Beata Mamma Rosa. Madre di Famiglia e di Sacerdoti 1\2019 ISNN 2531-8764

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Editoriale

Beata Mamma Rosa: quando l’ordinario esprime una sorprendente straordinarietà. È profonda la gratitudine con la quale mi accingo a descrivere l’itinerario di questo numero, il primo del 2019 anno IV della nostra Rivista. Gratitudine verso tutto coloro che con il loro contributo hanno regalato delicate, quanto profonde riflessioni, ma al contempo mi sento grata alla provvidenza. Strutturare un palinsesto non è sempre facile, per diversi motivi, tuttavia, con un tono grazioso i diversi contributi si accordano in un armonia inaspettata. La nostra Mamma Rosa viene da tutti, anche se con accenti diversi, indicata come riferimento di ordinaria straordinarietà: una donna semplice capace di vivere in sintonia con Dio. Così ci dice P. Gianluigi Pasquale nel descrivere il modo in cui Rosa giunse alla decisione di sposare il vedovo Carlo Barban: «Prese da sola la decisione, anche se in molti le consigliarono di accettare. La prese da sola perché sentì dentro di sé che quella proposta di matrimonio era suggerita da Dio. Né più né meno. Sentì che poteva dire di «no», certo, che era libera, ma nello stesso tempo che se avesse detto di «sì» quel sacrificio sarebbe stato gradito in cielo. Per questo, e per nessun altro motivo, accettò. E si promise al vedovo». Una decisione dalla forza capace di spiazzarci ogni volta, comprensibile solo se vissuta nella fede e nel rispetto della libertà coraggiosa di chi giunge a sapersi donare per sempre, nel tutto della propria esistenza. È proprio la radicalità della vita della Beata Mamma Rosa a rendere possibile l’accostamento alla vita di una santa del calibro di Santa Chiara d’Assisi. Affascinate da queste assonanze, due monache clarisse hanno scritto, dal silenzio dei loro monasteri, per noi, rendendo possibile gustare la bellezza di queste due donne, nella diversità della loro vita concreta completamente donate a Dio. Sr. Emmanuela, del monastero «San Damiano» a Borgo Valsugana, scrive in riferimento

Laura Dalfollo

alla preghiera: «nell’esperienza contemplativa e claustrale di santa Chiara e nell’esperienza contemplativa e familiare di Mamma Rosa c’è molto in comune. Anzitutto la familiarità con Dio. In Chiara come in Mamma Rosa la relazione con Dio pare sgorgare spontanea dentro una familiarità con il Signore, che da sola racconta quanto questa relazione permeasse le ore del giorno e della notte». Quella preghiera che nei monasteri si respira passando dal coro, al chiostro, al lavoro di tutti i giorni, è vissuta nella povertà, come descrive nel suo contributo Sr Clara del monastero «Buon Gesù» di Orvieto. La povertà per essere con Cristo, come Cristo: «ciò che maggiormente unisce la Santa di Assisi ed Eurosia è la motivazione di fondo di una povertà tenacemente custodita. Se per Chiara scegliere la povertà fu tout court seguire Gesù, Eurosia, che pur era nata povera, non fu attratta di meno dalla povertà di Gesù. Il ricordo di Gesù, il desiderio di imitarlo le facevano capire interiormente che la povertà era qualcosa che a lui piaceva». Ecco allora lo scopo della vita: è rendere gioia all’amato, nella semplicità, quella semplicità che si riconosce nella croce. Vi è in questo senso il contributo di Silvia Polizzi, la quale ci aiuta a comprendere meglio la storia della Salvezza a partire da un’icona da lei dipinta ricordandoci come Mamma Rosa si servisse d’immagini per il suo impegno di catechista: «La Beata Eurosia era una donna dal cuore semplice, ricolmo di carità e di amore per il Signore. Viveva nella preghiera, nel lavoro e per la famiglia. Profondamente cristiana, conosceva la Storia della Salvezza, meditava dinanzi alle immagini sante che narrano il Vangelo e di esse si serviva nel suo ministero di catechista». La Scrittura, tuttavia, è stata il nutrimento di Mamma Rosa, come lo è per molti che di tale lettura ne fanno il proprio studio. Grazie a Facebook ho conosciuto Marco Napolitano, sa3


cerdote e ricercatore a Gerusalemme per un dottorato in esegesi biblica. La sua devozione a Mamma Rosa aiuta a comprendere quanto i mezzi di comunicazione del nostro tempo possano essere un dono, in questo senso le sue parole valgono mille volte più delle mie: «Una donna, una moglie, una madre, capace di interpretare la Scrittura con sapienza, nel senso originario del termine: una interpretazione, cioè, capace di dare sale, di dare gusto alla vita. Questo è un insegnamento materno e fraterno che mamma Rosa continua a darmi, mentre guardo la sua immagine che mi sorride quasi sepolta tra i libri della scrivania». La semplicità e la dolcezza sono tratti emergenti nella testimonianza che P. Stefano Marzolla, assistente regionale dell’OFS del Veneto, le cui parole si fanno nostra preghiera: «Risplenda su di noi allora, fratelli e sorelle, l’esempio di mamma Rosa, patrona dell’Ordine Francescano Secolare, beata della Chiesa di Dio perché ci sostenga nel vivere la nostra vocazione nel mondo, nella ricerca del Signore e della sua volontà per cercare, come ha

