I CAMPIONI DI SAN DOMENICO Introduzione e tabelle di analisi ITALIANO

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A cura di Renzo Noventa

I CAMPIONI DI SAN DOMENICO Inventari delle proprietĂ del Convento di San Domenico in Bologna ASBo, Demaniale, San Domenico, n. 240/7574 Introduzione e tabelle di analisi

DEM240-I DEM240-II DEM240-III DEM240-IV

(1348 - 1366) (1390 - 1402) (1404 - 1407) (1426 - 1436)

A RCH I V IO D I S TAT O D I B O LO G NA Trascrizioni Giulio Biondi e Sara Flammini Editing e impaginazione Nicoletta Lupia

Baskerville Bologna


P re m e s s a

Renzo Noventa (a cura di) I CAMPIONI DI SAN DOMENICO Inventari delle proprietà del Convento di San Domenico ASBo_DEM240/7574 I-IV in quattrro volumi con Introduzione e tabelle di analisi © 2018 Baskerville, Bologna, Italia

Tra il 2014 e il 2015 ho fatto una ricerca che mi ha portato ad esaminare due libri contabili1 medievali del convento di San Domenico in Bologna (1330–1357). I temi della ricerca erano due: il tipo di alimentazione praticata dalla comunità e le attività che venivano messe in atto per la cura dei religiosi che si ammalavano. I due volumi sono stati trascritti integralmente ed è inutile dire quante altre notizie, oltre a quelle alle quali ero direttamente interessato, sono state messe in evidenza dal lavoro di trascrizione. E’ proprio questa la ragione per la quale, poi, si è deciso di rendere liberamente accessibile il lavoro svolto pubblicando su Internet2 sia in lingua italiana che in lingua inglese la parte di presentazione e pubblicando anche le trascrizioni e il facsimile dei registri. Questo mio primo lavoro mi ha dato la consapevolezza di quanto importanti siano i libri aziendali medievali e quanto sia grande il patrimonio di storia e di vita quotidiana che essi contengono; sono lì che aspettano solamente che qualcuno vada a scoprirli. Ho parlato di questo mio interesse con Rossella Rinaldi, che lavora presso l’Archivio di Stato di Bologna, e lei mi ha subito proposto di affrontare lo studio di altre fonti di questo tipo prodotte dal Convento di San Domenico in Bologna. Data l’esperienza precedente, e dati gli stimoli ricevuti e la soddisfazione provata con la mia prima ricerca, ho deciso di fare questa ulteriore esperienza. I documenti originali che vengono trattati nel presente lavoro appartengono ad una raccolta, composta da quattro volumi, conservata presso l’Archivio di Stato di Bologna, fondo Corporazioni Religiose Soppresse (Demaniale). I registri sono stati riprodotti con molta cura, tanta pazienza e perizia, da Valentina Gabusi; sono stati integralmente trascritti da Sara Flammini, alla quale sono veramente grato per la sua perseveranza. Giulio Biondi e Sara Flammini, assieme, si sono occupati della verifica delle trascrizioni. Dell’impaginazione, piuttosto difficoltosa, si è occupata Nicoletta Lupia in collaborazione con l’Editore e il Tipografo. I miei più vivi ringraziamenti vanno a Massimo Montanari e a Rossella Rinaldi per i loro consigli e per il loro incoraggiamento a proseguire il percorso che ho intrapreso. Ringrazio molto caldamente anche tutti coloro che hanno creduto in questo progetto e che hanno contribuito affinché andasse a buon fine.

ISBN: 978 888000 955 9 TUTTI I DIRITTI RISERVATI Questo volume non può essere riprodotto, archiviato o trasmesso, intero o in parte, in alcun modo (digitale, ottico o sonoro) senza il preventivo permesso scritto dell’autore e di Baskerville, Bologna, editrice del libro.

Renzo Noventa (Bologna, aprile 2018)

Il volume è composto in caratteri ITC New Baskerville Std Baskerville è un marchio di Baskerville Centro Studi, Bologna, Italia. La versione digitale di questo libro pubblica contenuti senza tagliare alberi. La diffusione dei libri digitali aiuta a salvare gli alberi e proteggere la natura.

1 Renzo Noventa, Giornale delle entrate e delle uscite del Convento di San Domenico in Bologna, Vol. 1 e Vol. 2, 2015, Bologna 2 www.baskerville.it, libri


I CAMPIONI DI SAN DOMENICO Inventari dei beni fondiari del Convento di San Domenico in Bologna

I cosiddetti campioni domenicani che si pubblicano in questa sede, conservati all’Archivio di Stato di Bologna3, vennero raccolti in un mazzo unico probabilmente agli inizi del sec. XIX quando, in seguito alle Soppressioni Napoleoniche, la documentazione degli istituti religiosi (ecclesiastici, monastici, conventuali) fu acquisita dal Demanio pubblico. Si tratta di quattro registri risalenti, per impianto e struttura redazionale originari, al periodo compreso tra metà XIV e fine XV secolo; costituiscono tra quelli superstiti di questa tipologia i più antichi. I campioni sono differenti per dimensioni, consistenza e caratteristiche redazionali. Tutti sono cartacei con coperta pergamenacea; tre conservano coperta e rilegatura delle origini. Ciascuna coperta reca a guisa di intitolazione elementi identificativi del campione stesso; si tratta di note risalenti ai primi decenni del secolo XVI, quando l’impiego amministrativo delle registrazioni patrimoniali si fece via via sistematico, con attenzione rivolta in particolare agli aggiornamenti. Seguiremo nella breve descrizione di ciascun registro l’ordine assegnato su basi cronologiche perlopiù nel secolo XVI, certamente in ambito conventuale. Campione primo 1348 (mano s. XVI) – mm. 250 x 317; cc. 119 numerate in cifre romane (mano s. XVI); coperta originaria e rilegatura originaria danneggiata. Sulla coperta parecchie scritte e note, perlopiù del secolo XV, tra le quali è la seguente: «Liber infrascriptus vacat pro maiori parte quia antiquissimus est et est possessionum conventus» Il registro fu compilato da mani diverse; se ne contano almeno sette, tutte riconducibili alla cronologia metà XIV - primi decenni XV secolo. La mano principale, di modulo librario, è identificabile con quella di fratel Franceschino de Albaris, sindaco del convento e autore, tra l’altro, dell’incipit e di note descrittive di carattere patrimoniale (cc.1-13) che iniziano dall’agosto 1348. A c. 1 capolettera decorato (A). Annotazioni a margine e in calce interessano la maggior parte delle cc. e sono a opera di mani differenti (secc. XIVXVI). Si rintraccia particolarmente una mano del primo-secondo decennio del XVI secolo, presente anche negli altri campioni della raccolta. Campione secondo 1390 (mano s. XVI) – mm. 300 x 418; cc.100 – tra cui 10 cc. bianche recano numerazione originaria in cifre romane; coperta e rilegatura sono originarie. Sulla coperta, antica segnatura archivistica; inoltre: «Liber possessionum conventus predicatorum de Bononia» (mano sec. XV). Il corposo ms. venne redatto da mani diverse; se ne contano almeno cinque, risalenti al tardo XIV secolo e alla prima metà del XV. Si può riconoscere una mano principale (sec. XV in.), a cui si deve la maggior parte di elenchi e descrizioni patrimoniali, e, assai probabilmente, l’incipit (c. 1) e un indice iniziale di località. A una mano differente e pressoché coeva si devono lunghe note a margine descrittive e informative, oltre ad aggiunte nel corpo testo. Un’altra mano coeva, regolare e di modulo tendenzialmente librario, curò conosciuti elenchi di libri, di arredi e oggetti della chiesa e del convento (cc. 94-96). Campione terzo 1404 (mano s. XVI) – mm. 310 x 435; cc. 295; la numerazione, in cifre arabe, successiva di qualche secolo, è irregolare, risalente con tutta probabilità alla nuova rilegatura del volume, approntata nel secolo XVIII. La struttura generale evidenzia un ordine alfabetico di massima, basato prevalentemente sulla toponomastica delle proprietà e su alcuni dati onomastici significativi per la comunità. A c. 133 la successione alfabetica pare ricominciare. Copertina del primo Campione di San Domenico (Archivio di Stato, Bologna)

3 Questa la corretta segnatura d’archivio: Corporazioni religiose soppresse (Demaniale), 240/7574


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Compilato da mani differenti – se ne contano almeno sei-sette risalenti al secolo XV-, il ms. è dotato di un rubricario iniziale, di incipit e di explicit (mano sec. XVIII). Può essere riconosciuta come mano principale quella di fratel Marco da Chioggia, priore di San Domenico, che redige incipit , con data giugno 1404, rubricario e gran parte delle più antiche registrazioni e descrizioni delle proprietà conventuali, registrazioni che giungono con discreta regolarità sino all’anno 1422, rievocando nel tempo vicende possessorie e gestionali. Note ai margini, successive di qualche decennio (mano pieno sec. XV- in. XVI) e rintracciabili in tutti i campioni della raccolta, aggiornano condizioni e qualità gestionali. Spiccano a cc. 261-281 memorie di entrate, uscite, redditi e acquisizioni per via testamentaria (mano sec. XV in.), dove si alternano tre mani differenti coeve, tra le quali emerge come principale quella di fratel Marco da Chioggia, che a c. 281 chiude la sezione dichiarando di avere collocato in depositum gli atti documentari di riferimento. L’explicit venne aggiunto al termine di restauro e rilegatura del volume effettuati nel sec. XVIII. Campione quarto 1426 (mano s. XVII) – mm. 248 x 315; cc. 41; numerazione in cifre arabe forse originaria o di poco posteriore. Sulla coperta, antica segnatura archivistica e notule brevi di mani ed età diverse; spiccano le seguenti: « precedit campionum + 1426» (mano sec. XVI in.); «Campione de S(ancto) Dominico overo inventario de suoi beni» (mano sec. XVI ex. - XVII in.). La compilazione del registro si deve a una mano unica del tardo secolo XV. Alla consueta mano d’inizio secolo XVI, presente in tutti i campioni, si possono attribuire note e rinvii a margine oltre a un rubricario iniziale. Mani successive (sec. XVII) apposero brevi note di puntualizzazione e aggiornamenti patrimoniali. Rossella Rinaldi

