi alla Sommaria a sostenere le sue ragioni. Per questo l’Università ha ordinato al sindaco di mandare un messo “ad posta” a Napoli, dal procuratore della città Nardo Andrea Fronda per portargli la copia degli atti, “lictera et bando”, con lettera dell’università, affinché provvedesse “de respondere ala Summaria supra deczo”. Si paghino le copie al mastro d’atti e al messo il solito salario; al procuratore si mandi un tari.

10 maggio Si riuniscono gli eletti nella…. del Governatore. Per dare “expediente” ai pagamenti fiscali, hanno deciso di prendere da messer Lione dela Monica 400 tomoli di grano, a 8 carlini e mezzo il tomolo, da pagare “per tutto el mese de juglio” prossimo. Questo grano deve essere venduto prima di altro grano, “adzo se retraha presto lo preczo per dare expediente de pagare dicti pagamenti fiscali”. Danno al sindaco potestà di fare “polisa de recepto” ai gabelloti per i mesi di giugno e luglio “de quelli denari che per dicte due mesate so debituri ad la università”. I gabelloti devono diventare debitori di Leone e possono pagarlo mese per mese, “secondo so tenuti ala dicta università”. 94


Se si imporranno gabelle nuove per soddisfare il debito con Leone, “se habia ad consignare ad dicto Lione non obstante la promissione facta ad ipso per dicti gabelloti: pagare per dicto tempo”. F 69) Venduti i 400 tomoli di grano, sarà lecito a Lione [de Monica] di vendere “lo resto deli grani soi”, sia a cittadini che a forestieri; ai cittadini non potrà venderlo più di otto carlini e mezzo e ai forestieri “alo meglio preczo che possa”. Gli eletti hanno ordinato al sindaco, a Fioravante Troise e ad Hectorro Cafaro di prendere il grano che Vincenzo da Ponte compro “dalo palermitano”. Il sindaco, “Fioravante et Hectorro” devono recarsi alla Marina di Vietri, incontrarsi con Silvestro Longo e Diomede Longo e parlare loro di 5.100 tomoli di grano, comprati dal “palermitano” a tari 4 e grana 2 il tomolo; Hectorro Cafaro deve andare a Salerno [“anda ad Salerno”] a parlare col commissario dei pagamenti fiscali, Petro de Massa, “fandoli intendere lo bono modo et ordene che se ey pigiati per la università per pagare dicti pagamenti fiscali con lictera de credencza de la università”.

11 maggio Gli eletti “hanno decretato che se pigiano tucti li grani che sono decretati et ey stato ragiunato li di passati et ancora li altri diamola cincho cento che sono impotere de Lione dela Monica per parte dela università". Fioravante [Troise] dovrà intervenire nella vendita del grano, facendolo vendere a due grana meno che ai forestieri, o altrimenti, secondo come gli sarà ordinato dagli eletti. Dovrà notificare agli eleni, “sagliendono” il prezzo del grano ai forestieri “et pigle cunto de quello che vende, quale cunto lo debia dare impotere delo sindico”. Egli non dovrà, inoltre, far cadere grano a nessuno “sencza bollecta, deli infrascripti ordenati per dicti electi et vendedolle sencza dicte bollette sia tenuto ipso Fioravante fardi boni ad dicta università"'. I nomi degli “ordenar ad fare He bollecte” sono: “ad Passiano” not. Jo. Philippo de Parise; a S. Adiutore noe. Ferrante de Monica22; a Mitigliano Joannocto Troise; a 22 FILANGIERI, Cit. VI, p. 118 p Alcuni sui atti sono conservati nell’Archivio di Stato di Salerno (Guida storica..., cit., p. 216).

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“Tragonea” Carolo Punczo, a Vietri Donato de Stasio, “dela Cava” Joanne Catoczo, a Cetara not. Juliano Papalardo. Fioravante Troise deve fare lo “assayo de tucte le sorte de dicti grani” e deve dame “aviso” al sindaco e agli eletti.

F 70) 13 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Silvestro sindaco. “Hanno decretato che Ile mille thomola de grano che se piglaro et compararo dalo palermitano ad osto carlini lo thomolo li dì passati se habiano ad vendere ad citatini et non ad foresteri” a nove carlini al tomolo. Sul guadagneremo ducati si dovranno dare a Lione dela Monica “per tanto che nde have improntato ala università”. Il “supplemento” fino alla somma di duc. 340 fu prestato da Rampinoe Andrea de lordano, “secondo appare per uno contraete” fatto dallo stesso cancelliere, not. Antonino Gagliardo; Leone della Monica potrà prendere “da quello che compera thomolo per thomolo dì per dì”. I mille tomoli di grano devono essere venduti solo ai cittadini nel modo seguente: “chiesia per chiesia” cominciando da S. Pietro in Siepi a S. Maria a Toro 20 tomoli al giorno, a S. Arcangelo e “ad lo Salvatore” 16 tomoli al giorno, a “S. Cesaro” 7 tomoli, a S. Maria a Vetranto 7 tomoli, a Santa Lucia 4 tomoli, a S. Nicola a Dupino 7 tomoli, a S. Nicola de Priato 4 tomoli, a S. Giovanni de Casaburi 4 tomoli, a la Maddalena, 1 tomolo, a S. Maria della Terra 3 tomoli, a S. Pietro de Trasbonea 5 tomoli, a Cetara 10 tomoli, a S. Giovanni di Vietri 4 tomoli, “ali Scaczaventi” 3 tomoli.

15 maggio Gli eletti, il Governatore e messer Angelo de Ursellis “suo jodice et consoltore” si riuniscono nel fondaco di Pirro Jo. de Anna. Hanno decretato che tutti i cittadini di Cava possano comprare grano “dali foresteri che so ala Marina de Veteri et non de quelli dela università” e possano portarli ed “extraherelle fore et vendere dove loro piacerà”, non includendo però i panettieri “che voleno fare pane ad vendere per lo fraude che sence pote commettere”. Al fondaco “dove sta Ilo grano dela università” abita notte e giorno “lo patrone” del fondaco stesso e “porria essere che se commectesse fraude de nocte”. Gli eletti hanno ordinato pertanto a Fioravante Troise, “credenczero” dell’università, di stare lì notte e giorno “ad assistere che in dicto grano non se commecta fraude et che habia ad fare quatemo”, come gli è stato ordinato in passato.

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Il sindaco, gli eletti, i grossieri e i catapani devono fare bando che i panettieri che volessero fare pane “de quello che allo presente se vende in dicta cita”, debbano fare 24 once di pane o 23 [se di altra qualità]. Palomedesso Gaudiuso ha fatto citare dalla Gran Corte della Vicaria Domenico Casaburi. Ciò va contro i privilegi della città. Si decide di far querela al Governatore “che nce voglia provedere secondo la justitia vole”; il sindaco e gli eletti devono vedere i privilegi e i decreti dell’università e farli osservare.

17 maggio Si riuniscono gli eletti nel fondaco di messer Geronimo Casaburi. Considerando che nei giorni passati Leone della Monica aveva venduto a Richardo de Cava, “de Mayuri”, 500 tomoli di grano ad 8 carlini meno un grano al tomolo, grano che fu sequestrato dall’università, per la necessità che ne “tenia” e “de justitia” “possea dire volerelo per dicto preczo per essere venuto lo grano ad lo tenimento de dicta cita”, gli eletti “se contentano” che di questi 500 tomoli di grano ne siano “liberati” a Riccardo Cava 400 e cento debbano restare alla città, ordinando a Leone “presente et contentantese” che questi 100 tomoli debba tenerli per l’Università. Non potrà pertanto venderli o fame altro esito senza espressa licenza dell’università; gli viene promesso di “cavarelo indapno et de interesse che per tale causa patesse per causa de dicto Richardo”.

24 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Silvestro, sindaco. Si “dubita che per questa cita passassero Spagnoli”. Cetara non era stata “relevata” per il grano “partuto” dall’università. F 71 v) Il sindaco deve far prendere 9 tomoli di grano, fame fare farina e tenerla “per respecto et causa de dicti Spagnoli” che forse passeranno per Cava. Della quantità che tocca a Cetara, il casale ne deve dare un tomolo al vicario, “con li soi denari”. Per una discordanza nel “cunto” di S. Lucia e Pregiato, si ordina che dalla quantità di grano che tocca a S. Lucia se ne debbano dare 4 tomoli a “Priato o vero ad Santo Nicola”. Si scriva una lettera a Fioravante Troise per la consegna: “che nce le debia consignare, et lo resto consigne secondo lo ordine et la carta ad ipso data”. Si raccomanda ancora che “non facza altramente et non lo manche ad nullo più”. Dalla “rata dello grano” che tocca al “burgo deli Scaczavencti” se ne debbono dare 2 tomoli al Governatore; il sindaco paghi al mercante “lo preczo de quelli”; un altro tomolo,

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preso dalla stessa “rata”, deve essere dato a messer Angelo, auditore del Governatore. Come salario a compenso delle sue fatiche, come credenziere, Fioravante Troise deve avere tari 15. [Nomi degli eletti] Gli stessi eletti hanno ordinato al sindaco di mandare un messo a Montecorvino o a Eboli, dove sta messer Silvestro Longo, con una lettera dell’università, per chiedergli di fare il possibile per non far venire gli Spagnoli “per questa via”, o per sapere se “so deliberati” di venire a Cava; informi di ogni cosa l’Università. Al messo va dato “quello che sia justo”.

F 72) 25 maggio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Governatore. Vengono proposte molte cose e soprattutto “lo facto deli cincho carlini per foco novamente imposti per la Regia Corte per caczare fore del regno la gente de guerra”. Ma l’Università è in grande bisogno e “paté de fame gravemente”, perciò ordina che si rechino a Napoli dal Gran Capitano messer Modesto dela Corte e messer Bartholo Casaburi per supplicare di concedere una dilazione nei pagamenti “per che in tempore dilatato la università farra el debito”, come è stata solita fare per il passato. L’Università dà agli eletti ordinari, o alla maggior parte di loro, potestà “de trovare modo et expediente de imponere et trovare dicto pagamento”. Prima di deliberare “modo et corno et quale”, debbono riferirne all’università. Poiché “se dice” che i 500 tomoli di grano venduti all’università da Silvestro Longo e da Diomede Longo furono misurati “ala mesura napolitana, quali se deveano vendere ala mesura dela cita”, l’Università rimette agli eletti ordinari o alla maggior parte di loro de “intendere” la questione, in modo da “non fare ingravare la università, ma che omne uno habia ad bavere el debito suo et non se ingrave ne la università ne Silvestro ne Diomedes Longhi”. F 72 v) Nei giorni scorsi Leone della Monica aveva venduto nella Marina di Vietri a Riccardo de Cava 500 tomoli di grano, i quali “foro certo modo impediti per la università per li electi”. Fu poi decretato che 400 tomoli andassero al compratore e uno si tenesse per l’Università, tutelando Leone da qualche rivalsa di Riccardo, secondo un decreto fatto il 17 maggio. L’Università conferma quel decreto e dà altre rassicurazioni a Leone contro Riccardo. Poiché si sospetta che domani o dopodomani passeranno per Cava “certi fanti 98


Spagnoli”, il che sarebbe di gran danno e pericolo, “per dubio che se delatassero per la cita”, 1’ Università dà potestà agli eletti ordinari, o alla maggior parte di loro, di fare “omne “provisione” de obviare” che gli Spagnoli non passino per la città, facendo “donativo o presente secondo ad loro meglio parerra” Se non si potesse “obviare la loro passata”, dà agli eletti potestà di fare “la spesa, secondo meglio se parrà”. Il sindaco farà “la spesa et lo donativo” secondo il bisogno, su ordine degli eletti o della maggior parte di essi; la somma gli sarà poi bonificata “alo ponere de soi cunti”. L’Università dà per rato e fermo ciò che ordineranno gli eletti. F 73) Fioravante Troise come credenziere dell’università “sia constricto ad mectere cunto de li grani” e “per suo salario li sia dato quello che ey stato solito darese ali altri simili credenczeri et non altro”. Sui 100 tomoli di grano presi da Richardo de Cava 1’ Università aveva guadagnato 40 ducati e 25 ducati sui 500 tomoli di Silvestro e Diomede Longo, “dove se guadagnano cincho grani per tomolo che so in somma de ducati vinti cincho”; 1’ Università “vole” che questo guadagno si debba dare a Lione dela Monica in conto di “quello deve havere dala università”. I duc. 40 sono già in sua mano, i duc. 25 “so impotere de Antoni de Mauro”.

26 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Silvestro, sindaco “considerando la faticha che ha posta lo S. Gobernatore ad non fare allogiare li Spagnoli ala Cava”, e vista la potestà a loro data il 25 scorso, decretano che il sindaco debba dare al Governatore duc. 6 correnti per varie cose che “decte ali dicti Spagnoli quali pass aro sulo per dicta cita et non allogiaro”. Si metta “in memoriale ali sindici vadeno in Napoli” dal Gran Capitano a parlare in favore di Silvestro Longo “deli grani li levare li Spagnoli” e di Orlando de Conteri, per furti da lui subiti di panni [“per li panni che li levaro messer Petro de Ponte [ ? ] et messer Diodaro capo deliin Pugla”(sic) ].

F 73 v) 31 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Silvestro, sindaco. I duc. sei correnti che erano stati donati al Governatore in premio delle sue fatiche per ottenere che gli Spagnoli non alloggiassero in città, finora non gli sono stati dati; poiché il Governatore “ha obviato che li altri Spagnoli non hanno allogiato” in città, “per soe fatiche et premio seli donano ducati quindici correnti”. Ai famigli del Governatore per la stessa ragione si donano 5 tari. 99


Si paghi la barca che portò Macteo de Amphora, “misso mandato per lo Governatore ad Lago Picholo ali Spagnoli”; a Macteo si paghino grana 10. “Item che se moniscano Antonio de Lamberto, Marcho et Benedicto de Lamberto” e i loro parenti, che vogliano desistere dalla citazione da loro fatta in Vicaria contro Zopto e Rampino Iuvene. In caso contrario, ordinano al sindaco di fare querela contro di loro al Governatore, in quanto contravvengono ai privilegi della città. Il sindaco “facza mandare” ad esecuzione i decreti fatti in passato dall’Università contro i trasgressori dei privilegi. Quanto al fatto dei 5 carlini per fuoco e altre faccende dell’università e sul fatto di Angelo de Vitale, hanno ordinato al sindaco di far bandire l’Università “per domani po magnare” “etiche de czo se facza universitate craj po magnare se facza la università”.

F 74) 1 giugno Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, alla presenza del Governatore. Gli eletti hanno esposto “lo loro vedere et parere” circa il fatto dei 5 carlini a fuoco imposti dalla R. Corte. Sembra che non ci sia modo migliore per procurarli se non imponendo grana 7 sulla gabella della farina, oltre i 3 “che oge nce so”; 1’ Università accetta questa proposta di aumentare la gabella della farina per tre mesi, giugno, luglio e agosto. Poiché può essere che si macinino orzi e migli e in questo caso pagare 7 grana in più può costituire “uno troppo agravamento”, si rimette agli eletti ordinari e a quelli che sono presenti in questa Università ritoccare questa cifra. Il loro operato viene fin d’ora ratificato e accettato dall’università. Il Governatore non ha accettato i quindici ducati “che li liberaro et decretaro li electi”. Poiché egli “fece multo et grande beneficio in dicta cita in non fare allogiare dicta gente in dicta cita”, 1’ Università ordina al sindaco di donare al Governatore ducati 25 correnti. Quanto al fatto “dello grano per la grassa”, vengono rimesse alla maggior parte degli eletti le “provisioni” da prendersi “ita che la terra non pata et stea in grassa”. I cittadini di Nocera hanno fatto “certe insolenze”, in deroga e pregiudizio “dela libertà” della città di Cava. L’Università dispone pertanto che nessun cittadino di Nocera possa venire a Cava a vendere ortaggi o altre vettovaglie o altre cose “per vita de homino” e che nessun “citatino dela Cava ausa comprare” dai cittadini di Nocera le cose predette né al borgo né nei casali “ne per lo tenimento dela Cava, ala pena de perdere tucto quello che se vendesse et comparasse et altra pena reservata, ad arbitrio delo S. Gubernatore et delo sindico et electi”. Ancora, nessun cittadino cavese può andare a Nocera a vendervi vettovaglie o qualsiasi altra mercanzia “che sia per uso de homino”, alla pena predetta. 100


Devono essere bonificate al sindaco, “allo ponere de soi cunti”, le spese fatte “alo passare deli Spagnoli per dicta cita”. F 75) Sono comparsi “in dicta università” mastro Luca di Campagna, cretaro, e Petro e Salvatore Pagano “dela Rocca”, i quali hanno chiesto di essere accettati come cittadini, promettendo obbedienza all’università. Vengono accettati. Devono giurare sui Vangeli fedeltà alle Cattoliche Maestà, ai suoi ufficiali, all’università e vengono fatti partecipi di tutti gli onori, immunità e franchigie di cui gode la città, ma anche di tutti i “pisi et gravamenti”. Lo stesso giorno “li subscripti electi che se so trovati ala università oge” [cioè, oltre al sindaco, Andrea e Pirro Antonio Longo, Pirroloise Quaranta e Fioravante Troise] riguardo alla gabella da imporsi sulla farina, decidono che per ogni tomolo di grano macinato si paghino da oggi in avanti grana 6 in più, oltre quelli che si riscuotono da “Alfonsecto gabelloto”, e per ciascun tomolo di orzo e di miglio 4 grana in più, in modo che “dicta nova gabella dura tanto tempo quanto la università parerra”. Viene “eletto” a riscuotere la gabella Frabicio dela Corte. Il sindaco deve andare alla Marina a parlare con il mercante che ha promesso di vendere all’università del grano ad un carlino in meno al tomolo di quanto si vende alla Marina. Il sindaco deve informarsi del prezzo corrente, concludere l’affare e ritirare 300 tomoli di grano, pregandolo di vendere il grano “ala jomata, ad citatini et pigliarese lo preczo dì per dì”. “Se sende contenta bene” e in caso “che non sia con Teseo Longo et fazali pagare dicti grani secondo ha offerto ala università oge, et de po li facza vendere ad ipso messer Theseo doa grana più per thomolo che se comprarano per la università”.

3 giugno Si riuniscono gli eletti [in numero di 9] nella curia di not. Silvestro sindaco. Hanno decretato che i 300 tomoli di grano “o quello che nce nde ey”, comprati nei giorni scorsi dal sindaco da messer Francesco e Vinno Gallecta, si vendano a 9 carlini il tomolo e fino all’esaurimento di questo non si possa vendere altro grano. Il Governatore dovrà far emanare il bando con la proibizione di vendere altro grano, con la pena di un’oncia per i contravventori, da far applicare dal Governatore stesso e nessun cittadino “nde ausa comparare da altri mercanti ne citatini ne foristeri ala pena predicta”. Quanto alla nuova gabella sulla farina di 6 grana per il grano e di 4 per orzo e miglio, sembra più opportuno agli eletti venderla, anziché farla riscuotere da un “credenziere”. Pertanto dispongono che il sindaco faccia emanare nel borgo il bando relativo

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alla vendita di questa gabella: chi vorrà comprarla “debia comparere avante lo Sindico et decti ad ponere decta gabella che serra admisso et durara la liberatione de ipsa ad lume de candela, per sabato alle sidici hore”. Il sindaco deve parlare con il Governatore “che non voglia permettere” che vada avanti la citazione fatta contro Leone della Monica e suo figlio Andrea, perché va contro i privilegi della città. In caso che il Governatore non riesca a bloccare la faccenda “se dica ad Lione che se defenda, sumptibus universitatis”.

5 giugno Gli eletti, riunitisi nella curia di not. Silvestro sindaco hanno ordinato che si paghino a Zabacto carlini 15 e mezzo “per tante robbe de magnare et bavere” che diede a Jo. Cola Villano, venuto come commissario per i pagamenti fiscali; che si trattenne “multi dì”, e ad uno “alguczino” spagnolo venuto con lui. F 76 v) Si paghino a Diomede de Cerchela carlini sette e mezzo per “magnare et bevere” a messer Petro de Massa, commissario “deli pagamenti fiscali”, “quando li foro dati li trecentoquaranta ducati”. Allo stesso Diomede devono essere dati grana 15 per “stantia stalla et strame” offerti al commissario venuto ieri per i 5 carlini per fuoco.

6 giugno Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Silvestro, sindaco. Nei giorni scorsi il sindaco aveva ricevuto l’ordine di “obligare” le gabelle a Leone della Monica per i 340 ducati prestati per pagare le “mesate” di giugno e luglio. Per pagare la “mesata de mayo integra”, ordinano di riscuotere dai gabelloti e di pagare quello che si deve alla R. Corte.

7 giugno Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Nei giorni scorsi l’Università aveva comprato 300 tomoli di grano, che si vende a 9 carlini il tomolo; gli eletti “hanno intiso” che ne sono stati venduti più di 400 tomoli e ancora se ne vende: va in detrimento della cosa pubblica che il grano venga venduto sempre al prezzo di 9 carlini, cioè al prezzo del grano “nuovo”. Ordinano pertanto a Pirro Loise Quaranta, al not. Jo. Philippo de Parise e a Berardino de Adenulfo “che multo bene intendano tale partita e la verità” e se troveranno colpa del credenziere, che 102


avrebbe ordinato di vendere il grano senza consultare gli eletti, come dice il sindaco, “lo faczano multo bene castigare dalo S. Gubernatore” e in ciò abbiano ogni potestà. Da oggi in avanti, inoltre, ognuno potrà comprare dove vorrà e al “meglio mercato porranno avere”; di ciò deve essere fatto il bando per il borgo. Hanno ordinato a messer Michele de Anna e a messer Ioanne Gagliardo e “ad me cancellerò” “che voglano intendere lo facto de notar Basile”23 e di Andrea Tipaldo24, “olim sindici”, che devono una certa quantità di denari all’università. Gli incaricati devono anche eseguire “tucto quello che se po fare de justitia” affinché 1’ Università sia soddisfatta. “Item che se facza hanno che non sia nesciuno citatino o abitante de dicta cita che debia andare ad macinare fore la cita de la Cava, ala pena de una oneza”; chi macinasse è tenuto a “revelare et pagare quello che li tocca” nel termine di 24 ore e ad osservare i capitoli antichi. La pena va applicata dall’università o dal gabelloto che comprasse la gabella nuova di 6 grani al tomolo per il grano e 4 per orzo e miglio, riscosse al presente dal “credenczerro Frabicio dela Corte”. F 77 v) Fioravante Troise25 ha in mano denaro dell’università. Il sindaco deve farselo consegnare e dargli il salario che gli spetta per il compito assegnatogli di credenziere “in certi grani per quelli dì che servio”. Il sindaco deve far costringere tutti i gabelloti “per tucto oge” a pagare tutto ciò che devono per la “mesata” di maggio, per far fronte ai pagamenti fiscali e ai 5 carlini a fuoco, “altramente se protestano con dicto sindico de omne interesse patesse la università”. Si faccia bando che 1’ Università “libererà” la nuova gabella a chi presterà ducati all’università, con potestà di prendere ciò che si è esatto dal 2 giugno e “sopra ad quelli impianta dicti ducati 60”. La gabella “corre” dal 2 giugno per tutto agosto. Sarà ceduta “con la candela allumata ad quello che improntarra dicti denari et serra ultimo licitatore”.

F 78) 9 giugno Si riuniscono gli eletti “intro lo cortiglio de Santo Iacobo”. È “comparso” Teseo Longo, il quale ha dichiarato di voler prestare all’università una certa quantità di denaro. Egli espone il suo “partito”, che agli eletti sembra opportuno accettare. Infatti “ordenano alo sindico et alo cancellerò che debiano respondere ad

23 Basilio de Pisapia era stato sindaco nel 1495-1496 e nel 1500-1501: MILANO, / sindaco.., cit., p. 27 e p. 30. 24 Sindaco nel 1496-1497: /vi, p. 28. 25 Da notare che Fioravante Troisi, quasi sempre presente nelle riunioni degli eletti, a questa non partecipa, ma ritorna nella successiva, del 9 giugno.