fatto lei, di passare dal Vangelo alla vita e dalla vita al Vangelo». Un grazie particolare a P. Spagnolo per la sua puntualità e sollecitudine nel sostenere la rubrica «invito alla lettura», che troviamo a chiusura del nostro numero. Diamo il via con questo anno alla pubblicazione di Lettere dall’Epistolario, © «Beata Mamma Rosa. Madre di famiglia e di sacerdoti», inedito dei figli della Beata Mamma Rosa: Padre Bernardino, Don Secondo, Don Giuseppe e Suor Teofania. Corrispondenza inedita fra i figli della Beata Mamma Rosa. In questo numero sarà pubblicata una lettera inviata a fra Bernardino da don Secondo in data 22.11.1920, scelta per l’affetto fraterno che ne emerge e la testimonianza di una famiglia unita, abitata da una vicendevole premura. Voglio approfittare dell’occasione per augurare a tutti di vivere una Santa Pasqua: con Cristo Risorto possa ciascuno di noi riconoscersi creatura nuova.

Storia

Eurosia Fabris Barban: poter essere madre in tre modi. Seconda parte 3. La maternità naturale e quella di affido: con compassione. Quando i due entravano in casa Rosa «accendeva il lume ad olio e metteva al fuoco la cena. E intanto che il latte bolliva e la polenta si abbrustoliva alla brace, la giovinetta si dava intorno a spazzare, a spolverare, e riordinare l’acquaio, la credenza, la tavola. Poi, risaliva alle camerette del primo piano, e preparava ogni cosa per la notte, chiudeva le imposte, non senza aver tracciato un segno di croce sulla culla delle bimbe, ed aver riacceso il lumino ad olio davanti all’immagine del Sacro Cuore». E ancora: «Ridiscesa in cucina, correva a rimestare la pappa nel pentolino e a preparare il latte nel poppatoio, la cena frugale ai tre uomini stanchi. Sorridendo raccomandava al vecchio quanto sarebbe stato necessario, il giorno seguente, per la cura delle due orfanelle e della casa, 4

Gianluigi Pasquale OFM Cap.

assicurando che sarebbe ritornata l’indomani mattina, dopo la Messa. Infine, raccolta in un fagotto la biancheria da lavare e da raccomodare e salutato il caro paziente vecchietto, tornava a notte ormai inoltrata alla casetta paterna per dormirvi». Così per tre mesi. Tre mesi di lavoro dedicati interamente ai vicini. Perché lo fece? L’abbiamo detto. Rosa agì perché sentì compassione, ispirata nel profondo del suo cuore. Tuttavia, ancora non sapeva fino a cosa esattamente quell’ispirazione l’avrebbe portata. Fino a dove, quella compassione che le scoppiò in petto, l’avrebbe condotta. Lo scoprì poco dopo. Una scoperta alla quale si abbandonò docilmente e che le cambiò per sempre la vita, che da quel giorno divenne avventurosa, di sacrificio. Tuttavia non amara. Accadde che Carlo, nel


mese di febbraio dell’anno seguente, si recò a casa dei genitori di Rosa. Andò lì per avanzare una richiesta precisa: chiedere Rosa in moglie. Evidentemente colpito dalla sua dedizione, pensò che fosse un buon partito per sé e per tutti loro. I genitori non dissero di «no». Tuttavia mancava ancora il parere di Rosa. Cosa avrebbe detto? Già, perché un conto è rassettare la casa di persone estranee perché mossi a compassione a seguito di una tragedia familiare. Un altro è dedicare a questi estranei la propria intera esistenza. Rosa era una bella ragazza. Aveva avuto alcune proposte di fidanzamento ma aveva sempre declinato. Di Carlo, probabilmente, non era innamorata. Il matrimonio era un’ipotesi che non rifiutava a priori, seppure ad esso non vi avesse ancora pensato. La proposta di Carlo la sorprese. Quando i genitori gliene parlarono non rispose subito. Chiese del tempo per pensarci. Voleva pregarci sopra. Voleva riflettere. Voleva confrontarsi col suo confessore e anche con Dio. Era questa la strada che Lui aveva pensato per lei? Era per portarla al matrimonio con Carlo che Lui le aveva fatto scoppiare il cuore di compassione il giorno in cui Stella morì? Rispondere non era facile. Pregò. Fece silenzio, Si confrontò. Ascoltò il suo cuore. Dove, solitamente, parla la voce di Dio. E alla fine capì una cosa: sposarsi con Carlo sarebbe stato un sacrificio. Un sacrificio che avrebbe cambiato per sempre il corso della sua vita. Voleva farlo questo sacrificio? Avrebbe detto «sì»? 4. Un matrimonio libero perché suggerito da Dio. Prese da sola la decisione, anche se in molti le consigliarono di accettare. La prese da sola perché sentì dentro di sé che quella proposta di matrimonio era suggerita da Dio. Né più né meno. Sentì che poteva dire di «no», certo, che era libera, ma nello stesso tempo che se avesse detto di «sì» quel sacrificio sarebbe stato gradito in cielo. Per questo, e per nessun altro motivo, accettò. E si promise al vedovo Carlo. Fu un atto eroico. Il vero e unico motivo per cui è stata dichiarata beata, unitamente al miracolo di guarigione istantanea da pleurite essudativa sinistra di cui ha beneficiato, per sua intercessione, Anita Casonato di Vicenza (1920-2011) il 4 Dicembre 1944. Così lo interpretò anche tutta la comunità di Marola. Scriverà più tardi il francescano P. Bernardino (1897-1980), uno dei figli che nasceranno dal