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Proprietà, contratti e affitti Presso l’Archivio di Stato di Bologna si conserva un importante e ricchissimo fondo relativo alle “Corporazioni Religiose Soppresse” noto anche come Archivio Demaniale perché fu l’ufficio del Demanio ad acquisirlo dopo le soppressioni di età napoleonica. In seguito venne poi acquisito dall’Archivio Regio di Stato. Il presente lavoro si occupa del materiale classificato già Archivio di San Domenico di Bologna; è costituito da quattro volumi il primo dei quali iniziò ad essere scritto nell’Agosto del 1348 quando a Bologna imperversava il flagello della Peste Nera. Si sa che la pestilenza causò effetti drammatici, e non solo sulla popolazione; ci furono serie ripercussioni in diversi campi: in quello economico-sociale, in quello politico e militare, in quello religioso, in quello artistico. Tutto concorse a provocare la depressione economica definita poi dalla storiografia “Crisi del Trecento”. Il materiale trovato negli archivi ha permesso, in una qualche maniera, di misurare gli effetti che la peste ebbe sulla popolazione di Bologna. Gli elenchi degli “atti alle armi”, ovvero di tutti i cittadini maschi dai 18 ai 70 anni, hanno consentito un confronto tra la situazione immediatamente prima (Gennaio 1348) e immediatamente dopo la peste (Gennaio 1349) che a Bologna si manifestò nel Maggio del 1348 e che continuò ad imperversare fino a Ottobre; dal confronto è risultato che il calo della popolazione degli “atti alle armi” fu del 35%. Tenendo conto che, per quel periodo, non ci sono dati che si riferiscono specificatamente alla popolazione femminile e tenendo conto, anche, che dalla documentazione considerata sono esclusi tutti i religiosi delle numerose Comunità presenti a Bologna si può concludere che la popolazione della città si ridusse pesantemente con valori compresi tra il 35% e il 40%. Il calo demografico provocato dalla peste causò importanti conseguenze economiche e sociali: il salariato urbano e rurale vide raddoppiare o triplicare i propri compensi nel giro di pochi mesi. Fu per questo che la classe dirigente, dopo un primo momento di incertezza, decise di intervenire per porre un limite alla crescita dei salari e riuscì ad imporre questo limite con una tabella di tariffe salariali inserita negli Statuti della città. In particolare si pose molta attenzione ai lavori agricoli principali; ma dal tariffario qualcuno restò escluso, ad esempio non fu sottoposto a tariffa lo scavamento dei fossi. Si ritiene che non venne considerato perché eseguito, di solito, nelle stagioni morte quando per i proprietari e per i mezzadri non era difficile trovare manodopera a prezzi bassi4. Si è detto all’inizio che la documentazione presentata in questo lavoro è composto da quattro volumi; essi coprono un arco di tempo di circa 90 anni, dal 1348 al 1436. Purtroppo, come tanti altri libri aziendali medievali, non si può dire che questi nostri quattro volumi siano scritti in modo ordinato; di frequente si trovano aggiunte fatte in momenti successivi, cancellature, annotazioni sui bordi delle carte, per non dire poi delle scritture dei diversi “scriptor” molto spesso fitte, nervose, disordinate, con frasi piuttosto “ampollose” e con parole ridondanti. Difficile, quindi, interpretare il testo primitivo o datare in modo cronologicamente valido le notizie che sono state inserite e che variano il contenuto primitivo delle carte che si stanno esaminando. Abbiamo visto che all’inizio della presentazione Rossella Rinaldi ha sintetizzato, con brevi note, lo stato e l’evoluzione nel tempo dei quattro “Campioni” che stiamo trattando. Procederemo quindi nell’analisi del contenuto dei quattro volumi che, per semplicità, definiamo con un codice identificativo come segue: Volume 1° = Dem240-I Volume 2° = Dem240-II Volume 3° = Dem240-III Volume 4° = Dem240-IV Da questo momento ciascuno dei quattro volumi sarà citato con il codice appena definito. Alla analisi delle tabelle versione in Lingua Italiana è affiancata la versione in Lingua Inglese. Tutta l’opera è liberamente accessibile su Internet: www.baskerville.it

Le modalità editoriali Alcune carte dei documenti primitivi sono numerate, altre no. Per capire a quale verso della carta si voglia fare riferimento è stata adottata una codifica che, prima di tutto, indica il volume di appartenenza; al nome del volume segue il separatore “-“, poi segue il numero della carta e quindi la lettera “r” se si fa riferimento al “recto” della carta stessa o la lettera “v” se si fa riferimento al “verso”. 4 6

Antonio Ivan Pini, Campagne bolognesi, Firenze, Le lettere, 1993, pp. 137-171 7


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Ciascuna facciata dei documenti originali è composta da un numero variabile di righe; nella copia grafica è stata numerata ognuna di queste righe. La stessa numerazione progressiva è stata attribuita anche a ciascuna della corrispondente trascrizione per facilitare, appunto, l’individuazione di detta corrispondenza tra la riga del documento originale e quella della trascrizione. Una considerazione particolare deve essere fatta per le note che troviamo sui bordi delle carte originali. Proprio perché la nota è stata inserita nello spazio ristretto del bordo, capita di frequente che essa si sviluppi su più righe. Anche alla nota è stata attribuita una numerazione ma anziché numerare ciascuna delle righe che la compongono si è scelta la strada di attribuire alla nota stessa un unico numero quando il suo contenuto è logicamente unitario; diversamente, sono stati attribuiti più numeri quando la nota riporta più di un’unica informazione. Tutte le facciate della carte che risultano bianche nei documenti originali non sono state prese in considerazione e quindi, in questa pubblicazione, non ci sarà continuità tra la numerazione attribuita ai documenti originali e la loro impaginazione fisica. Alla fine della presentazione sono state allegate delle tabelle che sintetizzano tutto il patrimonio dei Domenicani rilevato dai quattro volumi che sono stati analizzati. Queste tabelle raccolgono, da una parte, i terreni edificabili e le case di proprietà dei frati e, dall’altra, tutte le loro proprietà terriere sparse sul territorio. Seguono due indici analitici di nomi; il primo riporta i nomi dei religiosi o religiose e l’eventuale indicazione del loro stato religioso; il secondo riporta i nomi di tutte le persone che, per una qualche ragione lo “scriptor” ha ritenuto opportuno citare. In questo secondo indice, oltre al nome, a volte viene indicata anche la relativa professione e si può notare come molti dei nostri attuali cognomi derivino dall’evoluzione dell’uso medievale di associare al nome di una persona la sua professione proprio per darle una identità sicura; a questo proposito citiamo alcuni esempi: Anthonius Sartoris, sarto = Antonio Sartori Antonio de Varegnana, notarius = Antonio Notari Bartholomeus, faber = Bartolomeo Fabbri Bartolomeus de Regio, strazarolus = Bartolomeo Strazzari Dominicus, calzolarius = Domenico Calzolari Dopo tutte le tabelle appena citate sono state allegate quattro mappe che rappresentano il territorio della Regione Emilia Romagna. Ciascuna di queste mappe fa riferimento al volume da cui sono state rilevate le varie proprietà terriere dei frati e ne evidenzia, con una bandierina, la relativa locazione (sito). Quando all’interno della bandierina c’è un numero questo indica che in quel sito le proprietà terriere dei frati sono nella quantità espressa dal numero stesso. Vol. Dem 240-I Campione Primo La copertina originale di questo volume è costituita da una pergamena un po’ grossa di spessore e molto rovinata. E’ come se fosse una cartellina il cui lembo inferiore si sovrappone, in parte, al lembo superiore; il tutto è tenuto insieme da un piccolo nastro. Quasi al centro della copertina è scritto in grande, in cifre arabe, l’anno “1348” e, sempre in grande, c’è la scritta “campione primo”. In alto, al centro del foglio, ci sono sei righe, scritte molto in piccolo, quasi delle note esplicative con le quali si evidenzia il periodo trattato, ovvero 1348 – 1364, e si dice che si tratta di un elenco di beni del Convento di San Domenico della città di Bologna; si dice anche che tali beni sono stati precedentemente elencati in un volume, detto “campioncello”. Il volume Dem240-I è costituito da cinquantasei carte alcune delle quali sono scritte solo su una delle due facciate mentre l’altra risulta bianca. La scrittura di questo volume inizia in un giorno del mese di Agosto del 1348 quando frate Franceschino degli Albari viene nominato “sindicus” del convento, dal Capitolo dei frati Domenicani del convento di Bologna. Il volume inizia con una prima parte che definisce dei contratti di affitto o a mezzadria; seguono gli inventari dei beni rustici e quindi tutta una serie di proprietà urbane, verso la fine del volume troviamo carte che trattano il rinnovo degli affitti e affitti vari sia rurali che urbani. I beni rustici sono posti in diverse località del territorio con forti presenze nei dintorni di Bologna e lungo la direttrice Bologna-Ferrara, altre presenze si trovano nel territorio di Modena e di Ravenna. Interessanti le descrizioni delle modalità con le quali le diverse proprietà vengono affidate, quelle con le quali debbono essere gestite e quelle per il pagamento del canone. Spesso sui margini delle carte vi sono delle annotazioni che evidenziano la località in cui si trova la proprietà descritta nelle righe poste accanto; altre volte le annotazioni completano il contenuto delle righe poste accanto o ne sintetizzano il contenuto con una 8

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sola parola quale, ad esempio, “dubio” o “debito”5. Da tener presente che, a quei tempi, non esistevano ancora le planimetrie catastali che permettessero di individuare con precisione i confini di una proprietà così come avviene ai giorni nostri; in questi volumi, per individuare una proprietà, ci si riferisce ad un ipotetico quadrilatero i cui confini fanno riferimento a elementi topografici (via pubblica, incrocio di strade, fiume, ecc.), quando esistono, oppure, in mancanza di questi elementi, si fa riferimento ai nomi dei proprietari confinanti. Per definire i confini si parla anche di lato “a mane” per dire a “Levante/Est” e lato “a sera” per dire “Occidente/Ovest”6. Le locazioni, di frequente, iniziavano il giorno di San Michele (29 Settembre) e forse è da questa tradizione che, a Bologna, la parlata popolare dice che si fa “San Michele” per indicare che si trasloca. Il canone, di frequente, si pagava in due rate e i giorni normalmente stabiliti per il pagamento erano: San Lorenzo (12 Agosto), l’Assunzione della Beata Vergine Maria (15 Agosto), San Michele, Tutti i Santi (1 Novembre), Nascita di Gesù (25 Dicembre), Pasqua di Risurrezione. Sono tante le modalità che i frati adottano per le locazioni ed è tanta l’attenzione che essi pongono negli accordi che fanno con i coloni; infatti, molto spesso, si vede come vengano sottolineate le diverse attività che questi ultimi debbono svolgere. Un’attività importante, che appare di frequente nei contratti, è la manutenzione dei fossati per lo scolo delle acque piovane; a volte il costo di quest’attività è tutto a carico del colono, altre volte il costo viene diviso a metà tra i frati e il colono7. Vediamo anche che i frati, a volte, concordano che il canone sia in natura, altre volte che sia in denaro. Quando il canone è in natura ed è relativo ad una proprietà molto estesa il canone è fissato in carri di frumento, carri di fave, carri di legna. Quando le proprietà sono di modesta estensione il canone è fissato in corbe di frumento, corbe di fave e simili. Si sa, da altre fonti, che i nostri frati hanno costantemente bisogno di avere della disponibilità di denaro contante ed allora capita spesso che i prodotti che i frati hanno ricevuto vengano venduti per “fare cassa”. Leggendo le carte si può notare come questi frati affrontino il loro “quotidiano” sempre con molto buon senso ed ecco, per esempio, il caso del colono Domenico Massi, veronese, al quale viene concesso in prestito, per il sostentamento suo e della sua famiglia, una parte dell’ultimo raccolto (frumento, fave, miglio); il prestito dovrà essere restituito al successivo raccolto delle messi. E ancora si legge che viene data in affitto una casa in pessime condizioni; la casa viene sistemata e si indicano le spese sostenute per il gesso, il legname e la manodopera; sono valori piuttosto elevati che vengono scalati dall’affitto8. A volte i frati ci dicono che sono proprietari di un bue e se lo si vuole usare per i lavori nei campi stabiliscono che sia pagata loro la cosiddetta “zoatica” annuale che consiste, quasi sempre, in alcune corbe di frumento9. Sono tanti i benefattori che, nel loro testamento, lasciano ai frati terreni o case; però, a volte, questi benefattori oltre a lasciare ai frati dei beni danno anche delle particolari disposizioni ed ecco che la Signora Bartolomea, figlia di Filippo degli Asinelli, lascia ai frati un terreno di dodici tornature che dà loro un reddito di dodici lire l’anno ma dispone anche che, nell’anniversario della sua morte, questi debbano cantare una messa in suffragio e, in sua memoria e sempre nello stesso giorno, tutti dovranno mangiare un piatto speciale, detto “pictantia”10. Continuando a scorrere le nostre carte scopriamo che c’è un’area nel suburbio della città, il Fossolo, che si è specializzata nelle colture ortive11 e questo perché il terreno lì è particolarmente fertile e ben provvisto di acqua per l’irrigazione. Continuando a leggere incontriamo tutta una serie di professioni che normalmente accompagnano il nome del benefattore o del locatario ed ecco che incontriamo Ceccolino Gherardi, falegname12; Nanni, allevatore di polli13; Brizzi, tintore14; Nanni Bernardini,

