Mestieri d'Arte e Design - AMORE

Page 1


270 YEARS OF DOING BETTER IF POSSIBLE

ANNIVERSARY

NEL 1755 A GINEVRA INIZIA UNA RICERCA. UNA RICERCA DI ECCELLENZA NELL’ALTA OROLOGERIA.

UNA RICERCA DI PASSIONE, PERSEVERANZA E MAESTRIA. UNA RICERCA PER “FARE MEGLIO SE POSSIBILE, ED È SEMPRE POSSIBILE”.

UNA RICERCA CHE NON FINISCE MAI.

VACHERON CONSTANTIN CELEBRA LA RICERCA DELL’ECCELLENZA DA 270 ANNI.

LA FORZA PIÙ DIROMPENTE

Capace di costruire ponti e generare bellezza, l’amore è anche l’arte di trasformare il quotidiano in qualcosa di eterno. Attraverso le mani e il cuore dei maestri artigiani, riscopriamo gesti antichi che ridanno dignità al fare, al collaborare, all’aprirsi agli altri.

Alberto Cavalli

Viviamo in un tempo in cui l’amore è costantemente e giustamente presentato come antidoto alla paura e alla solitudine, ma in cui nessuno è davvero persuaso della bellezza dello stare insieme: viviamo gli uni accanto agli altri ma siamo sempre più individualisti e concentrati su noi stessi, sempre meno capaci di un gesto d’amore verso l’altro e meno che mai verso la collettività.

Simili a persone che pensano unicamente alla propria sopravvivenza e poco si curano di quella altrui, anche noi spesso ci concentriamo sul significato più intimo e personale dell’amore e dell’affetto ed escludiamo dalla nostra vita la sua componente sociale e collettiva, fatta anche di impegno e sacrificio, colorata spesso dalle tinte poco popolari dell’abnegazione e dell’altruismo.

Lo scambio degli oggetti prende il posto della comunicazione tra i soggetti, e il contenuto stesso della comunicazione si disperde in un pulviscolo di pretese e rimostranze, di chiusure, di immobilismi che prendono il posto dell’apertura verso l’altro.

Con questo numero di Mestieri d’Arte & Design, dedicato al tema dell’amore, abbiamo voluto raccontare tante storie diverse e (speriamo) dissonanti rispetto a questo scenario.

Storie di maestri artigiani che celebrano la forza più dirompente del mondo, appunto l’amore, attraverso il loro

lavoro e la loro ispirazione; di individui che hanno dedicato la loro intera vita alla professione che amano e che rende speciali i loro giorni; di manifatture, botteghe, imprese, popolate da persone che collaborano, che dialogano, che non si fanno scoraggiare dall’apparente banalità del presente e che ogni giorno, con coraggio e passione, rispolverano gesti antichi per conferire ai mestieri d’arte la dignità di professioni che rendono ricche e preziose le nostre vite.

Siamo tutti un po’ diseducati ad amare: ma le nostre omissioni d’amore sono spesso atti di pigrizia, di ignoranza o di sfiducia. Ed è proprio quando la sfiducia e la tristezza ci attanagliano, proprio quando tutto sembra ormai per sempre segnato e perduto, che la bellezza diventa una possibilità reale, autentica, concreta.

Gli esempi che abbiamo scelto di raccontare su questo numero della nostra rivista, scegliendo con cura storie, visioni e talenti, toccano tanti aspetti di questa bellezza generata dall’amore, che ogni giorno si concretizza in forme inaspettate e suggestive.

Sono storie vere, che si arricchiscono continuamente di nuovi capitoli: perché sempre nuovo è il sentimento che proviamo per ciò che ci affascina, che ci seduce e che ci fa sentire felici. L’amore, appunto.

Buona lettura! •

7 EDITORIALE

La forza più dirompente

Alberto Cavalli

20 Album

Stefania Montani

Stefania

Giovanna Marchello

Un suono che tutto può

Giuditta Comerci

Il Maestro che scolpisce l’anima delle conchiglie

Anna Carmen Lo Calzo

Fatti a mano, per colpire al cuore

Federica Capozzi

Pantone Color Cioccolato

Giacomo Bullo

Jean Blanchaert

Paola Carimati

Francesco Rossetti Molendini

LE OPINIONI

16

Il respiro del Mediterraneo

Ugo La Pietra

18

Pegni d’amore

Domitilla Dardi

114

La melodia dell’amore

Franco Cologni

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Semestrale – Anno 16 – Numero 30 - Aprile 2025 mestieridarte.it

DIRETTORE RESPONSABILE

Alberto Cavalli

DIRETTORE EDITORIALE

Franco Cologni

DIREZIONE ARTISTICA

Lucrezia Russo

CONSULENTE EDITORIALE

Ugo La Pietra

REDAZIONE

Susanna Ardigò

Alessandra de Nitto

Lara Lo Calzo

Francesco Rossetti Molendini

TRADUZIONI

Traduko

Giovanna Marchello (editing e adattamento)

PRESTAMPA E STAMPA

Grafiche Antiga Spa

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it

© Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

PUBBLICITÀ E TRAFFICO

Mestieri d'Arte Srl

Via Statuto, 10 - 20121 Milano

IN COPERTINA:

Heart of Gold, cuore n. 33, porcellana. Vaso della collezione In alto i cuori realizzata da Studio Elica. Ogni creazione è un omaggio all’amore interpretato attraverso un linguaggio universale che i Maestri ceramisti Elisabetta Bovina e Carlo Pastore elaborano dal 2009.

Artigiani della parola

I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana (www.tipoteca.it)

Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata in materiali contemporanei.

Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). È stato curatore della sala Best of Europe di Homo Faber 2018 e della sala Next of Europe dell’edizione 2022, alla Fondazione Cini di Venezia. È autore del volume dedicato ai maestri del vetro di Murano Musica senza suono (Marsilio Editori/  Fondazione Cologni).

Dopo la laurea in Relazioni internazionali intraprende la sua carriera professionale nel mondo della gastronomia diplomandosi ad ALMA e da qui colleziona diverse esperienze nella sfera ristorativa italiana. È Communication Manager di ALMA e autore per alcune testate e guide di settore come Passione Gourmet e Le Guide de L’Espresso ai ristoranti d’Italia, come narratore amante del buon cibo in tutte le sue forme ed espressioni.

Giornalista e podcast producer, racconta storie da quando si ricorda, per la carta stampata, per il web e con la voce. Negli anni si è occupata di attualità, lifestyle, spettacolo, design e alto artigianato. Ama viaggiare. Quando non è in giro per il mondo, cerca il mondo a Milano, dove vive.

Architetta per formazione, giornalista per professione, intreccia ricerca e attualità sin dai tempi della laurea al Politecnico di Milano. La scrittura è una pratica maturata sul campo: ieri, nella redazione di Elle Decor Italia, oggi con importanti testate italiane e straniere, Ed. Domus, Il Salone del Mobile, Mondadori, Rcs e Yatzer. Design coach e community builder, è co-founder di We Mediterranean.

Ricercatrice e curatrice di eventi culturali, è direttore artistico dell’Associazione Noema per lo studio e la promozione della cultura musicale. È cultore della materia Mestieri d’arte e bellezza italiana al Politecnico di Milano dal 2015 e coautrice de Il valore del mestiere (Marsilio Editori/ Fondazione Cologni, 2014).

Storica e curatrice indipendente di design, dal 2019 è co-fondatrice e curatrice della fiera del design d’autore EDIT Napoli. Attualmente insegna allo IED di Roma, è curatrice per il Design di Arte Sella, è membro del comitato scientifico di Interni ed è autrice di più di trenta monografie e saggi.

Federica Capozzi
Giacomo Bullo
Paola Carimati
Giuditta Comerci
Domitilla Dardi

Artista, architetto, Compasso d’Oro, designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, pubblicazioni, didattica nelle Accademie e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

Ex modella internazionale, musa ispiratrice di stilisti come Gianfranco Ferrè e Giorgio Armani, archiviate le sfilate e i servizi fotografici, ha trasformato in professione la passione per il mondo del lusso e del made in Italy. Giornalista pubblicista dal 2003, è scrittrice e consulente di comunicazione.

Giovanna Marchello

Dopo una lunga carriera nel global business development e licensing maturata in prestigiose maison italiane, dal 2011 si occupa dello sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali e culturali, anche nel Terzo Settore, specializzandosi nell’ambito dell’artigianato d’eccellenza.

Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell’artigianato.

Esperto di comunicazione per il mondo dell’alta orologeria e del lusso, per cui lavora per anni, è consulente della Fondazione Cologni per i Mestieri d’Arte sul progetto Wellmade e ha fatto parte del team di Homo Faber 2022. Ha in corso collaborazioni editoriali con La Stampa, Icon e Homo Faber Guide.

Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di Homo Faber. Dal 2020 dirige la Homo Faber Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

Stefania Montani
Anna Carmen Lo Calzo
Ugo La Pietra
Andrea
Alessandro Pilot
Two blown glass pieces where sand flows, taking on its colour and becoming part of it. A new series of hourglasses enriches the collection designed by Fulvio Bianconi and Paolo Venini, time will not pass unnoticed. CLESSIDRA SOMMERSA / Designer: Fulvio Bianconi and Paolo Venini.

certifi

ato da ugo l a pietra

Il respiro del Mediterraneo

C’è un materiale che attraversa i secoli e collega le rive del Mediterraneo, oltre le differenze di lingua, religione e cultura: la ceramica. Custode di una tradizione millenaria, racconta di artigiani che, con amore e dedizione, modellano la memoria di un territorio e i suoi simboli.

Oggi siamo tutti consapevoli della profonda differenza che esiste tra i tanti stati bagnati dal mar Mediterraneo: differenza di lingua, di costume, di politica, di economia, di religione. Un tempo, quando il Mediterraneo si chiamava mare nostrum queste differenze non esistevano: dalla Tunisia al Libano nascevano città a imitazione di Roma. Mosaicisti, scalpellini, ceramisti erano tutti legati tra loro grazie all’unità politica e culturale del Mediterraneo.

Di tutto questo grande patrimonio culturale riferito al “fare” non rimane quasi nulla. Dico quasi perché, a ben guardare, esiste ancora qualcosa che lega tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo: la lavorazione della ceramica. La ceramica, quella con i decori blu, la ritroviamo da Albisola a Tunisi; è una ceramica fatta dagli artigiani che, eredi della grande tradizione, oggi conservano e rinnovano questa antica arte.

Sono artigiani che con le loro opere mantengono in vita l’amore per il Mediterraneo e per la lavorazione artistica della ceramica; un amore sofferto perché troppi sono i motivi che contrastano questa comune passione. L’immagine di un territorio, una volta omogeneo, è ancora presente tra i nostri artigiani: basterebbe pensare alle ceramiche di Vietri sul Mare. Tutti, o quasi, conoscono la storia di quegli artisti tedeschi che negli anni Venti del Novecento decisero di fermarsi nello stupendo golfo di Amalfi dedicandosi alla lavorazione della ceramica.

Una lavorazione che doveva esprimere i valori della cultura mediterranea che aveva caratterizzato per millenni quel vasto territorio; dopo una lunga esplorazione in tutti i Paesi bagnati dal Mediterraneo, questi artisti decisero che il simbolo che li accomunava tutti era l’“asinello”, una presenza fondamentale, a quei tempi, per la cultura contadina. Ancora oggi, a Vietri sul Mare, viene modellato dai bravi ceramisti l’asinello che sorride sempre e che si distingue per il colore verde ramino.

L’amore per un territorio è spesso alla base del nostro migliore artigianato, un amore che accomuna tutti gli artigiani di diverse regioni, nel tentativo di mantenere in vita (in una società sempre più coinvolta nel mondo virtuale) la cultura del fatto a mano.

Un amore ancora talmente diffuso tra i nostri artigiani da sostenere la teoria di un design territoriale, orientando così il progetto in opposizione alla “globalizzazione” per esaltare le “diversità”. •

La

da

Amore Mediterraneo, un abbraccio sofferto per le troppe spine! Ceramiche di Ugo
Pietra realizzate
Giovanni D’Angelo, Polizzi Generosa (Palermo), 2000. Foto: Laura Fantacuzzi.

Tra ago e filo si creano storie, si tramandano legami, si esprime l’amore.

Ogni punto ricamato è un gesto di cura, un pegno d’affetto che attraversa generazioni e culture.

Ma quando il filo diventa voce, anche il più piccolo gesto può trasformarsi in una rivoluzione.

Pegni d’ amore

Quando si pensa agli oggetti e all’amore vengono in mente i “pegni d’amore”. Più feticci che semplici cose d’uso pratico, essi si caricano del valore del sentimento che lega mittente e ricevente, chi regala e chi riceve. In antropologia si studia come i riti di passaggio legati all’unione spesso si accompagnano con lo scambio di oggetti, tanto che Marcel Mauss proprio a questa pratica dedicò uno dei suoi scritti fondamentali, il Saggio sul dono. In molte culture l’atto di fidanzamento passa attraverso il donare un gioiello, molto spesso un anello, ma non solo. Infatti, nelle culture arcaiche e rurali è altrettanto frequente l’uso da parte del fidanzato di regalare alla promessa sposa fusi e aghi, ovvero gli strumenti di cucito e ricamo che preludono alla creazione del corredo, dote economica, ma anche simbolica, nonché iniziazione a una delle arti manuali in cui per secoli si è identificato il fare femminile. Il corredo riguarda non solo la produzione di un bene che accompagna l’atto nuziale, ma anche la gestione di un tempo e di una cura che spesso vengono identificati con il valore artigianale. I piccoli punti, il ricamo più o meno prezioso, sono un lavoro collegiale, dove un’intera famiglia, nel suo ramo femminile, è impegnata per mesi e anni al fine di tradurre in un bene materiale la condivisione, l’abilità, ma anche il tempo espanso di un fare. I fili, che servono materialmente a crearlo, sono anche quelli delle storie di vita che si accompagnano alle ore della lavorazione. Tanto che textere è radice comune sia per il tessuto che per il testo.

Il corredo è un bel simbolo di quanto ancora oggi si associa al concetto di alto artigianato: il valore è nelle abilità di chi lo esercita e nel tempo che vi dedica. Ma questa sarebbe una visione solo nostalgica e limitata. La storia del cucito e del ricamo è costellata di casi in cui, dietro alla grande massa delle ripetizioni pedisseque di punti e ricami, si celano atti di cura, guarigione, denuncia, rivendicazione, rivoluzione. La tecnica, liberata dalla monotonia, può rivelare storie più complesse della sola costruzione di una dote economica, che fa da sostegno a una vita femminile nel momento in cui passa dalla giurisdizione paterna a quella maritale. Lungo il solco tracciato dai fili c’è l’amore delle madri per le loro figlie e per i loro figli. Non a caso, la rivolta delle “Madres de Plaza de Mayo” venne fatta attraverso ago e filo: alla metà degli anni Settanta ogni giovedì le madri dei desaparecidos della rivoluzione argentina si presentarono con un fazzoletto annodato in testa sul quale avevano ricamato il nome e la data dei loro figli che il dittatore Jorge Rafael Videla e il suo governo dicevano non esistere, non essere mai nati. Ragazzi inesistenti per il regime, ma immortalati nel ricamo delle loro madri che sfidavano le autorità armate di un fazzoletto, come il più alto pegno d’amore.

La tecnica e lo strumento che le voleva mute e accondiscendenti divennero la loro voce. •

singola pub

Photo: welldoneagency

Album

Giolina e Angelo

Via Solferino 22 a 20121 Milano

Tel. 02 653770

giolinaeangelo.com

Uno spazio scintillante, anzi due: le vetrine che si affacciano su via Solferino incantano per la delicatezza dei loro gioielli. Sono creati artigianalmente da Angelo, Giolina e Giammarco Mereu, rispettivamente padre e figli, che nello spazio retrostante il negozio hanno allestito il loro laboratorio orafo. «Ma alcune operazioni, quali le incisioni, le realizziamo anche qui sul banco davanti ai nostri clienti quando ce le chiedono», racconta Giammarco, che ha ereditato dal padre la straordinaria abilità dell’incisione a mano libera. Angelo, arrivato a Milano giovanissimo dalla Sardegna per raggiungere i fratelli orafi, ha aperto il suo spazio a Brera negli anni Novanta e ha saputo trasmettere ai suoi figli, oltre alle tecniche, anche la passione per il suo mestiere. Le proposte di questa gioielleria sono molteplici e spaziano dagli anelli con le iniziali doppie ai bracciali con i nomi scritti in corsivo con un unico filo d’oro, dai ciondoli alle catene girocollo impreziosite da perle, pietre dure e smalti, dai gioielli in oro 18 carati a quelli in argento placcato o smaltato. Tutto può essere personalizzato e creato su ordinazione. La linea Labouré

(quella dedicata alla madonnina di Rue du Bac a Parigi) è forse una delle più rappresentative, con tutti i ciondoli portafortuna cornetto e occhio, o anche Crescent Moon, che rappresenta il simbolo della luna crescente ed è un buon augurio per i nuovi inizi. «Molti clienti vengono a scegliere i gioielli da regalare alle loro amate per celebrare delle ricorrenze o degli eventi speciali», racconta Giammarco. «Spesso ci chiedono di incidere date e monogrammi, frasi o anche poesie: mi è capitato perfino di scrivere il Cantico delle creature di San Francesco sopra un ciondolo d’oro a sfera». Un lavoro da monaco amanuense, raro ai nostri giorni, in cui Angelo e Giammarco sono veri maestri.

Un capitolo a parte meritano gli Invisibili di Giolina e Angelo, brevettati da loro una quindicina di anni fa: sono delle collane girocollo elastiche trasparenti, senza chiusura, con diversi tipi di ciondoli in smalto a cuore, a fiocco di neve, a stella, o soggetti portafortuna. L’ultimo nato è il quadrifoglio. Hanno la particolarità di sembrare sospesi nel vuoto, senza sostegno: come una piccola magia, spesso d’amore.

Renzo Bighetti

Piazza Staglieno 40 19015 Levanto (SP) Tel. 018 7807754 Cell. 339 6839670 ilnodoonlus.org

Scultore, pittore, fotografo, architetto, uomo di mare e sub: difficile incasellare Renzo Bighetti in una sola categoria perché le sue attività e la sua verve creativa coprono tantissimi settori. Straordinari i suoi pesci realizzati in ferro battuto e bronzo, che testimoniano la sua passione per la natura, che osserva con grande attenzione tanto da riuscire a riprodurla nei particolari più minuziosi. «Il mare è la mia fonte di ispirazione», confida. «Mio padre era ebanista e ho ereditato da lui la passione per il lavoro manuale: ho iniziato con il legno». Bravissimo anche nel disegno, ha realizzato delle matite sui cetacei che sono stati racchiusi in cartelle proposte nel bookshop dell’Acquario di Genova.

Nel suo ampio laboratorio Bighetti crea anche tavoli, cancelli in ferro battuto, piatti decorati con piccoli animali quali rane, granchi, moscardini. Passando con disinvoltura dalle sgorbie, alle pinze, alle mole, alla fiamma ossidrica, realizzando sia complementi d’arredo che opere di grandi dimensioni. Le sue sculture, sempre originali, sono anche state

richieste per decorare degli spazi pubblici, come la grande cavalletta che domina una piazza di Levanto, sua città natale, o il monumento ai Fanti della Prima guerra mondiale, da pochi mesi installato a Sala Baganza. Una delle sue creazioni più amate sono i “nodi a gassa d’amante”, magnifici bracciali in argento  925 e in oro che Bighetti lavora a mano con estro e cura sopraffina. «Tutto è cominciato per caso, una trentina di anni fa, quando un’amica mi ha chiesto di realizzare un bracciale a soggetto marinaro che desiderava donare a una compagna di veleggiate. Ho iniziato a fare dei prototipi in ferro e in rame, studiando l’aggancio più adatto. È stato complicatissimo. Alla fine, ho trovato la soluzione e ho iniziato a creare i bracciali a mano». Uno diverso dall’altro, preziosi per la loro unicità ed eleganza, battuti a fuoco e piegati a mano. «Con lo stesso soggetto ho fatto anche collane, gemelli, fibbie per cinture, portachiavi». L’eclettico Bighetti ha anche aderito a delle iniziative benefiche e sociali andando in Cambogia, a Phnom Penh dove ha tenuto dei laboratori per insegnare ai giovani artigiani locali l’arte argentiera. «L’associazione si chiama Il Nodo, dal mio logo, e si occupa di progetti di sanità, istruzione e formazione per i giovani delle fasce più disagiate. La Bottega dell’Arte è una scuola di artigianato e di design (e di vita), dove i ragazzi imparano a lavorare le materie prime raggiungendo una buona formazione professionale. Un modo concreto di migliorare l’economia e la vita di tante famiglie», conclude Bighetti. «Il Nodo offre loro uno stipendio di apprendistato (diaria) e un pasto al giorno per tutta la durata dei corsi. Oltre a donare loro un lavoro per la vita».

Bottega Ghianda

Via Pisoni 2

20121 Milano

Tel. 02 87201362

bottegaghianda.com

Un celebre laboratorio dell’eccellenza artigianale italiana e un geniale designer dalla sbrigliata creatività. Stiamo parlando della famosa parola Amore del grafico e designer Pino Tovaglia, che negli anni Sessanta, dopo studi sulla sovrastampa delle lettere di una stessa parola, riuscì a creare alcune opere la cui lettura andava in profondità. Tra queste la scultura Amore, che grazie all’abilità della Bottega di Pierluigi Ghianda e dei suoi straordinari ebanisti prese forma in essenze pregiate di legno, quali acero, noce e pero, con le cinque lettere che si incastrano una nell’altra fino a formare un cubo perfetto. Una scultura molto simbolica di sintesi tra grafica, poesia e design che è tuttora riprodotta in laboratorio in due dimensioni: 6x6cm, 12x12cm. Quando nel 2015 Romeo Sozzi, proprietario di Promemoria, acquistò Bottega Ghianda, tra i pochi laboratori artigianali che possono dirsi ai vertici dell’arte dell’ebanisteria nel mondo, decise di preservarne l’unicità. Dopo il trasferimento da Bovisio-Masciago

a Valmadrera, è stato dedicato un reparto in azienda solo alle produzioni dei famosi pezzi dei Maestri Iginio e Pierluigi Ghianda. Così, grazie a una squadra di maestri ebanisti, continuano a prendere vita oggetti e complementi d’arredo con le antiche tecniche dell’incastro, con essenze preziose, con poca colla e niente chiodi, tutti realizzati e rifiniti a mano. Nel 2023, per celebrare i cento anni dalla nascita di Pino Tovaglia, Bottega Ghianda ha riprodotto l’opera anche nella grandezza di 98x98cm. È bello ricordare che nel 1981 un comitato scientifico d’onore donò al Consiglio d’Europa a nome dell’Italia la scultura di Tovaglia realizzata in marmo nel formato di 3,3x3,3m. Dopo aver ricevuto la benedizione di Papa Giovanni Paolo II, il monumento Amore è stato posizionato a Strasburgo come simbolo di fraternità… Un augurio di pace per il Consiglio d’Europa di Strasburgo e per tutti noi.

Guri I Zi

Via San Nicolao 10 20123 Milano Tel. 02 76013940 guriizi.com

Quella di Guri I Zi è una bella storia fatta di artigianato, creatività, generosità, capacità imprenditoriale sociale. Artefice di tutta l’organizzazione è una

giovane donna che nel 2006 ideò

Idee Migranti onlus e ne fece la sua tesi di laurea universitaria: Elena Galateri di Genola. «ll progetto di microimprenditorialità femminile nel settore tessile prevedeva di recuperare un’antica tradizione albanese andata perduta. Il mio obiettivo era di fornire un’opportunità di reddito alle donne appartenenti alle fasce più deboli della comunità di Guri I Zi (da cui il nome del progetto) e valorizzare allo stesso tempo l’antica tradizione tessile albanese». Il successo è stato grande se si pensa che l’attività iniziata con un primo gruppo di quattro donne nel 2006 oggi ne coinvolge circa una trentina, senza contare le ricamatrici. I filati provengono da aziende italiane: un pregiato cotone egiziano per l’ordito e un cotone pettinato, di ottima qualità, oltre al lino puro al 100%. «Abbiamo sviluppato negli anni un’ampia gamma di prodotti», illustra Elena Galateri. «Realizziamo tovaglie, servizi all’americana, porta torte, copriletti, cuscini, canovacci, presine, buste porta oggetti, borse da viaggio. Tutto personalizzabile con cifre e su ordinazione nelle dimensioni e nelle tonalità desiderate». Ma l’energia creativa e l’entusiasmo della dinamica imprenditrice non si sono limitati al progetto Guri I Zi. Ci racconta:

«Nel 2021 abbiamo deciso di replicare l’esperienza albanese qui in Italia dando vita a Motivo Donna, una start up tessile, che ha lo scopo di ridare dignità e fiducia a donne fragili attraverso la valorizzazione dell’attività artigianale».

