Il dono della profezia

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“Questa è la prima opera accademica di orientamento evangelico conservatore che abbia mai letto sul dono di profezia. Essa offre una solida base teologica per ulteriori sviluppi di una teologia pratica dei doni spirituali”. John Wimber, Vineyard Christian Fellowship

“Attento, robusto, equilibrato e – secondo la mia opinione – persuasivo”. J. I. Packer

“Un nuovo e scorrevole contributo, biblicamente sano... La profondità della sua preparazione accademica, la sua solidità pastorale e la sua cautela contro gli abusi ne costituiscono i punti di forza. Assolutamente consigliabile”. Vern S. Poythress, professore di Nuovo Testamento Westminster Theological Seminary

“Distinguendo le “parole della Scrittura” dalla profezia “comunitaria”, il dottor Grudem offre un contributo fondamentale ad una maggiore comprensione fra i normali credenti evangelici e quelli di orientamento pentecostale/carismatico”. Charles L. Holman, professore di esegesi biblica CBN University

“Se si riuscisse a prestare orecchio alla persuasiva tesi di Grudem, potrebbe forse schiudersi un rinnovato percorso di dialogo in seno alla comunità cristiana. L’accuratezza nella ricerca, la chiarezza e la semplicità tipica di Grudem continuano ancora oggi a fare del presente volume il miglior testo sull’argomento. Mi sento in tutta onestà di raccomandarlo a tutti i miei studenti e i miei colleghi”. L. Russ Bush, professore di filosofia della religione Southwestern Baptist Theological Seminary


“Approfondito, biblico e pratico. Degno di attenzione da parte di tutti coloro che sono interessati all’edificazione e alla crescita spirituale della chiesa oggi”. Stanley Horton, professore di teologia biblica Dallas Theological Seminary

“Il professor Grudem ha scritto un testo significativo sulla profezia che, immagino, sarà all’origine di un grande dibattito sui doni dello Spirito Santo”. H. Wayne House, professore di teologia sistematica Dallas Theological Seminary


A Elliot, Oliver e Alexander che ogni giorno riempiono di gioia la mia vita.

“I figli sono un dono che viene dal Signore� (Sl. 127:3).




Il dono della profezia nel Nuovo Testamento e oggi Wayne Grudem Proprietà letteraria riservata: BE Edizioni di Monica Vieira Pires P.I. 06242080486 Via Costa dei Magnoli 19 50125 Firenze Italia Originally published in English under the title: THE GIFT OF PROPHECY © Wayne Gudem David C. Cook, 4050 Lee Vance View, Colorado Springs, Colorado 80918 U.S.A. Appendices I-VII © 2000 by Wayne A. Grudem Coordinazione Editoriale: Filippo Pini Traduzione: Roberto Cappato Revisione: Teresa Castaldo Impaginazione: Paola Lagomarsino Copertina: Beth Ann Nelson Stampa a cura di Andersen S.p.a. Finito di stampare nel mese di Maggio 2013 Tutte le citazioni bibliche, salvo diversamente indicato, sono tratte dalla Nuova Riveduta, Società Biblica di Ginevra. ISBN 978-88-97963-04-2 Per eventuali ordini: www.beedizioni.it È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata compresa la fotocopia, anche ad uso interno didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto verso l’autore e gli editori e mette a rischio la sopravvivenza di questo modo di trasmettere le idee.


Sommario Prefazione.

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Prefazione alla ristampa del 1997.

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Prefazione all’edizione del 2000.

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Introduzione. Il problema della profezia oggi.

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1. I profeti dell’Antico Testamento. Proferire le esatte parole di Dio.

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I profeti sono messaggeri di Dio. Le parole del profeta sono parole di Dio. L’assoluta divina autorità delle parole profetiche. Applicazioni per oggi. 2. Gli apostoli nel Nuovo Testamento. Proferire le esatte parole di Dio. Gli apostoli nel Nuovo Testamento sono messaggeri di Cristo. C’è relazione fra gli apostoli del Nuovo Testamento e i profeti dell’Antico. Le parole degli apostoli sono parole di Dio. Perché chiamarli “apostoli” e non “profeti”? Agli apostoli è stato mai conferito l’appellativo di “profeti”? Applicazioni per oggi.

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3. I profeti del Nuovo Testamento a Corinto. Come servirsi di normali parole umane per riferire qualcosa su cui Dio vuole richiamare la nostra attenzione.

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La struttura di 1 Corinzi 12-14. 1 Corinzi 14:29: profezie che necessitano di essere vagliate. 1 Corinzi 14:30: quando le profezie venivano intenzionalmente ignorate. 1 Corinzi 14:36: da parte dei profeti di Corinto non è proceduta alcuna parola di Dio. 1 Corinzi 14:37-38: l’autorità dei profeti è minore di quella degli apostoli. 1 Corinzi 11:5: le profetesse che non esercitano autorità e non insegnano. Conclusioni da 1 Corinzi. 4. I profeti neotestamentari nel resto del Nuovo Testamento. Proclamare semplici parole umane per riferire qualcosa su cui Dio vuole richiamare la nostra attenzione.

