Bibliomap dicembre 2012

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Bibliomap Storie e voci dalle biblioteche della provincia di Siena

Una mappa. Un diario di bordo. Un fotoreportage. Una guida alla lettura. Il periodico della rete ReDos che raccoglie storie e voci dalle biblioteche della provincia di Siena.


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Periodico / NUMERO 2_Dicembre 2012 - edizioni Pleiades - www.biblio-map.com / Registrazione presso il Tribunale di Siena Autorizzazione n.9 del 06/10/2011 Bibliomap


Bibliomap Periodico delle biblioteche ReDos Rete Documentaria e Bibliotecaria della provincia di Siena Dicembre 2012 Direttore Responsabile Vincenzo Coli

Redazione

Chiara Cardaioli Alessio Duranti Serena De Lorenzo Antonio De Martinis Lorenzo Pini

Edizioni Pleiades

Stampa

Vanzi Industria Grafica colle di val d’elsa (SI)

Progetto grafico lorenzo pini

fotografie

Alessio Duranti www.aeffe.tumblr.com

Illustrazione di copertina

Chiara Abastanotti www.graffidimiele. blogspot.it

Contatti www.biblio-map.com

bibliomap.siena@gmail.com

Leggere è volare, 22 anni dopo Ventidue anni di promozione dell’editoria specializzata, rivolta a un pubblico di giovani e giovanissimi, ventidue anni di sogni che hanno preso ogni volta la forma di un libro. Per i più piccoli, colorato e librato – è proprio il caso di dire – in volo sulle ali della fantasia. Per i più grandi, ancorato alle idee e ai valori che aiutano a crescere, a divenire cittadini consapevoli. Questo compito educativo è la mission che l’Amministrazione Provinciale di Siena si dette con Leggere è volare quasi un quarto di secolo fa, e dopo tanto tempo l’obiettivo è sempre quello: far nascere nei più giovani la curiosità e se possibile l’amore per la lettura, strumento di maturazione insostituibile. Dal 1991 è ancora un appuntamento da non mancare, che gli insegnanti cerchiano in rosso sul calendario, perché sono loro a guidare gli allievi agli incontri con gli autori, che si divertono un mondo a raccontare i segreti della scrittura ai bambini delle elementari e ai ragazzi delle medie. I quali rispondono con entusiasmo incredibile. E una tenerezza da aneddoto: davanti a un autore affermato che aveva edotto la classe della sua copiosa produzione, un bambino non poté resistere “Come? Fai lo scrittore e sei ancora vivo?”. Con i bambini, ma anche con i grandi, con chiunque abbia la passione per i libri, nel corso del tempo si sono dati appuntamento a Siena, grazie a Leggere è volare, scrittori notissimi come Erri De Luca, Andrea De Carlo, Walter Siti, Giancarlo Carofiglio, Anna Vivarelli, Roberto Piumini, Barbara Villa, Emanuela Nava, Paola Zannoner, Giovanni Caviezel, Luigi dal Cin e molti altri. E artisti di fama come Paolo Rossi, Jovanotti, Neri Marcoré, Vinicio Capossela, Stefano Bollani, Franco Battiato, Emanuele Luzzati. Perché un tratto distintivo di questa manifestazione è da sempre la multimedialità: il testo scritto ma anche il teatro, il cinema, la musica. Tanti spettacoli intelligenti su misura per sensibilità acerbe ma già ben predisposte. E da quattro anni anche il Salone degli Editori Senesi, organizzato insieme a Sienalibri.it per offrire una vasta panoramica di produzione letteraria recente e rigorosamente made in Siena. Il legame con il territorio Leggere è volare lo mantiene in virtù di un solido rapporto con i Comuni e con la rete delle biblioteche, che ovunque ospitano presentazioni di libri e performances artistiche. Dopo ventidue anni, nonostante una situazione di precarietà finanziaria e istituzionale che rende difficile programmare e fare investimenti, pur con un bilancio risicatissimo, Leggere è volare si è presentata pure quest’anno all’appuntamento, sessanta eventi in venti giorni. Edizione in economia, ma ambizione ancora vivissima di valorizzare le risorse e le eccellenze di cui questa terra è tradizionalmente ricca.

Vincenzo Coli


NORDOVEST / SUDEST Tappa dopo tappa alla scoperta di alcune biblioteche della provincia, dalla Valdelsa alle Crete passando per la Val di Merse e la Val d’Arbia, è questo l’itinerario intrapreso per rivisitare il nostro territorio attraverso i luoghi della rete ReDos. di Lorenzo Pini

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Quanti modi esistono per entrare in contatto con il territorio in cui vivamo o in cui ci apprestiamo a viaggiare? Guide turistiche, libri e film ambientati in un luogo, opuscoli informativi, consigli di persone e tante altre sono le soluzioni per trovare ispirazione e stabilire le tappe di un percorso personale. Si tratta solo di scegliere. C’è chi preferisce assaggiare i prodotti gastronomici, chi affidarsi a itinerari storici, o alle visite dei musei e dei monumenti. Qualcuno viaggia in auto, altri in treno, o a piedi e in bicicletta e via dicendo. Alcuni viaggiatori sono scrupolosi osservatori di mappe e guide Lonely Planet, altri si lasciano condurre dal caso e dall’ispirazione del momento, prendendo quello che capita. Lo sappiamo bene tutti noi che cerchiamo spesso un prestesto per riscoprire una volta di più quel suolo che calpestiamo ogni giorno.

BIBLIOTECA COMUNALE PIERACCINI, POGGIBONSI

Nella lunga lista conservata nel taschino del viaggiatore “tematico” quasi mai ho visto le biblioteche come luoghi di un possibile itinerario. Sono ad esempio ancora roccaforti dell’identità del paesino sperduto come erano anni fa? Capitò un’estate che mi era presa la fissa di andare in giro esplorando solo i bar dei posti in cui mi fermavo ed ero rimasto sorpreso dall’immagine che quest’idea mi aveva restituito perché là dentro – oltre al mesto sottofondo della TV sintonizzata sulla Vita in diretta e del motivo musicale del videopoker – si conservavano piccole storie locali vere e passeggere come le nuvole del pomeriggio estivo. Sono convinto che, come i bar, le biblioteche restituiscano tanti frammenti dello spirito locale, proprio perché sono i contenitori per eccellenza delle vicende quotidiane, dal momento che custodiscono libri. È così che mi è venuta l’idea del nordovest-sudest, un nome dovuto un po’ alla forma della nostra provincia e un po’ all’anima geografica di questa esplorazione che è come un diario di appunti non solo di biblioteche ma di ciò che accade “nel frattempo”. Così mi sono messo in viaggio (si fa per dire, viste le distanze) in auto, partendo dal nordovest della provincia di Siena, visitando alcuni luoghi della rete Redos. Nei panni di un turista in cerca di sale lettura e scaffali con giusto un taccuino in tasca per annotare profili di persone e situazioni.

Pomeriggio limpido, l’aria è frizzante dopo la pioggia di ieri. Davanti all’ingresso un gruppetto sparuto di giovani si passa l’accendino: aspirano e parlano della sconfitta del Milan in campionato. Sono le 14 e 30 e la biblioteca Pieraccini è appena aperta. Anche Elena temporeggia sotto un raggio di sole prima di entrare, viene quasi tutti i giorni in modo da dare un’occhiata ai giornali, prima di iniziare a studiare per gli esami universitari. È il momento di entrare e salire le ripide scale fino al bancone del prestito.

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Prima tappa

A Poggibonsi, al posto dei palazzi di Viale Marconi, vi fu un’epoca in cui crescevano piante di cocomero e la campagna era amena e prodiga di frutti. In Europa Napoleone faceva sfracelli e un suo soldato nella campagna di Russia era poggibonsese. A conflitti sedati il giovane tornò in patria con un carisma accresciuto per essere uscito indenne dalle vicende cruente. Comprò quei fertili poderi e diventò signore di alcuni ettari di terreno appartenenti alla fattoria Montelonti dei RicasoliFiridolfi. Fu un uomo galante e di grande cultura, ma non si volle mai mischiare ai salotti letterari del tempo, tanto che li ritenne finti e decise di fare di casa sua un ritrovo letterario alternativo. Il nome del protagonista di questa storia è Chesino e la casa dove abitò a metà Ottocento è oggi la sede della biblioteca Pieraccini di Poggibonsi.

Era dunque già vecchio Lucchese (Chesino era il suo diminutivo) quando prese a riunire a casa sua amici con l’abitudine di recitare rime e bere vino di fronte al focolare. Nel 1922 un certo Antonio Bondi raccolse tutte le rime che venivano recitate in quelle sere d’inverno al focolare di Lucchese. Provate a chiedere alla bibliotecaria Simonetta Luti il libro “A veglia con Chesino”, oltre al volume fotografico di Carlo Fiorentini “Poggibonsi camera con vista” (alla pagina 28 si trova una vecchia foto della casa oggi biblioteca). I due libri insieme sono la migliore guida al territorio circostante. Se passate da queste parti accomodatevi dunque in una delle sale lettura ricordandovi che siete nell’antica casa di Chesino, dove accanto al fuoco non mancava mai un fiasco di rosso. Potrebbe essere una delle ultime occasioni per rivivere quell’atmosfera: entro pochi mesi la biblioteca si sposterà negli spazi dell’ex Ospedale Burresi, i cui lavori di ristrutturazione finalizzati alla fondazione di un centro culturale polivalente sono ormai conclusi.


Seconda tappa

Porta di San Matteo, piazza Sant’Agostino, quindi via Folgore. L’accesso al centro storico di Sangimignano dal lato nord è quello meno frequentato e forse il più suggestivo. I barili vuoti di un vino ormai imbottigliato sono riposti in un canto e protetti dal nastro bianco-rosso che dà loro il senso di una provvisoria sistemazione… Vi accorgerete di essere arrivati di fronte alla biblioteca quando davanti a voi troverete l’immenso “bagolaro”, ovvero un albero di 130 anni, alto 26 metri, con un tronco di 4,5 metri di circonferenza. All’interno della biblioteca ci si può perdere tanto grandi sono gli spazi: fondo antico, saggistica, sala riviste, un corridoio infinito per andare in bagno, una sala proiezioni e conferenze in cui è “rifugiato” un vecchio proiettore da cinema funzionante a carbone. Le sorprese continuano: basta spingere la porta a vetri della sala riviste per entrare in giardino, in comproprietà con il museo di Arte Contemporanea. Mentre vagate nel giardino sappiate che la sede della biblioteca era in origine un Istituto di Agraria. I professori fecero piantare qui, a scopo didattico, peri, meli, susini e un amareno. Prima di uscire dalla biblioteca – dopo l’esplorazione a tutte le stanze guidata da Fabrizio Chierici – l’occhio si sofferma su una bacheca in cui sono conservati alcuni vecchi libri delle firme. Ne sono passati di personaggi dalla biblioteca di Sangimignano. Tra i tanti, nel 1904, anche Gabriele D’Annunzio.

LA BIBLIOTECA COMUNALE UGO NOMI VENEROSI-PESCIOLINI DI SANGIMIGNANO è nata

nel 1872 e ha aperto i suoi battenti al pubblico, per sola consultazione, nel 1874, sotto la cura del Proposto allora in carica Ugo Nomi Venerosi-Pesciolini. In breve tempo, dalla prima dotazione di circa 2700 titoli, passò a 12.000, grazie all’opera di sensibilizzazione a tappeto che lo stesso Ugo Nomi intraprese, via via presso i cittadini facoltosi, i proprietari dei terreni circostanti la città, gli intellettuali legati al mondo educativo degli scolopi, e a raggio sempre più ampio, con una curiosa tattica centrifuga che coinvolgeva i conoscenti, i compagni di studio, i docenti, si allargava in tutta Italia, come ci documentano i suoi Copialettere. Nel secondo decennio Ugo Nomi continuò la sua opera di accrescimento del capitale librario e documentale con acquisti sul catalogo, dimostrando un’oculatissima e accuratissima attenzione sia alla produzione “moderna” che al mercato antiquario, italiano ed estero. Ugo Nomi appuntò la sua particolare cura alla ricerca di edizioni rare, di documenti a stampa, di manoscritti e testi prodotti dai cittadini nativi di Sangimignano divenuti celebri anche all’estero. Nel 1911, alla morte di Ugo Nomi, la biblioteca aveva circa 40.000 volumi. Non era ancora una biblioteca “circolante”, non faceva prestiti ma solo consultazione in loco. Di tutto questo materiale più volte è stata iniziata la catalogazione, ma comprensibilmente mai è stata terminata. Ogni intervento ha causato revisioni, riordinamenti parziali, spostamenti, un lavoro che è possibile ricostruire per mezzo dell’abbondante documentazione biblioteconomica che fin dall’inizio ha corredato quest’istituzione. L’impegno preso è ancora lontano da essere completato. Quattro settori compongono la Sezione Storica della Biblioteca comunale di Sangimignano: Sezione Manoscritti, con catalogo a stampa, con oltre cento codici dal XIII al XIX secolo. Sezione Miscellanee con catalogo a stampa e inventario informatico in via di conclusione. Sezione Edizioni a stampa: con catalogo edito per gli incunaboli e le edizioni del XVI secolo; catalogo in Redos per le edizioni del XVII secolo in via di completamento e per circa un quinto delle edizioni del XVIII secolo. A tutto ciò si aggiungono: una ricchissima collezione di edizioni del XIX secolo, che testimonia il grande livello di aggiornamento di Ugo Nomi su qualunque materia, corredate da riviste specializzate, anche se non complete nelle varie annate e, grazie a recenti donazioni, è in via di elaborazione la costruzione di una sezione “storica” del Novecento. Sezione Fotografica con inventario a stampa e informatico, con foto storiche di Alinari, Lombardi, Anderson e altri fotografi locali e non. A tutto questo materiale si deve infine sommare l’archivio storico comunale e suoi aggregati. Ma questa è un’altra storia. Graziella Giapponesi Bibliomap

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BIBLIOTECA COMUNALE MARCELLO BRACCAGNI, COLLE DI VAL D’ELSA

Quarta tappa BIBLIOTECA COMUNALE DI CASOLE D’ELSA

Seconda tappa: lo immaginavo, non è facile Terza tappa Un tempo parcheggiare a Sangimignano, da lupi affligge oggi ma lo sforzo è ripagato ladagli collina su cui sorge scenari del borgo Casole, 410 metri slm. dentro alle mura. Quello La biblioteca comunale, che cerco è una biblioteca in pieno centro storico antica coi soffitti alti, di sulla via Casolani, vi fronte a un gigantesco appare come rifugio. Si albero chiamato “Bagolaro”

arriva qui a piedi per le scalinate incastonate tre le mura, oppure con l’ascensore che sale dal parcheggio sottostante e si apre proprio sulla piazza del Municipio.