5 6 7 8 9 10 11 12 13 14

Dem240-I-005r, riga 9 Dem240-I-021v Dem240-I-003r, riga 4 Dem240-I-011v Dem 240-I-008v Dem240-I-003v, riga 12 Dem240-I-007v Dem240-I-008r Dem240-I-008v Dem240-I-015v 9


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rigattiere15, Nannino Damiani, carrettiere16; Porcaroli, beccaro17; Giovanni Giorgi, fabbro18; Simone, pittore19; Maso, calzolaio20; Giovanni Giacomo, fornaio21; Pietro, speziale22. Normalmente i contratti di affitto non hanno una durata lunga ma capita, qualche volta di incontrare contratti della durata di 29 anni; è segnalato anche un contratto della durata eccezionale di cinquant’anni con un canone fissato in 505 Lire e scadenza nel 139723. Probabilmente queste modalità, come per i contratti di “vendita a vita”24, erano un modo per acquisire dall’inquilino delle somme significative di denaro contante pur mantenendo la proprietà del bene dato in locazione; si è già detto che per i frati la necessità di “fare cassa” era quasi un problema quotidiano. Capita anche che la somma da pagare per la locazione sia definita in valuta straniera come risulta da una nota scritta sul bordo della carta sicuramente successiva alla scrittura primitiva; la valuta indicata è il “ducato” e potrebbe essere uno dei tanti segni della dominazione, da parte dei Visconti di Milano, sulla città di Bologna. Per definire l’estensione di un terreno, come unità di misura di superficie, si usa la “tornatura”25 ma, in alcuni rari casi, si indica la “biolca”26. Nel volume troviamo anche notizie “di cronaca” come l’attraversamento illegale di una proprietà dei frati da parte di un confinante27 o le notizie di una lunga lite tra i frati e gli affittuari di una proprietà molto importante situata in San Giovanni in Triario. Possiamo anche notare come il nome di certe località derivino dalla deformazione dialettale di parole latine come, ad esempio, il nome “Trebbo”, una deformazione del dialetto romagnolo per la parola “trivium” ovvero “trivio” da cui “Trebbo”. Scorrendo le carte vediamo che, in un testamento, due medici lasciano tre appezzamenti di terreno rispettivamente di 30 tornature, di 28 tornature e di 9 tornature. Il secondo appezzamento è assegnato in proprietà alle Suore di Sant’Agnese ed è coltivato a frumento; il testamento dispone che, ogni anno, le suore debbano ricevere la quinta parte di tutto il raccolto. Non è l’unico caso in cui viene lasciato ad un Ente religioso il compito di gestire la proprietà lasciata ad altro Ente e questo capita di frequente quando nei lasciti, assieme ad altre Comunità religiose, sono incluse le Suore di Sant’Agnese28. Proseguendo nella lettura scopriamo che a quel tempo la varietà di vigna “Albana” era già pregiata tanto da sentire la necessità di doverla citare29. Capita che, a distanza di più di un secolo dalla scrittura primitiva (nel 1500), sia stata posta una annotazione che corregge l’estensione di una proprietà (da 10 tornature passa a 14) e il nuovo valore è scritto in cifre arabe. Sempre per continuare con le notizie di cronaca, dalle carte si capisce che durante la grande peste del 1348 i frati Domenicani si erano ritirati presso i Frati Minori di San Michele in Bosco il cui convento si trova sulla collina dell’Osservanza in un luogo piuttosto appartato rispetto al cuore della città di Bologna. Si legge anche che una proprietà viene lasciata ai Domenicani quale dote per il mantenimento dell’altare in cui è tumulata la salma del donatore; le spese per la cura di questo altare sono coperte dal reddito che deriva dalla proprietà lasciata in eredità30. Nelle carte di questo volume possiamo trovare come alcune disposizioni testamentarie vietino la vendita della proprietà lasciata in eredità31 ma poi, continuando nella lettura della carta o delle note scritte successivamente alla scrittura primitiva, ci si rende conto che le disposizioni di cui sopra sono poi state ignorate. 15 Dem240-I-018v 16 Dem240-I-021v 17 Dem240-I-023r 18 Dem240-I.047r 19 Dem240-I-049r 20 Dem240-I- 049r 21 Dem240-I-053v 22 Dem240-I-009r 23 Dem240-I-015r 24 La vendita a vita era una modalità con la quale i frati riuscivano a incassare delle significative somme di denaro contante, del quale avevano sempre una estrema necessità, prima lasciando una determinata proprietà al libero uso di una determinata persona e poi rientrando nel pieno possesso della stessa alla morte di quest’ultima. 25 E’ una misura agraria dell’Emilia e Romagna di valori variabili e oscillanti tra le 20,80 are di Bologna e le 34,18 di Ravenna (1 ara = 100 mq). 26 E’ la terra che un bifolco può arare in un giorno. E’ un’antica misura agraria di superficie ancora in uso in Emilia e nel Veneto. 27 Dem240-I-017v 28 Dem240-I-010r 29 Dem240-I-015r 30 Dem240-I-020r 31 Dem240-I-029r 10

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In questo volume si parla, anche, di un “mercato della seta”32; Bologna, a quel tempo, era un polo importante per i tessuti di seta; i frati, nelle loro proprietà, avevano anche i gelsi le cui foglie, in quanto necessarie all’allevamento dei bachi da seta, venivano vendute contribuendo al reddito del convento. Troviamo una benefattrice, una certa Bettiza, figlia di Dino Dinadoni Simopisoli che si preoccupa degli studenti stranieri presenti nel convento e così lascia loro i frutti di un appezzamento di terreno coltivato a prato che ha un’estensione di 10 tornature33. Un’altra particolarità è la citazione di una unità di misura insolita che veniva usata per quantificare il legname; si tratta della “sorga”, una unità di misura di volume.34 Abbiamo già detto che in questo volume non vengono trattate solamente le diverse tipologie di beni; in esso troviamo anche notizie di cronaca della città che, a volte, sono piuttosto drammatiche. In una carta35 ci viene detto che, al tempo della grande epidemia di peste del 1348 (“tempore magne epidemie pestis”), sono morti ben centodieci frati del convento di San Domenico in Bologna; a quel tempo, il Priore Francesco Albari stava gestendo molti beni di personaggi deceduti a causa della peste e questi beni erano stati lasciati in eredità al convento con regolari testamenti dei quali, però, non si trova traccia. Molto probabilmente la grande peste, che aveva imperversato per circa un anno nella città di Bologna, aveva generato anche molti intoppi se ci si riferisce ai lasciti, ai notai o a chi doveva custodire i diversi testamenti, alle procedure legali che si dovevano osservare. Forse è anche questo uno dei motivi per cui sono i contadini stessi che vanno da Frate Franceschino per informarlo che i beni che hanno in gestione sono stati lasciati ai frati dal proprietario che, prima di morire, ha fatto testamento in loro favore e, con l’occasione, li informa anche del tipo di contratto che ha in essere; si può leggere che Franceschino conferma o modifica le precedenti condizioni della locazione. Lo “scriptor” continua con le notizie di cronaca e ci informa che molti terreni erano rimasti incolti per mancanza di coloni che li lavorassero; la peste aveva imperversato anche nelle campagne ed ecco, quindi, la penuria di contadini. Agli effetti della peste si aggiungono, poi, quelli della guerra scoppiata nel 1350 tra Giovanni Pepoli e il Conte di Romandiola, Astorgio di Durfort. Il frate ci narra di quando, il 5 Luglio del 1350, Giovanni Pepoli, allora Signore di Bologna, assieme al nipote, figlio del fratello Giacomo, si reca a Solarolo per tentare di trovare un accordo con Astorgio. Giovanni viene arrestato con tutto il suo seguito e il frate, nel raccontarci questo, ci dice anche che il convento, in quell’anno, ha raccolto poco o nulla a causa di questa guerra. La cronaca continua e veniamo informati che il 25 Ottobre del 1350 Giovanni Pepoli vende il vicariato della città di Bologna a Giovanni Visconti. Subito dopo apprendiamo che nel 1351 Giovanni da Oleggio viene nominato pro-rettore della città mentre la guerra continua perché Giacomo Pepoli si oppone all’Oleggio. Molte famiglie abbandonano il comitato e la città di Bologna proprio a causa delle difficoltà sorte durante questo lungo periodo di guerre e di devastazioni. Si accenna poi alla guerra mossa contro Bologna da Modena e da una lega di Signori di altre città avente come capo Francesco Carrara; ci viene detto che questa guerra ha causato ulteriori devastazioni e saccheggi. La sintesi di quanto appena descritto è in una seconda nota posta sempre sul margine dell’ultima carta più sopra citata; questa nota esprime con tre sole parole tutta la drammaticità degli eventi: “pestilentia, bellum, fame”. Nella carta successiva36 lo “scriptor” continua con la sua cronaca e ci racconta che i frati, finalmente, iniziano a ricevere dagli affittuari un po’ dei soldi che spettavano loro e che erano relativi agli affitti degli anni precedenti. Gli affitti non erano stati pagati dati i tragici fatti più sopra descritti e così il frate elenca le persone che lo pagano e le somme di denaro che quest’ultime gli consegnano. Infine, al centro della carta (riga 11) compare la scritta “1364 Pax facta”. Proseguendo nella lettura troviamo carte con date che vanno oltre il periodo indicato in copertina; si può pensare ad un errore di chi ha riordinato questa documentazione. Un esempio può essere la carta Dem240-I-038v o la carta Dem240-I-039v; nel primo caso abbiamo delle date che vanno dal 1367 al 1387 mentre nel secondo caso si va dal 1392 al 1399. La narrazione prosegue e ci viene detto che i beni di Giovanni Rustigani sono stati assegnati in affitto ad un certo Nicola Zilini con un contratto speciale che lo esentava dal pagamento del canone per un certo periodo proprio a causa dei costi che questi avrebbe 32 33 34 35 36