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dicto messer Theseo che salva deliberationis universitatis se contentano che ipse messer Theseo ponga la gabella [della carne] ducati cinquocento cinquanta et impronta ducati trecento, et quando la gabella li fosse incantata, che guadagna ducati trenta de incanto, dummodo che li trecento ducati la università habia tempo ad pagareli per tucto octubro proximo” [Teseo Longo aveva proposto come termine il 1 settembre] e “se improntasse ducati duecento guadagne de incanto ducati vinti con lo pacto predicto”. In passato Fioravamo Troise come “credenczerro de certi grani se venderò dela università” ebbe in compenso delle sue fatiche carlini 30. Poiché ha patito più affanni degli altri ed ha £atto “quello che non hanno facto altri credenczeri”, stabiliscono che “lo suo salario sia quelle quatro thomolo che have havuto de grano et non più”, e deve così restituire il denaro dell’università che ha in mano. Salerno ha imposto nuove gabelle “in derogatone dela cita dela Cava et soi citatini”. Hanno pertanto ordinato a Pirro Loise Quaranta di recarsi a Salerno a parlare con il sindaco e gli eletti “che tale gabella la vogliano levare”26 “et non usare contra dicta cita”, altrimenti “farese la scusa che la università provedera alo facto suo”. Si faccia una lettera di “credencza” al Quaranta e gli si paghi la cavalcatura “per lo sindico”. Nei giorni passati era stato ordinato a Modesto dela Corte e Bartholo Casaburi di andare a Napoli per supplicare il Gran Capitano di non far pagare i 5 carlini a fuoco o almeno di dilazionare il pagamento. Essi non andarono. Inoltre il cancelliere era stato di nuovo citato in Vicaria “per favorire nostri privilegii” e si rendeva necessario recarsi personalmente a Napoli per rispondere. Perciò, senza nota di infamia per Bartolo Casaburi, e per evitare spese all’università, gli eletti dispongono che vadano a Napoli Modesto dela Corte e il cancelliere per fare ciò che fu ordinato in passato secondo il memoriale “dato ad loro per la università”, e “che de po” vadano in Vicaria “ad fare intendere alo S. Regente la causa per che ey stato citato lo cancellerò” e chiedere la remissione di questa causa, di quella di Leone della Monica e suo figlio Andrea, citati da Riccardo de Cava, e di altri cittadini citati da altri ugualmente cittadini. Il sindaco deve dar loro i denari necessari “circha de zo” e per il viaggio secondo il solito. Si faccia “intendere” ad Alfonsecto de Adenulfo che deve pagare duc. 30 “dela summa che deve” e che non potrà lasciare la prigione dove sta, prima di aver restituito l’intera somma. Se non vorrà accettare, sarà accusato “lo periurio ad ipso Alfonsecto et interim stea retenuto corno sta”. F 79) [Sono elencati come di solito gli eletti. Stavolta sono presenti: Andrea e Pirro Antonio Longo, Michele de Anna, Berardino de Adenulfo, Natalello Capova, Fioravante Troise, Pirro Loise Quaranta, not. Jo. Philippo de Parise e Joanne Gagliardo]. “Item li supra dicti electi hanno ordenato che se facza una lectera de favore ad

26 Ora si parla di una sola gabella.

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messere Silvestro Longo et ad messer Diomede delo grano loro fo levato”. Di ciò dovrà parlare messer Modesto al Gran Capitano.

12 giugno Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo, con licenza ed in presenza del Governatore “loco et moro[sic] solito” “per causa deli pagamenti deli cincho carlini per foco”. L’Università ha deliberato che si debba far fronte al detto pagamento con denaro ottenuto in prestito, così che “la gabella delle sey grana dela gabella delo molino noviter imposti se liberano ad quelli che improntano, et po dicta università elege et fa electione li subscripti electi ad dare li nomi de quelli che havereno da improntare et sono questi”: al Corpo di Cava Andrea Longo e Bello Forte Cemino, a S. Adiutore il notaio Ferrante dela Monica e Nicoloso de Anna, a Mitigliano Geronimo Casaburi e Colangelo Castaldo, a Passiano il notaio Jo. Philippo Parisi e Lucio dela Corte. Ad essi viene data la potestà di “spartire per provincia li dicti ducati quatrocento per quello che tocca per provincia et darene la lista deli nomi deli improntaturi spartuti per provincia alo S. Gubernatore”. Sul fatto dei 38 ducati e altri denari di Angelo de Vitale e dei 25 di Raymondo Cantarello similmente si dà potestà agli eletti ordinari di provvedere. F 79 v) “Item per che uno dela Rocca, nomine Iesue de Salvo, ha portata una lectera delo commissario de delatione de sej dì deli cincho carlini per foco la università ordena alo sindico che li paghe due carlini quali foro pagati statim alo dicto Iesue”. L’Università ordina che ogni cittadino di Cava “possa vendere ad qualesevoglia citatino de Nocere qualesevoglia cosa”, ma non comprare, rimanendo valido, “fermo”, il decreto fatto nei giorni passati. Nessun forestiero può comprare da “quelli de Nocera et revendere” a Cava.

13 giugno Si riuniscono gli eletti. In città erano arrivati tre Spagnoli per ordine del commissario per il pagamento dei 5 carlini a fuoco, per esigere questo pagamento, ma la città aveva ottenuto la proroga di sei giorni. Volendo dare “licentia” a detti Spagnoli, gli eletti ordinano di dar loro 3 ducati e le spese sostenute all’osteria di Diomede de Cerchella e “che se licentianose et andanose con dio”; sia lecito al sindaco pagare questi 3 ducati e le spese senza ottenere polizza. Le spese ammontano a tari 5 e grana 12. 105


[A questa riunione intervengono gli eletti: Pirro Antonio Longo, Jo. Philippo de Parisi, Michele de Anna, Pirroloise Quaranta, Andrea de Perrello e, caso raro, una decina di “particulari homini”: “Theseo Longo, Io. Baptista Longo, Bartholo Casaburi, Lucio dela Corte, Jacobo Mangrella, Carolo Capova, Solimagno dela Corte, Colangelo Castaldo, Philippo Costa, not. Andrea Casaburi”].

F 80) 16 giugno Si riuniscono gli eletti nel cortile di S. Giacomo. Hanno decretato che si faccia bando che per chi prendesse grano comprato da Antonio de Lamberto per causa dei 5 carlini per fuoco “per tucto oge se pronunciarra la pena” stabilita. Si diano a Francesco Davit 2 tari e 2 grana, che pagò quando “stecte prisone in Nocera per causa deli dicti cincho carlini per foco”. Si faccia “imbassiata” a Macteo Costa di dare all’Università i 2 tomoli di grano che è tenuto a consegnarle, altrimenti si protesterà contro di lui, “quale imbassiata fo facta eodem die per me alo dicto Macteo, quale denegao quelli voler dare”.

23 giugno Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Silvestro, sindaco. I Salernitani hanno imposto una nuova gabella, con grave danno per la città di Cava. Perciò gli eletti ordinano al sindaco di consultare messer Joanne de Anna e altri “docturi de dicta cita” e di eseguire quanto diranno di fare, sia che si tratti di andare a Napoli a parlare col Gran Capitano, sia che si tratti di andare a Salerno, ed ogni altra cosa “besognarra fare per la causa predicta et cossi li ordenano che exequisca”. F 80v) Quanto alla gabella della seta, che uno Spagnolo vuole esigere in città, si ordina al sindaco di rispondere al commissario “che in questa cita mai ej stato solito exigerese tale gabella”, che “ipsa università dice che la causa pende in Sommaria, et lite pendente non se deve cosa nulla innovare” e che “se offerre stare ala determinacione justa farra la dicta Camera”. II sindaco deve mandare denari all’avvocato e al procuratore di detta causa, un ducato per ciascuno, e scrivere una lettera invitandoli a stare “solleciti” e a fare “lo debito che la università li tenerra contenti”. Si scriva un’altra lettera a messer Berardino de Cioffo, “recomandandogli Ile cose de la università, corno ad protectore de quella”. 106


28 giugno Si riunisce 1’ Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Governatore. Il sindaco ha esposto il fatto della tragola di Salerno: era stato proposto alla regina d’Ungheria di rendere franca la città, come avrebbe dovuto essere in virtù dei suoi privilegi, ma la regina non aveva voluto “exequire ne fare” ciò; il sindaco inoltre ha parlato della nuova gabella imposta dai Salernitani di un grano per salma “che passasse per li tenimenti soi” e di un grano per tomolo di grano e altre vettovaglie e altre cose, e ancora della gabella della seta “che se intende imponerese in dicta cita per uno Alfonso Ledesino Spagnolo”, gabella che non era mai stata imposta nella città. “Et perche queste sono cose che besogna consultaresende lo ill.mo s. Gran Capitano adzo dicta cita gauda dela solita sua immonita et non venga ad deminuire uno pilo dela sua solita liberta immonita et franchine”, vengono incaricati di andare a Napoli a parlare col Gran Capitano “de tucte Ile cose predicte” messere Altobello Longo e messere Modesto dela Corte, “ita che faczano intendere alo dicto ill.mo s. verilemente lo besogno de dicta università” e per supplicarlo affinché siano osservati i privilegi già da lui confermati, facendo su ciò “omne possibile et necessaria instancia”. Il regio Governatore della città di Cava, commendatore Sabater, è “infine delo suo officio”. Chiede all’università di scrivere al Gran Capitano per far sapere “lo bono portamento suo”. L’Università delibera che si scriva questa lettera, supplicando il Gran Capitano di confermare nella carica per un altro anno il Governatore e siccome per altre faccende dell’università devono recarsi dal Gran Capitano Altobello Longo e Modesto dela Corte, l’ Università “remecte” al Governatore “se vole la lectera” o preferisce che i due incaricati parlino al Gran Capitano. F 81 v) Il Governatore sceglie la seconda soluzione, per cui l’Università ordina ai predetti “che primo parlano per la confermatione de dicto s. Gobernatore; po dele altre facende ad loro imposte oge in dicta università”.

2 luglio Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Silvestro, sindaco. Hanno decretato che “se revoca” la causa fatta dal sindaco contro Macteo de Rogeri che, contro i privilegi della città, aveva fatto citare in Napoli un cittadino di Cava, Gagliardo. Macteo “se obliga” a non molestare né Gagliardo né altri per ottenere il “resto” della dote di sua moglie, né per le spese che pretende avere da Gagliardo. Se invece Matteo dovesse persistere nel voler proseguire la causa a Napoli, il sindaco deve fame querela al Governatore. 107


5 luglio Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco ricorda agli eletti che fecero promesse a Petro de Massa, commissario dei pagamenti fiscali, di tele per due camicie; il commissario invece diceva dieci canne. “Stante isto dubio” gli eletti ordinano al sindaco di dargli 20 carlini in denaro o “tanta tele che vaglano quelli”. F 82) Lo stesso giorno Gli eletti, poiché Antonio de Lamberto aveva prestato all’Università circa 400 ducati, per consentire di pagare i 5 carlini per fuoco, e gli era stata consegnata la gabella di sei grana “novamente imposta, sopra lo molino” e poiché tale gabella potrebbe “non essere bastancza de tucti dicti quatrocento ducati”, ordinano al sindaco che “facza cauto” messer Antonio degli altri 100 ducati sulla gabella ordinaria del molino per la rata del prossimo mese di agosto, in modo da soddisfare integralmente il debito dei duc. 400.

8 luglio Si riuniscono gli eletti nella curia di not. Silvestro, sindaco. Hanno decretato che il sindaco “facza scendere a basso dalo Corpo dela Cava alo burgo deli Scaczaventi farchonecti27 dui” con venti “pallocte de chiumbo” e 10 rotoli di polvere; devono essere riposti in casa del Governatore. Decidono di mandare a “Lago Picholo” “Berardo de lo s. Gubernatore” e Geronimo Capo va “ad intendere” che fanno gli Spagnoli, “che deliberano de fare et da donde hanno da passare adzo la cita pocza stare in ordene per servicio dela Captolica Maestà et benefitio dela dicta cita”. Ai due incaricati vengono dati 2 tari e mezzo per le spese. F 82 v) Il sindaco deve vedere i decreti fatti contro i cittadini che hanno presunto contravvenire ai privilegi della città e mandare ad esecuzione quelli contro Frabicio delo Fumo, che ha fatto citare not. Silvestro in Napoli, “ita che nostri privilegii siano observati”.

9 luglio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza del Governatore.

27 Falconetto: un tipo di bombarda. La città prende misure precauzionali, temendo i soldati che si erano ribellati al Gran Capitano.

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“Ipsa università havendo intiso che li Spagnoli che erano rebellati contra lo ill.mo S. Gran Capitano erano intrati in Samo” e temendo che prendessero la via di Cava, “ha decretato che se bocta bando che omne persona de dicta cita se sarve allo forte Ile robbe soe et Ile dopne con le figliole adzo non se pata de desonore ne de robbe”. Ha ordinato che si metta in ordine l’artiglieria, “adzo besognando se pocza fare lo stato et servicio dela Captolica Maestà”, et incarica di ciò messer Andrea Longo. Si scriva una lettera a Napoli a messer Ursino de Anna e a mastro Palamidesso de Gaudiuso “che moniscano meri quilli citatini che so in Napoli che sende vengano ad guidare et gobernare lloro robbe case et famigla”. Che si dia al nipote del Gran Capitano e agli altri gentiluomini “che oge so arrivati a qua ala Cava per la loro collatione tucto quello che besogna”.

F 83) 10 luglio Si riuniscono la maggior pane degli eletti e molti altri gentiluomini e cittadini, con il Governatore. Insieme al Governatore, affinché non passassero per la città Spagnoli sollevatisi contro il Gran Capitano, hanno incaricato degli uomini che “nocte et di” sorveglino i passi sottoscritti con 5 compagni e che il sindaco debba pagare grana 10 al giorno per ciascuna persona impegnata in questa vigilanza: poiché “commenzano oge ad servire alle hore XXII”, si intenda "da vinti doe nere in XXII". Al passo di Croce “ej ordenato" Jo. Cola Cafaro con cinque compagni; essendo lui assente “in loco suo nce fo posto Donato de Adenulfo”. Al passo dela "aulirti" Jeanne Deberto con 5 compagni. Al passo “de tre mergoli" Vicenczo de Stasio con 5 compagni.

13 luglio28 L’Università ha decretato che si aggiungano altri eletti: Teseo e Silvestro Longo, Colangelo Castaldo, Macteo Costa, Iacopo Mangrella. Bartholo Casaburi, Joanne de Mauro, Raymondo Cantarello, [ … ] Casaburi, Io. Baptista e Io. Berardo Longo, Modesto e

28 II 13 luglio gli Spagnoli ribelli entrarono in Castellammare di Stabia e la saccheggiarono. Successivamente giunsero un accordo con il Gran Capitano, «Io quale li mando li denari delle paghe deveano havere, per mezo de messere Loyse Setaro, et finche li haveano lo predicto signore gran capitanio li mandava pane vini et carne fresca: dove se inbarcharo [sic] depo et si senne andaro» (NOTARGIACOMO, cit., p. 279).

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Solimanno dela Corte, Carolo Capova, not. Ioanne dela Corte, not. Cola Io. de Parise, Luca Gallardo, Ferrante Quaranta, Andrea de Lamberto, Raymondo de Monica, Simonecto de Vitale, Leone dela Monica, Angelo de Vitale, not. Carolo de luglio, not. Ferrante de Monica, Damiano de Amiano, Colantoni Quaranta, Zopto Iovene, Lucio dela Corte, Gasparro Surrendino [?], Cola de Arminando, Antonio Vertulocto, Hectorro Cafaro, e not. Io. David. F 83 v) Lo stesso giorno La maggior parte dei detti eletti ha decretato che le due guardie di Ioanne et Vicenczo si riducano ad una, con otto uomini pagati “a la ragione predicta” “et che la guardia de Croce se stea ferma corno se sta”. Hanno decretato che si paghino “li homini che so stati in dicte guardie” dal 10 luglio ad oggi 13 luglio. Lo stesso giorno Il Governatore e la maggior parte di detti eletti hanno decretato che saranno “facti boni” al sindaco tutti i denari spesi fino ad oggi “per intendere delo campo de li Spagnoli”; tali denari sono “bene spisi et pagati” “ad missi et homini mandati ad posta in campo et in più altri lochi”. I messi che da oggi in poi saranno inviati dalla città “per parte” del Governatore, di Francesco Spinula e [... ], uomini mandati qua dal Gran Capitano, avranno come salario quella somma che sarà “tassata” da Geronimo Casaburi e Raymondo dela Monica. Il sindaco pagherà loro il salario “che dicti Geronimo et Raimondo taxaranno”.

14 luglio La maggior parte di detti eletti ha decretato che si trovino “trenta guastaturi per guastare li passi” su richiesta del Governatore e degli uomini mandati dal Gran Capitano. Entro la giornata successiva, saranno pagati grana 10 per uno e “se mancho so mancho se paghe”; se servissero di più saranno pagati nella stessa misura “et cossi ordenano alo sindico che paghe”.

15 luglio Gli eletti “considerando che la università sta in grande penuria et scarsa de denari per le varie spese et carastie che so state per lo passato”, hanno ordinato al sindaco di recarsi dagli uomini mandati dal Gran Capitano per riferire che “Ile spese che hanno facte fi allo presente Ile hanno facte per gentelecze che dicta università ha voluto usare verso loro”, ma “bonariamente li dica” che da oggi in poi l’Università darà loro “stantia, strame et 110


lecto”, “excepto se altra commessione havesso dalo Gran Capitano”. Per le spese già fatte, vengono eletti not. Jo. Philippo de Parise e Solimanno de Curte, per metterne conto con l’hostolano Zabacto; essi con il sindaco e il cancelliere devono “intendere et moderare dicte spese”. Il sindaco provvederà al pagamento e “allo ponere de soi cunti” questa spesa gli sarà bonificata. Tutti i messi che “mandaranno” l’ Università, il Governatore e i gentiluomini predetti, saranno pagati a spese della Università, ma non si dovranno mandare messi venuti da fuori, per evitare maggiori spese. “Hanno decretato che restano alle dicte guardie non più che sey homini”, due a Croce e 4 a “tre mergoli” e da oggi non se ne dovranno pagare più di sei; gli altri “che hanno servito siano pagati secondo quello servito”. F 84 v) Poiché il Governatore ha “domandato che la nocte habiano da stare dui o tre electi alo burgo deli Scaczaventi, gli eletti hanno ordinato che “per questa nocte debiano stare in dicto burgo” Michele de Anna e Fioravante Troise “una con me cancellerò appresso lo S. Gubernatore et dicti altri gentilomini ad intendere et providere ad tucto quello che potesse accascare la nocte da hora in hora et da punto in punto”; viene ordinato al sindaco “che debia fare acconczare una bona cambera da Zabacto dove poczano dormire dicti electi cancellerò perche non ej honesto habiano da dormire alo burgo per sopra li banchi”. Ordinano al cancelliere di vedere la lista degli eletti ordinari, per intimare loro, “secondo correno”, che la notte devono stare al borgo. L’intimazione va fatta “secondo Ile trova scripti in dicta lista”, in modo che ogni notte al borgo ci siano due eletti e il cancelliere “et la balancza vada iusta”. [Sono presenti 19 eletti, fra cui Angelo de Vitale].

F 85) 18 luglio Si riuniscono gli eletti [ in numero di 17, fra cui Angelo de Vitale ] nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco riferisce che non c’è alcun modo di poter “satisfare” i pagamenti fiscali, per riscuotere i quali “stava in la Cava” messer Petro de Massa, commissario della regina d’Ungheria. Gli eletti danno a Carolo Capova e al sindaco ogni potestà per trovare il denaro “per omne miglior modo che po, o ad interesse o per altro modo”. Quanto al fatto “delle guardie che se deveno fare ad Veteri et ad Croce”, vengono eletti “ad essere” con il Governatore e con “lo Corsacto ad providere ad dicte guardie con lo meno interesse che ey possebele per la università” Bartholo Casaburi, not. Io. Philippo de Parisi, Andrea Longo, Carolo Punczo e Raymondo dela Monica. 111


19 luglio Si riuniscono gli eletti nel “fundico” di Geronimo Casaburi. Hanno decretato che il sindaco paghi a Zabacto hostolano carlini nove e mezzo per mangiare, bere ed altre cose da lui date ad un capitano spagnolo. Lo stesso giorno I suddetti eletti poiché in passato si era stabilito di donare a Petro de Massa, commissario della regina d’Ungheria, 20 carlini o l’equivalente in tela, per i molti servigi da lui resi alla città, decidono che gli siano dati 3 ducati o l’equivalente in tele.

21 luglio Si riunisce l’Università “ad banni emissionem” “more solito”, con licenza del Governatore. Il sindaco “propone” che il Governatore lo aveva “voluto et recercato” perché gli desse 15 carlini al giorno per fare le guardie affinché non passassero gli Spagnoli “che so in Principato ad aboctonarese con quelli de Castello ad Mare”; ciò secondo gli ordini del Gran Capitano. L’Università, avendo “intesa una certa lictera” mandatale sopra di ciò dal Gran Capitano, ha decretato che i 15 carlini dati ieri dal sindaco al Governatore “siano ben pagati et vole li siano facti boni allo ponere de soi cunti, et da mo innante decreta et vole” che siano dati al Governatore 15 carlini al giorno per la guardia “adzo non habiano ad passare Spagnoli secondo lo ordene de dicto ill.mo S. Gran Capitano”. F 86) Si scriva una lettera a messer Galieno de Anna da parte dell’università, che voglia “pigiare faticha” con il Gran Capitano e fargli intendere “la gran penuria et interesse che questa università se re trova et che se fa dicta guardia con gran despesa nostra; et quanto piacesse ad Sua Ill.ma Signoria tanto se fara quanto per sua Ill.ma Signoria sera ordenato et quanto che no, sua Ill.ma Signoria se degnasse darende ordene” al Governatore “che tale guardie non se faczano”. La provincia di Mitigliano deve prendere “la rata dello grano li toccha” da Antonio de Lamberto, secondo quanto fu stabilito quando “se piglaro dicti grani per li cincho carlini per foco”. Quanto al fatto di Angelo Vitale che deve avere del denaro dall’università, l’Università “vole sia satisfacto”, affinché avendone bisogno possa “recercharelo”. Elegge perciò Lucio dela Corte, Carolo Capova, Pirro Loise Quaranta e Raymondo dela Monica con potestà di computare con Angelo, con intervento del sindaco e “con li cunti in mano” e se “per residui” o “altro bono modo” possono dare “recapito et expediente ad dicto messer Angelo bene”, se no, l’Università dà loro potestà di “delatare la nova 112


gabella delo molino per tanto tempo più che fu ordenata che sia integramente satisfacto dicto Angelo”.

F 86 v) 23 luglio Si riuniscono gli eletti con il sindaco ed altri “subscripti particulari homini de dicta cita intro la hostaria de Geronimo Casaburi” dove esercita Zabacto Quaranta. Il sindaco e gli eletti hanno “intiso” che è venuto in città messer Ottaviano de Santis per “domandare ali dicti subscripti homini particulari multa quantità de denari ad impronto da parte delo Ill.mo S. Gran Capitano”; hanno tutti insieme decretato che si mandi a Napoli dal Gran Capitano a supplicarlo che siano “recommandati” i cittadini di Cava e che “non fo mai solito piglarese impronto da particulari de dicta cita”. Vengono incaricati di tale missione [“ad tale effecto se ne mande”] Pirro Loise Quaranta e Raymondo dela Monica, “fando intendere ad Sua Ill.ma Signoria” che 1’ Università per servizio del Re offre duc. 500, ma “che non siano molestati dicti particulari citatini et de questo supplicare grandemente sua Ill.ma Signoria”. Si risponda al commissario che “venendo ad noticia” del sindaco ed eletti “per li allestati citatini” che dovrebbero prestare una certa somma di denari, il sindaco e gli eletti “conosceno veramente li dicti allestati non essereno de tanta facolta possere pagare tale summa” e che volendo fare “quello che sia grato et servitio dela Captolica Maestà et delo Ill.mo S. Gran Capitano et per relevare dicti particulari citatini ipsi sindicus electi et allestati offereno donare” duc. 500 e a questo effetto decidono di mandare due gentiluomini al Gran Capitano e “fareno tanto quanto per Sua Ill.ma S. serra ordenato et commandato”. “Li allestati: Raymondo Cantarello, Berardino de Adenulfo, Andrea dela Monica, Geronimo de Gaudiuso, messer Modesto de Curte, messer Lonardo Longo, messer Jo. Antonio Longo, messer Andrea Longo, messer Luca Gallardo, messer Silvestro Longo, Angelo de Vitale, Ioanne de Mauro, mastro Iulio Quaranta, Simonecto de Vitale, messer Thiseo Longo, Colantoni Costa, Ferrante Quaranta. Nomina electorum: Judice Michele de Anna, Judice Jo. Gallardo, not. Jo. Philippo de Parise, messer Raymondo de Monica, messer Pirro Loise Quaranta, Natalello Capova.”