Nella foto: Altare dedicato alla Beata Eurosia Barban, nel santuario “Beata Mamma Rosa”

matrimonio fra Carlo e Rosa e suo biografo: «Mio padre rimase vedovo a ventotto anni. È stato un atto eroico sposarlo, per testimonianza di tutti. Rosa, dopo aver ascoltato la S. Messa, andava ogni giorno ad accudire la casa di lui, vedovo, le due bambine e i tre uomini. Il parroco del paese l’ha consigliata a sposare il vedovo. Anche altri le diedero lo stesso consiglio. «Voglio educare le bambine come voglio io», diceva. Non so come si preparò alle nozze. Portò in dote venticinque lire. Tutti dicevano che era un matrimonio eroico. Prima aveva avuto altri inviti che aveva sempre rifiutato anche se migliori». Dirà Pietro Carta, amico di famiglia: «Fu proprio per compassione verso le due orfanelle che accettò la proposta di Carlo». Il fidanzamento fu molto breve. Durò appena tre mesi. Il 5 maggio 1886 i due si accostarono all’altare. Come corredo Rosa portò pochi vestiti e la biancheria che già aveva. Il viaggio 5


di nozze fu fatto al santuario di Monte Berico (VI), a meno di dieci chilometri di distanza. Più volte alcuni amici la fermarono per strada e le chiesero perché l’avesse fatto. Rispondeva: «Il Signore stesso mi ha messa su questa strada, ed io mi sono lasciata condurre da Lui. Io mi sono sposata proprio per sacrificarmi. Ho sposato il vedovo Carlo per pietà delle sue tenere figlie; per poter allevare queste piccole orfane. L’ho fatto proprio per amor loro, perché era la volontà di Dio. Io sapevo fare la sarta e quindi avrei preparato loro dei graziosi vesti-

tini. Così avrei fatto ad esse da mamma e sarebbero cresciute bene, perché mi ero proposta di educarle per il Signore, come intendevo io». Rosa sposò Carlo, dunque, perché sentì che era volontà di Dio. Lo sposò sacrificandosi. E mai avrebbe immaginato tutto ciò che questo sacrificio avrebbe generato nella sua vita, i fatti davvero straordinari che le accaddero da quel «sì» in avanti. Ne vediamo alcuni in breve, mantenendo il criterio enunciato all’inizio, secondo il quale i contorni della santità si comprendono appieno se osservati riflessi nella Chiesa diocesana di origine.

Spiritualità

Mamma Rosa e Chiara d’Assisi. Sr Maria Emmanuela Bortolotti osc Leggere la biografia di Mamma Rosa, scritta dal figlio p. Bernardino Angelo Barban, e innamorarmi della sua figura è stato tutt’uno. Dalle pagine del libro viene incontro una donna, o meglio, una madre sicuramente eroica, ma anche tanto, tanto semplice, estremamente vicina e familiare. I tratti francescani della sua vita interiore emergono come in filigrana attraverso le grandi e piccole cose del quotidiano: la dedizione alla famiglia, la fatica del lavoro, il gusto delle piccole cose, il modo di affrontare preoccupazioni e difficoltà, l’abbandono alla Provvidenza, l’attenzione continua all’azione dello Spirito Santo, la vita di preghiera. Ed è stata proprio la sua vita di preghiera a impressionarmi fortemente per il suo carat-

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tere contemplativo e mistico, che mi ha fatto pensare all’esperienza di santa Chiara d’Assisi, i cui scritti, certamente, Mamma Rosa non ha conosciuto. Forse il paragone fra le due sante è azzardato, sia perché molto di loro giunge a noi filtrato dallo stile degli agiografi, il cui intento è mettere in luce ma, talora, anche di interpretare, i tratti della loro santità, sia per la distanza di oltre sei secoli che le separa. Eppure, nell’esperienza contemplativa e claustrale di santa Chiara e nell’esperienza contemplativa e familiare di Mamma Rosa c’è molto in comune. Anzitutto la familiarità con Dio. In Chiara come in Mamma Rosa la relazione con Dio pare sgorgare spontanea dentro una familiarità con il Signore, che da sola racconta quanto questa relazione permeasse le ore del giorno e della notte. Per assonanza


mi viene in mente, in particolare, quanto san Francesco scrive nella Lettera ai Fedeli (gli stessi contenuti, arricchiti dal tratto femminile, saranno oggetto di condivisione spirituale nelle lettere che Chiara indirizzerà a sant’Agnese di Praga – vedi Fonti Francescane 2859 e ss.). Nella Lettera ai fedeli, Francesco scrive così (Fonti Francescane 178/2): Oh, come sono beati e benedetti quelli e quelle [ndr: che amano il Signore con tutto se stessi e fanno penitenza], quando fanno tali cose e perseverano in esse; 6 perché riposerà su di essi lo Spirito del Signore, e farà presso di loro la sua abitazione e dimora; 7 e sono figli del Padre celeste del quale compiono le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo. 5

Siamo sposi, quando l’anima fedele si unisce al Signore nostro Gesù Cristo per virtù di Spirito Santo. 9 Siamo suoi fratelli quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli. 10 Siamo madri, quando lo portiamo nel cuore e nel corpo nostro per mezzo del divino amore e della pura e sincera coscienza, lo generiamo attraverso le opere sante, che devono risplendere agli altri in esempio. 8

