Galleria Canesso Lugano - Petrini ritrovati

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Petrini a Vevey

Alessandro Morandotti

Sorprende davvero ritrovare, nella residenza settecentesca di un’illustre famiglia del Canton Vaud, materiali di studio di un pittore che sembrerebbe più logico rintracciare alla sua morte nell’inventario di bottega. Dipinti molto distanti per tema iconografico e grado di finitura, ma legati dalla comune autografia, qualificano lo stretto rapporto tra Giuseppe Antonio Petrini e la famiglia d’Herwarth, radicata a Vevey nella prima metà del Settecento. I ritrovamenti documentari molto importanti di Manuela Kahn-Rossi hanno cominciato a fare chiarezza, almeno in parte, sulle ragioni di queste presenze, ma se la figura allegorica femminile delineata in un rapido bozzetto (cat. 1a) si ritrova, grazie alla ricerca della studiosa, su un soffitto del distrutto palazzo di città della famiglia d’Herwarth documentato da un’antica fotografia, a quale decorazione sarà invece stato destinato il suo pendant con un giovane uomo che ascende in cielo tra le nuvole (cat. 1b)? Difficile pensare a un soggetto profano da vedere realizzato in un’altra stanza di quel perduto palazzo di cui peraltro non abbiamo tracce, visto che la presenza contestuale della foglia di palma e della freccia appena visibile tra le mani di uno dei putti in volo non possono che alludere a una gloria di un santo, e di san Sebastiano nel caso. Si tratta quindi di bozzetti di lavoro da impiegare in contesti diversi o forse solo da adattare alle esigenze della committenza, con modifiche anche iconografiche. La qualità luminosissima di questi ritrovati modelletti restituisce il talento di Petrini decoratore, capace di accendere le cromie con toni brillanti certo desunti dal confronto con le opere dei grandi frescanti delle terre dei laghi, e con Carlo Innocenzo Carloni innanzitutto. I blu come di smalto dei cieli, il rosa acceso del panneggio dell’allegoria femminile, le figure scattanti sono molto in linea con le scelte dei grandi decoratori lombardi del tardo barocco, anche se interviene sempre il pedale di smorzo tipico di Petrini, e i carnati si velano di una patina brunita che è solo sua. Sono più o meno gli anni delle decorazioni di Palazzo Riva a Lugano, che sono attestati negli studi intorno agli anni Quaranta del Settecento. Di fronte a questi bozzetti materici e sontuosi sorprende la ‘povertà’ esecutiva e compositiva del dipinto con una giovane donna in una stanza disadorna (cat. 4), opera volutamente trascurata nella tecnica compendiaria, qualità specifica di stesura accentuata anche dai danni conservativi (il quadro è sopravvissuto a una serie di incendi, come ci racconta Chiara Naldi nella scheda relativa). Il riconoscimento del soggetto non è immediato, ma si dovrebbe trattare di una versione semplificata, e domestica, della storia di Lucrezia, al cui suicidio allude il pugnale appoggiato sul tavolo. Non vedo molte alternative, visto che l’atteggiamento della giovane dall’aria malinconica non è quello di una santa. È pur vero che santa Giustina è uccisa con un pugnale, ma essa è sempre riccamente abbigliata e l’ambientazione della scena del suo martirio in una stanza non è consueta. Una lettura molto personale delle iconografie che non sorprende in un pittore sempre eccentrico come Petrini. Al più consueto repertorio del pittore ticinese rimandano infine i due vecchi sapienti (cat. 2 e 3), uno solo dei

fig. 1 (a sinistra) Pittore attivo ante 1760, Veturia e Volumnia davanti a Coriolano, dettaglio degli affreschi parietali del Salone d’onore del castello di Hauteville, St-Légier-La Chiésaz

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