

Notre Dame: una parabola che fa riflettere
Alcuni avvenimenti si stagliano nella storia come parabole. Hanno una valenza simbolica. Scuotono in profondità l’anima di un popolo, di una civiltà, di un’epoca. Si direbbe che toccano l’eternità, riverberando negli splendori del Padre Eterno. A volte hanno il carattere di un ammonimento divino, richiamando alla riflessione e alla conversione. La teologia li chiama “segni dei tempi”.
L’incendio nel 2019 della cattedrale di Notre Dame, a Parigi, appartiene chiaramente a questa categoria. Come pure la sua recente restaurazione.
A Parigi è bruciata molto più di una chiesa. Notre Dame era il monumento più visitato d’Europa, era il simbolo della Francia, dell’Europa, della Cristianità, il fior fiore di quella “dolce primavera della Fede” che fu il Medioevo cristiano, e che proprio in Francia ebbe connotati archetipici.
Un incendio è sempre distruttivo. Mostra sdegno e insofferenza. Fa ricordare i grandi castighi di Dio, cancellando dalla terra ciò che non dovrebbe esistere. Le fiamme che hanno divorato la cattedrale parigina ci fanno pensare all’incendio spirituale che divampa, ormai da secoli, nella Figlia primogenita della Chiesa. “Dura cosa è per te il ricalcitrare contro il pungolo, perché colla tua ostinazione rovini te stessa!”, si lamentava nel 1911 San Pio X, rimproverando la politica anticlericale della III Repubblica.
di Notre Dame ci deve far riflettere sullo stato de derelizione della nostra società che, di peccato in peccato, avanza verso la sua rovina, attraendo su di sé l’ira divina.
Ma ci deve far riflettere anche sull’estensione della misericordia di Dio, che ha lasciato intatta la struttura della basilica. Ricorda quella “città mezza in rovina” descritta nel terzo segreto di Fatima. “Mezza in rovina”, quindi non totalmente distrutta. Un messaggio di tragedia ma anche di speranza. Della Cristianità rimangono resti, ceneri che piangono, lucignoli ancora fumanti, ma che, con l’aiuto della grazia divina, contengono i germi della rinascita. Come dice il profeta Isaia: “Non frantumerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante”

L’incendio di Notre Dame ha scosso i francesi, che si sono riversati sulle piazze pregando il Santo Rosario e cantando inni religiosi. Possiamo scorgere in ciò il seme di un movimento di conversione? Un fatto colpiva senz’altro: a parte qualche anziano, la quasi totalità dei manifestanti era composta da giovani. La generazione di mezzo mancava quasi totalmente. Che cosa vuol dire?
Piangendo la distruzione di Gerusalemme, il profeta Geremia ammoniva: “Gerusalemme ha peccato gravemente, per questo è divenuta un panno immondo”. L’apostasia del popolo eletto aveva allora comportato la distruzione della Città Santa. Il rogo
Gli anziani pregavano perché erano stati così educati. La generazione di mezzo, invece, ebra di modernità, ha abbandonato quasi completamente la Fede. In tanti giovani, invece, la modernità sembra aver perso il fascino. Essi fanno un ponte fa il passato glorioso della Cristianità e il futuro, non meno glorioso, della sua restaurazione.
Così come il rogo della Basilica ha simboleggiato la derelizione della Cristianità europea, la sua restaurazione ben può essere vista come una promessa di gloriosa rinascita. u
Difficile trovare lavoro in un mondo IA
di John Horvat
Sempre più aziende americane stanno tornando alla pratica di reclutare attraverso referenze e colloqui personali, viste le lacune dell’intelligenza artificiale.
Nella ricerca di un impiego, il mercato del lavoro digitale è un grande livellatore. I curriculum inviati in automatico arrivano a torrenti nei dipartimenti delle risorse umane. Nessuno si distingue.
Il processo è ulteriormente complicato da quelli scritti dall’intelligenza artificiale che ne migliora la stesura ma che potrebbe anche distorcere la realtà. A loro volta, i manager impiegano programmi per discernere meglio le candidature “arricchite”. Potrebbero persino utilizzare un avatar per condurre un colloquio Zoom.

In questo modo, il processo di selezione si basa sulla trasformazione di ogni persona in un pezzo di codice da valutare con algoritmi. Tutti sono standardizzati nel processo. È sparito il tocco umano che dovrebbe entrare nel rapporto di lavoro. Entrambe le parti rimangono insoddisfatte.
Trovare un lavoratore umano attraverso un altro umano
Poiché il processo di assunzione sta diventando sempre più complesso, alcuni datori di lavoro ormai si rendono conto che il modo migliore per trovare un lavoratore umano è attraverso un altro lavoratore umano. Il Wall Street Journal riporta che le referenze personali sono in piena espansione nel mondo del lavoro. Un legame umano che garantisce la competenza di un’altra persona può fare la differenza. Nel mondo reale, la fiducia personale vince sugli algoritmi.
I dipartimenti di Risorse Umane intasati non hanno il tempo di navigare tra tutti i curriculum che entrano dalla porta principale e così diventa molto più facile far entrare i nuovi candidati dalla porta posteriore.
Anche se molti dipendenti vengono ancora selezionati da queste fonti online, il tocco personale aumenta significativamente la probabilità di ottenere un lavoro. Uno studio ha rilevato che i referenziati rappresentano oggi un terzo delle assunzioni, mentre rappresentano solo il 5% di tutti i candidati. Il referenziato vecchio stile ha senso in un mondo pieno d’incertezze e insicurezza. I datori di lavoro devono sentirsi sicuri di trovare la persona giusta al primo colpo.
Qualità più che quantità
È una questione di qualità piuttosto che di quantità. I curriculum e gli invii automatizzati tendono ad attrarre candidature di qualità inferiore da parte di
coloro che si limitano a cercare lavoro. Anche l’IA produce una sensazione di artificiosità che può riflettere una mancanza d’impegno, d’immaginazione e una fiducia cieca nella sola tecnologia.
Anche chi cerca lavoro è frustrato dall’automazione. A causa del volume eccessivo, molti dipartimenti delle risorse umane non si preoccupano di rispondere alle loro richieste online e molti si sentono esclusi dal processo.
Pertanto, tutti perdono quando ci si affida solo agli annunci online. In effetti, alcune aziende non si preoccupano nemmeno di postare le opportunità di lavoro e cercano quello che già ha funzionato in precedenza.
Cercare referenze da parte dei dipendenti
Per trovare soluzioni vincenti, molte aziende si affidano alle segnalazioni dei propri dipendenti, che possono raccomandare amici per coprire i posti di lavoro. I manager spesso offrono grandi bonus di reclutamento di diverse migliaia di dollari quando un conoscente viene selezionato e accettato.
Questo si chiama “networking” e funziona in entrambi i sensi. Le persone in cerca di lavoro attivano le loro reti e i loro amici per superare le barriere elettroniche ed esporre ai datori di lavoro le loro competenze. Chiedono agli amici delle grandi aziende e delle società tecnologiche di cercare per loro dei posti di lavoro. Se sono perseveranti, i loro sforzi possono essere ben ripagati per loro stessi e dare bonus di reclutamento agli amici.
I vantaggi dei referenziati rispetto alle applicazioni online sono molteplici.
Lavorare con le reti di dipendenti consente di risparmiare tempo e denaro abbreviando il processo di assunzione. I dipendenti si sentono coinvolti nell'azienda e aiutano i datori di lavoro a migliorare le loro imprese.
Un aiuto di questo tipo aumenta il legame e l’impegno verso l’azienda. I datori di lavoro ci guadagnano, perché spesso gli amici lavorano meglio insieme. I nuovi arrivati sono più propensi a rimanere se lavorano con un amico.
I referenziati aprono opportunità a persone che potrebbero non avere lauree o credenziali più tradizionali. A volte, le parole di un amico che parla di una forte etica del lavoro o di altre competenze sono sufficienti ad attirare l’attenzione dei manager.
Lavorare fuori dagli schemi rende il processo di assunzione più umano. Le persone si sentono non solo ingranaggi di una macchina, ma parte di una comunità.
Infrangere i canoni liberal della diversità
Tuttavia, questa pratica non è priva di controversie. Il referenziato ha un vantaggio che crea un dilemma tra i datori di lavoro delle multinazionali con orientamento woke o liberal. Il fatto di saltare la fila viola i sacri canoni della uguaglianza lavorativa, che richiede l'eliminazione di tutti le preferenze.
In teoria, tutti dovrebbero avere un’opportunità equa. Tuttavia, nella pratica, il diluvio di candidature automatizzate presso le principali aziende rende impossibile un'attenta valutazione di ciascuna di esse.
D’altronde, le politiche dei referenziati non sono parziali o discriminatorie. Riflettono la necessità di trovare il miglior candidato possibile per il lavoro, indipendentemente dall’identità. Quando le persone in cerca di lavoro producono quasi senza sforzo curriculum da inviare in massa, non devono aspettarsi come ricompensa un impiego immediato.
Coloro che sviluppano capacità di networking meritano un’attenzione particolare, poiché queste abilità sono utili negli affari. Queste competenze sono anche opzioni aperte a tutti.
Le migliori pratiche occupazionali si basano sulle relazioni, non sulle quote. Purtroppo, la rivoluzione industriale ha introdotto un atteggiamento che ha svalutato il lavoratore come mera parte di una macchina. Non ha considerato molti altri fattori che rendono i lavoratori più che semplici componenti.
In effetti, l’occupazione non funziona come un semplice dispositivo “pronto per l’uso”. Nessuno nega che i talenti e le competenze legate al lavoro siano importanti. Tuttavia, le considerazioni sulle assunzioni devono includere anche le relazioni umane, il networking, le abilità sociali e il carattere personale. Questi aspetti non si traducono bene nei curriculum teleguidati dall’intelligenza artificiale o nei colloqui con gli avatar.
La chiave di tutto è il tocco umano. I datori di lavoro stanno scoprendo che le strategie di assunzione vecchio stile pagano. Il ritorno all’ordine deve ripristinare le connessioni personali all'interno dell'azienda, rendendola un mezzo di realizzazione e non solo una funzione meccanica. u
Attualità
Femminicidio: passo falso, svista o cedimento culturale?
di Mauro Faverzani
Lo scorso marzo il Consiglio dei ministri ha aprovato un disegno di legge sul cosiddetto “femminicidio”, assurdo dal punto di vista giuridico e chiaramente ispirato all’agenda della sinistra. Cosa sta succedendo?
Lo scorso 7 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge sul cosiddetto “femminicidio”.
Prevede l’ergastolo per chiunque cagioni la morte di una donna «quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’eser-
sua modalità. Che la vittima sia uomo, donna o bambino, anziano o disabile la pena non può essere inferiore a 21 anni e può giungere sino all’ergastolo, a discrezione del giudice, valutando il caso specifico. Non c’è pertanto alcuna necessità d’inventarsi nuovi reati: il vigente ordinamento giuridico prevede già quanto necessario alla tutela di tutti.

Lo scorso 7 marzo il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge sul cosiddetto “femminicidio”. Una normativa di questo tipo rappresenta un assurdo giuridico
cizio dei suoi diritti o delle sue libertà e comunque l’espressione della sua personalità».
Una normativa di questo tipo rappresenta un assurdo giuridico. Per due motivi.
In primo luogo, l’art. 575 del Codice penale contempla già il reato di omicidio, declinato in ogni
In secondo luogo, introduce un principio chiaramente discriminatorio.
La legge non è più uguale per tutti, perché alla donna in quanto donna viene riconosciuto uno statuto “speciale”, che gli uomini non hanno. E questo non solo giuridicamente, ma anche politicamente, non va bene.
Rappresenta forse un primo, pericoloso cedimento da parte di un governo di Centrodestra all’agenda gender della Sinistra femminista?
Di fronte alla legge tutti devono essere posti sullo stesso piano. Le donne non possono essere superiori agli uomini. E viceversa, ovviamente. Non devono sussistere quindi “specie protette”, caste intoccabili in base a non si sa quali strani privilegi…
Queste discriminazioni confliggono con l’art. 3 della Costituzione italiana, che così recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso».
Il vigente ordinamento giuridico, anche prima di tale modifica, tutelava già i reati a danno delle