26 luglio Si riunisce l’Università “ad banni emissionem more solito de licentia d. Gubematoris pro stato et servitio Captolice Maiestatis in hostaria Sciavi de Luciano”. Essendo venuto nella città Ottaviano de Santis da parte del Gran Capitano, a domandare 113


“certo imprunto” all’università, l’Università ha decretato che vadano a Napoli messer Io. Bernardo Longo, notare Carolo de luglio e not. Macteo Troise con lettere di credenza e memoriale, a supplicare il Gran Capitano che “nce vogla fare gratia o vero demenuire lo imprunto” “ad quello meno se porrà”; se non si potesse ottenere proprio la grazia e si riducesse la somma, dovranno “intendere da sua Ill.ma S. se vole lo imprunto dala università o vero da particulari”.

28 luglio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Governatore. Essendo ritornato messer Ottaviano de Santis, presidente della Regia Camera della Sommaria, commissario del Re e del Gran Capitano “sopra lo impronto” di 1000 ducati, ed essendo tornati anche Jo. Bernardo Longo e i notai Carolo de luglio e Macteo Troise “sindici mandati per la università per la causa predicta in Napoli”, e ascoltata [“auduta”] la loro relazione, l’Università ha eletto 12 cittadini, che “junti con li electi ordenari” tutti insieme o la maggior parte di loro, senza indugio facciano in modo di trovare i mille ducati d’oro. Hanno potestà di fare cautela a chi pagherà questa somma ed anche “de possere pigiare expediente et modo donde dicti denari se hanno da caczare”. “Nomina electorum: messer Io. Berardo Longo, not. Carolo de luglio, not. Macteo Troise, Carolo Capova, Augustino Cantarello, Dominico Casaburi, not. Thomasi dela Corte, not. Jo. dela Corte, Hectorro Cafaro, Paulo de Rogiero, messer Raymondo dela Monica, messer Lucio dela Corte, Belloforte Cemino, messer Andrea de Lamberto, messer Iacopo Mangrella. Electi ordinari: Jodice Michele de Anna, Geronimo Casaburi, Berardino de Adenulfo, messer Pirro Antonio Longo, messer Andrea Longo, not. Io. Philippo Parise, Jodice Jo. Gallardo, Fioravante Troise, Berardino de Adenulfo, Natalello Capova.” Lo stesso giorno “ibidem congregati li supradicti electi per la causa predicta intro dicta ecclesia de Santo Iacobo”. Hanno decretato che i denari devono essere prestati da “particulari citatini” e a coloro che presteranno i mille ducati d’oro si dovrà dare la gabella della farina “novamente imposta, dele grana sey per thomolo alo molino”, finché il debito sarà completamente estinto, soddisfacendo prima quelli per cui la gabella fu imposta [Antonio de Lamberto], e ancora Angelo de Vitale. La gabella viene quindi prolungata. La “satisfattone se debia fare mese per mese ali dicti improntaturi”. F 88 v) Hanno decretato “che se facza quinterno deli improntaturi, dove se habiano da 114


annotare particularemente homo per homo quello che improntarra, adzo se pocza de po restituire, secondo la rata li tocca, mese per mese”. Gli eletti ordinari con gli altri eletti hanno deciso che si levi la guardia ai “tre mergoli” e a Croce, per togliere una spesa all’Università, massimamente perché non è più necessaria essendo gli Spagnoli partiti da Salerno e “Ile cose essereno sedate”. Siano “facti boni” al sindaco “allo ponere de soi cunti” tari 2 e grana 2 “per fareno collatione dintro dicta ecclesia dicti electi”, non potendo “andare ad casa loro per dare expediente alo dicto imprunto et allistare li improntaturi”.

30 luglio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Governatore. Ricapitolata la questione del prestito dei mille ducati, da restituire con la gabella della farina, essendo stato proposto “in Università che se trova homino che compararla dicta gabella et pagaria allo presente dicti milli ducati de oro”, riconoscendo che ciò sarebbe utile al servizio del re e al beneficio della città, l’Università ha decretato che “trovandose ad vendere dicta gabella se venda, et menoisca con quello meno interesse se porrà, ad arbitrio de dicti electi ordinarli et adjunti, o la majore parte de loro”, in modo che il compratore o i compratori paghino “mo allo presente” i 1.000 ducati d’oro “per più presto darese expediente ad dicto pagamento”. Lo stesso giorno Congregati gli eletti ordinarii e gli aggiunti nella chiesa di S. Giacomo. Era stato chiamato Martino de Arminando, il quale si era offerto di pagare i 1.000 ducati in cambio della gabella della farina, ma, avendo parlato con i suoi compagni, questi riferisce al Governatore e agli eletti di non aver modo di pagare i 1.000 ducati. Il Governatore e gli eletti ordinano quindi che la gabella di sei grana per tomolo sia data ai “cedulaturi”, con potestà di poterla esigere, fare esigere e venderla e “fare tanto quanto ad loro meglio piacerra et parerra fi ad tanto che ad loro serra satisfacto de tucta quella quantità so allistate et che improntaranno”. I “cedulaturi” dovranno pagare a tutti gli “improntaturi che hanno in le loro cedule secondo la rata che loro tocca mese per mese”. Il sindaco e la Università "durante la satisfatione de dicti cedulaturi et improntaturi” non potranno vendere né "arrendare” la suddetta gabella. Lo stesso giorno Congregata l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Governatore. Considerando che "per via deli cedulaturi et improntaturi” non sarà possibile reperire presto i 1.000 ducati, l’Università decreta che si vendano grana 4 dei sei imposti sulla 115


gabella del molino per tomolo di farina al miglior prezzo possibile “per presto satisfare ala dicta Regia Corte”. F 90) Questa vendita viene effettuata, compratore è Silvestro Longo. La gabella comincia dal 1 sett. per duc. 1.050 per anno, per once 200 di carlini “per quillo tempo che nce intrarra, piu del dicto anno quale oneze duecento promecte lo dicto messere Silvestro pagare ala dicta università o vero alo dicto sindico” nel modo seguente: entro domani, ultimo di luglio, “avante che esca lo sole, la metate” e l’altra metà entro 8 giorni. Questi denari si dovranno dare alla Regia Corte “per la impositione posta” all’università dalla R. Corte stessa per mezzo di Ottaviano de Santis e per lettere “direpte” all’università, “quale gabella, lo dicto messere Silvestro compara, primo per servitio dela captolica Maesta, appresso per gratia et amore che porta ala dicta università, per levarela da tanta oppressiuni et calamitate che al presente se retrova per la carestia grande che have havuta et have” e si contenta che “per tucto sabato proximo da venire” la gabella si possa vendere all’incanto a qualsiasi cittadino o forestiero e “se contenta che li. reste ad quello tale ultimo incantatore ad lume de candela”, col patto che questi dovrà rimborsargli il denaro da lui pagato per la predetta causa. Messer Silvestro, qualora la gabella restasse a lui e nell’eventualità che non pagasse tutta la somma, impegna i suoi beni, il sindaco, nel rispetto dei patti, i beni dell’università. L’Università “have ordenato et cossi vole” che portino a Napoli alla Regia Corte duc. 600 messer Modesto dela Corte, messere Altobello Longo e messer Raymondo dela Monica per “satisfare” la Regia Corte; se per tale causa essi o qualsiasi altro cittadino dovessero avere danni, l’Università intende risarcirli e le cedole fatte per questo pagamento saranno “viste et casse” e non avranno efficacia.

2 agosto Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. “Essendo stato molestato Macteo Costa” dal Governatore “per causa delo pagamento dela subventione deli fanti spagnoli de Castello ad Mare con dire che sia stato condempnato”, hanno ordinato che il sindaco e Geronimo Casaburi si rechino dal Governatore a raccomandargli Matteo Costa e da parte sua offrirgli da 15 a 20 carlini “per non intrare in altre controversie con sua Signoria”. Se non restasse contento, si scriva una lettera di raccomandazione a messer Io. Baptista Spinello, “che considerato che ey sequito lo effetto dela corte che non voglia permectere de tale causa pagarese pena, maxime che per pagamenti fiscali non se sole ne ey consueto pagarese may pena”.

4 agosto Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. 116


Il sindaco riferisce che messer Loise de Raymo, reggente del tesoriere, scrive all’università che deve pagare duecento ducati al capitano Pignalosa, “che nce le facea boni ali sei cento ducaci che dicta università deve ala regia corte per resto dela subventione deli fanti de Castello ad Mare”. Gli eletti ordinano pertanto al sindaco di pagare al capitano i duc. 200 dai “denari che paga messer Silvestro Longo compratore dela gabella dele quatro grana per lo anno da venire”, e che se ne faccia fare cautela pubblica, affinché siano “facti boni” all’Università. Poiché non si può estinguere il debito con Angelo de Vitale se non traendo il denaro dalle gabelle, Geronimo Casaburi, Pirro Loise Quaranta e not. Jo. Philippo de Parise vengono eletti per bandire e vendere le gabelle dell’anno a venire, in modo che “improntaranno” quello che deve avere Angelo Vitale; “lo modo et liberatione” delle gabelle è in potere del sindaco e dei sopraddetti eletti. Poiché “ey venuta una lectera” del Gran Capitano all’università e al Governatore, che non si faccia passare alcun fante senza prima disarmarlo ed avvisarne Sua Signoria, si dà ordine al sindaco di eseguire quanto sarà comandato dal Governatore “sopra deczo” e ciò che spenderà per questo e per la guardia, se il Governatore la ordinasse, “li sia facto bono allo ponere de soi cunti”.

10 agosto Gli eletti hanno ordinato che si mandi un messo a Napoli a Galieno de Anna e Vicenczo de Mauro con lettere da parte dell’università e degli eletti “ad intendere da loro se se po parlare” al Gran Capitano, perché poi delibereranno di mandare “li sindici ad parlare ad Sua Ill.ma Signoria de multe cose importante per benefictio universale”. [Eletti presenti: Andrea de Perrello, Andrea Longo, Pirro Loise Quaranta, Ioanne Gagliardo, Michele de Anna, Theseo Longo, Modesto dela Corte, Raymondo de Monica, Antonio Lamberto, Berardino de Adenulfo, not. Jo. Philippo de Parise, Natalello Capova, Lucio dela Corte, Carolo Punczo].

12 agosto I soprascritti eletti e altri uomini della città “actento che quando se parla puplicamente multi homini malevoli dela università hanno soluto et soleno reportare quello che se propone in beneficio universale, Ilo che sole redondare in maleficio dela università”, hanno deciso di mandare a Napoli a parlare col Gran Capitano Teseo Longo e Lucio dela Corte, per supplicarlo di fare grazia all’università dei 400 ducati “restano delo impronto fo facto per la università” per la sovvenzione dei fanti a “Castello ad Mare”, e di ciò “dare memoriale et farence multa 117


instantia”; se non si potesse ottenere la grazia, supplicare il Gran Capitano di “fare boni ali pagamenti fiscali” del prossimo 15 agosto e a Natale e Pasqua del prossimo anno “tanto li octo cento ducati pagati quanto li quatro cento so da pagare” e di ciò “similmente dare memoriale et fare omne possebele istantia”. Dal momento che il Governatore è partito, gli inviati dell’università devono supplicare il Gran Capitano che “voglia provedere de officiale, non dicendo novo ne vechio”. Se il Gran Capitano “replicasse la confermatione” del Governatore, dovranno rispondere che l’Università desidera che siano osservati i suoi privilegi, “fando intendere che po la lectera so emerse cose che la università desidera la observatione de dicti privilegii”.

21 agosto Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”. Sentita la “referenda” di Teseo Longo, “sindico” mandato a Napoli a parlare al Gran Capitano dei 1.200 ducati che l’Università ha in parte pagato e in parte deve pagare per la sovvenzione dei fanti in Castellammare, ordina che si scriva una lettera a messer Amelio Severino di Napoli “futuro officiale de dicta cita” per il prossimo anno, che nonostante un suo privilegio la città desidera [“accepta et vole”] che prenda il suo posto dal 1 di settembre prossimo, anche per evitare alcuni scandali che potrebbero succedere. F 93) L’Università ordina che Geronimo Casaburi con il sindaco e il cancelliere “sia ad intendere et vedere quello devono havere Zobacto hostolano, Diomedes et Cola hostolani et altri hostolani et alcuni altri missi mandati per la università, et electi in multi lochi per beneficio suo”. Il sindaco dovrà poi pagare quanto sarà da loro tre deciso, ai messi e agli hostolani. Poiché l’Università deve mandare “li sindici” a Napoli a portare i 400 ducati, resto dei mille ducati da pagare alla Regia Corte, ordina al sindaco “che debia ponere in memoriale ad dicti sindici” che parlino “ubi opus erit dela exequtione facta, ad Nola alle robbe de Cola de Vitale et Angelo de Vitale per parte delo dohanero de Napoli”; per l’osservanza dei privilegi, facciano ogni istanza “che la exequtione se restituisca”.

22 agosto Gli eletti [in numero di 11] “et altri particulari gentelomini et citatini per lo beneficio universale in defecto deli altri electi” si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato che Hectorro Cafaro vada a Napoli a portare i 400 ducati, 118


complemento dei 1.200, per la sovvenzione dei fanti a Castellammare ‘‘et de quelli recupera polisa de recepto, advertendo che la polisa non dica de dono perche la università vole li siano facti boni ali pagamenti fiscali proximi da venire”. Messer Hectorro deve parlare con l’avvocato e procuratore dell’università “delo facto dela gabella possero li Salernitani novamente in prejudicio dela dicta università et soi privilegi”; gli viene data potestà di decidere cosa fare contro i Salernitani per questa causa e ciò che da lui, con l’avvocato e il procuratore, sarà fatto, viene dato per rato a nome dell’università. Il sindaco deve trovare due uomini da mandare in compagnia di Hectorro Cafaro “per secorta de dicti denari”.

25 agosto Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato al sindaco di accusare tutti quelli che hanno contravvenuto ai decreti e bandi universali “adzo che non presuma nullo guastare Ile ordinatiuni universale”. F 94) Michele de Anna, not. Jo. Philippo de Parise, Berardino de Adinulfo e il sindaco devono provvedere alla vendita delle gabelle ordinarie per il prossimo anno, “et quelle vendere et liberare plus offerente more solito”. Si faccia lettera “de credencza” al sindaco, che deve andare “ala Rocca, ad parlare con lo Capitano in favore de Salvatore Pagano nostro citatino”, che è “prisone in dicta terra”. [Nomi degli eletti: Andrea Longo, Michele de Anna, not. Jo. Philippo de Parise, Pirro Antonio Longo, judice Jo. Gallardo, Berardino de Adenulfo]. Detti eletti, poiché la città deve dei denari ad Angelo de Vitale e può darglieli solo “per via” delle gabelle, e bisogna soddisfare il debito subito, visto che il termine è passato da molti giorni, hanno ordinato “ad dicti electi” di vendere le gabelle “con qualche centenaro de ducati da pagarenose innante”, in modo che si possa “satisfare ad” Angelo de Vitale; “lo modo et corno et quale” viene rimesso a discrezione dei tre eletti “deputati allo vendere de dicte gabelle”.

30 agosto I sottoscritti eletti e altri “gentilomini et citatini” avendo l’Università nei giorni scorsi completato il pagamento dei 1.200 ducati per i fanti “che se jonsero in Castello ad mare”, per raccogliere la qual somma fu necessario vendere quattro grani della nuova gabella di sei grani per tomolo di farina a Silvestro 119


Longo, e poiché l’Università ha la solita gabella di tre grani a tomolo di farina, che adesso si deve vendere, ed ha inoltre supplicato il Gran Capitano di “farenceli boni” questi denari sui prossimi pagamenti fiscali ed il Gran Capitano ha acconsentito, ed ha “de sua propria mano expedito memoriale”, detti eletti e gentiluomini hanno decretato che per levare ogni ragione “de poterenose demandar denari ala università, che dicta gabella vechia dela farina se leva per questo anno et che non se bandisca”, e così hanno ordinato al sindaco e agli eletti deputati a vendere le gabelle: della gabella della farina non devono fame menzione ma devono bandire solo la gabella della carne, del pesce e “lo fundico dello sale”. “Nomina electorum et aliorum civium: messer Andrea Longo, messer Pirro Loise Quaranta, Berardino de Adenulfo, messer Io. Gagliardo, not. Jo. Philippo Parisi, messer Michele de Anna, messer Pirro Antonio Longo, messer Carolo Punczo, electi. Messer Theseo Longo, messer Silvestro Longo, Ioanne de Mauro, Nicoloso de Anna, messer Iacobo Mangrella, Francesco Davi, Carolo Capova, messer Ferrante Quaranta adjunti et citatini”.

F 95) 31 agosto Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato al sindaco di pagare 3 carlini ai 3 mulattieri [“molicteri”] che trasportarono a Cava al Borgo Scacciaventi nei giorni scorsi certi falconetti e polvere da sparo e poi li riportarono su “perche non fecero besogno, quando se iunsero li Spagnoli ad Castello ad Mare”. Hanno ordinato al sindaco di pagare [un ducato] a lordano de Marino che “fo detenuto per secti di ad Samo con lo mulo et quatto thomola de farina de preczo de uno ducato lo thomolo quale farina la università de Samo se piglio ad secti carlini lo thomolo, per lo interesse de dicta farina et che patio dicti secti di ipso et lo mulo ducato uno”. Il sindaco deve pagare a Pirro Loise Quaranta tari due e grana dodici che ha egli stesso versato “per manchamento de denari ha portati ala regia Corte” da parte dell’università.

F 95 v) 1 settembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza di d. Amelio Severino R. Capitano. Il sindaco fa presente che la sua carica è scaduta e che bisogna eleggere anche gli altri ufficiali ed eletti della città e “multe altre cose per lo beneficio universale et ancora che se de vesso elegere alcuni homini dabene ad vedere lo cunto suo”; l’Università 120


elegge come sindaco per il presente anno Solimanno dela Corte ‘‘corno ad homo dela provincia de Passiano ala quale tocca lo sindico dicto anno con la “provisione” solita”. Come cancelliere viene confermato il not. Antonino, della provincia di “S. Adiutore”, alla quale “specta questo anno elegere dicto cancelleri con la “previsione” solita”. [L’ultima parte del F. 95 v. è bianca; è bianca anche la prima metà del F. 96, come se fosse stato lasciato dello spazio intenzionalmente, per aggiungervi qualcosa successivamente].

F 96) 1 settembre “Intus ecclesiam Santi Iacobi sitam et positam in burgo Scazaventulorum predicte civitatis Cave congregata la università dela cita dela Cava et homini de quella, pro mayori et saniori parte in loco predicto ad banni emissionem ut moris est” e con licenza del magn. d. Amelio Severino Regio Capitano della città. “Essendono preposte molte cose per lo sindico passato not. Silvestro de Alfero, et depo repetite per Solimanno sindico delo presente anno et quelle intese”, l’Università elegge i sottoscritti eletti: “Per la provincia de Santo Adiutore: messer Ioanne de Anna, not. Carolo de luglio, Simonecto de Vitale, Ferrante Quaranta”. F 96 v) Per Mitigliano messer Theseo Longo, Bartholo Casaburi, Ioanne de Mauro, messer Io. Antonio Longo. Per Passiano Carolo Capova, Zopto Iovene, not. Thomasi dela Corte, Giase de Angrisano. Per la Cava messer Andrea de Pirrello, not. Basile Pisapia, Ioanne Catozo, Iodice Berardo Punczo”. Il sindaco fa presente che si davano 5 carlini al giorno ad ogni persona che andava fuori città per conto dell’università, il che “era et ey” dannoso per l’Università e sarebbe stato meglio “levarenose”. L’Università “leva dicti cincho carlini et vole che tale salario non se done più” e quando “accascara andarese in alcuna parte per facto et causa dela università, ipsa overo li electi provederanno secondo lo besogno Ilo recercharra”. Poiché “fo preposto ancora lo facto deli preyti de dicta cita che pagavano Ile gabelle corno tucti li altri citatini et deveno essere franchi”, l’Università “adzo Ile gabelle de dicta cita non se venesso ad guastare”, ha decretato che ogni anno si diano ai preti della città duc. 36 correnti “per havereno da contribuire ad tucte dicte gabelle” come gli altri cittadini; bisogna impetrare ed ottenere il consenso “delo soperiore”. F 97) Si decide di far pagare al gabelloto la gabella della carne ogni 4 mesi anziché 121


ogni mese; se però la corte volesse anticiparla per pagamenti ordinari o straordinari, il gabelloto è tenuto a pagare “et de omne altra cosa se observe lo tenore deli capitoli antichi et che per oge si habia ad bandire et liberare ad lume de candela more solito” al “plus offerenti”. Gli “electi passati” avevano levato la “gabella vecchia” dei 3 grani per tomolo di farina, giacché il Gran Capitano “ne faria boni” ai pagamenti fiscali i 1.200 ducati che l’Università pagava per gli Spagnoli “che se jonsero in Castello ad Mare”; l’Università loda questa ““provisione”” e conferma il decreto con cui è stata levata la gabella, e “che sia in suo arbitrio besognando reponerela”. F 97 v) Si riferisce dell’intenzione di una commissione della Sommaria di imporre una tassa (di up tornese a rotolo) sul formaggio, del salario richiesto da Michele de Anna e Io. Gallardo “de certo patrocinio prestaro ala università” quando questa ebbe dei contrasti con i monaci e di molte altre cose che “la università reposse in potere” degli eletti. Nei tempi passati era stato proibito l’esercizio della mastrodattia ai cittadini, il che si era rivelato di “vilipendio” per la città; ora, considerato che sarebbe meglio se fosse esercitata da notai cittadini, l’Università ordina che la mastrodattia sia esercitata da notai cittadini di Cava.

2 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno decretato che si risponda al messo mandato dalla Regia Camera della Sommaria per esigere un tornese “per rotolo de caso et altre salsume, che non vogla perdere tempo, et che sende retoma con lo nomo de Dio che in questa cita non se ey exapto mai tale cosa, ne ey stata solita pagare simile angaria”, anzi la città è stata “francha libera et immune”. F 98) Quanto al fatto della mastrodattia “che fo ordenato hieri ala università, dicti electi per bono respecto hanno ordenato che sabato sende facza universitate de questo et altre cose universale”. Il sindaco, quindi, con licenza del Capitano, deve far bandire l’Università per sabato “da venire”, 6 settembre. Dal momento che “se vole fare universitate” sulla questione della mastrodattia sabato, hanno ordinato di soprassedere “allo tenere dela corte”. All’Università fu presentata una lettera del padre abate “che volea elegere lo novo vicario et dui concorrano”, e che chiedeva che l’Università “havesse dicto el veder suo”, per fare cosa grata alla città. Poiché “la università non lo decretao allora, diceno 122


che facta dicta università Sua Paternità serra avisata de quello che la università desiderarra”. Vengono eletti per “vedere li cunti de lo sindico passato” not. Basile Pisapia e not. Thomasi dela Corte. Vengono incaricati Carolo Capova e Geronimo Casaburi di vedere i conti della gabella del vino, che fu donata alla chiesa di S. Maria del Gesù “in beneficio dela frabica” e che rende parecchie once l’anno.