Casole d’Elsa sorge in posizione sopraelevata come roccaforte che delimita i territori della Valdicecina e della Valdelsa. Un punto panoramico da cui giocare a indovinare i paesi all’orizzonte, un luogo di confine occidentale nella geografia della rete ReDos. Si racconta che l’edificio della biblioteca – il cui ingresso è nella centrale via Casolani – fosse conosciuto fino a qualche decennio fa come “casa delle lavandaie”. Maria Pia e Lucia sono le volontarie che troverete al servizio prestito, sempre che non sia la responsabile Beatrice Frassi a farvi da guida tra le stanze. Tre piani, tra cui una magnifica soffitta per i più piccoli, formano questa biblioteca intima e curatissima: l’ambiente è caldo e accogliente. Nei sotterranei si trova la mediateca, una sala rustica con i mattoni a vista. Il tempo inclemente continua a imperversare fuori, così la visita si prolunga con l’esplorazione del fondo locale, come in tutte le biblioteche lo scaffale giusto per rintracciare qualche testo particolarmente legato al territorio. Tra questi merita una citazione un libriccino dal titolo “I quaderni della memoria. Le donne di Casole si raccontano”. La via della biblioteca prende il nome di Alessandro Casolani (1553-1607). Potete trovare le sue opere nella sezione storico-artistica del vicino Museo Civico, Archeologico e della Collegiata. Sulla via Casolani, che originariamente metteva in comunicazione Porta ai Frati a nord e Porta Rivellino a sud (entrambe scomparse), si trovano gli edifici più importanti: dall’antica Collegiata, al Palazzo dei Priori con tutti quegli stemmi, alla rocca. Se la giornata è tempestosa e avete invece voglia di un buon vino o qualcosa per rifocillarvi nella stessa via della biblioteca potete scegliere: bar sport o enoteca con musica jazz.

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Gli indizi storici in questa parte della Valdelsa non mancano e spediscono il viaggiatore dell’itinerario che state seguendo direttamente nella geografia medievale. Si può cominciare ricordando che l’edificio della biblioteca Braccagni di Colle val d’Elsa è stato per secoli una cartiera. Colle, fin dal 1300, era infatti uno dei paesi più conosciuti in Italia, insieme a Fabriano, per la produzione di cellulosa. Questa attività era favorita dalla presenza di una rete di canalizzazione dell’acqua – le cosiddette “gore”, che permetteva ai primi opifici e appunto alle cartiere una grande disponibilità di energia idraulica. Così, con l’invenzione della stampa a metà Quattrocento, la Valdelsa divenne un centro privilegiato per le stamperie. Potete chiedere a Nicla Senesi, la responsabile della biblioteca, informazioni a riguardo: in archivio si trova infatti un pezzo raro, un incunabolo del 1478: nell’ultima pagina un verso riporta che un certo Bonus Gallus stampò nella città di Colle “quel” libro. Gallo Bono, meglio conosciuto come Mastro Bono di Bethune, era francese e viaggiava alla ricerca di luoghi ideali per la nuova arte della stampa. Ecco perché si fermò da queste parti. Con un salto repentino veniamo ai giorni nostri: la storia più recente del rapporto tra biblioteca e territorio riguarda ancora l’economia locale. Negli anni ’60 qui dove oggi sorge la biblioteca si trovava la Calb, un’industria artigiana del cristallo, che sarebbe poi diventata Calp pochi anni dopo fondendosi con la vicina “Piana”, situata un tempo nella zona della Fabbrichina – l’area che oggi è interessata da un piano di riconversione che include anche la nuova sede della biblioteca-mediateca. La biblioteca si trova in Via di Spugna e vagando tra gli scaffali si incontrano alcuni studenti mattinieri che stanno preparando esami di Ingegneria e Fisica. L’ambiente è ideale, in un angolo riparato con la luce che filtra dalla finestra. Guai a disturbarli, anche se non sembrano poi così concentrati… È arrivato il momento di uscire e dare un’occhiata nei paraggi. La via di Spugna è la perpendicolare dell’omonimo ponte che attraversa il fiume Elsa proprio nei pressi della Marcello Braccagni. Un’idea potrebbe essere quella di prendere un libro in prestito e avventurarsi nel sentiero che ha inizio proprio sotto al ponte, come faceva lo scrittore Romano Bilenchi (si rimanda alle pagine successive per un viaggio nella sua Colle): “Ogni sera dopo la scuola prendevo la bicicletta e, attratto dal fiume, dalla barca e dal ribes quando era maturo, accompagnavo i cugini di Maccari fino a San Marziale. Così si chiamava quel luogo, che allora mi stava nel cuore più di ogni altro simile paesaggio fluviale che si potesse incontrare percorrendo la campagna che circonda il paese”. Il sentiero che state seguendo è quello del Parco Fluviale che conduce fino a San Marziale ed è un percorso naturalistico e storico nel verde della valle solcata dall’Elsa. Spugna intorno all’anno Mille era la località più importante dell’area e proprio qui venne costruito il primo ponte di legno di una certa imponenza che attraversava l’Elsa per favorire i traffici con Firenze. Distrutto nel 1318 da un’alluvione, il “passaggio” in legno fu sostituito da un ponte in muratura che sopravvisse fino a fine Ottocento. L’incisione di B.T. Pouncy che lo ritrae, pubblicata a Londra nel 1799, è raffigurata in un cartello lungo il sentiero che state percorrendo. Se dopo la tappa in biblioteca preferite invece una passeggiata più urbana, le piazze della Colle bassa sono a pochi metri di distanza. Arnolfo, Michelucci, e Jean Nouvel sono i tre personaggi principali di quest’area: il primo disegnò il volto della Colle del 1200, il secondo progettò la linea futuristica di acciaio della banca Monte dei Paschi negli anni Ottanta, il terzo è l’uomo del momento con il disegno della rinnovata piazza centrale.


Quando in una nazione civile vengono ignorate sistematicamente per anni tutte le istanze della cultura, del sapere – origine e orgoglio di ogni civiltà – della conoscenza e della sua ricerca, allora quella nazione è destinata ad un’esistenza buia, all’oblio nel buco nero della barbarie e della violenza. Teatri che non hanno più vita, musei con le porte sprangate, laboratori di ricerca vuoti, scuole a pezzi, libri e opere d’arte abbandonati negli scantinati, mura millenarie che si sgretolano sotto gli occhi del mondo testimoniano, insieme ad altre realtà altrettanto silenti, condannate nel medesimo modo alla scomparsa e ad essere dimenticate, la durezza della guerra che si sta combattendo: da una parte chi vuole salvare almeno il salvabile dalla distruzione, e dall’altra chi, purtroppo, ne persegue l’annientamento totale. A combattere una simile miseria umana senza confini siamo chiamati tutti, indistintamente, perché è del futuro nostro e della civiltà del nostro mondo che stiamo parlando e per il quale stiamo combattendo. Battaglie incruente e silenziose, portate avanti per lo più senza mezzi adeguati e senza poterne immaginare la fine, in campi disseminati di feriti più o meno gravi, ma che resteranno per sempre come cicatrici dolorose – ma eroiche – sulla pelle dei popoli che rivendicano la loro storia. Un esercito formato da pochi generali di carriera, ma da un infinito numero di volontari, si prende cura di ciò che può e, senza chiedere niente altro che il piacere di aver contribuito a salvare una pennellata di Caravaggio, una riga di enciclopedia, un verso di poesia, un centimetro di arazzo, un alambicco, una lettera di Leopardi, una lente di microscopio, in una sola parola, la nostra Cultura.

Quando l’imposizione della non-cultura come modello di vita, incontra la reazione della mente umana – che, di per sé, è da sempre geneticamente predisposta alla curiosità, alla scoperta, al sapere, alla bellezza, allo scambio, all’espressione in ogni sua forma – il piano di imbarbarimento coatto fallisce.

Far parte di questo popolo di Don Chisciotte moderni è quanto di migliore possa essere capitato alla mia vita, e con niente altro al mondo scambierei il senso di dignità che il poco che faccio come volontaria mi restituisce ogni giorno. Carla Monzitta, volontaria Biblioteca comunale M. Braccagni, Colle di Val d’Elsa

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COLLE SPERIMENTA, SI TRASFORMA, SI ALLARGA, EPPURE RIMANE SEMPRE LA STESSA. HA UN MARCHIO CHE LA CONNOTERÀ PER SEMPRE, SIMBOLO DI PREGI E DIFETTI, E MOTIVO PER CUI È SORTA Si stira lungo una collina, ne segue l’andamento, allarga i fianchi dove può, costretta a stringersi in spazi angusti altrove, fino a una forma sofferta e sfilacciata, compressa dentro terrapieni e mura alte e spesse, roccaforti colme di umidità. Comincia con un ponte sospeso tra due agglomerati di case, nella parte alta del paese, il breve viaggio nella Colle val d’Elsa di Romano Bilenchi (1909-1989), lo scrittore che qui nacque segnando una stagione letteraria che varcò presto i confini della provincia. Ero, si può dire, nato in campagna, anche se a poche centinaia di metri dal paese, dove allora non arrivavano le case e le vie che oggi hanno inghiottito tutto […]. I primi colori che ho visto e su cui ho riflettuto sono stati quelli dei fiori dei campi. Il paesaggio ha quindi esercitato su di me un’educazione formatrice eguale, se non maggiore, a quella svolta da mia madre, dai nonni e più tardi dalla scuola (Le parole della memoria, 1995, p. 77). A destra del ponte del Campana, entrando nel Castello, si apre un orizzonte di campi e il rudere di un pagliaio ricorda l’antico sistema dei mezzadri. A sinistra una strada di tornanti sale verso il Convento, e incide il fianco della collina. Bilenchi, che ben presto si trasferì a Firenze, ebbe da Colle un’educazione di provincia, legata al paesaggio della campagna tra Firenze e Siena, che finì per assumere nel punto di vista dello scrittore la funzione di un personaggio vero e proprio. Evitò spesso, nei suoi racconti e romanzi, di usare toponimi riconoscibili: in genere sostituì ai nomi delle località una sola lettera – che spesso non è neppure l’iniziale del nome. Anche per questo i luoghi dello scrittore, e la sua Colle, diventano “esistenziali”, più che geografici: Le case di mattoni scendevano come una scala rossa e irregolare giù per la collina, una dietro l’altra, alcune con minuscoli giardini posti molto più in alto del piano della strada e che sembrava frenare i muri nella strabocchevole corsa intorno alla vallata. Le case avevano tutte una veranda o una terrazza. Passo, questo, tratto da Conservatorio di Santa Teresa (1940/2001, p. 173), il romanzo forse più emblematico del rapporto tra Bilenchi e il paesaggio colligiano, che nelle pagine di quest’opera emerge con vigore e precisione. Ser-

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gio, e i suoi segreti moti interiori, vivono in una villa circondata da colline “dietro le quali si consumava il tramonto”. Frammenti: campi domati dall’uomo in geometrie regolari, case squadrate, vie alberate, il fiume, diventano attori protagonisti del romanzo. Appare così compito più semplice rintracciare nel carattere della cittadina di provincia alcuni temi letterari dello scrittore, che a sua volta dichiarò: Mi piacciono anche le strade sinuose, come quelle dei quadri di Rosai, che lasciano immaginare più che vedere, e le vecchie mura medievali possenti e inattaccabili, a delimitare uno spazio chiuso, con il loro contrasto fra il calore del mattone rossiccio e la fredda durezza della pietra serena (Le parole della memoria, 1995, p. 78). Questo è il Castello, marmo e mattoni, centro storico di Colle. Un paesaggio percepito più che descritto, tratteggiato, interiorizzato fino alla distorsione, eppure reale più di ogni altra indagine geografica. Con Ottone Rosai, con Mino Maccari, artisti del suo tempo, Bilenchi dette anima agli oggetti immobili dell’ambiente che lo circondava, assecondando i mutamenti delle stagioni con il ritmo della parola scritta. Solo in primavera e in autunno “i marmi erano nudi e vivi come nelle cave delle colline dei monti; i mattoni rossi come la terra che circondava la città. La primavera e l’autunno erano le stagioni che lasciavano intatti i colori dei palazzi, delle chiese e dei giardini”. Bilenchi e la Colle nativa. Lo scrittore tratteggiò l’urbanistica irregolare di quella che ancora adesso qualche abitante chiama la città-lucertola, per la forma allungata del centro storico, con la policromia degli edifici, data la grande varietà dei materiali da costruzione impiegate, e con la fitta e complessa trama delle vie cittadine. Una città di provincia oggi inevitabilmente cambiata rispetto all’ambiente letterario: In basso e non lontano, si trovava la piscina: questa era al principio di una vallata e aveva accanto una fonte, alta, tre archi, dove, durante l’estate, le donne dei quartieri vicini lavavano i panni” (Conservatorio, p. 173-75). Della fonte di Bilenchi, dove viale della Rimembranza comincia a salire verso la città alta, non c’è più traccia. Proprio di


fronte, al di là della strada, il fianco della collina è stato prepotentemente scavato e avanza il cantiere della Fabbrichina, nuova area urbana ricostruita sopra le macerie delle vecchie fabbriche di ceramica. Colle sperimenta, si trasforma, si allarga, eppure rimane sempre la stessa. Ha un marchio che la connoterà per sempre, simbolo di pregi e difetti, e motivo per cui è sorta: Molte strade arrivavano alla nostra città, ne sfioravano le antiche mura, l’attraversavano e, ripreso nuovo slancio, puntavano in ogni direzione. Superavano piccole borgate e campi, boschi e altri campi, poi monti e pianure, e raggiungevano città di cui conoscevo i nomi (Conservatorio, p. 178).

so ovest. Ai fianchi delle mura, infatti, non ci sono che due valli profonde, e boscose. Eppure, di nuovo, altri tipi di strade offrono alternative: introducono a una Colle umida, bassa e contadina. Scrisse Bilenchi, sempre in Conservatorio di Santa Teresa: Ancora, altre vie intersecavano la città: ad esempio, quella che scorreva un po’ più in basso del livello della piazza, e l’altra che si precipitava giù dalle colline puntando su un’antica porta merlata; ma a pochi metri da essa, con un guizzo improvviso, costeggiava le mura per andare a mettere un po’ d’ordine tra gli orti e i giardini folti di verdura, di frutti e di fiori, e per gettare un chiasso spavaldo in certe piccole valli, le più segrete che la città avesse nei suoi immediati dintorni.