Dal nostro premier il popolo non si aspetta che tuteli il “genderismo” o il “femminismo”. Al Centrodestra al potere gli Italiani, più in generale, non han chiesto solo di governare. Gli hanno affidato la missione storica di porre un freno alla Rivoluzione. Il che significa combattere per gli Ideali morali, fondati sulla legge naturale e sul Magistero della Chiesa
fatto che gli Italiani abbiano riconosciuto in lei la difesa giusta di “Tradizione, Famiglia e valori sociali”.
Dal nostro premier il popolo non si aspetta certo che tuteli il “genderismo” o il “femminismo”, i cui limiti sono stati recentemente ben evidenziati dall’arcivescovo argentino, mons. Héctor Aguer: «Il problema principale del femminismo – ha detto – sta nel suo carattere rivendicativo. La proclamazione dei “diritti” delle donne è vissuta in modo da ignorare l’equilibrio originario, da cui le false soluzioni del divorzio, della contraccezione e della disgregazione della famiglia». Anche con l’aborto, è possibile aggiungere. Viceversa, ha evidenziato ancora mons. Aguer, «il ruolo della donna in quanto moglie e madre, impegnata nell’educazione dei figli, è insostituibile».
È necessario tenere ben presente una valutazione. Al Centrodestra al potere gli Italiani, più in generale, non han chiesto solo di governare. Gli hanno affidato la missione storica di porre un freno alla Rivoluzione. Il che significa combattere per gli Ideali morali, fondati sulla legge naturale e sul Magistero della Chiesa.
Ciò esclude qualsiasi politica “genderista”, oggi divenuta particolarmente e pericolosamente ideologica. Se il femminismo – o “transfemminismo”, come oggi ama chiamarsi – è quello visto in piazza a Napoli lo scorso 8 marzo, dove alcune donne, or-
ganizzate nella sigla Non una di meno, hanno sfilato urlando contro il governo Meloni, contro Israele, contro la Chiesa ed agitando cartelli raffiguranti la “Madonna con la pillola abortiva” al posto del Cuore Immacolato, beh, non è certo questo l’elettorato di riferimento dell’esecutivo in carica.
Se le femministe sono quelle che lo scorso 23 novembre a Roma hanno inscenato una manifestazione di odio e pura follia con cori di ultrasinistra, slogan pro Palestina, foto del premier Meloni e del ministro Valditara bruciate, proteste a seno nudo al grido di «Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io» ed urla contro un patriarcato inesistente, beh, non è certo questo l’elettorato di riferimento dell’esecutivo in carica.
Il governo Meloni solo abbandonando la galassia diversamente genderista, che non gli appartiene, ed abbracciando i Valori del diritto naturale e della Tradizione, come vita e famiglia - che costituiscono peraltro il suo dna e la sua storia -, potrà costruire una solida base di consenso in grado di affrontare qualsiasi sfida. Perdere credibilità e identità sarebbe il peggior errore ch’esso possa compiere, poiché pregiudicherebbe il futuro non solo della coalizione che lo sostiene, ma dell’intero Paese.
L’approvazione del disegno di legge sul femminicidio rischia di rappresentare purtroppo un passo proprio in questa direzione. u
Suicidio assistito: progresso o resa?
di Chiara Valcepina *
La Regione Toscana ha approvato una legge che regola le modalità per accedere al suicidio assistito. Poco dopo, una cittadina lombarda è stata iniettata con un farmaco letale fornito dal Servizio Sanitario Nazionale. Esiste il pericolo che anche la Regione Lombardia approvi un simile provvedimento?
Nello scorso autunno, nel Consiglio Regionale della Lombardia, siamo stati chiamati a pronunciarci sul Progetto di Legge di iniziativa popolare “Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per effetto della sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale” presentato dall’Associazione Luca Coscioni, che aveva raccolto 8.000 firme a sostegno del Progetto di Legge. A parte la breve “relazione illustrativa”, il testo di legge si componeva di 6 articoli succinti, compreso quello specificamente “tecnico” relativo alla clausola di invarianza finanziaria, concentrati in 2 pagine.
Un progetto fatto male
Soprattutto, già ad una prima lettura risultavano evidenti alcune gravi criticità: i tempi manifestamente troppo ristretti, 20 giorni in tutto, fra la presentazione dell’istanza di accesso al suicidio assistito e la somministrazione del trattamento letale, la mancanza di ogni riferimento riguardante l’offerta delle cure palliative, prerequisito necessario anche per la Sentenza 242/2019, l’assenza di un articolo che riconoscesse e regolasse il diritto all’obiezione di coscienza, le carenze relative alla composizione della Commissione medica multidisciplinare permanente che, secondo il progetto di legge, avrebbe dovuto verificare “la sussistenza delle condizioni di accesso e le migliori modalità di esecuzione del suicidio assistito”. Questa evidente trascuratezza nell’elaborazione del testo mi è sembrata un’eloquente testimonianza del fatto che, a dispetto delle motivazioni altamente umanitarie rivendicate dai suoi presentatori, la finalità della legge non fosse quella di fornire un accurato, per quanto discutibile, sostegno alla scelta di persone in condizione di grave sofferenza, ma l’affermazione di una visione ideologica
volta a rivendicare un astratto principio di autodeterminazione. Che non si sia trattata soltanto di una mia convinzione personale, lo prova il fatto che perfino coloro che erano favorevoli all’approvazione del PdL, prima della discussione in aula, abbiano presentato diversi emendamenti finalizzati a correggerne, per quanto possibile, le lacune più evidenti.
Tutti i gruppi consiliari della maggioranza, pur nella diversità delle convinzioni riguardanti la legittimità di una legge sul suicido assistito, hanno concordemente ritenuto che introdurre una legge su questo tema esulasse dalle prerogative regionali, ma


fosse eventualmente di competenza esclusiva del Parlamento nazionale, e si è quindi deciso di avanzare una pregiudiziale di incostituzionalità da sottoporre al voto del Consiglio Regionale. Prima della discussione in aula, durante tutto il mese di ottobre si sono susseguite numerose audizioni, nel corso delle quali sono stati ascoltati costituzionalisti, esperti di Diritto Penale e di Bioetica, medici ed operatori specializzati nelle cure palliative, psicologi e i rappresentanti di diverse associazioni. Tutti gli aspetti che entrano in gioco nella questione cruciale e drammatica del suicido assistito sono stati trattati con grande competenza e profondità. Come avvocato, ho ascoltato con grande attenzione ed interesse le relazioni dei costituzionalisti e dei giuristi, ma quello che mi ha umanamente più colpito è stato il racconto delle esperienze di chi ha prestato assistenza a tanti malati terminali, che attraverso la vicinanza, il sostegno e l’accompagnamento compassionevole di medici, infermieri, psicologi, e soprattutto degli affetti più cari, hanno trovato non soltanto sollievo alle loro sofferenze, ma hanno colto, proprio alla fine della loro vita, il senso più profondo e più vero della loro esistenza.
La partecipazione alle audizioni ha rafforzato, a prescindere della mia convinzione personale e morale sull’illiceità del suicidio assistito, il mio giudizio giuridico e politico dell’incostituzionalità del Progetto di Legge regionale in esame.
Una sentenza manipolata
Occorre innanzitutto sottolineare che la Sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale non ha riconosciuto un diritto al suicidio assistito, ma si è limitata ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio all’interno di un perimetro penale ben definito. La Corte Costituzionale ha stabilito che l’aiuto al suicidio non è perseguibile penalmente solo in presenza di precisi presupposti: quando una persona abbia formato in modo autonomo e libero il proposito di to-
“Si tratta dell’affermazione di una visione ideologica volta a rivendicare un astratto principio di autodeterminazione”
gliersi la vita, sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, sia affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, ma sia comunque capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Il punto fondamentale è dunque che la Sentenza della Consulta non ha introdotto un diritto positivo al suicidio assistito, né ha imposto al Servizio Sanitario Nazionale l’obbligo di fornire il farmaco letale.
In questo quadro, la scelta di introdurre un nuovo diritto, tanto più un diritto che tocca la dimensione più intima della persona, il suo destino di vita e di morte, andando ad intaccare il più fondamentale di tutti i diritti, l’inviolabilità della vita umana, spetta esclusivamente al legislatore nazionale. Se il Parlamento non si è pronunciato su questa materia non è alle Regioni che spetta il compito di legiferare, al contrario è necessario rispettare il ruolo del legislatore nazionale, affinché possa garantire la stessa tutela e gli stessi diritti a tutti i cittadini italiani.
In questo senso è fondamentale ricordare che la stessa Corte nella sentenza 242/2019, in riferimento al tema dell’obiezione di coscienza, ha chiarito, oltre ogni dubbio, che “la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita ad escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere in capo ai medici”. Non vi è quindi, né nelle parole della Corte, né nei principi costituzionali che vengono richiamati, alcun dovere per il Servizio Sanitario Nazionale di fornire la prestazione del suicidio assistito.
Inoltre, il fatto stesso che, in questo passaggio del dispositivo della 242/2019, la Consulta evochi il tema dell’obiezione di coscienza senza affrontarlo direttamente, motivando questa “omissione” con la sottolineatura che la Sentenza riguarda solo la non punibilità penale dell’assistenza al suicidio nei casi circoscritti già ben delimitati, è una prova evidente che questa Sentenza non è una legge che abbia introdotto alcun diritto al suicidio assistito. Nella seduta del 19 novembre 2024 il Consiglio Regionale
Piemonte nel marzo 2024 ci aveva anticipato votando la pregiudiziale di incostituzionalità. È evidente, comunque, come si stia esercitando una fortissima pressione per arrivare all’approvazione da parte del Parlamento nazionale di una legge che introduca il diritto al suicidio medicalmente assistito.
Ci dobbiamo dunque preparare ad una battaglia culturale e politica decisiva, nella quale è in gioco la fondamentale questione antropologica del valore stesso della vita umana. Una legge che permettesse il suicidio assistito metterebbe infatti in discussione e relativizzerebbe radicalmente il principio dell’indisponibilità e dell’inviolabilità della vita umana, il bene primario, presupposto di ogni altro bene, inclusa la libertà, che non è assoluta ma seconda e relativa alla vita, di cui è chiamata a prendersi cura per il proprio stesso bene.
Negare il diritto al suicidio assistito non è una forma di ingiustizia o di limitazione della libertà, ma un principio irrinunciabile di tutela e difesa della persona, specialmente nelle situazioni di fragilità e vulnerabilità. La tragica decisione di suicidarsi è una realtà che appartiene all’esercizio della libertà personale, ma lo Stato non può riconoscere un “diritto a morire”, a cui seguirebbe necessariamente il dovere per le istituzioni di concorrere attivamente ad attuare le condizioni per l’esercizio di tale diritto, venendo meno e contraddicendo, in tal modo, il più essenziale ed ineludibile dei suoi doveri, cioè la tutela della vita di ogni persona.
radicalmente la visione universalmente condivisa della inviolabilità di ogni vita e della dignità di ogni persona, spingendoci verso una concezione antropologica nefasta ed esiziale, in cui il valore di una vita non verrebbe misurato secondo il criterio della dignità intrinseca ed assoluta che possiede, ma sulla capacità della persona di essere autosufficiente, indipendente, utile e non problematica. Non possiamo accettare che queste proposte vengano presentate come scelte di libertà, o come affermazione di un diritto civile. Il rischio molto concreto che queste leggi introducono è enorme, esse promuovono implicitamente l’idea che una vita segnata dalla sofferenza non sarebbe più degna di essere vissuta. È una logica pericolosa e profondamente disumana.
“La vita umana porta con sé, in ogni istante, dal primo all’ultimo respiro, una dignità intrinseca ed assoluta che la rende sempre preziosa e degna di essere vissuta. Non si tratta solo di una convinzione religiosa, ma di un principio cardine del diritto naturale, riconosciuto dalla stessa
Costituzione Italiana”
La vita umana porta con sé, in ogni istante, dal primo all’ultimo respiro, una dignità intrinseca ed assoluta che la rende sempre preziosa e degna di essere vissuta. Non si tratta solo di una convinzione religiosa, ma di un principio cardine del diritto naturale, riconosciuto dalla stessa Costituzione Italiana, che pone proprio la dignità della persona come valore fondante e inviolabile, in qualunque condizione e circostanza, anche nelle situazioni più drammatiche e difficili.
Di fronte a chi propone di introdurre nel nostro ordinamento il suicidio assistito dobbiamo innanzitutto evidenziare e far comprendere all’opinione pubblica le inevitabili conseguenze sociali, culturali e morali di questa scelta. Una tale legge trasformerebbe
Nel corso della sua audizione, di cui poi ci ha consegnato una documentazione scritta dal titolo estremamente significativo “Il fine vita e il fine della vita”, don Alberto Frigerio, docente universitario di bioetica, ha citato le parole profetiche che Cicely Saunders, fondatrice dell’Hospice Movement e paladina delle cure palliative, scrisse in una sua lettera del 1993: “Dovesse passare una legge che permettesse di portare attivamente fine alla vita su richiesta del paziente, molte delle persone “dipendenti” sentirebbero di essere un peso per le loro famiglie e la società e si sentirebbero in dovere di chiedere l’eutanasia. Ne risulterebbe come conseguenza grave una maggiore pressione sui pazienti vulnerabili per spingerli a questa decisione privandoli così della loro libertà”. Una drammatica conferma di questa previsione la troviamo nell’esperienza concreta di quelle nazioni, come il Belgio e l’Olanda, che hanno aperto, in modo inizialmente limitato, la strada al suicido assistito. In breve tempo queste realtà hanno dimostrato la veridicità della “teoria del piano inclinato” (“slippery slope” lett. “china scivolosa”): ciò che inizialmente era stato previsto solo per alcuni casi eccezionali e rari, oggi si è esteso drammaticamente a situazioni sempre più ordinarie e comuni. Persone con sofferenze psicologiche, depressione, disagi esistenziali, condizioni di non autosufficienza non terminali, oggi vengono facilmente indirizzate verso la morte volontaria come soluzione ordinaria, creando così una società in cui il valore della vita umana viene costantemente relativizzato. In Olanda si
è arrivati fino all’estremo di discutere una legge sul “Suicido assistito per vita completata”, per la quale erano richiesti esclusivamente 2 requisiti: 75 anni di età e la volontà di morire.
Il nostro dovere politico e morale
Per fronteggiare questa deriva disumana dobbiamo ribadire con forza che la risposta alla sofferenza non è e non può mai essere la morte, ma l’accompagnamento umano e solidale. La sofferenza è una realtà che non si può eliminare completamente dalla vita umana, ma che si può e si deve affrontare con la forza della solidarietà e della vicinanza. Il dolore acquista senso solo quando è condiviso, accompagnato e sostenuto. In questa dimensione di relazione autentica e di vicinanza umana risiede la capacità della nostra società di riconoscere la dignità della vita in ogni condizione, fino all’ultimo respiro, dando senso e valore anche alle situazioni di massima fragilità. Una società che sceglie la morte invece dell’accompagnamento è una società che rinuncia alla sua vocazione più umana e solidale.
In Italia la legge 38 del 2010 ha sancito il diritto di ogni cittadino a ricevere le cure palliative ed il dovere del Servizio Sanitario Nazionale di organizzare le Reti di cure palliative, che nel 2017 sono state inserite nei Lea (Livelli Essenziali di assistenza) fissati dallo Stato. In seguito, un emendamento alla legge ha introdotto l’obbligo per le Regioni di raggiungere, entro il 2028, il soddisfacimento del 90% del bisogno di cure palliative, anche se purtroppo, a 15 anni dall’approvazione della legge 38, siamo ad una media nazionale ancora inferiore al 40% del fabbisogno. Come è scritto nel prezioso opuscolo informativo “L’eutanasia non è la soluzione” redatto dal network associativo “Ditelo sui tetti” e dal “Centro Studi Livatino”, le cure palliative assicurano le cure più appropriate, in particolare quando l’evoluzione di una malattia inguaribile porta la persona che ne soffre nella fase propriamente finale: evitano ogni forma di accanimento terapeutico, rispettano i desideri del malato, valorizzano la relazione di cura in una forma di alleanza terapeutica che permette di garantire la dignità del vivere ultimo e del morire.
Vi è infine un altro aspetto decisivo che ritengo debba essere chiarito con forza e determinazione. È molto frequente sentire ripetere da numerosi esponenti politici, che spesso ricoprono ruoli di grande rilievo politico ed istituzionale, il mantra ipocrita che il fine vita sarebbe un tema che attiene alla libertà di