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Le prove degli Atti. Le prove degli altri libri del Nuovo Testamento. La profezia nella storia della chiesa primitiva. In sintesi. Applicazioni per oggi. 5. La fonte delle profezie. Qualcosa che Dio ci fa venire in mente. 1 Corinzi 14:30: alla base della profezia ci deve essere una “rivelazione” da parte di Dio.

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Quanto ne sa il profeta? Una profezia “estatica”? La profezia è un miracolo? In sintesi. Applicazioni per oggi. 6. Profezia e insegnamento. Due doni diversi? La natura essenziale della profezia. La natura essenziale dell’insegnamento. Differenze tra profezia e insegnamento. Differenza fra profezia e predicazione. Perché Paolo permette alle donne di profetizzare ma non di insegnare? In sintesi. Applicazioni per oggi.

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7. Il contenuto delle profezie. Che cosa dicevano i profeti? 1 Corinzi 14:3: qualsiasi cosa edifichi esorti o consoli. 1 Corinzi 14:31: può una profezia comprendere un insegnamento dato che da essa le persone possono “imparare”? 1 Corinzi 13:2: profetizzare con o senza amore una differenza cruciale. Le funzioni della profezia menzionate al di fuori di 1 Corinzi. La “forma” delle profezie: ricorrevano termini ed espressioni convenzionali o schemi omiletici loro peculiari? In sintesi. Applicazioni per oggi: quali tipi di messaggi possono essere presenti nelle profezie?

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8. La profezia come segno della benedizione di Dio in una chiesa (1 Corinzi 14:20-25).

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Introduzione. Il senso della citazione veterotestamentaria (Isaia 28:11-12). Il modo in cui Paolo utilizza Isaia 28:11-12. L’appellativo di “segni” si addice sia alla profezia che alle lingue? La chiave per comprendere questo passo: i “segni” possono essere positivi o negativi. Riassunto della concezione paolina. Implicazioni per il dono del parlare in lingue. Conclusione: in che senso la profezia è un segno della benedizione di Dio? Applicazioni per oggi. 9. I profeti e il governo della chiesa. I profeti: dei “leader carismatici” nella chiesa delle origini?

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Introduzione: da dove nasce questa suggestione. Una valutazione delle prove di una funzione di leadership carismatica esercitata dai primi profeti. In sintesi. Applicazioni per oggi. 10. Possono profetizzare tutti i credenti? Quello di “profeta” era un ministero all’interno della chiesa o soltanto una designazione informale? Possono profetizzare tutti i credenti? La profezia è un dono temporaneo o permanente?

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Il dono di profezia potrebbe variare in intensità. È giusto ricercare il dono di profezia? In sintesi. Applicazioni per oggi. 11. Le donne e la profezia. Sono incoraggiate a profetizzare ma non a giudicare la profezia. Atti 21:9: le figlie di Filippo. 1 Corinzi 11:5: le donne che profetizzano a capo coperto. 1 Corinzi 14:34-35: in che senso le donne devono “tacere” nelle chiese? In sintesi. Applicazioni per oggi.

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12. La durata della profezia. Per quanto tempo nella chiesa si sarebbe fatto ricorso alla profezia? Introduzione. L’interpretazione di 1 Corinzi 13:8-13. Obiezioni. Il rapporto fra il dono di profezia e la Scrittura. I doni spirituali quali tratti distintivi dell’era del Nuovo Patto. In sintesi. Applicazioni per oggi.

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13. Incoraggiare e regolamentare la profezia in seno alla chiesa locale. Per quelle chiese che non usano il dono di profezia ma alle quali piacerebbe usarlo. Per quelle chiese che fanno già uso del dono di profezia.

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14. Che bisogno abbiamo oggi del dono di profezia?

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Appendice A. Il ministero apostolico.

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Appendice B. Il canone della Scrittura.

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Appendice C. La sufficienza della Scrittura.

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Appendice 1. Profezia e profeti nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Analisi biblico-teologica.

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Appendice 2. In che cosa consistono la “parola di sapienza” e la “parola di conoscenza” di 1 Corinzi 12:8.

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Appendice 3. Alcuni assunti scorretti nelle argomentazioni cessazioniste.

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Appendice 4. Una nota su alcune obiezioni contenute nel libro di Edmund Clowney ‘The church’.

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Appendice 5. Perché i cristiani possono ancora profetizzare.

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Appendice 6. Nota aggiuntiva sull’obiezione di Dan Wallace.

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Appendice 7. Attestazioni della presenza del dono di profezia in alcune fasi della storia della chiesa.

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Bibliografia.

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Abbreviazioni.