Dopo aver seguito una formazione tecnica nello Studio Tessile di Livia Crispolti, oggi alcune giovani donne lavorano in un laboratorio negli spazi di Snam a San Donato Milanese sotto il coordinamento della responsabile Gisella Cappelli, docente presso la Naba. «I loro manufatti sono tessuti per rivestire cuscini e divani, e vengono distribuiti attraverso Artemest. Grazie anche ai nostri partner in questa nuova avventura: Fondazione Snam, Istituto Ganassini e Banca Intesa».

Due progetti straordinari nei quali i valori fondamentali di inclusione sociale e lotta alla povertà, uniti alla passione per l’alto artigianato, hanno permesso di restituire a tante donne, e alle loro famiglie, dignità e speranza.

Il Giardino dei Punti

Via San Michele del Carso 4

20144 Milano

Tel. 02 8054787

ilgiardinodeipunti.it

Corredi straordinari, personalizzati con pizzi, cifre e ricami su misura: dalle lenzuola agli asciugamani di

lino, dalle tovaglie alle impalpabili tende di pizzo, tutto è possibile. Artefice di queste meraviglie è Maria Grazia Lenti, una Maestra artigiana che da trent’anni, da quando ha aperto il primo laboratorio a Milano in via Cappuccio, ha insegnato e fatto appassionare generazioni di signore all’arte del pizzo e del ricamo. Anche con i suoi DVD. Oggi, nel suo nuovo luminoso laboratorio al primo piano di una casa d’epoca a pochi passi da piazzale Baracca, continua a tenere corsi, avvalendosi anche della collaborazione di alcune insegnanti qualificate e della sorella Lina. «Sono sempre stata attratta da quest’arte antica e sono orgogliosa di pensare che tante maestre di ricamo e pizzo che oggi insegnano nelle scuole si sono formate con me. Ho avuto allieve provenienti dalla Francia, dagli Stati Uniti, dal Giappone: bello pensare che i nostri ricami made in Italy abbiano varcato gli oceani, e siano arrivati fino in Australia». Maria Grazia Lenti realizza con grande maestria pizzi al tombolo e ricami con ago e filo: ogni suo lavoro può essere personalizzato con le cifre del destinatario. Notevole anche la sua abilità nel restaurare sia gli arazzi che i tappeti e nel riprendere i motivi decorativi del passato comprese le parti di pizzo mancanti, riproducendoli su tessuti nuovi. «Spesso le mie clienti mi chiedono di riprodurre dei ricami a campione

Photo: welldoneagency

su federe, tovaglioli, asciugamani in modo da poter continuare a utilizzare i completi di biancheria a cui sono affezionate. In genere sono punti molto elaborati: bello, insieme alle mie collaboratrici, far rivivere tessuti tanto preziosi e dare nuova vita con amore a capi di biancheria di grande qualità». Intorno al grande tavolo rettangolare ogni mattina si riuniscono le allieve che desiderano apprendere le diverse tecniche del Giardino dei Punti: si possono seguire corsi annuali, trimestrali e individuali di pizzo al tombolo, di ricamo, di maglia e di uncinetto. In laboratorio è possibile trovare tutto l’occorrente per le lavorazioni al tombolo, compresi i fuselli colorati e decorati. L’ultima novità di questo atelier sono i pizzi riprodotti su plexiglass da utilizzare come sottopiatti. Possono essere realizzati anche con i pizzi di famiglia, seguendo le ragioni del cuore.

Il Meneghello

Corso di Porta Ticinese 53 20123 Milano

Tel. 339 7397608 ilmeneghello.it

Il Meneghello ha da poco festeggiato cinquant’anni dalla nascita della casa editrice e Cristina Dorsini, nipote del fondatore

Osvaldo Menegazzi, pittore dalla grande versatilità, ci racconta la straordinaria attività da lei ereditata. «Mio zio, dopo essersi diplomato all’Accademia di Brera, si imbatté per caso in alcuni mazzi antichi di Tarocchi e ne rimase affascinato tanto da iniziare a collezionarli, riprodurli e aprire un negozio-laboratorio per lo studio e la produzione delle carte. Sono mazzi a tiratura limitata e numerati, realizzati e dipinti a mano su modello originale con tutti gli strumenti del lavoro artigianale». Anche lo spessore del cartoncino riproduce la grammatura di quelli d’epoca. Ogni carta del mazzo ha il suo significato, la sua storia, e spesso è stata dipinta da artisti conosciuti del tempo. I Tarocchi dei Visconti, per esempio, furono commissionati ai fratelli Zavattari da Filippo Maria Visconti nel 1450 per il matrimonio della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza. «Sono dei magnifici quadri pieni di particolari che documentano momenti storici. Nella carta del Carro, per esempio, è raffigurato lui stesso che le dona un anello e i volti sono i loro ritratti. La carta della Giustizia, invece, raffigura Bianca Maria con l’armatura che difende Cremona dall’assalto dei Veneziani. Noi studiamo i periodi storici, ci documentiamo presso i musei che conservano le carte originali. Con alcuni di questi collaboriamo, riproducendo i mazzi e allegando

un libro che ne documenta l’origine e il significato».

Ogni mazzo è racchiuso in una scatola anch’essa confezionata a mano e dipinta. Cristina Dorsini ci illustra le creazioni del Meneghello: «Oltre alla trilogia dei mazzi dei Visconti, ci sono i mazzi Ferraresi, sempre quattrocenteschi, che hanno subito l’influenza dei libri dell’antica Grecia, studiati a Ferrara in quell’epoca, e sono intrisi di mitologia, alchimia, astronomia. Poi quelli più recenti, ottocenteschi. Infine, ci sono quelli creati dalla fantasia di Osvaldo, in stile giapponese-Hokusai, oppure con riferimenti massonici, o con lettere ebraiche». Cristina dipinge e continua a realizzare carte acquerellate a mano, collaborando con musei di tutto il mondo, per continuare la preziosa opera di questo atelier.

Fiorificio Laura Vaccari

Via Conti 2 34141 Trieste Tel. 340 4117586 www.homofaber.com/en/discover/lauravaccari-flower-designing-italy

Allestimenti decorativi di grande effetto visivo, originali, realizzati con piante vive ed essiccate, in una alternanza di fieno, fiori selvatici,

pezzi di legno, rami spezzati. Soprattutto con fiori locali di stagione, nell’ottica di una filosofia ecosostenibile. Parliamo di Laura Vaccari, slow flower stylist – come ama definirsi, cresciuta nei boschi dell’Altopiano carsico vicino a Trieste. E di questi boschi, di quella natura selvatica, Laura ha conservato l’imprinting, come una ninfa dei boschi. «Ho fatto tanti lavori prima di approdare a questa mia vera vocazione: sono stata orafa, segretaria, coordinatrice di eventi. Ma il profumo del bosco è stato il grande richiamo che mi ha fatto fare la scelta definitiva». Nel 2016 si mette alla ricerca di un laboratorio a Trieste, trova dei locali in un palazzo d’epoca nella zona dell’Ospedale, un ex panificio con tanto di forno, li trasforma in un luogo bucolico.

«Io abito ancora vicino a un bosco, a pochi chilometri dal confine con la Slovenia, ho un giardino selvatico che coltivo. Mi sento quasi in colpa quando recido dei fiori... Ma poto personalmente le piante che ne traggono giovamento. E utilizzo i rami per le composizioni. Ho voluto ricreare anche a Trieste un luogo dove mi sentissi bene per lavorare, una specie di “radura” privata».

E in effetti, varcata la soglia del suo atelier, ci si aspetta che possano comparire da un momento all’altro gli elfi dei boschi. Oltre a occuparsi di allestimenti per matrimoni oppure per occasioni speciali, sempre con fiori di stagione, muschio e rami, Laura crea anche strutture per arredamento, figure perenni da tenere nelle proprie case, intrecciando materiali vegetali. Sono delle opere botaniche di arredo, create dalla sua fantasia senza colla né schiume, né stabilizzanti o materiali monouso. Per rendere le abitazioni più vicine alla natura e trasformare gli ambienti più banali in un altrove straordinario. Laura Vaccari tiene corsi di decorazione floreale perché la sua missione non è solo creare allestimenti da sogno, ma trasformare il modo in cui le persone si relazionano con le piante e gli spazi.

Mirta Morigi

Corso Mazzini 64 a 48018 Faenza (RA) Tel. 054 629940 mirtamorigi.it

Entrare nella bottega d’arte ceramica di Mirta Morigi a Faenza è come varcare la soglia del Paese delle meraviglie insieme ad Alice:

qui i sogni prendono vita, le rane e i camaleonti di argilla sembrano pronti a spiccare il salto, i gatti occhieggiano con aria sorniona, i cactus finemente modellati sono in piena fioritura. E tanti cuori invitano all’amore! Da quelli da appendere a parete ai bicchierini con le scritte. Una vera festa per gli occhi. Ci racconta Mirta: «Sono nata e cresciuta a Faenza e posso dire di aver respirato fin da bambina quest’arte che rese famosa la mia città fin dal Cinquecento. In effetti la città è ancora un concentrato di scuole, gallerie e atelier di ceramica dove si insegna, si impara, si creano forme antiche insieme a quelle più innovative, puntando sull’intelligenza della mano». Il laboratorio è situato all’interno di un palazzo nel centro storico, vicino a Piazza della Libertà: tavoli da lavoro, una quantità di strumenti, colori e pennelli, per modellare e decorare l’argilla, torni (uno tradizionale e uno piccolo giapponese) e forni per la cottura ad alte temperature. Sugli scaffali lungo le pareti sono appoggiate forme e pezzi che servono da campioni. «Abbiamo un cortile di 500 metri dove teniamo

corsi anche per bambini e dove possiamo ospitare i visitatori che vogliono conoscere i segreti di quest’arte antica. Quest’anno per festeggiare i miei 50 anni di attività mi hanno organizzato una mostra nella sacrestia della chiesa di Santa Maria dell’Angelo. Nel passaggio dietro all’altare abbiamo esposto alcuni dei primi pezzi realizzati negli anni Settanta fino a quelli più attuali. Abbiamo appeso anche gli spolveri». Un vero omaggio alla sua bravura riconosciuta anche all’estero, dove Mirta ha frequentato corsi, insegnato, e dove molti collezionisti si sono aggiudicati i suoi manufatti.

Conclude l’abile Maestra artigiana: «In laboratorio, oltre a mia figlia, lavorano una mia nipote e altre due storiche collaboratrici: il filo conduttore che lega ognuna di noi è la passione per il nostro lavoro, oltre al fatto che ci divertiamo mentre creiamo le nostre ceramiche. Ci vuole molta tecnica, tanta pratica, soprattutto l’ispirazione a creare, l’istinto al quale va dato ascolto.

Io dico sempre che la mia testa è come nuova... perché non l’ho mai usata!» conclude ridendo la straordinaria Mirta.

More Couture

Via Enrico Parisi 40 90141 Palermo

Tel. 091 5078731

morenafannyraimondo.com

Il sogno di Morena Fanny Raimondo, in arte More, è sempre stato quello di aprire una sartoria nella sua città: Palermo. Così, dopo il diploma al Polimoda di Firenze, un’esperienza nel cinema come costumista per importanti produzioni cinematografiche, una collaborazione in un’azienda toscana che progetta collezioni per brand del lusso, Morena ha deciso di essere pronta per realizzare il suo progetto. E nel 2015 è tornata a Palermo. «Ho avuto la fortuna di trovare questo magnifico spazio al piano rialzato di un palazzo d’epoca Liberty», racconta Morena. «Ho dipinto tutto di bianco, le ampie stanze e i soffitti a volte, perché desideravo conferire agli ambienti un’atmosfera “rarefatta”: per tradizione l’atelier delle future spose è sempre stato un luogo quasi magico dove prende forma il vestito dei sogni. Ogni anno io creo una collezione con una ventina di modelli perché possano essere di spunto per le mie clienti. Poi, effettuata la scelta, l’abito viene confezionato su misura con una serie di prove». Nella stanza che ha adibito a suo studio, tra libri di moda e rotoli di tessuto, Morena disegna gli schizzi, poi realizza i cartamodelli che taglia sui tessuti prescelti con l’aiuto di abili collaboratrici.

«Vado sempre alle fiere in Italia e all’estero per scegliere dei tessuti di alta qualità con varie consistenze: le mie proposte passano dallo chiffon al Mikado, dai tessuti stampati agli jacquard, dai ricami floreali ai veli ricamati, sempre con materiali certificati a basso impatto ambientale. I pizzi e le applicazioni sono una delle specialità della nostra sartoria. Ma tutto dipende dai desideri e dalla personalità delle future spose». Esuberante, creativa e piena di vita, Morena si sta organizzando per portare il suo brand in varie città d’Italia, sempre con produzione interna. «Ma intendo mantenere il mio stile e produrre singolarmente ogni capo, su ordinazione. Perché lo scopo della mia sartoria è sempre lo stesso: far sentire ogni donna più bella che mai rimanendo se stessa». Morena Fanny Raimondo ha vinto il premio BTO 2024 per giovani imprenditrici nella categoria Pezzi Unici.

Antica Confetteria Romanengo

Via Soziglia 74/76 r 16123 Genova Tel. 010 2474574 romanengo.com

Confetti per tutti i gusti e per tutte le occasioni, con l’“anima” di mandorla d’Avola, cannella, cardamomo, pistacchio, finocchietto, pinolo: talmente squisiti da rendere difficilissima la scelta.

«Sono una delle specialità per le quali siamo conosciuti in tutta Italia», afferma con giustificato orgoglio Pietro Romanengo, Maestro artigiano, sesta generazione di una famiglia ligure che ha saputo non solo conservare e sviluppare la gamma dei suoi prodotti artigianali, ma anche preservare i locali delle storiche confetterie, oggi protette dalle Belle Arti. «I nostri confetti sono realizzati con solo zucchero, senza additivi, e la preparazione va seguita costantemente dai nostri artigiani chini sulla macchina: per farne 100 chili occorre una intera settimana». Ecco svelato il segreto di tanta bontà arrivata a noi attraverso due secoli. Era il 1780 quando dalle colline genovesi Antonio Romanengo, speziale di Voltaggio, scese verso la città per intensificare la sua attività. E i figli Stefano e Francesco decisero di affiancare alla vendita delle spezie paterne alcune specialità della tradizione genovese create artigianalmente quali la frutta candita, i confetti e la pasta di mandorle. Nel 1814 aprirono la prima bottega in via Soziglia,

seguita da quella in via Roma, e da allora il loro nome è rimasto legato indissolubilmente all’arte dolciaria. «I miei antenati nell’Ottocento presero spunto dalle confetterie di Parigi che tenevano in gran conto non solo la qualità della produzione ma anche la presentazione del prodotto e l’ambiente. Su quel modello allestirono la confetteria di via Soziglia, che oggi è classificata Bottega Storica protetta dalle Belle Arti». In effetti entrare in questo ambiente, vera e propria istituzione nella tradizione genovese, tra i profumi e gli aromi inebrianti, le boiserie e gli affreschi, è una vera magia. Altro luogo straordinario è quello della fabbrica: «Mio nonno costruì una palazzina in viale Mojon per attrezzare il laboratorio con i vari reparti per i canditi, i fondant, i confetti», racconta Romanengo. «Poi, nel corso degli anni, ai canditi è stato affiancato il cioccolato, lavorato ancora con macchinari, metodi e tempi di una volta, senza l’aggiunta di emulsionanti e additivi». Straordinari gli spicchi di clementine candite ricoperti di cioccolato, le scorze di arancio, i petali di rosa, le violette intere cristallizzate, le foglie di menta, gli zuccherini al rosolio.

Oggi a perpetrare la tradizione della più antica confetteria d’Italia sono entrati Giuseppe e Francesco Romanengo che, con un nuovo socio francese, continuano la tradizione di famiglia. Con un raffinato negoziosalotto anche a Milano.

Rose Barni

Via del Castello 5 51100 Pistoia Tel. 057 3380464 rosebarni.it

Sicuramente Vittorio Tommaso Barni, creatore nel 1882 del vivaio di Pistoia oggi noto in tutto il mondo, sarebbe fiero del percorso fatto da figli, nipoti e bisnipoti che hanno continuato e ampliato la sua attività fino a far diventare Barni sinonimo di Rose.

Confida Beatrice Barni, quarta generazione e Maestro d’Arte e Mestiere: «Possiamo affermare che da una difficoltà è nata la nostra grande opportunità. Infatti, fu grazie alle leggi che nel 1935 vietarono le importazioni di fiori dall’estero, in particolare da Francia e Belgio, che nacque il sodalizio di mio nonno Vittorio con Domenico Aicardi, grande ricercatore e ibridatore sanremese. Qualche anno dopo Vittorio incontrò Francis Meillard che portava avanti in Francia un programma di ibridazione per le rose: insieme costituirono la Universal Rose Selection con lo scopo di diffondere l’amore per le rose in tutto il mondo. Parallelamente, dal confronto e dall’approfondimento delle ricerche, la storia delle nostre rose qui a Pistoia ebbe uno straordinario sviluppo». Appassionata della sperimentazione, Beatrice è

responsabile del settore ricerca che ogni anno propone le nuove varietà di Rose Barni, mentre suo cugino Vittorio si occupa della parte commerciale. «Il processo per ottenere un nuovo ibrido impiega circa sette anni», ci spiega. «Durante questo periodo valutiamo e selezioniamo la resistenza alle malattie, la capacità di rifiorire, l’estetica del fiore. Nel 1991 abbiamo vinto la Rosa d’Oro nel concorso di Ginevra con la rosa Rita Levi Montalcini», racconta con soddisfazione la signora. Oggi il vivaio di Pistoia è un giardino espositivo con campi prova dove avvengono anche le ricerche di ibridazioni. L’altro vivaio di Grosseto, che ricopre un’area di circa 40 ettari, è il punto di produzione, con i campi degli innesti e con tutto il ciclo vegetativo. «Nel nostro catalogo abbiamo circa 650 rose», continua a raccontare l’abile vivaista. «Le più particolari sono quelle legate ai grandi stilisti: Roberto Capucci, Anna Fendi, Valentino, Wanda Ferragamo, i Missoni. La più resistente è la Sans Souci: molto forte, di colore bianco rosato. La novità di quest’anno è la Cardinal Carlo Maria Martini creata per volere di sua sorella per ricordare la sua opera», conclude Beatrice Barni. «Ha il fiore grande, purpureo, ed è profumatissima». E non si può dimenticare la stupenda e delicata rosa Mestieri d’Arte, commissionata a Barni dalla Fondazione Cologni in omaggio al grande saper fare artigiano.

Tessitura Calabrese

Via Provinciale per Alessano 42 73030 Tiggiano (LE) Tel. 0833 531132

tessituracalabrese.it

Era il 1972 quando Francesco e Antonia Calabrese decisero di aprire una piccola tessitura artigianale nel Salento, per confezionare biancheria per la casa. Pochi collaboratori, anche esterni, qualche macchinario meccanico, ottimi filati. Ben presto la loro attività ebbe successo e i proprietari decisero di ingrandire il laboratorio coinvolgendo nuovi artigiani e rendendo più tecnologica la loro produzione ormai interna. Oggi gli spazi per le diverse lavorazioni si susseguono in una grande costruzione moderna che costeggia la strada Provinciale per Santa Maria di Leuca.

Racconta Cristina Bleve, seconda generazione, che con il fratello Alessandro continua la tradizione di famiglia: «All’interno della fabbrica seguiamo tutte le diverse fasi della filiera produttiva, dal filato in matasse alla preparazione degli orditi, dalla tessitura della pezza fino al controllo finale. Abbiamo telai jacquard elettronici ai quali alterniamo tecniche di lavorazione manuale della tradizione». La scelta dei decori e delle collezioni nuove spetta ad Alessandro, che effettua

anche gli abbinamenti cromatici e accosta nuove fibre alla produzione classica. La gamma dei materiali utilizzati in laboratorio è molto vasta: lino, cotone, seta, che danno vita a tessuti quali crêpe di cotone, millerighe, spigati, fiandre, ciniglia, rasatelli a jacquard.

Ogni capo può essere rifinito da pizzi o frange annodate a mano, oppure confezionato con stile più essenziale, secondo i gusti personali o i dettami della moda. «Ogni nostro nuovo tessuto nasce dal recupero di disegni e tecniche antiche ma viene rivisitato e proposto secondo una concezione più moderna», spiega Alessandro Bleve. Le proposte della Tessitura sono molto varie, dalle tovaglie ai servizi all’americana, dalle lenzuola agli asciugamani, dagli accappatoi per grandi e bambini ai canovacci da cucina, dai beauty ai borsoni di tela. «Realizziamo molti corredi su misura per le giovani coppie che vengono a scegliere i tessuti, gli abbinamenti e i modelli preferiti. Siamo specializzati anche nel confezionare biancheria per le barche, ovviamente su misura». Conclude Cristina: «Oggi molti clienti della Tessitura Calabrese vengono da tutta Italia, qualcuno anche dall’estero, grazie al nostro servizio online». E al saper fare di eccellenza made in Italy.

di Alessandra de Nitto

D’Arte e d’Amore

Fotografie di Carlo Pastore ed Elisabetta Bovina

PAGINA ACCANTO:

In alto i cuori, una selezione degli iconici vasi a forma di cuore realizzati da Studio Elica. Ogni creazione è un omaggio all’amore, interpretato attraverso un linguaggio universale che i due artisti-artigiani elaborano dal 2009, anno di nascita della collezione.

QUI: Transfish – Dardo d’Amore, cuore n. 6, porcellana con ingobbi e cristallina. È il pezzo preferito da Carlo Pastore, simbolo di equilibrio tra forma e sentimento.

I maestri ceramisti Elisabetta Bovina e Carlo Pastore incarnano l’essenza dell’artigianato artistico contemporaneo, creando opere uniche e visionarie. La loro storia d’amore è un inno all’arte come stile di vita, tra innovazione, sperimentazione e un legame profondo con la materia.

Elisabetta Bovina e Carlo Pastore, titolari di Studio Elica, sono una straordinaria coppia di artisti italiani, compagni di vita e di lavoro. Incarnano perfettamente la figura dell’artista artigiano contemporaneo, e la loro vita è interamente dedicata al loro mestiere d’arte, che portano avanti con grande talento e passione. Dalle loro abilissime mani escono ogni giorno opere uniche, che coniugano al presente la grande maestria della tradizione ceramica italiana. La loro materia di elezione è la porcellana, magnifica, preziosa, sottile e lucente, appannaggio di pochi grandi artefici, che declinano con un eclettismo raffinato e fantastico, contaminando abilmente diverse discipline, dal design alla scenografia alle arti performative. Elica Studio nasce nel 1995 a Bologna. Elisabetta, lombarda dell’Oltrepò pavese, e Carlo, salernitano, si formano entrambi presso il celebre ISIA di Faenza, da cui sono usciti tanti grandi nomi della ceramica contemporanea. Per entrambi, irresistibile fin da giovanissimi l’attrazione per il lavoro artigiano, che spinge ciascuno a lavorare inizialmente in importanti studi ceramici, mettendo alla prova la propria capacità di artefici. L’incontro all’ISIA sancisce la loro “corrispondenza d’amorosi sensi”, portandoli da subito a lavorare insieme. Elisabetta sottolinea come il lavoro a quattro mani sia “un collante mostruoso”, che li porta a “pensare insieme, all’unisono”. Le opere nascono da questa magica alchimia, basata anche sull’amore, che li porta a creare ogni pezzo in perfetta collaborazione, in ogni fase, dal progetto alla realizzazione. Non senza scontri e battaglie, naturalmente... Una condivisione totale basata sul confronto continuo, assolutamente rara.

Lei per carattere è più “fisica”, ama il contatto con la materia grezza, le forme, i modelli e gli stampi: lui è un talento vero nel disegno e nella decorazione, appassionato della ricerca fino alla maniacalità. Cinque anni di sperimentazioni per ottenere il nero “giusto” che usano per i loro pezzi, una ricetta assolutamente unica e originale. Tutte le loro opere sono di forte impatto e sempre sorprendenti, mai banali, talvolta provocatorie, irriverenti e molto spesso all’insegna dell’ironia, che è al centro della loro creatività e permea ogni loro proposta, tra spirito ludico e divertissement. Amano l’imperfezione, il difetto in un pezzo è per loro un plusvalore, come si sforzano di insegnare ai loro clienti e allievi, il segno di un’autorialità forte e del rispetto profondo per la materia. La scelta comune di lavorare con la porcellana nasce da subito grazie al condiviso amore per il materiale cotto ad alte temperature: «Eravamo affascinati dalla translucenza della materia, dalla leggerezza sublime, dagli spessori sottili che consentono il passaggio della luce… volevamo volare alto», spiega Elisabetta, con la luce e il sorriso che sempre le brillano negli occhi...