coscienza e che quindi si dovrebbe lasciare spazio ad una libera scelta personale. Questa posizione non regge affatto: quale tema è più politico e pubblico della tutela della vita e della dignità umana? Quale è il senso e il compito primario della politica se non quello di proteggere e custodire ogni cittadino, specialmente quando è più debole, vulnerabile, fragile ed indifeso? Non esiste una vera neutralità politica quando è in gioco la vita umana.
Nascondersi dietro alla libertà di coscienza è già compiere una scelta e prendere una posizione che, di fatto, spalanca le porte alla logica disumana della morte procurata.
Il nostro dovere politico è oggi quello di difendere a viso aperto e con coraggio la vera libertà, che non è quella falsa e tragica che offre la morte come soluzione alla sofferenza, ma quella autentica ed umana che offre vicinanza, sostegno, cura ed amore. Dobbiamo restituire alla nostra società il volto umano, civile e solidale che permette ad ogni persona di sentirsi amata, accolta e sostenuta fino all’ultimo istante. Questa è la nostra battaglia politica, etica e culturale: una società che riconosce la vita come valore assoluto ed inviolabile, in cui nessuno debba mai scegliere la morte per disperazione o per vergogna, ma possa sempre sentirsi dignitosamente sostenuto fino al compimento naturale della propria vita. u
* Consigliere regionale, Lombardia (FdI)
allegro e giovanile, la sua franchezza, il suo portamento virile. E si sentono sicuri al contatto con un guardiano così destro.
Per altri, invece, è un personaggio sgradevole. Secondo questi la sua semplice presenza rompe la quiete e l’armonia del paesello, evocando lotte e pericoli che sono sgradevoli da ricordare. La rigidezza d’animo con cui insegue, ferisce e uccide gli animali, offusca la visione della sua bontà d’animo. Nel vederlo caricare con gioia qualche sanguinolento bottino della sua intrepida professione, si ha l’impressione che non abbia alcun rammarico per lo spargimento di sangue, forse neanche per quello umano. Insomma, ad alcuni appare come la personificazione della virilità, della dedicazione e della prodezza. Per altri, invece, è proprio l’immagine orrenda della lotta, della violenza e della guerra.
Quarto personaggio: il bisnonno. Possiede tutto il physique du rôle: barba bianca, occhi chiari e infossati, mani scarne e un po’ tremanti. Risente pure di un pizzico di sordità.
Quinto personaggio: un agente di affari in pensione. Tra i 50 e 60 anni d’età. Leggermente portato all’obesità. Occhi piccoli, mobili e sagaci. Voce piena di inflessioni, ora retoricamente sonore, ora flemmaticamente benevoli, ora cautamente sussurranti. Egli ha viaggiato assai, ha analizzato molte cose, si è anche arricchito. È il “boss” del luogo. Gode di raccomandazioni solide nelle principali città vicine. Da lui passano tutti i fili decisivi, a lui ricorrono tutti in cerca di consigli nelle situazioni gravi, da lui provengono sia le notizie di fuori sia il commento decisivo sui fatti del villaggio e della regione.


Luogo del fatto che vorrei raccontare: la taverna del paese, piccola e piena, dove la conversazione si diffonde da un tavolo all’altro. Il tema: le festività natalizie che si avvicinano. Si ricordano i principali eventi dell’anno. E, naturalmente, la conversazione conduce a una questione che divide gli animi. Chi fu il personaggio più simpatico dell’anno?
Le opinioni sono divise. Alcuni propendono per la bella pastorella. Quando esce con il suo gregge, sembra che vada all’incontro di un principe incantato, tanto è graziosa e delicata. Quando rincasa, il suo dolce viso solcato da una leggera fatica, mostra il suo sforzo benemerito e produttivo, e simboleggia in modo incantevole ciò che vi è di penoso e meritorio nel lavoro pastorale di cui vive la regione.
Altri optano per la maestra. Rappresenta l’insegnamento, il sapere, la cultura, beni meravigliosi dello spirito che lei schiude alle generazioni venture. Lei è più di un agente di produzione economica. È un fattore di elevazione umana. È pastora di uomini, qualcosa di molto più pregiato dall’essere pastora di pecore. Infatti, con quanta cura dirige i piccoli mentre camminano verso la piazza della chiesa per pregare l’Angelus al suono dei rintocchi che segnano la fine del lavoro nella dolcezza serale. Poi li riunisce in cerchio attorno alla fontana per cantare allegri una filastrocca, prima di ricondurli alle loro dimore lì vicine.

Ed ecco che tutti esitano tra l’una e l’altra, poiché non c’è chi non apprezzi la prima o la seconda. Gli esaltati delle due correnti cominciano a scaldarsi. Il fatto è che la questioncina locale racchiude un problema più alto, che affiora ormai nell’argomentazione di certuni: che cosa vale di più, la prosperità, simboleggiata da una di loro, o il sapere, rappresentato dall’altra? E, da un punto di vista ben diverso: cosa merita un maggior omaggio, la grazia della pastora o la dolce serietà della maestra? Sono problemi universali, problemi di tutti i tempi, che ogni tanto le vicissitudini della vita mettono a fuoco.
In un intervallo della discussione, si fa sentire la voce del vecchio: e l’eroismo? Non ha anch’esso il suo merito, un merito che sarebbe ingiusto non tenerne in conto, visto che è di meriti che stiamo trattando? Io ho fatto il militare, come sapete. Ho sentito la bellezza del soffio che si sprigionava dai nostri cuori nell’ora della battaglia. Tutti ci ricordiamo degli ambienti felici in cui la vita quotidiana si svolge tra lavoro, preghiera, studio e divertimenti. Ma chi si ricorda che abbiamo dovuto guerreggiare affinché le pastorelle potessero continuare a condurre le loro pe-
core, le maestre potessero insegnare serenamente, perché nei focolari le mogli potessero preparare tutto con tranquillità per accogliere i mariti che tornavano dal lavoro e, soprattutto, perché nelle chiese si potesse continuare a pregare senza turbamento per la gloria di Dio nel più alto dei cieli e per la pace in terra agli uomini di buona volontà?
Lottavamo affinché i princìpi di giustizia e di carità, sui quali tutto l’ordine cristiano riposa, non fossero violati impunemente dal nemico aggressore. In quei momenti le nostre anime sono diventate immense, proporzionate all’ideale che difendevamo. La nostra tempra si è irrigidita come l’acciaio, e il nostro coraggio si è fatto più forte di quello del lupo o del cinghiale. Avanzavamo, lottavamo, ferivamo e uccidevamo, quasi tanto allegri quanto se ci spettasse essere feriti e morire. L’ideale era tutto. Oh, l’allegria esaltante della prodezza! Oh, la sacra grandezza, la cristallina bellezza della battaglia!
A quel punto, il vecchio era già in piedi. La sua voce profonda si faceva sentire nel silenzio della sala. Nessuno si era immaginato che un tale fremito di autentica sublimità avrebbe percorso quel luogo che, pochi attimi prima, sembrava tanto pacato.
Il vecchio, stanco, si sedette. Le sue ultime parole furono: Propongo che si discuta se, tra la maestra e la pastorella, non ci sarebbe anche un posto per il nostro uccisore di belve. Non vi sarà mai un primato per chi è eroe?
Tra gli ascoltatori c’era emozione e anche un certo disagio. Infatti, pochi giorni prima, nell’omelia, il parroco aveva ricordato quelle parole di Nostro Signore Gesù Cristo: nessuno ha un maggior amore di colui che dà la propria vita per i suoi amici.

Procedeva così la discussione, e i partiti si dividevano. Certuni erano a favore del guardiano eroico. Altri erano contro. Ormai non importava più se fosse la maestra o la pastora. Per molti il punto essenziale era che il primato non fosse attribuito a quel guastafeste del villaggio, a quell’uomo antipatico, con le sue vittime sgocciolando sangue. Per altri, invece, era indispensabile premiare l’eroe.
Come al solito nelle occasioni critiche, era giunto il turno dell’agente d’affari di dire la parola decisiva. Gli sguardi si volsero verso di lui. E pian piano si fece sentire quella sua voce, tutta fatta di inflessioni e sfumature. Commosse a tutti quando, con entusiasmo, elogiò la missione della pastora. Lasciò tutti assorti e interessati quando si protrasse sull’ utilità della cultura. Infine, in modo sentenzioso, si rivolse al vecchio. Con un tono grave disse che gli portava rispetto. Ma che, comunque, l’era della lotta era ormai passata. Un giorno il mondo camminerà - e già incominciava a farlo - verso la fusione di tutte le religioni, di tutte le razze, di tutti i popoli. Gli uomini evoluti non potevano provare altro che orrore al sangue che veniva sparso. Ammettere che qualcuno, per soldi, accettasse la missione di uccidere animali selvaggi, era una triste necessità. Ma da lì a porre la lotta - il preteso eroismo - allo stesso livello, e qualora al di sopra della cultura e persino della produzione economica, che anacronismo!

andato lontano per rifarsi una vita in qualche professione meno rischiosa. E tutti si dimenticarono dell’episodio.
L’anno seguente, il numero dei cinghiali e dei lupi aumentò un po’. L’anno successivo aumentò ancora. Al terzo anno, molte campagne furono devastate dai cinghiali mentre molte pecore furono mangiate dai lupi. Alcuni bambini rimasero orfani a causa degli attacchi delle belve, e la povertà penetrò in alcuni focolari.
L’agente d’affari brontolò: Non si può più vivere qui! E se ne andò via lontano. Mentre il villaggio continuava a deperire…
Quindi, da politicante conciliatore, concluse proponendo un applauso che simboleggiasse la stima di tutti per il vecchio, nonché, allo stesso tempo, l’accettazione del suo proprio parere: escludere dalla gara il cacciatore. Un applauso rimbombò nella sala. Soltanto alcuni discordarono irritati. Ormai si era fatto tardi. Tutti si alzarono e ricassarono.
Il mattino dopo, non si vide il cacciatore in piazza. Neppure nei giorni successivi. Egli se ne era
Come chiamare questa storia? Quale titolo possiamo dare a questo articolo? “Pace, cultura ed eroismo”? Oppure “Ingratitudine e castigo”? Sono in dubbio. Forse il migliore sarebbe: “Il crimine di uno scaltro demagogo”.
Pensandoci bene, “Colombe e falchi” sarebbe quello più appropriato. Scelga il lettore. u
(Folha de S. Paulo, 10 maggio 1970)