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Prefazione Questo libro è nato con l’intento di essere una versione adatta al grande pubblico della mia tesi di dottorato (The gift of prophecy in 1 Corinthians), ma ha finito con l’essere molto di più, dato che include analisi di problematiche molto più pratiche e interagisce sia con le prospettive carismatiche che con quelle non carismatiche. Sebbene, comunque, la mia comprensione della profezia nel Nuovo Testamento rimanga sostanzialmente invariata rispetto a quando ho discusso la mia tesi di dottorato, devo però dire che la successiva interazione con gli studenti e i colleghi mi ha portato a definire meglio – o a modificare – diversi dettagli. Spero che il risultato complessivo, che pure viene qui espresso in un formato adatto al grande pubblico e dunque senza tutto l’apparato di note a piè di pagina e gli accorgimenti di una tesi di dottorato, sia quello di un’esposizione un po’ più matura e definita con maggiore chiarezza. Andrebbe forse notato che, da quando ho terminato la stesura della mia tesi di dottorato nel 1977, due testi accademici estremamente significativi sulla profezia neotestamentaria hanno fatto la loro comparsa, quello di David Hill e quello di David Aune. A causa della loro natura più accademica a nessuno dei due è stata riservata un’analisi dettagliata in questo volume, ma li ho ripresi entrambi in considerazione altrove. La mia rivisitazione dei testi di 13


Il dono della profezia

David Hill: New Testament prophecy, New Foundations Theological Library (Marshall, Morgan & Scott e John Knox press, 1979) si trova alle pp. 25-26 di Themelios 7:2 (Gennaio 1982), mentre quella del libro di David Aune: Prophecy in early christianity and the ancient mediterranean world (Eerdmans, 1983. In italiano: La profezia nel primo cristianesimo e il mondo mediterraneo antico, Brescia, ed. Paideia, 1996) si trova alle pp. 351-355 di Evangelical quarterly 59:4 (Ottobre 1987). Per grazia di Dio, sono stati in molti a influenzare il mio pensiero in questo campo. Tanto i miei amici di orientamento più “carismatico” (penso soprattutto a Bob Slosser e Harold Bredesen) che quelli di orientamento non carismatico (o anche anti carismatico, penso soprattutto a John Frame, Edmund Clowney, Richard Gaffin e O. Palmer Robertson), come pure i miei amici che per la verità non sono schierati su nessuno dei due fronti (soprattutto Vern Poythress, Kim Batteau, Randy Hekman e il mio supervisore per il dottorato C. F. D. Moule) mi hanno portato, nelle conversazioni e negli scritti, a riflettere più e più volte su questi argomenti e mi hanno aiutato a comprenderli meglio. Vorrei ringraziare Mary Morris, Marie Birkinshaw e Jane Preston, che hanno gentilmente e accuratamente dattilografato diverse parti del manoscritto, nonché Don Rothwell, che ha compilato gli indici. Sono grato ai miei genitori, Arden e Jean Grudem, che hanno contribuito in molti modi a rendere possibile la stesura di questo volume e della precedente tesi su cui esso è basato. Inoltre, senza il gentile ma continuo incoraggiamento di Cristopher Catherwood, editore della casa editrice Kingsway, non credo proprio che mi sarei messo a scrivere questo libro. Ma, una volta che ho accettato di farlo, sono stati i saggi e gentili (ma anche persistenti) richiami di mia moglie Margaret che mi hanno trattenuto dall’assumermi degli impegni non necessari in altri progetti, consentendomi di terminare il manoscritto quasi in tempo. 14


Prefazione

Infine, in tutto questo lavoro, la più grande fonte di gioia e di incoraggiamento sono stati i miei figli Elliot, Oliver e Alexander. A loro dedico questo libro, nella speranza che possano crescere e incontrare chiese e gruppi evangelici più solidi, non più divisi sul tema dei doni dello Spirito Santo, ma uniti nell’utilizzo di questi doni nella “forza, amore e autocontrollo” (2 Ti. 1:7) che lo Spirito Santo dona a coloro che amano Gesù Cristo e amano la sua Parola. Wayne Grudem

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Prefazione alla ristampa del 1997 Avrei voluto revisionare questo libro, ma altri progetti me lo hanno finora impedito e sono grato alla Kingsway di averlo ristampato nel suo formato del 1987. Le mie posizioni sono le stesse di dieci anni fa, ma spero di avere quanto prima l’opportunità di chiarire diversi punti in maniera più dettagliata e in particolare i seguenti. (1) Penso che tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovo si trovano molte varianti di profezia, anche se questo non emergeva con chiarezza dall’uso da me fatto dell’espressione “profezia dell’Antico Testamento” per descrivere le profezie primarie dell’Antico Testamento che erano investite di autorità canonica. (2) Continuo a ritenere che le pagine 56-80 non siano indispensabili per il libro e per le tesi da me sostenute, come ho affermato a pagina 80. Rimango pertanto sorpreso dal fatto che tanti autori abbiano dedicato tante energie a spiegare le ragioni del loro dissenso sulla mia interpretazione di Efesini 2:20 e abbiano asserito che tale versetto sarebbe cruciale per sostenere la mia posizione (e sotto tutti gli aspetti non lo è). (3) Rimango poco convinto da quanti insistono a dire che i profeti del Nuovo Testamento devono godere di un’autorità pari a quella dei profeti dell’Antico Testamento. Le loro argomentazioni, mi pare, non rendono ragione in maniera adeguata (a) della radicale 17