Dopo ben 30 anni Elica lascia Bologna nell’estate 2024: i due artisti hanno impresso un segno profondo nel territorio faentino, aprendolo a una visione più contemporanea e allineata alle esperienze internazionali. Ma è giunto per loro il momento di un cambiamento radicale: il desiderio è quello di poter disporre di ampi spazi, immersi nella natura che è loro prima fonte di ispirazione. Nelle campagne di Ravenna, a 5 chilometri dal centro della città, trovano il loro luogo ideale: questa è oggi la sede della loro abitazione

PAGINA ACCANTO,

DA SINISTRA: Ratto

d’Amore, cuore n. 40, porcellana, opera prediletta di Elisabetta Bovina; Heart of Gold, cuore n. 33, porcellana.

QUI: Elisabetta Bovina al lavoro nella fase di modellazione.

I manufatti realizzati in collaborazione con Carlo Pastore si distinguono per la contaminazione di diverse discipline: ceramica, scenografia e arti performative si intrecciano in un dialogo creativo.

e del laboratorio, forni compresi. Senza dimenticare la dependance, che diventerà sede di residenze d’artista. Elisabetta e Carlo da sempre collaborano con giovani artisti internazionali, anche attivi in diverse discipline, dalla musica al teatro alla fotografia… Uno scambio culturale improntato all’apertura e alle nuove esperienze, che ha arricchito nel tempo la loro produzione, mantenendola sempre viva, significativa e molto contemporanea. Lavorare con gli altri è alla base del loro modo di vivere e di produrre, una dimensione umana prima ancora che artistica.

L’opera forse più iconica e conosciuta ad oggi realizzata dai due maestri (insigniti tra l’altro del riconoscimento MAM-Maestro d’Arte e Mestiere nel 2022) è la collezione In alto i cuori: il progetto, nato nel 2009 e tuttora in divenire, reinterpreta sotto forma di vaso il tema del cuore, come contenitore di fiori, di idee, di messaggi, decorati con lettere, numeri e figure dipinte a pennello, piccole sculture fatte a mano per testi scritti in un linguaggio universale. Moltissimi i rimandi figurativi e culturali, nonché le simbologie e i riferimenti visivi. Nell’ambito del progetto di mecenatismo La Grande Bellezza,

Carlo ha sperimentato per cinque anni prima di ottenere la tonalità desiderata», racconta Elisabetta, sottolineando l’attenzione al dettaglio che caratterizza ogni opera.

promosso in favore degli artigiani italiani da Starhotels con Fondazione Cologni, OMA e Gruppo Editoriale, la collezione è stata esposta con molto successo presso lo Starhotels

Collezione Splendid Venice in occasione di Homo Faber Event 2024, nel palinsesto di Homo Faber in Città. Il tema simbolico e iconico si riallaccia infatti a quello di The Journey of Life della nuova edizione di Homo Faber: nel viaggio della vita di ogni uomo, il cuore è sempre al centro...

L’idea che ispira questa collezione è l’utilizzo di un’icona pop come il cuore, reinterpretato in forma di vaso, con rimandi anatomici e con un carattere fortemente italiano che è parte integrante del suo fascino, come prova il forte gradimento dei collezionisti soprattutto stranieri. Ogni cuore ha un suo ritmo, un suo battito, un suo significato, tanti messaggi diversi per parlare d’amore: ironico, passionale, lirico, frivolo, colto...

Studio Elica ha partecipato a Maison&Object 2025 ed esporrà nei prossimi mesi la collezione dei suoi cuori presso l’hotel boutique Castille di Parigi, su invito della Presidente di Starhotels Elisabetta Fabri, illuminata ispiratrice del progetto di mecenatismo La Grande Bellezza e grande amante e cultrice dell’artigianato italiano. In Alto i Cuori “profuma di Italia” perché nasce da una millenaria tradizione ceramica e da una grande cultura tra progetto e alta artigianalità, in cui sempre, alto e basso, aulico e pop, sacro e profano si mischiano per scrivere un inno variopinto alla bellezza e unicità della vita e dell’amore in ogni sua forma.

Il sogno nel cassetto per Elica è, guarda caso, il Libro Cuore: una galleria di immagini fotografiche e di riflessioni a cura di importanti testimonial dell’arte e della cultura, ritratti con uno dei cuori della collezione: a ciascuno il suo! •

Elisabetta Bovina (classe 1961) e Carlo Pastore (classe 1965) sono laureati all’ISIA di Faenza. «Il nero che utilizziamo è il risultato di una nostra ricetta esclusiva.

Spinae (nei

un’esplosione

e tecnica. Ogni vasoscultura della collezione viene cotto a una temperatura di 1260°C, esaltando la qualità e la resistenza del materiale.

toni del rosso), cuore n. 1, porcellana con ingobbi:
di passione

Sala Love (“Union”), Homo Faber 2024: questo spazio, allestito nella suggestiva Sala degli Arazzi della Fondazione Giorgio Cini a Venezia, incarna l’idea di unione universale attraverso oggetti che celebrano l’amore e l’impegno, provenienti da culture e paesi diversi. L’atmosfera è esaltata da monumentali lampadari su misura (Panerai/thebackstudio).

Foto: Giulio Ghirardi per Michelangelo Foundation.

L’AMOR che move le mani

Al pari delle altre arti, l'amore è spesso fonte di ispirazione per i maestri artigiani. Come raccontano le oltre 150 opere dedicate a questo tema esposte durante l'ultima edizione di Homo Faber: una suggestiva immersione nelle infinite declinazioni di questo sentimento.

L’amor che move il sole e l’altre stelle, che da sempre è la prima ispirazione per poeti e artisti, spesso move anche le sapienti mani dei maestri artigiani. Lo abbiamo visto lo scorso settembre durante l’ultima edizione di Homo Faber, la mostra evento organizzata da Michelangelo Foundation che pone al centro il talento dei migliori artefici del craft mondiale. Tra le undici sale attraverso le quali si raccontava un viaggio della vita che era anche viaggio attraverso i più disparati savoir-faire, ce n’erano ben due dedicate a questo tema.

Un trionfo di fiori realizzati con vari materiali – dalla cera al vetro, dalla plastica riciclata alla porcellana – invitava i visitatori a celebrare la seduzione attraverso il simbolo per eccellenza del corteggiamento, il fiore appunto. Superato quel giardino dell’Eden, reso ancora più realistico dall’uso discreto di un

profumo d’autore alla rosa, si passava allo spazio più grande della mostra, al centro del viaggio poiché spesso l’amore è al centro delle nostre vite. Qui, ognuno degli oltre 150 oggetti esposti parlava a modo suo di questo sentimento, traducendo un punto di vista sì personale, ma spesso anche culturale, “politico” e generazionale. Valentina Lobos, per esempio, è una giovane donna cilena che, come molti ragazzi della sua età, non si stanca di viaggiare alla ricerca della sua strada. Studi d’arte in Scozia, poi la Germania e il desiderio di diventare un’artista in un Paese dalla scena culturale vivida. Il lockdown la costringe a rivedere i suoi piani, nei lunghi mesi costretta a casa Valentina decide di sperimentare il ricamo, un’arte che aveva sempre ammirato spiando le donne del suo Paese e che da sempre la affascinava

perle e la cucitura a mano, perpetrando un’arte antichissima. Foto: Marina Vasilevskaya.
di esistere e amare secondo il proprio modo unico e personale. Foto: Valentina Lobos.
Johann Nikadimu, maestro nella creazione di sontuosi copricapi storici russi, utilizza tecniche tradizionali come la lavorazione dell’oro, il ricamo con
L’artigiana latino-americana Valentina Lobos crea cuscini decorativi ricamati a mano che rappresentano la libertà

Sala Love (“Courtship”), Homo Faber 2024: uno spazio dedicato al corteggiamento, dove un giardino della seduzione prende vita attraverso fiori realizzati con una vasta gamma di materiali da artigiani provenienti da tutto il mondo. Foto: Giulio Ghirardi per Michelangelo Foundation.

perché trasversale a ogni cultura. Mentre le persone sono costrette a stare lontane tra loro, Valentina inizia a immaginare abbracci di fili sottili, uomini e donne spesso nudi che si amano, senza barriere razziali, di orientamento sessuale o di canonici binomi. Opere delicate e mai volgari attraverso le quali la Lobos vuole sottolineare l’importanza di viversi pubblicamente, amando senza paura delle convenzioni e del giudizio altrui, mostrandosi senza il timore di un corpo imperfetto. Ha giocato con Eros anche Faig Ahmed. Tra i più riconosciuti artisti centro-asiatici della sua generazione, l’azero ha la sua cifra stilistica nella reinterpretazione in chiave unica di quello che è forse l’artigianato più rappresentativo del suo Paese, la manifattura di tappeti. Sfumature e disegni tipici della tradizione si interrompono bruscamente per dare sfogo a una creatività audace che si traduce in distorsioni, accostamenti

violenti di colori opposti, nuove opere tessili che vanno a contaminare l’esistente. Come nel caso di Wedding, il grande tappeto di oltre 4 metri sospeso nel mezzo della sala e raffigurante al centro una coppia di sposi intenta a consumare la prima notte di nozze. Se sul fronte la scena – ispirata a un’antica miniatura erotica custodita nel Musée d’Art et Histoire di Ginevra – è sfumata da un malizioso abbondare di fili che fuoriescono dal tappeto, sul retro l’amor carnale si manifesta nella sua prepotenza. Atmosfere e riferimenti diversi sono quelli di Mary Wing To, artigiana del cuoio decisamente poliedrica, che a una produzione “tradizionale” di selle e articoli per l’equitazione di magnifica fattura – Mary ha ottenuto una borsa di studio dall’importante Queen Elizabeth Scholarship Trust e ha imparato il mestiere nelle scuderie reali affiancando il primo

nella lavorazione della pelle, Mary Wing To crea oggetti di lusso su misura tra cui fruste artigianali, un mestiere raro e in via di estinzione nel Regno Unito. Foto: Marc Swadel.

QUI: Hataman Touen è un celebre atelier giapponese, rinomato per le sue ceramiche Imari Nabeshima, che vanta una tradizione di 370 anni. Le opere si distinguono per l’uso di smalti rossi, gialli e verdi su fondi di ceramica blu o bianca. Foto: Hataman.

sellaio di corte – alterna bustier, fruste e altri oggetti che guardano al mondo del Burlesque. Due suoi pezzi erano in mostra, nascosti ai piedi di un letto a suggerire che certe fantasie sono destinate al segreto tra amanti, poco distanti da opere di segno opposto, piene di un romanticismo d’altri tempi. Come le tiare di Johann Nikadimus, ricamatore russo stabilitosi in Serbia allo scoppiare della guerra, che nelle sue corone di perle fa rivivere reinterpretandoli i copricapi che le donne sposate del suo Paese indossavano nei giorni di festa, una tradizione artigiana che affonda le sue radici addirittura nel XII secolo. O come le piccole bottiglie per profumo, altro simbolo assoluto di seduzione, realizzate dall’atelier giapponese Hataman Touen, dove quattro generazioni di una stessa famiglia si sono tramandate un’arte della smaltatura su porcellana a quattro colori

tipica della città di Imari e risalente a oltre 370 anni fa. Ovviamente, parlando d’amore, non potevano mancare molti italiani che nel corso della loro carriera si sono lasciati ispirare da questo tema che permea la nostra terra e le nostre arti così in profondità. Come Pasotti 1956, splendida realtà fondata nella campagna mantovana da Ernesta Pasotti, artigiana di un ombrellificio milanese che quasi 70 anni fa decise di tornare al paese e aprire una sua bottega. Oggi Pasotti 1956 è portato avanti dai suoi nipoti e realizza un massimo di quarantamila ombrelli l’anno, fatti con materiali e tessuti preziosi. Pezzi di sognante romanticismo, che ricordano gli ombrelli dei secoli scorsi, quelli usati da nobildonne e dame dell’alta borghesia durante le loro passeggiate, quando erano solite inviare tramite quell’accessorio, nella scelta del colore o nel modo di impugnarlo, messaggi in codice all’amato. •

PAGINA ACCANTO: Maestra britannica specializzata

Wedding, 2019: Un tappeto monumentale in lana (230 x 440 cm) realizzato a mano dall’artista azero Faig Ahmed. Ispirato a una miniatura persiana conservata al Musée d’Art et Histoire di Ginevra, il tappeto trasforma una delicata scena erotica in una scultura tessile contemporanea di forte impatto. Foto: Courtesy of Faig Ahmed Studio.

Amori diversi

I FIORI

CHE AMANO L’ARTE

E LA

NATURA

di Stefania Montani

Fotografie di Francesco Russotto

Jessica Ciaffarini crea composizioni e fiori unici che non recidono la natura: nel suo laboratorio vicino Latina realizza composizioni personalizzate per spose e progetti di moda in carta e seta, portando creatività e sostenibilità al centro della scena.

QUI: Nefertiti, ritratto Fine

PAGINA ACCANTO: Dente di leone, realizzato da Jessica Ciaffarini in seta riciclata proveniente da atelier di moda.
Art n. 3. Un’opera che celebra l’armonia tra la bellezza umana e la natura, evocando la grazia senza tempo della Regina del Nilo.

Jessica Ciaffarini è una giovane Maestra artigiana che riesce a dare vita a meravigliosi bouquet senza recidere nessun fiore: rose, camelie, peonie, lilium, foglie verdi sembrano appena colti talmente sono pieni di sfumature di colore e di petali impalpabili. Invece sono tutti realizzati a mano da lei, uno per uno, nel suo laboratorio vicino a Latina, dipinti con pigmenti di origine vegetale, plasmati nelle molteplici forme che la natura ci regala. Una vera gioia per gli occhi. Ecco come è nata la sua attività: «Fin da bambina volevo diventare artista: adoravo disegnare» confida, seduta al suo tavolo di lavoro nel luminoso atelier di Giulianello, antico borgo laziale al confine con i Castelli romani. «Ma la vita mi ha fatto fare un percorso molto contorto prima di farmi trovare la strada giusta e la mia vera passione. Dopo il diploma in design industriale con specializzazione in oreficeria, ho frequentato l’accademia di Belle Arti e la scuola di fotografia. Ma temevo di non avere talento così ho cercato degli impieghi che però non andavano mai bene per me. Ero molto frustrata e

cambiavo continuamente posto di lavoro. Un giorno ho deciso di ascoltarmi e di seguire il mio Ki: ho cominciato a seguire dei corsi sull’antica tecnica giapponese Somebana e a impratichirmi nel “Fommy modellabile”, la plastilina leggerissima e facile da modellare. Così a poco a poco mi sono riavvicinata alla mia parte creativa e artistica e ho iniziato a dare vita ai miei fiori». Era il 2015: una scelta felice perché le sue creazioni oggi sono apprezzate da privati e da stilisti dell’Alta Moda che a lei si rivolgono per impreziosire abiti e collezioni. Puntualizza Jessica: «Il mio atelier non realizza solo fiori per abbellire abiti e cappelli, come era di moda dall’Ottocento fino agli anni Sessanta, ma anche i bouquet per le spose. Li confeziono su misura». Sul banco di lavoro tanti attrezzi, matite, righelli, taglierine, colla, forbici, campioni di tessuto, ciotole con pigmenti. «Prima di creare un bouquet, cerco di capire la personalità della sposa, non solo i suoi gusti ma anche le relazioni familiari e gli affetti. Spesso un fiore è legato al ricordo di una persona cara che non c’è più e che si vorrebbe

Fiori di seta realizzati totalmente a mano da Jessica Ciaffarini attraverso l’antica tecnica giapponese Somebana.

avanzate tecniche di laboratorio. Ogni dettaglio è curato con estrema precisione, riflettendo un equilibrio tra creatività e sostenibilità.

avere vicino in un momento tanto importante. Così quel fiore particolare entra a far parte della composizione, con tutta la sua valenza affettiva. Io dico sempre alle mie spose: il bouquet è come un cappello, se non calza a pennello non lo indossi». Ricorda: «Una volta una sposa mi ha raccontato che era molto legata ai nonni con i quali era cresciuta e che purtroppo non c’erano più. Il loro fiore preferito era la mimosa. È stata un’impresa riprodurla, ma alla fine nel bouquet sono riuscita a inserirla: era importante per lei».

Per le sue creazioni l’abile artigiana utilizza per lo più stoffe pregiate provenienti da atelier dell’Alta Moda, oppure recuperate da aziende che lavorano con l’impegno di non impattare troppo sul nostro ambiente. Spesso si serve anche di scarti di tessuti che ritaglia e fa rivivere sotto altre forme, sagomando pezzo per pezzo fino a ottenere il petalo di un fiore. «La mia ricerca del materiale spazia in tutti i campi: per esempio dai fili elettrici mi è capitato di estrarre i fili di rame per creare la struttura delle foglie», confida Jessica, la

attraverso
riproduce il legno e fiori realizzati in seta e piume. Un connubio perfetto tra arte e artigianato.
IN ALTO: Rinascita, una composizione dedicata al riciclo e all’innovazione che mostra come materiali apparentemente destinati al disuso possano rinascere
IN BASSO: Bouquet hoop, un’opera unica interamente fatta a mano, con una struttura in cartapesta che

in lavorazioni tessili e cartacee, nel suo laboratorio a Giulianello (Latina). Le sue creazioni

sono caratterizzate da un profondo rispetto per l’ambiente, da un grande amore per la natura e sono interamente ecosostenibili.

cui creatività l’aiuta a scovare materie utili per il suo lavoro anche nei campi più impensati. «Devo confessare che ho troppo rispetto e amore per la natura per tagliare dei fiori che sarebbero destinati a morire dopo poche ore. È quello che mi ha spinto a dedicarmi alla mia attività». La filosofia di Unusual Bouquet è anche quella di portare nei matrimoni una sensibilizzazione verso l’ambiente, unita all’arte. E dare la possibilità di scegliere i fiori che si amano senza il vincolo stagionale, creandoli in laboratorio. Un altro tipo di bouquet che Jessica Ciaffarini realizza è il bouquet di carta, con carte professionali di alta qualità. Creazioni non solo esteticamente belle, ma anche giocose ed ecologiche. Ma il suo estro non si limita alla creazione dei fiori e dei bouquet. Con Francesco Russotto, affermato fotografo e suo compagno di vita oltre che di lavoro, l’abile Maestra artigiana realizza bellissimi quadri con composizioni floreali, anche celebrativi, abbinando la sua

capacità manuale creativa all’abilità fotografica del marito. Ci racconta: «Si parte dalle immagini scattate da Francesco durante eventi e matrimoni. Le foto selezionate vengono rielaborate da lui in laboratorio, utilizzando sia la tecnica artigianale che quella digitale». Il risultato sono dei quadri non solo decorativi ma anche preziosi perché evocativi.

Ultimamente Jessica collabora molto con le case di moda che a lei si rivolgono per impreziosire le sfilate e gli abiti da sposa. «Dopo un lungo periodo di abbandono, il fiore decorativo sugli abiti è di nuovo trendy. Sia quelli che riprendono esattamente le fattezze dei fiori in natura, sia le creazioni fantastiche che vengono suggerite dagli stilisti e poi interpretate da me».

Jessica Ciaffarini ha ricevuto diversi premi anche per il suo impegno nella sostenibilità, ed è stata selezionata per esporre le sue creazioni a Venezia, durante l’evento internazionale Homo Faber 2024, a cura di Michelangelo Foundation. •

Jessica Ciaffarini, artigiana specializzata
Bouquet realizzato da Jessica Ciaffarini utilizzando carta crespa e foam: una delle sue prime opere, espressione del talento e della passione per il design floreale.

La vita in un fiore, stampa Fine Art n. 1: frutto della collaborazione tra il fotografo Francesco Russotto e Jessica Ciaffarini. L’immagine celebra la semplicità e la bellezza della natura, attraverso fiori di seta realizzati a mano. Un omaggio a Madre Natura e un invito a rispettare la vita in tutte le sue forme.

singola pub

UNITI DALLA BELLEZZA

Da oltre cinque anni Vacheron Constantin e il Museo del Louvre sono uniti da un comune intento che nasconde un atto d’amore: quello di preservare la bellezza, sostenere chi ne è artefice, tramandare tecniche per valorizzarla e, soprattutto, continuare a crearla.

In stretta collaborazione con il Museo del

Vacheron

rende omaggio alle grandi civiltà dell’antichità.

della collezione

d’Art – Vittoria di Samotracia, fregio in oro 18 carati inciso a

Louvre,
Constantin
Quadrante
Métiers
mano.

Nella parola partner c’è un elemento che ne svela una particolare profondità. È il tortuoso ma evidente legame etimologico con parte, termine che presuppone un tutto originario, una spartizione e, talvolta, un ritrovarsi. Anche lontano dai miti e dal discorso amoroso, nelle migliori partnership quel tutto originario è una comunione valoriale e progettuale che conferisce senso al ritrovarsi insieme, un’affinità elettiva che è uno dei fondamenti dell’amore.

Vacheron Constantin e il Museo del Louvre sono partner dal 2019: un marchio svizzero di alta orologeria, che da secoli crea segnatempo che mirano alla perennità, e un museo francese con una delle collezioni d’arte più straordinarie mai raccolte, oltre che il più visitato al mondo. Una partnership basata su una profonda e sincera condivisione di valori, che in questi anni ha dato preziosi frutti sotto forma di progetti comuni, di creazioni stupefacenti e di una narrazione culturale a due voci ma perfettamente in armonia.

Alle origini di tutto c’è il saper fare. Il saper fare originario degli artisti delle opere esposte al Louvre e, oggi, quello

delle schiere di artigiani che ne curano la conservazione e il restauro, in concerto tra loro, facendo dialogare centinaia di tecniche diverse, tramandate da secoli e oggi supportate dalle tecnologie più avanzate. Un saper fare che mira esclusivamente all’assoluta eccellenza, unica possibile opzione quando si gestisce la responsabilità derivante da uno dei più estesi patrimoni storico-culturali del nostro pianeta, fonte infinita di conoscenza e stupore per milioni di fortunati visitatori ogni anno. Un saper fare, infine, che è perfettamente parallelo a quello dei maestri orologiai e degli artigiani di Vacheron Constantin, manifattura che dal 1755 – circa quaranta anni prima che il Louvre aprisse le sue porte come museo – progetta, realizza e conserva orologi che mirano, identicamente, all’assoluta eccellenza. Se le missioni sono incomparabili, non c’è invece differenza alcuna tra l’impegno, la capacità tecnica e, in qualche modo, l’amore che questi artigiani dimostrano per gli oggetti che vengono loro affidati. Il restauro è uno dei territori d’elezione della partnership, è apparsa quindi naturale la scelta di raccontare proprio

quest’arte in occasione di Homo Faber 2024, la rassegna internazionale promossa dalla Michelangelo Foundation per celebrare la creatività e il talento dei migliori artigiani. Nel corso dell’evento veneziano, Vacheron Constantin e il Louvre hanno messo in scena un doppio spettacolo nella Sala degli Arazzi della Fondazione Cini: non a caso, proprio la stanza ideata dai curatori per raccontare il tema dell’amore, momento centrale del percorso intitolato “The Journey of Life”. I restauratori del laboratorio di ebanisteria del museo hanno presentato il lavoro svolto su una vetrina in rovere impiallacciato in mogano con decorazioni in bronzo dorato: un capolavoro realizzato nel 1822 dal famoso ebanista Jacob-Desmalter, che ospita le gemme provenienti dalle collezioni reali e altri oggetti appartenuti a Maria Antonietta. Accanto agli ebanisti del Louvre, gli orologiai di Vacheron Constantin dimostravano al pubblico l’impegno della Maison nel restauro di orologi antichi, grazie ad alcuni eccezionali esemplari: un orologio gioiello Lady Kalla del 1985, un orologio da tasca del 1908 e tre orologi storici americani

PAGINA ACCANTO: Museo del Louvre, Parigi. L’arte del restauro, in occasione di Homo Faber 2024, applicato alla vetrata dell’ebanista francese François-Honoré-Georges Jacob-Desmalter (1770-1841).

QUI: Le maestranze di Vacheron Constantin ricercano la perfezione in ogni dettaglio. Restauro di un quadrante della collezione Patrimony (in alto) e di una cassa dell’orologio American 1921 (in basso).

IN ALTO: L’orologio Vacheron

Constantin Les Cabinotiers – Omaggio

a Pierre Paul Rubens , La lutte pour l’étendard de la Bataille d’Anghiari (capolavoro conservato al Louvre)

è un’edizione limitata a un solo esemplare. Segnatempo certificato con il Punzone di Ginevra.

PAGINA ACCANTO: In alto, disegno preparatorio dell’orologio Métiers d’Art – Nike di Samotracia, parte centrale del quadrante in smalto marrone, parte esterna in smalto grisaille.