Forse raramente, in così poche righe, è stata espressa la familiarità con Dio, l’intimità familiare con Lui, che Mamma Rosa ha vissuto, mai scadendo in intimismo. La sua passione di irradiare Cristo con le opere, di vivere il Vangelo e alla luce del Vangelo, l’ha davvero fatta risplendere “in specchio ed esempio” (santa Chiara, Testamento). Nei santi risplende con chiarezza che la vita cristiana è sempre e solo espressione del primato dell’amore di Dio e del prossimo, nei confronti del quale la prima forma di carità è proprio quella di donargli la testimonianza evangelica. Un altro tratto della vita interiore di Mamma Rosa che emerge con forza dalla sua vita è quello della familiarità con il Cielo: Mamma Rosa, come Chiara d’Assisi, ha saputo tenere fisso lo sguardo sull’Invisibile. Maria, i santi, i cari “migrati” presso Dio… una Gerusalemme celeste pregustata, attesa e desiderata, meta del laborioso mestiere di essere uomini quaggiù, compimento glorioso della nostra fragile umanità, come ben la canta santa Chiara (quarta lettera di santa Chiara a sant’Agnese di Praga, FF 2901-2902): Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, 10 la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. 11 L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. 12 La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria. 13 Al 9

Nelle foto sopra: La comunità delle clarisse di Borgo con l’Arcivescovo di Trento Mons. Lauro Tisi e Coro in cui pregava S. Chiara, monastero di San Damiano ad Assisi Nelle foto della pagina precedente: Le clarisse di Borgo nel coro del loro monastero oggi e San Francesco e S. Chiara, statua bronzea nel chiostro del monastero di Borgo suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste. 14 E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria, chiarore della luce perenne e specchio senza macchia, 15 ogni giorno porta l’anima tua, o regina, sposa di Gesù Cristo, in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, 16 perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e circondata di varietà, 17 e sii parimenti adorna con i fiori e le vesti di tutte le virtù, come conviene a te, figlia e sposa carissima del sommo Re.

Mamma Rosa, che pure ha vissuto con profondo dolore il distacco per la morte dei suoi cari, non ha mai temuto questo momento estremo della vita, porta spalancata sul mistero di Dio. Anzi, come ci raccontano le testimonianze dei figli, ha avuto in dono dal Signore di conoscere il giorno della sua morte, 7


del suo abbraccio con Cristo. E a dimostrazione che le relazioni con il Cielo sono dense di vicinanza e di comunione, dense di reciprocità, e che quindi la vita mistica è un dono concreto e reale, ci soccorre la testimonianza che viene dal suo rapporto con le anime del Purgatorio, verso le quali è sempre stata ani-

mata da devozione e che l’hanno assistita in momenti tragici. La Beata Mamma Rosa ci aiuti a fare anche della nostra vita di fede un capolavoro di fiducia in Dio… di esperienza di Lui e di testimonianza del suo amore!

Chiara ed Eurosia

“L’unica ricchezza è amare soltanto il Signore”. Aspetti della povertà in Chiara di Assisi ed Eurosia Fabris. «Una santa della porta accanto» (Gaudete et exultate,7), una donna che ha saputo vivere in modo straordinario il quotidiano, proiettando sull’orizzonte infinito di Dio le piccole cose di ogni giorno, come solo la fede può fare. Questo pensiero mi ha attraversato mentre leggevo la biografia di Eurosia Fabris: una vita feriale, nascosta, semplice come quella che si conduce in un monastero. Chiara di Assisi, la Santa che nel XIII secolo fonda l’ordine della Clarisse insieme a san Francesco, ha vissuto quarantadue anni nel monastero di S. Damiano una quotidianità che non fa notizia. Eppure seppe fare di quella quotidianità senza bagliori mondani, un dono e un rendimento di grazie al Padre, in unione al Figlio Gesù, a favore di tutta la Chiesa. Eurosia visse il suo ordinario di donna, moglie e madre, lasciando dietro di sé il profumo della santità in una vita donata alla famiglia, ma anche a quanti avevano bussato alla sua porta. Nate e vissute in ambienti diversi, in forme di vita differenti, Chiara di Assisi ed Eurosia Fabris si incontrano nella radicalità del Vangelo, che fa coppia, ieri come oggi, con la povertà, concreta e centrale per la Santa di Assisi, al punto da farne il nome del suo istituto, l’Ordine delle Sorelle povere. Rosa, dal canto suo, come ha scritto Paolo Rodari nella sua recente biografia della Beata di Marola, Un fiore di campo (p. 83), «Non aveva biso8

Sr Clara Maria Fusciello osc

gno di appartenere ad alcun ordine religioso, nemmeno da laica. La sua vita era un continuo affidamento a Dio». Chiara di Assisi ha vissuto nel XIII secolo, Eurosia sei secoli più tardi. La prima apparteneva a una famiglia aristocratica, e la povertà significò anche una scelta di campo sociale che cambiò decisamente la sua condizione di vita. Chiara scelse di mettersi dalla parte dei poveri con tutto quello che questo comportava in termini di insicurezza e penuria materiale. Questa povertà, abbracciata a motivo del Vangelo, diventa per Chiara lo spazio del dono di se stessa, alle sorelle vicine, attraverso gli umili e concreti servizi del quotidiano, e a tutti, attraverso la preghiera. Eurosia era nata povera, e nella scelta di sposare Carlo, facendosi carico di figli non suoi, del padre e del fratello di lui, andava incontro a una povertà più grande, non solo materiale. Rinunciava a un futuro migliore, con un uomo più giovane, soprattutto a una