Il dono della profezia

trasformazione anche del ruolo del sacerdote (tutti diventiamo sacerdoti, 1 Pietro 2:5,9); (b) del fatto che gli apostoli abbiano assunto il ruolo d’autorità che nell’Antico Testamento era stato proprio dei profeti; (c) della grande forza dei passi del Nuovo Testamento sulla profezia nelle comunità locali dopo la Pentecoste (si vedano i capitoli 3-4). (4) Una o due critiche hanno affermato che negherei l’autorità o la sufficienza della Scrittura (dottrine che in realtà ho difeso ampiamente nel mio scritto). O non hanno capito la mia posizione oppure non ne hanno dato una corretta rappresentazione. (5) Lo sviluppo più importante dell’ultimo decennio è stato la scoperta, da parte di molti studiosi, che molti puritani (compresi Samuel Rutherford e Richard Baxter) ebbero la stessa concezione della profezia da me sostenuta in questo libro e che la Confessione di fede di Westminster sembrerebbe fare riferimento a certe private rivelazioni da parte dello Spirito Santo definite dalla nozione di “spiriti privati” e le reputavano “opinioni degli antichi autori” e “dottrine di uomini”; realtà che nella chiesa esistono, ma devono essere giudicate dallo “Spirito Santo che parla tramite le Scritture” (Confessione di fede di Westminster, 1:10), una posizione che mi vede decisamente d’accordo. Wayne Grudem Settembre 1997

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Prefazione all’edizione del 2000 Sono grato alle edizioni Crossway Books per avere dato nuovamente alle stampe il presente volume, dal momento che ritengo che la materia trattata sia importante per la chiesa del nostro tempo, almeno quanto lo era quando il libro venne pubblicato per la prima volta. Nella presente edizione, l’editore mi ha gentilmente consentito di aggiungere diverse appendici che presentano del materiale che non era stato incluso nella prima edizione del libro. Si tratta di (1) un nuovo studio biblico-teologico sulla profezia e i profeti nell’Antico e nel Nuovo Testamento, (2) un saggio sulle espressioni “parola di sapienza” e “parola di conoscenza” in 1 Corinzi 12:8, (3) una breve analisi su alcuni presupposti scorretti che ho spesso ravvisato nelle argomentazioni cessazioniste, (4) un confronto con alcuni punti sostenuti nel capitolo che Edmund Clowney dedica al dono di profezia all’interno del suo libro The church, (5) un articolo che riassume brevemente la mia posizione sulla profezia e rivolto a un pubblico popolare e (6) una serie di citazioni che presentano diversi esempi di operatività del dono di profezia in vari momenti della storia della chiesa, specialmente fra i leader puritani e riformati dal XVII secolo in poi. Nella prefazione alla ristampa del 1997 esprimevo la speranza di avere prima o dopo la possibilità di scrivere una replica più artico19


Il dono della profezia

lata ai numerosi articoli e libri che hanno sostenuto posizioni diverse da quella da me esposta da quando questa venne per la prima volta resa pubblica all’interno di questo testo nel 1988 e anche sei anni prima nel mio libro The gift of prophecy in 1 Corinthians (Lanham, Md., University Press of America, 1982). Ora invece non ho in programma di scrivere nessuna ulteriore replica, dal momento che, nello sforzo di discernere le indicazioni di Dio per la mia vita, nuovi progetti editoriali e nuovi impegni sono diventati le principali priorità . Tuttavia, continuo a ritenere valide le tesi sostenute in questo libro e mi fa piacere che tanti lettori le abbiano trovate convincenti. Mi fa anche piacere che grazie a questo e ad altri libri e articoli, tante chiese in tutto il mondo abbiano fatto propria una nuova disponibilità a consentire al dono di profezia di manifestarsi (sempre entro i limiti delle indicazioni della Scrittura) e in tal modo abbiano conosciuto un ulteriore livello della benedizione del Signore sulle loro chiese e sulle loro vite individuali. Wayne Grudem Giugno 2000

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Introduzione Il problema della profezia oggi Che cos’è il dono di profezia? Dovremmo utilizzarlo nelle nostre chiese? Oggi, su questi temi, fra i cristiani c’è una grande confusione. Molti cristiani di orientamento carismatico e pentecostale rispondono che la profezia è “una parola dal Signore” che immette la guida di Dio nei dettagli specifici delle nostre vite, offre un’edificazione molto personalizzata e porta nel tempo che dedichiamo all’adorazione un profondo senso della presenza di Dio. Ma molti cristiani di orientamento riformato e dispensazionalista dicono che un tale modo di vedere le cose mina l’autorità unica della Bibbia in quanto completa Parola di Dio per noi e induce le persone a prestare troppa poca attenzione alla Scrittura e troppa alle inaffidabili forme di una guida “soggettiva”. Essi sostengono che la profezia è il dono di proclamare (o di scrivere) le esatte parole di Dio, proprio come le abbiamo nella Bibbia e che questo dono ebbe fine quando il Nuovo Testamento fu completato. Alla loro concezione viene spesso attribuito il nome di “cessazionismo”, dal momento che secondo loro la profezia e gli altri doni miracolosi “cessarono” una volta portata a termine la stesura del Nuovo Testamento. 21


