Uno zaino, un orso e otto casse di vodka

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Quando mio padre era in viaggio, trascorrevo i pomeriggi con il mio migliore amico, Oleg, che viveva nell’appartamento di fronte al nostro sullo stesso pianerottolo. Il nostro gioco preferito era riprodurre l’invasione tedesca della Russia in cortile. A volte eravamo l’Armata Rossa che arretrava di fronte all’avanzata tedesca: costruivamo fortificazioni, opponevamo una disperata resistenza, volevamo assicurarci che quei bastardi nazisti pagassero un prezzo altissimo se volevano conquistare la nostra città. A volte invece partivamo dall’angolo più distante del cortile, vicino alla discarica e alle caserme dell’esercito, e conquistavamo il territorio panchina per panchina, atrio per atrio, fino ad arrivare a difendere il nostro palazzo vicino alla panetteria. Ma fare così significava essere i tedeschi, ovviamente, per questo io e Oleg, per sentirci meno antipatriottici, lo chiamavamo «il gioco del contrario». Il problema è che attaccare era più divertente che difendersi. Il fatto è che quel gioco non richiedeva un grosso sforzo di immaginazione. La nostra città era realmente stata distrutta dai tedeschi – le quattro grandi Battaglie di Char’kov, avvenute tra il 1941 e il 1943, occupano un posto importante nei libri di storia – e, nonostante fossero passati quarant’anni, le ferite erano ancora ben visibili. Il nostro balcone sfoggiava ancora i fori dei colpi di mortaio e la città era piena di targhe memoriali e panzer catturati come trofei di guerra. Mia madre, mio padre e la nonna ricordavano perfettamente l’improvvisa evacuazione dell’autunno del 1941, quando erano stati caricati su un treno e spediti a est: papà negli Urali, la mamma e i nonni in Asia centrale. Quando poi mio padre era ritornato in città, la guerra aveva lasciato ben più che dei semplici segni. Lui e i suoi compagni di scuola – molti dei quali nel frattempo erano rimasti orfani – si facevano largo tra gli edifici crollati e scavavano tra le macerie in cerca di mitragliatrici, granate e ossa. Portavano a scuola le armi – tanto erano lì a disposizione di chiunque – e un per po’


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