famiglia che fosse interamente sua. Il dono di sé si allarga poi ai bambini, ai quali dava il latte – come si usava allora quando la mamma non ne aveva - agli ammalati, ai pellegrini. La povertà in Chiara come in Eurosia diventa apertura, condivisione: il poco pane ricevuto dalle mani della Provvidenza basta per tutti. A questo proposito piace ricordare l’episodio emblematico del pane, raccontato da una sorella al processo per la canonizzazione della Santa di Assisi. C’era solo mezzo pane in casa, la metà del quale mandata ai frati, «Chiara le ordinò di farne cinquanta fette, al che la testimonia rispose: «Per farne cinquanta fette, sarebbe necessario quello miraculo del Signore, de cinque pani e doi pesci». Ma Chiara le disse: «Va’ e fa come io te ho detto». E così il Signore moltiplicò quello pane per tale modo, che ne fece cinquanta fette bone et grande». Anche a casa Barban a volte mancava cosa mettere sulla tavola e allora i figli di Eurosia andavano a bussare al Signore della Provvidenza, il Grande elemosiniere, come lo chiamava Francesco, e fiduciosi lanciavano l’amo nei ruscelli dei dintorni per trovare qualche pesce. E sempre lo trovavano! Eurosia confidava nel Signore e trovava il necessario per la famiglia e per gli altri, quelli che accoglieva, come i figli della cugina, o i vicini di casa bisognosi. Dalle testimonianze raccolte per il processo di beatificazione sappiamo che Eurosia era profondamente convinta che il denaro non è motivo di felicità, anzi, soleva ripetere che «Non sono le ricchezze che fanno contento il nostro cuore, ma il fare la volontà di Dio. Il ricco ha tante preoccupazioni che il povero non ha» (p. 87). E ancora: «L’unica ricchezza è amare soltanto il Signore, perché tutto passa presto. Quello che conta è solamente il bene che facciamo (Ivi). Eurosia credeva fermamente, come Chiara, che «Il regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri, perché quando si amano le cose temporali, si perde il frutto della carità» (1 Lettera di S. Chiara a S. Agnese di Boemia). Ma ciò che maggiormente unisce la Santa di Assisi ed Eurosia è la motivazione di fondo di una povertà tenacemente custodita. Se per Chiara scegliere la povertà fu tout court seguire Gesù, Eurosia, che pur era nata povera, non fu attratta di meno dalla povertà di Gesù. Il ricordo di Gesù, il desiderio di imitarlo le facevano capire interiormente che la povertà era qualcosa che a lui piaceva.

Era un modo per sentirsi in comunione più stretta con Gesù e di sentirsi più amata da Dio, come scrive nella prima biografia, Beata Mamma Rosa, il figlio Bernardino Angelo Barban (p. 183). Tutto si può riassumere nelle parole di Mamma Rosa a una signora che la salutava sul portone di casa: «Buon giorno, Signora Rosa!». Rosa rispose: «La ringrazio, cara, del suo saluto. Ma, per carità, non mi chiami “signora”, quasi fossi ricca: perché, invece, sono e voglio essere poveretta. Se fossi proprio una “Signora”, avrei quasi paura che Dio non mi voglia più tanto bene e che mi aiuti di meno» (pp. 183-184). Rosa sapeva molto bene, per averlo sperimentato, che i poveri sono più vicini al cuore di Dio. Chiara di Assisi ed Eurosia Fabris, due donne che si sono affidate pienamente alla parola del Vangelo permettendo al cielo di toccare la terra e fecondarla di bene.

Nella foto sopra: La comunità delle clarisse di Orvieto con Mons. Benedetto Tuzia, Vescovo della Diocesi di Orvieto-Todi e Il chiostro del Monastero Buon Gesù di Orvieto Nella foto della pagina precedente: Santa Chiara e San Francesco

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Beata Mamma Rosa e l’arte

La Beata Eurosia e la Crocifissione del Signore. Silvia Polizzi

La Beata Eurosia era una donna dal cuore semplice, ricolmo di carità e di amore per il Signore. Viveva nella preghiera, nel lavoro e per la famiglia. Profondamente cristiana, conosceva la Storia della Salvezza, meditava dinanzi alle immagini sante che narrano il Vangelo e di esse si serviva nel suo ministero di catechista. Le catechesi battesimali esaltano la crocifissione di Gesù Cristo e Gesù Crocifisso era per lei fonte di contemplazione e amore puro. Vicini al suo spirituale sentire, che ha sostenuto la sua vita di santità, meditiamo insieme questo mistero con l’aiuto dell’opera iconografica “Crocifissione di Gesù Cristo”.

tutto ciò che era stato scritto. E’ esposto agli sguardi di tutti nel totale spogliamento di sé, perché hanno tirato a sorte le sue vesti. Ha già gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ha dato la vita per l’umanità, obbediente al Padre fino alla morte di croce, pregando, come aveva sempre vissuto, nella sua libera consegna compiuta nella sua carne, nelle mani e nei piedi forati dai chiodi, nel costato trapassato dalla lancia, dal quale sgorgano sangue e acqua, segni della Vita e dello Spirito, dipinti con il rosso e il bianco. Cristo è lo Sposo che ha dato la vita per la sua Chiesa Sposa. Il suo capo è coronato dal nimbo d’oro crucifero perché egli è il Salvatore, il Messia, è Dio anche nel mistero della morte.