Il dono della profezia

Poi ci sono molti cristiani che non sono né “carismatici” né “cessazionisti”: semplicemente, non sanno che cosa pensare del dono di profezia (e degli altri doni carismatici). Costoro non vedono che al presente la profezia sia un dono operativo all’interno della loro chiesa e guardano con un certo sospetto ad alcuni degli eccessi che hanno riscontrato all’interno del movimento carismatico, ma, d’altra parte, non sono in grado di esibire alcuna seria e ben argomentata obiezione all’utilizzo di tali doni. Può un esame privo di preconcetti del Nuovo Testamento offrire una soluzione a queste diverse vedute? Esiste una “via di mezzo”, una “terza posizione” prospettata dal testo stesso della Scrittura, capace di salvaguardare quanto è davvero importante su entrambi i fronti e di essere al tempo stesso fedele agli insegnamenti del Nuovo Testamento? Penso che la risposta a tali domande sia “sì”. In questo libro proporrò una concezione del dono di profezia che richiederà una certa elasticità a ciascuno di questi tre gruppi. Ai carismatici propongo di continuare a usare il dono di profezia, ma di smettere di chiamarlo “una parola da parte del Signore” semplicemente perché una simile etichetta lo pone, in quanto ad autorità, esattamente sullo stesso piano della Bibbia ed è all’origine di molti fraintendimenti. Sul piano pratico, ho fatto un larghissimo ricorso a citazioni tratte da diversi leader e responsabili del movimento carismatico, esortando le chiese che utilizzano questo dono a prestare attenzione al saggio consiglio di questi leader nel giudicare le profezie e prevenire gli abusi. Sul fronte opposto, propongo a quanti militano nel campo cessazionista di considerare seriamente la possibilità che la profezia, nelle normali chiese del Nuovo Testamento, pur non essendo, in quanto ad autorità, sullo stesso piano della Scrittura, costituisse però un’esposizione molto umana – e a volte parzialmente sbagliata – di qualche cosa che lo Spirito Santo faceva venire in mente a qualcuno. Chiedo loro di rivedere quelle loro argomentazioni in fa22


Introduzione

vore della cessazione di certi doni, argomentazioni che, nel capitolo 12, mi sono dilungato abbastanza a esaminare di nuovo. Infine, a tutti gli altri cristiani che non hanno radicate convinzioni su questo soggetto né in un senso né nell’altro, chiedo di prestare una qualche considerazione agli insegnamenti neotestamentari sul dono di profezia e alla possibilità che in certi casi, nel rispetto di tutti i canoni di salvaguardia scritturale, questo dono possa apportare una grande edificazione sul piano personale e una nuova vitalità spirituale nell’adorazione. Voglio chiarire molto bene fin dall’inizio che non sto dicendo che le concezioni carismatiche e cessazioniste siano fondamentalmente sbagliate. Credo piuttosto che siano entrambe fondamentalmente corrette (nelle cose che reputano essenziali) e che un compromesso nel loro modo di intendere la natura della profezia (specialmente in rapporto al tema dell’autorità) ha in sé il potenziale per offrire una risposta risolutiva a questa problematica, capace di salvaguardare quegli aspetti che entrambe le posizioni ritengono cruciali. Sul fronte cessazionista, questa concezione della profezia continuerebbe a porre un forte accento sul fatto che il canone del Nuovo Testamento si è chiuso (e dunque oggi non verrà data nessuna parola di pari autorità), sulla sufficienza della Scrittura e sulla supremazia e l’autorità suprema della Bibbia quale nostra guida. Sul versante carismatico, una tale concezione della profezia manterrebbe sempre fermo il fatto che si possa continuare a ricorrere alla profezia quale azione potente e spontanea dello Spirito Santo, che porta le cose alla mente quando la chiesa è riunita per l’adorazione, l’edificazione, l’incoraggiamento e la consolazione, che si rivolge direttamente alle necessità del momento e porta le persone a rendersi conto del fatto che “Dio è veramente fra voi” (1 Co. 14:25). A ogni modo, in rapporto a quei temi che tutti i cristiani reputano importanti, spero che questa concezione della profezia neotestamentaria possa contribuire a una maggiore unità fra il popolo di Dio sui doni dello 23


Il dono della profezia

Spirito Santo e a una migliore comprensione del modo per usare correttamente questi doni oggi. Il libro prende anche in considerazione diverse questioni pratiche. È giusto ricercare il dono di profezia a livello personale? Come faccio a sapere se l’ho ricevuto? Quando e come lo dovrei usare? È possibile rinforzare o perdere questo dono? Per le chiese che lo ammettono o che sono disposte a prendere in considerazione che si possa ammettere un tale dono, che cosa dovrebbero insegnare a tale proposito? Quali sono le situazioni in cui è appropriato utilizzarlo? Quali precauzioni si dovranno prendere per prevenire abusi come il disordine, la falsa dottrina o un affidamento eccessivo su una guida soggettiva? Come proteggerci dalle false profezie? Si dovrebbe permettere a chiunque, nella chiesa, di profetizzare? C’è un modo di gestire questa faccenda che possa evitare che la chiesa si divida? Questo libro non è una raccolta di esperienze personali, che varrebbero per quello che sono: un invito a rallegrarsi per quanto Dio sta facendo o un monito a evitare i drammatici abusi in cui altri sono incorsi. Chiunque abbia letto i testi più popolari sul dono della profezia avrà già realizzato che si possono raccogliere su entrambi i fronti del problema molte testimonianze, sia positive che negative e alla fine tali testimonianze non sono conclusive. In ultima analisi, tutta la questione deve essere risolta sulla base di ciò che la Bibbia stessa dice. Così, questo libro è quasi interamente un’accurata analisi dell’insegnamento scritturale. Ho incluso un indice più dettagliato del dovuto a beneficio di quanti desiderino rendersi conto di dove andrà a parare l’intera trattazione. Incoraggio i cristiani a leggere questo libro con la Bibbia in mano, chiedendosi se quanto sto qui suggerendo corrisponda davvero all’insegnamento del Nuovo Testamento sul dono di profezia, cioè su quel dono che, secondo Paolo, i cristiani dovrebbero “desiderare ardentemente” (1 Co. 14:39, Nuova Diodati).