Dem240-I-030r Dem240-I-032v Dem240-I-033r Dem240-I-037r Dem240-I-038r 11


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dovuto sostenere per sistemare i campi, che, per un così lungo periodo di tempo a causa della peste e delle guerre, erano rimasti incolti e pieni di rovi; si fissa quindi il canone di 20 Lire per l’anno 1365, di 30 Lire per il periodo 1366 – 1369, di Lire 35 a partire dal 1370 e per i successivi dieci anni, ma nel 1376 scoppia nuovamente la guerra e i frati, in quell’anno, nulla ricevono dal Signor Nicola. Le notizie di cronaca continuano mano a mano che ci si addentra nella lettura delle carte che compongono il volume che stiamo trattando ed ecco che troviamo notizie di uomini che si associano per coltivare i terreni lasciati in abbandono; apprendiamo della morte del Signor Nicola Zilini citato prima e del subentro automatico dei figli nella conduzione dei terreni che gli erano stati affidati grazie ad una clausola prevista dal contratto di affitto; apprendiamo di una lunga lite dei frati con i figli di Zilini per una questione poco chiara; apprendiamo di esenzioni dal pagamento del canone in caso di calamità naturali o guerre37; apprendiamo di scambi di proprietà tra le varie Comunità religiose della città come ad esempio scambi tra i Frati Predicatori e i Frati Minori, tra i Frati Predicatori e i Frati Eremitani così come risulta dagli Atti del Notaio Azzone Buvalelli. Scorrendo le carte incontriamo spesso un benefattore molto generoso, il Signor Brizzi, tintore; questi, infatti, cede alcune sue proprietà alle Comunità religiose di Bologna e le cede come proprietà indivise disponendo che sia una di queste Comunità a gestirle e ad occuparsi di redistribuire il reddito secondo, appunto, le sue disposizioni testamentarie38. Vediamo anche che per una proprietà posta in località Quaderna e lasciata alle suore di Sant’Agnese che l’hanno locata a mezzadria, il nostro Brizzi dispone che dette suore debbano distribuire somme precise ad alcune realtà che oggi definiremmo “Opere Pie”; questi Enti sono i Battuti della Vita (un ospedale), l’ospedale di San Blasio, i carcerati, i poveri di San Lazzaro39. Continuando a leggere scopriamo che è stata lasciata una bella somma, ben 25 lire, per il matrimonio di “5 donzelle”, così le definisce lo “scriptor”; trovo interessante questa particolare attenzione nei confronti di queste giovani donne che, probabilmente a causa della loro povertà, possono così iniziare a costruire una famiglia con qualche preoccupazione in meno40. Colpisce l’attenzione la modalità di un contratto che si direbbe scritto nel 1399, quindi in un tempo significativamente lontano dal periodo indicato nella copertina di questo volume, ma che pare si riferisca proprio al 1348; in questo contratto si precisa che bisogna arare tre volte l’anno, si deve sarchiare, seminare, mietere, battere il frumento e portare al convento la metà del raccolto ed è strano che, riferendosi allo stesso terreno, le clausole parlino di tornature e di biolche, due unità di misura così diverse tra loro41. Dopo aver elencato una lunga serie di terreni che, come si è già detto, erano distribuiti nel territorio della città di Bologna e delle città più vicine ad essa, lo “scriptor” riprende ad elencare gli immobili di proprietà dei frati che sono sparsi nelle diverse contrade della città o subito fuori le mura della stessa in quella fascia di territorio, il suburbio, che allora era definito “Guardia della città”. Sempre scorrendo il volume che stiamo esaminando, come in altri documenti medievali della città di Bologna, troviamo che viene citata con una certa frequenza la “Grada”, una delle tante contrade che costituivano il tessuto urbano di quell’epoca il cui nome deriva da una particolare manufatto realizzato nel 120842. Continuando nella lettura delle carte di questo volume scopriamo anche che in città esistevano dei “bagni pubblici” che consentivano alle persone di lavarsi per bene dato che la maggior parte delle abitazioni della gente comune non era dotata di servizi igienici; la carta43 parla infatti di una via, nel territorio della Cappella di San Procolo, che porta alla “stupa”. L’elenco delle case continua e viene citata tutta una serie di immobili posti nelle adiacenze del Palazzo del Comune, della Piazza Principale, della Corte dei Capitani; si 37 Dem240-I-041r 38 Dem240-I-041r 39 Dem240-I-041r 40 Dem240-I-041v 41 Dem240-I-042r 42 Sappiamo dell’importanza che aveva il Canale di Reno, che poi prosegue con il Canale Navile, per generare la forza motrice necessaria alle industrie bolognesi di allora. Il Canale di Reno si origina alla Chiusa di Casalecchio di Reno, entra nel territorio comunale di Bologna con un corso parallelo al fiume Reno e poi entra in città in corrispondenza della cosiddetta “Grada”, proprio di fronte a Via del Pratello. Il nome ”Grada” si riferisce a due grosse e robuste “grate” di ferro, tutt’ora visibili, azionate da un meccanismo che ne permetteva il movimento in senso verticale. Era un modo per impedire, o anche solo ostacolare, l’accesso alla città dato che il percorso di detto Canale doveva attraversare le sue mura da cui la necessità di aprire in esse un varco per consentire il passaggio delle sue acque. 43 Dem240-I-045r 12

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tratta di abitazioni vere e proprie , di stalle per il ricovero di animali, di locali adibiti ad attività professionali quali, ad esempio, “spezierie”. Dalle carte si capisce anche che, a volte, i frati pagano i professionisti assegnando loro alcune case dal cui reddito questi professionisti (avvocati, notai)44 ricavano il loro compenso per le attività svolte in favore dei frati stessi. Leggendo queste carte a volte si incontrano persone con nomignoli simpatici come, ad esempio, un certo Lorenzo che viene detto “Stornello”45 perché probabilmente ha una voce bellissima e canta molto bene. Possiamo anche riscontrare che i nostri frati non ricevono solamente dei lasciti dalle famiglie nobili o dalle famiglie borghesi, vediamo che anche le organizzazioni delle Arti e dei Mestieri cedono ad essi qualche loro proprietà ed ecco che troviamo la Società dei Barbieri che nel 1367 cede ai frati un appezzamento di terreno che ha un’estensione di circa due tornature e mezza e che viene data in locazione alla signora Lucia, moglie di Gianniniano46. Verso la fine del volume cessa l’elencazione delle case e si passa ad un elenco di spese che nulla ha a vedere con un inventario dei beni. Si direbbero carte estranee che sono state inserite in questo volume da chi si è occupato del loro riordino; una conferma di questa ipotesi potrebbe essere la data indicata sulla carta che esplicitamente, fin dalla prima riga, cita l’anno 1392 e poi prosegue con dei dettagli di spesa e, a volte, si precisa che si tratta di acquisti a credito47. Infine si ritorna al 1348 e si riprende l’inventario dei beni elencando tutta una serie di case date in affitto; questo avviene fin quasi alla fine del volume quando, nelle ultime due carte48, compaiono nuovamente delle registrazioni di spese per legname, per olio, per carne salata, per formaggio. Da notare che si può riscontrare un errore da parte del frate che registra un totale di spesa pari a 320 Lire mentre se si sommano le cifre indicate nei singoli dettagli il totale risulta essere pari a 380 Lire. Ed eccoci ormai alla fine di questo primo volume; si fa notare che alla fine della presentazione dei quattro volumi, sono state allegate delle tabelle che sintetizzano sia i terreni che le case di proprietà dei frati rilevate dalle registrazioni che sono sulle carte qui sommariamente citate. In queste tabelle si è cercato di evidenziare le diverse ubicazioni di queste proprietà, rispetto al territorio, indicando i nomi delle località del contado o dei diversi quartieri della città. A volte, relativamente all’estensione di una determinata proprietà, si troverà citato un valore esplicitamente a “zero”; è stata scelta questa modalità per evidenziare che per il terreno citato non è indicata alcuna estensione mentre, invece, si indica il tipo di coltura o le diverse colture attivate in esso.

Vol. Dem 240-II - Campione Secondo La copertina di questo secondo volume è piuttosto ben conservata; riporta in alto, al centro, il titolo del volume con una bella scrittura in caratteri gotici che recita: “Libro delle proprietà del convento dei Predicatori di Bologna”. Sotto al titolo è riportato “O O”, sotto ancora è indicato l’anno 1390 in cifre arabe e sotto ancora è scritto “Campione secondo”. In alto, a sinistra, c’è una specie di nota, probabilmente scritta in un momento successivo alla scrittura primitiva, che ribadisce trattarsi di “Campione”. La prima pagina di questo volume riporta una specie di esortazione che invita ad iniziare a numerare le carte che seguono fino ad arrivare alla carta 92; il frate ci dice anche che solo quando si sarà giunti alla fine del volume si capirà quanto il convento ha accumulato in gran quantità nel comune di Bologna. La carta che segue, stando alla nota della prima riga, ha tutte le caratteristiche di un “indice” delle proprietà del convento così come sono distribuite nella città di Bologna e nel suo contado. In questo “indice” compare il nome del quartiere della città o il nome del borgo del contado in cui esistono delle case o dei terreni di proprietà del convento; viene indicato anche il numero della carta in cui queste proprietà sono registrate. Segue una specie di preambolo con il quale si invocano Cristo, la Vergine Maria, San Domenico e tutti i Santi e si ribadisce che il volume contiene la registrazione di tutte le proprietà urbane e rustiche che sono state lasciate al Priore e al Superiore secondo le ultime volontà di certi defunti mentre erano ancora in vita. Dalla lettura di queste carte si possono scoprire tante piccole particolarità che ci fanno capire alcuni aspetti della vita del convento e ci danno, anche, alcune immagini della città 44 45 46 47 48

Dem240-I-047r Dem240-I-047v Dem240-I-054r Dem240-I-050r Dem240-I-056r e Dem240-I-056v 13