L’Icona nella foto fa parte del ciclo della Storia della Salvezza da me dipinta nella Cappella della Casa di Spiritualità Regina Montis Regalis a Vicoforte, con tempere all’uovo, pigmenti naturali e oro zecchino su tavole in legno con tele di lino, affinché anche ogni elemento del creato celebri il Signore con l’arte. L’opera mette davanti ai nostri occhi la morte del Signore, la sofferenza, la gloria e il suo valore salvifico. La Chiesa ha dipinto fin dall’antichità la crocifissione, per presentare l’atto supremo della consegna di Gesù al Padre per noi e il Venerdì Santo innalza la Croce affinché tutti volgano lo sguardo a Colui che hanno trafitto. L’Icona riassume il Vangelo e il mistero della nostra redenzione, presenta Cristo sulla Croce e accanto a lui la Vergine Maria e san Giovanni, amorosi testimoni depositari delle ultime parole di Gesù.

La Vergine Maria sta ai piedi della Croce, avvolta nel mantello che rappresenta la grazia dello Spirito che la rende tutta Santa, in piena comunione con il Figlio. Maria con una mano sulla guancia, l’anima trafitta dal dolore, contempla il Crocifisso. Con l’altra indica a tutti il Figlio e raccoglie dal costato di Cristo l’acqua e il sangue, che i Padri della Chiesa indicano come simboli del Battesimo e dell’Eucaristia. Così sta la Madre, nuova Eva, dopo aver ascoltato le parole di Gesù: “Donna, ecco tuo Figlio” che l’hanno resa Madre di tutta l’umanità. E’ figura e Madre della Chiesa, Sposa fedele vicino allo Sposo nel momento del supremo sacrificio. E’ Madre di tutti coloro che soffrono e veglia dolorosa accanto a ogni figlio crocifisso, infondendo speranza e amore.

Gesù Crocifisso è dipinto nel momento della sua morte ormai avvenuta. Dopo aver affidato il suo spirito al Padre, ha gli occhi chiusi nel sonno della morte, immerso nel battesimo nel quale doveva essere battezzato. Ha compiuto

Anche Giovanni, discepolo amato, sta lì, nell’immenso dolore di amico e giovane apostolo fedele al Maestro fino alla fine. Ha raccolto il testamento di Gesù “Ecco tua Madre”. Ha contemplato con sguardo di teologo spiri-

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tuale tutto ciò che è accaduto: Colui che sta sul legno come un Re, elevato per attirare tutti a Sé; il Tempio santo, luogo della presenza di Dio dal quale sgorga l’acqua viva dello Spirito; l’Amico, che dà la vita per gli amici. Sublime contemplazione nella quale Giovanni ai piedi della Croce è assorto, per narrarlo poi con intensa profondità alla Chiesa, alla luce della Risurrezione. La Croce è l’albero della vita. L’ho dipinta trasfigurata con i colori rosso e blu della divinità e umanità del Cristo. E’ sul Calvario, fatto di pietre luminose, lavate e trasfigurate dal sangue di Gesù. In basso, in una cavità buia, un teschio rappresenta il cranio di Adamo, al quale giunge il sangue redentore di Cristo, nuovo Adamo. In lontananza vi sono le mura di Gerusalemme, con una delle porte buia, a indicare coloro che non hanno ancora conosciuto il Signore, il quale ha donato la vita anche per loro. La Croce riproduce il segno inscritto nel corpo della persona umana, che resterà per sempre espresso in Cristo, con una verticalità che unisce il cielo e la terra e le braccia aperte ad abbracciare tutta l’umanità. Indica i punti cardinali dell’universo, è segno cosmico di riconciliazione fra cielo e terra in Colui che è Croce e Crocifisso, che unisce Dio a ogni persona umana, tutta l’umanità in Dio e in un solo Corpo, una sola famiglia di fratelli. Anche dopo la risurrezione Cristo è sempre il Crocifisso-Risuscitato, sacerdote e vittima gloriosa. La Croce è come una bilancia, nella quale il peso della misericordia di Dio supera quello dell’iniquità degli uomini. La contemplazione del Crocifisso invita all’amore, alla risposta generosa. Per Eurosia la Croce era il culmine dell’amore, della fortezza, del servizio, che compiva con suprema gratuità perché voleva vivere come Cristo, il Quale le dava la forza per amare con le opere. Ella ha vissuto molte volte il dolore della Croce, ma si è sempre abbandonata con fiducia a Gesù Buon Pastore, che ha dato la sua vita per le sue pecore. Così noi, con gratitudine e amore, possiamo cantare la bella antifona della liturgia orientale del Venerdì Santo: “Adoriamo, Signore, la tua Croce e confessiamo la tua santa Resurrezione. Per mezzo dell’albero della Croce, l’annuncio della vera gioia è giunto al mondo intero” e confessare: “Se con Lui moriamo vivremo con Lui”, perché la Croce di Gesù è la vita per tutti noi.

