Novantatrerosso n°10: BER, Pier Niccolò Berardi. Architetto e Pittore.

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VENERDÌ Trimestrale Associazione Bastioni - Firenze N° 10 Registro Stampa Periodico del Tribunale di Firenze N° 5659 in data 14 maggio 2008

18 OTTOBRE 2013

Novantatrerosso www.novantatrerosso.blogspot.com Il nuovo numero di Novantatrerosso esce in occasione della mostra su Pier Niccolò Berardi. Architetto e Pittore, la prima retrospettiva dedicata al celebre fiorentino presso le Sale Medicee e la Limonaia di Palazzo Medici Riccardi. La mostra promossa dall’Accademia delle Arti e del Disegno in collaborazione con la Provincia di Firenze e l’Archivio di Stato di Firenze è stata fortemente voluta dalla famiglia del Berardi, da sempre amica dell’Associazione Bastioni. Come Associazione siamo stati entusiasti sponsor tecnici della mostra occupandoci dei patrocini, nella figura del presidente Daniela Murphy Corella, e del trasporto delle opere grazie alla collaborazione dei soci. Sa-

INTERVISTA

L’APERITIVO CON… Antonella Berardi di SABRINA CASSI (sabrinacassi@virgilio.it) , DANIELA MURPHY CORELLA (associazionebastioni@gmail.com) e FEDERICA CORSINI (fquerida@virgilio.it)

MONTECERI (FIESOLE) — L’Associazione Bastioni incontra Antonella Berardi, la figlia maggiore del celebre architetto Pier Niccolò Berardi. Scenografa, costumista, ha lavorato per il cinema ed il teatro all’Italia e all’estero. Oggi ci racconta della mostra su suo padre organizzata con entusiasmo dalla famiglia e completamente autofinanziata. DOMANDA: Da cosa nasce l’idea di questa mostra? RISPOSTA: Era una cosa che avevo in mente da tanti anni perché a mio avviso andavano chiarite un po' di cose su Pier Niccolò Berardi, mio padre, e quindi io ci tenevo particolarmente a raccogliere tutto ciò che potevo raccogliere e a cercare di raccontare tutte le sfaccettature di Pier Niccolò, una persona molto particolare. Dipingeva ascoltando musica classica, che amava molto, ed era pieno di poesia e di curiosità. Era una persona veramente affascinante. Le mie amiche, nota bene che quando io sono nata aveva già quarant'anni, arrivavano qui e si prendevano le cotte! Perché lui conquistava le persone in maniera naturale. Era una persona molto sensibile, più di una volta l’ho visto piangere lasciandomi attonita. Era una persona che aveva anche il suo bel carattere, sebbene avesse un bellissimo rapporto con tutti: muratori, capomastri ecc. però contemporaneamente lui stava bene da tutte e due le parti. Mi diceva sempre: “ Io sono da bosco e da riviera”. D: Ci parli del lavoro di suo padre. R: Lui ha lavorato moltissimo collaborando con tanti amici e artisti contemporanei come Bruno Innocenti, Alberto Caligiani, Giovanni Colacicchi, Antonio Berti. Per esempio quando ha fatto tutto l'insediamento a Maratea, che è stato quasi una piccola urbanizzazione, lui a fatto dalle fabbriche al restauro della torre, questo albergo che non esisteva assolutamente. Ha fatto tutto questo lavoro con una delicatezza e un'attenzione straordinarie. Poi ha fatto il Museo Richard Ginori con Gio Ponti con il quali è entrato subito in armonia e in creatività, completamente collegato. Ha fatto questa specie di vetrina che è il museo, acceso anche di notte, fatto per le porcellane della Richard Ginori. D: C'è un opera, di pittura o di architettura, che secondo lei rappresenta maggiormente Pier Niccolò? R: Un po' tutte lo rappresentano perché lo spirito con cui ha lavorato era sempre il suo... una costante che variava a seconda delle committenze. Cercava sempre l’armonia tra la costruzione e l'ambiente. Studiava tutti i materiali che c'erano nella zona, le piante, così non risultando mai un'architettura fine a stessa. Voleva sempre adagiarla nel suo ambiente. D: Questo è un concetto all'avanguardia per un architetto che ha lavorato negli anni '50-'60. È un concetto ecologico, che ora è in vita, ma non lo era allora, vero? R: Gli architetti tendenzialmente fanno degli edifici che si notano, che emergono, invece a lui importava di non violentare lo spazio in cui lui andava a progettare. Era proprio una sua maniera di essere. Vorrei leggervi un passo di un’intervista* fatta a mio padre, dove lui chiarisce questo concetto, dicendo:” un architetto, quando ha la fortuna di operare in piena natura, deve tentare di inserirsi con molta umiltà nel contesto del paesaggio, dove sono già insediate costruzioni preesistenti, autentici capolavori dell'architettura spontanea. Perché, quando ti trovi davanti a certi orizzonti dove il Padreterno ha già progettato tutto, non puoi osare aggiungere o togliere nulla. Non si può competere col Padreterno. Tra gli elogi che mi sono stati rivolti nel corso della mia lunga carriera, uno in particolare mi inorgoglisce : quando si