A SPASSO CON ROMANO BILENCHI PER LE VIE DEL PAESE “LUCERTOLA” Colle val d’Elsa è per Bilenchi sinonimo di strada. La “cittàattraversata”, al centro di una raggiera che la poneva in comunicazione con un ampio territorio. Nasce così il paese di provincia, per un incrocio di vie, che da Firenze vanno verso Siena, e si dipanano a ovest verso Volterra e il mare, e a est verso i monti del Chianti. Da sempre Colle ha visto genti e culture passare e lasciare tracce, ha conosciuto un’economia industriale e l’affermarsi di una classe operaia forte – di cui Bilenchi fu assiduo frequentatore – proprio perché snodo di comunicazioni. Una matrice che ancora oggi la rende aperta alle innovazioni, anche urbanistiche, ma che tende a isolare dal resto del paese il centro storico, escluso dai traffici. Un turismo mordi e fuggi prima di ripartire verso Firenze, o San Gimignano, o Siena. Allora i giovani locali provano a rivitalizzare la parte vecchia, qualche nuovo locale apre i battenti, e Colle sembra rivivere tempi in cui il cuore pulsante era quello dentro le mura: Una delle strade di accesso, da polverosa che era, diventava all’inizio delle case, ripida e lastricata di pietre e mattoni, alla sommità della collina sboccava quasi a metà della via principale della città, di fianco a un caffè sempre pieno di ragazze, di donne, di giovani e di uomini, e che aveva alto dinanzi uno degli edifici più belli e più antichi (Conservatorio, p. 174). È facile, nella Colle storica, rischiare di compiere un solo tragitto, una linea retta che attraversa il borgo da est ver-

Colle gioca con le sue vie e sembra suggerire che non cambierà mai. Si diverte a illudere, far credere che è aperta al mondo. Un’urbanistica bizzarra, una discesa che collega repentina parte alta e bassa, puoi svoltare a destra, fiancheggi are le mura infestate da piante rampicanti, trovare il bosco disordinato stretto tra due colline, poi tutto finisce. Colle di Bilenchi, città-strada aperta agli orizzonti, ma in una relazione univoca. Città che riceve da ogni direzione, e che ha mura troppo spesse per uscire da se stessa.

«LA MIA CITTÀ GODEVA DI ESSERE LAMBITA E ATTRAVERSATA DA QUELLE STRADE, SE NE ABBELLIVA, AGGIUNGEVA ALLE SUE MURA E AI PALAZZI ANTICHI L’ECO DELLE NOVITÀ CHE SI PRODUCEVANO NEL MONDO» Eppure, “tutte le strade che avevamo percorso fin lì e che a me era sembrato ci allontanassero indefinitivamente, partivano dalla città e alla città ritornavano, senza alcuna possibilità di sfuggirle” (Conservatorio, pp. 179 e 184).

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BIBLIOTECA COMUNALE DI MONTERIGGIONI

Quinta tappa

La cerchia di mura adagiata sulla collina sorprende l’automobilista sulla statale Cassia che collega Colle val d’Elsa a Siena. Cercate di non farvi attrarre dal castello di Monteriggioni, almeno per adesso. La biblioteca del Comune è da altra parte, pur vicino, ma poco c’entra con l’atmosfera medievale della fortificazione. Se siete vagabondi che davvero hanno voglia di capire il luogo senza lo stereotipo del monumento, non vi dispiacerà di rimandare la visita del castello a un altro giorno, perché storie altrettanto vere, forse di più, vi aspettano. La biblioteca è in una zona completamente avulsa dal traffico suburbano. Intanto è a Castellina Scalo, frazione di Monteriggioni più grande di Monteriggioni, e poi basta chiedere al bar Sport, all’incrocio principale dell’abitato. Non vi sbaglierete. Ora prendete a piedi di fronte al bar e sbirciate alle finestre delle case dall’architettura anni Settanta. Finché non vi ritrovate al piano terra di una palazzina al numero 38. Ecco qua. Mirella la bibliotecaria sta aiutando una ragazzina a fare i compiti di geometria. Una storia piccola, dentro una biblioteca che sta qui da 15 anni, andrete in fondo, a destra per l’esattezza, dove si trova lo scaffale del fondo locale. Mirella accende tutte le luci e il libro giusto di questo pomeriggio e di questo posto è incastrato nell’ultima mensola in basso. “Accadde tutto il 28 marzo del 1944. A quel tempo, Vittorio Meoni era ventunenne e si era arruolato nella brigata partigiana “Spartaco Lavagnini”. Dopo una soffiata dei fascisti senesi il distaccamento del quale faceva parte Meoni venne scoperto. Tutti fucilati, a parte lui, che si mise in fuga”. La citazione è tratta da un fumetto di Sergio Staino pubblicato nel 2003 e racconta la storia dei partigiani di Montemaggio, la collina di Monteriggioni, quel lembo di terra che nel 1943 divenne il rifugio dei mezzadri che si fecero partigiani dando vita alla Resistenza senese, mentre gli Alleati erano fermi al Sud e i fascisti erano sempre più vogliosi di vendetta. Questo fumetto dal titolo “Montemaggio – una storia partigiana”, potrebbe diventare la vostra storia che ispira questo pomeriggio d’inizio inverno. È un libro che non si trova facilmente e dovete approfittarne… uscite dalla biblioteca e seguitene le orme, sono tutti luoghi che si trovano a un passo da Monteriggioni. Su in macchina allora verso Abbadia Isola, con la sua pieve del Mille, e poi su per la strada sterrata che conduce sul Montemaggio, verso la Casa Giubileo, dove Meoni e compagni furono sorpresi. E dove ogni anno l’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, commemora l’accaduto (sono alcuni di questi momenti a essere ritratti nelle fotografie). Tutt’intorno il silenzio, boschi di leccio e quella terra rossa di Siena che si appiccica sotto le scarpe. Il fumetto è rimasto in biblioteca, lo avete letto in giusto mezz’ora, una manciata di minuti che è bastata a cambiarvi la percezione di questo angolo di provincia. 10

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foto: Alessio Duranti


Casa Giubileo è oggi un centro didattico gestito dall’Istituto Storico della Resistenza di Siena. Tutti gli anni i comuni della Valdelsa che hanno dato i natali alle vittime dell’eccidio commemorano il 28 marzo 1944 in una manifestazione ufficiale

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foto: Alessio Duranti

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BIBLIOTECA COMUNALE DI MURLO

Vi trovate nel sudovest del territorio di Siena, tra la Val di Merse e la Valdarbia. Fermatevi in un bar, in un’osteria, parlate con le persone. coltivate la giornata con lentezza e raccogliete qualche informazione tra le sede del comune e quella della biblioteca, in via Tinoni a Vescovado di Murlo. La storia di questo angolo di Toscana è arcaica e travagliata e va ricercata nelle vecchie miniere e nel nuovo rapporto tra l’uomo e il bosco.

Sesta tappa

Sulla strada per Vescovado di Murlo, ti giri e vedi solo natura.

Per chi arriva dalla Siena-Grosseto, passando per Casciano di Murlo, la salita finisce in prossimità della Rocca di Crevole, prima di scendere verso i paesi di Murlo e Vescovado, dove ha sede la biblioteca che stiamo cercando. La Val di Merse ha dipeso totalmente e per molti decenni dall’economia della foresta (legna e carbone) e dalle miniere di pirite, rame, ferro e piombo, scavate nelle vicine Colline Metallifere. Lo sfruttamento industriale del carbon fossile a Murlo costituì dalla fine dell’Ottocento e per un bel frammento del Novecento la principale risorsa economica di una zona fondamentalmente a vocazione agricola. Per immergersi in questo territorio una proposta è quella di fare due passi sul Ponte Nero (foto nella pagina di sinistra), un vecchio collegamento ferroviario sulla rotta dei trasporti minerari sul torrente Crevole. Oggi il ponte, ricostruito più volte, fa parte di un percorso storico e didattico che ricostruisce il legame di questo territorio con l’industria dei minerali, da sempre una ricchezza sfruttata: pensate che furono gli Etruschi i primi a “lavorarli”, lasciando in queste valli e sommità di monti numerose tracce dei loro artefatti. Addirittura una quindicina d’anni fa i giornali nazionali spararono titoli come ”Gli ultimi etruschi abitano a Murlo!” Si basavano sui risultati di una ricerca dell’Università di Torino incentrata sullo studio del DNA dell’arcaica popolazione della Tuscia. A loro dire, il profilo genetico degli abitanti del comune di Murlo – un territorio storicamente isolato – è incontaminato e incorrotto da almeno due millenni. Quando gli abitanti, a fine Ottocento, si accorsero che sotto i loro piedi vi erano cave di lignite e pirite allora scavarono con la speranza di ricchezza segnando il volto del paesaggio. Ma l’economia cambia velocemente e con essa lo sfruttamento delle materie prime. Le miniere furono soltanto un’illusione durata mezzo secolo prima che le cave venissero di nuovo inghiottite dai boschi. Murlo è un piccolo centro sulle Colline della Val di Merse. Alle spalle una storia di minatori e cave, e forse anche una certa prosperità al culmine della sua vocazione. Oggi non è facile neppure andarle a vedere le miniere, né immaginare come poteva essere il territorio di Murlo anche solo poco tempo fa; nel dopoguerra molte tracce sono state cancellate e la natura ha ripreso il sopravvento. Ogni tanto dai boschi circostanti riecheggiano voci e rumori di motoseghe. Sono le nuove generazioni di tagliaboschi, una comunità di nomi come Edin, Mufid, Gregor, Elmedin, e di cognomi balcanici come Okic, Salic, Gilas. È dal 1992, da quando hanno avuto inizio le guerre intestine iugoslave, che una fetta di bosco toscano ha iniziato a divenire patria per famiglie macedoni, serbe, albanesi, montenegrine. In fuga dall’est. Esuli di un Paese che non esisteva più, hanno ricostruito, senza volerlo, la Jugoslavia all’ombra delle Metallifere – quella che una volta era terra di minerali –, riscrivendo “Il taglio del bosco” di Carlo Cassola. E siccome vengono da una zona forestale, tra Doboj e la valle della Sava, con la legna ci sanno fare. È così che la storia di queste piccole comunità della “media toscana”, da Grosseto all’entroterra pisano, ha conosciuto un capitolo nuovo. Il crinale delle colline circostanti pare bucherellato. È la luce che passa tra un albero e l’altro, laddove le motoseghe hanno reso rado il bosco. Lasciando Vescovado e seguendo le indicazioni raccolte in una vecchia guida di questo territorio trovata nella biblioteca di via Tinoni a Vescovado potete ora prendere un bivio sulla statale SR2 che conduce a Buonconvento. Seguite le indicazioni per La Befa, una specie di far west toscano: poche decine di abitanti e una stazione ferroviaria della linea Grosseto-Siena a cui si accede attraverso una strada sterrata nel bosco. La vecchia guida non tradiva… un’osteria, un passaggio a livello e il ponte senza protezioni sull’Ombrone. Un paesaggio essenziale e incorrotto che riassume tutto li spirito di questa terra di confine tra la Val di Merse e la Valdarbia.