Nella foto in alto: Crocifissione di Gesù Cristo (particolare © Silvia Polizzi) Nella foto in basso: Crocefisso del Rosario della Beata Mamma Rosa

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Beata Mamma Rosa nel mondo

Amare la Bibbia con Mamma Rosa a Gerusalemme. In una sua recente intervista, Joel B. Green, uno dei più apprezzati esegeti del Nuovo Testamento, autore di un numero considerevole di studi scientifici sul Vangelo di Luca, ha espresso un pensiero illuminante: “I migliori studiosi della Bibbia amano sinceramente la Scrittura e arrivano alle sue pagine pronti per ascoltare il messaggio di Dio”. Per chi come me si mette ogni giorno alla scrivania per portare avanti lo studio della Sacra Scrittura, cercando di destreggiarsi con i vari strumenti che la ricerca scientifica offre per rinvenire il senso dei testi biblici, la paura in agguato è sempre quella di “servirsi” del testo, più che di “servire” il testo sacro. Non è mai facile infatti mettersi in ascolto del testo senza usarlo per esprimere le proprie convinzioni. Non è facile imparare a “remare al ritmo della Parola” (secondo il senso etimologico dell’espressione “ministri della Parola” che Luca usa nel suo prologo, cfr. Lc 1,2) senza imporre alla Scrittura i propri ritmi, le proprie urgenze, le proprie necessità. E questa difficoltà può essere vinta solo se chi studia con rigore e metodo la Sacra Scrittura impara a farlo accostandosi con amore e con spirito di servizio alle pagine che formano l’oggetto della sua ricerca. Credo sinceramente che, quando mamma Rosa ed io ci siamo “incontrati”, per un caso un po’ provvidenziale (come spesso capita nella vita) la prima cosa che mi ha colpito e che Nella foto: Scrivania di Marco, fra i libri l’immagine di Mamma Rosa

Marco Napolitano

mi ha spinto ad approfondirne la figura è stato questo amore al Dio della Parola, un amore appassionato che l’ha spinta a ritmare la sua vita al battito del Dio che si fa parola di carne in Gesù Cristo. Mamma Rosa, che non aveva fatto studi biblici, aveva tuttavia una sorta di “sapienza esegetica” che era frutto del contatto costante con la Parola, come riconosceva chiunque l’avvicinava. Quella sua capacità straordinaria di ascoltare, consigliare, a volte persino intuire i bisogni dell’altro non le veniva semplicemente da una soda sapienza contadina, ma da una singolare capacità di ascolto della Parola. Sant’Agostino invita chi legge la Bibbia ad ascoltarla «come se contemplaste voi stessi nello specchio delle Scritture» (Agostino di Ippona, Esposizioni sui Salmi, 123,3). Le pagine della vita di mamma Rosa rivelano con chiarezza che ella, giorno dopo giorno, ha imparato a contemplare la sua vita nello specchio della parola di Dio, facendo corrispondere in maniera sempre più fedele la sua quotidianità all’immagine di bellezza, di bontà, di completezza che aveva imparato a riconoscere nelle pagine consunte del suo libretto di “storia sacra”. Una donna, una moglie, una madre, capace di interpretare la Scrittura con sapienza, nel senso originario del termine: una interpretazione, cioè, capace di dare sale, di dare gusto alla vita. Questo è un insegnamento materno e fraterno che mamma Rosa continua a darmi, mentre guardo la sua immagine che mi sorride quasi sepolta tra i libri della scrivania: una esegesi “insipida”, che non dà un sapore nuovo e migliore alla vita degli uomini, che non mette quel sale che conserva e preserva l’esistenza, è solo un dotto esercizio letterario, ma non permette a me e agli altri di incontrare un Dio vivo che parla ancora oggi attraverso una Parola viva. Un episodio della vita di mamma Rosa, che è anche diventata per me una nota di metodo, mi viene alla mente a questo riguardo: «poiché alla sera non le era permesso di soffermarsi a leggere la “storia sacra”, si alzava di notte piano piano e dopo breve preghiera leggeva, ap-

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profondiva, meditava su quelle pagine ispirate». Questa delicata attrazione notturna di mamma Rosa mi ha richiamato due pagine squisitamente femminili della Scrittura: nel libro dei Proverbi si dice della donna forte che “si alza quando è ancora notte, distribuisce il cibo alla sua famiglia” (Pro 31,15). Ma anche l’innamorata del Cantico dice, parlando del suo amato: “lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia; l’ho cercato” (Ct 3,1). Mi pare che davvero questo sia, alla luce della Parola, un episodio che racchiude in maniera ammirevole l’essenza della sua vita. Eurosia è la moglie, la madre, l’amica, che nella notte, insieme al pane, impasta il cibo buono per la sua famiglia. Ma è anche la donna innamorata, di quell’amore che supera e che motiva ogni altro

amore, che non può fare a meno di correre là dove il suo cuore ritrova il ritmo naturale. Ed è per queste due caratteristiche, che ricevono luce e forza l’una dall’altra, che mamma Rosa, una contadina vicentina, quasi illetterata, mi fa da “terzo relatore” in questo tempo, esaltante e austero, in cui scrivo il mio dottorato in sacra Scrittura: per insegnarmi che con il mio studio della Parola, da cristiano e da sacerdote, devo contribuire a preparare un po’ di cibo buono per i miei fratelli. Questo cibo però posso solo prepararlo se mi dispongo all’ascolto della voce di Dio con l’attrazione di un innamorato: solo questo dà una base solida e duratura alla vita che viviamo, al senso che cerchiamo.