ranno esposti plastici, fotografie e disegni che riguardano alcuni dei più importanti edifici progettati da Berardi. Tra questi: il progetto razionalista della Stazione viaggiatori di Santa Maria Novella di Firenze, realizzata tra il 1931 e il 1934 insieme a Michelucci, Baroni, Gamberini, Guarnieri e Lusanna riuniti nel Gruppo Toscano ed il Museo della Porcellana della manifattura Richard-Ginori di Doccia inaugurato nel 1965. Una mostra con le fotografie di case coloniche e di architetture rurali toscane realizzate agli inizi degli anni Trenta nonché una sezione dedicata alla pittura del Berardi completano la mostra. Buona visita. (FRANCESCA ATTARDO—attardo.f@gmail.com)

nota che una cosa da me progettata non emerge, non s'impone, non si vede neppure, non altera e non interrompe l'armonia che la circonda da secoli. È come se ci fosse sempre stata”. D: Il rapporto che Pier Niccolò ha con lo spazio dove deve costruire le sue opere si definiscono, non tanto per la corrente stilistica, ma soprattutto come “figlie del luogo”. R: Si, “figlie del luogo” e “figlie” di amori come la Certosa, la casa colonica. Questo farle emergere il meno possibile dalla linea dell'orizzonte, cioè non invadere l'occhio, catturarlo, il suo intento era di non stravolgere. Anche nella pittura amava i colori non violenti. D: Il Berardi oltre a riprendere le forme delle case coloniche, era interessato anche ai materiali. E’ stato uno dei primi a riportare in auge la calce, vero? R: Esatto. Anche per quanto riguarda le misure, per esempio delle finestre, delle porte erano completamente diverse da quelle che venivano fatte all'epoca. Lui ha abbassato moltissimo la misura delle porte. Invece di esserci quelle porte enormi che non servivano a niente, lui ci stava molto attento ed è stata una grande passione lo studio di queste coloniche. Le case coloniche che ha disegnato, dipinto e che ha poi progettato. Arredava tantissimo e lavorava molto con l'antiquaria Nella Longari. D: Ci risulta che ha progettato anche arredi. R: Lui veniva da Torino e i familiari di mio padre erano arredatori della Casa Savoia che poi si sono spostati a Firenze dove avevano una fabbrica che produceva mobili progettati da Pier Niccolò che ancora oggi sono in giro. Io li ho incrociati moltissime volte quando dovevo arredare degli ambienti nei film, là dove si noleggiavano i mobili e spesso trovavo cose sue: letti, cassettoni, tavoli, sedie. Era molto divertente. D: Riguardo la passione per i campi da golf cosa ci racconta? R: La passione per i campi da golf è una cosa curiosa. La sua tesi di laurea, che mi pare avesse fatto insieme a Vietti, era proprio su un campo da golf sul Lago Maggiore e l'ultimo lavoro che ha fatto fu il Golf di Sutri nel Lazio, che è diventata la scuola di golf! D: Il Berardi ha anche progettato un unico edificio religioso: la Chiesa di san Bernardino, vicino a Fiesole. Cosa può dirci a riguardo? R: Si, a riguardo non aveva progettato la scala che poi invece è stata costruita. Invece di fare due scale di accesso laterali (come voleva lui) davanti alla facciata ne hanno fatta una gigantesca che non era assolutamente quella progettata da mio padre. Se andiamo dentro si trovano ancora i disegni fatti da lui per quella chiesina. Lui era un appassionato, per esempio, c'era la Romola, che è stata il suo grande amore, che era una chiesina, un rudere che lui ha restaurato. Poi, neanche più giovanissimo, andò a San Galgano portando una pietra della Romola e prese una pietra di San Galgano che portò alla Romola. Diceva di aver fatto un matrimonio! Aveva legato San Galgano alla Romola.

