Era l’America. E forse lo è ancora. Parliamo di pratiche accessibili. Della capacità di alcuni musei, ricercata e resa metodo, di rendersi spazio di partecipazione e condivisione per tutti. Una nuova inchiesta di Artribune Magazine.
linee guida indicate per l’accessibilità. La legge è quasi ovunque rispettata e diversi musei hanno nel proprio staff una persona incaricata esclusivamente del suo studio e della sua applicazione. 2. Il linguaggio. La lingua cambia costantemente il proprio lessico col crescere della consapevolezza sociale, rendendo inappropriate parole considerate d’uso comune fino a poco tempo prima. È un discorso sempre attuale, affrontato da più parti anche in Italia, per il quale termini come ‘handicappato’ o ‘diversamente abile’ non sono più ritenuti corretti. La persona ora è riportata al centro (people-first language) e la disabilità definita solo in seconda istanza, quale una fra le sue molteplici caratteristiche. “People with disabilities” rimane quindi anche qui l’espressione più usata. 3. I modelli di percezione. Da un modello della disabilità di tipo medico a uno sociale, la disabilità è interpretata non più alla stregua di una malattia ma come conseguenza di fattori ambientali
e sociali. È il contesto, infatti, che pire tutti, manifestarsi con l’età o genera una difficoltà e la enfatiz- in via temporanea, e la già citata za. Una scala all’ingresso di un rampa sarà utile anche a chi conmuseo, intesa quale unico acces- duce un passeggino. so, impedirà di entrare a una perDate per assodate queste quesona su sedia a rotelle. Qualora ci stioni (le stesse sulle quali ci si fosse una rampa, la disabilità non confronta anche in Italia), è qui rappresenterebbe un problema. possibile indagare in profondi4. L’Universal Design e l’Unità altri aspetti più specifici versal Design for Leare meno noti. Si parla ning. In questo caso molto di formazioci si riferisce all’ane del personaDa un modello dozione di mele, di suppordella disabilità di tipo todi per la proto emotivo, gettazione (di dell’inclusione medico a uno sociale, la luoghi, oggetti, delle persone disabilità è interpretata informazioni e con disabilità non più alla stregua di comunicazioni) di provenienuna malattia adatti a tutti. za straniera, di “One size doesn’t best practice per fit for all” è il motto la linearità dedi un approccio che fa scrittiva, di della flessibilità una stratevalutazione, di gia in grado di offrire a ogni in- supporti tecnologici e molto altro dividuo le stesse opportunità. La ancora. Ci si confronta fra profescondizione di partenza è quindi sionisti diversi per competenze, l’analisi dei fruitori, escludendo in un mercato delle professioni qualsiasi concetto di normalità più strutturato del nostro, sopratarbitraria. La disabilità è concepi- tutto per opportunità di aggiornata quale condizione che può col- mento e crescita. Più in generale,
quello dell’educazione museale è un ambito dinamico. Con il supporto di centinaia di volontari (in alcuni musei si calcolano anche due anni di attesa), chi conduce le attività sono principalmente i contractuals, affiancati da personale dedicato all’accessibilità. Con veri e propri dipartimenti finalizzati a promuovere l’inclusione. I maggiori musei hanno un gruppo di lavoro dedicato ai pubblici con disabilità o, più facilmente, la riflessione pragmatica su questi temi si sviluppa nel più ampio ambito di coinvolgimento delle comunità (territoriali, straniere, associative e molto altro ancora). Advocacy, la chiamano qui. È il farsi portavoce di qualcuno e dei suoi interessi, e far sì che l’istituzione di cui si è parte si dimostri rispettosa, accogliendone le istanze a favore della partecipazione. Di advocates, nel corso di questo viaggio, ne abbiamo incontrati moltissimi. Il presupposto implicito del loro lavoro risiede in un principio di collaborazione
ATTUALITÀ
49