Ondata di giovani alle Ceneri: una rinascita della fede?
di Attilio Faoro





Lo scorso marzo, un evento sorprendente ha sconvolto la Francia. Era Mercoledì delle ceneri e le chiese erano gremite di giovani, accorsi in massa per ricevere questo sacramentale. Quando si pensava che la fede cattolica fosse in via di estinzione, ecco che sembra sorgere una generazione assetata di sacro e di verità che si ribella contro lo status quo.
In fuga dal vuoto morale e dall’ideologia woke, questi giovani rifiutano un cristianesimo insipido e compromesso. Non è stata la pastorale modernista a riportarli indietro, ma la sete di assoluto e la chiamata dei social network, dove gli influencer cattolici hanno riacceso la fiamma della fede autentica.
Un avvertimento alla Chiesa: i giovani non vogliono mezze misure! Richiedono il sacro, la maestà divina, il radicalismo evangelico. Questa messa del Mercoledì delle ceneri segna l’inizio di una riconquista cattolica?
Solo il tempo potrà dirlo, ma il vento della speranza sembra soffiare.
La Provvidenza ci offre talvolta segni brillanti, ammiccamenti celesti che contraddicono le previsioni delle menti tiepide e degli avversari dell’ordine cristiano. Il 5 marzo 2025, primo giorno della Santa Quaresima, la Francia ha vissuto uno di quegli eventi che segnano gli animi e sfidano le coscienze: un’ondata di giovani ha invaso le chiese per ricevere le ceneri.
Un soffio di speranza in un mondo disorientato
In tutto il Paese, le parrocchie erano gremite di fedeli. Nel silenzio solenne migliaia di giovani chinavano il capo per ascoltare quelle terribili parole: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai”. In alcune città, per mancanza di spazio, centinaia di fedeli sono rimasti all’aperto, testimoniando questo risveglio inaspettato. Chi avrebbe osato immaginare un simile cambiamento in una nazione che si diceva indifferente a Dio?
L’accreditata rivista cattolica Famille Chrétienne riporta meravigliata la grande affluenza di giovani. Fra le molte testimonianze raccolte in tutta la nazione ci sono anche quelle di giovani che hanno convinto i loro genitori a venire al rito.
Racconta Maxime, una liceale di Nizza che ha assistito alla sua prima Messa Mercoledì delle ceneri: “Quando siamo passati davanti alla chiesa, ho insistito con i miei genitori perché ci andassimo. È stato meraviglioso”.
Un certo Thibaud di Parigi esprime bene ciò che muove questi giovani: “Da tempo sentivo una profonda ricerca di trascendenza, un bisogno di riscoprire qualcosa di sacro e di rimetterlo al centro della mia vita”.
Sentiamo Kate, una ragazza di Tolone: “Spinta dalla chiamata di Dio ho vissuto una strana situa-
zione a scuola. Il mercoledì a pranzo, io e alcuni amici ci siamo ritrovati a digiunare insieme in mensa. Abbiamo parlato della Messa delle Ceneri e li ho portati lì”.
I creatori di opinione, chiusi nella loro bolla progressista, sostengono che i giovani sono irrimediabilmente conquistati dall’ateismo pratico e che cercano solo intrattenimento e comfort materiali. Ma eccola qui, assetata di trascendenza, innamorata della verità, desiderosa di riscoprire l'ordine e la bellezza del sacro.
Rifiuto del nichilismo moderno
Da cosa fugge questo giovane fervente che corre verso la Chiesa? Rifiuta il vuoto morale, la dittatura del relativismo, l’ideologia woke che corrompe i cuori e disorienta le menti. Di fronte al crollo dei valori, alla dissoluzione della famiglia e al declino di una società un tempo cristiana, questi giovani comprendono che solo la Santa Chiesa, pilastro e fondamento della Verità, può offrire loro solidi punti di riferimento.
È significativo che questa rinascita non provenga da strutture ecclesiastiche progressiste. Laddove i discorsi insipidi su una Chiesa “aperta e inclusiva” non riescono ad affascinare gli animi, sono i giovani stessi che, attraverso la loro sete di assoluto, riaccendono la fiamma della fede. Non vengono per una liturgia insipida, ma per lo splendore del sacro.
L’inaspettata influenza dei social network
Per un ironico colpo di scena, non fu la pastorale modernista bensì i social media a fungere da catalizzatore per questo risveglio spirituale. Su TikTok, Instagram e Telegram, gli influencer cattolici hanno condiviso la grandezza della Quaresima, il profondo significato della penitenza e la necessità di inginocchiarsi davanti a Dio. E i giovani hanno risposto alla chiamata.
Quale lezione per una gerarchia che troppo spesso è timida e ha paura di annunciare la verità con fermezza! Non è diluendo il messaggio che si attrae, ma affermando con coraggio la dottrina immutabile della Chiesa. Le anime non hanno bisogno di mezze misure: vogliono l'assoluto, o niente.
Un avvertimento per la Chiesa di Francia
Questo fenomeno sorprendente rappresenta una sfida per coloro che detengono le redini della Chiesa in Francia, e non solo. I giovani non vengono per Messe trasformate in spettacoli mondani, ma per una liturgia dignitosa, fedele alla tradizione e rispettosa della maestà divina.
Se l’episcopato persiste sulla via del compromesso, se persiste a imbavagliare i sacerdoti zelanti, a disprezzare le forme liturgiche collaudate da secoli, si avvia verso la propria rovina. Perché ora sta emergendo una generazione che non vuole un cristianesimo annacquato, ma una fede autentica, intransigente, militante.
L’inizio di una riconquista spirituale?
Questa ondata umana nella messa del Mercoledì delle Ceneri non deve restare un fuoco di paglia. È un invito alla riconquista, un appello alla Francia cattolica a risorgere e al cristianesimo a ritrovare il suo splendore perduto.
I giovani hanno fatto la loro scelta. Voltano le spalle a un mondo senza Dio e si rivolgono alla croce. La Chiesa sarà presente a questo risveglio provvidenziale? Oppure Dio dovrà suscitare altrove i veri pastori di cui la Francia ha bisogno?
In ogni caso, riteniamo che questa Quaresima di 2025 potrà restare l’atto fondante di una rinascita cattolica. u

Prelati con “antenne” e prelati senza “antenne”

Come abbiamo più volte commentato in queste pagine, sembra evidente che nella Chiesa stanno soffiando venti nuovi. Non sono ancora predominanti, ma si fanno sentire sempre più forti. Sembra che le continue fughe in avanti dei progressisti, chiaramente favorite da Roma, stia suscitando un’immensa crisi di rigetto. I segni dei tempi sono chiari.
Alcuni ecclesiastici sembrano cechi e sordi nei confronti di quello che si muove fra i fedeli e pensano soltanto all’implementazione, costi quel che costi, della propria agenda progressista. Direi che mancano loro le “antenne” per capire cosa sta succedendo. Oppure, lo capiscono benissimo ma sono così accecati dall’odio ideologico che vanno avanti lo stesso.
Questi segni dei tempi fra i giovani sono spesso malvisti da alcuni vescovi. Prendiamo l’esempio degli intoppi che il vescovo di Chartres vuole mettere al pellegrinaggio multitudinario al noto santuario mariano. Sarà che questi giovani hanno il torto di voler celebrare la Messa nell’uso antico?
Uno che non legge bene i segni dei tempi, anche se li vede, è mons. Vincent Jordy (a dx.), arcivescovo di Tours, presidente della Commis-
sione per la Catechesi e il Catecumenato dell’episcopato francese. Egli confessa che è sorpreso della quantità di giovani che vogliono partecipare alla celebrazione della Messa nel rito antico.
Lungi dal rallegrarlo, però, la cosa lo irrita e la liquida come un fenomeno di “ansietà” e di “ripiegamento su sé stessi”. Così ha pensato bene a mettere nuove restrizioni a questo diritto dei fedeli.
Altri prelati, invece, hanno “antenne” e si stanno già adeguando.
Il più grande esecutore delle restrizioni del motu proprio Traditiones Custodes (quello relativo alla Messa antica), il cardinale Arthur Roche, prefetto del Dicastero per il Culto (a sin.), ora dice che lui non ha niente in contro di coloro che vanno alla Messa secondo quel rito…
Dopo aver dichiarato che i tradizionalisti somigliano ai protestanti e che non si doveva celebrare più quella Messa perché la teologia della Chiesa era cambiata e, quindi, anche il rito doveva cambiare, oggi dice il contrario…
Sembra che in questo periodo di fine pontificato stia crescendo in alcuni prelati la voglia di “riposizionarsi”, cioè di fare un calcolo in vista delle nuove tendenze. u

Brasile: Rosario da Madrugada
Anche in Brasile si fa sentire la rinascita spirituale, specie fra i giovani.
Per anni dominato dalla Teologia della liberazione, che sostituisce il discorso religioso con aringhe politiche dal sapore socialista, il cattolicesimo in Brasile ha sofferto una vera emorragia di fedeli: quasi il 50%, la maggior parte andati verso le sette evangeliche. Lungi dal ravvedersi, però, i vescovi brasiliani hanno continuato imperterriti sulla via dell’autodemolizione: meglio morti che tornare alla Tradizione.
Adesso sembra che il vento stia cambiando. E, come in altri Paesi, la salvezza sembra venire dal basso. Un sintomo della rinascita spirituale cattolica è il Rosario da Madrugada (Rosario dell’aurora). L’iniziativa è nata un paio d’anni fa. Si tratta di pregare il Santo Rosario, sia individualmente sia in gruppo, alle 4AM, tutti collegati da vari social. Non ci sono sigle, ma sforzo congiunto di decine di realtà cattoliche. Alla recita del Rosario segue una solenne adorazione al Santissimo Sacramento.
Un momento principale del Rosario da Madrugada è la Quaresima, durante la quale si prega la coroncina per quaranta giorni di seguito, sempre allo stesso orario. Fra una decina a l’altra, predicatori in rigoroso abito religioso, offrono meditazioni richiamando alla penitenza e alla conversione. Il successo è andato al di là di ogni aspettativa, con picchi che hanno sfiorato i quattro milioni di partecipanti.

Una volta l’anno, si organizza anche l’evento Desperta Brasil (Sveglia Brasile), che raduna centinaia di migliaia di persone per un’interna giornata di preghiera e meditazione.
Il carattere chiaramente conservatore di questa reazione ha attirato le ire della sinistra. “Fascista”, “misogino”, “negazionista”, “estremista”, “bolsonarista”… Ecco alcuni epiteti con cui è insultato Fra Gilson, fondatore dei Carmelitani dello Spirito Santo, una figura centrale in questo movimento.
Il movimento si è esteso anche al Portogallo, da dove si trasmette, alle 4PM d’Europa, il Santo Rosario. u
Sopra, Fra Gilson celebra un’Adorazione al Santissimo dopo un Rosario da Madrugada
A dx., locandina di propaganda per il Santo Rosario

La storia va sempre verso sinistra?
Il più insistente e nocivo degli slogans rivoluzionari consiste nell’affermare che nella nostra epoca la Contro-Rivoluzione non può avere successo perché è contraria allo spirito dei tempi. La storia, si dice, non torna indietro.
La religione cattolica, secondo questo strano principio, non dovrebbe esistere. Infatti non si può negare che il Vangelo fosse radicalmente contrario all’ambiente in cui Nostro Signore Gesù Cristo e gli apostoli lo predicavano. E non dovrebbe esistere neppure la Spagna Cattolica, romano-germanica. Infatti niente assomiglia di più a una risurrezione, e quindi, in certo modo, a un ritorno al passato, della piena ricostituzione della grandezza cristiana della Spagna, alla fine degli otto secoli che vanno da Covadonga alla caduta di Granada. Il Rinascimento, così caro ai rivoluzionari, è stato, esso pure, sotto vari aspetti per lo meno, il ritorno a un naturalismo culturale e artistico fossilizzato da più di mille anni.
La storia comporta dunque corsi e ricorsi, sia nelle vie del bene, sia nelle vie del male.
D’altronde, quando si vede che la Rivoluzione considera qualcosa come coerente con lo spirito dei tempi, è necessario essere circospetti. Infatti non di rado si tratta di vecchiume dei tempi pagani, che essa vuole ripristinare.
Che cosa hanno di nuovo, per esempio, il divorzio o il nudismo, la tirannia o la demagogia, così generalizzati nel mondo antico?
Perché sarà moderno il divorzista e anacronistico il difensore della indissolubilità?
Il concetto di “moderno” per la Rivoluzione si sintetizza nel modo seguente: è moderno tutto quanto dà libero corso all’orgoglio e all'ugualitarismo, come pure alla sete dei piaceri e al liberalismo. u
(Plinio Corrêa de Oliveira, “Rivoluzione e Contro-Rivoluzione”)
La predilezione di un numero crescente di giovani per la Messa in rito antico sopreende e spiazza non poche figure del vecchio progressismo


Restauro di Notre-Dame, prefigurazione del Regno di Maria


L’incendio della cattedrale di Notre-Dame di Parigi, simbolo della Francia e della Cristianità, ha scosso la coscienza dell’Europa e del mondo, a punto di sollevare un movimento di entusiasmo che ha portato al suo completo restauro in tempi record. Non possiamo scorgervi una parabola per l’anima del Vecchio continente?