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1 I profeti dell’Antico Testamento Proferire le esatte parole di Dio Prima di addentrarci nello studio del dono di profezia nel Nuovo Testamento, dobbiamo dare una breve occhiata ai profeti dell’Antico Testamento, uomini come Mosé e Samuele, oppure Natan, Isaia, Geremia e Daniele. Che cosa si ripromettevano? Di che autorità erano investiti? Che cosa sarebbe successo se qualcuno si fosse azzardato a disubbidire loro? Hanno mai commesso errori? Per il momento non azzarderemo alcuna ipotesi sul fatto se costoro – vale a dire i profeti dell’Antico Testamento – coincidessero esattamente con i profeti del Nuovo (in effetti, nel capitolo 3 ipotizzerò che ci fossero delle differenze molto importanti). Per ora, l’intento è soltanto quello di tracciare un quadro delle evidenze testuali dell’Antico Testamento e di trarne qualche conclusione, specialmente sulla natura dell’autorità di cui erano investiti tali profeti veterotestamentari. I profeti sono messaggeri di Dio La funzione principale dei profeti veterotestamentari era quella di essere messaggeri di Dio, inviati per proclamare agli uomini e alle donne dei messaggi da parte di Dio. 25


Il dono della profezia

Così, a proposito del profeta Aggeo leggiamo: “Aggeo, inviato dal Signore, trasmise al popolo questo messaggio del Signore” (Ag. 1:13; cfr.: Ab. 1:1). Analogamente, il Signore “mandò il profeta Natan” a riferire le sue parole al re Davide (2 S. 12:25) e sempre il Signore affidò a Isaia un messaggio da annunciare al re Ezechia (2 R. 20:4-6). Di fatto, un vero profeta è qualcuno “veramente inviato dal Signore” (Gr. 28:9). I falsi profeti, che profetizzano menzogne, invece, sono coloro di cui il Signore dice: “Io non li ho mandati” (Gr. 29:9; cfr.: Ez. 13:6). Capita spesso che il profeta sia un tipo particolare di messaggero. Egli è “un messaggero del patto”, inviato per richiamare l’attenzione d’Israele sui termini del patto che ha stipulato con il Signore, per invitare i ribelli al ravvedimento e per avvertire che stanno per essere inflitte le punizioni per la disubbidienza (vedi, per esempio, Gr. 7:25; 2 Cr. 24:19; Ne. 9:26; Ml. 4:4-6). Che c’è di importante in tutto ciò? C’è che i messaggeri ufficiali non agiscono solo sulla base della propria autorità. Essi parlano con l’autorità di colui che li ha mandati. Immaginiamo l’ambasciatore di un paese straniero che reca un messaggio da parte del suo presidente al primo ministro. Non considera quel messaggio come un suo messaggio personale, né adempie a questa incombenza forte della sua personale autorità. Il messaggio che viene recapitato è investito dell’autorità del leader che lo ha mandato. Lo stesso valeva per i profeti dell’Antico Testamento. Sapevano di non parlare per loro conto, ma per conto del Dio che li aveva mandati e parlavano forti della sua autorità. Le parole del profeta sono parole di Dio L’autorità dei messaggeri di Dio, dei profeti, non era limitata al contenuto generale o semplicemente alle idee chiave dei loro messaggi. Essi affermarono invece ripetutamente che tutte le loro parole erano parole che Dio aveva dato loro di comunicare. 26