F 98 v) 6 settembre Si riunisce l’ Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Regio Capitano. Il sindaco Solimanno dela Corte illustra molte cose e soprattutto la questione di Angelo de Vitale, il fatto delle mastrodattie esercitate da cittadini e il fatto del vicario. L’Università, alla presenza del Capitano, decide quanto segue: per il fatto di Angelo de Vitale, incarica Geronimo Casaburi, not. Jo. Philippo de Parise, not. Basile Pisapia e Simonecto de Vitale di fare conto con Angelo de Vitale di tutto quello che deve avere; dà poi potestà a detto Angelo di “retenere” le 10 “onze” che deve dare all’università come “fundichiero dello sale”; similmente potrà prendere altre 10 once promesse da Cola de Arminando ad estinzione del debito e alla fine del mese, quando l’Università riscuoterà dai gabelloti, cederà i proventi ad Angelo Vitale, perché questi sia “del tucto integramente satisfacto”. Il conto deve essere fatto “oge”. F 99) Circa il fatto di “Santo Petro ad Sepim, quale similiter ey stato preposto per lo sindico”, l’Università ha eletto messer Ioanne de Anna, messer Andrea Longo e not. Silvestro de Alfero per recarsi dal padre abate a supplicarlo di “gratificare” i “figlani” della chiesa di S. Pietro, dando loro un prete “grato benivolo et accepto”. Quanto “alo facto delo vicario”, l’Università ne rimette l’elezione all’abate, purché non vengano pregiudicati i privilegi, “et che se deputa primo, inlo ingresso, volendose mectere alcuni deli concorrenti, zoe messer Angelo de Ursellis e messer Io. Paulo Devino che concorrano in tale officio se vene in prejudicio de dicti privilegii et capitoli si o no, et quando non vene in prejudicio de dicti capitoli et privilegi Sua Paternità facza quello li piace”, altrimenti “non se consenta” che siano violati i privilegi. Quanto al fatto della mastrodattia, l’Università ha deliberato che si faccia Università pubblica lunedì prossimo; il Capitano ordina al sindaco di emanare il bando. 123


F 99 v) 8 settembre “Congregata universitate civitatis Cave ordinatone electorum” “ad banni emissionem”, con licenza del Capitano. L’Università ordina che “se licentia con bone honeste et graciose parole” il commissario della regina d’Ungheria, dal momento che l’Università “ha pagato secondo appare per uno memoriale dello Ill.mo S. Gran Capitano”. Al commissario il sindaco deve dare 2 ducati “per la despesa have facta in questa cita”. L’Università “se contenta” che sia vicario messer Angelo, il quale, prima dell’ingresso in carica, deve dare idonea “pregiarla” “de stare ad sindicato, tanto delo officio delo anno passato quanto delo presente anno, quanto ancora delle consulte date per ipso alo Gobernatore”. Il “sindicato” si farà finito l’anno della sua carica.

11 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco ha riferito che alcuni cittadini di Cava sono stati “pigiati prisoni” a Salerno dal commissario della regina d’Ungheria per i pagamenti fiscali a cui l’Università non è tenuta, avendo il Gran Capitano fatto la grazia di “farence boni” ai pagamenti fiscali i 1.200 duc. pagati per i fanti “che se jonsero” a Castellammare, come dimostra un memoriale spedito dal Gran Capitano. Gli eletti hanno perciò ordinato che Bartholo Casaburi, uno degli eletti, si rechi a Salerno per invitare a non molestare i cittadini cavesi [“de cosa che de justitia non se deve fare”] e per “fare per via et modo corno meglio porrà che dicti citatini siano liberati con loro muli”. Per la cavalcatura e le spese hanno ordinato di dargli un tari, “quale ad istante li fo per lo sindico dato”.

12 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Sentita la relazione di Bartholo Casaburi tornato da Salerno, dove era stato mandato per via di alcuni cittadini tenuti prigionieri dal commissario della regina d’Ungheria per il pagamento “delo terzo de augusto”, e poiché il commissario non vuole che siano liberati, hanno ordinato che Bartholo Casaburi e messer Ursino de Anna vadano a Napoli a parlare “verdemente” con il Gran Capitano e a supplicarlo che la grazia che fece all’università per mezzo di Teseo Longo e Lucio dela Corte sia “froctuosa ala dicta università”. Essi dovranno dichiarare al Gran Capitano che ciò che fu esposto da “dicti sindici fo lo vero et che tucto fo ordenato et imposto ad loro per dicta università, et che li denari non se donaro mai”. Il sindaco deve mandare a messer Ursino un ducato e a Bartholo “debia dare ad ragione de cincho carlini lo jorno”. 124


Si faccia una lettera a Riesser Galieno de Anna, per chiedergli di favorire i “sindici”, facendoli parlare col Gran Capitano; si facciano tre lettere “credenciale” in persona dei detti “sindici”, una al segretario, una a messer Jo. delo Thufo e l’altra a messer Michele de Aflicto, ai quali i “sindici” devono parlare di ciò ed anche della nuova gabella di Salerno “delo facto dela sete” [sic per “seta”].

13 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo “per multe juste cose”, hanno ordinato che i bandi fatti dal precedente “officiale de dicta cita” contro “quelli de Nocere” vengano rinnovati dall’attuale Capitano, magnifico Amelio Severino, già “questa marina” nel borgo. Hanno eletto “alo sindicato” di messer Jo. Paulo Devino, “olim vicario” della città, e del portolano dell’anno precedente, messer Jo. de Anna e not. Carolo de luglio, i quali “li habiano ad sindicare” insieme “con lo moderno vicario”. F 101) Hanno ordinato che il sindaco “facza intendere” al Capitano che non permetta “fare venire li compagni delo Castello de Salerno armati in questa cita”, “per evitare multi et varii inconvenienti che potesso causare et venire per tale causa”.

15 settembre Il sindaco e gli eletti, con l’intervento del Capitano hanno ordinato di dare 10 grana “ad uno famiglio delo vecere de Principato che venne ad intimare ala università che facesse guardare lo tenimento suo, adzo li mercanti andavano ad lo mercato de Salerno non havessero ad essere assaltati et arrobati per alcuno lato”.

16 settembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato che il sindaco “habia ad fare intendere” al Capitano, al padre abate e al vicario che durante la fiera di Salerno “non habiano ad regere corte secondo lo modo solito et consueto perche la mayore parte deli homini de dicta cita versano in dicta feria”. Hanno ordinato che “se costrenga, avante lo dicto S. Capitano” not. Silvestro, sindaco dell’anno precedente, per dar conto della sua amministrazione e fare i nomi di quanti “deveno dare ala università, tanto gabelloti quanto altri debeturi”. 125


F 10l v) 18 settembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo, solito” e con licenza del Capitano. Ha decretato che “siano liberati” al sindaco 25 carlini, da lui dati a Bartholo Casaburi quando andò a Napoli e a Salerno per la “provisione” che fossero liberati i cittadini di Cava arrestati per i pagamenti fiscali, e 6 carlini per la spedizione della “provisione” suddetta. L’Università dichiara che i 25 carlini furono dati a Bartolo Casaburi per “spese cavalcatura, et non ad ragione de cincho carlini lo dì” perché tale decreto era stato annullato. Gli eletti ordinari avevano incaricato di vedere i conti dell’ex sindaco Silvestro de Alferi il not. gasile Pisapia e il not. Thomasi dela Corte. L’Università, senza nota d’infamia per i due revisori, conferma il decreto ed aggiunge ai revisori messer Modesto dela Corte e Bartholo Casaburi; tutti insieme dovranno “vedere” il conto dell’ex sindaco e “delo credenczero dele sey grana per thomolo de farina”, Frabicio dela Corte. L’Università ha ordinato agli eletti ordinari o alla maggior parte di loro di occuparsi della citazione fatta da Richardo de Cava nei confronti di Leone de Monica e figlio, citazione che riguarda anche l’Università. F 102) Il sindaco deve pagare a Federico Gallardo un’oncia per anno per tutto il tempo che l’Università ha tenuto “la casa appesonata si alo presente dì, restando puro la casa appesonata”. Macteo Iovene e altri cittadini che erano stati arrestati per i pagamenti fiscali e liberati per la “provisione” ottenuta da Bartholo Casaburi hanno patito dei danni. La maggior parte degli eletti ha potestà di “taxare et moderare” l’indennizzo e farlo pagare dal sindaco. Così pure hanno il compito di provvedere in merito alla questione della gabella della seta, facendo tutto il necessario. Quanto al fatto di Angelo Vitale “deli denari che deve havere”, l’Università elegge Alfonsecto de Adenulfo, Hectorro Cafaro e Colangelo Castaldo a trovare ad interesse il denaro e riferirne agli eletti, i quali, o la maggior parte di essi, potranno provvedere in merito.

F 102 v) 25 settembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “more solito”, con licenza del luogotenente del Capitano. Pirro Loise Quaranta e Bartholo Casaburi sono incaricati di andare a Napoli a parlare col Gran Capitano e se necessario con altri ministri per il sequestro fatto ingiustamente a Salerno dal commissario della regina d’Ungheria contro alcuni cittadini cavesi, malgrado 126


il memoriale del Gran Capitano e le lettere, in favore dell’università, della R. Camera della Sommaria. I due inviati dovranno esigere che il sequestro sia revocato e fare querela contro il commissario nella R. Camera della Sommaria. D’ora in poi si pagherà “in cambera” e non ad altra persona; ciò va dichiarato al Gran Capitano. F 103) I due “sindici” devono supplicare il Gran Capitano di mandare ad effetto la grazia dei 1.200 ducati, dando modo alla città “che nce possamo prevalere da loro [i Salernitani] et altri che nce volesse fare torto”. L’Università dà potestà a “dicti sindici” di prendere ad interesse, a nome dell’università, duc. 150, per pagare il debito con Angelo de Vitale. Il sindaco deve mandare 5 carlini a Simonecto Sicardo, procuratore di Lione dela Monica nella causa intentatagli da Richardo Cava per “certi grani che habe la Università”, con una lettera per invitarlo a rispondere “in tale causa corno meglio li parerra”. I 5 carlini saranno “facti boni” al sindaco “allo ponere de soy cunti actento che tale causa nce va lo interesse dela università per havere promisso ad Lione cavarelo in dapno et de interesse per tale causa”. Il sindaco deve dare a “dicti sindici” “per loro spesa et cavalcatura per la andata predicta” 15 tari. “Item vole siano facti boni alo sindico alo ponere de suy cunti” un tari dato al not. Antonino per essere andato a Salerno come pubblico notaio “per fare lo protesto alo commissario che havia impedito certi nostri mercanti”, e un altro tari a Bartholo Casaburi “mandato Ilo medesimo ad questo effecto”. F 103 v) 27 settembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”. “Considerando che la università deve dare ad Angelo de Vitale ed ad Antonio de Lamberto et Macteo [Staino ?] certa quantità de denari”, l’Università elegge messer Geronimo Casaburi, messer Michele de Anna e messer Lione dela Monica con potestà di trovare ad interesse duc. 150 “incircha” per estinguere questo debito. Essi potranno vendere le gabelle dell’anno a venire. L’Università promette di dare per “rato grato et fermo” il loro operato. 28 [?] settembre Gli eletti ed altri “particulari citatini”, riunitisi nella chiesa di S. Giacomo, “havendono intesa legere una lectera” di Perro Loise Quaranta e Bartholo Casaburi 127


da Napoli per “lo facto dela presagla ha facta lo commissario ad Salerno per li paga­ menti fiscali”, hanno “decretato et concluso” che si scriva una lettera a “dicti sindici”, disponendo che non devono partire da Napoli fin tanto che non hanno “expedito” con il Gran Capitano “la causa predicta” “et che voglano stare bene actenti et solliciti sopra deczo non inanellando in cosa alcuna, ne de parlare alo Gran Capitano tanta fiata quanta serra necessario” e se mancasse loro denaro avvisino o se lo facciano prestare; sarà restituito dall’università. Si rendano al not. Basile 10 carlini da lui prestati a detti “sindici” a Napoli, “secondo costa per lictere loro”. Si è avuta notizia che il sindaco di Nocera vuol venire “alo termete per pacificare con lo dicto sindico nostro, nomine universitatis”. Il sindaco deve recarsi all’incontro nel luogo predettole “sencza altro parlare o intendere altramente cosa alcuna debia con quello pacificare” e “fandose alo modo predicto la pace la università facza ad loro corno loro faranno ad nui et non altramente”.

F 104 v) 3 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo ricevuto una lettera dai “sindici che so in Napoli che non hanno possuto ancora expedire per la absentia delo Gran Capitano”, hanno ordinato che si scriva loro in una lettera che “voglano andare ad trovare” il Gran Capitano, dovunque si trovi e che non partano fino al compimento del loro incarico e “che stiano molto bene solliciti et actenti sopra deczo”; si mandano loro 20 carlini per le spese e 10 “se ne rendano ad not. Basile che loro improntaro Ila in Napoli”. Ordinano al sindaco di pagare queste somme che gli saranno bonificate “allo ponere de soi cunti”. Si scriva a detti “sindici” della questione della gabella della seta, “che nde voglano parlare” al procuratore Nardo Andrea Fronda e “vedere che ha facto in Sommaria” e “replicare ancora delo facto de Macteo Costa”, che per parte dell’università aveva presentato il privilegio al commissario del Principato “per causa deli Spagnoli foro in Castello ad Mare” e “che parlano che deliberamo pagare in Cambera servata la forma de nostri privilegii”.

F 105) 4 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza del R. Capitano, presente all’assemblea “havendo preposto lo sindico che lo abbate delo sacro monasterio dela Cava, have facti certo mandato ad particulari homini de dicta cita che debiano caczare fore Ile montagne 128


Ile bestiame per loro poste ad pasculare Ila” e che costoro devono pagare i danni, il che sembra toccare all’università, ma pregiudica l’uso sinora avuto, l’Università decide di mandare Andrea Longo, Michele de Anna, Modesto dela Corte e Simonecto de Vitale a parlare con il padre abate al monastero della questione e riferirne alla Università, affinché possa “provedere ala sua indempnitate”. Si mandi a Napoli Marctuczello Taglaferro per sollecitare insieme ai “sindici” il fatto della “executione facta per lo commissario della regina de Hungaria in Salerno”. Gli si diano denari per le spese.

F 105 v) 6 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Capitano d. Amelio Severino. Andrea Longo, Michele de Anna, Modesto dela Corte e Simonecto de Vitale riferiscono del colloquio avuto col padre abate circa il fatto delle montagne. L’abate “se contentava che la università havesse havuto lo suo uso omni tempore come lo vole e quale lo vole in dicte montagne” ma la proprietà la voleva per il monastero. L’Università, sentita la relazione e considerate le spese eccesive fatte in passato per le questioni con l’abate e i monaci, ha accettato l’offerta e se l’abate dovesse vendere le montagne o “nce fedasse alcuno citatino de dicta cita o forestero sia licito ad omne citatino potere intrare ala compara o vero ala feda per rata” .29 Si paghino ducati 5 a Diomedes de Cretella hostolano per “Ile spese have facte alo regente dela Gran Corte dela Vicaria de Napoli” che alloggiò nei giorni passati nella sua osteria, secondo la “carta” fatta dal not. Marchionno de Composta, mastrodatti del reggente. F 106) Si veda il conto del not. Jo. Marco e si paghi quanto deve avere “per resto dela guardia delo cancello in tempo dela pesta”. [Fra il F. 105 e il F. 106 è inserito un foglio volante ripiegato; sulla prima pag. c’è scritto: “ante transfens”; seguono gli appunti, riportati in bella copia al F. 105 v., dei tre punti discussi dalla Università il 6 ottobre; il lv. e 2r. sono bianchi, il 2v. e 3r. contengono appunti di carattere contabile. Sull’ultima pagina, lungo il margine interno è scritto: “per fare una colla de ... pigia”].

29 La fida era per far pascolare i porci.

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F 106) 10 ottobre Gli eletti e molti altri cittadini si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo. Hanno decretato che il sindaco debba dare ai cittadini che hanno i “muli prisuni in Salerno” per via dei pagamenti fiscali, 5 tari. Si scriva una lettera a Nardo Andrea Fronda, che voglia comparire in Sommaria o in Vicaria ad esporre le ragioni dell’università nella questione della gabella della seta, che si prebende esigere, cosa che non si era mai fatta. Gli si mandino 5 carlini. Si paghino a Pino Loise Quaranta, “sindico” mandato a Napoli per la questione dei 1.200 ducati e la “exequtione” fatta in Salerno, tari 5 che aveva pagato per una lettera del Gran Capitano alla regina d’Ungheria affinché non molestasse i cittadini e li liberasse dal "sequestro fatto a Salerno e per una “provisione” della Sommaria “che ne fosse stati dati li sali de Pasca et de augusto” passati. Si prenda copia del processo fatto in Vicaria tra l’Università e la erede del fu Carolo Castaldo, pagando “quello nce besogna”.

F 106 v) 16 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito” con licenza del Capitano “actento che la gratia fece lo Ill.mo S. Gran Capitano deli milli et ducento ducati ad questa Università [...] pare che sia uno poco delatata” e non ha avuto quell’effetto “che lo besogno lo recercaria”, e il commissario della regina d’Ungheria “ha facte molte presagle et exequcioni ali homini dela università et quelli assaltati et levatili certa quantità de denari”, ed ha citato il sindaco e gli eletti, sembra necessario far sapere tutto al Gran Capitano. Per questo incarico vengono eletti Andrea Longo, Geronimo Casaburi, che, con lettere di “credencza”, devono recarsi dal Gran Capitano, da Jo. Baptista Spinello 30 e da altri membri della Regia Corte per far loro “intendere tucto lo predicto” secondo il memoriale dato loro dall’università. Si mandi a Salerno un notaio per fare un “protesto” contro il commissario della regina d’Ungheria e si paghi il solito giusto salario sia al notaio che al giudice a contratto “che va da at qua”. Ieri sera alloggiarono al borgo degli Scacciaventi il capitano Megnocha e la sua compagnia. Bisogna pagare gli osti che diedero loro “stantia et strame”. Vengono incaricati 30 Conservatore generale del patrimonio reale (NOTAR GIACOMO, cit., p. 283). Cf. anche G. D’AGOSTINO cit., p. 15.

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di controllare le spese Ferrante Quaranta, Nicoloso de Anna e Berardino de Adenulfo. Il sindaco pagherà agli “hostolani” “tucto quello che dicti electi taxaranno”. Il sindaco deve pagare a Diomedes de Cerchella hostolano “per le despese fece la seconda volta alo regente quando retornao”; le spese saranno moderate dagli stessi eletti a tassare “la stantia et strame deli Spagnoli”. Saranno “facti boni” al sindaco duc. 6 pagati a detti Spagnoli da alcuni eletti, perché gli Spagnoli volevano “stantiare alo dicto burgo” a spese della città finché il capitano Megnocha “li dava aviso da Napoli per farele deslogiare”. I duc. 6 furono pagati agli Spagnoli per mano del Capitano della città di Cava. L’Università ha pregato il Capitano di andare a parlare col padre abate sul fatto delle montagne e riferirne all’università “non astrengendo niente sencza consulta dela università”. F l07 v) Per la questione delle montagne, l’Università ordina che nessun cittadino comperi 1’ “està” fino all’11 novembre per ciascun anno “adzo lo uso che ha dicta università ad dicte montagne li sia fruttuoso”; dopo questo tempo sia lecito ad ogni cittadino far pascolare i porci alla ragione di tre grana per porco e “tale compera o fida non habia ad prejudicare alo uso universale de dicta cita”. Se un cittadino la comprasse, il Capitano dovrà applicare contro di lui la pena di un’oncia. Pirro Loise Quaranta ha esposto all’università che ha “vacato in Napoli alcuni dì per servitio dela università”, per la questione dei 1.200 ducati e ha chiesto che gli fosse fatto “el debito”: “quale proposta per ipsa università intesa have remissa tale petitione ali electi che li faczano el debito”. F 108) Il primo settembre non furono eletti i grossieri. L’Università decreta che la loro carica debba durare 3 mesi ed elegge per la provincia di S. Adiutore [“Santo Agiutoro”] Leone dela Monica, per quella di Mitigliano Geronimo Casaburi, per la provincia di Passiano Carolo Capova, per quella del Corpo dela Cava Andrea Longo “per parte de messer Andrea de Perrello”, di modo che essi o alcuni di loro, o anche uno soltanto, trovandosi “in piacza” possano “provedere ala grassa dela cita et ad tucto quello che spectarra alo loro officio”. L’Università vuole che “siano facti boni” al sindaco 3 tari e 5 grana pagati a 3 messi, uno mandato a Salerno e due a Napoli.

F 108 v) 17 ottobre Si riuniscono gli eletti ed “altri particulari homini de dicta cita in lo portico dela casa delo S. Capitano”. Essendo ritornato Bartholo Casaburi da Napoli e avendo riferito “quello che ha 131


exequito circha lo facto deli milli et ducento ducati”, hanno ordinato che Andrea Longo e Geronimo Casaburi vadano a Napoli ed “exequiscano quello che a bocca hanno intiso che dicti ducati milli et ducento ne pigiano omne accordo che porranno de tucto o parte”. Hanno decretato che si desse un tari per uno al not. Macteo Troise e al not. Antonino Gallardo, che andarono a Salerno per un “protesto”, come a notaio e a giudice, secondo quanto determinato da Michele de Anna31.

F 109) 22 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo ed “altri particulari homini”. “Havento intiso certe lictere” mandate da Napoli da Andrea Longo e Geronimo Casaburi sulla questione dei 1.200 ducati, decidono che si scriva loro una lettera disponendo che cerchino di ottenere una dilazione per il pagamento del “terczo” di agosto e

la restituzione della “exequtione”, se

altro non si potesse ottenere. Se si potesse ottenere che i 1.200 ducati vadano per i pagamenti fiscali, “siano facti boni ali terczi de Natale

et de Pasca”,

ottenendone le “cautele necessarie”; se ciò non si potesse ottenere integralmente, prenderanno al più presto accordi. Siano “facti boni” al sindaco 3 carlini dati al messo venuto da Napoli a Cava con la lettera. Ai “sindici” a Napoli si mandi un grano [!?] per le loro spese.