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foto: Alessio Duranti


La gente dà il nome di crete a questi terreni, ma più che terra gessosa la loro sembrerebbe essere marna. Essa tende di continuo a smottare in gole e calanchi, mettendo a nudo le radici degli alberi e facendo della coltivazione del terreno un lavoro ingrato. J.A. Symonds

foto: Alessio Duranti

BIBLIOTECA COMUNALE “MARGHERITA MORIONDO“, MONTERONI D’ARBIA

Settima tappa

Nell’ora in cui il sole comincia ad abbassarsi e il pomeriggio diventa dolce e umido si prova un sottile piacere a percorrere in auto la statale Cassia e, superata Siena, attraversare il Colle Malamerenda con i campi intrisi di pozzanghere e le frazioni che introducono alla valle dell’Arbia ognuna con il proprio Bar-Tabacchi sulla strada. La Cassia entra ora dritta tra le case di Monteroni. Vi trovate per inerzia nel punto nevralgico del centro storico, dove la via Roma lambisce la piazzetta del Mulino. A Monteroni, se siete viaggiatori che poco si sono documentati precedentemente perché amate andare così – un po’ casualmente – cercare la biblioteca è un’occasione per capire qualcosa di più del posto. Vi trovate adesso di fronte a una torre fortificata assai robusta, la cui base è bucata dall’acqua di un canale. Tecnicamente si tratta di un bastione in laterizio risalente al XIV secolo che ha una base a scarpa ed è concluso da un coronamento a sporgere. Oltre alla torre è ancora conservato l’apparato molitorio, con la gora, il grande invaso per la raccolta dell’acqua e gli ambienti al piano interrato che ospitavano il meccanismo idraulico del ritrecine. Se non avete capito niente, non sarete i soli… Tradotto: il paese di Monteroni si è sviluppato proprio a partire da questo mulino, facente parte di un sistema-simbolo di una organizzazione economica del passato basata sulla produzione di farina e olio, in una terra che anticamente apparteneva allo Spedale di Santa Maria della Scala. Prodotti che venivano conservati nelle “grance”, costruzioni in pietra, alcune tutt’oggi fisicamente presenti, altre ormai solo ricordate dalla toponomastica della Val d’Arbia. Le grance furono le fattorie dell’ospedale, poste, generalmente, in posizione strategica, lungo la direttrice di strade importanti come la Cassia o la Francigena. Nacquero per la gestione e lo sfruttamento dei terreni ma vennero principalmente utilizzate per conservare e immagazzinare i prodotti che le campagne fornivano. Da qui l’esigenza di fortificare questi articolati complessi edilizi, di solito isolati in mezzo alla campagna. Le grance disponevano di grandi ambienti adibiti a granai, con un cortile interno attorno al quale erano disposti fabbricati e servizi di vario uso che servivano a renderle indipendenti, chiuse entro una cinta di mura fortificate. Potete rintracciare e approfondire queste storie proprio nel punto esatto in cui vi trovate, nella piazzetta del Mulino, entrando nella Biblioteca comunale Margherita Moriondo. Date un’occhiata alle stanze, ai travicelli del soffitto, alle volte, agli scaffali del fondo locale e alla sala dei ragazzi, pieni di progetti in costruzione. Ilaria e Angela, le bibliotecarie, vi metteranno a vostro agio di fronte alle letture possibili: scienza narrativa arte filosofia turismo, per un totale di 12.000 volumi. Ma nelle visite fugaci è meglio sbirciare tra le pubblicazioni locali… si trova sempre qualcosa di più vicino al luogo, qualche voce autentica, no? Tra le mani potrete così trovarvi a sfogliare la giovane rivista “il Gazzilloro”, e definire meglio l’idea che vi eravate fatti del posto. Monteroni era chiamata in origine Monte Rone, ed era tappa consueta dei pellegrini sulla Francigena, i quali si sgranchivano le ossa pernottando nella Grancia di Cuna. Il mulino invece fu fortificato perché era spesso obiettivo dei briganti, vista la quantità di cibarie che conteneva. E, ciliegina sulla torta, Monte e Rone erano nell’Alto Medioevo due paesi diversi. In mezzo a loro rimpozzava una palude. Bibliomap

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foto: Alessio Duranti

Questa terra grigia lisciata dal vento nei suoi dossi nella sua galoppata verso il mare, nella sua ressa d’armento sotto i gioghi e i contrafforti dell’interno, vista nel capogiro degli spalti, fila luce, anni luce misteriosi, fila un solo destino in molte guise, dice; “guardami sono la tua stella” e in quell’attimo punge più profonda il cuore la spina della vita. Questa terra toscana brulla e tersa dove corre il pensiero di chi resta o cresciuto da lei se ne allontana. M. Luzi, Dalla torre, 1965

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BIBLIOTECA-MEDIATECA DI ASCIANO

Ottava tappa

Verso Asciano, state percorrendo ora la SP 438 Lauretana, la strada che attraversa le Crete senesi. Sono colline di argilla e calcare, la vegetazione è quasi assente. Una morfologia avara, che nel passato si è meritata l’appellativo di “Deserto d’Accona”. I poderi abitati sulle sommità dei crinali un tempo erano il fulcro del podere e del sistema della mezzadria. Il paesaggio è da queste parti una primaria risorsa turistica e patrimonio culturale, tanto che lo scultore Jean Paul Philippe scelse nel 1993 di creare un’opera che ne sintetizzasse il valore simbolico. Per capire di cosa si tratta – siamo sempre sulla Lauretana – imboccate il bivio per la località di Leonina. Sulla sommità di una collina non visibile dalla strada principale sono installate alcune sculture in basalto: una sedia, un sarcofago, una finestra (alcune delle “tracce transitorie” dell’umanità) compongono il cosidetto “Site Transitoire”. Si dice che Jean Paul Philippe abbia studiato in modo maniacale i dettagli di questa installazione che dialoga con la diversa traiettoria che il sole disegna nelle diverse stagioni dell’anno, con l’episodio culmine del 21 di giugno, quando, con il solstizio estivo, la luce entra perpendicolarmente nell’apertura della scultura-finestra. Dopo questa parentesi proseguite verso Asciano. Qui il Comune ha predisposto un servizio di codici GQ. Si tratta di simboli decodificabili attraverso una fotografia e un collegamento internet. Permettono a chiunque abbia uno smartphone di sfruttare la tecnologia per conoscere la storia del paese. Chi non ce l’ha non si disperi: può andare all’ufficio informazioni, che è aperto il venerdì mattina. Ma ciò che è davvero consigliabile e quello che ogni visitatore merita di trovare sul proprio cammino è la biblioteca-mediateca che si raggiunge facilmente dalla via principale del centro storico, entrando nel cancello del Museo Cassioli, realizzato nel 1991 e riallestito nel 2007 con l’incremento di numerose opere in deposito dall’Istituto d’Arte “Duccio di Buonisegna” di Siena (Il museo è l’unica sede museale della provincia di Siena dedicata interamente alla pittura senese del XIX secolo). Un rilassante suono di acque che scorrono risalgono all’orecchio proprio mentre vi apprestate ad aprire la porta della mediateca. Il vicino fiume sfocia in una serie di cascate, quasi nascoste dietro allo stadio e all’architettura mussoliniana della sede dei Carabinieri che completano il composito stile architettonico della piccola “capitale delle Crete”. La mediateca, al piano di sopra, è aperta spesso dopo cena. Vi si trova un fantastico laboratorio per bambini.

foto: Alessio Duranti

Rabii El Gamrani lavora qui. Se non ha troppo da fare potrà rivelarvi preziose informazioni su Asciano e le Crete, se siete di passaggio e non avete lo smartphone potreste averne bisogno. Ad esempio, stasera è in programma la rassegna sul cinema indiano con la proiezione di “Samsara”, mentre nel prossimo fine settimana le Crete ospitano il festival d’Autunno 2012, rassegna di cultura ed enogastronomia. Certo, non scambiatelo per un ufficio turistico, ma tra film, libri e documenti locali la mediateca di Asciano fornisce al viaggiatore tutto ciò che serve per guardare con altri occhi i dintorni e avventurarsi attraverso strade sterrate sulle colline che attirano i fotografi di tutto il mondo e nelle quali pascolano i greggi di pastori venuti quassù dopo l’abolizione della mezzadria a ripopolare i calanchi.

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di Rabii El Gamrani

Si sono cercate le ragioni di quella che comunemente è stata chiamata la Primavera araba ovunque, fra complottisti e utopisti si è detto tutto e il contrario di tutto, ma nessuno ha evocato il nome di Youssef Chahine. Eppure quella stratificazione di cultura della contestazione e della lotta contro la corruzione e l’assolutismo dello stato, che ha sfociato poi nella caduta di Mubarak, gli deve molto.

Youssef Chahine “Il Fellini Egiziano” un regista simbolo del cinema arabo Se n’é andato troppo presto Youssef Chahine! Il suo cuore si è fermato tre anni prima che i ragazzi di Piazza Tahrir dessero una lezione al mondo intero su come, solo con la forza dell’unione, si riesce a rovesciare un regime fra i più longevi e corrotti del mondo arabo. In un certo senso quei ragazzi sono i suoi figli, o meglio i figli dei suoi film, lui che di figli non ne ha avuto neanche uno, o meglio 42 che è il numero dei suoi lungo e cortometraggi. Si sono cercate le ragioni di quella che comunemente è stata chiamata la Primavera araba ovunque, fra complottisti e utopisti si è detto tutto e il contrario di tutto, ma nessuno ha evocato il nome di Youssef Chahine, eppure quella stratificazione di cultura della contestazione e della lotta contro la corruzione e l’assolutismo dello stato, che ha sfociato poi nella caduta di Mubarak, gli deve molto. Di gran lunga era il regista arabo più noto nel mondo, conteso fra festival cinematografici e teatri internazionali, Chahine ha saputo brillantemente proiettare il cinema egiziano nell’internazionalità facendolo scoprire ad un pubblico ampio che va oltre l’ambito nazionale o regionale. Nasce nel 1928 ad Alessandria in una famiglia che rispecchia il cosmopolitismo di quell’Alessandria che ha dato i natali a Tawfiq Al Hakim, a Jamel Abdel Nasser, ad Edourd El Kharat a Georges Moustaki, a Filippo Marinetti, a Giuseppe Ungaretti e a tanti altri scrittori, artisti e intellettuali prima e dopo di loro. E sarà proprio un italiano, l’operatore cinematografico Alvise Orfanelli, a introdurre l’allora giovane Youssef Chahine nel cinema. Correva l’anno 1950 e Chahine firmava il suo primo lungometraggio “Baba Amin”. Un anno dopo, il regista fu chiamato al Festival di Cannes per presentare il suo capolavoro “Il ragazzo del Nilo”, da allora Chahine frequenterà assiduamente Cannes fino a vincere nel 1997 la Palma d’oro per l’insieme delle sue opere. Il regista de “Il destino”, uno dei pochissimi film che il pubblico italiano ha avuto l’occasione di vedere anche sulle reti televisive italiane, affianca alla sua carriera da regista anche quella da attore e “talent scout”. Di fatto Chahine appare spesso nei suoi film anche in ruoli marginali o per delle semplici comparsate, e la sua non è una mania di protagonismo, bensì il desiderio di intensificare quel cordone ombelicale che lega l’artista alla sua opera, una specie di firma che ha la valenza dell’appartenenza a quell’opera che i titoli di coda da soli non sarebbero in grado di esprimere. In quanto talent scout lancia una moltitudine di attori e attrici fra cui il famoso Omar Sherif, ed è il mentore di almeno tre generazioni di registi. La sua ultima opera “Il Caos” la firma insieme al suo giovane allievo Khaled Youssef. In 58 anni di carriera Chahine ha mischiato i generi e le tematiche, distinguendosi per il suo stile cinematografico particolare che gli fece meritare la fama di “Fellini d’Egitto”. Nei suoi numerosi film il regista alessandrino è passato dal realismo crudo di pellicole come “Bab Al-Hadid” (Stazione centrale) e “Al Ard” (La Terra), al colossal storico di film come “Al Nasser Salah Eddine”(Saladino), “Al Mohajer” (L’emigrante) e “Addio Bonaparte”. Si è misurato con la narrazione autobiografica a sfondo politico nella sua colossale quadrilogia, che ebbe inizio nel 1976 con “Il ritorno del figlio prodigo”, per concludersi nel 1990 con “Alessandria ancora e per sempre” e, fra questi due capolavori, che gli valsero il Leone d’Oro a Berlino, Chahine realizzò “Alessandria… perché” e “Una storia egiziana”.

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In questi quattro film, partendo dalla sua vita privata, dalle sue lotte culturali, politiche e sociali, perfezionò un ritratto amaro dell’Egitto e del mondo arabo in preda a uno smarrimento totale dopo la scottante sconfitta nella guerra del 1967 e il fallimento del panarabismo inaugurato da Jamal Abd- Nasser. Conclusa questa lunga e geniale parentesi autobiografica, Chahine riprese la sua narrazione cinematografica attraverso l’imponente film “Il Destino” che rielabora la vita e l’apporto del filosofo arabo Averroé nel rinnovo del pensiero filosofico e politico del mondo, ed è anche l’occasione per una lezione di storia per il mondo arabo in preda al fanatismo e all’oscurantismo. Il film venne accolto con grande entusiasmo perché oltre alla qualità della storia, delle atmosfere e della resa degli attori, la pellicola offre al pubblico la possibilità di fare un tuffo nell’arte, nella poesia, nell’architettura e nella canzone Medioevale andalusa. Chahine incide il suo nome come esponente di spicco del cinema mondiale riuscendo a vincere la Palma d’Oro a Cannes nel 1997. Seguiranno altri capolavori come “Al Akhar” (L’altro) in cui il regista alessandrino interroga le dialettiche del rapporto sofferto e conflittuale fra il mondo arabo e l’occidente, ma è un’interrogazione dal gusto raffinato che si pone in una prospettiva di dialogo costruttivo che percorre le ragioni di un malinteso difficile da superare. Nessun vittimismo, nessuna tentazione di condanna a priori e di un’assolu-

zione dell’uno e dell’altro, un film maturo, intelligente e responsabile con il quale Chahine supera la miope dicotomia dei buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Ed è in questa prospettiva che si inserisce il suo penultimo lungometraggio “Alessandria…New York” che, oltre a continuare il dialogo con l’occidente, contiene molti cenni autobiografici, spingendo così alcuni critici cinematografici a collocarlo nel filone autobiografico come quinto episodio della quadrilogia Chahiniana. Siamo al 2007 e finalmente “Il Fillini d’Egitto” approda a Venezia con il suo ultimo film “Il Caos”. Dicevo che se n’è andato troppo presto Youssef Chahine, perché “Il Caos” è una profezia, un’incitazione alla rivolta, un film di impegno civile e politico dove il regista lancia un urlo di rabbia contro la dittatura e la corruzione in Egitto. I suoi ragazzi hanno risposto all’urlo tre anni dopo e Piazza Tahrir ne è testimone. Chahine è stato il portabandiera di quella schiera di artisti e intellettuali che si opponeva al regime di Mubarak, subendo la censura e la vessazione dallo Stato. Di fatto, film come “Il ritorno del figlio prodigo”, “L’Emigrante” e “L’altro” sono stati a lungo censurati in Egitto costringendo il regista all’esilio volontario in Francia. Mi verrebbe da citare i versi del famoso poeta palestinese Mahmud Darwish: “Nerone è morto, ma Roma è sempre viva”. Mubarak se n’è andato, ma Chahine nella sua assenza è sempre presente.