In basso, veduta della Piramide del Louvre, a Parigi.

del 1921. Se il restauro è amore per il bello e impegno per la sua salvaguardia, l’atto di creare racconta però meglio di qualunque testimonianza cosa significhi il desiderio di perpetuare storie e tradizioni che costituiscono il nostro patrimonio culturale. Alcuni fortunati hanno l’opportunità di accedere direttamente a questo atto creativo, e di possedere uno degli straordinari oggetti realizzati da Vacheron Constantin, in collaborazione con il Louvre, per dare materia e anima all’intero mondo di valori che questa partnership incarna. Da una parte, gli orologi frutto dell’iniziativa

“Un capolavoro al polso”, grazie alla quale un cliente può scegliere un’opera da far riprodurre dagli artigiani smaltatori

della Maison sul quadrante di un modello Les Cabinotiers Dall’altra, quattro segnatempo dedicati ad altrettanti momenti della storia che viene raccontata dalle collezioni del museo: l’Impero persiano sotto Dario il Grande; l’Egitto dei faraoni del Medio Regno; il periodo ellenistico in Grecia; la nascita dell’Impero Romano con l’avvento di Augusto. Tutte queste creazioni nascono da un dialogo profondo tra designer, orologiai, storici, conservatori e, soprattutto, tanti straordinari artigiani, in grado di scegliere le tecniche filologicamente più accurate e farle dialogare, per trasformare la materia in bellezza e per renderle omaggio, con il profondo amore che da secoli caratterizza i loro mestieri. •

Quadrante Métiers d’Art ispirato alla civiltà egizia: applicazione in oro incisa a mano, raffigurante la Grande Sfinge di Tanis, circondata da ali stilizzate in smalto champlevé. Fregio in smalto champlevé rappresentativo dell’Antico Impero Egizio. Ogni epoca di questa collezione di segnatempo Vacheron Constantin è rappresentata da un’opera iconica conservata al Museo del Louvre.

Alberto Tallone Editore, particolare della composizione del Manuale Tipografico IV, dedicato alle tecniche di incisori e fonditori in favore dell’estetica.
Foto: Ottavio Atti.

UN Inno ALLA bellezza

E ALLA cultura

La casa editrice Tallone è un faro dell’editoria artigianale, dove il libro diventa un’opera d’arte. Fondata da Alberto Tallone nel 1938, prosegue oggi sotto la guida di Enrico Tallone, che ne custodisce lo spirito originale: unire estetica e contenuto, creando volumi unici e senza tempo.

di Giovanna Marchello

Ogni libro che nasce nella casa editrice Tallone è una dichiarazione d’amore verso il mestiere artigiano. Dalla scelta del carattere all’impaginazione, dalla qualità della carta alla tonalità di nero dell’inchiostro, ciascun elemento è sapientemente calibrato per armonizzare forma e contenuto. I titoli pubblicati, infatti, riflettono una scelta editoriale che mira a valorizzare il testo attraverso un’estetica rigorosa e senza fronzoli, in continuità con una tradizione culturale umanistica che vede la bellezza come veicolo di cultura e di valore. Racconta Enrico Tallone – da oltre 50 anni custode e apostolo dell’eredità spirituale del padre Alberto – che il nonno Cesare, affermato ritrattista e titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Brera, raccomandava ai suoi figli di non accontentarsi di un lavoro noioso, per quanto redditizio, ma di dedicarsi ad attività creative in grado di arricchire il mondo e sé stessi. Seguendo questo consiglio e incoraggiato dall’amica

Sibilla Aleramo, nel 1931 Alberto Tallone si trasferisce a Parigi da Milano per apprendere l’arte tipografica presso Maurice Darantiere, noto per aver stampato la primissima edizione

dell’Ulisse di James Joyce. Dal grande Maestro Alberto non solo impara il mestiere, ma assimila la visione del libro come sintesi tra spirito e materia. Qualche anno dopo, rilevando l’attrezzatura e gli arredi originali della stamperia di Darantiere, molti dei quali risalenti al Settecento, fonda la propria casa editrice con tipografia annessa, che trasferisce ad Alpignano nel 1959, all’interno di una storica tenuta di famiglia.

Dopo la morte di Alberto, avvenuta nel 1968, il giovane Enrico ne raccoglie l’eredità morale e professionale. Impara le tecniche dagli operai specializzati francesi che hanno lavorato con il padre prima a Parigi e poi ad Alpignano. Coltiva la conoscenza e la passione per il mestiere anche grazie alla madre Bianca, figura di riferimento in quella cruciale fase di transizione. Anche l’entourage di letterati, poeti e filologi che ruota attorno alla tipografia gioca un ruolo fondamentale nell’arricchire la formazione culturale di Enrico, influenzando profondamente la sua visione e il suo approccio al mestiere.

Tra le oltre 700 edizioni – tutte in tirature limitate realizzate interamente a mano – pubblicate dalla famiglia Tallone nel

QUI, A SINISTRA: Viale d’accesso alla casa editrice, Alpignano (Torino). Sullo sfondo, la locomotiva – acquistata dai fratelli Tallone all’inizio degli anni
Sessanta – che è stata tra le fonti d’ispirazione della produzione poetica di Pablo Neruda, in visita nel giugno 1962. Foto: Alessandro Pessana.
QUI, A DESTRA: particolare della fase di composizione interamente manuale dei testi. L’atelier tipografico della casa editrice non si avvale, infatti,
dei metodi di composizione meccanica o del fotopolimero. Foto: Luigi Ferrando.

IN ALTO: Enrico Tallone, attualmente alla guida della casa editrice, nel suo ufficio. La Alberto Tallone Editore è stata fondata a Parigi, nel 1938, e ospita, al suo interno, il più antico atelier tipografico europeo tutt’oggi in funzione. Foto: Gabriele Basilico.

QUI: Particolare del carattere Tallone, disegnato da Alberto e inciso a mano, a Parigi, nel 1949, da Charles Malin. Il tipo è in dotazione esclusiva dell’atelier. Foto: Ottavio Atti.

ne aggiornò la versione. Alcune pagine dell’opera, composta a mano con i tipi originali di William Caslon, da lui sbalzati al bulino, a Londra, nel 1720.

corso della sua lunga storia spicca Il Cantico dei Cantici, l’antico poema biblico tradizionalmente attribuito a Re Salomone che celebra l’amore attraverso l’appassionato dialogo in versi tra una giovane donna e il suo amato. Un’opera che nel corso dei secoli ha suscitato molte interpretazioni, sia come celebrazione dell’amore umano sia come parabola spirituale sull’amore tra il Creatore e le sue creature, e che risuona con la filosofia della casa editrice, le cui produzioni esprimono un’inestinguibile passione per la conoscenza, per l’arte e per l’umanità stessa. Il Cantico dei Cantici è pubblicato da Tallone in collaborazione con il poeta e scrittore Guido Ceronetti, fine conoscitore della lingua ebraica. Per la prima edizione, nel 1981, Ceronetti traduce il testo ex novo, restituendo all’opera tutta la sua potenza lirica, mentre l’impaginazione e i caratteri sobri e raffinati esaltano la sacralità e l’intimità delle parole. Nel 1987, la seconda edizione propone la traduzione del 1981 in un

nuovo formato e nuovi caratteri, a cui segue la terza riedizione, nel 1996. Un approccio tipico della filosofia editoriale di Tallone, dove ogni edizione è un’opera a sé, con scelte estetiche che dialogano con il testo per offrire un’esperienza sempre unica.

A trent’anni dalla prima edizione, nel 2011 Enrico Tallone pubblica una quarta edizione, definitiva, integralmente rivista da Ceronetti, il quale scrive anche una nuova prefazione che aggiunge profondità ai testi e nuove riflessioni.

«So che mio padre sperava che portassi avanti il suo lavoro, ed è stato il mio impegno mantenere viva la sua visione», racconta Enrico con orgoglio. Lo stesso spirito di dedizione e amore per il mestiere anima anche i suoi tre figli, che con ruoli e attitudini diverse contribuiscono attivamente all’impresa familiare. Ed è proprio guardando a loro che Enrico sente che il sogno di suo padre non solo continua a vivere, ma trova nuova forza e significato. •

PAGINA ACCANTO, DALL’ALTO: Copertina e chemise de Il Cantico dei Cantici, edito nel 2011, a cura di Guido Ceronetti che, per l’occasione,
QUI: particolare de Il Cantico dei Cantici con la relativa composizione manuale. Foto: Courtesy Archivio Tallone.
Dario Pontiggia, nel suo atelier, intento ad inserire la piastra della meccanica nel modiglione in legno di un’arpa modello Luigi XVI (copia di uno strumento del 1790).

UN SUONO che tutto può

di Giuditta Comerci Fotografie di Giuseppe Riserbato

Dario Pontiggia unisce tradizione e innovazione nella creazione di arpe ispirate ai modelli storici del XVII secolo. Nel suo laboratorio, tra raspe e macchine a controllo numerico, porta avanti un lavoro di perfezione artigianale, facendo convivere manualità e tecnologia.

«Orfeo son io, che d’Euridice i passi Segue per queste tenebrose arene.»

Alle porte dell’Inferno, l’Orfeo di Monteverdi si annuncia a Caronte con uno dei più noti assoli di arpa del melodramma seicentesco. Con suono teso e carezzevole convince il traghettatore a trasportarlo, e riporterebbe alla vita Euridice, se si fidasse di quello più che del proprio sguardo.

di Giuditta Comerci

La lira potente di Orfeo è resa dall’arpa nell’idea sonora di Monteverdi, ma ascoltandola non ci riesce difficile immaginarne l’accostamento a un dono divino, a un suono che tutto può, che tutto ammansisce e placa, allargando il cuore degli esseri viventi come già immaginata nelle mani del dio dell’amore. Non è forse un caso che si tratti dello strumento musicale più antico di cui si abbia testimonianza, rintracciabile in tutte le epoche e in tutti i territori nelle sue diverse forme, attinente all’uso solistico come all’organico in orchestra sinfonica. In relazione a tanta versatilità oggi si ritrovano tanto costruttori di arpe moderne a pedali con doppio movimento, come la rinomata ditta Victor Salvi di Piasco, di fama mondiale, quanto costruttori di copie di strumenti antichi, come Dario Pontiggia, il cui laboratorio

affianca Milano nella cittadina di Sesto San Giovanni. Pontiggia comincia a costruire chitarre nel 1997, per amore di uno strumento che aveva imparato a suonare e per la spinta alla costruzione che gli deriva dal corso in Design al Politecnico di Milano. Si specializza, allena la sua manualità, approfondisce con maestri liutai, arriva a strumenti di ottima fattura che velocemente diventano noti, commissionati da straordinari strumentisti quali Oscar Ghiglia, erede d’arte di Segovia. Ma Dario non comprende perché applicare un set di corde troppo facilmente acquistate a uno strumento che ha previsto trecento ore di lavoro. «Pensare è scommettere sulla domanda contro il destino», scrive Haim Baharier: domandare è generare uno spazio in cui si attende fiduciosi una risposta e si cambia il futuro. L’amore per il funzionamento e per tutto ciò che riguarda il suo strumento pone una domanda, e Pontiggia intuisce che rivolgersi all’arpa lo avrebbe obbligato ad aprire uno spazio e cercare la risposta. La prima costruzione di un’arpa da autodidatta gli impone il confronto con importanti costruttori da cui ottenere informazioni sul funzionamento delle corde: il cembalaro

milanese Ferdinando Granziera, il cordaio vicentino Mimmo Peruffo, dalle cui lezioni Pontiggia trae un sistema matematico personale per il calcolo delle corde. L’apprendistato di Pontiggia sullo strumento avviene nel 2005 con metodo da bottega rinascimentale, ovvero: copiando pedissequamente l’opera di un maestro, sezionandone il capolavoro, cercando di scoprirne ogni dettaglio e ogni modalità costruttiva per comprenderne la mentalità e gli obiettivi. Sceglie di partire dal massimo livello raggiunto in epoca barocca: la sua prima arpa dovrà essere modello della Barberini, uno dei più begli strumenti musicali conosciuti, costruita intorno al 1632 e custodita presso il Museo degli Strumenti Musicali di Roma. La colonna in legno coperto di foglia d’oro è interamente intarsiata, con due coppie di putti che sostengono lo stemma Barberini.

La ricerca viene fatta nel modo più oggettivo possibile, perché da persona del XXI secolo, spiega Pontiggia, avrebbe altrimenti percorso un sistema culturale non aderente all’epoca dello strumento: Dario sceglie di non servirsi delle competenze del mondo moderno, lontane dall’oggetto del suo interesse, ma delle sue tecnologie avanzatissime. Il cuore della ricostruzione

PAGINA ACCANTO: Alcune fasi di lavorazione. Da sinistra, microsaldatura TIG di un componente di una meccanica Erard 1830, particolare della meccanica del modiglione; lucidatura a gommalacca del modiglione di un’arpa Haarnack 1835.

QUI: Una delle ultime Erard prodotte dalla sede parigina dell’azienda. L’arpa è stata rimessa a nuovo dopo circa un anno di restauro.

degli strumenti antichi è per Pontiggia esattamente questo: comprendere le ragioni dei maestri e ottenere ciò che essi avrebbero voluto. Il costruttore riscopre e ricostruisce, restando quanto più aderente alle tracce dell’origine.

«Non si è artisti se non si è artigiani, non si è artigiani se non si è operai», dice Pontiggia, il quale riconosce nella sua prima formazione classica l’interiorità concettuale che gli ha consentito il complesso passaggio alla visione artistica, e nella formazione tecnica la struttura fondamentale per costruire strumenti musicali: oggetti d’arte che devono essere adoperati, dotati di una componente tecnica essenziale per evitarne lo scoppio – problema concreto dell’arpa per le tensioni operate dalle corde che raggiungono forze di quintali di peso. Riscoprire le regole tecniche del passato è un lavoro archeologico: non si tratta soltanto di modalità costruttive, ma di fisicità, gestualità, del modo di pensare l’interazione con lo strumento di quattrocento anni fa, di corde in materiale naturale dall’approccio estremamente grezzo rispetto alle più recenti, eppure più autentiche nel suono pensato dai compositori, che con il suono costruivano a loro volta. Il

passaggio dalla storicità al feticismo è sottile, così come quello dalla storicità a un compromesso difficile da giustificare. Oggi Dario Pontiggia è alla quinta serie di arpe su modello Barberini, corrispondenti a cinque fasi di perfezionamento, quasi impercettibile all’esterno, ma rilevante ai fini del suo percorso. Dal momento in cui Pontiggia ottiene dal costruttore e suo Maestro Beat Wolf il sapere della costruzione dell’arpa a pedali Luigi XVI, un’arpa barocca con pedali che dai primi dell’Ottocento a Wolf ha recepito un vuoto costruttivo, ne diviene l’unico costruttore al mondo.

L’avanguardia della sua attrezzatura e dei macchinari presenti nel laboratorio, insieme a otto collaboratori e a un settore tessile dedicato alle custodie per gli strumenti, si sposano a questo punto perfettamente con la maniacale adesione all’origine dei suoi modelli: tra la raspa e la fresa a controllo numerico non c’è una differenza di valore, poiché per Dario la qualità dello strumento deriva dalla qualità del progetto, dell’assemblaggio e dei materiali. “Fatto a mano” è la gestione dell’opera singola: se possiamo portare ai massimi livelli il pezzo singolo, questo ha valore. •

PAGINA ACCANTO: Restauro delle componenti meccaniche esterne del modiglione di un’arpa Louis Concone 1806.
QUI: Dario Pontiggia misura le tolleranze di alcuni componenti meccanici per l’arpa modello Luigi XVI.
Conchiglia sardonica rappresentante il Giudizio Universale, realizzata a Portici (Napoli), dal Maestro dell’incisione del cammeo Fabio Ottaviano.

Il Maestro CHE SCOLPISCE L’ANIMA delle conchiglie

di Anna Carmen Lo Calzo Fotografie Archivio Fabio Ottaviano

Il Maestro Fabio Ottaviano trasforma ogni cammeo in un capolavoro di minuzia che racconta storie ed emozioni, perpetuando una tradizione millenaria con un tocco di modernità. Dalla bottega di famiglia di Torre del Greco ai red carpet internazionali, le sue creazioni parlano di dedizione, memoria e arte senza tempo.

«L’amore è un’arte e l’arte è un distillato dell’amore; l’essenza di quel sentimento autentico, capace di farci esprimere la nostra intima natura all’ennesima potenza». Inizia con questa riflessione intensa il racconto della storia d’amore del Maestro Fabio Ottaviano nei confronti di una delle forme artistiche millenarie più sofisticate e seducenti di sempre: l’incisione del cammeo. Raffinato oggetto di origini antichissime, il cammeo si è affermato nei secoli grazie al suo potente valore evocativo e simbolico. L’abilità e l’estro dei Maestri intagliatori italiani in epoca rinascimentale hanno dato vita a gioielli, miniature, elementi decorativi e oggetti ornamentali sempre più sofisticati, ambiti dalle grandi casate e dalle corti di tutta Europa. Fabio Ottaviano è figlio d’arte dell’illustre Maestro Pasquale, ottantaseienne fondatore della Bottega di famiglia di Torre del Greco nel 1947, apprendista incisore presso il prestigioso laboratorio del Maestro Scialanga. Oggi il Laboratorio Ottaviano si trova a Portici e si distingue per lo stile inconfondibile delle creazioni di tradizione millenaria realizzate su conchiglia sardonica, corniola, madreperla e pietre

semipreziose. Il realismo e la spettacolarità della lavorazione a mano rende ogni singolo pezzo un capolavoro senza tempo. Fabio trasmette emozione mentre ripercorre le tappe salienti della storia dell’arte del cammeo e quella della sua famiglia: «Torre del Greco è “l’ombelico del mondo”, il luogo che racchiude la sapienza universale di questo savoir-faire e noi siamo orgogliosi di essere i protagonisti contemporanei di questa eredità. Napoli, grazie alla sua posizione geografica, ha sempre favorito l’approdo di navi cariche di conchiglie pregiate provenienti dall’Africa e dall’America Centrale e proprio qui, a Torre del Greco, fulcro della conchiglia sardonica e del corallo, è nata la Scuola di Intaglio dei Maestri Incisori. I nostri antenati ci hanno trasmesso un “lavoro non lavoro”. Questo mestiere non ha nulla a che fare con la fatica; ogni pezzo nasce dall’eccitazione per la bellezza, dall’amore. All’età di undici anni ammiravo papà mentre lavorava con le conchiglie e rimanevo incantato; ogni giorno mi sembrava di assistere a un miracolo! Mio padre è stato intelligente, non mi ha mai imposto nulla, mi ha fatto innamorare spontaneamente.

PAGINA ACCANTO: La scelta del materiale da incidere e, nello specifico, tra conchiglie e madreperle, è una fase molto importante del lavoro dei Maestri incisori.

IN ALTO: Incisione su conchiglia con un bulino. Il cammeo si ispira e raffigura la Primavera del Botticelli.

QUI: Pasquale (a destra) e Fabio Ottaviano. L’arte dell’incisione viene tramandata di padre in figlio: Pasquale è stato il primo maestro per il figlio Fabio.

Lo osservavo in silenzio e mi esprimevo attraverso il disegno, l’immaginazione, lo stupore, la meraviglia. Ho frequentato il liceo artistico, ho conseguito il diploma in Arte del Corallo, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti e, dopo le prime sculture su marmo, legno e argilla, finalmente ho realizzato il mio sogno: il bassorilievo e la microincisione. Ringrazio mio padre per avermi dato la possibilità di avvicinarmi al mestiere senza forzature e oggi gli dedico il premio di “Maestro Artigiano d’Eccellenza”, ricevuto nel 2023. Questo prestigioso riconoscimento celebra il mio impegno e la lunga tradizione che la nostra famiglia porta avanti da generazioni. Papà è stato mentore, ispiratore, esempio di disciplina e di rispetto per l’arte. Inoltre, ha sempre saputo trasmettermi l’importanza dell’innovazione. Questo premio è anche suo».

Fabio concilia il “purismo” del genio artistico con la consapevolezza della necessità di rinnovarsi. «I gioielli che creo oggi sono destinati ad un pubblico spesso confuso dal “troppo” e disorientato dal “superfluo”. Noto con piacere che si sta tornando ad apprezzare la sostanza. Tuttavia, bisogna pensare a forme nuove e avere il coraggio di osare, di ricercare materiali inediti, di stimolare la fantasia. A tal proposito, in

futuro mi piacerebbe andare in Australia a caccia di conchiglie e madreperle».

Grazie al suo talento e alla collaborazione con grandi Maison del lusso, Fabio ha creato gioielli da red carpet, come il Collier Mongol Queen per Chopard e ha realizzato progetti straordinari come il quadrante della collezione di orologi Reine de Naples, ispirata al primo orologio da polso che Abraham-Louis Breguet creò per la regina Carolina Murat, sorella di Napoleone Bonaparte. La sua abilità artistica è particolarmente apprezzata in Cina e in Giappone, Paesi a lui molto affini per elevata capacità tecnica e artistica.

«Le mie creazioni rappresentano la sfida tra classicismo e modernità: soggetti mitologici, simboli di seduzione come Amore e Psiche, angeli, esplosioni floreali. Vi svelo un segreto: il cammeo è sempre frutto di un rapporto che si instaura tra lo chi immagina e chi lo crea. Colui che me lo commissiona mi consegna le chiavi delle sue emozioni. Volumi, contrasti, trasparenze, sfumature, colori fiabeschi, raccontano storie personali, intime, esclusive. Il cammeo dichiara segreti, celebra eventi, suggella l’amore con il quale è stato concepito, affinché rimanga impresso per sempre». •

PAGINA ACCANTO: Conchiglia sardonica interamente incisa.

QUI: Cammeo raffigurante gli affreschi di Raffaello Sanzio della Stanza della Segnatura nei Musei Vaticani. Nella parte superiore è incisa La disputa del Sacramento con al centro l’Altare. Nella parte inferiore, è invece raffigurato il Parnaso. Al centro della composizione, Apollo, circondato dalle Muse, che suona una lira da braccio. L’opera è inoltre arricchita con creazioni originali del Maestro.

Cammeo raffigurante una personalizzazione del dipinto Vulcano presenta a Venere le armi per Enea di Francois Boucher. Fabio Ottaviano è celebre a livello internazionale per l’elevata qualità tecnica e artistica delle sue opere.

THE WATCHMAKER OF WATCHMAKERS

LENNY KRAVITZ
Jaeger-LeCoultre Boutique
Milano – Bologna – Firenze – Roma

Fatti a mano, PER COLPIRE AL CUORE

Cappellini rétro, fiori per i capelli, tiare e velette. Un punto dopo l’altro, Lara Pontoni cuce finezze e piccoli lussi ispirati al passato. Perché l’amore, a volte, è soprattutto una questione di testa.

di Federica Capozzi

ACCANTO: Fiori di seta realizzati da Lara Pontoni per impreziosire un’acconciatura. Foto: Michela Nale.

QUI: Dettaglio della tiara gioiello Aura. La cura dei dettagli è fondamentale per Lara Pontoni. I suoi articoli di modisteria d’ispirazione rétro sono piccoli capolavori di artigianalità. Foto: Valentina Venier.

PAGINA

Aura è una delle tiare di Lara Pontoni esposte a Homo Faber 2024, nella sala Love (“Union”).

È realizzata con perle di vetro antico, cristalli, quarzo, fiori di seta tinti a mano e foglie lavorate all’uncinetto. Foto: Valentina Venier.

L’artigianato è un atto d’amore. È amore per il mestiere, per il gesto sapiente che plasma la materia e la trasforma in bellezza. È amore del creatore per la sua creatura, per l’oggetto che lentamente prende forma nelle sue mani. È amore per il destinatario, che da quell’oggetto riceverà gioia. Ed è amore dell’artigiano per se stesso, amore e rispetto per il proprio talento e la propria passione. Queste forme d’amore, Lara Pontoni le conosce e le incarna tutte. Se a questo aggiungiamo il fatto che la sua produzione consiste in fiori di seta, bijoux de tête, cappellini, tiare e altre “finezze femminili fuori moda”, tutte raffinatissime e squisitamente retro, il quadro è completo. Ma per ammirarlo nella sua interezza, bisogna partire dall’inizio. Da quando, cioè, prima di aprire l’atelier Officine Lamour, Lara lavorava come restauratrice di affreschi. Per vent’anni ha vissuto immersa nell’arte e nello splendore,

sempre in viaggio, sempre in movimento tra un cantiere e l’altro. Finché un incidente l’ha costretta a cambiare rotta. «Per un lungo periodo, non ho potuto muovermi da casa», racconta. «Ho cominciato a cucire per passare il tempo. Non sapevo ancora che mi stavo inventando una nuova professione». Nuova, sì, ma con radici profonde nel suo passato. «Sono cresciuta con due donne, mia mamma e mia nonna, che sapevano fare tutto. Per emulazione, anche io mi sono appassionata presto al lavoro manuale. A quattro anni facevo già l’uncinetto, a venti ricamavo fino alle 5 del mattino perché non riuscivo a smettere. E durante l’ultimo cantiere, a Venezia, la sera dopo il lavoro andavo a imparare a cucire i corsetti del Settecento».