F 109 v) 24 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Capitano. Andrea Longo, ritornato da Napoli, riferisce sull’ operato suo e di Geronimo Casaburi: è intenzione del Gran Capitano che dei 1.200 ducati ne siano “facti boni” la metà nei “terczi” di Natale e Pasqua e “che mo debiamo pagare lo terczo de augusto proximo passato” alla regina d’Ungheria. Di ciò si spediranno le opportune cautele e l’Università deve mandare le polizze originali del pagamento dei 1.200 ducati. Considerando che dall’ “omnipotente Dio non se po havere excepto quello che nce da”, l’Università “se contenta” di ciò che hanno concluso messer Geronimo e messer

31 Da notare che a questa riunione sono presenti 42 persone, un numero mai raggiunto finora.

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Andrea. Dispone che si scriva una lettera a messer Geronimo “che concluda et che se li mandano” le polizze originali per un uomo “ad posta” al quale saranno dati tre carlini. Si scriva a messer Geronimo che se bisogna pagare qualcosa, paghi: l’Università si impegna a rimborsarlo e dà ordine al sindaco in tal senso. F 110) Geronimo Casaburi faccia promessa a nome del sindaco alla regina d’Ungheria o ai suoi ufficiali di pagare la terza di agosto “ad quelli tempi che più porrà havere”. L’Università, nel caso non dovesse pagare, promette a Geronimo Casaburi di non fargli subire danni. Per trovare il denaro necessario per pagare la terza di agosto, l’Università elegge Michele de Anna, Modesto dela Corte, Ferrante Quaranta, Berardino de Adenulfo, Simonecto de Vitale, Bartholo Casaburi e not. Jo. Philippo de Parisi, ai quali, o alla maggior parte di loro, dà potestà di vendere qualcuna delle gabelle ordinarie per l’anno “da venire” al miglior prezzo possibile. Il compratore dovrà pagare o prestare il denaro necessario per pagare la terza di agosto. F 110 v) Poiché per via del pagamento della terza di agosto “so stati piu di detenuti li muli de alcuni citatini de dicta cita in Salerno pigiati per dicto commissario”, l’Università dispone che gli eletti ordinari facciano “moderatone et taxatione delo interesse loro et quello moderato et taxato per dicti electi o la mayore parte de loro” l’Università ordina che sia pagato dal sindaco ai mulattieri, prendendone “polisa de recepto”. Poiché il commissario predetto aveva preso di forza da Frabicio de Falco ducati 56, consegnati alla regina d’Ungheria in conto della terza di agosto, l’Università vuole che questi ducati siano presi dalla terza di agosto “che se ha da pagare mo allo presente” e siano resi a Frabicio de Falco. Poiché il commissario aveva preso prigionieri in Salerno alcuni cittadini di Cava, trattenendoli alcuni giorni, e questi cittadini chiedono ora all’università il risarcimento del danno patito, l’Università rimette agli eletti ordinari o alla maggior parte di loro “che provedano corno ad loro pare ita che nullo citatino habia materia de contrariarese et non pata lo parteculare per lo generale”. L’Università ha ordinato che si paghi a Macteo Costa, a Raymondo Cantarello e ad Angelo de Vitale quello che messer Petro de Massa, olim commissario della regina d’Ungheria, prese da loro in conto del terzo di Pasqua. F 111) Il sindaco deve pagare a Federico Gagliardo “tucto quello che deve havere fi allo presente dì delo pesone dela casa, che dicta università have tenuta ad pesone in Napoli da ipso, ad ragione de una oneza lo anno et pigle polisa de recepto da ipso”. L’Università inoltre rinuncia a questa casa e “non la vole tenere più ad pesone, ordinando ad dicto sindico Ilo facza intendere ad dicto Federico”. 133


27 ottobre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Regio Capitano. Per pagare “lo terczo” di agosto scorso è necessario vendere la gabella della carne; le altre gabelle ordinarie non si sono potute vendere. Basili Pisapia, Thiseo Longo e Cola de Arminando si offrono di comprare detta gabella per ducati 500 “necti”, in questo modo: duc. 100 “per tucto oge”, ducati 100 “per tucto oge ad octo”, altri duc. 100 entro 15 giorni, altri duc. 100 fra 22 giorni e gli ultimi 100 da qua a un mese. L’Università accetta, a condizione che detta gabella si possa bandire per tutta la domenica prossima, nel caso fosse possibile ricavarne qualcosa di più in beneficio dell’Università. L’eventuale compratore dovrebbe poi pagare a not. Basile e compagni “tucto quello che ad quello tempo se trovaranno haver pagato”. Il not. Basile e gli altri si obbligano al pagamento nei termini predetti. Andrea Longo, Geronimo e Bartholo Casaburi, Pirro Loise Quaranta, che sono stati a Napoli a parlare con il Gran Capitano ed altre autorità sul fatto dei 1.200 ducati, chiedono un compenso per le loro fatiche: questo viene rimesso agli eletti ordinari. Su istanza di Angelo de Vitale sono stati chiamati alla corte del Capitano Theseo Longo, Andrea Longo, Michele de Anna e altri cittadini, come “pregi dela università de certa quantità de denari” e il Capitano “cercha la pena”. L’Università rimette agli eletti di trovare un accordo con il Capitano, con un dono o “per altro modo”. F 112) Poiché in Salerno “foro facte multe despese per li molicteri foro detenuti” dal commissario per i pagamenti fiscali, l’Università “vole che tale spese tanto de molicteri quanto de li muli se habiano da pagare ali dicti molicteri secondo taxara Geronimo Casaburi et lo sindico”. Quando il sindaco andò a Salerno perse “lo calamaro con lo asso”. Va ricomprato a spese dell’università. Circa il fatto dei 1.200 ducati, è intervenuto favorevolmente Jo. Baptista Spinello; l’Università vuole che gli sia fatto “uno presento” da dieci ducati imbassio, ad arbitrio degli eletti. Si paghino 3 carlini a Costantino Capova che li spese in corte della regina d’Ungheria per spedire una lettera all’università, affinché questa pagasse a Frabicio de Falco 56 ducati che gli aveva levati il commissario a Salerno per i pagamenti fiscali; similmente si paghino 3 coronati che Martuczello Taglaferro aveva prestato a Geronimo Casaburi “sindico in Napoli” per spedire una lettera diretta al commissario con cui si rivendicava la restituzione allo stesso Martuczello dei beni sequestratigli a Salerno. 134


F 112 v) 29 ottobre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo visto “alcune potestate” date loro dall’università “li di passati” e soprattutto il donativo da 10 ducati in basso, ordinano al sindaco “che compara sey quarantini de oglio bono et sey presocti alo meno preczo che porrà”; il prezzo “li sia facto bono” insieme con le spese per portare il dono a Napoli e poiché devono andare a Napoli not. Basile Pisapia e Macteo Costa, ordinano al sindaco di parlar loro, affinché “voglano fare dicto presento ad dicto messer Jo. Baptista, da parte de questa università et quella li recomandare in omne suo besogno”. Il Capitano intende condannare ad una pena Theseo Longo, Michele de Anna ed altri come garanti [“pregi”] dell’università presso Angelo de Vitale. Ordinano al sindaco di dare al Capitano da ducati 4 “in bassio”, come meglio potrà convenirne, “compositionis nomine”. Ordinano al sindaco “che veda et facza cunto de quelli di vacaro in Napoli per lo facto deli milli et ducento ducati messer Andrea Longo, Geronimo Casaburi, Pirro Loise Quaranta et Bartholo Casaburi et per quelli di che realemente so vacati per tale causa in Napoli Ile paghe ad ragione de tari dui lo di, actento che lo decreto deli cincho carlini se deano li di passati la università lo roppe et non volse che più havesse loco”.

F 113) [Questa pagina non contiene una delibera, ma un memoriale, che si riporta qui di seguito, sulla questione dei 1.200 ducati]. “Qua in questo libro se nota corno la università dela Cava, ali milli et ducento ducati pagao ala regia Corte in subventione de li fanti se jonsero in Castello ad Mare ipsa regia Corte ne ha facti boni ad ipsa università, in cunto deli pagamenti fiscali proximi da venire ducati seycento zoe ducati trecento alo terczo de Natale proximo da venire IX Indictione et ducati trecento alo terczo de Pasca, similiter proximo da venire dicti anni IX Indictione corno appare per polisa de recepto de ipsa regia Corte, quale ej delo tenore seguente: Martinus Thorellas Regius Consiliarius et regens officii regie generalis thesaurarie in regno Neapolis ... per tenore dela presente confexo havere receputo dala università dela Cava, et per ipsa da Solimanno dela Corte sindico per mano de Andrea Longo et Hieronimo Casaburi ducati seycento correnti che pero li anticipare per servitio dela regia Corte in cunto de li pagamenti fiscali che dicta università deve ala dicta corte zo e trecento ducati per lo terczo de Natale et trecento ducati per lo terczo de Pasca, proximi futuri et pero ad sua cautela et... dela dicta Corte ho facto fare la presente segillata delo mio solito segillo et subscripta de mia propria mano et de mano delo homo del mag.co Conservatore generale lo quale li ha notato in suo libro. Datum Neapoli die XXV octobris 1505. Martinus Thorellas [omissis]. 135


F 113 v) 13 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco riferisce che l’abate e i monaci del monastero intendono agire riguardo all’uso delle montagne contrariamente a quanto fu detto a “certi altri electi”. Pertanto vengono incaricati dei “gentilomini” di andare a conferire con il priore, per l’assenza dell’abate, cioè Andrea Longo, not. Carolo de luglio, Simonecto de Vitale e il sindaco. Essi dovranno riferire al priore come nei giorni scorsi era stato detto che “se contentava” che l’uso delle montagne “fosse salvo ala università”, e non sembra né giusto né onesto discostarsi da quell’ordine in assenza del padre abate. Se il priore vorrà “restare contento ad quello che lo abbate promese”, bene, in caso contrario, va bene soprassedere fino alla venuta dell’abate. Se il priore non volesse accettare né l’una né l’altra proposta, il sindaco faccia bandire l’Università alla quale “se debia referire tucto quello ey stato sequito facto et dicto per dicti electi adzo ipsa università pocza fare quello che sia lo suo beneficio”. Quanto alla questione del Capitano, rimessa agli eletti, per il fatto dell’istanza contro alcuni cittadini, pregi dell’università, avanzata da Angelo de Vitale e Richardo Cava, gli eletti ordinano al sindaco di dare al Capitano duc. 6 e, dandoglieli, dirgli “che li electi li donano quelli sey ducati che sua S. se Ile pigia per uno presento”. F 114) Hanno decretato che siano “facti boni” al sindaco carlini 13, pagati per portare a Napoli dei denari ai sottoscritti: 5 carlini a not. Basile che portò 100 duc. e 5 carlini a Lionardo Casaburi che ne portò altri cento; 1 tari e grana 10 a Martino de Arminando, che portò 44 ducati.

16 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno decretato che si faccia una lettera al Gran Capitano di “ben servire” per il mag.co Mitio [?] Galioto, che, quando fu Capitano nella città, “se porto bene” “et maxime tempore Gallorum” e che “delo sindicato actento se porto bene sia absoluto et che dezo se facza lectera et de quella debia remanere copia ad lo sindico”. La lettera fu “expedita per mano de not. Basile et de quella remase copia alo dicto sindico”.

F 114 v) 24 novembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Il sindaco fa presente che manca ancora del denaro per pagare la terza di Natale; poiché l’Università ne avrebbe gran danno non provvedendo in tempo, gli eletti ordinano che per questo si debba “fare università cray matino”. 136


“Item che se proponga ala università per lo sindico lo tornese per rotulo allo caso che esce de fore questa cita, et che se vende dentro”. Il sindaco deve anche proporre che chi compie delle “opere” per l’Università sia pagato la sera [ad evitare che qualcuno abbia delle promesse, ma una volta compiuto il suo incarico, non sia pagato]. Gli eletti, per la potestà data loro dall’università, decidono che siano pagati grana 10 al giorno i mulattieri che furono presi “prisuni ad Salerno” dal commissario della regina d’Ungheria e grana 5 al giorno gli altri “che stectero le bestie loro prisuni ut supra”. Siano “facti boni alo sindico allo ponere de soy cunti” carlini 5 pagati a Nardo Andrea Fronda “per causa delo bando dela terczaria delo ferro et delo aczaro che se intendea mectere in dicta cita che respondesse in Summaria”. F 115) Siano bonificati al sindaco 4 coronati pagati a “Nardo Andrea li di passati per mano de Macteo Costa per la causa dela seta”, grana 10 pagati al not. Jo. Philippo de Parise per la copia di un istrumento dell’università con Angelo de Vitale, e tari 2 e grana 10 pagati a Francesco de Falco, che portò 83 ducati alla regina d’Ungheria.

25 novembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito”, con licenza del Regio Capitano. Quanto al fatto dei denari che mancano per “lo terczo et sale de Natale”, l’Università elegge Geronimo Casaburo, not. Carolo de luglio, Damiano de Adamiano e not. Jo. Philippo de Parise con “amplissima potestate de possere intendere et belanzare lo introito et lo exito dela università”, vedere quello che manca per la terza di Natale, trovare il denaro o vendendo le gabelle o aggiungendo “alcuna cosa ad qualche gabella o omne altro expediente possibele”, in modo da poter pagare la Corte. Questi eletti non possono però “mectere gabella nova ne impronto particulare”. Quanto al fatto delle opere compiute da alcuni cittadini che “alcuna volta serveno et non so pagate”, l’Università ordina al cancelliere “che forme sopra deczo alcuni capitoli” e li faccia “intendere” agli eletti in modo che “besognando se poczano ligere et puplicare” in piena Università. Quanto “alo facto delo uso dele montagne che ey stato sopreseduto ala venuta delo patre abbate”, essendo giunti nel monastero, dove sono ancora, l’abate di Montecassino e l’abate di Napoli, l’Università incarica Andrea Longo e not. Carolo de luglio, con il Capitano, di conferire alla presenza dei due abati e supplicarli per l’amor di Dio e della Santissima Trinità “che se voglano degnari non volere privare ne molestare dicta università delo uso dele montagne predicte delo quale have tanto longo tempo gauduto et gaude”; l’Università che “sempre sole levare e may sole nutrire [un litigio]”, reputerà un 137


piacere “acceptissimo” se non innoveranno cosa alcuna. I due incaricati dovranno riferire all’università sul loro operato affinché “se sarra necessario sende pocza fare universitate”.

1 dicembre Si riuniscono gli eletti e molti altri cittadini nella chiesa di S. Giacomo. Il Capitano, Andrea Longo e il notaio Carolo de luglio riferiscono sul loro incontro “con lo patre abbate”: “secondo Ilo referire de dicti electi pare che lo abbate dica la proprietà dele montagne et lo uso et omne cosa essere lo suo et delo sacro monasterio”, che vorrebbe che la cosa fosse fatta intendere da una o due persone elette da lui e dall’università e che avrebbe caro che per adesso “se ponesse tranquilla pace et accordio tra ipsa università et lo dicto monasterio”. “et per che pare che in questo lo abbate vogla dire altre cose” gli eletti “hanno ordenato che tale parole se referiscano ala università adzo ipsa pocza havere pensiero alo facto suo in respondere”. Tale Università va fatta nelle prossime feste di Natale; hanno eletto Carolo Capova e not. Thomasi dela Corte per andare dall’abate per pregarlo di soprassedere fino alle feste di Natale, di modo che “la università haverra pensiero alo facto suo et intenderra che vole dire Sua Paternità”, e farà ciò che si ordinerà in piena Università.

9 dicembre Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Da parte del Regio Capitano viene loro riferito “corno desastrosamente cascando se guastao lo pede per el che non porria per alcuni jomi andare ad tener corte ad lo Corpo dela Cava”, però “quando piaciuto ali dicti electi” avrebbe voluto tener corte al borgo, “fi che possea cavalcare”. Gli eletti accettano la proposta, da “oge innante” fino alle feste di Natale, senza recare pregiudizio ai privilegi della città; “facte Ile feste, la corte se debia tenere, loco et more solito”. Hanno ordinato “ad me not. Antonino Gaglardo che me debia conferire ad messer Joanne de Anna” e fare “doe para de exceptiune” ad istanza dell’università: una “ala causa tene la università con messere Alfonso Ledesino spagnolo sopra la gabella de la seta pretende exigere aqua ala Cava” e l’altra “ala causa tene ipsa con Loise Setaro sopra lo facto dela terczaria dello ferro pretende exigere in dicta cita”, “dele quale cose la dicta università nde ey immune et exempta” e mai si erano fatte esigere tali gabelle e terzarie, “et quelle facte mandare subito in Summaria in mano de Nardo Andrea, procuratore de dicta università in Napoli”. A Nardo Andrea il sindaco deve mandare 5 carlini, a messer Joanne “per factura de dicte exceptiuni et per certe altre petitiune facte li 138


di passati ad istanza de dicta università” altri 5 carlini “et ad me not. Antonino per li affanni mey dui carlini”.

27 dicembre Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, “more solito”, con licenza del Capitano mag. d. Amelio Severino. Sentita la relazione fatta dal Capitano e da Andrea Longo, mandati dal padre abate per la questione dell’uso delle montagne, l’Università ha decretato “et cossi dice che lo dicto uso dele montagne fo, ey stato et ey de ipsa università” e che essa intende mantenerlo e difenderlo a sue spese, di modo che nessun cittadino abbia a patirne danno o spesa alcuna. Le altre cose che ha da proporre il sindaco vengono rimesse agli eletti che sono presenti a quest’assemblea, affinché vi provvedano e il loro operato viene fin d’ora considerato “rato, grato et fermo”. Lo stesso giorno Gli eletti si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo. Avendo il sindaco riferito che “Lione et Andrea deli Moneca li haveno satisfacto” e pagato duc. 520 per la gabella della carne dell’anno a venire, ordinano che di questo il sindaco dovrà tener conto per l’obbligo dei bandi. Il sindaco deve inoltre pagare, o “fare boni” a Leone e Andrea carlini 4 e grana 2 da loro pagati per l’Università, “ala causa che tentao Richardo Cava” contro Andrea e Leone per 100 tomoli di grano “che vendeo dicto Lione ad dicto Richardo et la università sello piglao per besogno suo”. F 118) Si devono inoltre risarcire i cittadini che “foro pigiati per lo commissario ad Salerno per li pagamenti fiscali tanto al loro persone quanto ad Ile bestie secondo la lista facta per Nicoloso de Anna”, con Simone e Stefano de Arminando e Frabicio de Falco. Hanno ordinato che “siano facti boni” al sindaco carlini... per la cavalcatura e spese per essere stato a Napoli 4 giorni “per portare certi denari ala regia corte”. Avendo sentito la relazione di Geronimo Casaburi, deputato a vedere i conti di Alfonsecto de Adenulfo, olim gabelloto e debitore dell’università di duc. 20, tari 2 e grana 4, dei quali chiede, tramite il Casaburi, grazia, gli eletti, considerando Alfonsecto “bono citatino”, hanno decretato che di questa somma paghi 10 ducati tenendo conto che “in tempo de sua gabella” venne in suo danno la situazione del grano. 139


F 118 v) Geronimo Casaburi, con gli altri o solo con qualcuno di loro, deve vedere “tucti et singuli cunti” dei sindaci e dei gabelloti “passati”, affinché l’Università “conosca chi li ey debitore et poczase agiutare dello suo”. Il sindaco e il cancelliere devono fare “uno protesto” al Capitano “et requesta, secondo ej stato posto in carta, per consulta” data agli eletti e scritta dal cancelliere stesso “subito alo retorno delo sindico da Napoli”.

20 gennaio 1506 Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Carolo de luglio. Hanno decreto che “se facza bono cunto” con il commissario della regina d’Ungheria Petro de Massa e gli si paghi tutto il residuo dei pagamenti fiscali di cui l’Università, “per dicto computo”, risulterà debitrice, “et che se mande ad chiamare [il commissario] da Salerno che venga in dicta cita ad contare con nui et pagare corno ej dicto adzo li nostri citatini non siano impediti per tale causa”. Augustino Cantarello pretende da certi cittadini di Cava la “terczaria de Ilo ferro, dela quale simo immuni et franchi et perche tale causa pende in Sommaria”, dove si deve fare il processo, hanno ordinato al sindaco di dire ad Agostino Cantarella che “de tale causa non se impacza, ne debia dare molestia ad dicti nostri citatini et che se mande ad chiamare lo commissario venga ad examinare sopra tale causa et fare lo processo”. F 119) Circa la questione dell’uso delle montagne, il sindaco deve dire al vicario di non procedere contro “particulari homini”, perché “procede ad loro oppressione maxime per non poterenose agiutare”, dal momento che la causa verterebbe fra l’abate e i monaci da una parte e l’Università dall’altra. Si decide anche di chiedere consiglio sulla questione a Michele de Anna e Modesto dela Corte e “secondo loro vedere se facza zo ej quello che la università po fare de justitia”. “Et che se dica alo Capitano che anda ad tenere corte alo Corpo dela Cava”, secondo i privilegi della città e poiché è passato il termine, di tenerla al borgo “per la justa causa fo concesa, ad dicto Capitano per farese male alo pede”. Il sindaco e il cancelliere devono fare “tale imbassiata” al Capitano.

8 febbraio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, “more solito”, con licenza del R. Capitano. Viene rimesso agli eletti ordinari, perché sia valutato e pagato, il danno sofferto da

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alcuni cittadini che ebbero le bestie sequestrate a Salerno dal commissario per i pagamenti fiscali [il residuo della terza di agosto VII indizione e un’imposizione sul sale]. F 119 v) Viene rimesso agli stessi eletti “che habiano da provedere” al salario e per “bestie, garczuni et despese” del sindaco e del cancelliere che erano stati a Napoli per conto dell’università. Il sindaco deve fare la quietanza a Berardino de Adenulfo “deli denari provenuti in suo potere de Angelo de Vitale”. Hanno decretato che saranno “facti boni” al sindaco tari 3 per due messi mandati da Cava a Napoli, uno inviato dal sindaco al notaio Antonino “quando era Ila” e l’altro mandato dal not. Antonino al sindaco che era a sua volta a Napoli, per ordine di alcuni eletti, “del che non fo facto decreto per ipsi electi”. Siano “facti boni” al sindaco tari 3 da lui pagati per mano del not. Antonino a Pirro Antonio de Costanzo per “la relatione fece in bancha de quello che ademandava dicto Petro de Massa; auduta la ragione dela università et proposto per dicto Antonino mandato ad lo dicto effecto in Napoli per li electi et per la lectera expedita da regia Camera dela Summaria” a Petro de Massa “corno se devea gobernare circha Ilo exigere dela pena et altro che ne demandava”. Siano “facti boni” al sindaco duc. 3 e tari 1 pagati per mano di not. Antonino in Salerno “per le spese habero Ile bestie pigiate per dicto Petro de Massa et garczuni che le gobernaro, per li dicti pagamenti et ancora ali garczuni delo straticoto piglaro dicte bestie”. F 120) Ha ordinato che “se habia ad conczare la cassa dela università et che sence faczano quatro chiave adzo sende pocza dare una per provincia”. Gli eletti devono “taxare et moderare la “provisione”” a Geronimo Casaburi, il quale aveva rivisto i conti del sindaco “passato” e di altri debitori, con ampia potestà, “tanto quanto fosse tucta la università”, di far pagare i debitori e cancellare il debito a coloro che hanno provveduto ai pagamenti dovuti all’università. L’Università “have acceptati per citatini Faurillo de Pascarello de Santo Laurenczo et ancora Matheo Imperato et frati de Majuri secondo lo contracto deczo facto per not. Thomasi dela Corte se contene”. Gli eletti devono “vedere” quanto deve avere Zabacto Quaranta dall’università e Farglielo rimborsare. Jo. Baptista Longo e Bartholo Casaburi devono andare a Napoli a supplicare il Gran Capitano per l’osservanza dei privilegi e soprattutto per il fatto di pagare “in cambara li pagamenti fiscali”. F l20 v) L’Università afferma la sua volontà di far rispettare “in omnibus et per omnia” i suoi privilegi. 141


Ha ordinato agli eletti di vedere se la citazione fatta ad istanza di Ferrante Quaranta contro Andrea Longo sia o no contro il tenore dei privilegi, essendo ambedue cittadini di Cava: “essendo contraria et prejudiciale de dicti privilegii dicta citatione non habia effecto”. Dà potestà agli eletti “de taxare lo salario” di Michele de Anna, Joanne Gagliardo, Modesto dela Corte “per le fatiche hanno poste et facte per dicta università”, nel termine di 4 giorni. In base ad un decreto per cui i grassieri devono essere eletti ogni 3 mesi, senza nota di infamia quelli in carica dal mese di ottobre vengono sostituiti da Berardino de Adenulfo per la provincia di “Santo Agiutoro”, da not. Io. Philippo de Parisi per la provincia di Passiano, per la provincia del Corpo dela Cava da Francesco Catoczo e in sua assenza da Bartholo Casaburi e per quella di Mitigliano da Theseo Longo. F 121) Quanto al fatto dell’uso delle montagne, nei giorni scorsi erano stati incaricati Michele de Anna e Modesto dela Corte di “intendere la iustitia dela università et che havia da fare de tale causa”. I due incaricati con Ioanne Gallardo “hanno presentato ad dicta università uno certo consiglio scripto per mano de notare Andrea Casaburi et subscripto de loro propria mano in uno foglio de carta”: si dà ordine al sindaco di eseguire “quanto in ipso se contene”.

10 febbraio Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. L’ Università aveva rimesso agli eletti di stabilire il salario del sindaco e del cancelliere per i giorni che stettero a Napoli per conto dell’università stessa. Il sindaco vi stette 15 giorni “in doe fiata queste feste de Natale e mo per lo facto de Petro de Massa commissario dela S. regina de Hongaria” e il cancelliere 9 giorni “per lo facto dela pena, ne domandava lo dicto commissario”, per non aver pagato le terze dell’anno passato nei termini, e per far “liberare” il sequestro fatto a Salerno “dove vacai uno dì che omnibus computatis so deici dì”. Gli eletti hanno stabilito di pagare al sindaco 3 carlini al giorno e “ad me cancellerò” 3 carlini e mezzo al giorno “per li dicti jomi vacati ut supra non per salario ma per despese loro, garezuni et bestie”. Ordinano al sindaco di “pagare et satisfare sencza altra dilacione”. F l21 v) Hanno ordinato al sindaco di pagare grana 10 al not. Carolo de luglio “per la fede fece corno ad puplico notaro ad certe copie de privilegii”, che furono portate dal sindaco a Napoli, e ancora 10 grana a Geronimo [... ], che aveva copiato i privilegi. Secondo la potestà loro data di stabilire il danno avuto dai mulattieri che “tennero prisuni li loro sumari in Salerno” per 13 giorni, decidono per un risarcimento di grana 5 al giorno “quali foro per quatro sumari et uno mulo”. [Seguono i nomi dei tre mulattieri]. 142


‘Itera alo facto deli cunti vede Geronimo Casaburi quale demanda lo salario ad dicti electi remisso per dicta università”, gli eletti rispondono a Geronimo Casaburi che “veda tucti li cunti et facze Ile significatorie” e “questo facto li faranno el debito”. Hanno decretato che si paghino a Sebastiano Ferrigno e Macteo Iovene, che stettero nove giorni “prisuni in Salerno” per la rappresaglia fatta dal commissario, 9 carlini per uno, “sulo per la loro despesa”.

