Artribune #67

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IN APERTURA / FARNESE / PARMA

L’arte dei Farnese alla Pilotta di Parma Livia Montagnoli

una piccola parte: si tratta di un cantiere ambizioso, ne apprezzeremo i risultati tra un anno.

N

egli ultimi cinque anni, il complesso monumentale della Pilotta ha cambiato volto. O meglio, ha ritrovato la sua identità. Il percorso di rinascita ha coinciso con la nomina alla direzione di Simone Verde all’inizio del 2017. Fino al suo arrivo, il monumentale edificio voluto dai Farnese – prestigioso vessillo di una corte cosmopolita con mire teocratiche – ed ereditato dai Borbone aveva finito per assommare una serie di nuclei museali giustapposti, con ingressi separati, che penalizzava la visione d’insieme di un magniloquente progetto politico e culturale. Anche come entità museale, del resto, la Pilotta – che oggi raccoglie un’imponente collezione di oggetti preziosi, libri, documenti, opere d’arte, reperti archeologici, oltre a custodire il teatro ligneo della corte seicentesca, ricostruito dopo i bombardamenti del ’44 – fu concepita precocemente come unità complessa, ma discendente da un progetto unitario, che in questi anni si è puntato a recuperare. Oggi la Pilotta è ancora un cantiere aperto. Ma moltissimo è già stato fatto. Testimonianza ulteriore della rinascita che si respira visitando la “nuova” Pilotta è la mostra sui Farnese. A ventisette anni dall’ultima esposizione sul tema, l’approccio si è concentrato sulla committenza del potente casato per indagarne l’affermazione sulla scena politica e culturale tra il XVI e il XVIII secolo. L’arte, dunque, diventa strumento di legittimazione e proprio il complesso della Pilotta conferma l’assunto.

INTERVISTA A SIMONE VERDE 2017-2022. Sono trascorsi cinque anni, non semplici, perché “interrotti” dalla pandemia. Il programma di rinnovamento e riallestimento della Pilotta, però, è andato avanti. È stato, ed è ancora, molto faticoso, non posso negarlo. Ma tutto ciò che avevamo previsto si sta concretizzando. E con il Covid abbiamo fatto di necessità virtù, avendo ben presente il fatto di essere alle prese con un unicum: la Pilotta è l’unico museo enciclopedico d’Italia. Come si lavora per non snaturarne l’identità? Ogni contesto ha una storia a sé, non esiste una regola univoca. Si può però sviluppare una prassi: io ho applicato dei metodi di management culturale che si usano in tutto il mondo. Centrale è il discorso sulle mostre, che devono essere utilizzate come momento di

È difficile allestire un percorso museale in uno spazio così articolato, per fornire ai visitatori la possibilità di comprenderlo? In Italia abbiamo un’idea un po’ strana di museo, legata alle vecchie gallerie principesche: entri, contempli, esci con immagini meravigliose negli occhi, hai fatto un’esperienza immersiva, e finisce lì. Un museo non è questo. Un museo sta all’arte come una biblioteca sta ai libri: tu entri, chiedi in prestito il libro che ti serve, lo leggi, approfondisci un tema; se scopri qualcosa che non conoscevi, e ti incuriosisce, ti ritrovi ad approfondirla. Anche il museo funziona così, è un luogo in cui puoi aprire mille cassetti, e ci si torna a più riprese, per aprirne ogni volta uno diverso. Un museo è un luogo dove si vive, si torna. E dev’essere piacevole da vivere. I pubblici sono molteplici e diversi: sta a noi fornire un’offerta che generi un desiderio di scoperta. I musei possono avere un ruolo nel sollecitare un cambio di passo? I musei devono essere questo, uno strumento di educazione e istruzione permanente, che serva alla società per essere al passo della ricerca scientifica. Luoghi dove si condividono nuove acquisizioni e si attualizza il senso dell’istruzione ricevuta. Ma il museo è anche il luogo in cui si fa istruzione per recuperare il senso civile dello stare in comunità. I musei sono fondamentali, in questo Paese tanto più che in altri. consacrazione scientifica e non come specchietto per attirare i turisti, che nel secondo caso diffonderebbero un’opinione sbagliata e non qualitativa del luogo e di quello che facciamo. A che punto è arrivato il riallestimento? Cos’è stato fatto e cosa si farà ancora? Abbiamo già riallestito diversi spazi: restituendo dignità alla collezione dei fiamminghi; restaurando i saloni borbonici; riallestendo la Rocchetta Viscontea legata al mecenatismo ottocentesco di Maria Luigia, con opere che tracciano il fenomeno della riscoperta di Correggio in ambito parmigiano nel XIX secolo. Ma abbiamo anche recuperato nei depositi opere del periodo manierista, finora bistrattate, restaurandone alcune che giacevano in condizioni pessime. Non meno importante è il lavoro avviato nella Biblioteca Palatina: ci sono state nuove acquisizioni importanti. Del Museo Archeologico, invece, è stata completata solo

Del fatto che la cultura debba essere una risorsa economica, però, anche in Italia si inizia a prendere consapevolezza... Sul concetto di risorsa economica io ho molti dubbi, se non in termini di impatto indiretto. La cultura produce delle esternalità, perché rende il sistema Paese più coeso e qualitativo. I musei si reggono su una scommessa uscita dalla Rivoluzione francese: la liberazione degli uomini dal bisogno produce una creatività che avvantaggia il sistema economico e lo rende più competitivo. È una intuizione illuminista: la ragione svincolata dalla materia produce opulenza e benessere. Che poi è il principio su cui si reggono le democrazie. Se vogliamo che i musei siano risorsa economica, dunque, devono essere concepiti come strumento di creatività, centri di ricerca e innovazione, di formazione permanente, in grado di alimentare una società molto più competitiva, e dunque più ricca.


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