“Finestra che apre verso il cielo empireo, fonte inesauribile di meraviglia, scala che conduce al paradiso, bellezza della nostra natura terrena che riflette la bellezza dell’eternità”
Lo scorso 8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione, la cattedrale di Notre-Dame è stata nuovamente consacrata dopo i restauri, e ha quindi riaperto le porte ai fedeli. Cinquanta capi di Stato e di Governo, oltre a circa duemila ospiti speciali, hanno partecipato alla cerimonia organizzata dal governo francese.
Iniziata nel 1163, Notre Dame appare nel 2025 rinata con il vigore della sua prima giovinezza. Come una regina che ha portato per quasi mille anni un prezioso mantello carico di storia e che, dopo il devastante incendio del 2019, ha ricevuto da Dio un nuovo mantello con ornamenti ancor più abbaglianti, nella più fedele continuità.
Effetto spirituale mondiale
Il mondo è rimasto stupito dal restauro di questo simbolo della Francia cattolica, figlia primogenita della Chiesa. L’evento fa ricordare un’antica leggenda marinara della Bretagna, che racconta di una magnifica cattedrale ormai sommersa dalle acque. I vecchi dicono che, in certi giorni, il vento
porta ancora i suoni delle campane della cathédrale engloutie (cattedrale sommersa).
Lo scrittore apostata Ernest Renan raccontava, in una nota autobiografica, che nella sua anima emergeva talvolta una “cathédrale engloutie”, alludendo al risveglio dell’innocenza primaverile dei primi anni del suo cattolicesimo. Qualcosa di simile sembra essere successo ai nostri giorni.
Notre-Dame de Paris è rinata dalle fiamme nel suo massimo splendore, come quella mitica cattedrale, ma in un modo molto concreto. Si tratta non solo di una rinascita architettonica ma, soprattutto, di una rinascita nel profondo di innumerevoli anime, anche non cristiane. Non possiamo non vedervi una metafora della Chiesa restaurata e purificata dal “fumo di Satana” e dallo sporco depositato da secoli di Rivoluzione anticristiana.
Il suo restauro in tempi record, di una qualità artistica senza pari, finanziato da donazioni private molto generose, ha lasciato il mondo sbalordito, e anche un po’ vergognato per aver trattato così male nel corso della storia questo capolavoro.
Lo storico dell’arte Paul Amblard ha tentato di descrivere la bellezza di Notre Dame: “Finestra che si apre verso il cielo empireo, fonte inesauribile di meraviglia, scala che conduce al paradiso, bellezza della nostra natura terrena che riflette la bellezza dell’eternità. Madre che parla profondamente ai nostri cuori” (1).
Dall’altra sponda del mondo, in Cile, un conduttore televisivo ha scritto una “Lettera a NotreDame”: “Niente può piegarti, né le rivoluzioni né l’indifferenza, né la nostra era relativista e secolarizzata che affonda mentre si avvicina un nuovo Medioevo, in cui torneremo a costruire cattedrali, pregheremo e canteremo al Cielo, perché vaghiamo nell’oscurità come orfani senza padre né madre. Ma Tu, Notre Dame di Parigi, apri ancora una volta le tue braccia, dicendoci: ‘Venite ancora una volta a Me, figli perduti, per trovare la luce in Me’” (2).
Cattedrale flagellata come Cristo nella Passione

Secoli di rivoluzioni hanno maltrattato la cattedrale in ogni modo, riducendola alla fine a mero luogo turistico. Se avesse avuto voce, Notre Dame avrebbe pianto come Giobbe nelle sue lamentazioni; avrebbe lanciato grida di dolore per la crisi che ha consumato la Santa Chiesa Cattolica in questi ultimi decenni, alimentata da un odio che partecipa a quell’odio che portò Nostro Signore sul Calvario.
Il direttore della serie Figaro Hors-Série, Michel De Jaeghere, ha registrato la sorprendente contraddizione: l’incendio, che do-
I fedeli pregano davanti alla cattedrale in fiamme: un sussulto di entusiasmo soprattutto fra i giovani
veva essere il colpo di grazia alla venerabile struttura gotica, “ce l’ha fatta amare come non mai [...] ha avuto un impatto che ha sorpreso anche i suoi ammiratori più ferventi. L’emozione sembrava dominare il mondo intero” (3). L’effetto della sua tragedia è stato tale che un articolo pubblicato negli Emirati Arabi Uniti è arrivato addirittura a riconoscere: “Notre-Dame rappresenta una realtà più profonda che va oltre la confusione delle nostre vite” (4).

“L’incendio ce l’ha fatta amare come non mai [...] ha avuto un impatto che ha sorpreso anche i suoi ammiratori più ferventi. L’emozione sembrava dominare il mondo intero”
Michel
de Jaeghere
Lo stesso De Jaeghere elenca gli atroci crimini contro Notre-Dame. Delitti storici, religiosi e temporali, commessi con la più vile indifferenza da parte di coloro che avrebbero dovuto custodirla. I governi di Luigi XV e Luigi XVI approvarono il progetto di demolizione della cattedrale per sostituirla, nella migliore delle ipotesi, con un tempio in stile greco.
La Rivoluzione — che finì ironicamente per bloccare il progetto dei re — distrusse cappelle e statue della basilica, arrivando poi a intronizzare sull’altare principale la “Dea Ragione”, una donnaccia seminuda. Nell’Ottocento, il sindaco Haussmann distrusse la Parigi medievale (solo nell’Île-de-la-Cité furono demolite sedici chiese). Ancora oggi, osserva De Jaeghere, in Francia e nel mondo, si fa di tutto per cancellare le nostre radici cristiane e rinnegare la morale della Chiesa.
La Francia è oggi profondamente scristianizzata. Solo il 4,5% dei fedeli partecipa alle cerimonie domenicali. Meno del 25% dei neonati viene battezzato, mentre le strade si riempiono di seguaci dell’Islam. Notre-Dame, simbolo della Francia cristiana, era diventata il santuario di una religione abbandonata, tollerato solo per il flusso dei tredici milioni di turisti che la visitavano ogni anno.
La Francia ufficiale si comportava come se il suo passato cattolico non fosse più valido e il culto dei diritti umani fosse l’ultima parola. L’Unione Europea aveva garantito alla Francia che si sarebbe presa cura del suo stomaco, soddisfacendo i suoi desideri e i suoi istinti elementari, purché non voltasse lo sguardo verso il suo glorioso passato.
Cambiamento misterioso
Tuttavia, l’incendio di Notre-Dame è stata l’occasione di una profonda inversione di tendenza. Come in una specie di Giudizio privato, il fuoco ha fatto apparire davanti alla Francia e al mondo, in un colpo d’occhio, l’immensità dell’abisso rivoluzionario in cui era precipitata, e la durezza di cuore di secoli di indifferenza. La visione della basilica che

bruciava, scrive De Jaeghere, “ci ha improvvisamente inorridito”
I suoi resti fumavano ancora quando, dal profondo dell’anima francese, si è sprigionata una “passione” per la resurrezione della cattedrale. Scrive il direttore di Figaro Hors Série: “L’indifferenza è stata sostituita da un amorevole rispetto per il passato, le donazioni di denaro sono piovute, senza che nessuno pretendesse un centesimo dallo Stato”. Il presidente Macron, nel suo discorso del 7 dicembre, ha parlato di 340.000 donatori volontari provenienti da 150 Paesi, tra cui spiccano gli Stati Uniti.
Il presidente francese, continuatore dei crimini storici sopra menzionati, ha confessato che il mondo ha riconosciuto che Notre-Dame, il prodigio architettonico della Santa Chiesa, è l’anima della Francia e della civiltà cristiana. “Lei è più grande di noi”, ha concluso. Si applicava il detto del celebre e controverso scrittore Antoine de Saint-Exupéry: “Chiunque abbia deciso di costruire una cattedrale è già un vincitore”. E la Francia cattolica ha cominciato a vincere.
Crescente fascino per il Medioevo
Nella stessa occasione, Macron ha affermato che nel sorprendente restauro della basilica, migliaia di artisti e artigiani “hanno stabilito una continuità con una catena che li ha preceduti nel tempo” (5).

San Pio X e la conversione della Francia
“Verrà un giorno, e speriamo non molto lontano, in cui la Francia, come Saulo sulla via di Damasco, sarà circonfusa da una luce dall’alto, e udrà una voce, che le ripeterà: ‘O figlia, perché mi perseguiti?’
“E rispondendo essa: ‘Chi sei tu, o Signore?’, la voce soggiungerà: ‘Io sono Gesù, che tu perseguiti; dura cosa è per te il ricalcitrare contro il pungolo, perché colla tua ostinazione rovini te stessa’.
“Ed essa tremante ed attonita dirà: ‘Signore, che vuoi ch’io faccia’?
“Ed Egli: ‘Levati su, lavati dalle brutture che ti hanno deturpata, risveglia nel seno gli assopiti sentimenti e i patti della nostra alleanza e va, figlia primogenita della Chiesa, nazione predestinata, vaso di elezione, a portare, come per il passato, il mio nome dinanzi a tutti i popoli e ai re della terra’”.
(S.S. Papa Pio X - Allocuzione Concistoriale Vi Ringrazio, del 29 novembre 1911, in Acta Apostolicae Sedis, Typis Poliglottis Vaticanis, Roma, 1911, p. 657)
E li ha ringraziati per aver insegnato ai loro contemporanei ad alzare lo sguardo verso il Cielo, verso cui punta la guglia di Notre-Dame, per “riscoprire la nostra cattedrale interiore”. Il presidente — o l’autore del suo discorso — alludeva alla leggenda bretone della “cathédrale engloutie”, sopra accennata.
Le campane della “cathédrale engloutie” sembrano essere state udite da innumerevoli anime. “In molti è emerso un fascino e un interesse senza fine per il Medioevo”, ha scrito Guillermo Altares sul quotidiano socialista spagnolo El País (6).
Lo stesso presidente laico ha glorificato il Medioevo nella cerimonia di riconsacrazione, parlando di san Luigi IX, che vi portò la Corona di spine; del voto di Luigi XIII di onorare la Vergine Maria se avesse avuto un figlio; della conversione del poeta Paul Claudel, “che ritrovò la speranza ai piedi di un pilastro, in una notte di dicembre del 1886”; dei giovani che pregavano ai piedi di Notre-Dame mentre divampava l’incendio; della “provvidenza” che ha protetto la Madonna, la cui statua è rimasta intatta a pochi centimetri dal mucchio di pietre e brace ardenti cadute dal soffitto.
Vittoria della Madonna
Sì, l’Immacolata è stata la grande vincitrice. “Macron, l’uomo che ha consacrato il diritto all’aborto nella Costituzione francese, si rende conto della verità di queste parole?” — ha chiesto la giornalista Jeanne Smits.
La cattedrale, la cui costruzione aveva richiesto due secoli, è stata ritrasformata in un gioiello in poco più di cinque anni, utilizzando tecnologia medievale. “Le cattedrali gotiche sono molto diverse sotto ogni aspetto dalle moderne chiese garage”, ha scritto il prof. Manuel Alejandro Rodríguez de la Peña, docente di Storia medievale a Madrid, augurandosi che questa sorta di resurrezione faccia comprendere che forse l’ordine medievale può fungere da modello per un mondo che sta crollando catastroficamente (7).
Al falegname Édouard Cortès entusiasmava l’idea che degli uomini, armati di asce medievali, ricostruissero un tetto del XII secolo, e si è offerto volontario per il “folle progetto” insieme a una manciata
Statua della Madonna rimasta intatta in mezzo alle rovine: un segno di predilezione e una promessa “Io non ti abbandonerò!”