Sabrina Cassi intervista Antonella Berardi nel giardino della tenuta di Montececeri.

D: Chi erano gli artisti, i pittori e gli architetti che ammirava? R: Wright gli piaceva. Pier Niccolò ha incontrato sia Wright che Le Corbusier e i commenti ve li leggo dall’intervista* della Lucarelli. Su Frank Lloyd Wright: “L'ho incontrato a Firenze, dove avevamo allestito una mostra delle sue opere. Un gentiluomo vecchio stampo, col suo cappello a lobbia e il suo bastone di malacca. Cortese, ma non affabile. Era fin troppo facile intuire che, dietro l'immagine professionale rigida e carismatica, balenavano i fantasmi di un passato tempestoso e tragico. Mi entusiasmava la sua “Casa sulla cascata”. Mi entusiasmava molto meno il suo Museo Guggenheim di New York, perché, da quelle rampe in discesa, i quadri si vedono male, e sotto luci sbagliate. Sospetto che Wright non amasse molto la pittura.” Su Le Corbusier: “L'ho conosciuto a Roma nel 1934, quando tenne una conferenza sulla nuova stazione di Firenze. Un individuo scontroso e intrattabile. Conversare con lui era una pena. Le Corbusier ci ha dato una grande lezione di architettura, ma non abiterei mai nelle sue case perché hanno ben poco