I profeti dell’Antico Testamento

Questo aspetto lo si vede nel fatto che la caratteristica che distingueva un vero profeta era questa: le parole che egli pronunciava non erano sue, né erano “parole del suo cuore”, ma erano le parole che Dio lo aveva mandato a proclamare. Il fatto che i profeti annunciano le parole che Dio ha dato loro di proferire viene sottolineato spesso nell’Antico Testamento. Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire (Es. 4:12; cfr.: 24:3). Io... metterò le mie parole nella sua bocca (De. 18:18; cfr: vv. 21-22). La parola che Dio mi metterà in bocca, quella dirò (Nu. 22:38; cfr.: 23:5,16). Tu riferirai loro le mie parole (Ez. 2:7; cfr.: 3:17). Nulla di strano, allora, se vediamo che i profeti dell’Antico Testamento parlavano spesso per conto di Dio, usando la prima persona e affermando cose come: “Io farò questo” o “Io farò quello”, quando parlavano per conto del Signore e non ovviamente di sé stessi (2 S. 7:4-16; 1 R. 20:13,42; 2 R. 17:13; 19:25-28,34; 21:1215; 22:16-20; 2 Cr. 12:5 e centinaia di volte nei profeti successivi). Questa totale simbiosi fra le parole del profeta e quelle del Signore si nota quando il profeta dice cose come: “Saprai che io sono il Signore” (1 R. 20:13) o “Io sono il Signore, e non ce n’è alcun altro; fuori di me non c’è altro Dio” (Is. 45:5). Chiaramente, nessun israelita sarebbe andato a pensare che il profeta in questi casi avesse la pretesa di pronunciare le sue proprie parole; semplicemente, si credeva che egli stesse ripetendo le parole di colui che lo aveva mandato. Una delle indicazioni decisive della fede nell’origine divina delle parole profetiche si ravvisa nella frequenza con cui ci si riferisce a Dio come a colui che parla quando il profeta dice qualche cosa. In 1 Re 13:26, “la parola che il Signore gli aveva data” è la parola che il profeta aveva pronunciato al versetto 21. Analogamente, le parole di Elia di 1 Re 21:19 vengono citate in 2 Re 9:25 sgg. come un giogo 27


Il dono della profezia

che il Signore aveva posto su Acab, senza neppure fare riferimento a Elia (cfr.: Ag. 1:12; 1 S. 15:3,18). È normale leggere espressioni del tipo: “La parola del Signore, che egli pronunciò per bocca del profeta suo servitore” (1 R. 14:18; 16:12; 2 R. 9:36; 14:25; 17:23; 24:2; 2 Cr. 29:25; Ed. 9:10-11; Ne. 9:30; Gr. 37:2; Zc. 7:7,12 ecc.) L’assoluta divina autorità delle parole profetiche Non prestare fede o disubbidire alle parole di un profeta è non prestare fede o disubbidire a Dio

C’era una conseguenza pratica che deriva da questa idea del profeta quale proclamatore delle esatte parole di Dio, si trattava di un’idea che faceva una grande differenza nel modo con cui il popolo si accingeva ad ascoltarlo! Infatti, nel momento in cui il popolo che ascolta un profeta è convinto che proprio quelle precise parole proclamate dal profeta sono investite dell’assoluta autorità divina, non si esporrà al rischio di disubbidire o di non credere neppure alla minima parte del messaggio, per paura di essere punito da Dio stesso a causa di una tale disubbidienza o di una tale incredulità (cfr.: De. 18:19; 1 S. 8:7; 15:3, con i vv. 18 e 23; 1 R. 20:36; 2 Cr. 25:16; Is. 30:12-14; Gr. 6:10-11, 16-19 ecc.) Si potrebbero citare altri passi, ma lo schema dovrebbe essere chiaro: non credere o disubbidire a qualsiasi cosa un profeta affermi nel nome di Dio, non è cosa di poco conto, perché è lo stesso che non credere o disubbidire a Dio. Le parole di un vero profeta non si contestano e non si mettono in discussione

Ma c’era anche un’altra conseguenza derivante dal fatto che i veri profeti fossero considerati portavoce delle esatte parole di Dio. Se si trattava di parole di Dio, ne seguiva che erano per definizione vere, buone e pure, proprio perché provenivano da Dio stesso. 28


I profeti dell’Antico Testamento

Perciò non si trova, nell’Antico Testamento, un solo esempio in cui la profezia di qualcuno che viene riconosciuto essere un vero profeta sia “valutata”, “passata al vaglio” per distinguere gli aspetti positivi da quelli negativi, la verità dal mito. Invece, dal momento in cui Samuele fu stabilito come profeta: “Il Signore era con lui e non lasciò andare a vuoto nessuna delle sue parole” (1 S. 3:19). Proprio perché Samuele era un uomo di Dio (vale a dire, un profeta), il servo di Saul poté dire: “Tutto quello che dice succede” (1 S. 9:6). Ciò significava che, quando un profeta parlava nel nome del Signore, se anche una sola profezia non si fosse avverata, voleva dire che egli era un falso profeta (De. 18:22). L’autorità associata al ministero profetico era di tale portata e fino a tal punto erano catastrofici gli effetti sul popolo derivanti dall’affermarsi di un falso profeta, che la pena prevista per la falsa profezia era la morte (De. 18:20; 13:5). Quello che riscontriamo nell’Antico Testamento, dunque, è che ogni profeta viene giudicato e valutato, ma non le singole parti di ogni profezia. Il popolo chiede: “Siamo di fronte a un vero profeta, oppure no? Sta annunciando le parole di Dio o no?” Ma non chiede mai: “Quali parti di questa profezia sono vere e quali false? Quali parti sono buone e quali cattive?” Perché basterebbe un pizzico di falsità a squalificare l’intera profezia e a mostrare che quel profeta è un falso profeta. Un vero profeta che rivendicasse la divina autorità sulle sue esatte parole non avrebbe mai potuto annunciare, nella sua profezia, qualche cosa che era frutto dei suoi pensieri insieme a qualche cosa che veniva da Dio, tutte dovevano essere parole di Dio, oppure egli era un falso profeta. Così, quando fu chiaro che il Signore era con Samuele e che nessuna delle sue parole sarebbe caduta a terra (1 S. 3:19), a quel punto: “Tutto Israele... riconobbe che Samuele era stabilito come profeta del Signore” (v. 20); da quel momento in poi fu chiaro che disubbidire a Samuele o anche solo recriminare su dei comandamenti apparentemente arbitrari sarebbe stato un peccato e avreb29