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così come era a quel tempo. Per esempio si capisce che, a quei tempi, la città era attrezzata con dei servizi igienici pubblici come la “stupa”; chiunque, pagando, poteva andare a lavarsi in questo luogo, opportunamente attrezzato, all’interno del quale si poteva usufruire di acqua calda già pronta e disponibile in quantità: bisogna ricordare che le normali abitazioni non erano dotate di servizi igienici come lo sono le abitazioni dei giorni nostri. Ed è leggendo questa carta49 che apprendiamo che una di queste “stupe” si trovava nel quartiere di San Procolo, in quella Via all’inizio della quale c’era una grande casa con balcone di Proprietà dei Domenicani; questa presenza della “stupa” era già stata segnalata nel primo volume, il Dem240-I. Capita anche che, per definire bene l’ubicazione di una di queste case di proprietà, si faccia riferimento a determinati punti del convento stesso e quindi si indichi, per esempio, la posizione relativa della casa di proprietà rispetto alla porta grande del convento, rispetto al muro di recinzione o rispetto all’infermeria. Sfogliando le carte si possono anche incontrare delle strane modalità di registrazione che ci fanno capire che sicuramente esse sono state visitate in momenti successivi alla scrittura primitiva. Colpisce la nostra attenzione una carta50 che, in una specie di “post-it”, riporta delle note una delle quali è scritta alla rovescia, capovolta rispetto a tutte le righe della carta stessa. Sempre in questa carta si parla di atti pubblici che attestano il diritto alla proprietà di quanto lasciato ai frati; questi atti pubblici sono infatti sottoscritti da notai dei quali si indica il nome. Ci viene anche detto che questi atti pubblici sono custoditi nella Sacrestia del convento e si deduce come, in questo luogo, siano riposti gli oggetti “preziosi” del convento e, tra questi, anche i testamenti. Un’altra carta51, anch’essa con una specie di “post-it”, riporta un elenco di tredici nomi seguiti da una nota che si direbbe voglia indicare le vicissitudini della proprietà descritta nelle righe primitive. Questa nota ci dice che la Signora Giovanna di Lamari è morta il 12 di Ottobre del 1388 e che è stato chiesto un parere sull’inventario dei beni ereditati dal convento ad un certo Lippo di Monghidoro perché pare non sia chiara la linea di successione relativa ai beni suddetti. A destra dell’elenco dei nomi c’è un elenco di somme di denaro, scritte alla rovescia, capovolte rispetto al senso di lettura della carta, quasi a dire che queste somme sono state date o ricevute dalle persone elencate a fianco; si ritiene questa un’ipotesi attendibile poiché le persone elencate sono tredici e tredici sono le somme scritte alla rovescia. Un’altra particolarità è che, alla fine, il totale indicato dallo “scriptor” non quadra se si sommano i singoli dettagli; quello indicato dallo “scriptor” è pari a 67 lire, 12 soldi, e 9 denari mentre quello che si ottiene sommando i singoli dettagli risulta essere pari a 66 lire, 4 soldi e 7 denari. I frati ci raccontano anche che un certo Ugolino Scappi si è appropriato in modo fraudolento di un terreno posto nel territorio di San Marino52, un borgo che si trova tra Bologna e Bentivoglio, vicino alla strada che conduce a Ferrara. Sempre questo Ugolino Scappi appare su un’altra carta53 nella quale i frati segnalano che questi ha venduto dolosamente un loro terreno che era rimasto incolto e che era piuttosto esteso (18 tornature). Procedendo nell’analisi del contenuto delle nostre carte possiamo constatare come compaiano, con una certa frequenza, le suore di Sant’Agnese di Bologna e come i frati Domenicani si prendessero cura di loro specialmente per quanto riguardava la gestione delle proprietà di quest’ultime procedendo, per esempio, anche con qualche permuta54. Questo rapporto tra le due Comunità viene da molto lontano, fin dal tempo in cui il Maestro Generale Giordano aveva ricevuto da San Domenico il compito della cura spirituale di Diana d’Andalò, la giovane bolognese che aveva messo i voti nelle mani di San Domenico dopo che questi aveva sostenuto la sua vocazione tanto contestata dai parenti. Diana desidera costruire un monastero di suore appartenente all’Ordine dei Predicatori e, appena i genitori della giovane la lasciano libera di fare quello che desidera, è Giordano che dà l’avvio alla realizzazione del progetto già approvato da San Domenico. Ottenuto il permesso del Vescovo, con l’aiuto degli stessi parenti di Diana, viene costruita una piccola casetta e nasce così il primo monastero domenicano di suore; il monastero è dedicato a Sant’Agnese.

49 50 51 52 53 54

Dem240-II-007r Dem240-II-023r Dem240-II-024r Dem240-II-026r Dem240-II-037r Dem240-II-038r 14

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Il monastero delle suore e il convento alle volte ricevevano, con un unico testamento, beni immobili la cui amministrazione dovette creare non poche difficoltà. Per questo motivo, e forse per le necessità del convento, di mutuo accordo si venne ad una transazione: le suore cedettero al convento le proprietà di tutti i beni pervenuti dai lasciti di Taddeo Pepoli e di altri dei quali già godeva l’usufrutto; a loro volta i frati si impegnavano a celebrare, ogni giorno e in perpetuo, una messa nella chiesa di Sant’Agnese e a prestare altri servizi religiosi al monastero55. Continuando a scorrere le carte di questo volume possiamo notare come lo “scriptor”, quando nella stessa carta sono citate più proprietà, usi totalizzare l’estensione delle stesse indicando in basso, a sinistra della carta, il valore ottenuto; però capita spesso che questi totali non quadrino se si procede sommando i singoli dettagli; queste totalizzazioni sono state fatte in momenti successivi alla scrittura primitiva e differiscono di poco rispetto al giusto valore che si ottiene se si sommano i singoli dettagli; probabilmente le somme sono state fatte un po’ frettolosamente, giusto per avere in evidenza un ordine di grandezza56. Sempre procedendo nella lettura di questo volume, possiamo constatare la forte diversità del suo contenuto rispetto al contenuto del primo, il Dem240-I; in quest’ultimo, infatti, i terreni sono sempre ben descritti, sono sempre definiti i confini, è sempre citato il nome del conduttore a cui è affidata la gestione della proprietà, è sempre indicata la tipologia del contratto di locazione: a mezzadria, in parte a mezzadria e in parte con pagamento in moneta o in natura, solo in moneta. In questo volume, invece, solo rarissimamente è citato il nome del conduttore o il canone di locazione concordato57. E’ interessante, anche, leggere i commenti che il frate, qualche volta, pone a fianco della descrizione della proprietà che sta trattando; c’è un caso, ad esempio, in cui un certo appezzamento di terreno da costruzione viene assegnato a vita a un certo Ugolino; questi aveva dato la sua parola che vi avrebbe costruito una casa ma lo “scriptor” conclude che, dopo la vendita a vita, questo signor Ugolino non ha mantenuto la promessa (Quod promissum ipse fregit salva fide sua. Quia ad huc nichil fecit et numquam faciet)58. E’ in questa occasione che si parla di una unità di misura , il “modum”, che si incontra qui per la prima volta: è una misura campione che veniva usata per i terreni edificabili. Sempre per segnalare qualche commento che il nostro “scriptor” distribuisce sulle varie carte di questo volume citiamo il caso in cui il convento ha assegnato, a vita, una bella casa con vigna, alberi di ulivo, cortile e pozzo ad una signora, moglie di un certo Stornello, con la condizione che alla morte di detta signora tutto doveva tornare al convento. Il frate commenta che, effettivamente, è proprio questo che succede alla morte della donna ma contemporaneamente si lascia andare ad un giudizio poco lusinghiero sulla stessa perché la definisce “muliercula” ovvero “donnetta”59. Credo si possano fare anche alcune considerazioni su quello che poteva essere il governo della città di Bologna perché, in questo volume, vediamo che si citano spesso i “terreni da costruzione” quasi esistesse, già a quel tempo, un “piano regolatore” che definiva i luoghi sui quali si sarebbe potuto costruire: è la parola “casamentum” che induce a fare queste riflessioni perché la troviamo, quasi sempre, accompagnata dalla parola “domus” come, ad esempio, “unum casamentum super quo esse una domus”60 oppure “una petia terre casamentata cum domo”61. Un’altra particolarità da notare è quella del frate che registra una proprietà ponendosi qualche riserva magari perché ha trovato la notizia in un registro piuttosto datato come quello che è “conservato legato tra due tavolette di legno”; la sua registrazione evidenzia la sua perplessità, a fianco delle righe che descrivono la proprietà, con la parola “dubium”62, una modalità riscontrata anche nel volume Dem240-I. Continuando a scorrere le carte di questo volume arriviamo alla carta che porta in alto, al centro della stessa, il numero LXXXXII; si ritiene sia questa la carta a cui fa riferimento il frate all’inizio quando con la carta Dem240-II-002r suggerisce di iniziare a numerare le carte che seguono per arrivare alla carta 92 che è quella che conclude il lungo elenco delle proprietà dei frati63. In effetti, le carte che seguono hanno un contenuto completamente diverso perché non si parla più di case o di terreni ma si parla di movimenti di denaro e di 55 A. D’Amato O,P., I Domenicani a Bologna, Vol. I, Bologna 1988, Edizioni Studio Domenicano, p.263 56 Dem240-II-043r 57 Dem240-II-045r 58 Dem240-II-045r 59 Dem240-II-046r 60 Dem240-II-047r 61 Dem240-II-049r 62 Dem240-II-051r 63 Dem240-II-052r 15


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una istituzione che assomiglia molto a quella di una banca64. Lo “scriptor” ci dice che la comunità dei Predicatori di Bologna ha ricevuto una certa quantità di denaro ed elenca tutta una serie di “movimenti” dicendoci che provengono dal “cumulo del Monte” della città. Questi movimenti indicano tutti l’ammontare della somma, il nome del donatore e la data; l’ultimo di questi movimenti porta la data del 27 Settembre del 1400. Lo “scriptor” si lascia poi andare ad alcune considerazioni che ci rafforzano nel convincimento che, a quei tempi, la città si fosse dotata di una banca perché egli ci dice che la somma totale dei soldi depositati ammonta a lire 1.400 così come è confermata da una relazione sottoscritta da nobili, militari e giuristi civili; relazione predisposta da un certo Romeo dei Foscherari, un funzionario che appare nel registro degli “Ufficiali della città”. E’ da questa notizia che si evince che nella città sono presenti degli “Ufficiali” incaricati della custodia dei denari depositati in questa Banca/Cumulo del Monte e che questi funzionari alloggiano nell’edificio che funge da “ricovero del denaro” e che tale edificio è posto al piano superiore della sede della più antica tesoreria della città di Bologna che si trova vicino alle porte di questa città. Procedendo nella lettura del volume ci imbattiamo in un’altra carta65 dal contenuto “estraneo” e che nulla ha a che vedere con un elenco di proprietà. Si tratta infatti di un elenco di persone che ad una certa data, l’ultima registrata è del 15 Agosto del 1401, fanno la “Professione di fede”. Sappiamo che la “Professione di fede” è l’atto con cui si manifesta esteriormente e pubblicamente di credere e di accettare le verità rivelate, allo stesso tempo si dichiara di volere, nel futuro, conservare inalterata questa decisione. Questa “Professione di fede” ha un carattere pubblico, ufficiale, e si fa mediante la ripetizione di una formula approvata dall’Autorità Ecclesiastica. La professione di fede la fanno tutti i battezzati: se neonati per bocca dei loro padrini, se adulti con atto proprio. Sono tenuti a farlo quanti prendono parte a Concili e Sinodi, i rettori e i professori dei seminari e delle Facoltà Teologiche, quanti ricevono il Diaconato, i sacerdoti. Ora l’elenco delle proprietà dei Domenicani può dirsi concluso perché, proseguendo nella lettura del volume, ci imbattiamo in un lungo elenco di oggetti preziosi custoditi nella Sacrestia. Abbiamo già visto che, a volte, lo “scriptor” citando un certo testamento ci dice che esso è custodito nella Sacrestia ed ora ci viene proposto un lungo elenco di oggetti preziosi, anch’essi custoditi in questo luogo quasi fosse “la stanza del tesoro”. Ed ecco che vi troviamo panni preziosi ricamati con tratti d’oro, vi troviamo calici d’argento, turiboli e relative navicelle in argento, candelabri smaltati e in argento, statue, reliquari, messali, ornamenti preziosi. Si può anche notare come il Convento avesse un rapporto speciale con i sovrani di Ungheria; sappiamo da altre fonti di un calice regalato dalla regina di Ungheria e dato in pegno alla famiglia Pepoli in cambio di denaro contante; qui si parla di una lampada d’argento donata ai frati dal sovrano di Ungheria, destinata all’altare di San Domenico, e si parla anche di un libro contenente l’Ufficio di Santo Stefano, re di Ungheria66. L’elenco di oggetti e di suppellettili di valore prosegue poi con l’indicazione di panni più o meno preziosi, di tappeti, di stole ricamate con fili d’oro, pianete, bacinelle per l’acqua benedetta e altro67. Ormai siamo verso la fine di questo volume e ci imbattiamo in quattro carte (dalla Dem240-II-056r alla Dem240-II-057v) che riportano un lunghissimo elenco di testi presenti nella biblioteca del convento. Si tratta di testi di Filosofia, di autori greci e latini, di scritti di San Tommaso o di altri Santi e Dottori della Chiesa, di testi di Mistica, di testi sulla Predestinazione o sul Libero Arbitrio, di testi sul Pane Azzimo o sul Pane Fermentato, di trattati sul Diavolo o sugli Eretici. Per tutti questi volumi lo “scriptor” indica lo scaffale (“bancho”) in cui sono riposti. Molti i volumi il cui contenuto è costituito da un insieme di note (Postille68), di Decreti69 o Decretali70 emessi dai Papi, dei principi fondamentali di una