di umano. Sono progettate da un genio, ma da un geni misantropo e poco incline a stabilire un rapporto col prossimo, qualche volta, quando vado in vacanza a Maratea, mi viene il terrore di fare la sua fine: morire annegato, e solo.” D: Come pittore era diverso rispetto all’architetto? R: No, la stessa persona che si esprime con una materia diversa. Dipingeva per amore essendo comunque un creativo. Il suo destino doveva esser quello di entrare nell’ impero siderurgico di Ernesto Redaelli, che era gestito allora dalla sorella di sua nonna, che non aveva figli. Lui andò da suo padre e gli disse: «Io non voglio fare l'industriale, voglio fare l'architetto!» e suo padre gli disse «Sono affari tuoi!». Avrebbe potuto avere una strada meravigliosa e comoda, ma scelse di fare l'architetto. Andò a Roma e si iscrisse alla facoltà di Architettura insieme a Luigi Vietti, i chiamavano quelli con i pantaloni bianchi all’università. Il Vietti ricorda*:” …il Piero ed io non eravamo amici, ma fratelli. Io rosso di capelli, lui bruno, aitante, bellissimo, un maharaja indiano, un tombeur de femmes tale e quale suo padre. Cosa vuole che le racconti? Eravamo ricchi e fortunati, ma avevamo questo di speciale: che ci prendevamo le nostre sbandate e ci divertivamo da matti sempre tenendo d'occhio i nostri piani di studio, sempre frequentando puntualmente le lezioni. Una doppia vita frenetica, convulsa, entusiasmante, ma sempre al centro del mirino la nostra tesi di laurea, la nostra futura professione”. D: Alla mostra saranno esposte sia opere di pittura, sia lucidi, disegni? R: Si, il mio desiderio era quello di non fare una mostra che potrebbe fare un archivista, ma una mostra che spieghi che personaggio era mio padre: cioè, per esempio, il capomastro di Riccardo Muti portò a Fiesole un merlo, un grosso merlo che stava libero in giardino e quando arrivava Pier Niccolò sulla porta planava sulla sua testa facendogli dei graffi e poi si piazzava sulla spalla. Per esempio quando eravamo a tavola, questo merlo gli ficcava tutte le molliche di pane nelle orecchie, lo imboccava e io dicevo «guarda babbo che qui bisogna andare all'ospedale!». D: Quando si ritirò a Montececeri si dedicò soprattutto alla pittura? R: La pittura è sempre stata presente nella sua vita. Si spostò da Firenze, dove aveva lo Studio San Giorgio in via delle Belle Donne con Tullio Rossi e Fabio Rossi. Fecero molti progetti insieme e anche ognuno per conto proprio; poi ci fu l'alluvione che distrusse tutto il loro archivio e quindi si trasferì a Fiesole dove aveva due camere da letto con bagno, vari soggiorni al primo piano e sotto c'era la piccola cappellina e una cucina come quelle come usavano una volta, con un grosso camino in cui uno si può sedere quasi dentro. Qui aveva il suo studio con le varie persone che lavoravano con lui; poi c'era una persona importantissima, l'architetto Sagrestani che ha seguito i lavori di mio padre quasi fin dall'inizio; era un disegnatore eccezionale che faceva tutti i disegni “a pulito” delle cose che progettava Pier Niccolò; per esempio, mio padre veniva da Roma, a Firenze trovava l'architetto Sagrestani che gli passava tutti i disegni per Milano e prendeva tutti i disegni delle cose di Roma, poi mio padre proseguiva per Milano. D: Viaggiando sempre così tanto, cosa c'era di Firenze che lo tratteneva? R: Montececeri! Per lui era qualcosa di magico. D: Ci racconti la storia di Montececeri. R: Montececeri venne costruita verso i primi dell'Ottocento ed era la casa di campagna. I Berardi stavano in quel palazzo di Firenze che sta in Santa Maria Novella, quello d'angolo che adesso è diventato un albergo. Al pian terreno di questo palazzo c'erano degli ambienti dove venivano messi in mostra tutti i mobili Berardi che uscivano dalla fabbrica. Quando prese fuoco la fabbrica Montececeri venne venduto. Mio padre faceva passeggiate lungo via Verdi sempre guardando Montececeri. Poi dopo la guerra, con un gruppo di amici, decise di ricomprare pezzi di Montececeri e via via che aveva un po' di soldi ogni amico gli rivendeva il proprio pezzo senza che ci fosse nessun contratto. Piano piano ha rimesso insieme tutto e lui veramente questo posto lo adorava! Lui diceva sempre: «Quando hai qualche problema e sei un po' giù, fatti una bella passeggiata nel bosco, vedrai che quando ritornerai a casa sarai diverso». Era vero. D: Quando è morto? R: É morto a Milano il 2 gennaio del 1989 ed è nato il 3 ottobre del 1904. Ricordo che lui cercava dei piccoli cimiterini, poi ad un certo punto io gli ho detto «Ma perché ti sei fissato di andare a finire in mezzo al bosco... perché non fai come me che ho deciso di farmi cremare e poi le ceneri si mettono in cappellina qui a Montececeri?», allora lui ci ha pensato e un giorno è venuto e mi ha detto «Sai, mi vorrei anch'io iscrivere per le ceneri ». A quel punto ha fatto dentro la cappellina tutte le cassettine, che non si vedono perché c'è tutto l'intonaco a calce che lui ha usato tantissimo. E lui è lì che sta. D: Sarà fiero di questa mostra? R: Io non ho una grande visione del dopo... devo dire, mi è venuta voglia di fare questa cosa perché volevo far capire che lui era pieno di tanti Pier Niccolò. ————————————————————* Noemi Lucarelli intervista Pier Niccolò Berardi nella monografia sull'architettura: Pier Niccolò Berardi Architetto, Mondadori, Milano 1988, passim