La devozione dell’OFS nel giorno della memoria liturgica della Beata Eurosia. Stefano Marzolla OFM Cap

Mercoledì 9 gennaio assieme ad alcuni membri della fraternità di Lendinara, siamo andati a Marola per partecipare all’eucaristia in onore di Mamma Rosa, la patrona dei francescani secolari del Veneto. Il suo santuario è una chiesa umile e semplice come lo fu la sua figura di donna di fede, sempre attenta a compiere fino in fondo la volontà di Dio. Il titolo di “mamma” suscita subito in chi lo pronuncia una familiarità e una pace che rievoca quelle sensazioni che avevamo quando da piccoli chiamavamo la nostra mamma. Nel celebrare l’Eucaristia di fronte alla chiesa piena di fedeli venuti a pregare e ringraziare questa Beata mi ha fatto vedere come Dio veramente guardi l’umiltà delle serve che lui sceglie per fare in esse grandi cose, come lo fece per la Beata Vergine e Madre di Dio, Maria. Credo che sia proprio questa la bellezza di Mamma Rosa: desiderare e coltivare la santità nella quotidianità e nel sacrificio, senza risparmiarsi, ma mettendo sempre al primo posto il bene dei propri figli e di chi vedeva che era nel

bisogno, con quel timor di Dio che l’ha fatta innamorare del suo Signore. Ogni preghiera, ogni ringraziamento, ogni richiesta rivolta a mamma Rosa siamo certi non rimarrà inascoltata, perché il suo cuore tenero di mamma farà il possibile per soddisfare il desiderio di ogni figlio. Spero che affidando l’Ordine Francescano Secolare nelle sue mani all’inizio di ogni anno, i francescani secolari sappiano attingere, gustare e testimoniare quella spiritualità cristiana e francescana che rende il mondo più bello e più gioioso, rende la fede un’avventura per cui vale la pena spendersi, e su cui investire le proprie forze. Che Beata Mamma Rosa ci accompagni e ci guidi perché possiamo sempre meglio vivere le nostre vocazioni nel mondo, e con il suo aiuto come francescani riusciamo a regalare piccoli pezzi di paradiso a coloro che sappiamo vivere nei deserti della solitudine e della sofferenza, come san Francesco fece a suo tempo diffondendo la letizia e l’amore che sgorgavano dal cuore di un “figlio” consapevole di essere amato da un Padre tenero e ricco di misericordia. 13


Vetrina di libri

Invito alla lettura. Giovanni Spagnolo OFM Cap. GIANLUIGI PASQUALE Angeli e demoni in Padre Pio. Il mondo interiore del Santo stigmatizzato Ed. La Fontana di Siloe, 2019, pp. 340, €19.50, brossura [ISBN 8867371088] Proprio alla conclusione delle celebrazioni giubilari di san Pio da Pietrelcina (1887-1968): centenario della stimmatizzazione (1918) e cinquantenario della morte (1968), ecco questo interessante studio del teologo Gianluigi Pasquale che mette a fuoco uno degli aspetti più problematici della spiritualità del frate cappuccino e cioè il suo relazionarsi con Angeli e Demoni, in ordine al suo mondo interiore, illuminato dalla Grazia. “Attraverso un meticoloso studio dell’Epistolario - in particolare delle lettere dove balugina, accanto al candore del giovane frate in dialogo con gli angeli, il tremore per quel Maligno che gli si poneva di frammezzo - questa ricerca mostra come il mondo interiore di Padre Pio esprima pienamente il segreto linguaggio del nostro «io profondo» e apra alla conoscenza e alla comprensione della sua inavvicinabile statura storica, morale e spirituale, oltre che della sua intensa esperienza di sofferenza e del suo rapporto di comunione con il Signore” (ultima di copertina).

JOSÉ TOLENTINO MENDONÇA Elogio della sete Ed. Vita e Pensiero, 2018, pp. 152, € 14.00, cartonato [ISBN9 788834335604] Questo pregiato volume racchiude le meditazioni che José Tolentino Mendonça, sacerdote, studioso, poeta - una delle voci più originali del Portogallo contemporaneo - vice rettore dell’Università Cattolica di Lisbona e ultimamente Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ha dettato al Papa e alla Curia Romana, durante gli Esercizi Spirituali della Quaresima nel 2018. ”Dalla samaritana che nel dialogo con Gesù scopre che non è dell’acqua del pozzo che ha sete, al desiderio di vedere il volto di Dio come sete viscerale di tutto il creato; dalla sete del Crocifisso che è sete degli uomini, alla beatitudine della sete che amplifica il nostro desiderio, la nostra ricerca di Dio. Fino alla scoperta del dono che la sete ci fa, l’acqua viva dello Spirito, e alla consolazione senza pari che proviamo nell’abbraccio dell’ultima frase di Gesù contenuta nelle Scritture, nel Libro dell’Apocalisse: «Chi ha sete, venga» (risvolto di copertina).

VINCENT VAN GOGH Lettere a Theo Ugo Guanda Editore (Tascabili), 2018, pp. 412, € 13.00, brossura [EAN 9788823516908] “Caro Theo”: per molto tempo, dall’agosto 1872 fino al 27 luglio 1890, due giorni prima di morire dopo essersi sparato un colpo di rivoltella, Vincent Van Gogh scrisse al fratello Theo con una costanza che trova il solo termine di paragone nell’amore che egli nutriva per lui. Per molto tempo Theo fu il suo unico interlocutore; sempre fu quello privilegiato, il solo cui confidò le pene della mente e del cuore. Del resto, le lettere a Theo costituiscono la gran parte dell’epistolario vangoghiano. Dalla giovinezza alla piena maturità, esse ci permettono di seguire, quasi quotidianamente, la vicenda artistica e umana del grande pittore (ultima di copertina). La lettura di queste lettere ci mostra anche la grande ricchezza spirituale di Van Gogh, nutrita di Sacra Scrittura e testi sapienziali. “Se hai modo di procurarti l’Imitazione di Cristo, leggila: è un libro splendido che illumina”, scrive il pittore al fratello, convinto che “senza fede in Dio la vita sarebbe intollerabile. Con la fede, invece, si può continuare, e resistere a lungo”.

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