F 122) 10 febbraio Davanti al cancelliere è comparso il giudice “Diomedes Gagliardus de Cava”, invitandolo a registrare che circa l’uso delle montagne era stato sottoscritto un documento [il “consiglio” dato da Michele de Anna e Modesto dela Corte] anche da Ioanne Gagliardo, che però non risulta essere stato mai investito della cosa, per cui la sua sottoscrizione appare fatta per errore. F 122 v) Il sindaco deve riferire tutta la questione agli eletti. Lo stesso giorno compare il not. Basilio Pisapia, come eletto della provincia del Corpo di Cava, che afferma che il consiglio dato da Michele de Anna e Modesto dela Corte non deve essere mandato a esecuzione, perché porterebbe grave danno all’Università; per tutti quelli che fossero invece consenzienti, i danni dovranno essere “contra eos et non contra dictam universitatem et maxime provinciam Corporis Cave”. Secondo il Pisapia, questo decreto non rispetterebbe i decreti fatti dagli eletti e da lui stesso come eletto. L’Università deve difendersi de jure, non con la violenza. Di ciò si faccia Università. Il sindaco dice “che ipso vole mandare ad executione quanto la università li have ordinato et ey tenuto più presto obedire la università che li electi”.

F 123) 15 febbraio Si riuniscono gli eletti e “multi altri particulari citatini” nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato al sindaco di recarsi dal Capitano e pregarlo che per l’osservanza dei privilegi “non debia mandare in Napoli prisone uno nostro citatino nomine Stefano Cafaro per che la università haveria scripto alo S. regente in suo favore per observacione de dicti privilegii”. [Ai nomi degli eletti, Teseo Longo, Bartolo Casaburi, not. Tommaso della Corte, Carolo Capova e Andrea de Perrello segue: “et multi cives in numero copioso”]. 143


Messer Galieno de Anna si è offerto di intercedere presso il re d’Aragona 32 per alcune grazie e per l’osservanza dei privilegi, se l’Università gliene desse incarico. Gli eletti hanno ordinato al sindaco di far bandire l’Università per “domani matino che seria lunedi” 16 del presente mese “adzo universalemente se habia ad concludere et ordenare quello sia lo beneficio de dicta cita”. F 123 v) I soprascritti eletti hanno “vista una carta de Zabacto hostolano dove so annotate certe partite de robbe” da lui date a certi Spagnoli “che so passati con patente delo Ill.mo S. Gran Capitano” e ai quali ha dato stanza, strame e letto: i prezzi sono indicati. Gli eletti ordinano al sindaco di pagargli tari 11.

16 febbraio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza “Regii Capitanei” Amelio Severini. Sono giunte lettere da Napoli dal giudice Ursino de Anna e da Philippo Costa, che comunicano l’offerta di Galieno de Anna di recarsi in Spagna presso il Re per intercedere “per lo beneficio universale quando la università deliberasse mandarence per alcune gracie et per la confermatione de soy privilegii”. L’Università elegge “li subscripti homini ad intendere, discutere et considerare tale causa et discotendo et considerando essere la meglior parte mandare, habiano ad reassumere li nostri privilegii, et depo formare alcuni altri capitoli ad loro visa concernenteno alcune gracie loro pare a demandare per lo beneficio de dicta cita et quelli formati referire ala università adzo pocza la università deliberare quello li pare sia lo suo beneficio et li electi sono questi: Theseo Longo, Geronimo Casaburi, Modesto dela Corte, messer Michele de Anna, Bartholo Casaburi, Ferrante Quaranta, not. Basile Pisapia, not. Thomasi dela Corte, Carolo Capova, Pirro Loisi Quaranta, Simonecto de Vitale, ita che la mayore parte de loro poczano et voglano provedere fare et exeguire tucto Ilo predicto” ed anche circa i rapporti tra i monaci di S. Maria del Gesù e i preti della città, affinché si possa mettere tra loro “pace, ordene et concordia ita che omne uno habia ad gaudere Ilo suo”. F 124) Alcuni cittadini furono “despegnati” da messer Francesco de Ariano, una volta vicario della città e “li pigni depo lo suo officio Ile donao ala università et so dicti pigni venuti in potere de citatini de dicta cita”, perciò l’Università rimette agli eletti, o alla maggior parte di essi, di “vedere” i pegni, “de chi foro et che omne uno habia Ilo suo”.

32 Sia qui che nel verbale in data 26 febbraio la parola Spagna è stata cancellata e sostituita con Aragona.

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Si rimette agli eletti ordinari o alla maggior parte di essi di valutare il danno richiesto da Martuczello “Taglaferro”, Avanczillo Casaburi, Antonio Vertulocto, Macteo Casaburi e Biase Caliri, “che Ilo habiano ad intendere et faczano el debito”, in modo che “più presto sia gravata la università”. Si promette fin d’ora che sarà considerato “grato et fermo” ciò che da loro sarà fatto. Il tesoriere generale del regno ha inviato una lettera, secondo cui la città deve pagare esclusivamente a lui i pagamenti fiscali, “che altramente” avrebbe pagato “doe fiate”. L’Università dice che tale lettera si confà molto bene “per cautela de ipsa università per che vene in favore de nostri privilegii”.

26 febbraio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” con licenza del R. Capitano, “more solito". Il Gran Capitano ha fatto sapere all’ Università che vuole andare e “conferirese ala regale presencia delo Captolico Sire de Aragona” e che fino al suo ritorno “in loco suo” resta d. Antonio de Cordona33, perciò l’Università delibera che debbano recarsi dal Gran Capitano Pirroloise Quaranta. Jo. Baptista Longo e messer Modesto dela Corte e ringraziarlo “per dulce et bone parole de bono amore che ha portato et porta” e supplicarlo di ordinare al suo luogotenente, prima di partire, che “voglia havere in commendatone dicta università et quella respectare secondo ha soluto fare sua Ill.ma S. et quando serra avante ad quella regale corona de dicto S. re nostro” degnarsi di raccomandare l’Università e l’esecuzione di alcuni capitoli e grazie che l’Università intende chiedergli per mezzo di Galieno de Anna. Poiché l’Università intende mandare dicti capitoli et grazie ad ademandare ad dicto Captolico S. Re" per mezze di Galieno de Anna e “per che dicti capitoli non so del tucto adjustati et moderati". l'Università ordina agli eletti che già altra volta furono “sopra de czo ordenati" di rivederli “bene appontare et limitare” e “quelli appuntati et limitati” entro oggi, ordina “ad me cancellerò” di andare a Napoli a portarli a messer Galieno, dichiarandogli che è intenzione dell’università chiedere al Re le grazie contenute in quei capitoli e per sentire anche il suo parere; “depo sende retarne et referisca ala università o vero ali electi predicò adzo se pocza provedere alo besogno”. Poiché l’Università “delibera fare alcuna demostratione de segno de amore” al Gran Capitano prima che parta “et arda in Spagna”, ordina al cancelliere di consultare messer

33 II viaggio di Consalvo di Cordova fu rimandato. Ferdinando il Cattolico partì alla volta dell’Italia il 4 settembre 1506 ed il Gran Capitano lasciò Napoli per incontrarlo su suolo italiano, designando suo luogotenente Antonio di Cardona (“Il Gran Capitano avuto il certo avviso che Sua Maestà era partito verso l’Italia, desideroso incontrarlo per viaggio, lasciò luogotenente in Napoli D. Antonio di Cardona, marchese della Padula”: G. A. SUMMONTE, Historia della città e regno di Napoli, 3. ed., t. V, Napoli, Gessari, 1749, p. 90).

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Galieno “che pareria ad Sua S. che dicta università potesse donare ad dicto Ill.mo S. che li fosse grato”. F 125) Da messer Galieno si dovrà sapere anche che quantità di denari bisogna portare in Spagna “per lo spaczo de dicti capitoli e gracie” e, potendosi sapere dagli eletti che mandò la città di Napoli in Spagna, se c’è qualche privilegio al riguardo. Il cancelliere dovrà riferire all’università su tutto ciò. “Die dominico primo die mensis martii VIIII Indictione”. [Questa scritta figura isolata al centro della pagina, ma non è seguita da un verbale: separato da uno spazio equivalente a due righi, segue il verbale della riunione del 2 marzo].

2 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem more solito” con licenza del R. Capitano. Essendo ritornato il cancelliere da Napoli ed avendo riferito il parere di messer Galieno de Anna sui capitoli che si vogliono mandare in Spagna, l’Università ordina che tutti i capitoli “che so facti se mectano in bona forma” e siano tutti portati per Galieno. Ai capitoli se ne devono aggiungere altri due, di cercare “che se pocza fare lo mercato in dicta cita” e di supplicare che il Re voglia affidare secondo giustizia “lo Castello de lo abbate”, che in passato fu del sacro monastero. L’Università ha saputo che Alessandro de Costanzo di Napoli ha chiesto per sé il governo della città, il che va contro i privilegi. Ordina perciò agli eletti di recarsi a Napoli a parlare con il Gran Capitano per sapere se il de Costanzo ha ottenuto la capitania e “sy ey vero delo goberno, Ilo faczano intendere [al Gran Capitano] che dicta università non intende ne delibera acceptarelo per non venire ad derogare ali nostri privilegii et supplicare quello vogla provedere de officiale per lo anno da venire”. F 125 v) Sono arrivate lettere dalla Gran Corte della Vicaria che ingiungono al Capitano della città di mandare “Ila” Stefano Cafaro, da lui tenuto prigioniero “per lo cunto de una certa dopna, che pretende uno spagnolo essereli stata fortata con certe robe”. Il Capitano dice di non poter far altro che obbedire alla Gran Corte; l’Università ordina “a dicti sindici” di presentarsi in Vicaria “avante lo regente-judice” e fare tutto il possibile per far rimettere “a qua” il processo, per l’osservanza dei privilegi della città. Ai “sindici” incaricati di andare a Napoli il sindaco deve dare 25 ducati di carlini, da portare a Galieno de Anna per la “expeditione de certi capitoli quali Sua S. porta in Spagna da parte de dicta università”.

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Il sindaco faccia intendere al portolano “che circha lo facto deli pisi de carlini, ducati et altre monete non sence habia ad impaczare”, perché di solito non se ne era mai occupato il portolano in questa città, per non pregiudicare alle sue immunità. E invece compito del sindaco far controllare i pesi e farli “adjustare”, in modo che “tucte monete se habiano ad trovare juste” e non accada che “allo presente in dicta cita siano multi pisi et dove Ile monete se trovano juste et dove no”. F 126) 8 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” “more solito” con licenza del R. Capitano Amelio Severini. Il sindaco universale Solimanno dela Corte “propone Ile subscripte cause”. Si dice che il Capitano abbia un assessore cittadino, il che “vene in derogatione de dicta cita et soe immonita”. L’Università ha decretato che l’assessore e consultore del Capitano debba essere forestiero e non cittadino, “ipso capitano presente et acceptante”. “Item quanto alo facto deli privilegii de dicta cita quali se hanno da mandare in Spagna per la confermatione de quelli zo e lo privilegio dela carta biancha de re Ferrante primo et lo privilegio da ipso S. Re sua sponte facto ad questa cita, lo privilegio de re Federico et lo privilegio dela regina Ioanna34 dove ne da facolta possere usare et fare rebellione quando non ce tenesse in demanio et volessene dare ad baroni et li capitoli che novamente se hanno da mandare per la confermatione de dicti privilegii et per alcune altre gracie che de novo vole demandare dicta cita”, l’Università dà incarico a Modesto dela Corte e Michele de Anna di ordinare la cautela; “secondo serra necessario, che habiano Ila fare fede”. F 126 v) Ha ordinato agli eletti che “faczano intendere alo abbate” che voglia provvedere “de mastro de acti foristero ala audencia et questo per non derogare ali privilegii et capitoli de dicta cita” e ancora “iusta lo tenore de dicti capitoli, voglia tenere la corte dela audencia alo Comercio”. Ha ordinato agli eletti che provvedano a far riscuotere duc. 36 “più o meno” che si devono all’università dalla erede di Andrea Tipaldo e suoi “pregi”, facendomela spesa necessaria. Si mandino a Galieno de Anna duc. 25, necessari per la spedizione dei capitoli in Spagna. Siano “facti boni” al sindaco carlini 10 e mezzo dati “ad me notare Antonino” per le spese e cavalcatura quando “andai in Napoli ad parlare con messer Galieno predicto delo facto deli capitoli se voleno mandare in Spagna, et per informarese in Napoli li denari erano necessarii per lo spaczo de dicti capitoli”. 34 S. MILANO, Un diploma inedito di Giovanna II ali Università de la Cava (1432), in «Rassegna Storica Salernitana», N.S., n. 26, 1996 n. 2 (dicembre), pp. 229-238.

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Quanto al fatto dei 100 ducati che si dice abbia guadagnato l’Università “de certi grani” comprati al tempo dell’ultima carestia, e che dovrebbero avere il Governatore Sabater e “certi nostri citatini”, l’Università ordina agli eletti di informarsi “multo bene” e dopo “referire quello che con verità trovano”. L’Università rimette agli eletti ,”che provedano alo besogno dela università che non perda Ilo suo”, la questione della casa e del terreno tenuti da messer Jo. de Anna e “la arteglaria”.

F 127) 13 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “more solito ad banni emissionem”. Sono giunti “certe lictere” da Jo. Baptista Longo, Pirroloise Quaranta e Modesto dela Corte, i quali fanno sapere che messer Galieno ha “accennato” che vorrebbe 100 ducati. L’Università decide di scrivergli una lettera “che se vogla degnare” di farlo “per questa sua patria” e al suo ritorno, che Dio “lo facza essere sano et salvo”, “la università li usarra tale gratitudine che Sua S. restarra contenta et satisfatta”, “con multe parole bone et grate adzo se mova ad fare lo besogno de dicta università”. Si scriva anche un’altra lettera “ali ditti sindici”, invitandoli a pregare messer Galieno “che vogla usare questa benignità” all’università e che eseguano quanto fu loro imposto dall’università stessa secondo il memoriale. Tali lettere si devono mandare “per misso apposta”, al quale il sindaco deve dare 3 carlini.

15 marzo Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato che si debba scrivere al padre abate pregandolo di scrivere a sua volta una lettera alla Gran Corte della Vicaria, in cui dichiari che “se contenta” di una causa intentata da lui contro alcuni cittadini che resistettero nel non far prendere le [.?..] da S. Maria del Gesù che spettavano invece al Sacro Monastero ed erano state prese per il vescovo di Massa. Dica inoltre che la causa va rimessa “alo ordinario de questa cita” per non derogare ai privilegi. Il sindaco, al quale va fatta una credenziale, dovrà portare egli stesso la lettera all’abate, per potergli dire “alcune bone parole”.

17 marzo Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Carolo de luglio. Hanno decretato, per il potere a loro dato dall’università, che il sindaco insieme 148


al not. Thomase dela Corte debba andare da messer Joanne de Anna, “alo quale faczano intendere bonamente che vogla restituire et dare la casa dela università, adzo sence pocza conservare la artigiana et che se veda lo inventario de la monitione fo in dicta casa”; se si troverà “alcuna cosa mancho”, dovrà essere pagata. Quanto al terreno che messer Joanne ha chiuso “che sta vicino Ile mura dela terra” e che l’Università dice essere il suo, il sindaco e not. Thomasi devono dire a messer Joanne di “redducere ad pristinum statum” detto terreno e levare la chiusa; successivamente si dovrà vedere di chi è il terreno “et la justitia habia lo loco suo”. I due incaricati dovranno riferire agli eletti o all’Università la risposta di messer Joanne. Quanto “alo interesse demandano Martuczello Taglaferro, Avanczello Casaburi, Antonio Vertulocto e Macteo Casaburi”, hanno decretato che, siccome consta legittimamente che alcuni di loro “con loro muli havereno perdute alcune jomate per causa dela università”, a quelli “che hanno perdute Ile jomate con loro bestie” si devono pagare grana 15 al giorno per le giornate perdute, a quelli “che solum ey perduto tempo la bestia” si paghino per ogni giornata persa grana 7 e mezzo, “non havendo ragione de altri interessi per che Ile facoltate dela università non bastariano et cossi se facza ad Biase Calire”. F 128) Il sindaco deve pagare a messer Michele de Anna e a messer Ioanne Gaglardo “per certe facende et ragiune et altre scriptum” fatte per la Università “li tempi passati fi ad questo di”, carlini tre per uno. Not. Carolo de luglio, Geronimo Iuvene e il cancelliere hanno copiato i capitoli e i privilegi della città per mandarli in Spagna. Il sindaco deve pagarli con 11 carlini “dividendos infra eos ad eorum libitum”. Hanno decretato che si paghino a Geronimo Casaburi, per aver visto “multi vari et diversi cunti” di sindaci e amministratori, facendo le significatorie di quello che devono all’università, ducati 10 “per soy affanni quali in verità so stati assay” e per gli “affanni” di not. Thomase dela Corte, “zo e con li primi electi ad vedere lo cunto delo sindico passato et non fecero mente”34 si paghino carlini 20. Hanno ordinato “che se habiano a vendere li pigni lassao messer Francesco de Ariano olim vicario de dicta cita ali loro patruni per meczo de not. Carolo de Juglio”. “Nomina electorum: Theseo Longo, Bartholo Casaburi, Carolo Capova, Simonecto de Vitale, Zopto Iovene, not. Carolo de luglio, Ioanne Catoczo, not. Thomasi dela Corte, Ioanne de Mauro”. Lo stesso giorno Si riuniscono nella chiesa di S. Giacomo i sopraddetti eletti e “multi altri citatini de dicta cita in bono numero”. 34 Aggiunta della stessa mano ma con altro inchiostro: forse si tratta di una precisazione di poco posteriore.

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F l28 v) Essendo ritornati gli eletti mandati a Napoli per la questione dei capitoli da mandare in Spagna “et per altre cose come sopra se dimostra”, cioè Pirro Loise Quaranta, Jo. Baptista Longo e messer Modesto dela Corte, ed avendo essi riferito “Ilo exequito per loro con messere Galieno de Anna dove non ce e lo facto dela università secondo quello havia proposto” si decide che “deczo se facza item università”. Detti “sindici” hanno presentato una lettera di credenza data loro da parte del reggente della Gran Corte della Vicaria, indirizzata al sindaco e agli eletti. In essa è detto che il Gran Capitano gli aveva ordinato alcune cose, di cui “a bocca” ha riferito a Pirro Loise Quaranta e compagni. L’Università dovrà eseguire quanto da costoro sarà riferito. La lettera è datata 14 marzo 1506. “Intesa” questa lettera di credenza dagli eletti, i “sindici” riferiscono da parte del reggente che questi voleva tutte le scritture dei sindaci e cancellieri della città “dala intrata deli Spagnoli in Napoli fi ad questo di, parlanteno de alcuno donativo havesse facto la università ad messere Joanne Baptista Spenello”; voleva inoltre che si recassero a Napoli messer Andrea Longo e messer Geronimo Casaburi “ad examinarenose sopra deczo”. Gli eletti e gli altri hanno decretato che si dia esecuzione a quanto “per dicto S. Regente se ordena et comanda”. Si decide di intervenire in favore dei cittadini citati in Vicaria su istanza dell’abate. F 129) 22 marzo Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, “more solito” con licenza del R. Capitano. In primo luogo sul fatto della casa dell’università tenuta dal giudice Joanne de Anna, e dell’orto, limitrofo alla terra e alle case di detto messer Joanne, dal momento che questi sostiene essere suoi sia il terreno che la casa e ne mostra le scritture, e che “prega la università lo facza essere degno de justitia appresso de ipsa”, l’Università elegge alcuni cittadini a vedere queste scritture “et se se trova la casa et lo terreno essere dela università bene”, saranno dell’università; in caso contrario, saranno di messer Joanne. Viste le scritture, dovranno prima riferirne all’università. Gli eletti sono Modesto dela Corte, Pirro Loise Quaranta e not. Carolo de luglio. Quanto all’obbligare il padre abate a far tenere “l’audiencia alo Comercio”, si vedano i privilegi della città e su quelli “se habia sano et maturo consiglio”. Se, in virtù dei privilegi, si può costringere l’abate a tenere udienza alo Comercio “se costringa”; in caso contrario, non si faccia. “Item allo facto dello mandare in Spagna la università ordena che per mo se habia ad supersedere maxime per intendere lo Ill.mo S. Gran Capitano non essere per partire de

35 Consalvo di Cordova lasciò Napoli 1’ 11 giugno 1507.

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F 129 v) Il sindaco deve pagare Pirro Loise Quaranta, Modesto dela Corte e Jo. Baptista Longo, alla ragione di 4 carlini al giorno per i sette giorni che sono stati a Napoli per parlare al Gran Capitano e a messer Galieno de Anna e per altre faccende dell’Università. Si scriva una lettera al Reggente della Gran Corte della Vicaria, informandolo che “domani” saranno alla sua presenza Andrea Longo e Geronimo Casaburi con le copie delle scritture. L’Università vuole che le spese siano loro rimborsate “per che Ilo andare loro tocca la università”. Quanto al “fatto de Martuczello”, l’Università vuole che sia pagato come furono pagati gli altri “che foro detenuti ad Salerno et ad Santo Severino dove fo ipso ancora detenuto per quelli di che foro ipso et soy muli prisone”, cioè grana 15 al giorno “dove stecte lo mulo con lo homino et dove ey stato lo mulo sulo ad grana septe et meczo lo di”, secondo un precedente decreto fatto dagli eletti. Il fatto di Antonio Vertulocto si rimette agli eletti ordinari o alla maggior parte di loro. Consta all’università che Carolo Capova “have posto cunto et satisfacto tucto quello se devea” per il periodo in cui era stato sindaco. Il sindaco deve quindi regolarizzare le scritture [“cassare li contracti”]. F 130) All’Università consta che Antonio Vertulocto, una volta gabelloto della farina, e Cola de Arminando. una volta gabelloto “dello fundico dello sale” “havereno integramente satisfacto et pagato tucto quello che per causa de dicte gabelle erano tenuti”. L’Università ordina al sindaco che voglia “far rompere li contracti sive instrumenti appare no de dicte gabelle”. Molti cittadini dicono di aver visto in passato i conti di “sindici” o di altri amministratori , “et altri hanno con loro faticato”. Poiché sono stati pagati alcuni per aver visto simili conti, "cercano loro medesimo essereno pagati et remonerati corno li altri, adzo la balancza vaya justa”. L’Università “vole che siano remonerati justa lo arbitrio et parere deli electi ordenarii o dela mayore parte de loro” F 130 v) Quanto al fatto delle montagne, il notaio Carolo de luglio deve recarsi a Napoli per ottenere una “inhibitoria” contro il vicario di questa città, “adzo non pocza procedere centra quelli particulari che so in corte per causa delo uso delle montagne”; deve inoltre consigliarsi con Pierro Pisanello, avvocato dell’università, o con altro avvocato e si dovrà eseguire ciò che risulterà dal consulto con gli avvocati. Il notaio de Juglio riceverà 4 carlini al giorno; agli avvocati vengono mandati due ducati; si deve fare una lettera di credenza in persona di detto notaio agli avvocati. 151


30 marzo Si riunisce l’Università “ad banni emissionem” “more solito”, con licenza Capitano. Essendo ritornato da Napoli il notaio Carolo de luglio, “mandato per lo facto delo dele montagne del che so molestati certi particulari citatini dali portolani” e avendo l’Università “intiso la consulta” di messer Pirro Pisanello, avvocato dell’università, e ini sua lettera, l’Università ha decretato che per l’uso delle montagne essa deve far confermare la sua posizione “secondo ey stato per lo passato et in quella se manutenere et continuare” e, poiché da parte W dicti particulari ey stato appellato alo Consiglio” e il vicari . stato “inhibito” dal Sacro Consiglio, l’Università ordina al sindaco di prendere una copti degli atti di questa causa e mandarla in Consiglio e al commissario “de dicta causa" e “vole che tanto dicti citatini quanto altri che sopra dicto uso fosse molestati per lo abbate et monaci de dicto sacro monasterio siano universalemente defensati et agiutati”. Ha ordinato “che se concza la via de Veteri comenczando dalo burgo abassio dove ey necessario”, secondo il parere degli eletti ordinari che si trovano al borgo “ita che quelli poczano chiamare altri particulari citatini alo effecto predicto adzo dicta via se acconcza”. F 131) [Questo foglio, recto e verso, è pieno di cancellature, sovrascritte, note marginali].