PARTENDO DALLA SUA VITA PRIVATA, DALLE SUE LOTTE CULTURALI, POLITICHE E SOCIALI, CHAHINE PERFEZIONÒ ATTRAVERSO IL CINEMA UN RITRATTO AMARO DELL’EGITTO E DEL MONDO ARABO IN PREDA A UNO SMARRIMENTO TOTALE DOPO LA SCOTTANTE SCONFITTA NELLA GUERRA DEL 1967 E IL FALLIMENTO DEL PANARABISMO INAUGURATO DA JAMAL ABD- NASSER. Filmologia disponibile in Italiano 1 - A Ciascuno il suo cinema, Un mosaico di letture e spunti sul mondo del cinema con altri 8 registi, 2007 2 - Il Caos, 2007 3 - 11 Settembre 2001, 11 autori per ricordare l’11 settembre in 11 cortometraggi, 2002 4 - Silence on tourne, 2001 5 - L’altro, 1999 6 - Il destino, 1997

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foto: Alessio Duranti


BIBLIOTECA COMUNALE DI RAPOLANO TERME

Nona tappa

Rapolano Terme accoglie il visitatore di biblioteche in veste un po’ dismessa. Rari giovani fanno gruppetto sulla porta del bar Centrale, affacciato sulla strada provinciale che lambisce l’ingresso. Nella piazza i più anziani sono riuniti intorno alle bacheche informative, in cui è affissa la pagina culturale dell’Unità. Ingannate il clima “sospeso” passeggiando: potete attraversare la strada in corrispondenza del Teatro del Popolo (del 1888, ristrutturato nel 2011) e continuare a piedi fino al bivio per le scuole medie. Insieme alla palestra e alla sede della biblioteca questi edifici formano un complesso basso e squadrato, le cui pareti sono dipinte da alcuni murales. Un luogo decisamente underground: gli sguardi delle signore che attendono l’apertura della palestra e un occhio che si affaccia da una finestra di un’aula (un alunno?) potrebbero farvi sentire osservati. Se avete un po’ di tempo perlustrate allora la zona limitrofa. Un sentiero costeggia le case a sinistra dell’ingresso della biblioteca e conduce al Consorzio Agrario, riconoscibile per il silos che si staglia nel cielo. Se proseguite, vi trovate sui binari del passaggio a livello. La stazione di Rapolano Terme, sulla sinistra, è ad un passo. Sulla destra i binari si perdono invece nel verde delle campagne. Di fronte, la strada sterrata finisce nel cortile di una pieve dell’anno Mille. La geografia del paesaggio di Rapolano si sintetizza in questi pochi metri quadrati e si completa facendo due chiacchiere con qualcuno del posto. Varno libera il marciapiede di fronte all’ingresso di casa dalle foglie secche: è con lui che si può approfondire la storia del Consorzio Agrario, “quel silos è per il grano”, dice, ma in generale lì si fa un po’ di tutto. Varno era fino a qualche anno fa un artigiano del travertino, il materiale da costruzione simbolo di Rapolano. Lo tagliava con una mola ad acqua, spiega, per addormentare la nube di cristalli di polvere che si liberavano nell’aria al passaggio della lama. Nordovest / Sudest si conclude con questo incontro prima di entrare nella sala lettura della biblioteca, dove Emanuela, qui volontaria e nella vita insegnante di matematica a Montalcino, sta riordinando alcune pile di volumi. Dalla finestra si intravede Varno che continua a ripulire il marciapiede dalle foglie secche con un ritmo costante e cadenzato. Nello scaffale del fondo locale magari troverete qualcosa sulla storia del travertino e di questo territorio consumato dal rude rapporto tra uomo e quel sottosuolo venato di marmi e percorso da acque termali.


I FONDI SPECIALI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA di Katia Cestelli

La Biblioteca della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Siena è stata istituita alla nascita della Facoltà nell’Anno Accademico 1971-72; ad oggi il suo patrimonio conta 205.000 volumi e circa 1000 titoli di periodici. Fin dall’inizio tra le modalità d’incremento del patrimonio è stata privilegiata l’acquisizione, tramite donazione o acquisto, di importanti fondi bibliografici e archivistici appartenuti a studiosi e personalità di rilievo della cultura italiana e internazionale, in particolare nell’ambito ‘900esco. Oggi tali materiali caratterizzano la Biblioteca, dandole un carattere di unicità e facendone un polo scientifico di rilievo a livello nazionale. Oltre al pregio bibliografico, storico o artistico delle singole edizioni e delle altre I fondi speciali che la tipologie documenBiblioteca della Facoltà tarie che le costituiscono (manoscritti di Lettere e Filosofia di di vario genere, foto, Siena coltiva da anni disegni, stampe, repermettono di entrare gistrazioni audio e nelle vicende della video, etc.), queste cultura europea del “raccolte d’autore” Novecento – di cui è parte integrante un cospicuo settore archivistico – sono dotate nel loro insieme di un’importanza fondamentale per la ricerca nei diversi ambiti disciplinari. Esse contribuiscono, inoltre, in modo essenziale allo studio della biografia e del contesto culturale di appartenenza delle personalità che le hanno formate, nonché di periodi storici di particolare interesse. In quanto “biblioteche di lavoro” sia grazie al contenuto dei documenti che ne fanno parte – come carteggi, manoscritti inediti, stesure preliminari di opere pubblicate – sia per il modo stesso in cui sono state organizzate dai loro creatori e per i segni d’uso presenti sui materiali – appunti autografi, segni d’attenzione, dediche – ci forniscono importanti informazioni su quali testi gli autori abbiano effettivamente utilizzato nella composizione delle loro opere, sul metodo di lavoro impiegato nei loro studi e sulla rete delle loro relazioni umane e scientifiche. I campi disciplinari sono i più diversi, di ambito umanistico: archeologia, storia dell’istruzione, storia dell’arte, letteratura, musica, filosofia. 22

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Il materiale di tali fondi è soggetto a particolare tutela e a specifiche condizioni di fruibilità da parte degli utenti. Da diversi anni l’acquisizione di questo tipo di fondi è normalmente vincolata alla condizione che ne sia mantenuta l’unità originaria; ad essi sono dunque destinate apposite sale in Biblioteca e la consultazione dei libri e documenti avviene sotto il controllo del bibliotecario o dell’archivista. I libri di alcune raccolte, entrate a far parte del posseduto della Biblioteca in anni meno recenti, sono state invece distribuiti nei vari settori disciplinari a scaffale aperto in cui è organizzato, a partire dalla fine degli anni ’80, tutto il resto del patrimonio librario (periodici inclusi). Attraverso successive ricognizioni sul posseduto della Biblioteca gran parte di queste edizioni sono state oggi recuperate e collocate nel Fondo Rari. Tali recuperi sono tuttora in corso. La Biblioteca valorizza costantemente il materiale dei fondi speciali attraverso la pubblicazione di cataloghi, bibliografie speciali e l’allestimento di esposizioni. Sono state altresì organizzate giornate di studio sugli intellettuali titolari dei fondi, come Franco Fortini, Alessandro Parronchi, Raissa Gourevich Calza, Imre Toth. Un’informazione di base sui fondi è in linea all’indirizzo: <http://prometeo.lett.unisi.it/informazioni/archivi/archivi. html>. Di particolare rilievo sono i fondi: Franco Fortini (1917-1994): poeta, saggista, traduttore, copywriter, sceneggiatore, consulente editoriale, pubblicista, docente universitario. La biblioteca – oltre 5000 volumi, principalmente opere di letteratura del ‘900 e di critica letteraria – presenta numerose dediche manoscritte d’autore e annotazioni di mano dello scrittore. L’archivio comprende la corrispondenza (oltre 5000 lettere), documenti manoscritti autografi di vario genere, fascicoli rilegati di fotocopie di articoli, saggi e altro pubblicati nel periodo 1949-90, copie di interviste radiofoniche, materiale video. Alessandro Parronchi (1914-2006): storico dell’arte, critico letterario, poeta, traduttore. Il fondo comprende una sezione libraria di ambito prevalentemente storico-artistico e letterario, incluso un nucleo di edizioni antiche a partire dal secolo XV di notevole pregio bibliografico e storico e alcune importanti prime edizioni novecentesche. L’archivio è costituito da materiali di lavoro e corrispondenza (circa 8000 lettere); ad esso sono accorpati i due sub-fondi Luca Ghiselli e Vasco Pratolini, costituiti per volontà di Parronchi


con documenti e lettere dei due amici, tra cui manoscritti autografi e prime stesure dattiloscritte di romanzi e componimenti poetici. Ranuccio Bianchi Bandinelli (1900-1975): padre fondatore dell’archeologia moderna in Italia, storico dell’arte antica. Il fondo librario, formato da edizioni antiche e moderne di ambito principalmente storico-artistico e archeologico, è stato acquistato dalla Biblioteca presso gli eredi nel 1976. Il fondo archivistico è suddiviso in due serie: “Documenti rinvenuti nel fondo librario e nella miscellanea”; “Documenti rinvenuti nel fondo della Famiglia”. I documenti della seconda serie appartengono al Fondo archivistico della Famiglia Bianchi Bandinelli acquistato dalla Biblioteca nel 1988. Marino Raicich (1925-1996): storico dell’istruzione, filologo classico, insegnante. Il fondo comprende: la biblioteca (circa 12.000 volumi tra antichi e moderni, prevalentemente opere di classici della letteratura, libri di pedagogia e storia dell’istruzione), estratti (circa 230 raccoglitori) e l’archivio (circa 200 scatole e buste contenenti corrispondenza, saggi manoscritti o dattiloscritti, quaderni di appunti). Raissa Gourevich Calza (1897-1979): nobile russa, archeologa, ballerina e prima moglie di Giorgio De Chirico. Il fondo, specializzato nei campi dell’antichità classica e dell’archeologia, è stato donato da Raissa Calza alla Biblioteca nel 1974. È costituito dalla biblioteca (circa 1275 edizioni, in parte antiche), dagli estratti (circa 40 raccoglitori) e dall’archivio (fotografie personali, di famiglia, di lavoro: campagne di scavo, statue, materiale archeologico di Ostia; schede catalografiche manoscritte o dattiloscritte; taccuini con appunti; lettere). Fabrizio De André (1940-1999): cantautore, pietra miliare della canzone d’autore. I volumi della biblioteca personale di De André presentano generalmente annotazioni autografe del cantautore e offrono interessanti spunti per la ricostruzione della sua attività artistica. Una piccola sezione del fondo è costituita da manuali di agricoltura e allevamento, collegati all’acquisto e alla gestione di terreni in Sardegna. L’archivio comprende lettere, manoscritti e fotografie. Imre Toth (1921-2010): filosofo, storico della matematica. Il fondo, donato alla Biblioteca nel 2010, comprende: la biblioteca (circa 800 edizioni di argomento filosofico e matematico, inclusi diversi esemplari di opere di Toth con correzioni e postille autografe); le miscellanee (articoli in fotocopia,

estratti da riviste specializzate, ritagli stampa, recensioni, dattiloscritti di lavori preparatori per convegni e pubblicazioni, bibliografie); l’archivio (circa 6000 lettere, scritte dal 1940 alla morte di Toth; 13 quaderni autografi degli anni ’40 del ‘900, in parte compilati in prigione; schedari; materiali didattici; stesure e bozze di stampa con correzioni autografe). Fanno parte del fondo 70 collages composti dall’autore tra il 1970 e la fine del secolo scorso. Questi ultimi, ispirati a concetti e testi filosofici, sono opere di elevato livello estetico e artistico. Riccardo Francovich (1946-2007): archeologo medievale, docente universitario. Il fondo, specializzato nel campo dell’archeologia medievale, è stato acquisito dalla Biblioteca per dono e comprende: la biblioteca (circa 5000 edizioni) e le miscellanee (oltre 5000 estratti da riviste specializzate e articoli in fotocopia). Luciano Bellosi (1936-2011): storico dell’arte, docente universitario. Il fondo, donato alla Biblioteca nel 2011, comprende: la biblioteca (circa 8000 libri, prevalentemente opere di storia dell’arte) e l’archivio (lettere, documenti vari, quaderni con appunti, fotografie, cartoline d’arte, diapositive). Altri fondi: Enzo Carli, Stefano Cairola, Paolo Cesarini, Marco Dinoi, Maria Teresa Scibona, Mario Fubini, Alvaro Corrieri, Alceste Angelini, Enrico Crispolti, Famiglia Della Bianca, Sandro Pertini, Tommaso Detti, Marcello Flores d’Arcais, Antonio e Donatella Fagioli, Alessandro Mazzone, Barbara e Pier Giuseppe Scardigli, Beniamino Placido, Luciano Giannelli, Istituto Gramsci, Wilhelm Kurze (conservato presso la sede di Grosseto).