Il dono della profezia

be provocato una punizione da parte di Dio (cfr.: 1 S. 13:13 con 10:18; 15:23 con il v. 3). Allo stesso modo, Michea accettò di giocarsi tutta la sua reputazione di profeta sull’adempimento di una sola profezia (1 R. 22:28). Dato che si riteneva che fosse Dio a dire tutte le cose che il profeta annunciava nel suo nome, era inconcepibile che un vero profeta comunicasse un qualche oracolo che fosse un misto di elementi buoni e cattivi, veri e falsi. Qualsiasi cosa un vero profeta ricevesse dal Signore, egli la diceva e così quello che il Signore annunciava per mezzo del profeta era investito di un’autorità divina e assoluta, che si estendeva anche alle precise parole che il profeta utilizzava. Questo non vuol dire, naturalmente, che un vero profeta non sarebbe mai potuto ricadere nell’apostasia (1 R. 13:18). La distinzione che qui sto cercando di evidenziare ha a che fare con il tipo di valutazione che ci si aspettava che il popolo facesse. In linea generale, se il popolo d’Israele avesse ritenuto che un profeta esprimesse soltanto dei suoi pensieri personali e non quelli del Signore, ogni frase da lui pronunciata sarebbe stata soggetta a essere vagliata e messa in discussione. A ogni affermazione, gli uditori avrebbero chiesto: “Ma è proprio vero? È giusto?” Una parola di questo tipo, anche in bocca a un profeta, sarebbe la parola di uomini in mezzo ad altre parole di uomini e non avrebbe goduto di un’autorità maggiore di quella di qualsiasi altra parola. Si sarebbe reso necessario un discernimento critico per ascoltare tutte le parole profetiche, anche se il profeta avesse dichiarato che i concetti chiave del suo messaggio provenivano da Dio, perché qua e là avrebbero potuto essere comunque presenti dei minimi errori. Ma se il profeta dichiara di proclamare tutte le parole di Dio, entra in gioco un diverso tipo di valutazione. Ci sono soltanto due possibilità e non ci sono vie di mezzo. La domanda diventa: “Ma queste sono davvero parole di Dio?” Se la risposta è sì, devo ubbidire. Se è no, il profeta sta sbugiardando Dio e deve essere messo a 30


I profeti dell’Antico Testamento

morte” (De. 18:20). Una volta che le sue parole sono accettate (in tutti i sensi) come parole di Dio, acquisiscono uno status diverso e non possono essere né criticate né messe in discussione. Applicazioni per oggi Anche se il nostro studio non si è ancora confrontato con il problema della profezia nel Nuovo Testamento, esso presenta già qualche utile applicazione ai cristiani contemporanei. Questo perché molte delle parole di Dio pronunciate per bocca dei profeti dell’Antico Testamento non sono andate perdute, ma ci sono state conservate nelle pagine dell’Antico Testamento. Vi sono, in effetti, delle indicazioni del fatto che si riteneva che tutto l’Antico Testamento fosse stato scritto da quanti svolgessero un ministero di tipo “profetico”, dato che nel Vangelo di Luca leggiamo: “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Lu. 24:27). Ma poco importa se consideriamo che sia stata una grande parte dell’Antico Testamento, oppure l’intero Antico Testamento, nella sua forma scritta, a esserci stato trasmesso da autori che hanno scritto in quanto “profeti”; si può certamente dimostrare che la Scrittura reclama per tutto l’Antico Testamento quello stesso tipo d’autorità: l’autorità dovuta alle esatte parole di Dio.1 A questo riguardo, c’è una conseguenza pratica per i lettori contemporanei. Dobbiamo credere totalmente alle parole delle Scritture dell’Antico Testamento e (ogni qualvolta esse si applicano a noi oggi) dovremmo pienamente ubbidire ai suoi comandamenti, perché si tratta dei comandamenti di Dio. 1 Come ho diffusamente sostenuto altrove vedi W. A. Grudem: “Scripture’s self. Attestation and the problem of formulating a doctrine of Scripture”, in Scripture and truth, a cura di D. A. Carson & John Woodbridge (IVP, 1983), pp. 19-79. 31


Il dono della profezia

Se l’Antico Testamento gode di questo tipo di autorità, non dovremmo mai trascurarlo o pensare che contenga elementi mitologici o ai quali comunque non valga la pena di prestare troppa fede. Dobbiamo invece farne tesoro e tornarvi continuamente per ascoltare la voce del nostro Creatore che ci parla, offrendo indicazioni per le nostre vite e nutrimento spirituale per le nostre anime. Ciò che dice l’Antico Testamento lo dice Dio e non credergli o disubbidirgli significa non credere o disubbidire a Dio stesso.

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