di maestri falegnami provenienti da luoghi lontani come gli Stati Uniti e l’Argentina. Durante i lavori, parafrasando il canto della Légion Étrangère “Legio Patria Nostra”, questi operai salmodiavano “Maria Patria Nostra”. Interrogati in merito da un ispettore del lavoro, hanno risposto: “Facciamo questo per la Madonna e solo per Lei” (8).
“Il vero miracolo di Notre-Dame – ha dichiarato Cortès – è stato che il fuoco ha illuminato la nostra cecità, ha scongelato la nostra memoria e ci ha toccato con un fuoco sacro”.
A sua volta, l’architetto capo del restauro, Philippe Villeneuve, ha rivelato: “Ho una devozione particolare per la Vergine Maria. Non ho mai smesso di sentire il suo sostegno [...]. Credo che questo progetto non sarebbe stato possibile altrimenti” (9).
Cambiamento nel mondo
Questi falegnami non sono stati gli unici a reagire in questo modo. Questo sussulto morale si è verificato anche in altre nazioni, come il Cile, dove il giornalista sopra menzionato ha affermato che il restauro di Notre-Dame rappresentava la campana a morto per un’epoca che ha negato spirito e bellezza.
Il giornalista cileno ha ricordato che le chiese oggi sono sempre più abbandonate, ma quando il tetto di Notre-Dame ha iniziato a bruciare, piccole folle sono scese in piazza, fermandosi agli angoli delle strade per piangere, pregare e chiedere perdono per i crimini storici che avevano comportato una punizione così formidabile.
“Il vero miracolo di NotreDame è stato che il fuoco ha illuminato la nostra cecità, ha scongelato la nostra memoria e ci ha toccato con un fuoco sacro”
Operai sul tetto di Notre Dame
Anche se abbiamo abbandonato e rinnegato la Madonna più di tre volte, come Pietro fece con il suo Maestro, ha proseguito il giornalista, una madre come Lei raccoglie i suoi figli dalla strada, accoglie coloro che sono stati sedotti dalla modernità, abbagliati da una luce che non è luce, da un potere che non è potere, perché tornino ad accarezzare i vecchi pilastri più saldi del mondo.
Notre-Dame emoziona e richiama ciascuno di noi a costruire un’anima come la sua facciata: grande, logica, forte, seria, materna, misericordiosa, stabile.
La restaurazione di Notre-Dame risveglia nella nostra anima un mondo di ricchezze sommerso dalla Rivoluzione gnostica ed egualitaria. Essa porta con sé tutte le grazie della storia della civiltà cristiana e manifesta una tale potenza da rendere evidente l’avvento di un’era storica consacrata alla Madonna, dopo che ogni forma di male sarà stata scacciata, come Ella stessa ha promesso a Fatima. Sarà il Regno di Maria. u
1.https://www.valeursactuelles.com/clubvaleurs/lincorrect/notre-dame-de-paris-une-lumiere-dans-la-nuit-de-lhumanite
2.https://www.pauta.cl/actualidad/2024/12/01/carta-de-cristian-warnken-a-la-iglesia-notre-dame-de-paris.html
3.https://www.lefigaro.fr/culture/patrimoine/michel-de-jaeghere-notre-dame-ou-l-appel-de-la-lumiere-20241207
4.https://www.khaleejtimes.com/opinion/notre-dame-represents-a-deeper-reality-beyond-the-blur-of-ourlives?_refresh=true
5.https://www.opinion-internationale.com/2024/11/30/emmanuel-macron-vous-avez-rebati-notre-dame-en-cinq-ans-lafrance-vous-en-est-infiniment-reconnaissante_130069.html
6.https://elpais.com/cultura/2024-12-06/notre-dame-la-catedral-que-se-invento-la-edad-media.html
7.https://www.larazon.es/internacional/luz-edad-media-resurreccion-notredame_202412076754c56e1258380001f740f8.html
8. https://www.facebook.com/groups/1328372457208321/posts/8944 178072294350/
9.https://www.infocatolica.com/?t=noticia&cod=51150
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Come è decaduta la Cristianità medievale Una lettura socio-spirituale
di Plinio Corrêa de Oliveira


Il passo decisivo per smuovere una realtà molto stabile è il primo. Se riesco a spostare una montagna di dieci centimetri, è chiaro che riuscirei a spingerla anche di qualche metro. Gli storici si chiedono come sia stato possibile scalzare quella grande realtà che era la Cristianità medievale, innescando quel processo di decadenza che l’ha portata fin quasi alla sua scomparsa. Offriamo alcuni brani di una riunione di Plinio Corrêa de Oliveira con la Commissione di Studi Americani, il 31 luglio 1989. Titolo e sottotitoli sono redazionali.

In una società organica, il fondamento del suo dinamismo è l’amore metafisico per la perfezione, in fondo al quale vi è l’amore di Dio. Questo suppone un desiderio continuo di perfezione, con base morale e religiosa. Vorrei descrivere psicologicamente questo desiderio di perfezione, salvo poi applicarlo alla società, concretamente a quella medievale, per capire come è decaduta.
Gaudio spirituale e gaudio sensuale
Di fronte a una cosa perfetta, l’uomo dovrebbe provare un gaudio intenso. È un gaudio disinteressato, cioè un gaudio per la perfezione in sé stessa, prima ancora di ottenerne qualche vantaggio personale. Qual è la natura di questo gaudio?
L’essere umano sente la propria debolezza, sa quanto è incompleto, prova un senso di contingenza. Dal bisogno di completarsi nasce un desiderio di pienezza, un desiderio di perfezione nella contemplazione di cose elevate, dove egli si possa riposare e in qualche modo completare. Non è un gaudio superficiale, anzi. Proviene dal profondo del suo essere, cioè dall’ordine delle cose. Di fronte a una cosa superiore, egli sente un gaudio metafisico che, in fondo, è un desiderio di assoluto. Il gaudio della vita consiste nella ricerca dell’assoluto.
Ecco perché saremo totalmente felici nel Cielo, quando la visione beatifica ci darà una visione diretta di Dio, che soddisferà ogni nostro bisogno.
Per esempio, una persona casta sente una tranquillità e un gaudio che proviene dalla sua natura or-
In una società organica, il fondamento del suo dinamismo è l’amore metafisico per la perfezione, in fondo al quale vi è l’amore di Dio Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
dinata, dalla sua integrazione nell’ordine delle cose, dalla sua tendenza verso la Purezza sostanziale, che è Dio.
L’opposto è il gaudio lascivio e sensuale, che è piuttosto una fruizione fine a sé stessa. Questo gaudio non è ordinato all’essere, non è un gaudio spirituale che eleva, ma un godimento dei sensi che abbassa. È un gaudio interessato.
Sono due impostazioni spirituali diametralmente opposte. E i due poli di attrazione sono Dio e il demonio, ciascuno dei quali invita l’uomo verso orizzonti opposti.
La Rivoluzione lavora sempre per svegliare in noi il gaudio per il mero gaudio. Al contrario, la Chiesa cattolica e la grazia lavorano per svegliare in noi la tendenza all’Assoluto.
Non è possibile cedere oltre un certo limite al gaudio per il gaudio senza scivolare giù verso il vizio. In altre parole, dobbiamo restare sempre al di fuori di ogni tentazione di questo genere. Cedere anche in un punto è come mettere il dito in un ingranaggio: ne saremo ipso facto inghiottiti.
Una volta ho letto in un libro di vita spirituale una metafora molto vera. Diceva che l’uomo casto è come se fosse in piedi sopra una grande palla. Finché non si muove, può restare in piedi con relativa comodità. Se, invece, comincia a oscillare di qua e di là, può facilmente cadere giù. La perseveranza dell’uomo casto dipende dalla sua posizione fiera e sfidante, dalla sua totale intransigenza di fronte al male. Ma, in piedi sopra questa palla, egli prova un gaudio che nessun peccato può offrire.

Il primo sintomo della decadenza è la vertigine delle altitudini. Più si sale più aumenta la possibilità di provare vertigine, e questo è vero nella vita spirituale quanto nell’alpinismo
Il peccato del “basta”
Per causa del peccato originale, nell’uomo esistono in realtà due uomini. Uno mosso da questo desiderio di perfezione che, quanto più sale sulla via della perfezione, più la anela e più veloce cammina. La perfezione è come una calamita: quanto più mi ci avvicino, più forte è la sua attrazione.
Purtroppo, per causa del peccato originale, rimane sempre nell’uomo, in quelle che potrei chiamare le sue caverne più interne, una sorta di gemito che lo stringe profondamente. Se, da una parte, la tendenza verso la perfezione produce un gaudio indicibile, dall’altra comporta anche una croce. L’uomo deve continuamente soffocare questo gemito. È come se qualcosa in lui rimanesse eternamente insoddisfatta perché non può provare un gaudio sensuale.
Il rimedio, ovviamente, non consiste in cedere un po’ al male per cercare di zittire questo gemito, cioè “cedere per non perdere”. Il rimedio consiste nel mantenere la posizione eretta, ferma, perfetta. E ciò si ottiene solo tendendo verso la perfezione sempre di più, sempre di più, sempre di più.
Nel momento in cui l’uomo si stanca di questa tendenza e pensa di aver raggiunto un livello accettabile di perfezione, nel quale si può fermare anche per un attimo senza andare oltre, in quel momento egli apre le caverne più profonde dell’anima e lascia scappare la belva.
Può darsi che, in questo primo momento, non vi sia nemmeno piena complicità con la belva, ma sì l’imprudenza colpevole di credere che si possa giocare con essa.
Ma il vero problema sta nel dire “basta”, nel credere che si può permettere un gaudio, magari nemmeno direttamente peccaminoso, ma non orientato all’Assoluto, un gaudio secondario. E in ciò entra il gaudio per il mero gaudio.
Da dove nasce questo “basta”?
Il primo sintomo è la vertigine delle altitudini. Più si sale – e questo è vero nella vita spirituale quanto nell’alpinismo – più aumenta la possibilità di

provare vertigine. La soluzione è guardare avanti e in alto. Se la persona si ferma a considerare la propria situazione, può essere assalita da vertigine: “Ma in quale situazione mi sono messo?”.
Questo è molto frequente nelle vocazioni alla perfezione, per esempio negli ordini religiosi. Quando una persona imbocca la via della santità, costruisce la sua anima nel desiderio di avvicinarsi sempre di più a Dio. Deve sentire la sua propria perfezione spirituale e tendere verso l’alto quasi a voler baciare i piedi di Dio.
A un certo punto, però, può sorgere la tentazione di guardare non in alto ma in basso verso il mondo, e quindi di domandarsi: chi sono io secondo i criteri mondani? E la risposta sarà: nessuno! Donde la tentazione: non avrei sbagliato strada? La sua anima ha senso solo se vista dall’alto. Vista dal basso prova un vuoto.
Mentre alcune persone proveranno un inizio di ripensamento sulla propria vita che le può portare all’apostasia, la persona retta dirà: prima di tutto, ho costruito una bella anima! Un’anima che potrò presentare con orgoglio a Dio Nostro Signore al momento della mia morte.

Un’osservazione: la gerarchia delle anime-bordone non necessariamente corrisponde alla gerarchia sociale. È chiaro che le élites hanno il compito naturale di essere anime-bordone. Ma dietro ci può essere un intreccio di anime diverso, che solo Dio conosce e che forma propriamente la vita organica della società. Per esempio, può darsi che la pietà di una cuoca ispiri la Regina, incidendo in questo modo sulla vita spirituale di tutta la famiglia reale e, quindi, sul reame.
D’altra parte, l’azione delle anime-bordone dovrebbe trovare eco nelle campane inferiori. Bisogna che tutto il carillon accetti il suono proveniente dal bordone e vi aderisca con entusiasmo. Non solo aderisca ma applauda. Chi riceve un impulso buono deve non solo accettarlo, ma deve anche lodarlo. Il fatto di non lodarlo, di non sentire la gioia di ricevere questo impulso, compromette la sua ricezione. Quando, nonostante tutto l’impegno del bordone, il carillon non suona a volata, c’è qualcosa che si è già incrinato al suo interno.
L’anima-bordone, però, deve chiedere sempre di più, di più, di più. Deve tendere sempre verso la perfezione secondo quando ho spiegato all’inizio di questa riunione. Quando un’anima-bordone si ferma sulla salita verso la perfezione, tutta la società soffre una battuta d’arresto.
La decadenza del Medioevo
La sanità di una società si misura non per la sua ricchezza materiale, ma per il grado in cui le animebordone stanno compiendo la propria missione, e per il grado in cui il resto del carillon risponde. Questo apre la via per uno studio della storia molto bello.
Per esempio, quali furono le anime-bordone che fecero possibile il fiorire della Cristianità Medievale? Quali le anime-bordone attorno alle quali prese forma lo spirito di cavalleria? Come fu la fedeltà del popolo a queste anime-bordone?
Dall’altra parte, quali furono le anime-bordone che, infedeli alla propria missione, non diedero il suono dovuto, innescando quindi un processo che portò il Medioevo al crollo? Quali furono le anime popolari che si rifiutarono di accettare il suono delle anime-bordone buone, lasciando quindi che questo si perdesse senza produrre frutti, rompendo così il dinamismo della società verso la perfezione?
Qui entriamo in un terreno tenebroso. È la storia della defezione delle anime-bordone, la cui apostasia trascinò la Cristianità nel baratro.
Per spiegare il repentino crollo della Cristianità medievale, io ho sempre pensato all’ipotesi – si tratta solo di un’ipotesi – che vi sia stata un’anima molto, ma molto eletta, chiamata a portare il Medioevo verso perfezioni mai prima raggiunte, ma che a un certo punto si è fermata sulla salita, rifiutandosi di andare avanti e provocando, di conseguenza, l’inizio della voglia di qualcosa di opposto. Ho sempre pensato alla possibilità che, alla radice del crollo della Cristianità, ci sia un “peccato immenso” di questo tipo. u