Novantatrerosso NUMERO 10

mise subito alla prova per capire le mie potenzialità; gli realizzai due grandi vedute prospettiche di un piccolo villaggio che stava progettando su un bellissimo terreno di sua proprietà a Maratea. Conservo tuttora questi disegni che credo esprimano tutto lo spirito di Berardi. Si trattava di un gruppetto di una decina di case, pensate come case a schiera collocate nel bosco a due passi dalla scogliera bassa di Marina di Maratea: un luogo incantevole, che miracolosamente il progetto non avrebbe sciupato, grazie a una attenzione veramente di qualità e di sensibilità eccezionale. Le case, piccole, su due piani avevano piante abbastanza ripetitive, caratteristiche di quella tipologia, ma nell’aspetto erano molto diverse l’una dall’altra, grazie a leggere varianti architettoniche. A monte un lungo portico di accesso collegava gli ingressi di tutte le abitazioni. Questo progetto, che non è stato realizzato fu per me importantissimo perché sintetizzava in maniera completa la personalità di Berardi. Vi sono qui infatti presenti tre aspetti fondamentali. Il primo di questi era lo studio quasi ossessivo della perfetta funzionalità delle piante, della distribuzione generale degli ambienti, fino ai più minuti dettagli, che dovevano rispondere al massimo al migliore funzionamento di quella Macchina. Questo aspetto traduceva in maniera esemplare il suo fare proprio della cultura della scuola razionalista. L’altro fondamentale aspetto corrispondeva al suo amore per l’ambiente, dal paesaggio naturale a quello antropizzato come gli antichi paesi dell’Italia del centro-sud, spesso oggetto

d’indagine anche della sua attività di pittore. Una caratteristica costante era lo studio attento dell’inserimento paesaggistico della sua architettura. Questo rispetto direi sacro dell’ambiente è una caratteristica che a quell’epoca era ben poco considerato sia da molti professionisti, sia dalla ancora più scarsa sensibilità dei nostri amministratori. Al di là del fare, uno degli aspetti straordinari di Berardi era la sua innata capacità di rapportarsi con grande umanità e simpatia con tutte le persone con le quali per molteplici motivi veniva in contatto. Che si trattasse di committenti ricchi industriali o nobiluomini o artisti come Riccardo Muti, Vittorio Gui, Giorgio Bassani e molti altri, o anche persone più modeste come gli artigiani bravissimi, che diventavano spesso amici e fedeli collaboratori per la vita. Si stabiliva subito un diretto e schietto rapporto di simpatia. Anche per me questo ha significato molto, oltre alla formazione di architetto anche a quella delle relazioni umane. Per me è rimasto comunque sempre il maestro che ho imparato negli anni a conoscere profondamente nelle sue abitudini, nelle sue intuizioni e nella sensibilità di artista scevro da atteggiamenti di superbia. Un uomo di cultura profonda ma non esibita. Dal 1989, l’anno della sua scomparsa ho potuto continuare il lavoro di architetto come se lui fosse ancora con me. Fino ad allora si era infatti creato un rapporto molto forte di sensibilità fortemente affini, come credo che stiano a testimoniare le numerose opere che ho realizzato in seguito.