17 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno considerato il decreto fatto dall’università “o vero per li electi” “che se potessero admaczare Ile bestie se trovarano per la portione appatronate”, dal che potranno nascere “multi scandali et incannementi”; gli eletti hanno perciò ordinato di proporre “in università che tale decreto se debia guastare et rompere”, ed essi stessi lo revocano. Poiché non è giusto che alcuni cittadini debbano subire dei danni senza essere risarciti, si decreta che i padroni delle “bestie bovine” che si trovassero nella “porzione” di detti cittadini dove sono arbusti, nocelieti, orti, selve, uliveti, debbono pagare al padrone della terra grana 10 per bestia “overo lo dapno ad eledone delo patrone”; viene poi disciplinato tale rapporto anche per chi possiede porci o per i gabelloti che tengono delle bestie “per uso de loro gabella”. Chi fa un danno è tenuto a pagare o a dare un pegno, nel caso non potesse pagare, nel termine di 3 giorni, altrimenti sarà accusato davanti al vicario, il quale potrà esigere come pena un massimo di grana 10. Se il “dopnificato" non è contento può mandare un suo uomo, e l’altro potrà mandare un suo rappresentante a stimare il danno. 152


“Item perche multe fiate li operarii soleno promectere ali dicti citatini de andarelo ad agiutare per quale che exercitio per lo tale di et gabano et no ce andano et alcuna volta quelli che lloro conduceno non le pagano la sera”, ad evitare danni da una parte e dall’altra gli eletti hanno decretato che dagli operai che non si presentassero il giorno stabilito, “quello che ey stato gabato” la mattina seguente possa esigere “lo soldo che devesse havere lo operario”. Il datore di lavoro è da parte sua tenuto a pagare gli operai la sera e l’operaio ha il diritto di essere pagato, ricorrendo al vicario e producendo un testimone o, in mancanza, dietro suo giuramento, sempre che non ci sia stato un giusto impedimento. Ad istanza del clero della città “ey venuta una citatione da Roma” contro l’Università, per il fatto delle franchigie che i preti pretendono di avere. Gli eletti hanno decretato che per questo si debba bandire l’Università “per domeneca po magnare et seli facza intendere”. Quanto al fatto della casa e del terreno tenuti da Joanne de Anna, “Piero Luise” Quaranta e Modesto dela Corte devono riferire all’università quello che hanno fatto. Circa “lo acconczare delle vie”, che dall’università era stato rimesso agli eletti, questi ordinano “capo mastro ad fare conczare dicte vie” mastro Ambrosi Quaranta, al quale stabiliscono di dare 15 grana al giorno per le spese dal giorno in cui cominceranno i lavori; un giusto salario sarà dato "ad li mastri che seranno portati per ipso”.

F 132 v) 19 aprile Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem per loca solita”, con licenza del R. Capitano. Il sindaco "propone*" molte cose e soprattutto certi decreti fatti dagli eletti “sopra lo dapno dato lo ingannare fanno li operarii et Ilo non pagare la sera Ile opere” e ancora la citazione venuta da Rema ad istanza del clero. L’Università ha decretato quanto segue. I preti devono essere franchi, liberi e immuni dalle gabelle; su questo ci sono da fare delle considerazioni affinché l’Università non sia lesa e i preti abbiano lo “actento loro”. Ordina perciò a Michele de Anna. Pirro Loise Quaranta, Jacobo Mangrella, Modesto dela Corte " et Jeanne Gaglardo” "che voglano premeditare et considerare che consideratiune [...] sence potesse fare per lo beneficio de dicta cita”. I preti o i loro procuratori potranno partecipare. Ciò che sarà fatto in proposito dagli eletti, già da ora lo ratifica, omologa ed accetta. F 133) Quante "alo facto deli decreti delo dapno et gabare”, poiché il decreto parla di danni “allo coltivato"" e non in altri luoghi sterili, boschi, castagneti e montagne, 153


l’università ordina agli eletti di rivedere i decreti ed emendarli; tali emendamenti fin d’ora l’Università li ratifica, omologa ed accetta. Quanto al fatto “dello recuperare la casa et terreno dela università da messer Ioanne de Anna”, l’Università conferma gli eletti incaricati di ciò, con la potestà di fare quanto ritenuto da essi opportuno. Il sindaco dovrà eseguire le loro disposizioni e l’Università ratifica, omologa e accetta il loro operato. F 133 v) Augustino Cantarello chiede tari 8 da lui pagati “per causa dela università de pena”, cioè carlini 11 al vicario e il resto “per una certa bancha”. L’Università “vole che fando costare dicto Angustino havere pagati dicti denari per causa de dicta università ordena allo sindico che ncelle refacza et paghe ordenando alo cancellero pigia la informatione”. Michele de Anna,» Modesto dela Corte, Joanne Gallardo, Pirro Loise Quaranta e Antonino Gallardo chiedono un salario per vari lavori da loro svolti per l’Università. Questa rimette la cosa agli eletti, il sindaco potrà “congregare” tutti, affinché gli eletti possano sentire la loro richiesta e valutare un giusto salario “adzo una altra volta et quando accascara de migliore animo possano intervenire per Ile cose universale”. Ciò che sarà fatto dagli eletti e pagato dal sindaco, l’Università fin d’ora lo ratifica, omologa e accetta, “et cossi ancora remecte ad dicti electi lo facto de Zabacto, modo et forma ut supra”. Quanto al fatto di Paulo Castaldo, che secondo l’Università deve 4 ducati per residuo dell’amministrazione del suo sindacato mentre egli sostiene essergli stati “decretati per “provisione” si decide di soprassedere “per mo”.

F 134) 20 aprile Sono comparsi presso la cancelleria Theseo Longo e Carolo Capova, chiedendo espressamente al cancelliere di scrivere “in puplico libro cancellane” che essi “requedeno, monisceno et interpellano” il sindaco Solimanno della Corte affinché circa la questione dell’uso delle montagne “per lo quale so molestati alcuni particulari citatini, nce debia fare et usare tucta quella delegentia et sollecitudine che se recercha”, secondo i decreti fatti in passato dall’università, faccia fare la copia del processo e la mandi a Napoli in Consiglio e mandi detto processo “per quello che porta li denari delo terczo de Pasca o per altro”, ed invii anche denaro al procuratore “che sollicita tale causa” e in ogni cosa usi la dovuta diligenza. Lo stesso giorno. Intimata la soprascritta registrazione al sindaco dal cancelliere, il sindaco rispose che gli eletti “li ordenano quello che have da exeguire et fare sopra deczo” e che egli è 154


“promptissimo et paratissimo fare et exeguire tanto quanto loro li ordenano” e i decreti fatti su questo dall’Università.

F 134 v) 21 aprile Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Hanno ordinato che il cancelliere, not. Antonino Gaglardo, debba andare a Napoli a portare alla Regia Corte i denari dovuti dall’università , consegnarli al Regio Tesoriere Generale “et non ad altra persona” ed ottenerne “polisa de recepto”; inoltre, poiché messer Michele de Aflicto “ha facto intendere ala università che li piacerla intendere quando dicti denari se pagano”, pregando l’Università di farglielo sapere, ordinano al cancelliere “che lassa li denari in potere de quale che citatino nostro in Napoli et conferiscase ala presencia de dicto messer Michele et dicali corno e venuto ad fareli intendere corno se voleno pagare li denari”. Se messer Michele consigliasse di non pagare al tesoriere “per niente habia da far altro che pagare dicti denari alo dicto thesaurero”, anche se gli fosse comandato da “quale se vogla” signore, per osservanza dei privilegi. Come salario, il cancelliere riceverà “quello che se sole dare alo sindico”, cioè 3 carlini al giorno. Il cancelliere deve portare la copia del processo per l’uso delle montagne con la “inhibitoria” al mastrodatti del Consiglio. Deve portare un ducato all’avvocato e al procuratore, dividerlo fra loro “corno li pare” e sollecitarli a procedere nella causa. Decidono di dare carlini 15, per le fatiche poste nel preparare gli articoli e le eccezioni della causa fra i monaci del monastero e l’Università, a Michele de Anna, Joanne Gaglardo e not. Antonino Gaglardo. Nei giorni scorsi gli eletti avevano decretato di dare a Zabacto carlini 22 “per certe robbe decte ad certi Spagnoli et perche se sentio gravato de tale decreto per causa che piu devea conseguire”, hanno ordinato di pagargli carlini 27.

F 135) 7 maggio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” “more solito”, con licenza del R. Capitano. In città era giunto un commissario della R. Camera della Sommaria per prendere informazione sulla gabella del sale tenuta dalla città; l’Università “have decretato che se lo dicto commissario vole pigiare deczo informatione et examinare alcuni citatini, che la pigia ad piacere suo et che examina, et facza quello vole”. 155


Il fatto che nella città non si vendono le gabelle può portare un danno sia alla R. Corte che all’università non potendo far fronte ai pagamenti fiscali, perciò, quando “dicto commissario procedesse piu ultra”, l’Università ordina che Joanne Gaglardo e Hectorro Cafaro debbano andare a Napoli a consultare l’avvocato dell’università, Pirro Pisanello, e fare intendere alla R. Camera della Sommaria le ragioni dell’università stessa, confermate anche dal Gran Capitano, sul modo di pagare le gabelle. F 135 v) Se “per aventura” il commissario richiedesse una copia dei capitoli di detta gabella, ordina che gli si debba dare. Ordina ai predetti “sindici” che trovandosi a Napoli per la causa predetta, vogliano presentarsi in Vicaria e parlare con il Reggente per la remissione della causa fatta ad Andrea Mangrella e Fioravante Troise, “non prejudicando ad ipsa università, che potesse dire altro citatino mandarse per me corno per quelli”, perché se i “sindici” non si fossero trovati a Napoli, si sarebbero mandate solo lettere di favore per la remissione della causa, per l’osservanza dei privilegi. Ha ordinato al not. Carolo de luglio di fare la procura a quei cittadini per cui è stato fatto appello al Sacro Consiglio sull’uso delle montagne e mandarla al procuratore Simonecto Sicardo “adzo se pocza procedere et farese quello la justitia vole”.

12 maggio Si riuniscono gli eletti nella curia del not. Carolo de luglio. Dal commissario della R. Camera della Sommaria “so stati comandati” gli eletti, il sindaco, il cancelliere e il gabelloto del sale, “sub pena mille ducatorum”, di presentarsi in Sommaria, e poiché gli eletti sono più di dieci, possono nominare una persona che esponga le ragioni dell’università. Gli eletti ordinano che a questo fine si faccia una procura al not. Basile [Pisapia]. Con lui dovrà andare Io. Salvo Cantarello, per esporre che, se si volesse “guastare” tale gabella, non si potrebbe far fronte ai pagamenti fiscali e non si farebbe “lo besogno” né della R. Corte né dell’università, che ha il privilegio di imporre questa gabella nella città “et fare tucto quello che el besogno Ilo recercarra”. Per beneficio universale, ordinano al sindaco di procurare due “bestie” per il commissario, una da cavalcare ed una per soma, “adzo sende pocza andare in Napoli et portare certe cose soe”; il sindaco deve anche dirgli “che facza bona opera per nui che non li serremo ingrati”. “Nomina electorum36 Theseo Longo, Zopto Iovene, Ioanne Catoczo, not. Thomasi dela Corte, Solimanno sindico, Ferrante Quaranta, Bartholo Casaburi, Carolo Capova,

36 Si riportano perché tra essi, caso raro, sono inseriti il sindaco, il cancelliere e un gabelliere.

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not. Basile Pisapia, not. Carolo de luglio, Jodice Joanne Gallardo per messer Joanne de Anna, not. Antonino Gallardo cancellerò, Jo. Macteo de Vitale stato corno gabelloto”.

20 maggio Si riuniscono gli eletti37, nella chiesa di S. Giacomo avendo sentito la relazione di Jo. Salvo su quanto era stato fatto in Napoli da lui stesso e dal not. Basile sulla questione della gabella del sale, hanno decretato che si scriva una lettera al not. Basile “che sopra deczo stea adtento et non parta fi ad tanto che sence debia dare bono fine”. F 136 v) “Item hanno decretato che se paghe ad Geronimo Juvene carlini cincho per le fatiche soe che ha facte in andare fare bandendo li capitoli facti per la università deli dapni dati et dello gabare delle opere per tucti li casali dela Cava et ad Cetara, ad Veteri et ad Santo Agiutore dove vacao dui di”.

21 maggio Si riunisce L’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem” “more solito”, con licenza del R. Capitano. Per evitare inquietudini rese possibili da un decreto fatto in passato che si potessero ammazzare le bestie che facessero danno nei terreni dei cittadini di questa città, l’Università “cassao” questo decreto e fece “certi altri capitoli” su tali danni e “sopra lo gabo faceano li operarii”; essendo stati banditi questi capitoli per la città, il priore del sacro monastero della Santa Trinità ha fatto all’università “una certa monicione”, per via di privilegi e bolle del monastero. L’Università ha decretato che “actento che ipsa università non penso may fare tali capitoli per fare prejudicio ne prejudicare ala liberta et jurisdicione dela portolania de dicto sacro monasterio”, vuole “intendere se tali capitoli Ile ha possuti fare de justitia, bene”; in caso negativo “se havera pensiero et farra quello, che debitamente deve fare”. F 137) A tale effetto incarica Pirro Loise Quaranta di andare a Napoli e portare “lo caso scripto et posto in carta per messer Michele de Anna e messer Modesto dela Corte delle ragiuni de dicta università”, i capitoli e la “monicione” fatta dal priore, per avere un consulto con messer Alesandro Severino e messer Pirro Pisanello e portare tale consulto, sottoscritto di loro propria mano, se tali capitoli “la università Ile ha possuti fare de justitia o no, adzo pocza fare quello che debitamente se deve fare”.

37 Soltanto sei.

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Ha ordinato al sindaco di andare con Ferrante Quaranta dal priore e “ad quello parli re bonamente che la università may pensao fare tali capituli per fare prejudicio allo sacro monastero ne alle soe jurisdictioni”, ma solo per ovviare agli inconvenienti eri poteva causare il decreto “delo ammaczare delle bestie” e che l’Università ha decreta: di avere “bono consiglio et non fare quello che de justitia non po”; essi dovranno pregarlo inoltre di soprassedere all’ammonizione fino al ritorno del “sindaco mandato palo consiglio, o vero consulta de tale causa et ala tornata sua se li farra resposta resoluta Il salario “deli consutiuri” e di Pirro Loise viene rimesso agli eletti ordinari. F 137 v) Messer Michele e messer Modesto devono fare una “petitione appellatoria e: gravatoria” dell’intimazione del priore e se il priore non vorrà acconsentire a soprassedere fino al ritorno di Pino Loise, questi dovrà presentare questa petizione.

22 maggio Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Siano “facti boni” al sindaco i denari pagati e da pagarsi “per le cause subscripte”. A Pirro Antonio Longo tari 4 pagatigli per mano di not. Basile Pisapia, perché era andato con lui a Napoli per intervenire in favore della causa “delo fundico dello sale” in Sommaria, “licet ipso non fosse stato mandato ordinarie da dicta cita”. Al not. Basile Pisapia tari 14 per essere stato 7 giorni a Napoli per la causa predetta; devono essergli rimborsate tutte le spese per le scritture presentate in Sommaria. A Jo. Salvo 10 tari per essere stato 5 giorni a Napoli col not. Basile per la causa predetta. Al cancelliere not. Antonino per aver autenticato copia dei capitoli di tutte le gabelle della città, per la copia del contratto fatto quando Joanne de Anna prese la casa dell’università, e per una procura fatta ad istanza del sindaco e degli eletti in persona del not. Basile sul fatto del detto “fundico”, tarì 4. A Michele de Anna e Modesto dela Corte si paghino le loro fatiche per la petizione appellatoria da farsi “sopra la scomonica intende fare lo priore”, e per il lavoro di “mectere in carta” i capitoli per verificare se “de justitia” si possono fare o meno.

2 giugno Si riunisce l’Università per ordine degli eletti “ad banni emissionem”, con licenza del R. Capitano per molte cose, ma soprattutto sulla questione dei capitoli sui danni, essendo ritornato Pirro Loise Quaranta da Napoli, con il “consiglio” di Alessandro Severino e Pirro

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Pisanello, ha ordinato che detti capitoli si debbano osservare “eo modo et forma prout in dicto consiglio et voto se contene”. Ha ordinato a Modesto dela Corte, a Pirro Loise Quaranta e al sindaco di recarsi al monastero dal priore, don Marcho, per l’assenza dell’abate, ad informarlo “corno havimo havuto per consiglio, che havimo possuto fare per dicti capitoli” e che tale “voto” consigliato non va a derogare le giurisdizioni del monastero ed “altre bone parole”. F 138 v) L’Università rimette agli eletti ordinari di scrivere “per lo facto de lo fundico dello sale” a Michele de Aflicto, al “Thesaurero delo regno” e a Joanne Calcedona “fundichero generale”. Poiché ogni tre mesi si devono eleggere i grassieri e quelli in carica hanno terminato i loro tre mesi, l’Università elegge per grassieri, per la provincia di “Meteglano” Fioravante de Troise, per quella di Santo Adjutoro Pirro Loise Quaranta, per la provincia di Passiano Gasparro Sorrentino e per quella “de la Cava” not. Basile e in sua assenza Joanne Catoczo, con la solita potestà, in modo che la maggior parte di loro possa provvedere alla grassa. Siano “facti boni” al sindaco carlini 19 pagati a Pirro Pisanello e Alessandro Severino per il consiglio dato. Gli siano “facti boni” il salario dato a Pirro Loise Quaranta, di 4 carlini al giorno per 5 giorni che “ha vacato in Napoli per la causa predicta” e ancora 4 carlini pagati a Michele de Anna e Modesto dela Corte “per lo caso possero in carta, portato per dicto Pirro Loise ad Napoli ad haverese consiglio sopra lo facto de dicti capitoli”. Gli eletti “poczano provedere et deliberare quello domandano Avanczello Casaburi, Antonio Vertulocto et Macteo Casaburi ala università et ancora altre persune”.

F 139) 3 giugno Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Avendo Pirro Loise Quaranta riferito “quello che se parlao con lo priore”, ordinano che il sindaco faccia ben interpretare il “voto venuto da Napoli” “da li docturi et joristi de dicta cita” e con licenza del Capitano faccia bandire l’ Università “et che de zo sende facesse universitate piena ad zo che dicta università havesse intiso bene lo senso de dicto voto et depo facto quello che debitamente li parea fare”.

8 giugno Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo con licenza di d. Amelio Severini Regio Capitano, “ ad banni emissionem” 159


“havendo intesa la relatione de Pirroloise Quaranta et messer Modesto dela Corre delo patre priore supra lo facto de li capitoli delo dapno dato”, ha decretato che Joanne Gaglardo, Modesto dela Corte, Ferrante Quaranta e not. Basile Pisapia debbano andare dal priore, don Marcho, mostrargli i capitoli “et intendere da quello de quale se po gravare et referire ala università adzo pocza provedere alo besogno”.

F 139 v) 18 giugno Si riuniscono gli eletti nella chiesa di S. Giacomo. Circa “lo ordenando” fatto all’università da Avonczello Casaburi ed altri, il cancelliere deve prendere informazioni, dopo di che si provvederà secondo giustizia. I decreti fatti dall’Università sui denari promessi a “S. Sebastiano” e al passo di S. Arcangelo, “se sequiscano” e si faccia il dovuto [“el debito ita che se mande ad exequtione quello secondo la intentione dela università”]. Si esegua “lo acconczo dela strata maestra” per mano di mastro Ambrose Quaranta.

7 luglio Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Capitano. Certi guardiani della dogana di Napoli erano venuti in città, su commissione di Colanello Imperato, doganiere della dogana di Napoli, a sequestrare i caci dei mercanti della città e altre mercanzie che avevano sigillato nei magazzeni a Vietri, il che andava contro le libertà e immunità della città e contro la forma dei privilegi; inoltre era stato ordinato ad alcuni mercanti della città di presentarsi a Napoli. Intesa tale proposta, l’Università, considerando che tale “facenda” va contro le libertà e immunità della città e contro i privilegi, ha “pigiato” la causa e vuole che “universalmente dicta causa se habia ad favorire et adiutare”. Si scriva una lettera “in bona forma” a Colanello Imperato pregandolo “non ne voglia molestare ne pertorbare” le immunità e franchigie della città, “ne tentare rompere” i privilegi. Riceverà un documento “de credencza” il giudice Ursino de Anna, “bene informato de tale facto”. Se l’imperato desisterà, bene, altrimenti si faranno a spese “universali” tutte le debite ““provisioni””. Al giudice Ursino sia dato per le sue spese un ducato. Si facciano tre lettere di credenza in persona del giudice Ursino, una al Gran Capitano, una a messer Michele de Afflicto e l’altra al tesoriere, ordinando al giudice Ursino che “besognando nde parla con dicti segnuri de tale causa”. 160


10 agosto Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del R. Capitano Amelio Severini avendo esposto il sindaco che gli eletti, per stato e servizio delle Cattoliche Maestà e benefìcio universale della città avevano “certe ordinatiuni” da proporre all’università, che doveva esprimere il suo parere su cosa si dovesse “observare” e cosa no, l’Università elegge alcuni affinché insieme con gli eletti ordinari o con la maggior parte di tutti loro “Ile habiano ad revedere et premeditare multo bene et de po” riferirne all’università. Gli eletti sono Andrea Longo, Silvestro Longo, Michele de Anna, Pirro Loise Quaranta, Modesto dela Corte, Pirro Antonio Longo e Ioanne Gallardo. Si paghino a Macteo Costa tari 15 da lui dati nei giorni scorsi al commendator Sabater, ex ufficiale di questa città ed un’altra somma da lui versata a Pirro Pisanello e Nardo Andrea Fronda.

17 agosto Si riunisce l’Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, con licenza del Capitano ha decretato che i capitoli “novamente facti” sul modo di far fronte ai pagamenti fiscali, che si traggono dalle gabelle “et ancora da altre cose secondo so state annotate per me cancellerò” per ordine degli eletti ordinari ed altri “adiunti”, siano osservati e considerati “rati grati et firmi”. Vengono invece cancellati i capitoli fatti “dello dapno dato et dello gabare delle opere”. I sindaci che “pro tempore fuerunt in dicta cita” siano tenuti a portare i denari dei pagamenti fiscali a Napoli. II sindaco deve far scrivere tutti i capitoli che sono nei privilegi, circa i salari che si devono per gli atti che si fanno “in corte et ali mastri de acti” “in doe carte de coyro”: una si metta alla corte del vicario e l’altra alla corte del Capitano, in modo che si possa sapere quanto si deve pagare per ciascun atto che si fa “in corte”. F 141) Circa la vendita delle gabelle ordinarie, l’Università e gli eletti incaricano Michele de Anna, Pirro Loise Quaranta, Bartholo Casaburi, Theseo Longo, Modesto dela Corte, in modo che essi, o la maggior palle di loro, possano far bandire le gabelle della città per il detto anno e venderle al migliore offerente [“plus offerente”]. 161


28 agosto Gli eletti ordinari hanno ordinato al sindaco “che facza fare lumenarie per la bona nova hanno intesa dela felice venuta fa lo S. nostro et captolico re de Aragona in questo regno”; a tale effetto il sindaco paga per ordine degli eletti due coronate.

2 settembre Si riunisce l’ Università nella chiesa di S. Giacomo “ad banni emissionem”, “more solito”, con licenza di “Amelii Severini” regio Capitano. Essendo il tempo “che se deveno ruotare” il sindaco, il cancelliere e gli altri ufficiali, r Università elegge per sindaco Ioannocto Troise e per cancelliere il not. Thomasi dela Corte con la solita “provisione” e con l’obbligo di fare ed osservare tutto quello che l’Università “have ordinato per certi capitoli novamente per ipsa università facti”. Jannocto Troise deve dare “idonea et sufficiente pregiaria di bene fideliter et legaliter exercendum dictum officium”.