simo». L’ideologia dei diritti umani e i suoi eccessi ci hanno ormai vaccinati contro il miraggio della cosiddetta modernità e la sua “marcia irreversibile” verso una maggiore uguaglianza, libertà e fraternità.
Uguaglianza, sì, ma un’uguaglianza essenziale che non elimina le disuguaglianze accidentali. Libertà, sì, ma non per il male. Fratellanza, sì, ma quella che nasce dalla grandezza della nostra condizione comune di figli di Dio ed eredi del Cielo.
Avevo vent’anni quando è crollato il Muro di Berlino e si è palesato agli occhi del mondo il colossale fallimento del socialismo reale, che non era altro che l’applicazione più radicale delle chimere della Rivoluzione francese. A tanti il merito di aver difeso i principi imperituri dell’ordine naturale e cristiano, compresa la proprietà privata e la libera iniziativa, nel corso di quegli interminabili decenni.
Ciò era tanto più lodevole perché il nemico si era infiltrato nel cuore stesso della Chiesa, in nome di una falsa concezione di carità e di giustizia sociale, secondo la quale le disuguaglianze farebbero soffrire le classi meno privilegiate, e andrebbero quindi eliminate affinché si realizzi una società più semplice e più egualitaria.
Per questi “cristiani di sinistra” il nemico intrinsecamente perverso era il capitalismo e non il socialismo. È un grande merito l’aver resistito per decenni a questa pressione della quinta colonna infiltrata nella Chiesa, mantenendo alto lo stendardo della vera dottrina sociale. Fino a che il cardinale Joseph Ratzinger pubblicò la famosa dichiarazione Libertatis nuntius, nella quale affermò una volta per tutte che il comunismo era “la vergogna del XX secolo”.
Purtroppo, vediamo qua e là nostalgici del socialismo, dai capelli grigi. Vediamo anche qualche prete, e perfino vescovo, in jeans e infradito, che denunciano le devastazioni della società consumista e rimpiangono i bei vecchi tempi dei “preti operai” e degli scioperi insieme ai sindacati di sinistra.
Questi ritardatari della Rivoluzione non sarebbero che nostalgici innocui, se non fossero le tossine rivoluzionarie che ancora circolano nella società, spingendola sempre più sulla china dell’autodistruzione.
I
principi
fondamentali della civiltà
Ecco perché dobbiamo ritornare ai principi fondamentali della civiltà cristiana, e della civiltà tout court. Questi principi sono condensati nell’acronimo dell’associazione che rappresento: Tradizione Famiglia Proprietà. Di questi tre principi, quello che sol-

leva più obiezioni è ancora la proprietà privata. E questo vale in particolar modo per i cristiani di sinistra.
Quando si parla di proprietà, subito scattano slogan tipo “i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. La tragedia di ottant’anni di comunismo e cento milioni di morti non è bastata per disintossicare molti dei nostri fratelli cattolici dal sogno socialista.
Serve una nuova pedagogia, e soprattutto una nuova pastorale, per spiegare la dottrina della proprietà privata, la sua funzione sociale e i suoi rapporti con la famiglia e la tradizione, come principi fondamentali di ogni società ben organizzata.
Vorrei menzionare a questo proposito alcune verità che, in tempi normali, sarebbero considerate lapalissiane, ma che oggi bisogna riproporre. Chi avrebbe mai immaginato cinquant’anni fa che sarebbe stato necessario giustificare il diritto alla vita del nascituro, o che il matrimonio deve essere tra un uomo e una donna?
Civiltà cristiana
Ebbene, oggi dobbiamo dimostrare che la proprietà, la famiglia e la tradizione sono la base naturale della società.
La proprietà
Per una catechesi sul diritto di proprietà privata bisognerebbe tornare alle grandi encicliche sociali dei Papi, e a quanto scrisse il professor Plinio Corrêa de Oliveira sulla necessità della proprietà privata per una migliore conoscenza della Legge di Dio – e quindi del Divino Autore –, per una migliore pratica della virtù della Giustizia, nonché per avere condizioni migliori per la santificazione delle anime.
I dieci Comandamenti sono lo specchio della santità divina. Rinunciare all’insegnamento dei due precetti del Decalogo che sanciscono la proprietà privata significherebbe presentare un’immagine sfigurata della Legge di Dio, e di conseguenza dello stesso Dio.
Inoltre, la nozione di “mio” e “tuo” è la base del concetto di giustizia, che, in materia economica, conduce direttamente e inevitabilmente al principio della proprietà privata. Ne consegue che, senza la conoscenza esatta della legittimità e dell’estensione –nonché dei limiti – della proprietà privata, diventa impossibile la conoscenza e la pratica della giustizia e del vero amore.
Infine, una sana formazione dell’intelligenza e della volontà favorisce la santificazione e si identifica addirittura con essa. Ora, una società in cui la proprietà privata non esiste è profondamente contraria al sano sviluppo di queste facoltà dell’anima e, quindi, alla santificazione.
In altre parole, il comunismo è incompatibile con la santificazione degli uomini.
Pierre de Lauzun dimostra che il regime di proprietà collettiva comporta quattro conseguenze: “1. I migliori vengono sfruttati dagli altri; 2. Sorgono costantemente discussioni; 3. I compiti meno attraenti non vengono più svolti; 4. I beni sono trascurati. Quindi, la situazione diventa particolarmente immorale”
Attraverso il suo ingegno, l’uomo tende a procurarsi tutto ciò che è necessario al suo bene. Da ciò gli viene il diritto di cercare le cose di cui ha bisogno e di prenderne possesso quando esse non hanno alcun proprietario. Da ciò nasce anche il diritto di provvedere ai propri bisogni in modo stabile, per affrontare il futuro, appropriandosi della terra e coltivandola con strumenti di lavoro da lui stesso prodotti. In breve, è perché ha un’anima che l’uomo tende inconfutabilmente a possedere dei beni.
La proprietà privata è quindi il modo naturale in cui l’uomo può essere e sentirsi sicuro del suo futuro e padrone di sé stesso. Abolire la proprietà privata, lasciando l’individuo inerte in mano allo Stato, significa privare la sua mente di alcune condizioni fondamentali al suo normale funzionamento. Così si distorce gravemente l’anima. Il che, per esempio, spiega la tristezza che caratterizzava le popolazioni sottoposte al comunismo.
Senza cadere nell’utopia di una società in cui ogni individuo è proprietario, e quindi non ci sono più dipendenti, si deve affermare che la distribuzione la più ampia possibile della proprietà e della libera iniziativa promuove il bene spirituale e culturale degli individui, delle famiglie e della società. Al contrario, la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, con la conseguente proletarizzazione degli individui, crea condizioni altamente sfavorevoli alla santificazione e alla formazione culturale dei popoli, delle famiglie e degli individui.

È vero che i documenti papali hanno denunciato con veemenza gli abusi che si sono verificati in materia di proprietà privata. Tuttavia, l’abuso condannabile e dan-
Il comunismo è incompatibile con la santificazione degli uomini
A sin., il bagno di una “komunalka” di epoca sovietica a Mosca
L’eredità spirituale, che deriva da fattori genetici e dall’atmosfera culturale di una famiglia, fissa nello stesso lignaggio, nobile o plebeo che sia, alcuni tratti della fisionomia e della psicologia che costituiscono il legame tra le generazioni
noso che gli uomini fanno di un’istituzione, non significa assolutamente che questa istituzione non sia intrinsecamente eccellente.
La famiglia
La famiglia è il principale corpo intermediario fra l’individuo e lo Stato. Diciamo una parola sulle relazioni intime, sulle affinità profonde, sulle vere simbiosi che esistono tra proprietà privata e famiglia.
Proprio come un uomo ha il diritto di possedere proprietà, ha il diritto di sposarsi e creare una famiglia. Da questo diritto nascono per i genitori alcuni doveri. In primo luogo, l’obbligo di sostenere le spese di manutenzione della casa e l’educazione dei figli. Pertanto, i coniugi e i figli hanno un diritto naturale a un reddito e al patrimonio accumulato. Questo diritto è anteriore a eventuali diritti della società.

rentela (per questo c’era la parola gens, derivata dal greco génos), ma il significato di “proprietà”. Familia originariamente significava campo, casa, denaro, gli schiavi, insomma il patrimonio familiare che passava di generazione in generazione.
Considerati in funzione della famiglia, gli argomenti a favore della proprietà privata escono enormemente rafforzati, perché per un capofamiglia lavorare, risparmiare e prosperare non è più un diritto ma un dovere.
Proprietà e famiglia hanno in ultima analisi la stessa radice: la natura umana. È la sua natura spirituale che porta l’uomo a stabilire legami più diretti e stretti con certi oggetti e certe persone. Diventare proprietario di una casa, avere una famiglia, sono situazioni che gli danno una sana sensazione di pienezza della personalità. Al contrario, vivere come un atomo isolato, senza famiglia o beni personali, circondato da estranei, gli dà una sensazione profondamente innaturale di vuoto, anonimato e solitudine.
In altre parole, il desiderio di formare una famiglia e l’ambizione di diventare proprietario hanno una radice comune e sono reversibili tra loro.
Ciò è talmente vero che Fustel de Coulanges, nel suo capolavoro La città antica, osserva che la parola latina familia, e il suo correlativo greco oïkos, non esprimevano il concetto di generazione o di pa-
Questi antichissimi rapporti tra famiglia e patrimonio sono inoltre più evidenti in ciò che riguarda i beni spirituali che i genitori trasmettono ai figli: i loro talenti, la loro la cultura, la loro psicologia, la considerazione e l’influenza sociale di cui sono circondati, e via dicendo.
Chi nasce da genitori particolarmente dotati da Dio di beni spirituali – o anche materiali – è legittimamente più favorito dalla culla rispetto ad altri nati da genitori con qualità medie. Queste disuguaglianze iniziali nella vita non sono solo giuste ma essenziali per il progresso sociale.
Sono giuste, perché, come ha detto concisamente San Tommaso d’Aquino: “È legge naturale che i genitori accumulino beni per i loro figli e che questi ne siano poi gli eredi”. Il compianto Papa Pio XII trasse le conseguenze da questo principio quando affermò, senza paura di essere “politicamente scorretto”: “Le ineguaglianze sociali, anche quelle legate alla nascita, sono inevitabili: la natura benigna e la benedizione di Dio all’umanità illuminano e proteggono le culle, le baciano, ma non le pareggiano”.
In queste disuguaglianze legate alla nascita, ciò che ha più valore, secondo i Papi, non è l’eredità ma-
zia duecento anni prima della sua nascita, e aveva perfettamente ragione. L’elevazione delle famiglie è qualcosa di graduale. L’avanzamento sociale fulmineo è l’eccezione.
Le élite tradizionali sono il risultato della natura umana creata da Dio. E, per quanto riguarda il matrimonio, fondamento della famiglia, è stato elevato al rango di Sacramento da Nostro Signore.
L’odio religioso alla tradizione, la famiglia e la proprietà
Se ne deduce che l’odio mostrato dalla sinistra – di tutti i colori, rosso, rosa o verde – alla tradizione, alla famiglia e alla proprietà, come ostacolo alla collettivizzazione dell’individuo, è in fondo un odio religioso che si rivolta contro l’ordine divino, contro Dio stesso.
È questo odio per l’ordine naturale e divino che portò Danton a dire che “i bambini appartengono alla repubblica prima di appartenere ai loro genitori”; che portò Robespierre ad augurare l’allontanamento dei bambini dalla propria famiglia all’età di dodici anni per essere educati dallo Stato: “non possiamo educare signori ma cittadini”
Fu anche questo odio per la famiglia a spingere uno dei leader della Rivoluzione russa, Liadov, a chiedersi: “È possibile educare l’uomo collettivo in una famiglia individuale? La nostra risposta è categorica: no! Per pensare collettivamente un bambino dev’essere cresciuto in un’atmosfera collettivista. Prima il bambino verrà portato via da sua madre e affidato ad un asilo nido, tanto più avremo la garanzia che sia sano”
Non c’è alternativa:
– o riconosciamo la persona umana ed i suoi diritti naturali – diritto di proprietà, diritto alla famiglia, diritto di comportarsi liberamente secondo quanto detta la ragione – e ne accettiamo le conseguenze;
– o cerchiamo di forzare la natura con un costoso apparato statale al servizio di un’ingegneria sociale utopica il cui risultato inevitabile è lo schiacciamento dell’individuo, l’impoverimento della popolazione e la dittatura.
La deriva che ha preso l’Unione Europea sta dimostrando che quest’ultima strada porta a un vicolo cieco. Ma i nostri dirigenti, ancora inebriati da falsi sogni, non vogliono ammettere che la strada del progresso passa attraverso il rispetto di questi tre pilastri
“Per testimonianza della storia, là ove vige una vera democrazia, la vita del popolo è come impregnata di sane tradizioni, che non è lecito di abbattere. (...) Di qui, in tutti i popoli civili, l’esistenza e l’influsso d’istituzioni eminentemente aristocratiche nel senso più alto della parola, come sono talune accademie di vasta e ben meritata rinomanza” (Pio XII)
Foto sotto, l’Accademia militare di Modena