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di Tiziana Angioli

Quella comunale di Sinalunga è una moderna

biblioteca di pubblica lettura di ente locale che, oltre a perseguire gli obiettivi di conservazione del patrimonio storico documentario, svolge funzioni di biblioteca contemporanea di informazione generale. Non si configura certo come biblioteca “storica”, ma dai documenti dell’Archivio Storico Comunale risultano notizie della presenza di una “Biblioteca Pubblica” a Sinalunga già nel 1756, quando Mariano Cinelli, membro dell’Accademia dei Concordi (poi Accademia degli Smantellati) meglio conosciuto con il nome accademico di “Infiammato, uomo di una certa cultura e zelante cittadino”, mette a disposizione della cittadinanza un primo nucleo di libri con lo scopo di farne una biblioteca di pubblica lettura. Sicuramente questa “biblioteca pubblica” fu effettivamente realizzata poiché Giuseppe Stocchi (1832-1900) nella storica relazione (datata 1864) inviata alla Prefettura di Siena “Se debba scriversi Sinalunga o Asinalunga”, tra i tanti documenti a sostegno dell’evidenza che il nome derivato dalle fonti più antiche fosse “Sinalunga”, cita anche il “Sigillo dell’antica Biblioteca rappresentante un Libro aperto con una Stella sopra e con intorno le parole Publica Bibliotecha Senalongae”. Nelle cronache redatte successivamente da Luigi Agnolucci (18321926) e conservate dell’Archivio storico, si racconta che la Biblioteca fondata dal Cinelli sia andata con il tempo per la maggior parte dispersa, e che nel 1870 si ricostituiva una “Biblioteca circolante”. La conferma del racconto dell’ Agnolucci ci viene da una deliberazione del Regio Commissario, la n. 29 del 1° marzo 1915, che ha per oggetto l’approvazione del Nuovo Regolamento della Biblioteca Circolante, “ritenuta l’opportunità di riattivare il funzionamento della Biblioteca comunale Circolante in quanto essa costituisce uno dei principali fattori dell’educazione del popolo”. Di fatto è dalla fine degli anni ‘80 che il Comune di Sinalunga investe in un progetto di lungo perio24

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«NOI CI SIAMO E VOGLIAMO RESISTERE E CONTINUARE AD OFFRIRE LUOGHI E SERVIZI, ACCOGLIENTI, INFORMAZIONI, CONOSCENZE, PAROLE, IDEE PER GUARDARE LONTANO E UN SORRISO PER STARE BENE QUI E ORA»

do per la rinascita della Biblioteca e il punto di svolta significativo, che ha permesso alla Biblioteca di Sinalunga di crescere e radicarsi sempre più nel territorio, è da ricondurre all’avvio di una nuova esperienza: la gestione associata con le Biblioteche dei Comuni di Torrita di Siena e Trequanda, nel ruolo di ente capofila, avviata ad ottobre 2004 e tutt’ora in essere; e ancora di più dal cambiamento di sede. Nel settembre 2007 è stato infatti abbandonato lo spazio angusto dei vecchi locali per andare ad occupare quelli della ex Aula Magna dell’Istituto Scolastico Comprensivo “John Lennon” di Sinalunga, un ampio locale luminoso, accogliente e senza più barriere architettoniche. Da allora molte cose sono cambiate e quella che all’inizio poteva sembrare una scelta obbligata dalla mancanza di alternative, ma poco felice in termini logistici (la collocazione all’interno di un edificio scolastico rafforza l’idea spesso diffusa di una biblioteca destinata solo agli studenti), si è rivelata invece una scelta vincente, per quelle strane alchimie che accadono quando si mette passione nelle imprese più difficili. E sono i numeri a dircelo, primo fra tutti quello dei prestiti in sede passati da 5460 del 2007 agli 8648 del 2011; lo stesso per gli utenti saliti agli oltre 1000 del 2011 contro gli 841 di cinque anni prima, cosi come il patrimonio librario cresciuto ai circa 15.800 volumi costituiti in massima parte da monografie appartenenti alla produzione editoriale più recente. Dietro questi risultati, estremamente incoraggianti anche se ancora al di sotto degli standard di altre realtà soprattutto dell’alta Toscana, c’è naturalmente un lavoro di progetti, proposte e programmi la cui realizzazione è stata in larga parte resa possibile grazie alla disponibilità di spazi più ampi e anche alla gestione associata. Ecco quindi i laboratori sul libro rivolti a tutte le scuole del nostro territorio, le visite in biblioteca che hanno visto coinvolte anche scuole di altri Comuni, approfittando dello spazio per i lettori più giovani che è stato possibile allestire, le aperture straordinarie alla domenica pomeriggio riservate ai bambini e alle famiglie, le presentazioni di libri e gli incontri con gli autori, le mostre di libri. Un sito internet del nostro servizio associato ci connette da allora anche attraverso la rete con i molti utenti – www.biblioato.it – che trovano informazioni diverse e soprattutto la possibilità di consultare tutto il catalogo dei libri della nostra Biblioteca, ma anche di quelle associate e delle altre biblioteche pubbliche e universitarie aderenti alla Rete Documentaria Senese (www.redos.it – www.unisi.it/biblioteche. html) rendendo di fatto semplice anche la possibilità per gli utenti di accedere al “prestito interbibliotecario”. Ma non ci siamo fermati… la disponibilità di nuovi spazi e la possibilità di garantire molteplici servizi ha sostenuto nuovi progetti e ci ha messi “in movimento”. La Biblioteca di Sinalunga è infatti presente in tutte quelle occasioni in cui una selezione dei nostri libri, oltre a costituire un “valore aggiunto” per varie iniziative è soprattutto un’occasione per promuovere il nostro servizio. Ecco quindi che il “bancone del prestito” è presente nel Teatro Comunale in occasione degli spettacoli della stagione teatrale, soprattutto per quelli di Teatro Ragazzi; oppure in piazza, durante l’appuntamento mensile del “Mercatale” o in luoghi suggestivi come i “Salotti di Fattoria” della tenuta della Fratta o “Il Granaio” della Fattoria dell’Amorosa in occasione di serate di libri e di musica. Ma non solo eventi e manifestazioni, uno dei progetti recenti che ha caratterizzato il nostro impegno per tutto il territorio della Valdichiana l’avvio di “Libri e storie, emozioni per curarsi”, progetto di lettura in ospedale avviato presso gli Ospedali Riuniti della Valdichiana Senese in collaborazione con la ASL 7 della zona. Nato nel 2005 dietro adesione al P.I.R. (Progetto di Interesse Regionale) “Strutture e Servizi del sistema documentario e degli archivi” proposto e finanziato dalla Regione Toscana, il progetto si è avvalso fin dal suo esordio dell’esperienza e dei contatti nati in seguito alla collaborazione tra la Biblioteca comunale di Sinalunga e il reparto di Pediatria dell’Ospedale di Nottola nel contesto del progetto “Nati per Leggere”.


Attualmente l’Ospedale conta su una biblioteca intitolata al poeta “Mario Luzi” e su un servizio di prestito nei reparti gestiti entrambi grazie all’aiuto dei volontari. L’altro progetto “in movimento”, più recente ma non meno importante, riguarda l’apertura di un punto prestito della Biblioteca comunale nella frazione di Bettolle, grazie alla collaborazione con “La Frontiera”, associazione culturale costituita in larga parte da giovani, è stato possibile garantire fin dal 2009 la presenza di un punto prestito della Biblioteca comunale oltre ad uno spazio arredato per organizzare incontri, laboratori con i bambini in un centro abitato come quello di Bettolle di oltre 4500 abitanti. L’integrazione tra i servizi comunali e in particolare quelli scolastici ed educativi è da sempre uno dei punti di forza dei servizi della Biblioteca, una delle più recenti esperienze che ha riscosso molto interesse è stata la BiNi (biblioteca del nido d’infanzia comunale) Il Nido d’infanzia “L’aquilone” ha da molti anni una sua biblioteca e uno spazio pensato per la lettura coni bambini: leggere ai bambini così piccoli è sempre stata una delle buone pratiche degli educatori e uno degli strumenti qualificanti del progetto educativo del “Nido l’aquilone”. Dal gennaio 2012, grazie alla stretta sinergia con la Biblioteca comunale, la BiNi ha un un ulteriore progetto, inserito anche nella rete “Nati per leggere”: i genitori ogni venerdì possono prendere un libro in prestito e portarlo a casa in una delle comode borse cucite per i libri e che ormai i bambini conoscono bene; al lunedì il libro viene riconsegnato. Il progetto è stato opportunamente presentato con piccoli suggerimenti ai genitori, che ne stanno decretando il successo e la continuazione con piccoli e semplici consigli: il bello è tra venerdì e lunedì, infatti lo puoi scegliere insieme a tuo figlio, o fargli una sorpresa, in ogni caso gli piacerà moltissi-

mo, soprattutto perché sarà un modo speciale di stare insieme. Potrete guardare le immagini e dirvi cosa vi salta in mente, puoi leggergli la storia, puoi ascoltare come lui la racconta a te: lui scoprirà il mondo attraverso la tua voce e con gli occhi della fantasia e tu scoprirai che lui, così piccolo, conosce già un sacco di cose ed ogni giorno è più pronto per impararne delle altre. L’attività editoriale ha caratterizzato l’impegno della Biblioteca comunale di Sinalunga da molti anni: il primo numero della pubblicazione periodica “Quaderni Sinalunghesi” risale al 1989, poco più di 30 pagine fino alle monografie degli ultimi anni in una arricchita linea editoriale che ha visto numeri che ormai superano le 100 pagine. Un impegno costante negli anni ha permesso di raccontare e documentare, con parole e immagini, il patrimonio storico, artistico, architettonico, paesaggistico, culturale e sociale di questo territorio, per non perdere ciò che resta del lavoro di uomini e donne, degli eventi accaduti, dei documenti trasmessi, del tempo consumato. I Quaderni sono diventati il luogo di importanti collaborazioni volontarie e gratuite. I professionisti ci hanno offerto i loro contributi scientifici nello studio di manufatti ed edifici di pregio, mantenendo però le monografie, la prerogativa di un lavoro “fatto in casa” unito alla costante attenzione al rigore scientifico della ricerca storica e bibliografica. Questa dunque la nostra realtà: ricca di soddisfazioni e progetti realizzati, ma anche di aspettative e sogni che vengono ridimensionati. Resta l’impegno e la voglia di fare, di confrontarsi con le sfide che il futuro pone a tutti coloro che amano i libri e che lavorano per promuovere e radicare l’abitudine alla lettura, con attenzione anche ai nuovi strumenti dei media.

«RESTA LA FERMA CONVINZIONE DEL RUOLO INSOSTITUIBILE CHE DEVE SVOLGERE UN SERVIZIO PUBBLICO COME LA BIBLIOTECA; UN SERVIZIO PER TUTTI, DAI PICCOLISSIMI BIMBI DI UN NIDO D’INFANZIA, AGLI ANZIANI DI UNA RESIDENZA ASSISTITA, DAGLI STUDENTI NAVIGANTI A CHI È ARRIVATO DA LONTANO E DEVE ANCORA IMPARARE LA NOSTRA LINGUA. PER TUTTI… »

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6 genano, 2 r e M ( e illuValent ore e Andrea68) è uno scrittsuo primo lavo9 Il etta naio 1 liano. a vign re ita con un York , 0 w 9 e strato 9 N al 1 del e e l n a i s g i a o colro r lle p seguit ata su o c t i t l a b f nali b pu nno n gior cui ha ali co i r libri o t i Times, i one d ni ed i o z i a z c a i r l labo one di a pubb izzazi ste, l l i a v e i r r e e la . gazzi natura el per ra varia i tore d d a e i r t c t e l i to nel è a prog n e Nera, Valent a a r e o r c d e An la P aggio ina. person cartol a n u u s 1995

il vostro rapporto con le biblioteche: da bambini le frequentavate? adesso vi ritrovate a essere protagonisti soprattutto nelle sezioni dedicate ai bambini: che si prova e che idea avete del servizio bibliotecario italiano? --scrittori di storie e illustratori: come avete scoperto questo talento e quanto è difficile farlo diventare un lavoro? --La cultura in Italia: argomento “caldo” in questo inizio secondo decennio del xxi secolo: come un artista vede la nostra situazione più una ricetta per “salvare” i piccoli lettori.

Da bambino non ero un grande frequentatore della biblioteca, per quanto a Merano, dove sono nato e cresciuto, ce ne fosse (e c’è ancora) una molto bella e fornita. Il fatto è che a casa mia i libri erano, appunto, di casa. Li trovavo qua e là e, se ne desideravo uno in particolare, i miei genitori me lo procuravano. Ricordo, però, con affetto, la piccola biblioteca di classe, alle elementari. Occupava il davanzale di una finestra: un paio di metri in tutto. Pochi libri, ma selezionatissimi e adorati da noi marmocchi. Oggi che di biblioteche ne visito molte, trovo una situazione a dir poco frastagliata: grandi eccellenze e grandi lacune. Come in molti altri ambiti, nel nostro paese. Il disegno mi è sempre uscito dai polpastrelli e l’ho coltivato come piacere per tutta la mia vita. La scrittura è invece una cosa più recente. Avendo creato il personaggio della Pecora Nera, mi è stato chiesto di scriverne un libro, che è andato bene e ha spalancato le porte per tutto gli altri. Nulla di troppo pianificato, come quasi tutto ciò che mi è successo. Scrittura (soprattutto) e disegno sono per me un lavoro, nel senso che sono i perni intorno ai quali ruota tutto il resto. Con i libri non ci campo, ma grazie a loro insegno, racconto, folleggio, organizzo… e scrivo e disegno. I piccoli lettori leggono volentieri se trovano qualcosa da leggere. Il problema è la reperibilità e la disponibilità dei testi. In una casa senza libri, difficilmente nascerà il desiderio di leggere. La situazione culturale è un discorso diverso e ha a che fare con la miopia o la lungimiranza di chi ha il potere di fare delle scelte per nostro conto. Non investire sulla cultura in Italia è come se in Arabia Saudita non si estraesse più il petrolio, perché le pompe costano… l’Italia è la sua cultura. Io sono fiero di farne parte. Avendo pazienza i frutti arrivano, ma il tempo oggidì corre a un ritmo diverso ed è arduo mantenere l’equilibrio.