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INDICE DEI PRINCIPALI ARGOMENTI

Abbazia della SS. Trinità. 37, 39, 40, 46, 50, 51, 57, 63, 70, 73-77, 83, 84, 92, 125, 148, 155, 157-159 Abbazia della SS. Trinità - concessione di capitoli, 38, 41, 42 Abbazia della SS. Trinità - ufficiali nominati dall’abate, 38, 88, 122-124 Abbazia della SS. Trinità - usi civici delle montagne, 38, 128, 129, 131, 136-140, 142, 143, 150, 151 Alloggiamento militari spagnoli. 67, 73, 81, 84, 88 - 90, 97-100, 130, 131, 144, 155, 156 Capitoli da inviare al re di Spagna. 144-148, 150 Cariche pubbliche e incarichi vari. 35, 65, 71, 83, 91, 107, 118, 120, 121, 125, 131, 142, 159, 162 Casa dell’università a Cava, 149, 150, 154, 158 Casa in fino a Napoli, 125, 133 Chiesa di S. Francesco - S. Maria del Gesù), 123 Chiesa di S. Sebastiano, 50, 160 Criminalità comune, 80, 91, 125, 146 Danni apportati dagli Spagnoli, 99 Danni apportali dai Francesi, 36 Debiti dell’università e prestiti da essa contrani, 37, 38, 46, 53, 55, 63, 67, 68, 70, 76, 81, 82, 84, 87-90, 92-94, 96, 98, 100, 102-104, 108, 111, 115, 116, 117, 119, 126, 127, 132, 133, 137, 139, 156 Difesa armata, 108-112, 115, 117, 120, 125 Donativi, 43, 49, 54, 55, 64, 67, 90, 108, 112, 134, 135, 145 Esenzione fiscale dei preti, 36, 85, 121, 153 Esequie per la regina di Spagna, 80, 84 Franchigie e privilegi, 66, 80, 85, 86, 89, 90, 97, 100, 102, 107, 108, 124, 125, 140- 145, 160 Gabella dei tre tari per fuoco, 36, 42-46, 53, 67 Gabella del ferro, 137, 138 Gabella del mulino, 100, 101, 105, 108, 115, 122, 150 Gabella del pesce, 50, 52, 57 Gabella del vino, 123 Gabella dell’acciaio, 137 Gabella della carne, 36, 122, 134, 139 Gabella della seta. 93, 94, 106, 107, 125, 126, 128, 130, 138 Grano, 45 – 49, 51, 52, 56 – 66, 68 – 76, 78 - 87, 90, 93 - 102, 106, 112, 120, 123, 126, 127, 134-136, 148

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Mastrodattia, 42, 55, 63, 65, 122, 147, 161 Nuovi cittadini, 101, 119, 141 Ospitalità a funzionari pubblici, 43, 46, 53, 65, 92, 102, 105, 109, 110, 112, 129, 131, 155 Pagamento di copie di documenti, 40, 41, 43, 46, 50, 54, 92, 142, 149, 150 Pane, 36, 43, 62 Parroco della chiesa di S. Pietro, 42, 65, 123 Peste, 39, 40, 42 - 44, 46 - 49, 51 - 54, 66, 77, 79, 88, 129 Prestito al Gran Capitano, 113 - 119, 122, 124, 127, 128, 130 - 132, 134 Rappòrti con la città di Nocera, 39, 100, 105, 125, 128 Sale, 36, 40, 41, 89, 123, 150, 157- 159 Salerno e problemi di franchigie, 39 - 46, 49, 74, 80, 83, 84, 104, 106, 107, 119, 126, 129, 130, 133, 134, 140, 142, 143, 149 Segreto d’ufficio, 42, 117

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lNDICE DEI NOMI

ABUNDO (DE) FRANCESCO, notaio apostolico, 38, 70 ADENULFO (DE) ALFONSETIO, 15, 38, 101, 104, 126, 139 ADENULFO (DE) BERARDINO, 28, 35, 48, 58, 61 - 63, 68, 72, 73, 75, 76, 81, 84, 87, 88, 102, 104, 113, 114, 117, 119, 120, 131, 133, 141, 142 ADENULFO (DE) DONATO, 109 AFFLITIO (DE) MICHELE, luogotenente della Camera della Sommaria, 12, 13, 15, 16, 24, 37, 38, 41, 43, 54, 80, 85, 86, 87, 125, 155, 159, 160 ALFERO (DE) PERROLOISE, morto di peste, 17, 39 ALFERO (DE) SILVESTRO, sindaco, 28, 30, 35 ss., 121, 123, 125, 126 ALFIERI vedi ALFERO (DE) ALFONSO II D'ARAGONA, 29 AMPHORA (DE) ANGELO, 70, 71, 91 AMPHORA (DE) ANTONINO, 47 AMPHORA (DE) MATTEO, 100 ANGRISANO (DE) GIASE, 29, 35, 121 ANNA (DE) GALIENO, 10, 16, 20, 76, 77, 83, 85, 86, 93, 112, 117, 125, 144, 145 -148, 150, 151 ANNA (DE) GIOVANNI, 27, 29, 43 - 45, 49, 76, 106, 121, 123, 125, 138, 147, 149, 150, 153, 154, 157, 158 ANNA (DE) MICHELE, giudice, 10, 11, 28, 35, 40, 41, 45, 50, 58, 76, 81, 83, 88, 103, 104, 106, 111, 113, 114, 117, 119, 120, 122, 127, 129, 132 - 135, 140, 142 - 144, 147, 149, 153, 155, 157 - 159, 161 ANNA (DE) NICOLOSO, 30, 35, 105, 120, 131, 139 ANNA (DE) PIRRO JOANNE, 30, 96 ANNA (DE) URSINO, giudice, 14, 16, 64, 86, 109, 124, 144, 160 ANNARUMMA V., 25, 28 ANTONINO MESSINESE, mercante di grano vedi CAFARO ANTONINO ARIANO (DE) FRANCESCO, 144, 149 ARMENANTE vedi ARMINANDO ARMINANDO (DE) COLA, gabelliere del sale, 15, 110, 123, 134, 151 ARMINANDO (DE) MARTINO, 115, 136 ARMINANDO (DE) RAIMONDO, 68, 69, 71 ARMINANDO (DE) SIMONE, 139 ARMINANDO (DE) STEFANO, 139 ARSENIO DA TERRACINA, abate, 8 ATTANASIO A.M., 28, 29, 35 165


AULINA, capitano, 65 AURIENCZE (DE) DON LORENZO, 94 AURILIA (DE) JOANNES, 68, 72 AVAGLIANO T., 28 AVALLONE T., 39, 43 BEATRICE D'ARAGONA, 12, 14, 15, 24, 39, 40, 42 - 44, 49, 63, 64, 66, 74, 76, 83, 84, 86, 92, 107, 111, 112, 130, 133, 134, 137 BELLO (DELO) COLAMARINO, 85 BELTRANO O., 28 BERARDO de lo s. gobernatore, 108 BWKDONNO S.L., 16 CAFARO ANTONINO, mercante di grano messinese, 83, 86 CAFARO ETTORE, 13, 15, 19 - 21, 36, 45, 53, 55, 56, 65 - 68, 71, 75, 76, 81, 83, 85 87, 89, 92, 93, 95, 110, 114, 118, 119, 126, 156 CAFARO JO. COLA, 109 CAFARO STEFANO, 26, 143, 146 CALABRESE GIOVANNI, 51, 71 CALCEDONA JOANKES, 159 CALIRI BIASE, 145, 149 CANALI (DE) MINICO, 26, 80 CANTARELLA AGOSTINO, 114, 140, 154 CANTAR ELLA GIOVAK SALVO, 15, 156, 158 CANTAR ELLA RAIMONDO, 20, 45, 60, 61, 65, 69, 72, 90, 105, 109, 113, 133 CAPOCESARO [?] COLA BERARDINO, di Napoli, mercante, 63 CAPOVA CARLO, 11, 25, 29, 35, 64, 67, 76, 106, 110, 111, 112, 114, 120, 121, l23, 131, 138, 143, 144, 149, 151, 154, 156 CAPOVA COSTANTINO, 51, 134 CAPOVA GERONIMO, 108 CAPOVA NATALIELLO, 29, 35, 63, 69, 73, 74, 104, 113, 114, 117 CARADOSSO DI GIFFONI, 57 - 59, 75 CARAMAN ICO (DE) COLANTONIO, portero della Camera della Sommaria, 38, 86 CARDONA (DE) ANTONIO, 16, 145 CASABURI ANDREA, notaio e vicesindaco , 11, 30, 37 - 41, 43, 48, 58, 80, 88, 106, 142 CASABURI AVANCZILLO, 145, 149, 159, 160 CASABURI BARTOLO, 14, 15, 18, 20, 23, 29, 41, 42, 48, 56 -58, 64, 66, 71, 72, 75, 76, 78, 79, 81, 84, 87 - 89, 98, 104, 106, 109, 111, 121, 124, 126, 127, 131, 133 - 135, 141-144, 149, 156, 161 CASABURI DOMENICO, 10, 17, 26, 39, 84, 92, 97, 114

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CASABURI GERONIMO, 10, 15, 20, 25, 29, 30, 35, 36, 59, 62 - 64, 67, 68, 70, 71, 75-78, 84, 88, 97, 105, 110, 112 - 114, 116 - 118, 123, 127, 130, 131, 133-135, 137, 139, 141, 143, 144, 149, 150

.

CASABURI LEONARDO, 136 CASABURI MATTEO, 145, 149, 159 CASSESE L., 29 CASTALDO CARLO, 130 CASTALDO COLANGELO, 105, 106, 109, 126 CASTALDO PAOLO , 154 CATONE (DE) TOMMASO, notaio, 55 CATOZZO FRANCESCO, 142 CATOZZO JOANNES, 30, 48, 96, 121, 149, 156, 159 CAVA (DE) RICCARDO, di Maiori, mercante di grano, 19 - 21, 48, 57 - 62, 65, 66, 69- 71, 76, 82, 85- 88, 97, 98, 99, 104, 126, 127, 136, 139 CECCHELLA DIOMEDE, oste, 102, 105, 118, 129, 131 CEMINO BELLOFORTE, 105, 114 CESARO (DE) COLAMAR INO, 93 CIMINO vedi CEMINO CIOFFO (DE) BERARDI.NO, razionale, 24, 37, 41, 49, 67, 106 COLA, oste, 118 COMPOSTA (DE) MARCHIONNO, mastrodatti del reggente della Vicaria, 129 CONIGLIO G., 56 CONTERI (DE) LIBERATO, 17, 46 CONTERIO (DE) ORLANDO , 91, 99 CORDOVA GONZALO FERNANDEZ de, detto il Gran Capitano, 9, 12 - 16, 19, 20, 22, 23, 25 - 27, 37, 38, 44, 46, 52, 53, 55 - 57, 63 - 66, 69, 74, 77, 80, 83, 86, 89, 91, 98, 99, 104 - 107, 109, 110, 112 - 114, 117, 118, 120, 122, 124, 125, 127, 128, 130, 132, 134, 136, 141, 144-146, 150, 151, 160 CORTE (DELA) FABRIZIO, 14, 29, 35, 36, 42, 51, 67, 68, 76, 92, 93, 101, 103, 126 CORTE (DELA) GIOVANNI, notaio, 65, 110, 114 CORTE (DELA) LUCIO, 20, 50, 59, 62 - 64, 66, 68, 69, 72, 75, 76, 78 - 82, 84, 105, 106, 110, 112, 114, 117, 124 CORTE (DELA) MODESTO , giudice di Vicaria, 10 - 12, 14, 16, 25, 27, 64, 66, 76, 83, 85, 98, 104, 105, 107, 109, 113, 116, 117, 126, 129, 133, 140, 142-145, 147, 148, 150, 151, 153, 157-161 CORTE (DELA) SANSONETTO, 29

·

CORTE (DELA) SOUMANNO, 29, 36, 76, 86, 106, 110, 111, 121 ss.

CORTE (DELA) THOMASI, notaio, 27, 29, 30, 35, 76, 114, 121, 123, 126, 138, 141, 143, 144, 149, 156, 162 COSTA COLANTONIO, 113 COSTA FILIPPO, 88, 106, 144

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COSTA MATTEO, 21, 69, 72, 106, 109, 116, 128, 133, 135, 137, 161 COSTANZO (DE) ALESSANDRO, di Napoli, 27, 146 COSTANZO (DE) PIETRO ANTONIO, 141 CURTI (de) vedi CORTE (dela) D'AGOSTINO G., 56, 130 DAMIANO (DE) DAMIANO, 30, 110, 137 D'ANGELO G.,7 DAVID FRANCErco, 29, 35, 42, 106, 120 DAVID GIOVANNI, notaio, 110 DAVID MARCANTONIO,75 DAVID ROGIERO 75 DAVID VISENO [?]. 75 DEBERTO JOANN l09, 110 DE ROSA PARIDE, 24, 54 DE SANTIS 0TTAVIANO, presidente della Camera della Sommaria, 113, 116 DEVINO GIOVAN PAOLO, 123, 125 DI MAIO M.,7 DI MARTINO A.,7 DI MAURO ANTONIO, 82, 85, 87, 99 DI MAURO GIOVANNI, 29, 109, 113, 120, 121, 149 DI MAURO VINCENZO, 42, 43, 117 DIMAURO VINCIGUERRA, 67 DINOTARGIACOMO P., 9 DUCHESSA DI AMALFI (Maria, figlia naturale di Ferrante I), 75 EBULO (DE) ACTURSIO, giudice e assessore del governatore, 66, 68, 78 FALCO (DE) FABRIZIO, 29, 42, 133, 134, 139 FALCO (DE) FRANCESCO, 137 FEDERICO D'ARAGONA, 40, 66, 147 FERDINANDOIL CATTOLICO, re di Spagna, 40, 145, 162 FERRANTE T D'ARAGONA, 29, 40, 66, 75, 147 FERRANTE IlD'ARAGONA, 28 FERRIGNO SEBASTIANO, 143 FILANGIERI G., 28 - 30, 36,41,95 FORNO (DE) COLA, 59 FORNO (DE) FABRIZIO, 17, 44, 108 FORNO (DE)LEONARDO, 17, 44 FRONDA NARDO ANDREA, procuratore della città, 13, 55, 67, 81, 94, 128, 130, 137, 138, 161

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GAGLIARDI ANTONINO, notaio e cancelliere, 28, 30, 35 ss. GAGLIARDI DIOMEDE, giudice, 11, 143 GAGLIARDI FEDERICO, 26, 126, 133 GAGLIARDI GIOVANNI, giudice, 11, 12, 28, 35, 41, 44, 50, 55, 57, 58, 76, 81, 88, 103, 104, 113, 114, 117, 119, 120, 122, 142, 143, 149, 153-157, 160, 161 GAGLIARDI LUCA, gabelliere, 12, 18, 50, 52, 53, 56, 57, 76, 88, 110, 113 GAGLIARDI NICOLA ANTONIO, 29 GAGLIARDO, 107 GALIANO GIOVANNI, genovese, 57 GALIONE, 91 GALIOTO Mmo, ex Capitano della città, 136 GALLECTA FRANCESCO, mercante digrano, 101 GALLECTA VINNO, mercante di grano, 101 GAUDIOSO GERONIMO, 113 GAUDIOSO PALAMIDESSO, mastro, 97, 109 GENNARO (DE) ANTONIO, 37 GENOINO A., 28 - 30 GENUESE (DON) PALOMEDESSO, 94 GIORDANO (DE) ANDREA, 96 GIOVANNA II D'ANGIÒ-DURAZZO, 147 GIOVANNAIV D'ARAGONA, 28, 29 GIUSTINO DE ARGENTA, abate, 9, 70, 83 GNIRSULO [?] JOANNES, 44 GUILLAUME P.,9 IMPARATO DAVID, 46 IMPERATO COLANELL0,87, 160 IMPERATO MATTEO, 26, 141 lNSERRAS JACOBO, 41, 43 ISABELLA rn CASTIGLIA, regina di Spagna, 20, 26, 80 ISABELLA DI CHIAROMONTE, 40 IULIS (DE) CARLO, notaio, 10, 11, 29, 30, 60, 76, 110, 114, 121, 125, 136-138, 140, 142, 148-152, 156, 157 JOVENE GERONIMO, 28, 66, 149, 157 JOVENE GIOVAN MARCO, notaio, 9, 17, 18, 36, 40, 46, 58, 67, 73, 76, 77, 84, 129 JOVENE MATTEO, 126, 143 JOVENE RAMPINO, 26, 29, 68, 100 JOVENE ZOITO, 20, 26, 29, 51, 56, 58, 60, 61, 68, 72, 100, 110, 121, 149, 156 LADISLAO DI BOEMIA, 40

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LAMBERTO (DE) ANDREA, 110, 114 LAMBERTO (DE) ANTONIO, 14, 64, 100, 106, 108, 112, 114, 117, 127 LAMBERTO (DE) BENEDETTO, 100 LAMBERTO (DE) GIOVANNI, 85, 86 LAMBERTO (DE) MARCO, 100 LEDESINO ALFONSO, 94, 107, 138 LEONE A., 19, 29, 30, 35, 36, 76 LOMELLINO BATTISTA, arrendatore del sale, 40 LONGO ALTOBELLO 27, 107, 116 LONGO ANDREA, ,10, 12, 22, 24, 25, 29, 35, 41, 42, 48, 52-54, 58, 63, 64, 76-79, 81, 92, 94, 101, 104, 105, 109, 111, 113, 114, 117, 119, 120, 123, 129-131, 133-139, 142, 150, 151, 161 LONGO DIOMEDE 20, 21, 29, 61, 71, 87, 95, 98, 99, 105 LONGO GIOSUÈ, 29 LONGO GIOVANNI ANTONIO, 30, 37, 113, 121 LONGO GIOVAN BATTISTA, 15, 16, 25, 68, 69, 76, 86, 106, 109, 141, 145, 148, 150, 151 LONGO GIOVAN BERARDO, 109, 114 LONGO LEONARDO, 113 LONGO MARINO, 29 LONGO PIETRO ANTONIO, 29, 35, 39, 58, 63, 76, 88, 101, 104, 106, 114, 119, 120, 158, 161 LONGO SILVESTRO, 14, 20, 21, 24, 61, 76, 87, 88, 95, 98, 99, 105, 109, 113, 116, 117, 119, 120, 161 LONGO TESEO, li, 14, 15, 20, 29, 70-72, 75, 76, 78-82, 84, 86, 88, 101, 103, 104, 106, 109, 113, 117, 118, 120, 121, 124, 134, 135, 142-144, 149, 154, 156 LUCA mastro, cretaro, 25, 101 LUISE F., 19 LUCIANO (DE) SCLAVO, oste, 30, 43, 46, 75, 113 MANGRELLA ANDREA , 26, 156 MANGRELLA JACOBO, 59, 62, 68-71, 74-76, 78, 79, 81, 84, 85, 106, 109 MARINO (DE) JORDANO, mulattiere, 120 MASSA (DE) PIETRO, commissario per i pagamenti fiscali, 15, 24, 92, 95, 102, 108, 111, 112, 133, 140-142 MAURO (de) vedi DI MAURO MEGNOCHA , capitano , 130, 131 MICHELE DE TARSIA, abate, 9 MILANO S., 25, 29, 35, 42, 103, 147 MONICA (DE) ANDREA, 14, 15, 21, 26, 102, 104, 113, 126, 139

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MONICA (DE) BENEDEITO, 41, 59, 62, 63, 66, 72, 75, 78, 81 MONICA (DE) FERRANTE, notaio, 95, 105, 110 MONICA (DE) FIORAVANTE, 76 MONICA (DE) GIOVAN BAITISTA, 41, 42, 76 MONlCA (DE) LEONE, 13-15, 21, 26, 46, 64, 94-99, 102, 104, 110, 126, 127, 131, 139 MONICA (DE) RAIMONDO, 64, 76, 86, 110-114, 116, 117 NOTAR GIACOMO, 84, 109, 130 ORILIA vedi AURIUA PAGANO PIETRO, 25, 101 PAGANO SALVATORE, 25, 101, 119 PALERMITANO , mercante di grano, 95, 96 PAPA JOANNE, 81 PAPPALARDO GIULIANO, notaio, 30, 96 PARISI (DE) COLA JOANNE, notaio, 110 PARlSI (DE) GIOVAN FILIPPO, notaio, 12, 29, 30, 35, 40-44, 48, 50, 53, 54, 58, 63, 69, 70, 76, 78, 79, 81, 88, 92, 95, 102, 104-106, 111, 113, 114, 117, 119, 120, 123, 133, 137, 142 PASCARELLO (DE) FAURILLO, 26, 141 PECORARO MARINO, 26, 80 PERRELLO (DE) ANDREA, 29, 30, 35, 106, 117, 121, 131, 143 PlGNOLOSA, capitano, 117 PISANELLO PlRRO, avvocato della città, 11, 55, 67, 73, 77, 79, 151, 152, 156-159,161 PISANO RAIMONDO, notaio, 63, 65 PISAPIA A., 28, 30 PISAPIA BASILIO, notaio, 11, 12, 15, 16, 30, 103, 121, 123, 126, 128, 134-136, 143, 144, 156-160 PISAPJA MARINO, 91 POLVERINO A., 25, 76 POLVERINO COLANGELO, 69 PONTE (DA) VINCENZO, 21, 95 PONTE (DE) PIETRO, 9l, 99 PUGLIALI GIOVANNI, tesoriere della Regia Corte, 42, 43 PUNZI BERARDO, giudice, 30 PUNZI CARLO, 11, 29, 35, 96, 117, 120 QUARANTA AMBROSI , mastro, 28, 153, 160 QUARANTA COLANTONIO, 30, 44, 110 QUARANTA FERRANTE, 12, 29, 110, 113, 120, 121, 131, 133, 142, 144, 156, 158, 160

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QUARANTA GIULIO,mastro, 113 QUARANTA PERRO LOISE (Pierluigi), 9, 12, 13, 16, 23, 25, 28-30, 35, 37, 38, 41, 43, 45, 46, 48, 55, 63, 66, 67, 73, 76, 78-80, 88, 89, 101, 102, 104, 106, 112, 113, 117, 120, 126, 127, 130, 131, 134, 135, 144, 145, 148, 150, 151, 153, 154, 157-161 QUARANTA ZABACTO, oste, 23, 24, 30, 46, 65, 102, 111-113, 118, 141, 144, 154, 155 RAJMO (DE) LOISE, reggente del tesoriere, 117 REGINA D'UNGHERIA, vedi BEATRICE D'ARAGONA ROGERI (DE) MATTEO, 107 ROGIERO (DE) PAOLO, 114 SABATER, Capitano della città, 27,39 ss. SABATINIANDREA, 36 SALATI PIETRO, notaio, 63 SALERNO NARDO, 84 SALSANO LORENZO, 29, 35 SALSANO VINCENZO, notaio, 9, 12, 24, 28, 29, 35, 38, 42, 44, 48, 54, 57, 76, 87 SALVO (DE) GIOSUÈ, 105 SANSEVER INO (DI) ANTONELLO, 30 SELVAGIO BERARDO, magazziniere del sale, 41 SETARO LOISE, 138 SEVERINIAMELIO, Capitano della città, 27, 118, 120 ss. SEVERINO ALESSANDRO, 157-159 SICAROO SJMONETTO, 127 SORRENTINO FILIPPO, 51 SORRENTINO GASPARRE, 110, 159 SPARANO B., 25, 28 SPINELLI GIOVAN BATTISTA, 25, 30, 116, 130, 134, 135, 150 SPINOLA FRANCESCO, mercante genovese, 13, 45, 53, 55, 81, 82, 110 STAGNOLO GABRIELE, 92, 93 STAINO MATTEO, 127 STASIO (DE) DONATO, 96 STASIO (DE) VINCENZO, 109, 110 STIPANO FILIPPO, ex Capitano della città, 37, 60 SUMMONTE G.A., 145 TAGLÉ R.,25, 29, 30, 36 TAGLIAFERRO MARCOCZELLO,85, 91, 129, 134, 145, 149, 151 TEODORO, 91, 99 TESTA MATTEO, 19, 49

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TJPALDO ANDREA, 103, 147 TIPALDO GIOVAN MARINO, 9, 74, 76 TRABUCCO FRANCESCO, 84 TROISI FIORAVANTE, 18, 19, 21, 26, 29, 30, 35, 36, 49, 52, 53, 57, 58, 63, 67, 68, 71, 74, 81, 88, 92, 93, 95-99, 101, 103, 104, 111, 114, 156, 159 TROISI JOANNOCTO, 30, 76, 95, 162 TROISI MATTEO, notaio, 114, 132 TROISI TOMMASO, 69 TUFO (OELO) GIOVANNI, 125 URSELLIS (DE) ANGELO, 83, 88, 96, 123, 124 VERTIJLOTTO ANTON IO, 110, 145, 149, 151, 159 VILLANI Jo. COLA, commissario fiscale, 102 VILLANI M.,36 VITALE ANGELO, 14, 18, 19, 20, 22, 25, 45, 48, 52, 56, 58-62, 64, 66, 69, 71, 74, 76, 78, 83, 85, 87, 89, 100, 105, 110, 114, 117, 119, 123, 126, 127, 133, 137, 141 VITALE (DE) COLA, 118 VITALE GIOVAN MATTEO , 157 VITALE S1MONETTO, 10, 29, 42, 56, 76, 110, 113, 121, 123, 129, 133, 136, 144, 149

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