Dopo l’incidente, quell’antico piacere di usare le mani è tornato, combinato con un gusto più maturo, affinato in

OfficineLamour.

tanti anni a contatto con l’arte. «Ma il fascino delle cose “di una volta” l’ho sempre subito, ci ho sempre visto quella cura e quell’attenzione oggi così rare», precisa. «Già alle superiori, quando leggevo D’Annunzio e gli altri autori di fine Ottocento - inizio Novecento, rimanevo incantata dalle descrizioni degli ambienti sontuosi, dei palazzi signorili. Soprattutto mi colpivano le figure di donna, così eleganti, raffinate, dotate di una femminilità d’altri tempi. Non è un caso che io mi sia sposata con un cappellino anni Trenta, con fiore in seta e veletta. Non era una mia creazione, era prima che iniziassi a fare questo mestiere. Ma in un certo senso, c’era già tutto». Questo “tutto” sarebbe arrivato a tempo debito: dalle prime fasce e turbanti agli accessori più elaborati, fino alle tiare da sposa esposte a Venezia a Homo Faber 2024, e ai fiori di seta che un giorno, mentre Lara era nel pieno di un trasloco,

la costumista di Ridley Scott le ha commissionato per Lady Gaga. Tanta cura e nessun compromesso. Lara Pontoni lavora così. «Quello che faccio richiede tempi lunghi fin dalla ricerca del materiale», spiega. «Per i fiori, per esempio, uso esclusivamente la seta. Spesso recupero scampoli e fine pezze dalle aziende, così ottengo alta qualità e sostenibilità in un colpo solo. Per i pistilli mi rivolgo a un pistillificio che li fa dal 1902, per le perline accosto elementi vintage e contemporanei». Quanto alla lavorazione, è quasi pittorica, un retaggio della sua passata attività di restauratrice. «Tingo un petalo alla volta, modificando leggermente l’intensità del colore per renderlo vibrante e conferirgli quella patina antica che risponde al mio canone estetico. E poi mi piace giocare con le texture, abbinare consistenze diverse, sfruttare la rifrangenza della luce per ottenere effetti cangianti». La tecnica è importante. Tanto che

Pettine bijoux Herbarium in tonalità rosate, realizzato a mano in ottone anticato e decorato con vecchie perline in vetro e mezzi cristalli. La lavorazione di ogni pezzo è lunga e minuziosa, a partire dall’accurata ricerca dei materiali. Foto: Lara Pontoni/

all’inizio Lara pensava che il suo lavoro fosse semplicemente questo: un esercizio di stile. Ma poi, a sorpresa, ha scoperto il potere emotivo delle sue creazioni. «Mai mi sarei aspettata tanto trasporto da parte dei clienti», ammette, e poi cita aneddoti, persone, ricordi. «Una volta mi hanno contattato per un cinquantesimo anniversario di matrimonio. Il marito voleva fare una sorpresa alla moglie e regalarle un cappello uguale a quello che lei indossava il giorno delle nozze – un cappello preso in prestito, perché all’epoca non poteva permettersi di acquistarlo. Cinquant’anni dopo, non c’era stato verso di ritrovarlo: così ha chiesto a me di riprodurlo, basandomi soltanto su poche foto sgranate. È stata una follia accettare. Ma non mi dimenticherò mai quando la signora mi ha chiamato per ringraziarmi. Si è commossa. Era così felice… mi ha ripagato in un secondo di tutta la fatica». Lara si interrompe, riflette un attimo. «Alti e bassi, successi e incertezze», conclude. «Questo lavoro è un’altalena. Proprio come l’amore». •

Ex restauratrice di affreschi, Lara Pontoni utilizza una tecnica di lavorazione pittorica per i suoi fiori di seta: tinge un petalo alla volta, modificando l’intensità del colore
per ottenere un effetto cangiante e conferire alle sue creazioni quella patina fanée che le caratterizza. Entrambe le foto: Lara Pontoni/ OfficineLamour.

Lara Pontoni al lavoro, mentre apporta le ultime modifiche a una delle sue «finezze femminili fuori moda», come le definisce lei stessa. I suoi fiori sono tutti pezzi unici. Per

realizzarli, usa diversi tipi di seta, georgette, taffetà, crêpe de chine, chiffon, raso, organza o velluto.

Foto: Lara Pontoni/ OfficineLamour.

Una sposa indossa l’headpiece studiato su misura per lei da Lara Pontoni: un diadema gioiello ispirato allo stile Grande Gatsby, realizzato con mezzi cristalli, conterie nere e baguette vintage. Foto: Glauco Comoretto
Il laboratorio artigianale
Color Cioccolato di Reggio Calabria, fondato nel 2005 da Cristina Quattrone, conosciuta come “Nuccia”, non offre solo deliziose creazioni, ma porta avanti anche una missione solidale.

Pantone Color Cioccolato

di Giacomo Bullo

Fotografie Courtesy ALMALa Scuola Internazionale di Cucina Italiana

Dalla Calabria al Madagascar, passando per la tradizione artigianale del cioccolato, la storia di Cristina Quattrone è un viaggio che intreccia passione, territorio e solidarietà. Color Cioccolato non solo dà vita a capolavori del gusto, ma costruisce un ponte tra sapori locali e impegno globale.

Prende il via dal Sudamerica una narrazione che si dispiega attraverso tre continenti: America, Europa e Africa. “Las cuentas claras, y el chocolate espeso” – le idee devono essere chiare e la cioccolata densa. Questo antico proverbio spagnolo, nella sua essenza popolare, distilla la limpidezza necessaria nelle idee e nelle proposte che ciascuno di noi postula. Su un punto, però, non si può transigere: la densità del cioccolato. Concetti e mondi apparentemente lontani si intrecciano in questo racconto, che trova il suo fulcro nella storia di Cristina Quattrone, Maestra d’Arte e Mestiere nel campo della cioccolateria per il 2024. La sua è una vita che, fin dall’inizio, si è orientata verso obiettivi chiari – per la cioccolata densa, però, bisognerà aspettare il 2005 con l’apertura del suo laboratorio. Una vita vocata alla trasmissione del sapere, prima come insegnante e oggi come custode di aromi, tostature e praline. Una terra, la sua Calabria, da cui orgogliosa sgorga una manifestazione di tenace caparbietà temperata tra amore e famiglia. Il modo di cui mi servo per raccontarla? La preparazione stessa del cioccolato.

Miscelazione. Torrefazione e macinatura dei semi della cabossa per ottenere la pasta di cacao.

Cristina Quattrone – per tutti “Nuccia” – muove i primi passi nella trasmissione del sapere insegnando inglese all’Istituto Industriale di Reggio Calabria. Ingrediente complesso è l’essere umano, dalle molteplici sfaccettature di pensiero e relazione. Nuccia, affascinata dall’energia e dalla varietà dei giovani che

la circondano, decide di ampliare il suo impegno, dedicandosi anche a chi giovane non lo è più, assistendo gli anziani nelle strutture di ospitalità della sua città. Il gesto del donare diviene ingrediente principale del suo essere.

Raffinazione. Gli ingredienti vengono qui selezionati e mescolati in proporzioni variabili, l’impasto viene nuovamente tagliato e schiacciato per ridurre la dimensione dei granuli.

Cristina Quattrone è prima di tutto madre oltreché artigiana, ruoli che si intrecciano con la sua evoluzione personale e professionale. Durante una visita a Milano accompagnando la figlia nei suoi studi, una passeggiata la porta davanti a una piccola bottega, un luogo intriso di magia artigiana. Dietro vetrate che sembrano custodire segreti, strumenti eleganti nella loro liturgica semplicità rituale – tra cui una temperatrice che riversa un flusso denso e lucente di cioccolato – catturano il suo sguardo e accendono una scintilla. Quel cioccolato, quasi vivo nella sua fluidità, sembra suggerire antiche storie ma con un piglio nuovo, inaspettato. Tornata in Calabria, Nuccia porta con sé non solo alcuni di quegli strumenti, ma un anelito profondo: trasformare il fascino di quella scoperta in un sapere che intrecci il territorio e le sue eccellenze. Il desiderio – da “de-sidera”, scende da quelle stelle – si concretizza nel suo laboratorio, dove ogni creazione è concepita per non essere solo buona ma anche significativa. Nel 2001 il sogno diventa realtà, anche se occorreranno altri quattro anni per raggiungere la densità perfetta.

Concaggio. Questa fase si prefigge di amalgamare armoniosamente i vari componenti, riducendo l’umidità residua e gli aromi acidi e astringenti che naturalmente contraddistinguono il frutto della fava del cacao.

Reggio Calabria, topos familiare della famiglia Quattrone, è terra che incanta per i suoi contrasti: dolcezza e asperità si incontrano, forgiando un panorama di eccellenze culturali, storiche e gastronomiche. Sebbene il clima mediterraneo nelle sue calure non incentivi alla cultura per il cioccolato, questa regione compensa con una ricchezza straordinaria di materie prime. La zagara diffonde il suo profumo inebriante dall’esplosione agrumata di mandarini, limoni, bergamotti e arance celebrando con quest’inno aromatico la generosità della natura calabrese. Le foreste millenarie della Sila e i castagneti dell’Aspromonte offrono frutti preziosi: castagne, mandorle, noci e nocciole. Nuccia ha ben chiaro come questa biodiversità

produttiva sia l’anello con cui suggellare il matrimonio sensoriale unico con il mondo del cioccolato. Nel 2005 nasce Color Cioccolato, laboratorio che lavora le tre varietà pregiate di cacao – Criollo, Trinitario e Forastero – trasformandole in cesellati gioielli del gusto. L’etimologia classica ancora meglio aiuta nel comprendere l’unicità di tale prodotto: ϑεός «dio» e βρῶμα «cibo» – Il cibo della divinità. La Magna Grecia risuona tanto nelle origini quanto nei cioccolatini dal nome mitologico di Cristina Quattrone. Polluce, con una sontuosa crema di castagna ad avvolgere la glassa al rum, evocando le calde note autunnali della terra calabrese; Morfeo, che intreccia la delicatezza monacale della pasta di mandorle con il cremoso al cioccolato al contempo rinverdito dalla vibrante freschezza del bergamotto; e Ganimede, in cui la dolce composta di mele cotogne si lascia sorprendere dall’audace e speziata vivacità dello zenzero. L’epico cioccolatino è presto servito, sia nella sua tecnica realizzazione che nell’amorevole ricerca dell’ingrediente.

Temperaggio. La sequenza di rapidi cambi di temperatura controllata a cui il cioccolato viene sottoposto. Passaggio indispensabile per la sua stabilità quanto in lavorazione quanto in resa gustativa tra croccantezza e scioglievolezza.

Così come il temperaggio stabilizza il cioccolato, la visione di Cristina Quattrone si radica saldamente nella solidarietà. Diversa è la latitudine con i suoi 7.111 km che separano la lussureggiante isola del Madagascar dal laboratorio di via Monsignor Giunta 8, nel cuore del capoluogo reggino. Eppure, grazie al lavoro di squadra con la figlia Francesca Di Stefano e suo marito Santo Versace, i ricavi di Color Cioccolato sono in grado di sostenere la missione gesuita in Madagascar, offrendo servizi educativi e alimentari ai bambini dell’isola. Temperature e latitudini diverse ma unite dalla forza di tale goloso prodotto e di ciò che è in grado di generare.

PAGINA ACCANTO E QUI: Il laboratorio, interamente al femminile, si dedica alle diverse fasi di lavorazione del cioccolato utilizzando esclusivamente macchine temperatrici, garantendo così una qualità artigianale unica.

Modellaggio. Ultima fase quella che dona la forma al prezioso liquido. Tavolette, praline, gocce, uova.

L’estro qui trova la sua più grande epifania. Ciascun artigiano immagina la sua personale forma, rendendo riconoscibile la sua arte e celebrando il suo amore per questo mestiere. Nel mestiere, come nell’arte, si cela un mistero: la parola stessa rimanda a una sfera intima e personale. Esercitare un mestiere significa aderire a uno stampo, un modello che ciascuno sceglie per esprimere ciò che è. Non solo per fare, ma per essere. Tuttavia, questo saper fare deve essere caratterizzato da un’intenzione. Precisa, diretta, chiara. Potente ma concentrata e ben riconoscibile. Il cioccolato, materia viva, dialoga con i sensi solo quando si sente oggetto di attenzione autentica valicando silenzioso il mero concetto di “buono”. Ha un proprio linguaggio interiore. Ed è proprio questo il segreto delle creazioni di Nuccia: autentiche trasposizioni d’amore, capaci di toccare il cuore tanto di chi le gusta quanto di chi ne beneficia, anche al di là dell’Equatore. •

QUI: Il cioccolato, uno degli alimenti con il più alto coinvolgimento sensoriale – dal gusto al tatto, dall’udito alla vista fino all’olfatto –viene declinato in circa venti gusti diversi dal laboratorio, che utilizza esclusivamente ingredienti a chilometro zero per garantire qualità e sostenibilità.

A LATO: Cristina Quattrone, fondatrice di Color Cioccolato, è stata nominata MAM - Maestro d’Arte e Mestiere nel 2024 da Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e ALMA-La Scuola Internazionale di Cucina Italiana.

Vetri d’amore

di Jean Blanchaert

PAGINA ACCANTO: Le

Vase Communiquant , creato dall’artista Flavie

Audi con il Maestro

vetraio Nicola Causin

presso Berengo Studio di Murano, rappresenta una celebrazione del flusso naturale del vetro e del fuoco. Due cilindri curvi, animati da un dinamismo organico, sono uniti da una roccia fluida sospesa senza l’uso di stampi, rendendo omaggio alla spontaneità del materiale e alla maestria artigianale.

Foto: Everything I Want/ Nadja Romain.

Le sculture di Flavie Audi traducono in forme il respiro e il battito della condivisione. Attraverso il vetro soffiato, le curve sensuali e i colori che vibrano di emozioni, l'artista ci parla di equilibrio e fusione.

Quando, nel XVII secolo, Galileo Galilei, a Firenze, scrisse il libro Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua, contribuì a gettare le basi per le ricerche che portarono Blaise Pascal a formulare il principio dei vasi comunicanti, secondo cui, in presenza di gravità, un liquido in vasi collegati raggiunge lo stesso livello, formando un’unica superficie equipotenziale. E non è forse una delle più belle forme d’amore, quella più sincera, quella della condivisione? Sì, essere se stessi, ma non soli. La donna o l’uomo che esce la mattina dopo aver condiviso pensieri e preoccupazioni ha una forza particolare, una sorta di corazza protettiva contro le insidie della giungla umana.

I “vasi comunicanti” ideati da Flavie Audi sono un’originale interpretazione scultorea dell’amore. I due vasi di vetro sono innamorati, sensuali, quasi avvinti, poetici come l’amore platonico, erotici come il Kāma Sūtra oppure poetici ed erotici allo stesso tempo come nel frammento 42 di Saffo: «Eros ha sconvolto il mio cuore come un vento che si abbatte sulle querce della montagna».

Le Vase Communiquant , in una varietà di sfumature: ogni pezzo è unico e numerato. Il nome di questi suggestivi

vasi-scultura è ispirato al romanzo surrealista di André Breton Les Vases Communicants , scritto nel 1932.

Il prototipo di questo lavoro è stato realizzato in collaborazione col Maestro Nicola Causin di Berengo Studio, a Murano, per Everything I Want, progetto di Nadja Romain. La produzione successiva è continuata presso la vetreria Devereux & Huskie nel sud ovest dell’Inghilterra, nel Wiltshire.

Le sculture di Flavie Audi fanno pensare agli alberi piegati dal vento che può essere il caldo khamsin della sua Beirut, la fredda tramontana del nord, l’umido scirocco e a volte persino la potente bora triestina.

Non bisogna mai dare nulla per scontato e questi vasi rappresentano lo sforzo che ci deve essere ogni giorno per tenere viva una relazione. Sono sculture nelle quali i vasi comunicanti, cioè gli amanti, si presentano con colori che descrivono le loro personalità: il nero è associato alla forza di volontà e all’indipendenza, l’azzurro descrive una tendenza all’armonia, il viola suggerisce un’intensa spiritualità. Le due forme cilindriche sembrano sostenere una sfera colorata che

non è nient’altro che la rappresentazione della loro relazione. Si percepisce lo sforzo di tenerla in equilibrio, di non farla precipitare, come canta Charles Aznavour: «Ti lasci andare sempre più …/ Con quelle calze sempre giù/ Mezza truccata e mezza no/ Coi bigodini ancora su».

Viene in mente L’uomo che porta la croce, scultura in bronzo di Jan Fabre nella cattedrale di Anversa che raffigura un uomo con la mano destra tesa su cui è poggiata una grande croce che lui cerca di non far cadere perché anche la fede va riaffermata ogni giorno. Un grande amico di Jan Fabre, Bob Wilson, ha recentemente realizzato un’installazione in vetro chiamata Wrestlers. S’ispira a uno spettacolare sport da combattimento praticato in Cina durante la dinastia Han, duemila anni or sono. Gli atleti si affrontano in una lotta libera sostenendo sul gomito sinistro un’anfora ceramica di medie dimensioni. Perde chi la fa cadere. Anche in questo caso, come nella scultura di Jan Fabre e in quelle di Flavie

Audi, si nota che la vera vita corre sul filo del rasoio. Il lavoro di Flavie Audi prende spunto proprio dalla manipolazione del vetro, che gioca un ruolo cruciale in tutto il suo percorso artistico. Le sue sculture sono la traduzione tridimensionale di un’idea che immagina un mondo futuro. Gli estremi si toccano. Le forme di queste opere somigliano ancheai primi reperti geologici della più lontana preistoria. Flavie persegue modi di esprimere la sensualità e la luminosità creando incontri abbaglianti. Le sue forme sono misteriose, esprimono l’energia e l’essenza dell’esistenza, un senso di vita. Flavie invita la mente a espandersi nell’infinito cosmologico e verso un attaccamento affettivo al mondo. Les Vases Communiquants sprigiona una sensualità siderale. La curvatura dei cilindri e la roccia fluida sospesa catturano una presenza fugace e viva che suggerisce la forza vitale che ci collega. Le forme si accarezzano e si sfiorano in teneri rapporti. Sensual glass.•

QUI: Flavie Audi, artista franco-libanese specializzata in vetro, laureata al prestigioso Royal College of Art di Londra.
QUI: Le Vase Communiquant , vetro soffiato, opera di Flavie Audi e Nicola Causin. In tutta la collezione, il vetro diventa un simbolo della tensione tra il tangibile e il digitale.
Flavie Audi trasmette sensualità e luminosità attraverso le sue opere, creando incontri abbaglianti che catturano meraviglia e sublime. Foto: Courtesy Flavie Audi.
Nicola Causin, Maestro vetraio con una lunga collaborazione con i più importanti designer internazionali, immortalato al lavoro nella fornace di Berengo Studio. Foto: Oliver Haas/Berengo Studio.

Cara\Davide, studio di design fondato da Cara Judd (Sud Africa) e Davide Gramatica (Italia), in collaborazione con Roberto Lucchinetti, Maestro artigiano della Valchiavenna. Qui si lavora la pietra ollare, materiale utilizzato per creare non solo pentole e bistecchiere, ma anche oggetti di alto artigianato artistico.

ideaPazza

Giunto alla sua nona edizione, Doppia Firma si conferma come un laboratorio di eccellenza per il dialogo tra artigianato e design attraverso collaborazioni straordinarie tra maestri artigiani e designer di talento. È la storia di un evento di successo che continua a fare scuola. E che ci ha insegnato a osare.

di Paola Carimati

Fotografie di Laila Pozzo per Doppia Firma

Che Doppia Firma si sia fatto metodo e, in Italia e all’estero, faccia scuola, è ormai un dato di fatto: lo dicono i numeri delle edizioni realizzate (9) e delle coppie di artigiani e progettisti coinvolti (63), lo dice la qualità degli affondi nelle tecniche interpretate e messe in scena, ma anche dei materiali esplorati e dei territori raccontati. L’evento nato nel 2016 da un’intuizione di Alberto Cavalli, direttore generale di Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, ha saputo mantenere il focus dell’attenzione sulla sperimentazione contribuendo in concreto a restituire dell’artigianato una narrazione più rotonda e attenta alle urgenze del contemporaneo: quella restituita al grande pubblico è il racconto di un nuovo Umanesimo profondamente ancorato ai valori della tradizione, del dialogo, del rispetto. Francesca Taroni, direttore di Living Corriere della Sera, media partner di Doppia Firma sin dalla prima edizione, non nasconde una certa soddisfazione nel ripercorrere le tappe

di un viaggio lungo quasi dieci anni: «Abbiamo intercettato una necessità che si è fatta tendenza, ovvero quella di proiettare il savoir-faire nella contemporaneità. Promuovere un tema del progetto intimamente legato alla qualità artigianale, ha contribuito a dare slancio a festival italiani e internazionali inaugurati negli anni successivi», tra i quali il Lake Como Design Festival e Edit Napoli, entrambi fondati nel 2019. Quest’anno a Villa Mozart, il concept si apre alla storicizzazione, affiancando ai nuovi progetti una selezione di sette pezzi realizzati nelle passate edizioni: una sorta di “best of” dell’hand made.

Tra le new entry, lo studio Cara\Davide in dialogo con Roberto Lucchinetti e Andrea Mancuso con Luciano Tousco: «Lavorare con gli artigiani è il nostro modo di avvicinare la materia, di sviscerarla nelle sue potenzialità», raccontano Cara Judd e Davide Gramatica alla loro prima esperienza con la pietra ollare. «Siamo stati a bottega, un posto pazzesco

in riva al fiume, nel cuore della Val Chiavenna: insieme a Roberto abbiamo avvicinato una tecnica, particolarissima e antica quanto la “roccia tenera”, usata per ridurre al minimo lo spreco». Fare di più con meno è la loro cifra autoriale, che ben si sposa con le tradizioni della valle. «Con Luciano, un montanaro vero, abbiamo lavorato sul tema dell’innesto che si fa pattern», dice Andrea Mancuso, che della Valle d’Aosta ormai conosce ogni digressione decorativa. «Il nostro è un ritorno alla decorazione alpina: la seduta alla quale abbiamo lavorato mantiene la linea sinuosa della lounge per aprirsi all’innesto di rami veri». Il retro della scocca si fa radura per restituire l’immagine di un paesaggio di montagna scolpito a mano. Ode alla forza del legno massello, quindi, ma anche alla sua fragilità di materiale in transizione. Come l’ambiente nel quale viviamo. «Quello inventato dalla Fondazione Cologni è un progetto culturale che grazie al talento di designer ben selezionati, riscatta l’artigianato dalla dimensione del fare, per restituirgli

PAGINA ACCANTO: Anna Gagliardi, maestra artigiana della pelle per Serapian, ritratta con Bethan Laura Wood, designer inglese rinomata per gioielli, mobili, oggetti decorativi, illuminazioni e installazioni, apprezzata a livello internazionale.

QUI: Giulio Iacchetti, industrial designer milanese, con Andrea Navarini, titolare di Navarini Rame, eccellenza nella produzione di pentole e accessori da tavola in rame a Trento.

nobiltà di pensiero», puntualizza Francesca Taroni. «Complice una certa attitudine delle aziende, sempre più concentrate sul tema del contract, e meno sulla sperimentazione, che ha suggerito ai progettisti di avvicinarsi con maggiore convinzione all’autoproduzione».

Fanno eccezione Barnaba Fornasetti e Giovanni Bonotto, mecenati e imprenditori alla guida di due eccellenze manifatturiere italiane: la prima, fondata nel 1940 a Milano da Piero Fornasetti, la seconda nel 1912 a Molvena da Luigi Bonotto, entrambe esempi-manifesto di Fabbrica Lenta. Per Barnaba, uomo colto e discreto, la lentezza «è parte naturale della nostra essenza artigianale, della nostra filosofia: fare le cose con il giusto tempo ci consente di riflettere sul senso del progetto e, come amo dire, di riuscire a pensare con le mani». Slow design è un concetto buono e bello, ma è davvero credibile quando ruota attorno all’uomo con i suoi tempi intellettivi e manuali. «Quando ho incontrato Giovanni Bonotto», ci

svela Fornasetti a proposito della collaborazione nata con Doppia Firma per la realizzazione di Un filo di follia pratica, «c’è stata immediatamente sintonia. Per entrambi il rispetto della tradizione e l’ossessione per il dettaglio sono valori fondamentali. In particolare, ho apprezzato molto ciò che lui ha detto in un’intervista: “Mi vanto di lavorare in una fabbrica dotata delle lenti della fantasia”. Ecco, questo per me, è il vero filo che ci unisce: l’accesso alla fantasia pura, seppur con basi formative rigorose».

Un pensiero crossing che legittima il craft al cambio di scala, consentendogli di contaminare anche la dimensione dell’interior decoration. «L’emozione che ti restituisce una casa, un interno, è sempre più legata al materiale, alle finiture, ai rivestimenti, alla tattilità delle superfici. Mi piacciono le scenografie allestite da Giacomo Moor e Pietro Russo», chiude Francesca Taroni, «perché sono una sorta di archidecorazione, in cui superfici, rivestimenti, vetri, esplodono

una tridimensionalità che riscalda l’atmosfera».