PIER NICCOLO’ BERARDI E LA PITTURA(tratto dal Sono sicuro che Pier Nicolò Berardi non avrà mancato di visitare quella straordinaria esposizione, vero e proprio catalogo della mostra) di CARLO SISI (carlo.sisi@gmail.com) viaggio figurativo e sentimentale entro al storia appena trascorsa, il cui viatico critico rivalutava le 'marginalità' poetiche rispetto ai 'monumenti' celebrati dalla tradizione ufficiale; e non avrà neppure mancato di leggere nel catalogo gli appassionati pensieri di Ragghianti sul processo creativo dell'artista: “La poesia … non è mai comoda: tra l'altro, per essere intesa pretende la distruzione di ogni schema, che è il suo contrario … pretende la liberazione, con tutta la sua umiltà e sofferenza, per l'adeguamento e la comprensione, per la conquista. E quanti hanno voglia di impegnarsi, di lavorare, di soffrire, di turbarsi, di dubitare, anche con la previsione o la vista di sentimenti e pensieri nuovi acquistati all'anima ?”. Berardi, del resto, si era formato nel fervido laboratorio di quegli anni che per Firenze erano stati fecondi di fatti e di personalità tutti convergenti in quella 'civiltà delle riviste' (da Solaria al Frontespizio) che appunto aveva riunito intellettuali, artisti, poeti intorno ad un progetto di identità nazionale che nella temperie del 'ritorno all'ordine' dava parole e forme alla moderna concezione dell'arte. Partecipe del Gruppo Toscano, lavorerà con Michelucci al cantiere della stazione di Santa Maria Novella, dove i dipinti di Mario Romoli, di Giovanni Colacicchi, di Gianni Vagnetti, di Ottone Rosai contribuirono ad avvalorare il sincretismo delle arti che sarà peculiare delle architetture del ventennio, nelle quali ogni aspetto dell'operare artistico trovava il proprio ambito di espressione in un dialogo inscindibile e spesso Nel 1967 si inaugurava a Firenze una mostra cru- spettacolare. La conquista della poesia, per dirla con Ragciale per la riscoperta, o meglio per il riposizionamento ghianti, Berardi l'avrebbe comunque perseguita con le critico, dell'arte italiana fra le due guerre; un evento che frequentazioni del dopoguerra: un milieu raffinato e comper la prima volta offriva al pubblico l'occasione di vedere posito che comprendeva musicisti, scrittori, architetti e, raccolte, in un'antologia di grande respiro, le opere più appunto, artisti che diventeranno modelli di stile e d'affesignificative di una stagione da poco trascorsa e quindi zione quando all'impegno d'architetto, Berardi deciderà necessitante di una rilettura approfondita e capace di di alternare l'esercizio della pittura maturato a contatto collocare in giusta luce episodi artistici spesso adombrati con coloro che, il più delle volte compagni di strada, da fuorvianti letture e pregiudizi ideologici. Si intitolava corrispondevano alla sensibilità naturalistica dimostrata Arte moderna in Italia 1915-1935 ed era curata da Carlo contemporaneamente nell'ideazione delle sue architettuLudovico Ragghianti che, nell'ormai celebre catalogo re. edito dal primo embrione del futuro Centro Di, invitava La presenza di quadri di Colacicchi nella collezione di a superare l'impassibile oggettività della ricerca documen- Berardi – una veduta della campagna di Anagni e una taria per rivalutare i percorsi intimi della soggettività bellissima Natura morta – indicano subito l'interesse rivolpoetica, l'unica in grado di spiegare come - attraverso i to dall'architetto alla nitida e solare visione compositiva casi più diversi che nel periodo 1915-1945 significarono del pittore; quella che Raffaello Franchi, nella sua biograguerre, rivoluzioni, mutamenti di assetti, contraddizioni fia del 1941, analizzava con intensa partecipazione: “... di ogni specie – potessero esistere i percorsi poetici di forme geometricamente parallele, delle strade e dei marMorandi, di De Pisis, di Montale, per ricordarne alcuni, ciapiedi che proseguono nel sole nitore abbagliante delle che attraversarono quel momento storico “invadente e mura estate vera e ferace di una terra scoppiante di sole”; spesso aggressivo, formando e sviluppando il dettame mentre le piccole sculture di Bruno Innocenti aggiungodella loro interiorità, ponendo nella storia l'aggiunta della no alla collezione di Berardi la nota intimista e immagiloro rivelazione di vita”. nosamente classica che lo scultore allievo di Libero AnD'altra parte le storie dell'arte moderna e contemporanea, dreotti introduceva nell'ambiente fiorentino degli anni continuava Ragghianti nell'introduzione al catalogo, non trenta così predisposto, dicevamo, alla dialettica fra letteerano altro che una successione di ismi ove si trascurava ratura e arti figurative. Oltre ai pittori frequentati al teml'indagine e la verifica diretta, privilegiando invece la po della stazione di Santa Maria Novella, Berardi intrat'fatalità' scandita dai successivi manifesti o programmi o tenne amicizie con Guido Capocchini, Primo Conti e movimenti o gruppi, da cui sarebbe dipeso il ferreo in- Alberto Caligiani (pittore la cui parallela vena letteraria si quadramento delle esperienze degli artisti ritenuti princi- esprimeva in un'attività incisoria di grande suggestione pali “con gli effetti di un livellamento che evita il proble- narrativa ed allegorica), con Antonio Berti e Quinto Marma dei problemi della ricerca critica, quello dell'indivi- tini, scultori che con Innocenti formavano una 'scuola' di duazione specifica di ogni fare nei suoi moventi e nelle devoti alla maestà della forma e alle sue molteplici declisue ragioni concretato in linguaggio formale, sostituendo- nazioni espressive. Sono loro i principali referenti della vi generalità arbitrarie e astratte. La coesistenza di per sé sua esperienza pittorica iniziata negli anni cinquanta e multanime e vivente di tanti artisti sinora malnoti o ina- protratta nel tempo sino a diventare una sorta di diario deguatamente noti e studiati – concludeva Ragghianti – per immagini, impegno costante di osservazione e sondagbasterà a dimostrare la radicale e direi quasi offensiva gio degli aspetti costitutivi della realtà, con la quale Berarfalsità di tanti schemi che ne vietano o ne riducono la di si confrontava professionalmente sviluppando la sua percezione del concorso che hanno dato alla vita artistica personalissima concezione architettonica sempre commie perciò all'umanità del loro tempo”. surata alle 'urgenze' naturali, al rispetto del paesaggio.