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TRE DOMANDE PER UN DOPPIO D’AUTORE di Chiara Cardaioli

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a Triest Costa è nata su o priNicoletta il lustrato il

nel 1953. Ha sciolino one” anni : “Il pe 12 a o br a “Lo zibald li mo nella collan to ca li bb pu piccolo” ccole ita Pittoni. ni giorno pi curata da An tta vivono og le e fiduco er Ni av di ad i bambini o I personaggi an ut ai e nture ch “grandi” avve gi, si. es st suoi personag se cia in n solo per i no te ta en iu lm sc ci no fa co iale Nicoletta è afico essenz lmenil tratto gr riescono faci e o an am ma anche per i in mb ba i e e, ch riconoscibil a e. ar Strega Teodor it im a te Coniglio e la io ul Gi , ga . ti La Nuvola Ol onaggi più no dei suoi pers solo alcuni

non esistevano. mia scuola di suore lla ne e, ch te lio bib entavo mi sono stati reDa piccola non frequ ande lettrice, i primi libri per bambini una sua grande e gr Mia madre era una compagna di scuola Ziliotto , una sua ex lla te na Do da i lat ga amica. ena per puro divertim do ero molto piccol an , qu so en da m fin im e, e pr er m a di colori… un piac Io ho disegnato se ricevevo una scatol scatola di matite to… Ricordo quando o Natale mi ha portato una grande la o il coraggio di usar una volta Babb Stabilo, non ho avut Ho frequentato il liceo per molto tempo. laureata in architettu e classico e mi sono ar gn se di r ato di pote ra, non ho mai pens o piano ho cominan pi i po , re per mestie eso primi libri e ci ho pr o ciato a pubblicare i or lav un il mio lavoro, gusto… è diventato molto fortunata! go che adoro. Mi riten le e … vedo che le scuo Discorso complesso o mezzi per lavorare, hann le biblioteche non a! che tristezz più ge ha una marcia in Un bambino che leg ulto con una marad e diventerà certo un sere ottimista: se gli es di o rc cia in più… Ce ro e comunicano la lo insegnanti leggono mbini, si può sperare. ai ba passione per i libri

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AL FARO Clima e paesaggio in uno dei romanzi più celebri di Virginia Woolf di Irene Baldoni Alcune opere letterarie non si limitano a restituire la storia e l’atmosfera di un luogo – compito di per sé arduo – ma contribuiscono a crearne la specificità inserendosi a gamba tesa nel mondo reale, tanto che sarà impossibile, poi, osservare la mappa di un territorio o visitare una città senza essere influenzati dal cortocircuito con la carta stampata. In particolare, chi legge Al Faro di Virginia Woolf (1927) vede nascere l’isola di Skye – la più grande delle Ebridi interne, nella Scozia occidentale – e il suo clima instabile sotto i propri occhi, pagina dopo pagina. Il fatto che l’autrice abbia trascorso periodi di vacanza a St. Ives in Cornovaglia, e che da lì derivi forse l’ambientazione del romanzo, non contraddice quanto detto inizialmente: l’arte sa essere più reale dei dati oggettivi, e il lettore approdato sull’isola di Skye cercherà il Faro in lontananza e sentirà soffiare lo stesso vento descritto dalla Woolf. Gli agenti atmosferici sono i protagonisti della seconda sezione del libro, intitolata Time Passes: il “tempo” a cui ci si riferisce è quello cronologicamente misurabile, ma la sua rappresentazione avviene attraverso il “tempo” inteso come “clima”. Dopo la magistrale scena della cena che conclude la prima parte del romanzo, i coniugi Ramsay, i loro otto figli e gli amici ospiti nella proprietà della famiglia si ritirano nelle camere da letto. Nella notte, quasi dopo aver atteso l’incoscienza del sonno, il vento invade l’abitazione: Nulla si muoveva in salotto o nella sala da pranzo o sulle scale. Soltanto attraverso i cardini arrugginiti e il legno gonfio per l’umidità marina brevi aliti di vento, separandosi dall’insieme (la casa dopo tutto era sconnessa) girarono furtivamente gli angoli e si avventurarono in casa. Era quasi possibile immaginarli, mentre entravano in salotto, interrogandosi e meravigliandosi, giocherellando con un lembo che si staccava dalla carta da parati, chiedendosi: continuerà a pendere ancora a lungo, quando cadrà? Poi sfiorando morbidamente le pareti, passarono fantasticando come volessero chiedere alle rose rosse e gialle della carta da parati se sarebbero appassite, e interrogando (con dolcezza, perché avevano molto tempo a disposizione) le lettere strappate nel cestino della carta straccia, i fiori, i libri, tutti aperti a loro ormai, e chiedendo: Erano alleati? Erano nemici? Quanto pensavano di poter durare? Con uno slittamento inizialmente impercettibile, la prolungata attenzione accordata alla forza lenta e distruttrice del clima consente alla Woolf di traghettare il lettore lungo un arco temporale di dieci anni. L’alternarsi del “tormento delle tempeste” e della “penetrante immobilità del bel tempo” restituiscono l’immagine di un ritmo inumano, scandito da giorni e notti, mesi e anni che “si confondevano in una massa senza forma”, dato che qualsiasi forma non può che derivare dall’interpretazione di un soggetto. In parallelo, infatti, la prospettiva della narrazione si allontana sempre di più da quella dei personaggi: le stagioni trascorrono in una ciclica indifferenza che lascia solo trapelare una debole eco del farsi e disfarsi delle vite degli uomini. Le notti sono piene ora di vento e distruzione; gli alberi si piegano e si squassano e le foglie fuggono alla rinfusa fino a coprire tutto il prato e giacciono ammucchiate nei rigagnoli e soffocano le grondaie e si distendono sui sentieri umidi […] [Ramsay incespicando lungo un corridoio tese le braccia in una buia mattina, ma, la signora Ramsay essendo morta improvvisamente la notte prima, tese le braccia. Rimasero vuote.] L’autrice informa della morte della signora Ramsay tra parentesi, senza indulgere ad alcuna compassione nei confronti del personaggio e della psiche che sono stati terreno privilegiato di esplorazione in tutta la pri28

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ma parte dell’opera. La stessa marginalità caratterizza il resoconto dei destini degli altri personaggi nel corso dei dieci anni trascorsi durante la lunga notte che apre la seconda sezione: anche un evento come la prima guerra mondiale non riveste un ruolo prioritario, come se il caos che genera corrispondesse a quello creato dagli eventi atmosferici. Ma il paesaggio e il clima rimangono sempre se stessi; non appartiene loro il turbamento provocato da questi inserti stranianti, né la convinzione che il vento debba fermarsi di fronte alle camere da letto, in cui è custodito qualcosa che non si può distruggere (“quei brevi aliti salirono le scale e curiosarono davanti alle porte delle camere da letto. Ma qui, certo, dovevano fermarsi. Qualsiasi altra cosa possa perire e sparire quel che giace qui è saldo e sicuro.”) In queste pagine si assiste dunque ad una continua oscillazione tra la persistenza dei resti umani, e del loro debole significato, e la consapevolezza che il movimento della natura non è conciliabile con le unità di misura a cui si riferisce la vita dell’uomo. Le cose che la gente aveva scartato e abbandonato – un paio di scarpe, un berretto da cacciatore, gonne e giacche sbiadite negli armadi – quelle soltanto custodivano la forma umana e nel vuoto indicavano come fossero state un tempo piene e animate; come un tempo le mani fossero indaffarate con ganci e bottoni; come un tempo nello specchio si fosse riflesso un volto; si fosse riflesso un mondo cavo in cui una figura si volgeva, una mano si muoveva rapida, la porta si apriva, entravano correndo e inciampando i bambini; e tornavano a uscire. Ora, un giorno dopo l’altro, la luce, come un fiore riflesso nell’acqua, proiettava la sua limpida immagine sul muro di fronte. L’antitesi tra il tempo umano e quello delle manifestazioni naturali, che in Time Passes giunge ad una formulazione estrema, costituisce anche il rovello interiore della signora Ramsay. La sua volontà di dare forma, di unire e preservare, nasconde una verità negativa che preme al fondo del suo spirito – apparentemente inespressa dall’armonia che la donna sa comunicare a chi le sta vicino, ma inestirpabile: “Con la sua mente aveva

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sempre afferrato il fatto che non c’è logica, ordine, giustizia: ma sofferenza, morte, povertà. Non esisteva tradimento troppo vile perché il mondo lo commettesse; lo sapeva. Nessuna felicità durava; lo sapeva. Da un lato, la signora Ramsay sente di appartenere al flusso vitale del territorio, di non essere costituzionalmente diversa dagli alberi, dal vento, dagli uccelli e dal rumore del mare che interferiscono con il suo pensiero amplificandone la portata. La sensibilità del personaggio nei confronti dei minimi mutamenti nella vita circostante è tale da suggerire l’impressione che questa esista solo in lei, e nel narratore che la traduce. Ma, dall’altro lato, è proprio la comunione con la dimensione primordiale della natura, fatta di paesaggio, animali e clima, che condanna la signora Ramsay a scontare il dolore della finitudine umana, alternando momenti di mistica serenità e di angoscia. […] il ricadere monotono delle onde sulla sabbia, che di consueto accompagnava con un ritmo regolare e rassicurante i suoi pensieri e sembrava ripetere all’infinito mentre lei sedeva accanto ai ragazzi le parole confortanti di una antica ninnananna mormorata dalla natura: «Veglio su di te – sono il tuo sostegno», ma in altri momenti, all’improvviso e in modo inatteso, soprattutto quando la sua mente si risollevava appena da quello a cui si stava dedicando, non aveva quel dolce significato, ma come uno spettrale rullo di tamburi scandiva senza pietà il ritmo della vita, portava alla mente la distruzione dell’isola, inghiottita dal mare, e le ricordava, a lei i cui giorni erano scivolati via in un susseguirsi di rapide azioni, che tutto era effimero come un arcobaleno […] Poiché la signora Ramsay comprende il movimento universale in cui è racchiusa la sua esistenza e quella dei suoi cari, conosce l’“irrazionale tenerezza” con cui ci si rivolge alle “cose inanimate; alberi, ruscelli, fiori” alla ricerca di consolazione: ma la natura, che unisce la vita e la morte senza attribuire loro un valore, talvolta mostra crudelmente quanto sia inutile porre “alla notte le domande sul cosa, il perché, il dove, che inducono il dormiente a lasciare il letto per cercare una risposta”. L’intero romanzo si sviluppa dall’attrito tra la neutralità delle forze della natura e l’inquietudine con cui i personaggi sentono di dover dare un senso alle cose. La signora Ramsay è consapevole dell’approdo a cui conduce questo percorso; così incarna agli occhi degli altri un principio materno inteso come forza vitale inestinguibile, attenta a trasmettere fiducia e a proteggere gli affetti dalla disillusione, mentre, nel segreto universo della sua interiorità, deve spesso scendere a patti col principio oscuro che minaccia le certezze del presente. La scena della cena è emblematica di questa duplicità: ospiti e figli a tavola, la donna dirige l’interazione dei commensali assicurandosi che ognuno riceva l’attenzione dovutagli, che il marito non senta destinato all’oblio il suo contributo alla metafisica o che Paul Rayley e Minta Doyle si siano effettivamente fidanzati durante la passeggiata sul mare. Rimedia tempestivamente a ciò che rischia di sfuggirle e mette in pratica rituali quasi apotropaici – come la chiusura delle porte di casa – per separare la fragile perfezione del “dentro” dalla forza distruttrice che esiste “fuori”, nella natura. […] la notte era ora chiusa fuori da lastre di vetro, che non riflettevano un’immagine precisa del mondo esterno, ma lo laceravano così singolarmente che, qui, all’interno della sala, sembrava regnassero l’ordine e la terraferma; là, fuori, un riflesso in cui le cose oscillavano e svanivano, come nell’acqua. Subito vennero tutti colpiti da un mutamento, come se questo fosse davvero accaduto, e tutti fossero consapevoli di formare una compagnia riunita in un’insenatura, su un’isola; tutti avessero una causa comune contro la fluida realtà esterna.

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La signora Ramsay sente che qualcosa può e deve permanere, anche se quella scena “svaniva nell’istante stesso in cui la guardava”, anche se basta fare un passo “volgendosi appena a darle un’ultima occhiata” perché entri a far parte del passato. Tuttavia, quella notte lunga dieci anni e dominata dal vento sembra spazzare via definitivamente la signora Ramsay e le sue speranze. Sul lungo periodo, dunque, le manifestazioni climatiche sono l’emanazione di una forza cieca e di rapina, che distrugge col suo eterno ritorno ciò che gli individui hanno cercato di preservare. Il rapporto quotidiano dell’uomo con gli eventi atmosferici si compone di infinite sfumature, che vanno dal rispecchiamento al senso di esclusione, ma il trascorrere del tempo può capovolgere qualsiasi coordinata e cancellare i significati di un presente di cui si era avvertita la solidità. Nella struttura generale del romanzo, però, il clima non è solo immagine dei meccanismi extra-temporali e inumani a cui soggiace il destino dei singoli personaggi: al contrario, grazie alla visione d’insieme che muove la scrittura della Woolf, appare capace di guidarli verso un inaspettato momento epifanico. Si pensi alla discussione che apre il romanzo, e che è ripresa come un leitmotiv in tutta la prima parte.