Vento, il paravento realizzato nel 2022 da Hannes Peer con Del Savio 1920, e tra quelli in mostra alla Milano Design Week, è pensato e realizzato come un elemento architettonico mobile: «Nei miei interni, l’artigianato è parte integrante dello spazio. Le piastrelle dipinte a mano, i lampadari soffiati a bocca, i mobili intarsiati, non sono dettagli puramente decorativi, ma dispositivi di narrazione che connettono arte e funzione», e punteggiano una dimensione talmente ricca matericamente e talmente coinvolgente emotivamente da risuonare. «Il craft è l’anima dei miei progetti, per noi interior designer è l’opportunità che restituisce autenticità e profondità agli ambienti per renderli vivi». In un gioco sapientemente condotto che, come ama sottolineare Barnaba Fornasetti, «combina funzione e creatività, quotidiano e meraviglia e che rasenta la follia».

Osare è dunque il comandamento dell’artigianato d’autore, quello che, come ci insegna Alberto Cavalli, non replica. Inventa. •

PAGINA ACCANTO: Fundamentals (2018), creato dal Maestro orafo padovano Giampaolo Babetto in collaborazione con Studio Swine, collettivo d’arte britannicogiapponese. Set da tavola composto da saliera, pepiera e zuccheriera in argento, ispirato a elementi architettonici come colonne, archi e muri in mattoni.

QUI: Kit del Legnamé (2016), realizzato dal Maestro ebanista comasco Giordano Viganò in collaborazione con il designer milanese Giacomo Moor. Un set di falegnameria in legno di ulivo, noce nazionale, cuoio e ottone. Entrambi questi capolavori hanno ricevuto il Wallpaper* Design Award.

PAGINA ACCANTO:

Draga Obradovic e Aurel K. Basedow, fondatori dello studio multidisciplinare

Draga & Aurel, con Alessandra Piazza e Alessandro Cuccato, figure di riferimento di Vetroricerca, laboratorio bolzanino di lavorazione del vetro da oltre 30 anni.

QUI: Il designer di origini

romane Andrea Mancuso, fondatore di Analogia Project, con Luciano Tousco, valdostano, Maestro artigiano del legno, specializzato nella creazione di complementi di arredo su misura.

Malle d’amour

di Francesco Rossetti Molendini

Fotografie di Giorgio Schirato/Tempi Tecnici

Custodire non è solo un gesto pratico, ma un vero e proprio atto d’amore. Il Secret Beauty Trunk di Serapian celebra il viaggio come esperienza. Ogni cassetto, ogni intreccio di pelle, ogni riflesso di luce sullo specchio racconta una storia di cura, dedizione e bellezza.

Cassetto segreto a pressione per make-up e profumi del Bespoke Beauty Trunk di Serapian.
La forma richiama il motivo iconico del rombo Mosaico, tratto distintivo della Maison meneghina. Il Trunk presenta 12 cassetti Mosaico (6 dei quali nascosti alla vista).

Costruito con cura, al suo interno con cura custodisce; e la cura è un atto d’amore. Il baule è da sempre un elemento centrale nella dimensione del viaggio, un contenitore che racchiude inizialmente tutto il necessario per la partenza ma che, a meta conclusa, diventa scrigno per i ricordi delle esperienze vissute. Che sia inteso come guardaroba, cabina da viaggio o prezioso complemento d’arredo, il Secret Beauty Trunk di Serapian è un atto d’amore e di maestria che si dipana su più significati: affezione verso il viaggiatore e i suoi interessi, passione per il fatto a mano, competenza delle maestranze che lo hanno realizzato. Questo oggetto d’arte, presentato in anteprima all’ultima edizione di Homo Faber: The Journey of Life nella sala “Unione” dedicata appunto all’amore, è un esempio magistrale del savoir-faire della Maison milanese, oggi proprietà di Richemont. Una dimostrazione della dedizione di Serapian verso le più raffinate competenze e tecniche artigianali, che fonde i mestieri della tradizione con l’innovazione, proprio come il servizio Bespoke Assoluto – che permette ai clienti di collaborare a qualsiasi creazione in pelle – esige. Una filosofia legata al valore delle mani, come ricorda il CEO Maxime Bohé. Le attrici degli anni Cinquanta, Cinecittà, gli anni della Dolce Vita, l’amore per il cinema: il design del Secret Beauty Trunk fa riferimento alle star che recitavano presso i leggendari studi cinematografici di Roma, e che regolarmente si recavano a Milano per commissionare borse su misura a Serapian. Un pezzo monumentale, un’attenzione certosina ai dettagli: con i suoi 2,20 metri di altezza, il baule delle meraviglie è stato realizzato in legno di palma dal Maestro ebanista Giordano

Questo imponente baule, alto 2,20 metri, è realizzato in legno di palma, offre scomparti dedicati per prodotti di bellezza, fragranze, abiti e accessori, diventando un elemento centrale in

una stanza e un luogo ideale per prepararsi. Il baule include anche uno specchio centrale retroilluminato con un’incisione a forma di diamante.

Viganò e il suo interno è lavorato con la tecnica del mosaico, che contraddistingue il grande saper fare di Serapian, caratterizzata da strisce di nappa di agnello intrecciate a mano dagli artigiani della Maison. Dotato di dodici cassetti – di cui 6 nascosti alla vista (da questo il “secret” nel nome) – questo arredo prezioso comprende anche uno specchio centrale retroilluminato caratterizzato da un’incisione a forma di diamante che richiama il mosaico, la cui forma iconica e bellezza formale restano immutate da quella prima volta in cui Stefano Serapian nel 1947 la sperimentò. Questa commissione speciale – pensata certamente per una donna elegante, colta e amante della bellezza e dei lunghi viaggi – assolve sì a una dimensione pratica, ma si eleva a uno stile di vita che è simbolo di un bene più prezioso: il tempo per se stessi, da ritagliarsi nella frenesia del quotidiano, una modalità alternativa ma efficace di amarsi. Indumenti, profumi, accessori (e forse qualche segreta lettera d’amore) sono gli elementi qui con cura custoditi. Un grande scrigno su ruote, un malle d’amour, in contrapposizione alla vita contemporanea, troppo veloce, fatta solo di bagagli a mano. •

il laboratorio

Fase di lavorazione presso
della Maison Serapian: taglio, preparazione e disposizione dei rombi in Mosaico che prevedono l’intreccio a mano di strisce di nappa d’agnello da parte di artigiani esperti.

testimo n iato da franco cologn i

La melodia dell’amore

L’amore è una canzone unica, intonata con la voce delle emozioni, dei gesti e dei materiali che trasformano il quotidiano in arte. Gli artigiani ci insegnano che amare significa accettare i difetti, affrontarli con coraggio e migliorare, costruendo la perfezione un passo alla volta. È nel loro lavoro che scopriamo il vero significato dell’amore: l’impegno a dare valore a ciò che facciamo, con autenticità e onestà.

Parlare d’amore è un’usanza antica come il mondo. Eppure, ogni volta che ci interroghiamo sull’amore – sui sentimenti che nascono nel nostro cuore, e ai quali spesso non siamo nemmeno in grado di dare un nome – ecco che le parole sembrano spesso inadeguate, imprecise, lontane dalla realtà.

Per questo ciascuno canta la propria canzone d’amore, a modo suo: un canto spesso arcano o misterioso, che si nutre di sensazioni, sguardi e parole che solo per noi acquistano un significato davvero “universale”. Ovvero, un significato che va oltre la loro natura per trasformarli in un’energia straordinaria, la più dirompente che esista: quella che permette di creare, di dare vita, di trasformare.

La canzone che i maestri artigiani intonano ogni giorno nei loro atelier, nelle botteghe e nelle imprese è quella che racconta del loro amore per la bellezza, per la perfezione, per i materiali che il loro talento sublima in forme sempre nuove. È una canzone che risuona in luoghi speciali, dove lo spirito del savoir-faire si incarna attraverso la competenza, la pratica e la trasmissione. È la celebrazione di un modo di vivere più intenso, in cui la felicità del fare si traduce in un amore appassionato per l’impegno di una vita intera.

E come gli artigiani insegnano, l’amore non è mai scevro da una certa dose di realismo e di critica. Amare una persona o un luogo non significa chiudere gli occhi sui loro difetti e far finta che siano l’emblema della perfezione: questo non è amore, ma al massimo un’infatuazione piuttosto immatura. Amare significa rendersi conto che vi siano dei difetti, ma comprendere anche che insieme si può fare qualcosa per risolverli: o addirittura accettare che esistano, così come esistono anche i nostri, ma decidere ugualmente che vale la pena dare un seguito ai nostri sentimenti, perché la perfezione si raggiunge giorno per giorno, con un’azione di reciproco sostegno e di miglioramento.

Ugualmente, i maestri ci invitano a ricercare il difetto nei prodotti banali che a volte ci circondano, per sottolineare quanto sia diverso, e certamente migliore, un oggetto realizzato artigianalmente con cura e talento. Ci spronano a non farci andare sempre bene ogni scelta e ogni esito, perché alla perfezione si giunge attraverso le prove continue. Con il loro lavoro ci insegnano che amare significa anche avere il coraggio di porsi di fronte ai propri difetti e cercare di guardare ad essi con realismo: non con lo sguardo clinico e cinico di chi cerca colpe o di chi insegue fantasmi del passato, ma con il sano approccio di realismo e onestà del vero Maestro.

Ovvero: di chi ama ciò che fa, e intorno a questo amore costruisce il senso della propria vita. •

THE POWER OF LOVE

In our world, love is almost always presented, with good reason, as an antidote to fear and loneliness. Yet no one seems to be really convinced that togetherness is indeed beautiful: although we live side by side, we are becoming more and more individualistic and self-centred, and incapable of performing a loving act towards one another, let alone towards society as a whole. Like those concerned only with their own survival, with little regard for that of others, we tend to focus on the more intimate and personal meaning of love and caring, ignoring its social and collective dimension, which requires commitment and dedication, and is often tinted with the unpopular hues of self-denial and altruism.

The exchange of objects takes the place of actual communication between subjects, and the very purpose of communication is lost in a dust cloud of claims and grievances, of closure and immobility, ultimately replacing openness to others.

With this issue of Mestieri d’Arte & Design, dedicated to the theme of love, we want to narrate a variety of different stories that (hopefully) diverge from this outlook. Stories of master craftspeople who, through their work, talent and inspiration, celebrate the world’s most powerful force: love. Of individuals who have dedicated their entire lives to a profession they cherish and that makes their days meaningful. Of manufacturers, workshops, businesses filled with people who collaborate and communicate, and refuse to be discouraged by our seemingly trivial present. Those who, day after day, with courage and passion, repeat ancient gestures in order to restore dignity to those time-honoured crafts that enrich our lives and make them more precious.

We have all somewhat lost the ability to love. Yet, our shortcomings often stem from laziness, ignorance, or mistrust. However, in the very moment when despair and sadness grip us, just as everything seems doomed and irretrievably lost, beauty emerges as a tangible, authentic and practical possibility.

Through their stories, visions and talents, the examples we have chosen to feature in this issue capture many aspects of love-generated beauty, which is continually shaped into unexpected and evocative forms. These stories are real and are always enriched by the addition of new chapters. In the same way, the emotion we feel for what fascinates us, seduces us and makes us happy is always new. And that emotion is love. Happy reading!

CERAMICS: THE CULTURAL BRIDGE OF THE MEDITERRANEAN

Ugo La Pietra

Now more than ever, we are acutely aware of the deep differences among the many countries bordering the Mediterranean Sea: in language, customs, politics, economy and religion. Yet, when the Mediterranean was still called mare nostrum, these differences were less evident: from Tunisia to Lebanon, cities were created following the model of Rome, and mosaicists, stonemasons and ceramicists shared the same political and cultural framework. Almost nothing survives of the vast heritage tied to craftsmanship. I say almost because, if we look closely, there is still something that connects the peoples bordering the Mediterranean: pottery making. Ceramics with blue decorations are crafted from Albisola to Tunis by artisans who uphold and renew this ancient tradition. Through their work, they preserve their love for the Mediterranean and for artistic ceramic craftsmanship, a shared passion that has withstood countless challenges.

A vestige of a once unified identity endures in the ceramics made in Vietri sul Mare. Here, most of the craftspeople are familiar with the story of the

German artists who, in the 1920s, settled in the beautiful Gulf of Amalfi to dedicate themselves to the manufacturing of ceramics. They were seeking to express the core values of a culture that had shaped this vast region for millennia. After thorough exploration of the lands bordering the Mediterranean, they decided that the symbol they all had in common was the donkey, which back then was a key feature of rural society. To this day, the smiling little donkey, adorned with its signature copper-green glaze, continues to be crafted by skilled ceramicists in Vietri sul Mare.

Much of our best craftsmanship is rooted in this strong sense of place. A passion shared by artisans from different regions, who keep the tradition of craftsmanship alive in a society increasingly drawn towards the virtual world. This enduring sentiment underpins the notion of territorial design, opposing “globalisation” and championing the richness of “diversity”.

KEEPSAKES OF TRADITION AND DEVOTION

When it comes to sentiments, it is only natural to think of gifts as “tokens of love”. More symbolic than practical, these objects are charged with the feelings that bind both the person who gives and the person who receives. Marriage rites are often accompanied by the exchange of objects, as anthropology teaches us. Indeed, Marcel Mauss dedicated one of his fundamental works, The Gift: Forms and Functions of Exchange in Archaic Societies, to this practice. In many cultures, getting engaged involves giving a piece of jewellery, most often a ring. But in archaic and rural cultures, it is just as common for the future husband to present his betrothed with spindles and needles —in other words, the tools that are necessary to create a trousseau.

A dowry carries both economic and symbolic significance, marking the bride’s initiation into one of the crafts that have typified female skills for centuries. In the marriage rite, the trousseau represents a material property and, at the same time, the dedication and nurturing that are core values of craftsmanship itself. Whether simple or elaborate, needlework is always a collective effort, in which all the women in the family work for months, sometimes years, in order to translate their skill and the process of sharing into a tangible commodity. The materials employed in the creation of the trousseau are metaphors for the narrative threads that accompany the time spent working on it. In fact, the Latin verb textere is the common root for both textile and text. The trousseau is the perfect symbol of what we still equate with the concept of high craftsmanship: the value lies in the expertise of the artisans and the time devoted to creating it. But this is a somewhat nostalgic and limited perspective. The history of sewing and embroidery is punctuated with occasions in which, amid countless repetitive stitches, we find acts of care, healing, protest, defiance, sometimes even revolution. When freed from the shackles of monotony, craftsmanship can reveal stories that are more elaborate than the simple act of creating a dowry: it represents the element of continuity in a woman’s life, a symbol of her role within the family. The threads trace the love of mothers for their children. Not surprisingly, the Madres de Plaza de Mayo protest was waged with needle and thread. In the mid-1970s, the mothers of the Argentinian desaparecidos gathered every Thursday wearing a headscarf, on which they had embroidered the names and the birthdates of their sons and daughters, whom dictator Videla and his regime claimed had never even been born. These young people were forever immortalised by their mothers, who defied the authorities armed with just an embroidered handkerchief: the ultimate token of love.

Their skill and tool became their voice against those who wanted to silence and subjugate them.

ALBUM

Giolina e Angelo

Via Solferino 22/A, Milano tel. +39 02 653770

The windows on Via Solferino captivate passersby with their display of glittering jewels, all designed and handcrafted by Angelo Mereu and his children, Giolina and Giammarco, in the workshop located at the back of the store. “Some services, such as engravings, are carried out at the counter, right in front of our customers,” says Giammarco, who has inherited his father’s exceptional skill for freehand engraving. Angelo moved to Milan from Sardinia at a very young age to work alongside his brothers, who were also goldsmiths. In the 1990s, he opened his own business in Brera, where, along with his expertise, he instilled in his children a deep passion for jewellery making. The shop offers a wide range of original designs, including rings with double initials, bracelets featuring names crafted in cursive from a single gold wire, pendants and chokers adorned with pearls, semi-precious stones and enamel. Available in 18K gold, silver plating and enamel finishes, every piece can be customised and made to order. One of the most iconic collections is the Labourè line, inspired by the Miraculous Virgin of Rue du Bac in Paris, along with lucky charms such as horns, eyes and the Crescent Moon, symbolising new beginnings. “Many of our customers come to us for gifts to celebrate anniversaries or special occasions,” Giammarco explains. “We’re often asked to engrave dates, monograms, phrases, even poems. I once inscribed St. Francis’ Canticle of the Creatures on a spherical pendant.” Like modern medieval scribes, both Angelo and Giammarco are true masters of this rare craft. A special mention goes to Angelo and Giolina’s Invisibili, patented about fifteen years ago. These transparent, clasp-less rubber chokers feature enamelled charms in the shape of hearts, snowflakes, stars and amulets—including the four-leaf clover, the latest addition to the collection. What makes them truly unique is their illusion of floating, seemingly unsupported: a small touch of magic, often inspired by love. giolinaeangelo.com

Renzo Bighetti

Piazza Staglieno 40, Levanto (SP) tel. +39 018 7807754 – +39 339 6839670 ilnodoonlus.org

Sculptor, painter, photographer, architect, seafarer, diver: it is difficult to pigeonhole Renzo Bighetti into a single category, as his pursuits and creativity span across so many different fields. His remarkable fish, crafted from wrought iron and bronze, reveal a deep loving for nature, which he observes and reproduces with meticulous detail. “The sea is my main source of inspiration,” he confides. “I owe my passion for manual work to my father, who was a cabinetmaker. In fact, I started out working with wood.”

Bighetti is also talented in drawing, and his pencil illustrations of whale life are sold in folders at the Aquarium of Genoa bookshop. In his spacious studio, he also creates tables, wrought iron gates, and plates decorated with frogs, crabs, octopuses and other small animals. He switches effortlessly from gouges to pliers, grindstones and blow torches, crafting both furnishing accessories and large-scale works. His sculptures, always highly original, have been commissioned for decorating public spaces, such as the huge grasshopper in Levanto, his hometown, or the monument commemorating the Infantrymen of WWI, recently unveiled at Sala Baganza. One of his best-loved designs is the bowline knot (“lover’s knots” in Italian): magnificent bracelets in sterling silver and gold that Bighetti handcrafts with extreme care and skill. “Everything started quite by chance, some thirty years ago, when a friend

asked me to make a bracelet with a maritime subject for a sailing companion. I made prototypes in iron and copper, studying the most suitable fastening. It was very complicated, but I eventually found the solution and began crafting these bracelets by hand. Each one is unique, fire-wrought and hand-bent, prized for its individuality and elegance. I also make necklaces, cufflinks, belt buckles and key rings with the same theme.” Ever versatile, Bighetti supports charitable and social projects, including travelling to Phnom Penh, Cambodia, to teach the art of silversmithing to young local artisans. “Named Il Nodo (The Knot) after my logo, the association is engaged in healthcare, education and training projects for young people from the most disadvantaged backgrounds. La Bottega dell’Arte is a school of design crafts (and life), where young people learn to process raw materials and receive a vocational training. This is a practical way of improving the economy and the lives of many families,” Bighetti concludes. “Il Nodo offers them a daily apprenticeship allowance and a free meal for the duration of the courses, while providing them with a lifelong profession.” ilnodoonlus.org

Bottega Ghianda Via Pisoni 2, Milano tel. +39 02.87201362

A celebrated Italian workshop and a brilliant designer gifted with effervescent creativity come together in the story of the famous Lettera d’Amore (Love Letter). In the 1960s, after exploring the superimposition of letters within the same word, graphic artist and designer Pino Tovaglia created a series of works that invited deeper interpretation. One such piece, Amore (Love), was crafted from high-quality woods such as maple, walnut and pear by Pierluigi Ghianda and his extraordinary cabinet-makers. The five letters forming the word amore fit one into the other to form a perfect cube—a highly symbolic sculpture that combines visual art, poetry and design. Today, the workshop continues to produce the sculpture in two sizes: 6x6 cm and 12x12 cm. In 2015, when it was acquired by Romeo Sozzi, the owner of Promemoria, Bottega Ghianda was one of the few craft workshops in the world to be recognised as a pinnacle of fine cabinet-making, and he wanted to preserve its unparalleled craftsmanship and legacy. After relocating the workshop from Bovisio-Masciago to Valmadrera, a dedicated division was established to produce the iconic designs originally created by master craftsmen Igino and Pierluigi Ghianda. Thanks to a team of highly skilled artisans, objects and furnishings continue to be brought to life using traditional joinery techniques: made exclusively from the finest woods, without glue or nails, and finished entirely by hand. To commemorate Pino Tovaglia’s 100th birth anniversary, in 2023, Bottega Ghianda recreated the sculpture in an impressive 98x98 cm size. It is worth noting that an honorary scientific committee presented Tovaglia’s sculpture, reimagined in marble and measuring 3.3x3.3 meters, to the Council of Europe on behalf of Italy in 1981. After receiving the blessing of Pope John Paul II, the Amore monument was installed in Strasbourg as a symbol of fraternity—a wish for peace for the Council of Europe and for humanity. bottegaghianda.com

Guri I Zi

Via San Nicolao 10, Milan tel. +39 02 76013940

Guri I Zi is a remarkable example of craftsmanship, creativity, generosity and entrepreneurial skill in the social sphere. At the heart of this initiative is Elena Galateri di Genola, a visionary young woman who first conceived Idee Migranti Onlus in 2006, making it the subject of her university thesis. “The project, focused on fostering female micro-enterprises in the textile sector, was designed to revive an ancient Albanian tradition that had vanished,” explains Galateri.

“My aim was to provide income opportunities for women from the most vulnerable groups in the Guri I Zi community (hence the name of the project), while also revitalising a long-standing Albanian textile tradition.”

The project has been very successful: what began with just four women in 2006 has since grown to thirty, not including the embroiderers. The yarns, sourced from Italian companies, range from fine Egyptian cotton to pure linen. “Over the years, we have developed a wide range of products,” says Galateri. “We create tablecloths, placemats, bedspreads, cushions, dish towels, pot holders, pouches and travel bags. Every item can be personalised with monograms and made to order in custom sizes and colours.” Galateri’s creative energy and enthusiasm extend beyond the Guri I Zi project. “In 2021,” she shares, “we decided to replicate the Albanian experience here in Italy by launching Motivo Donna, a textile start-up aimed at restoring dignity and confidence to disadvantaged women through craftsmanship.” After completing technical training in Livia Crispolti’s textile studio, several young women coordinated by NABA lecturer Gisella Cappelli now work in an atelier within the Snam facilities in San Donato Milanese. “They manufacture upholstery fabrics that are distributed through Artemest. This new adventure was made possible also thanks to our partners: Fondazione Snam, Istituto Ganassini and Banca Intesa.” These two projects demonstrate how the fundamental values of social inclusion and the fight against poverty, combined with a passion for fine craftsmanship, can restore dignity and hope to countless women and their families.

guriizi.com

Il Giardino dei Punti

Via San Michele del Carso 4, Milano tel. +39 02 8054787

Exquisite trousseaus, customised with lace, monograms and embroidery: everything is possible, from bedsheets to linen towels, from tablecloths to delicate lace curtains. The creator of these marvels is Maria Grazia Lenti, a master craftswoman who opened her first workshop in Milan on Via Cappuccio, and for thirty years has taught and inspired generations in the art of lace and embroidery, even sharing her expertise through DVDs. In her luminous new atelier, located on the first floor of a historic building near Piazzale Baracca, Maria Grazia continues to hold courses, supported by her sister Lina and a team of skilled tutors. “I have always been fascinated by this ancient craft, and I am so proud to know that many embroidery and lacemaking teachers have trained with me. My students have come from France, the United States, Japan. It’s heart-warming to think that our Italian embroideries have crossed oceans, even reaching as far as Australia!” Maria Grazia creates exquisite bobbin lace and embroideries, crafted by hand with needle and thread, which can be customised with the recipient’s initials. She is also highly skilled in the restoration of tapestries and carpets, as well as in recreating decorative motifs of the past, including any missing lace, by reproducing them on new fabrics. “Customers frequently ask me to recreate embroidery patterns on pillowcases, napkins or towels, so they can continue using their favourite linens. These stitches are usually very elaborate, and it’s a true pleasure to work with my team to revive such precious pieces and give them a new life.” Every morning, students eager to learn the techniques of Il Giardino dei Punti gather around a large rectangular table in her studio. The school offers annual, three-month and individual courses in bobbin lace, embroidery, knitting and crochet. All the necessary equipment, including coloured and decorated bobbins, is provided by the atelier. One of their latest innovations is the reproduction of lace designs on plexiglass, which can be used as underplates. These creations can also incorporate household lace, transformed to reflect the sentiments of those who cherish them. ilgiardinodeipunti.it

Il Meneghello

Corso di Porta Ticinese 53, Milano tel. +39 339 7397608

Il Meneghello has recently celebrated its 50th anniversary. Cristina Dorsini tells us about the extraordinary legacy she inherited from her uncle, Osvaldo Menegazzi, a highly talented artist who founded the publishing house. After graduating from the Accademia di Brera, Osvaldo happened to come across some antique tarot decks. “My uncle was so intrigued that he started collecting them and opened a workshop dedicated to the study and production of tarot cards. Our decks are all made in limited and numbered editions, handcrafted and decorated according to the original models, using traditional tools and techniques. Even the thickness of the cards matches the grammage of vintage decks. Each tarot card has its own meaning and history and was often painted by famous artists of the time. Like the Visconti Tarots, commissioned by Filippo Maria Visconti from the Zavattari brothers in 1450, on the occasion of his daughter Bianca Maria’s marriage to Francesco Sforza. “The paintings are superb, full of details that document historical events. In the Chariot card, for example, he is portrayed in the act of giving her a ring. The Justice card, instead, depicts Bianca Maria in armour as she defends Cremona from the Venetians. We research the relevant historical periods and collaborate with museums that preserve the original cards so that, when we reproduce a deck, we also include a book describing its origin and meaning.” The decks are contained in a box that is also handmade and painted. Cristina Dorsini talks about some of Meneghello’s creations: “In addition to the trilogy of Visconti decks, we recreate the ones from Ferrara, also dating back to the 15th century, which were originally inspired by ancient Greek literature and are steeped in mythology, alchemy and astronomy. Other decks are more recent, from the 19th century. And lastly, there are those created by Osvaldo through his imagination: in the style of Hokusai, with Masonic symbols or with Hebrew characters.” Cristina continues to paint and make watercolour papers by hand, collaborating with museums around the world to carry on the invaluable work of this atelier. ilmeneghello.it

Fiorificio Laura Vaccari

Via Conti 2, Trieste tel. +39 340 4117586

Original and visually striking, her arrangements are made using fresh and dried plants, combined with hay, wildflowers, pieces of wood and broken branches. Most importantly, she uses flowers that are in season and grown locally, in line with a philosophy of sustainability.