Un dialogo serrato e per molti aspetti coerente dal momento che molti dipinti di paese, di campagna o di mare ritraggono i luoghi ove l'architetto contemporaneamente ambientava edifici pensati in armonia con la natura circostante; un dialogo che sottende, nelle nature morte, una sensibilità ordinatrice anche se animata da una trepidante velatura di nostalgia per oggetti d'affezione consegnati ad un lirico destino di tradizione memoriale. Non a caso appaiono evidenti i prelievi dalle composizioni di Morandi, nei piani instabili su cui le lampade a olio di fogge e colori differenti si dispongono in sequenza apparentemente casuale ma invece subordinata ad una lieve cadenza ritmica; da quelle di De Pisis, da cui Berardi trae l'idea, costante nel pittore ferrarese, di porre un quadro a sfondo della natura morta: occasione per il nostro di enunciare le proprie conoscenze e passioni figurative, da Simone Martini al Picasso blu e rosa. Ma altrettanto evidenti appaiono i confronti con i ricordati pittori che costeggiarono la sua appartata avventura estetica, a cominciare da Rosai, rimeditato in un bel quadro del 1959, Primavera in Toscana, e in altri paesaggi in cui i semplici profili delle amatissime coloniche emergono dal verde con la solenne essenzialità dei volumi giotteschi; da Carrà, evocato nel dipingere i capanni sulle spiagge di Maremma o le case di Montececeri sotto la nevicata o le barche in riva al mare di Vada; dallo stesso Colacicchi, il cui paesaggio di Anagni, goduto sulle pareti di casa, costituirà una sorta di 'lessico famigliare' rintracciabile in molti scorci della pittura di Berardi come Bocca d'Arno, commovente nella sua cordiale impassibilità metafisica. A volte la materia della pittura si fa intensa e rilevata così da rammentare la stagione informale di Sergio Scatizzi, le sue rose più modellate che dipinte sfruttando le risorse di una tavolozza accesa da azzurri e cinabri; altre volte la pittura si compone nella quiete riflessiva degli ateliers, trovando analogie affettive nei quadri amicali e squisitamente novecenteschi di Gianni Vagnetti e di Mario Romoli. Se si escludono le mostre a La Gradiva di Firenze (1973), a La Barcaccia di Roma (1974) e alla Galleria Levi di Milano (1974), accompagnate dalle autorevoli testimonianze di Tommaso Paloscia e di Mario Tobino, la pittura di Berardi non ha avuto altre importanti occasioni di presentarsi al pubblico anche perchè, nel procedere degli anni, il dialogo con la tela si sarebbe fatto più intimo ed esclusivo (abbiam detto paragonabile ad un diario figurativo) a confronto dell'emergenza pubblica dei progetti architettonici. Marginalità poetica che ben si inquadra tuttavia nel contesto novecentesco delineato da Ragghianti al momento della mostra fiorentina del 1967, vale a dire in quella 'insularità' - ovvero arcipelago di espressioni minori rispetto agli ismi e alle correnti sancite dalla storia dell'arte - che includeva molti degli artisti compagni di strada di Berardi, ma soprattutto ammetteva nel suo ambito personalità escluse dal circuito ufficiale, nutrite di poesia più che di 'partecipazione'. La mostra odierna, che intreccia le multiformi espressioni di Pier Niccolò Berardi, intende fornire la bussola per indirizzare ad una lettura attualizzante, ed appunto poetica, dell'architetto e del pittore secondo le istanze a suo tempo avanzate da Ragghianti, per noi sollecitazione a non accantonare i valori della memoria e del tessuto storico della nostra più recente civiltà. “I recuperi debiti – scriveva con fiducia nel 1970 pubblicando le opere di Nino Galizzi – si vanno avviando, e ben presto muterà il panorama sommario ed esclusivo in cui sono stati sacrificati, perchè lasciati sconosciuti e incompresi, autentici artisti. Il loro recupero è un contributo a un'effettiva ricostruzione storica, ma soprattutto un guadagno di nuove forme, di nuove visioni, di ampliamenti della nostra esperienza artistica ed umana”.