«SÌ, NATURALMENTE, SE DOMANI SARÀ BELLO» DISSE LA SIGNORA RAMSAY. «MA DOVRAI ALZARTI ALL’ALBA» AGGIUNSE. PER SUO FIGLIO QUELLE PAROLE FURONO MESSAGGERE DI UNA GIOIA STRAORDINARIA, COME FOSSE ORMAI DECISO CHE LA GITA AVREBBE AVUTO LUOGO, CHE IL PRODIGIO ATTESO CON TANTA ANSIA, PER ANNI E ANNI GLI SEMBRAVA FOSSE ORA, DOPO UNA NOTTE DI OSCURITÀ E UN GIORNO DI NAVIGAZIONE, A PORTATA DI MANO.

conservarsi, addirittura che la guerra non sarebbe scoppiata se, un preciso giorno, il vento avesse soffiato in un’altra direzione e il Faro fosse stato raggiungibile. Lo smarrimento provocato nel lettore da questa sensazione, dal rapporto contraddittorio che si instaura tra la dimensione universale e quella evenemenziale della realtà, è compensato dall’ultima parte del romanzo, in cui le tessere della narrazione si dispongono in un ordine potenzialmente nuovo. Alla fine della seconda sezione è narrata infatti la lenta e tenace azione della domestica McNab, tesa a riparare dieci anni di caos e abbandono descritti in Time Passes. Si tratta di un lavoro privo di sovrastrutture, accompagnato da una saggezza popolare apparentemente ingenua, ma che sa resistere alla legge della dissoluzione a cui conduce il tempo con una forza che i trattati filosofici del signor Ramsay non potranno mai avere, poiché anche la loro scrittura è resa possibile solo da quell’umile istinto di sopravvivenza. Proprio Ramsay, del resto, sdrammatizza la probabilità di essere dimenticato affermando che “La stessa pietra che si colpisce con la scarpa durerà più di Shakespeare”. Un rapporto simile si instaura tra le sue azioni e quelle della domestica, il cui canto:

Il desiderio infantile di James Ramsay, quello di raggiungere il Faro, è legato alle condizioni meteorologiche del giorno successivo: ma il castrante principio di realtà di cui si fa portavoce il padre, uomo d’accademia, provoca nella sua sensibilità un dolore che lo accompagnerà per tutta la vita (“Non c’era neppure la più remota possibilità che domani potessero andare al Faro, ribattè in tono irascibile Ramsay. […] Non quando il barometro scendeva e il vento era in direzione ovest”). Come è noto, nella narrativa modernista gli eventi minimi occupano il posto dei grandi mutamenti di destino. Nel romanzo della Woolf, in particolare, si ha come l’impressione che la signora Ramsay, Andrew e Prue non sarebbero morti, che la loro casa avrebbe potuto Bibliomap

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[…] era privo di significato, era come la voce frase che ricoprisse il vuoto della sua mente fino a dell’idiozia, del buon umore, della tenacia stessa, che quei vapori si fossero ritirati. Poiché in verità che viene calpestata ma si rialza di scatto, così che cosa provava, ora che era tornata dopo tutti che mentre ondeggiava, spolverando, spazzanquegli anni e la signora Ramsay era morta? Nuldo, sembrava voler dire che tutto era una lunga la, nulla – nulla che riuscisse a esprimere. sofferenza, un alzarsi e poi tornare a letto, e tirare fuori le cose e poi rimetterle dentro. Non era faciI pensieri di Lily Briscoe, pittrice amatoriale e le né comodo il mondo che aveva conosciuto per amica di famiglia, congiungono quest’interquasi settant’anni. Era piegata in due dalla stanrogazione esistenziale al ricordo della signora chezza. Quanto durerà, si Ramsay, come se solo chiedeva, scricchiolando penetrando il segreto e sospirando in ginocchio della donna e le sue ambiEra così bella quella sotto il letto, mentre puliguità misteriose, che Lily mattina, soltanto con va il pavimento di legno, aveva sempre percepito, una vena di vento qua quanto durerà? ma torfosse possibile distene là, che il mare e il cienava a risollevarsi fatidere un velo di serena lo sembravano di una cosamente, si faceva coaccettazione sul tempo stessa sostanza, come raggio […] e ricominciava che trascorre e in cui flutse le vele si fossero a trottare e a dondolare, tuano i destini. Seppur conficcate in cielo, o le sollevando stuoie, posanin un modo di cui, forse, nuvole fossero scivolado porcellane, guardando non era del tutto consate nel mare. di sghembo nello specpevole, aveva ragione la chio, come se, dopo tutto, signora Ramsay a sentire avesse le sue consolazioche qualcosa sarebbe rini, come se in verità al suo canto funebre si intrecmasto, lei che “faceva del momento una realtà ciasse una incorreggibile speranza. permanente”, proprio come Lily cerca di fare adesso in un quadro iniziato dieci anni prima. Solo grazie a lei la casa sull’isola di Skye torna Mentre riflette col pennello sospeso a mezz’aad essere un luogo in cui elaborare valori umani; ria, di fronte alla donna si trova il paesaggio di lo stesso sembra accadere nel resto del mondo sempre, quel mare solcato ora dalla barca di e ovviamente nel romanzo, che non si arrende Ramsay e dei figli James e Cam, finalmente dial nichilismo a cui sembrava condannare l’indifretti verso il Faro. ferenza distruttrice del clima. “Era così bella quella mattina, soltanto con una Dopo dieci anni di dolori e mutamenti, alcuni vena di vento qua e là, che il mare e il cielo sempersonaggi, quasi dei superstiti, si trovano ad bravano di una stessa sostanza, come se le vele assumere di nuovo la posizione occupata nella si fossero conficcate in cielo, o le nuvole fossecasa dei Ramsay all’inizio dell’opera: quando ro scivolate nel mare”: sembra il primo giorno, le suggestioni prodotte da un luogo familiare dopo la delusione patita da James bambino, in si accompagnano all’esperienza del tempo tracui tutti gli elementi, e in particolare il clima, scorso, e alla consapevolezza di ciò che non può sono favorevoli al compimento del viaggio al più essere, è possibile indugiare sulla domanda Faro. Lily lotta per dare una forma compiuta al che ha occupato tutto lo spazio della narrazioricordo della signora Ramsay, senza farsi blocne, e tentare di rispondere. care dal peso dell’insignificanza che ricopre qualsiasi cosa col trascorrere del tempo; anche Qual è dunque il significato, che cosa può signifiJames e Cam, intanto, attraversando lo spazio care tutto questo? Si chiese Lily Briscoe, domanche li separa dal Faro, iniziano ad interpretare in dandosi se, dal momento che era stata lasciata una nuova prospettiva ciò che potrebbe essere sola, fosse meglio per lei andare in cucina a prenil loro presente, e soprattutto il loro futuro. dere un’altra tazza di caffè o aspettare là. Qual Intorno ai personaggi l’atmosfera e il paesaggio è il significato? – era una sorta di slogan, preso non sono mai davvero mutati; lo è il loro unida qualche libro, che si adattava in modo vago ai verso interiore, condotto verso la provvisoria suoi pensieri, poiché non riusciva, in quella prima armonia di una rivelazione da uno sguardo senmattina con i Ramsay, a rendere compatti i suoi sibile e lungimirante come lo era quello della sentimenti, riusciva soltanto a far risuonare una signora Ramsay.

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DICKENS

Il Circolo Pickwick

Un ricco signore di mezza età, Samuel Pickwick, fonda a Londra un circolo. Parte, con alcuni amici, per un viaggio nella provincia inglese. Jingle, un abile truffatore incontrato per caso, li trascina in ogni sorta di guai. Si intrecciano anche gli idilli, nascono amicizie, vengono fatti incontri importanti. Pickwick incontra un lustrascarpe dall’impagabile senso dell’umorismo, che diventerà suo cameriere e suo compagno di avventure. Episodio centrale è un processo intentato a Pickwick dalla sua padrona di casa per mancata promessa di matrimonio. Ingiustamente condannato Pickwick si rifiuta di pagare e va in prigione. Infine chiude il circolo e si ritira in campagna con il fedele cameriere e la sua famiglia.

Le avventure di Oliver Twist

Oliver Twist ha vissuto fino a nove anni all’orfanotrofio dei poveri. Ma questa è solo la prima delle sue sfortune: mandato a lavorare in un’impresa di pompe funebri, riesce a fuggire e a raggiungere Londra, dove viene costretto a unirsi a una banda di ladruncoli e a partecipare a furti e a rapine agli ordini del sinistro Fagin. Sarà solo dopo innumerevoli, tragiche peripezie, e con l’aiuto di chi si affezionerà a lui, che Oliver troverà la strada verso la felicità e la sicurezza di sé. Maestro ineguagliabile dell’intreccio e delle profonde emozioni, capace di fondere mirabilmente la tensione drammatica degli eventi all’umorismo nero e alla sferzante satira sociale, Dickens ha intessuto una storia che, attraverso continui colpi di scena, non conosce un attimo di sosta, una storia che continua ad avvincere e a commuovere i lettori di ogni paese e di ogni età.

David Copperfield

“Non permetterò mai a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, scriveva Paul Nizan riferendosi ai suoi vent’anni e in generale al tempo della sua adolescenza. Perché quel tempo, quello durante il quale si varca il confine che separa la giovinezza dall’età adulta, è spesso feroce e terribile. Di tutto questo si rese conto Dickens quando scrisse la storia di David Copperfield, un vero e proprio inno alla dolcezza e alle amarezze intrinseche al crescere e al formarsi. Quello del protagonista è un percorso di apprendistato prima di tutto umano, a confronto con personaggi di ogni tipo, dalla stramba zia Betsey a Uriah Heep, sullo sfondo di una Londra plumbea e sulfurea.

Casa desolata

Il romanzo è una satira della costosa e rovinosa procedura dell’antica corte della Cancelleria, illustrata dal caso di eredità Jarndyce & Jarndyce, che viene interamente assorbita dalle spese legali, provocando la rovina e la morte d’un giovanotto inconcludente, Richard Carstone che, con la cugina con cui si era segretamente sposato, mirava a mettere le mani su quella eredità. Il libro è pieno di scene truci come un romanzo nero, dove, tra i vicoli bui e maleodoranti, si muovono figure sospette e anche le cose assumono un’aria sinistra.

Tempi difficili

La triste vicenda di Louisa Grandgrin e di suo padre è una delle più belle storie raccontate da Dickens. Thomas Grandgrin, come molti suoi contemporanei, ha commesso il tremendo errore di fare della Filosofia dei Dati di Fatto, cioè la filosofia utilitaristica, la teoria guida della propria vita. E solo quando la figlia Louisa, intrappolata in un matrimonio senza amore, diventa preda di un ozioso seduttore, il padre si vede costretto a prendere le distanze dalle proprie convinzioni. Tempi difficili è uno dei grandi romanzi della maturità di Dickens, una macchina travolgente in cui ricorrono gli ingredienti consueti della sua scrittura, ma con in più un tono di favola che stempera gli eventi in chiave comica.

Grandi speranze

La misteriosa fortuna che la sorte assegna all’orfano Pip, il suo altezzoso rifiuto dei vecchi amici, le sventure e le sofferenze che segnano il suo percorso esistenziale verso una consapevole maturità costituiscono la base di un racconto ove il senso di colpa e la violenza si fondono con spunti grotteschi nei quali la commedia assume connotazioni caustiche e crudeli. Dal momento in cui, nelle spettrali paludi del Kent, Pip si imbatte in Magwitch, un forzato evaso, fino all’ultimo incontro con la bella e cinica Estella che suscita in lui sterili emozioni e turbamenti, il lettore si trova coinvolto in una vicenda tanto drammatica quanto affascinante. Studio meditato dello sviluppo di una personalità, è questa l’opera di Dickens in cui più si avverte un notevole approfondimento psicologico che, unito alla raffinata maestria verbale dell’autore, consente di godere fino all’ultima pagina una storia ricca di eventi e di suspense. Composto nel 1861, romanzo della maturità di Dickens, “Grandi Speranze” rivela la stessa freschezza e spontaneità del suo capolavoro, “David Copperfield”, scritto dieci anni prima.

di Serena De Lorenzo

CHARLES DICKENS È STATO FRA I MAGGIORI NARRATORI INGLESI DEL SUO SECOLO E TRA I MASSIMI D’EUROPA. AUTORE DI PIETRE MILIARI DELLA LETTERATURA, PUÒ ESSERE INDICATO COME IL PIÙ GRANDE SCRITTORE DELL’INGHILTERRA VITTORIANA, LA PENNA PIÙ CAPACE NEL TRATTEGGIARE CON DOVIZIA DI PARTICOLARI LONDRA E LA SUA COLTRE GRIGIA; L’INDUSTRIALIZZAZIONE LONDINESE E I SUOI MOSTRUOSI PRODOTTI: POVERTÀ E CRIMINI, STRATIFICAZIONE SOCIALE, LA VITA MALSANA FUORI E DENTRO LE FABBRICHE, LO SFRUTTAMENTO MINORILE. QUEST’ANNO RICORRE IL BICENTENARIO DELLA SUA NASCITA. Bibliomap

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