This is Laura Vaccari, a slow flower stylist—as she likes to define herself—who grew up surrounded by the forests of the Karst Plateau, near Trieste. Like a woodland nymph, Laura has preserved the imprint of that wild nature: “I went through a number of jobs before finding my true calling. I was a goldsmith, an office secretary, an events coordinator. But what really lured me was the scent of the forest.” In 2016, she set out in search of a workshop in Trieste and found a space in a period building near the hospital—a former bakery with an old oven—which she transformed into a bucolic retreat. “I still live near a forest, just a short distance from the Slovenian border, and I grow a wild garden because I feel almost guilty when I cut flowers... So, I prune the plants only when necessary, and use the branches for my arrangements. It was important for me to recreate a place in Trieste where I would enjoy working—a kind of private clearing.” In fact, when you step into her atelier, you almost expect little elves to appear at any moment. In addition to crafting arrangements for weddings and special occasions—always using seasonal flowers moss and twigs—Laura weaves decorative and perennial structures for the home, strictly without glue, foam, stabilisers or disposable materials. A way to bring our

homes closer to nature and transform even the most ordinary room into an extraordinary environment. Laura Vaccari also holds courses and workshops, because her mission is to change the way people relate to the natural world and their surroundings.

www.homofaber.com/en/discover/laura-vaccari-flower-designing-italy

Mirta Morigi

Corso Mazzini 64/A, Faenza (RA) tel. +39 054 629940

Crossing the threshold of Mirta Morigi’s ceramics workshop in Faenza is like stepping into Alice’s Wonderland. This is the place where dreams come to life: clay frogs and chameleons seem ready to leap, cats peek out at you, finely sculpted cacti burst into bloom, and many hearts invite you to love—from small tumblers with inscriptions to hearts that can be hung on the wall. A real feast for the eyes! “I was born and raised in Faenza,” she says, “and I have lived immersed in the art that has made my city famous since the 16th century. Indeed, Faenza is still thriving with ceramic schools, galleries and ateliers where people teach, learn and create traditional designs alongside more innovative ones, relying solely on the intelligence of the hands.” Mirta’s atelier in the city’s historical centre, near Piazza della Libertà, contains workbenches, a profusion of tools, colours and brushes used for modelling and decorating clay, potters’ wheels (one traditional and a small Japanese one), and high-temperature kilns for firing. The shelves along the walls are lined with moulds and items that serve as samples. “In our 500-square-metre courtyard, we hold courses for adults and children who are interested in learning the secrets of this timehonoured craft. This year, to celebrate my 50th anniversary, an exhibition was held in the sacristy of the church of Santa Maria dell’Angelo, where some of my earlier pieces were displayed, dating back to the 1970s, alongside my most recent works and the pouncing drawings.” A tribute to her skill, which has been recognised even abroad, where Mirta has attended courses, taught, and where many collectors have purchased her creations. “My daughter, my niece and two other long-time collaborators work in the studio. We share the same passion for craftsmanship, and we enjoy ourselves as we create our pottery,” she continues. “It takes a lot of technique, plenty of practice and, above all, the inspiration to create—the instinct that you must follow. I always say that my head is as good as new... because I have never actually used it!” she concludes with a laugh, revealing her extraordinary spirit. mirtamorigi.it

More Couture

Via Enrico Parisi 40, Palermo tel. +39 091 5078731

Morena Fanny Raimondo, aka More, always dreamed of opening a dressmaker’s atelier in her native Palermo. After graduating from Polimoda in Florence, working as a costume designer in the film industry, and gaining experience at a Tuscan company that collaborates with luxury brands, Morena was ready to turn her vision into reality. So, in 2015, she returned to her hometown. “I found this wonderful space on the mezzanine floor of an Art Nouveau building,” says Morena. “I had the large rooms and vaulted ceilings painted white to create a rarefied atmosphere. Traditionally, a bridal atelier is the magical place where the dress of one’s dreams is made. Each year, I design a collection of around twenty models, which serve as a source of inspiration for my clients. Once they make their choice, the dress is created to measure through a series of fittings.” In her private studio, surrounded by fashion books and rolls of fabric, Morena sketches the designs and develops the patterns that are then cut out of the selected fabrics with the help of her skilled team. “I regularly attend trade fairs in Italy and abroad, where I hand-pick the finest fabrics, each with its own unique texture—from chiffon to Mikado, from

printed fabrics to jacquards, from floral designs to embroidered veils—all certified as low-impact materials. Lace and appliqués are among our specialities. But, of course, we always tailor our work to the wishes and personalities of the brides-to-be.” Exuberant, creative, and full of life, Morena plans to expand her brand to other cities in Italy, while continuing to maintain her in-house production. “I intend to preserve my unique style and craft each dress individually. After all, my goal is to make every woman feel more beautiful than ever while remaining true to herself.” Morena Fanny Raimondo won the BTO 2024 award for young women entrepreneurs in the Unique Pieces category. morenafannyraimondo.com

Antica Confetteria Romanengo via Soziglia 74/76R, Genova tel. +39 010 2474574

Sugar-coated sweets with a “heart” to suit all tastes and occasions: from Avola almonds to cinnamon bark, from cardamom seeds to pistachios, from fennel seeds to pine nuts—so mouth-watering that choosing just one is incredibly difficult. “These are among the specialities for which we are famous throughout Italy,” proudly declares master confectioner Pietro Romanengo, who represents the sixth generation of a Ligurian family that has not only preserved and developed the range of its handcrafted products but also maintained the shop’s original location, now a protected architectural site. “We only use sugar for the coating, and no additives. The production process is closely monitored by our artisans, who spend an entire week hunched over the machines to prepare just 100 kilos of sugar-coated sweets.” This is the secret behind these delicious treats, which have been passed down to us over the course of two centuries. In 1780, the apothecary Antonio Romanengo arrived in Genoa from the town of Voltaggio to expand his business in the city. His sons Stefano and Francesco later added traditional Genoese handcrafted specialities to their father’s range, such as candied fruit, sugar-coated sweets and almond paste. They opened their first shop in Via Soziglia in 1814, followed by another in Via Roma, and their surname has remained inextricably linked to the art of confectionery ever since. “They were inspired by Parisian sweet shops of the 19th century, where presentation and ambience were considered as important as the quality of the products. Based on this concept, they set up their first confectionery, which is now a listed Heritage Shop.” And it is indeed a magical experience to enter the store, an institution in Genoa, and take in its intoxicating scents and aromas, surrounded by boiserie and frescoes. The workshop in Viale Mojon is another fascinating place: “My grandfather built the premises where the laboratory was to be housed, with separate sections for candied fruit, fondants and sugar-coated sweets,” explains Romanengo. “Over the years, chocolate was introduced, which we continue to process using the same machinery, procedures and production times as in the past, without any emulsifiers or additives.” Clementines and orange peels coated with dark chocolate, candied rose petals, violets and mint leaves, rose petal syrup drops are just a few of their ambrosial delights. The legacy of Italy’s oldest confectionery is now carried on by Giuseppe and Francesco Romanengo alongside a new French partner. A family tradition that can also be experienced in the elegant Romanengo tearoom and boutique in Milan. romanengo.com

Rose Barni

Via del Castello 5, Pistoia tel. +39 057 3380464

Vittorio Tommaso Barni, who founded the Pistoia-based nursery in 1882, would undoubtedly be proud of how his children, grandchildren and greatgrandchildren have continued and expanded his business—so much so that the name Barni is now internationally renowned and synonymous with roses.

Fourth-generation Beatrice Barni, a Master of Arts and Crafts, reveals: “In a way, our success stemmed from a challenge. When laws were introduced in 1935 banning the import of flowers, particularly from France and Belgium, my grandfather Vittorio formed a partnership with Domenico Aicardi, a leading researcher and hybridiser in Sanremo. A few years later, Vittorio met Francis Meilland, who was running a rose hybridisation programme in France. Together, they established Universal Rose Selection, with the mission of spreading their passion for roses worldwide. Thanks to their collaboration and extensive research, our roses here in Pistoia also underwent an extraordinary evolution.” A passionate experimenter, Beatrice oversees the research department, which introduces new varieties of Barni roses each year, while her cousin Vittorio manages the business side. “It takes around seven years to develop a new hybrid,” she explains. “During this period, we assess and screen the flowers for disease resistance, repeat-flowering performance and aesthetic appeal. In 1991, our Rita Levi Montalcini rose was awarded the Golden Rose in Geneva,” she shares with pride. The nursery in Pistoia now serves as an exhibition space, complete with trial fields for new hybrids, while production takes place at the nursery in Grosseto, which houses the grafting fields and spans approximately 40 hectares. “We have around 650 rose varieties in our catalogue,” she continues. “Some of the most special are dedicated to great names in Italian fashion: Roberto Capucci, Anna Fendi, Valentino, Wanda Ferragamo, the Missoni family. The hardiest variety is Sans Souci, a highly resilient rose with pinkish-white petals. This year’s new hybrid is named after Cardinal Carlo Maria Martini, commissioned by his sister to honour his legacy,” concludes Beatrice Barni. “It has a large, purple bloom and an exquisite fragrance.”

Lastly, we must not forget the beautiful and delicate Mestieri d’Arte rose, created by Barni for Fondazione Cologni as a tribute to exceptional craftsmanship. rosebarni.it

Tessiture Calabrese

Via Provinciale per Alessano 42, Tiggiano (LE) tel. +39 0833 531132

Back in 1972, Francesco and Antonia Calabrese decided to open a small artisan weaving mill in Salento, specialising in household linen. They had only a handful of staff, a few external collaborators and some mechanical looms, but they used only the finest quality yarns. Before long, their business was flourishing: to bring all production in-house, they hired new artisans and introduced more advanced technology. Today, the various production departments are housed in a large, modern building bordering the provincial road to Santa Maria di Leuca. Cristina Bleve and her brother Alessandro carry on the family tradition as the second generation at the helm. “We oversee every stage of production within our workshop—from the yarn skeins to the preparation of the warps, from weaving the fabric to its final inspection— combining electronic jacquard looms with traditional manual techniques,” explains Cristina. Alessandro is responsible for developing new collections and patterns. He also creates colour combinations and experiments with innovative fibres, blending them with existing materials. The textiles produced range from linen, cotton and silk to a myriad of variations, including cotton crepe, needlecord, herringbone, damask, chenille, sateen and jacquard. Pieces can be adorned with lace or hand-knotted fringes, or finished in a more minimalist style, catering to personal tastes and evolving fashion trends. “Our new fabrics are all inspired by traditional designs and techniques, reinterpreted with a contemporary twist,” says Alessandro. Tessitura Calabrese offers a wide range of products, including tablecloths, placemats, sheets, towels, bathrobes for adults and children, dishcloths, beauty pouches and canvas totes. “We create many made-to-measure trousseaus for young couples, tailored in their preferred fabrics, combinations and patterns. We also specialise in custom-made linens

for boats,” concludes Cristina. “Our customers are spread across Italy, and some even abroad, thanks to our online service.” And thanks to their commitment to Italian quality and craftsmanship. tessituracalabrese.it

RAISE YOUR HEARTS

Alessandra de Nitto

Elisabetta Bovina and Carlo Pastore, the co-owners of Studio Elica, are outstanding artists, companions in life and work. Epitomising the figure of the contemporary artisan-artist, they are wholly dedicated to their craft, which they practise with remarkable talent and passion. The unique objects that they create with their skilled hands are the present-day expression of Italy’s finest ceramics tradition. Their chosen material is porcelain, the preserve of only the best artisans. Luxurious and precious, fine and glossy, Elisabetta and Carlo interpret it with sophisticated and creative eclecticism, crossing different disciplines, from graphic design to scenography and the performing arts.

Elica Studio was founded in Bologna in 1995. Elisabetta, born in the Oltrepò Pavese area of Lombardy, and Carlo, from Salerno, both studied at the prestigious ISIA institute for higher education in artistic crafts in Faenza, which has yielded many leading figures in the field of contemporary ceramics. Both were irresistibly drawn to craftsmanship from a very early age and, after graduating, they set out to hone their skills as artisans in leading ceramic workshops. Their encounter at the ISIA institute marked their “union of loving spirits”, to quote Giacomo Leopardi, and the beginning of their partnership. Elisabetta defines this four-handed collaboration as a “powerful bonding agent” that makes them “think in unison”. Their creations emerge from this magic alchemy, also rooted in love, enabling them to work in perfect synchrony, making every object together, from the project to its execution. Of course, not without arguments and confrontations... A constant creative exchange, based on an ongoing debate, is quite exceptional. Elisabetta, more “practical”, loves putting her hands into raw material, patterns, models and moulds. Carlo is extremely talented in drawing and decoration, and his keenness on research verges on obsession. It took them five years to come up with an original and personal recipe for the “right” black they were looking for. Their production is striking and unexpected: never commonplace, at times provoking and irreverent, and, more often than not, infused with the irony that defines their creativity and permeates all they do–somewhere between playfulness and divertissement. They love flaws, which they consider an added value, as they strive to teach their clients and trainees: the sign of a strong identity and a deep respect for the raw material.

The decision to choose porcelain stemmed from the love they shared for clay fired at high temperatures: “We were fascinated by its translucence, by porcelain’s amazing lightness and extreme thinness that lets light pass through... We were determined to fly high,” explains Elisabetta, her cheerful eyes glimmering...

In the summer of 2024, after more than three decades, Studio Elica left Bologna. Over the years, the duo have made a lasting impact in the area of Faenza, introducing a more contemporary approach in line with international practices. But they felt it was time for a radical change, living immersed in the nature that is their main source of inspiration. They have found their ideal venue in the open countryside, just 5 kilometres from the centre of Ravenna, and this is where their new home, workshop and kilns are now based. Plus, the annex, of course, which will host artist residencies. Elisabetta and Carlo have always collaborated with young international artists also active in different fields, such as music, theatre and photography... Over time, this cultural exchange, characterised by openness and the sharing of new experiences,

has enriched their production, keeping it alive, meaningful and very up-to-date. Collaborating with other artists is the foundation of their approach to life and work, the reflection of a human perspective more than an artistic one. Perhaps the most iconic and well-known project created by the two master artisans (who were also awarded the MAM-Maestro d’Arte e Mestiere recognition in 2022) is the In alto i cuori collection, its name inspired by Latin motto Sursum corda. Initiated in 2009 and still ongoing, it reinterprets the motif of the heart in the shape of a vessel conceived to contain flowers, ideas and messages. These small handmade sculptures, decorated with letters, numbers and brush-painted figures, convey contemporary messages in a universal language characterised by many figurative and cultural references. The collection was showcased last September at the Starhotels Collezione Splendid Venice within the exhibition La Grande Bellezza, a project developed by Starhotels with Fondazione Cologni, OMA and Gruppo Editoriale to promote Italian artisans. Part of the Homo Faber in Città programme, the collection’s theme ties into that of Homo Faber: The Journey of Life, as the heart remains at the core of every human experience. The concept inspiring this collection is based on the use of a pop icon such as the heart reinterpreted in the form of a vase, featuring a deeply Italian essence that is integral to its appeal, as proven by the widespread praise of collectors, especially foreign ones. Each heart beats with its own rhythm and meaning, presenting many different ways to speak of love: ironical, passionate, poetic, frivolous, cultured... Studio Elica took part in Maison&Object 2025, and later this year its hearts collection will be invited to be exhibited at the Castille boutique hotel in Paris by Starhotels President Elisabetta Fabri, the enlightened muse behind the patronage project La Grande Bellezza and a passionate connoisseur of Italian craftsmanship. In Alto i Cuori is representative of Italy because it originates from an age-old ceramic heritage and a rich tradition based on design and fine craftsmanship. In this tradition, high and low, lofty and pop, sacred and worldly mingle together to compose a colourful ode to the beauty and uniqueness of life and love in all its guises.

Not surprisingly, Studio Elica’s dream is to publish a book featuring a gallery of images and reflections by leading figures in the fields of art and culture, immortalised holding one of the collection’s hearts—to each their own!

THE LOVE THAT GUIDES THE HANDS

As we have witnessed during the latest edition of Homo Faber, the love that moves the sun and other stars – an enduring inspiration for poets and artists –frequently also inspires the skilful hands of master artisans. Not surprisingly, of the eleven rooms that traced the journey of life in the exhibition-event organised by the Michelangelo Foundation to showcase the talent of the world’s best craftspeople, two of them were dedicated to the theme of love. An array of floral compositions crafted in a wide variety of materials – from wax to glass, recycled plastic and porcelain – invited visitors to celebrate love through the quintessential symbol of courtship: flowers. Beyond this Garden of Eden, which was made all the more realistic by the discreet use of a signature rose perfume, visitors progressed into the exhibition’s biggest space and, since love is often at the very core of our lives, the focal point of the journey itself. Each of the more than 150 objects on display in this room expressed this sentiment in a distinctive language, interpreting a point of view that is not only personal, but often also cultural, “political” and generational.

Valentina Lobos, for instance, is a young woman from Chile who, like many people her age, tirelessly searches for her own path. She moved to Germany after studying art in Scotland, hoping to become an artist in a country with a vibrant cultural scene. Lockdown forced her to change her plans. During the

long months of confinement, Valentina started to experiment with embroidery, a craft that crosses all cultures and which had always fascinated her as she observed the women in her home country engaging in embroidery. While people were being forced to keep at a safe distance, Valentina began to use fine threads to create embraces in which men and women, often naked, love each other without barriers of race and gender. Through her delicate, never vulgar works, Lobos highlights the importance of living freely, loving without worrying about conventions or the judgments of others, and revealing one’s body without fear of not being perfect.

Even Faig Ahmed, one of the most successful central-Asian artists of his generation, played with Eros at Homo Faber. Ahmed’s style is characterised by a new take on carpet making, Azerbaijan’s most representative national craft. Traditional shading and patterns are suddenly interrupted to give free rein to his wild creativity, resulting in distortions, bold juxtapositions of contrasting colours, and new textile designs that seamlessly blend with familiar patterns. Such is the case with Wedding, the large carpet measuring over four metres hanging in the middle of the room and featuring a couple of newlyweds consummating their marriage. If the scene – inspired by an ancient erotic miniature in the collection of the Musée d’Art et Histoire in Geneva – is partly blurred by a mischievous abundance of threads emerging from the carpet, the power of carnal love manifests itself against this background.

Different atmospheres and inspirations characterise the work of the very versatile leather craftswoman Mary Wing To, who was awarded a scholarship by the renowned Queen Elizabeth Scholarship Trust and mastered her trade working in the Royal stables alongside the Court’s first saddler. In addition to her more “traditional” production of beautifully made saddles and riding gear, Mary creates bustiers, whips and other paraphernalia that nod to the world of Burlesque. Two of her pieces featured in the exhibition were concealed at the foot of a bed (suggesting that certain fantasies are meant to remain secret between lovers), not far from pieces of an entirely different nature, steeped in old-fashioned romanticism. As in the case of the tiaras created by Johann Nikadimus, a Russian embroiderer who moved to Serbia at the beginning of the war. In his beaded crowns, Nikadimus revives and reinterprets the headdresses that married women in his country used to wear on festive days, a tradition that dates as far back as the 12th century. Or the small perfume bottles, yet another absolute symbol of seduction, made by Japanese atelier Hataman Touen, where for four generations the same family has passed down the 370-year heritage of porcelain enamelling typical of the city of Imari.

Needless to say, on the topic of love there are many Italians who, throughout their careers, have been inspired by the theme that permeates both our country and our arts. One example is Pasotti 1956, a remarkable business founded almost 70 years ago by Ernesta Pasotti, a craftswoman working in a Milanese umbrella factory who decided to move back to her hometown not far from Mantua, and set up her own workshop. Today, Ernesta’s grandchildren run the manufactory, which makes up to 40,000 umbrellas a year using exquisite materials and fabrics. Umbrellas brimming with romanticism, reminiscent of those used by noblewomen and upper-class ladies in the past, through which they would send coded messages to their sweethearts while out walking, depending on the colour or the way they were held.

FLOWERS THAT SPELL LOVE

Jessica Ciaffarini creates magnificent bouquets without cutting a single flower. Her roses, camellias, peonies, lilies and green leaves are so colourful and delicate that they appear freshly picked. In reality, Jessica makes them all by hand, one by one, in her workshop near Latina, painting them with plant-based

pigments and crafting them into the multitude of shapes offered by nature. A dazzling sight. “Ever since I was a little girl, I wanted to be an artist. I absolutely loved drawing,” she reveals, sitting at her work table in the brightly-lit studio located in Giulianello, an ancient village close to the Castelli Romani area. “Life took me down a twisted road before I could find my own path and my true calling. After graduating in industrial design with a specialisation in goldsmithing, I attended the academy of fine arts and studied photography. But I was afraid that I wasn’t talented enough, and the jobs I found were never quite right for me. It was very frustrating, and I was constantly on the move. Then one day I realised that I had to listen to myself and follow my ki: I began a course on the ancient Japanese Somebana technique and practised working with foam clay. Little by little, I reconnected with my creative side and started to give life to my flowers.”

That was back in 2015, and it proved to be a happy choice, since her designs are prized by both private clients and haute couture designers, who ask her to embellish their collections. “Not only do I make flowers to decorate dresses and hats, as was fashionable from the 19th century until the 1960s,” she adds.

“I also create bespoke wedding bouquets.” Her workbench is cluttered with tools, pencils, rulers, cutters, glue, scissors, fabric samples and bowls containing pigments. “When I set about designing a bouquet, I always try to understand the bride’s personality, her tastes, her family ties. A flower is often linked to the memory of a loved one who is no longer with us, and whom we would like to have near at such an important time. So, I add that particular flower in the arrangement, along with all its emotional meaning. As I always tell my clients, a bouquet is like a hat: if it doesn’t fit, you can’t wear it.”

“I remember one bride who was very fond of her grandparents, with whom she had grown up and who had sadly passed away. It took me a lot of effort to reproduce the mimosa, which was their favourite flower, but I managed to include it in the bouquet. It meant so much to her.”

Most of the time she uses high-quality fabrics from haute couture ateliers, or upcycled from companies committed to reducing their impact on the environment. She frequently employs scraps of fabric that she cuts up and skilfully transforms into new and different shapes, such as a flower’s petal. “I look for all sorts of materials: for instance, I use copper extracted from electric wires to make the structure of leaves,” explains Jessica, whose inventiveness helps her find interesting materials in the most unexpected places. “I must admit that I have too much respect and love for Nature to cut flowers that would be destined to wither after a few hours. That’s what inspired me to embrace this craft.” The philosophy of Unusual Bouquet, her brand, is also to foster environmental awareness at weddings, in combination with art. And to offer the possibility of picking one’s favourite flowers even out of season, simply by crafting them.

The young master artisan also makes paper bouquets with high-quality professional papers. Her creations are not only aesthetically beautiful but also joyful and eco-friendly. Her creativity, however, extends beyond flowers and bouquets. Together with Francesco Russotto, an accomplished photographer and her partner in life and work, she produces beautiful pictures featuring flower arrangements, including commemorative ones, that combine her ingenuous craftsmanship with her husband’s photographic skills. “We start from the photos taken by Francesco at events and weddings,” she explains. “Then he retouches the chosen images using both manual and digital techniques.” The result is pictures that are not only decorative but also highly evocative. In recent times, Jessica has been increasingly working with designers who approach her for their shows and wedding dresses. “After having been out of fashion for a long time, decorative flowers on dresses are trending again, whether they replicate real flowers or the imaginary creations inspired by designers and which I reinterpret.”