64 Dem240-II-053r 65 Dem240-II-053v 66 Dem240-II-054r 67 Dem240-II-055r 68 La Postilla è una breve annotazione, collocata di solito nel margine esterno delle pagine di un libro, di un atto o di documento scritto in genere. 69 Il Decreto è un provvedimento giurisdizionale che generalmente non contiene la motivazione. E’ un atto. Amministrativo tipico del potere esecutivo. E’ una disposizione o deliberazione di una volontà divina. 70 Il Decretale è detto di Costituzione pontificia redatta in forma di lettera. E’ una Bolla o lettera papale concernente il governo della Chiesa. Se al plurale si tratta di Costituzioni pontificie redatte in forma di lettere che spesso contenevano norme importanti di diritto in parte passate poi nel Corpo del Diritto Canonico. 16

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determinata Scienza (Summe71), delle trattazioni sintetiche di un testo (Compendio72), di piccoli libri (Libelli73), di memoriali74. Ci sono anche molte raccolte di sermoni che trattano vari temi e che coprono tutto il tempo dell’anno liturgico: la Quaresima, l’Avvento, il Natale, la Pasqua, le varie feste dei Santi (Tempo Ordinario), i vari temi toccati dai Vangeli. Per finire è anche citato un volume scritto da Marco Polo con il quale egli descrive le condizioni delle regioni orientali (“liber domini Marchi Pauli de Venetiis de conditionibus orieltalium regionum75). Proseguendo con la lettura di questo volume vediamo che nella penultima carta76 c’è un bel elenco di oggetti e di suppellettili che sono propri dell’Infermeria; ed ecco che sono citate coperte, lenzuola, cuscini alcuni dei quali in buono stato altri logori per l’uso. Si parla anche di cannule per clisteri, di attrezzature per la distillazione e la preparazione dell’acquavite (probabilmente era ritenuta un tonico), di recipienti di ottone o di rame per la lavanda dei piedi, di catini con piedistallo per lavarsi il viso, di vasi di vetro per l’acqua, di una pinza di ferro per il fuoco. Ed ecco che l’ultima carta ci descrive in dettaglio un contratto a mezzadria che il convento ha attivato con un certo Mulleto, figlio di Giovanni Azzolini, per la cura di una proprietà posta in località Sabbiuno, sui colli di Bologna. Il contratto è molto dettagliato e si direbbe che lo “scriptor” abbia ripreso il tema proprio di questo volume. Pare, anche, che queste righe siano state aggiunte in un momento successivo alla scrittura primitiva perché occupano lo spazio che su questa era stato lasciato vuoto; queste righe aggiunte sono distribuite su due colonne. La scrittura primitiva inizia in alto e occupa sola la metà di sinistra della carta, e non tutta; si tratta di un elenco delle Società delle Arti e Mestieri presenti a Bologna nel 1392: Notai, Salaroli, Conciatori, Mercanti, Sarti, Beccari, Speziali, Pescatori, Merciai, Barbieri, Cartolai, Stracciaioli, Calzolai, Conciatori di pelli, Calzaioli, Falegnami, Orefici, Muratori. E’ con questa carta che si chiude il secondo volume di questa raccolta.

Vol. Dem 240-III - Campione Terzo Questo terzo volume ha una copertina discretamente conservata mentre certe carte che lo compongono si presentano piuttosto logore specialmente sul bordo esterno. Quasi al centro della copertina, in alto e un po’ spostato sulla sinistra, è riportato l’anno 1404 in cifre arabe mentre un po’ più sotto, proprio al centro, è riportato il Titolo “Campione Terzo”. Il volume è tenuto insieme da quattro “anelli di corda” distribuiti ad intervalli regolari sul dorso dello stesso. Nella prima carta (Dem240-III-002r) si evidenzia che siamo nel mese di Giugno del 1404 e subito dopo segue una dichiarazione del Priore del convento, frate Marco da Chioggia, con la quale egli ci dice che è stato lui, di sua mano, ad iniziare a scrivere le prime carte che compongono questo volume (“Quaterno”). Il Priore sottolinea le difficoltà incontrate nel raccogliere le informazioni che troviamo registrate e ci dice di aver impostato una procedura che si augura venga poi diligentemente osservata perché è convinto che sarà molto utile ai frati per la gestione del loro grande patrimonio. La procedura del Priore consiste nell’intestare ogni carta ad un determinato luogo nel quale sono presenti una o più proprietà appartenenti al convento; in pratica ogni carta è l’equivalente di una scheda così come si fa oggi in un archivio moderno. Il Priore ci dice di aver predisposto ben trecento carte (schede) ciascuna delle quali porta, come intestazione, il nome del luogo al quale si vuol fare riferimento proprio come aveva indicato nella sua premessa e come appare nella carta “indice” che segue subito dopo. Non si è riusciti a trascrivere completamente questo indice perché la carta, dalla parte del recto e in basso a destra, risulta strappata in malo modo e quindi incompleta. Proseguendo nella lettura delle carte si può constatare che in linea di massima viene rispettata l’impostazione definita dal Priore perché al centro di ogni carta, in alto, c’è sempre il nome del luogo a cui fa riferimento la proprietà trattata nella carta stessa, quindi seguono le informazioni che certificano il diritto alla proprietà come, ad esempio, il nome del donatore, la data del testamento, il nome del notaio che lo ha redatto. Quindi troviamo 71 La Summa, nel mondo medievale, è un’opera contenente tutti i principi fondamentali di una scienza. E’ una raccolta sistematica, un compendio. 72 Il Compendio è la riduzione o trattazione sintetica del contenuto di un testo, di un argomento, di una materia e simili. 73 Il Libello è un piccolo libro o è la sezione di un trattato. 74 Il Memoriale è la narrazione di un avvenimento importante o memorabile fatta da persona che vi ha assistito o partecipato. E’ uno scritto espositivo specialmente a giustificazione o difesa del proprio operato. 75 Dem240-II-057r 76 Dem240-II-058r 17


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le notizie inerenti il conduttore ovvero il suo nome, il tipo di locazione, il canone e le scadenze per i pagamenti dell’affitto; anche in questo caso sono registrate le informazioni che certificano l’atto della locazione indicandone la data di inizio e il nome del notaio che ha validato il contratto. In genere si tratta di locazioni a mezzadria, altre volte si tratta di una vendita a vita, altre volte di locazione con pagamento di un certo canone; spesso troviamo anche indicati i patti compresi nel contratto ovvero vengono indicate le modalità da adottare per certe coltivazioni, quelle per mantenere i fossati liberi dalle sterpaglie, quelle per la raccolta del frumento e altre ancora. A queste prime informazioni seguono le registrazioni delle diverse entrate relative ai pagamenti in denaro o in natura. Si trovano anche annotazioni che riguardano la consegna al colono di quantità di sementi per la semina dei futuri raccolti; dette quantità di sementi possono essere quelle che i frati debbono al colono per seminare la loro quota parte, nel caso di contratto a mezzadria, o possono essere anche quantità date in prestito al colono stesso perché questi non ha la disponibilità economica per procurarsele; in quest’ultimo caso la registrazione annota diligentemente che dette quantità debbono essere restituite al raccolto successivo e si può constatare che la restituzione avviene abbastanza normalmente. Scorrendo le carte possiamo notare come ci sia qualche “infiltrazione” della lingua volgare: Dante ha già scritto la Divina Commedia e, evidentemente, la lingua italiana emerge a tratti anche in documenti come i nostri che sono scritti in latino medievale. Citiamo un esempio che si trova in una specie di “post it” incollato in basso, sul lato destro della carta Dem240-III- 019r: “E tuti questi dinari sono per dare a Lunardo deli Desideri. Li dicti dinari li pagai ala tavola del dicto Lunardo delli Desideri ad VIII de Luglio 1439”. Notiamo, anche, che sull’altro verso di questo “post it” c’è un elenco di somme ricevute ma non si capisce quale attinenza ci sia con il contenuto della carta citata. Possiamo verificare che i frati, a volte, dicono al locatario di una certa loro proprietà di versare il canone dovuto, o una parte di esso, direttamente ai creditori del convento. Un esempio lo troviamo nella carta Dem240-III-024r: il conduttore, Dino Pilipari, dà 6 lire ad un certo Onigino in quanto creditore nei confronti del convento per il lavaggio dei panni dei frati. Leggiamo anche che è stata data in locazione una vigna posta nel suburbio della città , in località “Le Fornaci”, il cui canone di 10 lire e 10 soldi deve essere pagato nel giorno di San Michele (il 29 Settembre). Scorrendo le registrazioni dei pagamenti del canone, nei diversi anni, sembra che vi sia un ritardo sistematico di tre mesi rispetto alla data di scadenza; vediamo anche che nel periodo che va dal 1406 al 1413 manca la registrazione esplicita relativa al 1406; però ritengo si possa dedurre che il pagamento è poi stato fatto in differita in quanto troviamo la registrazione di un pagamento fatto a Dicembre del 1407, che credo sia quello relativo al 1406; un altro pagamento, fatto subito dopo, nel Gennaio del 1408, (carta Dem240-III-028r) che credo sia quello relativo al 1407; e un secondo pagamento, sempre nel 1408, che fa esplicito riferimento a quest’ultimo anno. Continuando nella lettura delle carte possiamo vedere (carta Dem240-III-030v) che il 2 Febbraio del 1408 i frati acquistano, per 8 lire, una scrofa con i suoi porcellini e, contestualmente, acquistano anche una “porcelletta”. I frati affidano a un loro colono, Ugolino Bartoli di San Giorgio di Piano, l’allevamento di questi animali con la disposizione che nel giorno di Tutti i Santi vengano consegnati loro i porcellini, ormai cresciuti, e la porcelletta e con l’indicazione aggiuntiva che in futuro il colono dovrà consegnare anche gli altri porcellini che nasceranno poiché la scrofa, nel frattempo, è stata impregnata. La seconda serie di maialini dovrà essere consegnata ai frati a due mesi dalla loro nascita mentre i frati, nel frattempo, consegneranno al colono una corba di crusca per l’alimentazione della scrofa. Ed ecco che incontriamo la notizia di una lite importante relativa ad una proprietà posta nel territorio di San Giovanni in Triario (carta Dem240-III-031r); abbiamo già trovato tracce di questa lite nel primo volume ed è una lite che si protrae ormai da circa trent’anni. I frati sostengono che l’affittuario, Pietro Zilino, non ha pagato loro il dovuto mentre quest’ultimo sostiene che sono i frati a non rispettare i patti e a dare i contributi promessi. Si va in tribunale e il giudice emette una sentenza in favore dei frati, ma c’è l’assoluzione del vescovo di Bologna; intanto l’affittuario, non soddisfatto, fa ricorso a papa Bonifacio IX il quale emette una “bolla plumbea” con due privilegi sempre in favore dei frati. Il Podestà di Bologna non interviene per far eseguire la sentenza e interviene anche il cardinale di Bologna che, per iscritto, ordina ai frati di non molestare oltre questo Pietro Zilino. Lo “scriptor” sottolinea che tutta la documentazione relativa a questa lite, compresa la sentenza e i due privilegi papali, è conservata nel convento. Alla fine i frati non demordono e si va al “Giudizio di Dio”: Pietro Zilini viene decapitato ponendo finalmente termine a questo lungo contenzioso. Molto maliziosa, a mio parere, una nota posta sul bordo destro della 18