PIER NICCOLO’ BERARDI, L’AMICO di MARCO ROMOLI (marcromoli@hotmail.it)

Casa di Riccardo Muti, Ravenna, 1974– Collaborazione tra Berardi e Romoli

Ho collaborato per venticinque anni con Pier Niccolò Berardi; è stata un’esperienza unica, che ha lasciato un impronta fondamentale anche nel mio essere architetto. Quando nel 1964 frequentavo il secondo anno della facoltà di Architettura a Firenze, un po’ per non pesare del tutto sulla mia famiglia, ma più che altro per acquisire una dimensione meno teorica, più concreta del fare architettura, ebbi la fortuna di conoscere Berardi in un momento particolare della sua vita professionale: stava chiudendo il suo studio a Firenze, con l’intenzione di spostare la sede del suo lavoro nella villa di Montececeri, la sua splendida abitazione. Mio padre, il pittore Mario Romoli, amico e frequentatore dell’ambiente artistico di Berardi, mi propose come possibile collaboratore. Lui mi

L’Associazione Bastioni é un’associazione senza scopo di lucro costituita nella sua maggioranza da restauratori e conservator i professionisti specializzati in diversi settori del restauro delle opere d’arte. Lo scopo dell’associazione é quello di svolgere ricer che su materiali quotidianamente usati nel campo del restauro, studiare soluzioni alternative alle tante problematiche ancora esistenti nel se ttore, nonché approfondire la conoscenza delle tecniche artistiche usate nel passato. L’Associazione Bastioni vuole essere una sede aperta al dialogo e allo scambio quotidiano fra i tanti professionisti che lavorano nel campo del restauro. Lavoro che, come ben sappia mo tutti, richiede passione, rispetto, onestà, ed un’infinita voglia di conoscenza.

Novantatre rosso

DIRETTORE RESPONSABILE Francesca Attardo attardo.f@gmail.com

EDITORE Associazione Bastioni PRESIDENTE Daniela Murphy associazionebastioni@gmail.com

Sede legale: Via San Niccolò 93r 50125 Firenze

TIPOGRAFIA Tipografia RISMA di Barbagli Simone Via degli Alfani 22r 50121 Firenze


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