Civiltà Cristiana
“Antica Europa: Ritrova te stessa! Sii te stessa! Riscopri le tue origini! Ravviva le tue radici!”
Giovanni Paolo II
Per questo, continuano i vescovi francesi, “dobbiamo riconoscere il carattere positivo della laicità [perché] l’opposizione tra una tradizione cattolica, controrivoluzionaria e conservatrice, e una tradizione repubblicana, anticlericale e progressista, è quasi del tutto tramontata”
Dobbiamo, altresì, “riconoscere il valore del pluralismo [giacché] nuove tradizioni religiose e spirituali, in particolare l’Islam, sono ora presenti nel nostro Paese e dimostrano vitalità”.
Il dialogo multiculturale e interreligioso, ecco la formula proposta come panacea per risolvere tutte le sfide del nuovo millennio!
Noi invece dobbiamo proclamare che il cristianesimo ha lasciato in Europa una magnifica eredità di civiltà e cultura che deve essere assunta senza riserve, senza complessi e senza falsa modestia.
fondamentali di ogni civiltà e, in particolari della civiltà cristiana, che sono Tradizione, Famiglia e Proprietà.
Per portare a termine il compito assegnatomi, non mi resta che ritornare al concetto di Cristianità, di cui ho parlato all’inizio della mia presentazione.
In una triste “Lettera ai cattolici di Francia”, datata 1996, i vescovi francesi affermano: “Accettiamo senza esitare a inserirci, come cattolici, nel contesto culturale e istituzionale di oggi. (…) Rifiutiamo ogni nostalgia per le epoche passate [e] non sogniamo un impossibile ritorno a ciò che era chiamato Cristianità”
Secondo i vescovi francesi, “la crisi che stiamo attraversando non è dovuta fondamentalmente al fatto che alcune categorie di cattolici hanno perso la fede o volto le spalle ai valori della Tradizione cristiana [né] all’ostilità degli avversari della Chiesa”, ma semplicemente perché “il mondo e la società stanno cambiando. (…) Un mondo sta svanendo e un altro sta emergendo... mentre la figura del mondo che stiamo cercando di costruire ci sfugge”.
In altre parole, la Chiesa ha perso il treno della modernità e deve saltare sull’ultimo carro prima che sia troppo tardi!
I nostri Paesi sono indissolubilmente legati ai valori cristiani che li hanno fondati. Non è diluendoli nel calderone multiculturale che l’Occidente supererà la grave crisi religiosa e morale che sta attraversando. La posta in gioco è alta, perché non si tratta solo del futuro dell’Europa, ma anche del futuro dell’umanità.
Permettetemi di chiudere con le parole di Giovanni Paolo II a Santiago di Compostela, nel 1982: “Io, Giovanni Paolo, figlio della Nazione polacca, che si è sempre considerata europea, per le sue origini, tradizioni, cultura e rapporti vitali, slava tra i latini e latina tra gli slavi; io, successore di Pietro nella Sede di Roma, Sede che Cristo volle collocare in Europa e che l’Europa ama per il suo sforzo nella diffusione del Cristianesimo in tutto il mondo; io, Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale, da Santiago, grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale. (…) Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”” u
Il mondo delle TFP
Vienna, Milano, Breslavia: Rosario di riparazione
Si è tenuto ad aprile il tour europeo di The Unholy Trinity (La Trinità Empia). Si tratta di tre bande di rock satanico: Behemoth, Satyricon e Rotten Christ, di origine polacca, norvegese e greca, rispettivamente. Il nome è ispirato al poema Paradise Lost, di John Milton, e si riferisce a Belzebù, Lucifero e Astaroth, cioè tre demoni.
Le bande si dedicano a deridere Gesù e tutto il Cristianesimo, glorificare Satana e inscenare rituali anti-cristiani sul palco. Fanno della bestemmia un loro stile.
Possiamo farci un’idea dei contenuti dai titoli di alcune canzoni: Satanica, Antichristian Phenomenon, Horns of Baphomet, The Apostasy, Evangelia Heretica e The Satanist. Per pudore non indugiamo sulle parole dei loro brani, perché sono allucinanti e dissacranti. Hanno come tema il satanismo, l’occultismo, il paganesimo e la magia sessuale. Il tutto condito da orribili bestemmie. Durante la performance, gli artisti (sic) fanno gesti sacrilegi, oltraggiano immagini sacre e compiono atti osceni.
Le TFP non potevano restare indifferenti a tale provocazione, per di più in piena Quaresima. In coincidenza con tre tappe del tour – Vienna, Milano e Breslavia – le TFP locali hanno organizzato campagne di protesta online, raccogliendo migliaia di firme, e anche Rosari recitati sulla piazza pubblica per riparare le orribili bestemmie contro il Sacro Cuore di Gesù e il Cuore Immacolato di Maria. A Milano la manifestazione si è tenuta davanti al Castello Sforzesco. Hanno partecipato oltre un centinaio di persone.
In Italia hanno protestato anche l’Associazione internazionale degli esorcisti e alcuni esponenti di Fratelli d’Italia, tra cui il consigliere comunale di Milano Michele Mardegan. “La libertà di espressione ha un suo limite – ha detto Mardegan – da tutti condiviso nel rispetto dell’altro ed in particolare nel rispetto della dimensione religiosa di ogni essere umano”
Offriamo anche noi una riparazione a Nostro Signore Gesù Cristo e alla sua Madre Santissima. u




Satana sconfitto a Kansas

Il 28 marzo, un gruppo chiamato Satanic Grotto ha cercato di tenere una Messa nera all’interno del Campidoglio di Kansas.
Tuttavia, i cattolici fedeli hanno mandato all’aria i loro piani malvagi. Immediatamente, la American Society for the Defense of Tradition, Family, and Property (TFP), insieme alla sua campagna Return to Order, si è mobilitata contro questo affronto demoniaco.

di Jon Paul Fabrizio
La TFP ha lanciato quattro petizioni chiedendo alla governatrice del Kansas, Laura Kelly, di impedire che la Messa nera avesse luogo all’interno del Campidoglio. Queste iniziative hanno raccolto oltre 95.000 firme. Pochi giorni dopo, la governatrice ha annunciato che il permesso per tenere il sacrilegio all’interno del Campidoglio era stato revocato. Tuttavia, alle stesse persone è stato concesso un altro permesso per radunarsi all’esterno.
Anche questa soluzione restava inaccettabile. I membri, sostenitori e amici della TFP si sono quindi riuniti all’ingresso sud del Campidoglio del Kansas per opporsi alla Messa nera satanica.
Al grido “Cristo è Re” i satanisti rispondevano “Cristo è morto”, imprecando e bestemmiando. A un certo punto, il leader satanista Michael Stewart ha gettato a terra un’Ostia sonsacrata e ha iniziato a calpestarla. Tuttavia, un uomo coraggioso si è lanciato nella folla e ha consumato il Santissimo Sacramento. Subito dopo, l’uomo che aveva salvato Nostro Signore è stato arrestato e portato via in manette.
Il contrasto tra la bruttezza del culto al diavolo e la bellezza della Fede cattolica era impressionante.
I volontari della TFP portavano i loro caratteristici stendardi rossi, cartelli, striscioni e una statua della Madonna di Fatima.
Centinaia di cattolici locali hanno partecipato all’evento, insieme a sostenitori provenienti da ogni parte del Paese.
La manifestazione si è aperta con un discorso di Francis Slobodnik, sostenitore della TFP. Ha spiegato quanto fosse rimasto scioccato nell’apprendere che una Messa nera si sarebbe tenuta nel Campidoglio del suo Stato. Anche l’ex membro del Congresso degli Stati Uniti Tim Huelskamp ha preso la parola.
Dopo i discorsi, la folla si è unita per recitare quindici decine del Rosario, intervallate da canti mariani e patriottici. Il suono coinvolgente di cornamuse e tamburi ha infuso energia ed entusiasmo alla preghiera. Terminato il Rosario, la folla ha recitato l’Atto di Consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, chiedendo a Dio di proteggere lo Stato del Kansas dall’influenza demoniaca.


pre più evidente che l’America è una nazione timorata di Dio, e non un Paese che ama i demoni.
Nonostante i tentativi dei satanisti di intimidire i pacifici oranti, il loro zelo e la loro determinazione sono rimasti saldi.
Qualcuno potrebbe chiedersi come abbiano potuto perdere i satanisti, dato che hanno comunque realizzato la loro blasfemia sui gradini del Campidoglio. Ecco tre motivi chiave:
I satanisti sono stati smascherati. Speravano di passare inosservati e compiere questo atto blasfemo. Le più grandi vittorie di Satana avvengono quando agisce in pubblico senza opposizione, perché così il culto diabolico finisce per apparire “normale” nella società. Questa volta, invece, hanno affrontato l’indignazione di migliaia di americani timorati di Dio e sono stati costretti sulla difensiva.
I satanisti sono stati cacciati dall’interno del Campidoglio. Anche se sarebbe stato preferibile che fossero del tutto allontanati dal suolo del Campidoglio, celebrare una Messa nera all’interno avrebbe avuto un impatto molto più simbolico, implicando la complicità delle autorità. Invece, grazie alle petizioni della TFP, la governatrice Kelly ha sentito abbastanza pressione da revocare il permesso originale.
Ora i satanisti dovranno pensarci due volte prima di agire in pubblico. Sanno che, ogni volta che attaccheranno Dio pubblicamente, dovranno confrontarsi con migliaia di cattolici. Sarà sem-
Il signor Slobodnik ha riassunto perfettamente l’evento:
“Il fondatore della TFP, il professor Plinio Corrêa de Oliveira, spesso ci ricordava che la testa del diavolo è stata creata per essere schiacciata dalla Vergine Maria. È esattamente quello che è accaduto oggi. Il diavolo ha mostrato il suo volto mostruoso in Kansas, e i cattolici fedeli lo hanno schiacciato senza indugio. Questo deve avvenire in tutta l’America. Ogni volta che il satanismo compare in pubblico, i cattolici devono difendere i diritti di Dio”.
La battaglia non è finita, ma il 28 marzo è stato dimostrato ancora una volta che, quando i cattolici prendono posizione, Satana perde sempre. u




Ecuador: no
Le elezioni politiche dello scorso 13 aprile in Ecuador si presentavano come uno spartiacque storico. La posta in gioco era altissima. Da una parte, il candidato del centro-destra, il presidente in carica Daniel Noboa. Dall’altra, la candidata della sinistra Luisa González, una semplice facciata per il vero potere dietro le quinte: l’ex-presidente socialista Rafael Correa.
Tutti hanno capito che la campagna elettorale era qualcosa in più di un dibattitto politico. Si trattava di sapere se l’Ecuador sarebbe andato avanti sulla strada della libertà e del rispetto dei diritti, rinforzando le sue radici tradizionali, o sarebbe tornato indietro a un socialismo potenzialmente dittatoriale, sulle orme di Cuba e Venezuela.
Di fronte a tale crocevia storico, l’associazione Tradición y Acción (la TFP ecuadoregna), non poteva mancare al suo dovere di avvertire gli elettori. In un manifesto senza nessuna connotazione partitica, intitolato “Siamo in tempo per impedire l’ascesa del socialismo”, Tradición y Acción mostrava la totale incompatibilità del socialismo con la dottrina cattolica.
Senza offrire opzioni politiche concrete, il manifesto mirava a orientare il voto cattolico. A tal fine, si sottolineava l’importanza della partecipazione elettorale, dato che, al primo turno, un terzo degli elettori si era astenuto o aveva espresso un voto nullo. In secondo luogo, la dichiarazione dimostrava a un elettorato prevalentemente cattolico l’incoerenza di sostenere l’opzione socialista rappresentaa da Luisa González. Il manifesto è stato ampiamente diffuso nelle strade delle principali città dell’Ecuador riscuotendo un ampio sostegno. Insieme al manifesto, i volontari di Tradición y Acción hanno distribuito gratuita-

Gli angeli di Fra Angelico

“Egli è il miglior pittore degli angeli. Egli rappresenta gli angeli, in corpo umano, come creature risplendenti di grazia. I sui corpi angelici hanno una trasparenza, una freschezza, una bellezza che il corpo umano non ha. Sono creature senza peccato originale. Le sue figure superano il sesso. Hanno un’anima così pulita e onesta, che sono pronti a qualsiasi atto di virtù. Così forti che sono pronti a qualsiasi atto di governo. Così guerrieri che sono pronti a qualsiasi battaglia. E allo stesso tempo molto pacifici. Tutti i contrasti si ritrovano in una sintesi magnifica. Gli angeli di Fra Angelico sono l’espressione perfetta della temperanza medievale”.