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carta che dice: “Giudizio di Dio, si perdona chi persegue i religiosi”. Nella carta Dem240-III-036r si può notare una particolarità che evidenzia, in qualche modo, la poca diligenza che a volte si dedica a queste registrazioni; in questa carta si dice che una proprietà di 18 tornature posta in San Lorenzo in Collina viene locata alla nobildonna Giustina Galluzzi ma poi il cognome Galluzzi è cancellato ed è sostituito con il cognome Bedulli. A questo punto si presume che tutte le registrazioni che seguono facciano riferimento al cognome Bedulli mentre, in realtà, si continua a citare questa Giustina Galluzzi. In questo volume troviamo anche dei contratti che hanno una loro complessità come si può vedere nella carta Dem240-III-037r. In questa carta si descrive un contratto con un certo Ludovico Aserpe a cui viene affidata una proprietà molto importante perché composta da 8 appezzamenti di terreno per una estensione totale di 320 tornature. La locazione è ufficializzata da un atto del notaio Azzo Buvalelli del 14 Gennaio 1397 ed è riportata in questo volume data la lunga durata della stessa: 25 anni. Nella carta sono riportati i diversi pagamenti avvenuti negli anni successivi e si può notare come questo Ludovico, nel 1405, non ha potuto pagare il convento poiché aveva perso tutto il raccolto a causa della guerra. Si può notare anche che, con una certa cadenza, si fa una “revisione dei conti” durante la quale si verifica se tutti i patti sono stati rispettati e si definiscono gli eventuali aggiustamenti necessari a far quadrare questi conti; un esempio si ha l’11 Maggio del 1406 quando si dice che Ludovico salda i conti con i frati consegnando loro 10 corbe di frumento. Un’altra particolarità della vita quotidiana, che ci dice come certi fatti avvenissero anche a quei tempi, così come succede ancora oggi, la possiamo trovare nella carta Dem240-II-047r. Leggiamo che la Signora Bonesina , figlia di Albertino, commerciante di uova, concede a vita a Suor Zesia, del monastero di San Pietro Martire, una proprietà costituita da tre appezzamenti di terreno seminativo e a vigna. Ma poi lo “scriptor” conclude che la suora ha abbandonato il convento ed è andata a vivere con un uomo. Ancora un contratto particolare si può trovare nella carta Dem240-III-058r; in questa carta leggiamo che nel territorio di Russi, in località “Codalunga” c’è una proprietà di 60 tornature, con un terreno in parte seminativo e in parte a vigna, che viene coltivata a mezzadria da un certo Simone. Il contratto è particolare perché mentre il terreno seminativo è assegnato a mezzadria quello coltivato a vigna i frati ci dicono che lo coltivano in proprio; in realtà è sempre Simone che tiene dietro alla vigna con la particolarità che beneficia di tutti i frutti di 4 tornature di terreno a vigna mentre le restanti tornature a vigna vengono seguite da Simone con la modalità della mezzadria. I frati ponevano una certa attenzione alle loro entrate e questo lo possiamo verificare, per esempio, nella carta Dem240-III- 059r. In questa carta ci viene detto che viene recuperato un debito che un certo Filippo Canellato aveva contratto con i frati; questo Filippo nel 1393 aveva avuto in locazione una proprietà indivisa che i Domenicani avevano con i frati Carmelitani ma, a causa della guerra, nei primi 5 anni non aveva potuto pagare tutto il canone dovuto. Quando nel 1415 viene fatta una revisione dei conti risulta che Filippo è ancora debitore di 16 lire. Le registrazioni che seguono ci fanno capire che poi Filippo ha saldato il debito pagando 6 lire nel 1416, 5 lire nel 1417 e 5 lire nel 1418. Capita anche che i frati aiutino una certa Caterina, suora Orsolina del Terzo Ordine, a recuperare un credito di 25 lire che non riusciva ad incassare dal suo debitore. Questa suora voleva acquistare dai frati una proprietà di 11 tornature posta in località “Serramazzoni” e si era stabilito che il valore di questa proprietà fosse pari a 225 lire; il credito che la suora non riusciva ad incassare era di 25 lire per cui i frati organizzano un sotterfugio per indurre il debitore a saldare il dovuto. I frati dicono al debitore della suora che il prezzo di vendita della proprietà che la suora vuole acquistare è pari a 25 lire; il debitore non osa contrapporsi ai frati e paga mentre i frati poi, in un secondo momento incassano le restanti 200 lire affermando così che loro nulla hanno rimesso mentre, nel contempo, sono riusciti ad aiutare la suora tanto che concludono soddisfatti: “Et sic dedit nobis precium nostro et nos ille domine servivimus sine aliquo dispendio nostro”. Ed ecco che proseguendo nella lettura delle carte di questo volume ci imbattiamo in una eredità controversa; si tratta di una casa concessa a vita a un certa Cola, moglie di Geminiani, e morta nel mese di Marzo del 1405. Lo scriptor ci dice che dopo la morte di Cola la casa è tornata al convento perché la stessa Cola, mentre era ancora in vita, aveva scritto che aveva donato questa casa ai frati e questo era avvenuto mentre era Priore del convento frate Marco da Chioggia. Ma lo “scriptor” ci fa notare che, dopo la morte di questa Cola, è stato trovata della documentazione nella quale si diceva che prima della donazione ai frati la signora Cola aveva lasciato la medesima casa a una certa Olina. Si apre una lite e si va in tribunale; il giudice dà ragione alla Olina ma stabilisce anche che quest’ultima è tenuta a dare ai frati 100 lire per l’anima di Cola pagando questa somma in rate da 10 lire l’anno, per 10 anni. Proseguendo la lettura di questa carta (Carta Dem240-III-074r) si può dedurre che la casa, alla fine, è rimasta ai frati perché si può leggere che il 10 Maggio 1406 è stata affittata a vita a un certo Ugolino Nicolai, calzolaio a condizione che la 19


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ripari a sue spese e che entro tre anni faccia un pozzo. Possiamo ancora leggere che un’altra casa posta nella cappella di San Giacomo è stata data a vita, per 90 lire, alla signora Giacoma Guidone Ruini da Budrio e alla figlia Agnese Franceschini. In questa carta (Dem240-III-075r) lo “scriptor” si sente in dovere di dirci come sono state spese le 90 lire di cui sopra e precisa che 5 lire sono state date a Jacopo a saldo dei lavori che ha fatto a Dozza; 30 lire sono state date a Gerardo Guidoni e a Pietro Mattei di Dozza per i lavori che stanno facendo lì nelle proprietà dei frati; 56 lire sono state date a Jacopo, il colono, perché acquisti un bue mentre le restanti 9 lire sono sempre state date a Jacopo come completamento della somma necessaria all’acquisto di un secondo bue. Ed ecco che nella carta successiva (Dem240-III-076r) si parla di Indizione, una modalità di datazione molto in uso nel Medioevo fin dal V Secolo e molto diffusa nelle Cancellerie occidentali fuori dal dominio bizantino; nel IX Secolo viene adottata anche dai Franchi. Questa modalità sussiste ancora per alcuni comparti dell’anno ecclesiastico fra cui quelli inerenti la determinazione della data della Pasqua77. Tra le tante particolarità che possiamo trovare leggendo queste carte voglio citare quella di una casa concessa in uso a vita a un certo Andrea, libraio (Dem240-III-090r). La condizione della concessione è che vale fino a che il Signor Paolo Boetari rimane in vita, da cui penso si possa dedurre che questo signor Paolo sia il proprietario della casa e che abbia dato questa casa in gestione ai frati. Ma il Priore Marco da Chioggia decide di indagare sulla sorte di questo Signor Paolo perché corrono voci che sia morto. Il Priore, con le sue indagini, scopre che il Signor Paolo è vivo, si è fatto prete e vive a Conegliano nel territorio di Treviso. Troviamo anche che si perdono i diritti su certe donazioni per la mancanza di ordine nel conservare le documentazioni (Dem240-III-092r e Dem240-III-093r); ecco infatti che i frati perdono i diritti relativi a due case concesse a vita alla Signora Bartolomea perché non si trova più la documentazione della donazione. Le case erano state data al convento dalla Signor Lucia, mamma di Bartolomea, con un atto del notaio Azzo Buvalelli; come abbiamo detto l’atto è andato perduto e così i frati non possono più accampare alcun diritto su queste due case. Troviamo anche che i frati vendono per 45 lire (Dem240-III-099r) una piccola casa, piuttosto disastrata. La casa è venduta a un certo Bartolomeo Zaccaria e i frati non nascondono una certa soddisfazione per essere riusciti a liberarsi di questa proprietà; la casetta, infatti, dicono fosse messa talmente male che avrebbero dovuto sostenere una grande spesa per rimetterla in sesto. Lo “scriptor” ci dice che nel 1410, con i soldi ricavati dalla vendita, hanno provveduto a pagare il trasporto al convento del frumento e del vino prodotti in quello stesso anno. Ed ecco che, proseguendo nella lettura, incontriamo per la prima volta la professione di “abachista” (Dem240-III-102r) che è la professione di colui che conosce l’arte di fare i conti ovvero “un ragioniere” in anteprima. Questo Signor Antonio, “abachista”, fa una revisione dei conti per un lascito di 22 fiorini l’anno in favore delle suore di Sant’Agnese secondo le disposizioni di Matteo Ursini che contestualmente ha lasciato un lascito di 50 fiorini l’anno in favore dei Domenicani. Lo “scriptor” evidenzia le difficoltà derivanti dal cambio oscillante a causa delle guerre in atto: siamo nel 1405. Sempre scorrendo le nostre carte troviamo che i Domenicani debbono ricevere la terza parte dei frutti di una proprietà, gestita dai frati di San Bernardo, che si trova nel territorio di Corticella (Dem240-III-108r). Per gli anni 1404, 1405 e 1406 i Domenicani ricevono regolarmente la quota loro spettante; nel 1407 i nostri farti rimangono debitori nei confronti dei frati di San Bernardo perché il Priore di questi ultimi, frate Sabatino, ha provveduto a fornire ai Domenicani 8 materassi e 8 guanciali rendendoli così debitori di 2 lire e 19 soldi poiché il costo della fornitura supera la quota annuale di eredità loro spettante. Mi ha fatto sorridere la notizia riportata nella carta relativa ad un lascito di un certo Moneseri Valore da Mantova dato in gestione ai frati di San Michele in Bosco; in base alle disposizioni testamentarie, ogni anno, questi frati debbono dare ai Domenicani una corba di vino ed una di frumento. Sulla carta (Dem240-III-114r) sono diligentemente registrati i “pagamenti” per gli anni 1404, 1405, 1406 ma, per l’anno 1407, lo “scriptor” si lascia andare ad un commento un po’ severo sulla qualità del vino consegnato ai Domenicani: “pessimo”! Un’altra particolarità che vuole rendere un po’ più efficaci le procedure di “scambio” 77 Il calcolo dell’Indizione relativa ad un determinato anno si fa aggiungendo 3 all’anno in questione e dividendo il valore ottenuto per 15, il valore del resto è l’Indizione e quando il resto è 0 allora l’Indizione è 15. Nel nostro caso si parla di una locazione fatta nel 1414 alla 7° Indizione ed ecco, infatti, che 1414 + 3 = 1417; 1417:15 = 94 con il resto di 7 e 7 è l’Indizione indicata dallo “scriptor”. 20

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conseguenti a lasciti che definiscono una condivisione tra le diverse comunità religiose la possiamo trovare nella carta Dem240-III-115r. La carta ci dice che, in base alle disposizioni testamentarie della Signora Maddalena i frati Carmelitani, ogni anno debbono dare ai Domenicani 20 soldi mentre questi ultimi, ogni anno, in base alle disposizioni testamentarie di Brizzi Tintore debbono dare ai Carmelitani una corba di vino. Nel 1400 le due comunità convengono che non ci sarà più, in perpetuo, questo “scambio” ovvero i Carmelitani si terranno i soldi e i Domenicani si terranno il vino. Ed ecco che proseguendo nella nostra lettura incontriamo un importante resoconto di quanto si è dovuto fare per organizzare il Capitolo Generale dei Domenicani che si è tenuto a Bologna il 30 Giugno del 1407 (Dem240-III-122r e Dem240-III-122v). E’ veramente interessante tutta la certificazione delle somme raccolte per poter far fronte ai costi che si sono dovuti sostenere per i pasti da dare a così tante persone e per organizzare la relativa ospitalità. Interessante anche l’elenco dei cibi; da notare le grandi quantità di carne che sono state servite in questa occasione, tutto in deroga alla Costituzione dei Domenicani che vietava loro questo alimento. Sappiamo, però, che la carne era ammessa per gli ammalati e in occasione di grandi avvenimenti come è sicuramente questo importante Capitolo Generale78. Da notare anche la registrazione dei costi per lavori di falegnameria; per lavori da fabbro come il montaggio di serrature e di inferriate alle finestre; di lavori per opere in muratura nelle celle. Partecipano a questo Capitolo Generale dei personaggi illustri: un cardinale, Maestri e Provinciali dell’Ordine provenienti da tutta Europa, i più importanti cittadini di Bologna. Ed eccoci giunti alla fine della lettura di questo volume.

Vol. Dem 240-IV - Campione Quarto Questo volume è impostato sulla falsariga del volume precedente (Dem240-III); inizia con una carta che riporta in ordine alfabetico tutte le località in cui sono presenti delle proprietà dei Domenicani e alla destra del nome è indicato, in cifre arabe, il numero della carta che riporta le notizie riguardanti una determinata proprietà; in sostanza ci troviamo di fronte ad un indice a tutti gli effetti. A questa prima carta seguono le diverse altre carte che riportano al centro delle stesse, in alto, il nome della località e quindi la descrizione della/e proprietà, la definizione dei relativi confini, l’estensione anche se non sempre definita, il tipo di colture adottate ed eventuali condizioni contrattuali. Il volume inizia con la località di sant’Agata e termina con la località di Vetiana posta nella Guardia di Budrio. Sfogliando le nostre carte ci imbattiamo spesso in pagine con la sola intestazione della località mentre il resto della carta è vuoto o, qualche volta, riporta solo una o due righe prive di indicazioni precise. Abbiamo appena detto che questo volume segue l’impostazione del terzo volume così come fu definita, nella prima carta dello stesso, dal Priore di quel tempo, Marco da Chioggia. Scorrendo queste carte ecco che incontriamo, per la prima volta, l’obbligo di pagare la decima al vescovo di Bologna79. Continuando nella nostra lettura vediamo anche che le disposizioni testamentarie del donatore non si limitano a definire i termini delle proprietà che lascia in eredità; capita, per esempio, che il frate Domisdei, del Terzo Ordine di San Bernardo, non solo lasci una proprietà che si trova nel territorio di Corticella, nel suburbio della città, con il relativo godimento dei frutti; il donatore stabilisce anche il criterio di ripartizione di questi frutti tra le diverse comunità di religiosi citate nel suo testamento. Troviamo di frequente che le disposizioni testamentarie si spingono a definire dei fondi con una parte dei quali si deve commemorare il defunto; si spingono persino a disporre la preparazione di piatti speciali (pictancie) da consumarsi in occasione di particolari festività e anche fino a definire quanto si debba spendere per questi piatti e in quali giorni debbano essere consumati80. Si è già detto che spesso il donatore lascia un’eredità indivisa tra più comunità religiose e spesso dispone anche come la sua eredità debba essere gestita. Troviamo così che una certa Margherita Balducci dispone nel suo testamento che siano i Frati Carmelitani a gestire il suo lascito in denaro nella persona del Priore di questa comunità ma vuole anche che sia coadiuvato dal Priore dei Frati di San Michele in Bosco, del Priore di San Martino, dal Priore degli Eremitani e dal Priore, o meglio, dal Custode dei Frati Minori. Margherita stabilisce, inoltre, che questi “Commissari” ricevano ciascuno, in perpetuo e ogni anno, 4 lire ma stabilisce anche che il primo anno dopo la sua morte vengano spese “cinque parti di 78 P. Lippini, La vita quotidiana di un convento medievale, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 2003, pp. 240-245 79 Dem240-IV-008r 80 Dem240-IV-009r 21


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sei” del suo fondo per il vestiario e le necessità dei novizi di San Martino, che al secondo anno dopo la sua morte venga dato lo stesso per i novizi degli Eremitani, che al terzo anno si faccia lo stesso per i novizi dei Frati Predicatori, che al quarto anno si faccia lo stesso per i novizi dei Frati Minori mentre al quinto anno si faccia così per i poveri e per i carcerati che escono dal carcere81. Siamo ormai nella metà del XV Secolo e il volgare italiano appare sempre più di frequente; lo abbiamo già incontrato, anche se in modo molto contenuto, nel volume precedente, ma qui troviamo che in una carta82 lo “scriptor” si è lasciato andare : “Memoria: chome li diti frati del terzo ordine di San Francesco asignarono in chambio de libre 29 che erano tanti a pagare in perpetuo a li diti frati de San Domenico per un pezo de tere zoe in doi pezi contigui de tornature XXV 02 ….. poste in ……eto di sopra a presso anche di decressente da pozia a lordonia seu moia che soe de Zane de….. one strazarolo e fo de li 1446 a dì … per ser Petro del Bonum nodario”83. Proseguendo nella lettura a volte troviamo che lo “scriptor”, per mettere in evidenza una nota, disegna una “manina” con un lungo dito indice puntato alla riga che contiene la nota stessa84; è una particolarità già incontrata saltuariamente nei volumi precedenti. Un’altra novità che incontriamo in questo volume è il modo con cui si definisce la posizione relativa di un immobile di proprietà dei frati rispetto a un punto ben conosciuto della città come potrebbe essere, per esempio, la sede del Comune di Bologna. La posizione relativa viene definita con “latitudine” e “longitudine” e la distanza viene espressa in “piedi bolognesi”85; proseguendo nella lettura delle righe che seguono troviamo anche un accenno alla casa posta vicino alla sede del Comune in cui “si produce la moneta bolognese” ovvero la zecca del Comune di Bologna. Ed ecco che mentre si accenna a certe botteghe, adibite a farmacia, ci viene detto che queste botteghe sono state date alle fiamme il 1° di Agosto del 1428 quando Battista Canetoli e i suoi hanno espulso la Chiesa dal Comune di Bologna (“fuerunt combuste a furore populi de anno Domini 1428 die primo augusti quando ecclesia fuit expulsa de civitate per Baptista de Canetolo”)86. Sappiamo che nel 1417 l’elezione di papa Martino V diede inizio a un duro conflitto con Bologna perché questa città fu tra i principali oppositori alla restaurazione del potere pontificio quando questo papa, nel 1418, tornò da Costanza in Italia. Il papa, da Mantova, riprese le trattative per riportare la città alla Chiesa ma, mentre i bolognesi chiedevano la concessione del vicariato apostolico ventennale dietro un pagamento non troppo elevato, il papa voleva mantenere la città sotto il dominio diretto della Santa Sede per usarla così come base per attaccare Braccio da Montone, detto Fortebraccio. Nel 1419 Bologna, a causa di una grave crisi finanziaria, accetta di tornare sotto il governo della Chiesa; non ottiene il vicariato, ma ha la conferma dello Stato Popolare grazie a Nicolò Albergati. Nel 1420 Anton Galeazzo Bentivoglio rompe l’alleanza con i Canetoli, li caccia e occupa il Palazzo Comunale. Si riapre così il conflitto con il papa che chiede aiuto a Fortebraccio; questi occupa i castelli bolognesi ed entra in città il cui governo viene assunto dal Legato. Nel 1422 Filippo Maria Visconti occupa Bologna per dare aiuto al papa. Nell’agosto del 1428 Battista Canetoli si impadronisce del palazzo comunale e costringe il legato Nicolò Albergati, con il quale era stato a suo tempo alleato, a lasciare la città. Nell’Ottobre dello stesso anno Martino V lancia l’interdetto contro la città87. Seguendo la nostra lettura troviamo ancora un’altra notizia interessante; ecco che ci viene detto che una importante istituzione universitaria straniera, il Collegio di Spagna fondato nel 1364 da cardinale Gil de Albornoz, dopo un cinquantennio circa dalla sua fondazione, ha già una serie di proprietà sparse per il contado e questo si capisce dalla citazione che lo “scriptor” fa per definire i confini di un terreno, posto nel territorio di Sala, di proprietà dei Domenicani (“et iusta bono scolarium ispanorum”)88. Possiamo concludere che questo quarto volume è un po’ povero di notizie particolari riguardanti la vita quotidiana della città di Bologna; tuttavia è un volume che assolve al suo compito con il contenuto delle poche carte che lo compongono; si è già detto che molte sono le carte che lo compongono che riportano la sola intestazione della località, probabilmente, una volta impostate le carte, non si sono seguite le procedure stabilite per delle ragioni che non conosciamo.

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81 Dem240-IV-012v 82 Dem240-IV-019v 83 Si direbbe che questa nota in italiano volgare sia successiva alla scrittura originaria visto che cita l’anno 1446 84 Dem240-IV-033r 85 Ibidem – Un piede bolognese = 38 cm. 86 ibidem 87 A. De Benedictis, “Lo stato popolare di libertà” pratica di governo e cultura di governo (1376 -1506) in Storia di Bologna, Bologna nel Medioevo, Bologna, Bononia University Press, 2007, pp. 909-910 88 Dem240-IV-038r 22

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Mappe delle proprietà

Realizzate da Michele Melloni su cartografia EDIMAP

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