Jessica Ciaffarini has been awarded a number of prizes for her commitment

to sustainability, and her creations were selected to be exhibited in Venice as part of Homo Faber, the international event curated by the Michelangelo Foundation.

UNITED BY ART Alessandro Pilot

There is something particularly significant about the word “partner.” It has an intricate yet evident etymological connection to “part”: a term that suggests an original unity, a sharing and, sometimes, a reunion. Even when distant from myths or the language of love, in the strongest partnerships this sense of unity consists of a communion of values and projects that gives meaning to being together, an elective affinity that is also one of the pillars of love. Vacheron Constantin, manufacturer of timeless luxury timepieces, and the Musée du Louvre, the world’s most visited museum with one of the most extraordinary art collections ever assembled, have partnered since 2019. Based on shared values, over the years their partnership has yielded remarkable fruits through joint initiatives, outstanding creations and a cultural narrative told by two voices in perfect harmony.

All this is rooted in artisanship: the original savoir-faire of the artists whose works are exhibited in the Louvre and, today, of the scores of artisans who preserve and restore them – working in harmony, employing hundreds of different skills handed down from generation to generation. Their know-how is aimed at achieving absolute excellence, which is the only option when dealing with one of the world’s most extensive historical and cultural treasures and an endless reservoir of knowledge and awe for millions of grateful visitors every year. A know-how that runs perfectly parallel to that of Vacheron Constantin’s master watchmakers and artisans. Since 1755, some forty years before the Louvre opened its doors as a museum, the Swiss manufacture has been designing, crafting and preserving watches that aim at absolute excellence. So, though their missions differ, there is no difference between the dedication, expertise, and, indeed, the passion of these artisans for the objects entrusted to them.

Since one of the partnership’s key focus is restoration, it seemed only natural to showcase this specific discipline at Homo Faber 2024, the international exhibition organised by the Michelangelo Foundation to celebrate the creativity and talent of the best craftspeople. Vacheron Constantin and the Louvre staged a dual presentation in the Tapestry Room of Fondazione Cini in Venice: the room that the curators conceived to explore the central theme of love within the itinerary entitled The Journey of Life

Restorers from the museum’s cabinet-making workshop presented an oak cabinet with mahogany veneer and gilded bronze decorations: a masterpiece created in 1822 by the famous cabinet-maker Jacob-Desmalter that treasures the gems from the royal collections and other items once belonging to Marie-Antoinette. Alongside the Louvre’s artisans, Vacheron Constantin’s watchmakers demonstrated the Maison’s engagement in the restoration of antique timepieces through some exceptional exhibits: a Lady Kalla jewellery watch from 1985, a pocket watch dating back to 1908, and three American models from 1921.

While restoration is about the love of beauty and dedication to its preservation, the very act of creating illustrates better than anything else the desire to perpetuate the stories and traditions that make up our cultural legacy. Few have the opportunity to witness this creative act first-hand and own one of the extraordinary objects created by Vacheron Constantin jointly with the Louvre as a means to bring these values to life. On the one hand, the watches created within the initiative A masterpiece on the wrist, thanks to which a customer can pick an artwork for the Maison’s enamellers to reproduce on the dial of a

Les Cabinotiers model. On the other, four timepieces dedicated to as many moments in history that are narrated in the museum’s collections: the Persian Empire under Darius the Great; Egypt ruled by the pharaohs of the Middle Kingdom; Greece’s Hellenistic period; the birth of the Roman Empire with the rise of Augustus. All these creations were born from an intense creative process involving designers, watchmakers, historians, conservators, and, above all, many extraordinary craftspeople, who used the most philologically accurate procedures to turn matter into beauty and honour it with the passion that has been, for centuries, the distinguishing feature of their crafts.

ODE TO BEAUTY AND CULTURE

Every book that comes to life in the Tallone publishing house is a statement of love for craftsmanship. From the typeface to the layout, from the quality of the paper to the shade of black ink, each element is carefully measured to achieve a harmonious balance between form and content. Indeed, the titles published reflect an approach aimed at emphasising the beauty of a text through a clean and unpretentious aesthetic, in keeping with a humanist cultural tradition that views beauty as a medium to convey culture and value. Enrico Tallone - for more than 50 years the guardian and apostle of his father Alberto’s spiritual legacy - explains that his grandfather Cesare, an established portraitist who was also head of the painting department at the Accademia di Brera, urged his children never to settle for a tedious job, however profitable, but to devote themselves to creative activities that would enrich both the world and themselves. Following this advice and encouraged by his friend Sibilla Aleramo, in 1931 Alberto Tallone left Milan for Paris to train in the art of typography under the famed Maurice Darantiere, who had published the very first edition of James Joyce’s Ulysses. Not only did the great craftsman teach Alberto the trade, but he also instilled in him the concept of books as a synthesis of spirit and substance. A few years later, after taking over Darantiere’s original equipment and furnishings, many dating back to the 18th century, Alberto founded his own publishing and printing house, which he eventually moved to Alpignano in 1959, within the grounds of an old family estate. Though still young, Enrico took up Alberto’s cultural and professional inheritance after his passing, in 1968. He was taught the techniques by the specialised French artisans who had worked with his father first in Paris and then in Italy. His mother Bianca, a guiding figure in this crucial transition, nurtured Enrico’s knowledge and passion. The men of letters, poets and philologists who formed the intellectual circle around the printing house contributed significantly to enriching Enrico’s cultural background, profoundly shaping his vision and principles.

Among the over 700 titles published by the Tallone family throughout its long history - all in limited editions and made entirely by hand - the Song of Songs holds a special place. The ancient biblical poem, traditionally attributed to King Solomon, celebrates love through the passionate dialogue in verse between a young woman and her beloved. Over the centuries, the Song of Songs has prompted countless interpretations, both as a celebration of earthly love and as a parable of the spiritual love between the Creator and his creatures. A text that resonates with the philosophy of the publishing house, whose books express an inexhaustible dedication to knowledge, art and humanity itself. Tallone’s edition was published in collaboration with Guido Ceronetti, a poet, writer and scholar of Hebrew. For the first edition, in 1981, Ceronetti translated the text anew, restoring the work’s lyrical power, while the layout and typefaces, elegant and essential, heightened the sacredness and intimacy of the words. In 1987, the second edition was based on the 1981 translation but featured a new format and typefaces, followed by a third edition in 1996. This modus operandi

is characteristic of Tallone’s editorial practice, whereby each new edition is a work in itself, and the layout complements the text to offer an experience that is always unique. In 2011, thirty years after the first, Enrico Tallone published a fourth and final edition, fully revised by Ceronetti, who also penned a new preface that adds further depth to the text and fresh insights.

“I know my father hoped I would carry on his work, and I have always been committed to keeping his ideals alive,” Enrico says proudly. The same spirit of dedication and respect for the craft also drives his three children, who - with different roles and inclinations - play an active part in the family business. Through them, Enrico feels that his father’s dream not only lives on but finds new impetus and meaning.

A SOUND THAT CONQUERS ALL

Orpheus am I, who follows Eurydice’s steps.

On these dark sands, where never mortal man has gone.

At the gates of Hell, Monteverdi’s Orpheus announces himself to Charon with one of the best-known harp solos in 17th-century opera. Playing a melody both taut and tender, he persuades the ferryman to carry him across. That same tune would have brought Eurydice back to life, if only he had trusted his music more than his own eyes.

In Monteverdi’s vision, Orpheus’s mighty lyre is performed by a harp. But when we listen to it, it’s easy to think of it as a celestial gift, the sound of which can tame and soothe all living creatures, opening up their hearts like the lyre wielded by the god of love in ancient myths. It is perhaps no coincidence that the harp is the oldest known musical instrument, found in various forms across all ages and territories, equally suited to solo performances or within the line-up of a symphony orchestra. The harp’s remarkable versatility is appreciated to this day: there are as many makers of modern harps with a double-action pedal mechanism, such as the world-renowned Victor Salvi company in Piasco, as there are artisans who faithfully reproduce early instruments, such as Dario Pontiggia, whose workshop is located in the town of Sesto San Giovanni, just outside Milan. Pontiggia started building guitars in 1997, both out of love for an instrument that he had learnt to play and the urge to craft deriving from studying Design at the Politecnico di Milano. After training his manual dexterity under master luthiers, Pontiggia was able to build outstanding instruments that soon gained renown, and were commissioned by great musicians such as Oscar Ghiglia, Segovia’s artistic heir. However, Dario could not figure out why he should attach a set of easily purchased strings to an instrument that had taken him 300 hours to make. As Haim Baharier wrote, “to think is to wager with destiny”: asking a question generates a space in which we confidently await an answer and, in doing so, we reshape the future. Pontiggia’s love for his instrument and its functioning raised a question, and he realised that by turning to the harp for an answer he would be compelled to explore new horizons.

The first harp he built as an autodidact forced him to make contact with prominent instrument makers from whom he gleaned insights into how the strings worked: Milanese harpsichord-maker Ferdinando Granziera, Vicenzabased string-maker Mimmo Peruffo, from whose teachings Pontiggia drew his own mathematical approach to string production. Pontiggia’s apprenticeship, in 2005, was based on the Renaissance workshop method: slavishly copying the work of a master, dissecting their finest masterpiece, trying to understand every detail and construction method in order to comprehend their thinking and purpose. He chose to start from the highest level achieved in the Baroque era: his first instrument was to be a model of the Barberini harp, one of the most

beautiful of all known musical instruments, built around 1632 and currently housed in the Museum of Musical Instruments in Rome. The harp’s gold-leaf coated wooden column is entirely inlaid with two pairs of cherubs supporting the Barberini coat of arms.

Pontiggia explains that his research was carried out as objectively as possible, because as a 21st-century individual, he would otherwise have followed a cultural system that did not reflect the age of the instrument. As a result, Dario opted not to use the skills of the contemporary world, which are far removed from the object of his interest, but rather its cutting-edge technology. For Pontiggia, the essence of recreating classical instruments lies exactly in this: understanding the master’s reasoning and achieving what they would have expected. The maker rediscovers and reconstructs, keeping as close as possible to the origins.

“To be an artist, you must also be an artisan. And to be an artisan, you must also be a worker,” declares Pontiggia, who acknowledges that his early classical training provided the conceptual insight that has enabled him to make the complex transition to an artistic vision, and in his technical training the fundamental grounding required to actually build musical instruments: artistic objects that are made to be used, endowed with fundamental technical features that prevent them from bursting - a tangible risk in the case of the harp, given the immense tension exerted by the strings.

Rediscovering the technical rules of the past is an archaeological endeavour: it is not just a matter of construction methods, but also of physicality and gestures, the way musicians interacted with the instrument as it was conceived 400 years ago. And strings made of natural materials that are extremely unrefined compared to modern alternatives, although they remain more faithful to the sonority envisioned by composers, who themselves crafted their music through sound. Just as the line between historical authenticity and fetishism is a fine one, compromising on authenticity is equally hard to justify.

Dario Pontiggia is currently working on the fifth series of harps based on the Barberini model, each corresponding to five stages of refinement that are imperceptible to an untrained eye, yet crucial to his journey. Now that Pontiggia has acquired from his mentor Beat Wolf the knowledge of building the pedal harp in the Louis XVI style, he has become the only maker in the world of this unique Baroque instrument.

The cutting-edge equipment and machinery in his workshop, along with eight collaborators and a separate textile department dedicated to making instrument cases, perfectly complement Dario’s commitment to remaining true to the original design. He sees no difference in value between a rasp and a CNC milling cutter, because the quality of the instrument depends on the quality of the design, assembly and materials. “Handmade” for Pontiggia is about the crafting of each object individually: when a single creation can be made to the highest standards, it carries true value.

WHERE SKILL MEETS SOUL

“Love is an art and art is a distillation of love: the essence of that authentic feeling, which allows us to express our intimate nature to the fullest.” This consideration marks the beginning of master engraver Fabio Ottaviano’s romance with cameos, one of the most elaborate and intriguing art forms of all ages. A refined object of ancient origins, the cameo has established itself over the centuries thanks to its powerful evocative and symbolic value. In the Renaissance, the skill and flair of Italian master engravers gave life to increasingly sophisticated jewellery, miniatures, decorative elements and ornamental objects, sought after by noble families and royal households throughout Europe. Fabio Ottaviano’s illustrious father, 86-year-old Pasquale,

trained as an apprentice engraver in the prestigious atelier of master Scialanga before establishing the family business in Torre del Greco in 1947. Now located in Portici, the Ottaviano workshop is renowned for the unmistakable style of its creations, which are made from sardonyx shell, carnelian, mother-of-pearl and semi-precious stones using time-honoured techniques. The realism and stunning craftsmanship of their creations turns each Ottaviano cameo into a timeless masterpiece.

Fabio beams with emotion as he retraces the milestones in the history of cameo making and that of his family: “Torre del Greco is where the universal wisdom of this craft is treasured, and we are proud to be the contemporary custodians of this tradition. Owing to its privileged location, the city of Naples has always been a port of call for ships laden with precious seashells from Africa and Central America. It was only natural for the school of engraving to be born in Torre del Greco, the hub for sardonyx shells and coral. Our forefathers handed down to us a “job that is not a job”. This craft is not a matter of fatigue, because each piece is born out of our passion for beauty, out of love. At the age of eleven, I was fascinated by watching my father working with shells. Every day I felt like I was witnessing a miracle! Wisely, he never forced me into anything, he just let me fall in love with this craft spontaneously. I used to watch him in silence, and express myself through drawings, imagination, wonder. After art school, where I graduated in Coral Art, I attended the Academy of Fine Arts where, following my first sculptures on marble, wood and clay, I finally fulfilled my dream: basrelief and micro-etching. I thank my father for letting me pursue this profession without impositions, and it is to him that I dedicate the LVMH Master Craftsman of Excellence award that I received in 2023. This prestigious accolade is a tribute to my commitment and the long tradition that our family has carried forth for generations. My father was my mentor, my inspiration, a model of discipline and of respect for the craft. In addition, he has also managed to instil in me the importance of innovation. This prize is also for him.”

Fabio reconciles the “purism” of artistic genius with the need for renewal. “The jewels I create are addressed to a public frequently confused by the excessive and disoriented by the superfluous. I am pleased to see that people are starting to appreciate the value of substance. But it is necessary to think of new forms and have the courage to dare, to explore new materials, to challenge the imagination. That’s why, in the future, I would like to go to Australia to hunt for shells and mother-of-pearl.” Thanks to his talent and his collaborations with major luxury houses, Fabio has crafted red carpet jewellery, such as the Mongol Queen Collier for Chopard, and extraordinary designs, such as the dial for the Reine de Naples collection, inspired by the first wristwatch that AbrahamLouis Breguet created for Queen Caroline Murat, Napoleon Bonaparte’s sister. His skill is particularly appreciated in China and Japan, both of which share a high level of technical sophistication and artistic flair.

“My creations symbolise the challenge between classicism and modernity: mythological subjects, symbols of seduction such as Cupid and Psyche, angels, flowers. Let me tell you a secret: the cameo is always the outcome of the relationship between the person who commissions it and the person who actually makes it. The client hands me the keys to his or her emotions. The resulting shapes, contrasts, transparencies, shades and fairy-tale colours all speak of personal, intimate, exclusive experiences. The cameo reveals secrets, celebrates events and seals the love with which it was conceived, making it everlastingly.”

HAND-CRAFTED TO REACH THE HEART

Craftsmanship is an act of love. Love for the craft itself, for the masterly gestures that turn raw materials into objects of beauty. Love of the makers for their creations, for the artefacts that gradually take shape in their hands. Love

for those who will receive those objects and find joy in their beauty. And love and respect of the artisans for their own talent and passion.

Lara Pontoni is familiar with these forms of love, and she embodies them all. The fact that she crafts elegant and exquisitely retro silk flowers, bijoux de tête, hats, tiaras, and other “old-fashioned finery” completes the picture. But to appreciate it in full, we must start from the beginning. Before opening her atelier, Officine Lamour, Lara worked for two decades as a fresco restorer. Surrounded by art and beauty, she was always on the move between one worksite and the next, until an accident forced her to take a new direction. “For a long time, I couldn’t even leave the house,” she says. “I started sewing to keep myself busy. I had no idea that I was inventing a new profession.” New, indeed, yet deeply rooted in her past. “I grew up with two women, my mother and grandmother, who knew how to do everything. To emulate them, I became interested in handicrafts at an early age. At four, I was already crocheting; at twenty, I would embroider until dawn because I couldn’t stop myself. And while I was in Venice working on my final restoration, in the evenings I learned how to sew 18th-century corsets.”

After the accident, the joy of working with her hands returned, now combined with a more sophisticated taste, honed over the many years she spent in contact with art. “But I was always fascinated by things ‘from the days of old,’ made with a degree of care and attention that is so difficult to find nowadays,” she explains. “Back in high school, reading D’Annunzio and other late 19th- and early 20th-century authors, I was captivated by the descriptions of those opulent settings, those stately palaces. I was especially struck by the women in these stories, so sophisticated and endowed with a femininity from bygone times. In fact, I got married wearing a 1930s-style bonnet, with a silk flower and a veil. I hadn’t made it myself because it was before I took up this profession. But, in a way, everything was already there.” That “everything” would arrive in due course: from her first headbands and turbans to more elaborate accessories, through to the wedding tiaras on show in Venice at the last edition of Homo Faber. Not to mention the silk flowers that Ridley Scott’s costume designer commissioned for Lady Gaga one day while Lara was in the middle of moving to a new house.

Unwavering care and an uncompromising approach: this is how Pontoni works. “What I do takes a long time, starting with sourcing materials,” she explains. “I use only silk for my flowers, for instance. Most times, I recover scraps and leftovers from manufacturers, so I manage to obtain high quality and sustainability in one go. The pistils are crafted by a specialised atelier that has been making them since 1902, whereas the beads are a mixture of vintage and contemporary pieces.”

When it comes to making, the process is almost pictorial, a legacy of her years as a restorer. “I dye each petal individually, tweaking the colour to make it more vibrant and lend it the antiquated patina that suits my aesthetic standards. I also enjoy playing with textures, and combining materials to create different effects depending on the light.” Technique is also important. To the point that, initially, Lara thought her work was basically that: an exercise in style. Later, to her surprise, she discovered the emotional power of her creations. “I never expected so much enthusiasm from the clients,” she adds and goes on to recall anecdotes, people, memories. “I was once approached for a 50th wedding anniversary. The husband wanted to surprise his wife with a hat just like the one she had worn on their wedding day, which she had borrowed since she could not afford to buy one at the time. Fifty years later, the original hat was nowhere to be found, so he asked me to recreate it based only on a few blurry photos. I was mad to accept the project. But I will never forget when she called to thank me. She was so very touched. Her happiness was a wonderful reward for all the hard work.” Lara pauses, musing for a moment. “Highs and lows, achievements and uncertainties,” she concludes. “My work is a seesaw. Just like love.”

CHOCOLATE ALCHEMY

Seemingly unrelated concepts and worlds intertwine in this story, which begins in South America and unfolds across America, Europe and Africa. The protagonist is Cristina Quattrone, who was awarded the title of MAM-Maestro d’Arte e Mestiere in the field of chocolate making in 2024. As an ancient Spanish proverb says, “las cuentas claras, y el chocolate espeso”: ideas must be clear and chocolate thick. And although Cristina’s life has been geared toward clear goals from the start, it wasn’t until 2005, when she opened her workshop, that thick chocolate became a reality. Her tenacious perseverance, tempered by love and family, springs from her native Calabria, in the south of Italy. Cristina has devoted her life to sharing knowledge, first as a teacher and now as the custodian of aromas, roasts and pralines. What better way to tell her story than by following the process of making chocolate itself?

Blending. Roasting and grinding of the beans to obtain the cocoa mass. Cristina Quattrone – who everyone calls Nuccia – took her first steps in the transmission of knowledge by teaching English at the Istituto Industriale di Reggio Calabria. Human beings, with their many facets of thought and relationship, are a complex ingredient. Fascinated by the energy and diversity of the young people around her, Nuccia decided to extend her commitment to those who are no longer young, assisting the elderly in the care facilities of her city. As a result, the act of giving became the main ingredient of her identity.

Refinement. The ingredients are sorted and mixed in varying proportions, and the paste is ground once again to reduce the particle size. Cristina Quattrone is both a mother and an artisan, roles that deeply intertwine with her personal and professional growth. While visiting her daughter studying in Milan, she walked past a small workshop, a place that seemed steeped in magical craftsmanship. Behind the shop’s glass windows, elegant utensils performing their liturgical rituals – including a tempering machine pouring a thick, shiny stream of chocolate – captured her attention and sparked a flame. The chocolate, almost alive in its smooth flow, seemed to evoke age-old stories with a new and unexpected twist. When Nuccia returned to Calabria, she brought back some of those tools along with a new aspiration: to transform the fascination of her discovery into an expertise that blends the local territory and its products of excellence. This desire – from the Latin de-sidera, to descend from the stars –was eventually realised in her workshop, where each creation is conceived to be both tasty and meaningful. But although her dream came true in 2001, it would take another four years to achieve the perfect degree of thickness.

Conching. The purpose in this phase is to blend the ingredients harmoniously, reducing residual moisture and the slightly acidic and astringent aromas that are a natural characteristic of the cocoa bean. The area of Reggio Calabria, where the Quattrone family is based, is rich in fascinating contrasts. Both gentle and harsh, this land offers a wealth of cultural, historical and gastronomic excellence. Although the Mediterranean climate does not encourage the production of chocolate, this disadvantage is offset by an extraordinary wealth of raw materials. The heady scent of mandarins, lemons, bergamots and oranges is an aromatic hymn to celebrate the bountifulness of Calabria’s nature. The thousand-year-old forests of Sila and the chestnut groves of Aspromonte yield precious fruits including chestnuts, almonds, walnuts and hazelnuts. Nuccia knows that this biodiversity is the link to seal a unique sensory marriage with the world of chocolate. In 2005, she opened Color Cioccolato, a chocolate laboratory that uses three prized varieties of cocoa—Criollo, Trinitario and Forastero—transforming them into chiselled jewels of flavour. Classical etymology provides additional insight into the uniqueness of this product:

ϑεός (god) and βρῶμα (food) - the food of the gods. Magna Graecia echoes also in the mythological names of Cristina Quattrone’s chocolates. Pollux, with its sumptuous chestnut cream wrapping a rum heart, conjures up the warm autumnal notes of Calabria; Morpheus, which blends the monastic delicacy of almond paste with a chocolate cream invigorated by the vibrant freshness of bergamot. And Ganymede, where a sweet quince compote is caught off guard by the bold, spicy liveliness of ginger. Epic chocolates, both in their technical realisation and in the passionate quest for their ingredients.

Tempering. The succession of rapid and controlled temperature changes to which chocolate is subjected is essential to give it stability both in processing and inb taste, balancing crunchiness and meltiness. Just as tempering stabilises chocolate, Cristina Quattrone’s vision is firmly rooted in charity. 7,111 km separate the lush island of Madagascar from Nuccia’s chocolate workshop in Via Monsignor Giunta 8, in the heart of Reggio Calabria. Yet, thanks to the collaboration with her daughter Francesca Di Stefano and her husband Santo Versace, Color Cioccolato‘s proceeds support the Jesuit mission in Madagascar, offering educational and nutritional aid to the island’s children. Different temperatures and latitudes are united by the inspirational power of this mouth-watering delicacy.

Modelling. In the last stage, the precious fluid is shaped into bars, pralines, chips and eggs. This is where the imagination triumphs. Each artisan develops a personal style, thus making their art recognisable and celebrating their passion for the craft. Like art, it conceals a mystery, an intimate and personal dimension. To practise a craft is to follow a mould, a model that each artisan chooses to express what he or she is. It is not just about the doing, but about the being. Nonetheless, this expertise must be fed by a specific intent that is precise, direct and clear. Powerful, focused, and always recognisable. Chocolate is a living substance that communicates with the senses only when it feels the object of authentic consideration, quietly transcending the simple concept of tasting good. Indeed, it has its own inner language. And this is precisely the secret of Nuccia’s creations: genuine expressions of love, which can reach the hearts of those who savour them and those who benefit from them, even beyond the Equator.

VESSELS OF LOVE

Jean Blanchaert

When, in 17th-century Florence, Galileo Galilei wrote his Discourse on floating bodies, he established the foundations for studies that would eventually lead Blaise Pascal to formulate the principle of communicating vessels, which states that, in the presence of gravity, a fluid in connected vessels reaches the same level, creating a uniform, equipotential surface. And of all the forms of love, isn’t sharing one of the most beautiful and most genuine? To be oneself, of course, but not alone. A woman or a man who leaves in the morning after sharing their thoughts and concerns possess a special inner strength, a kind of protective armour against the perils of the human jungle. The “communicating vessels” designed by Flavie Audi are a sculptural interpretation of love. The two glass vases are enamoured, sensual, almost entwined. They are as poetic as platonic love, as erotic as the Kāma Sūtra, and a blend of both, as in Sappho’s fragment “Eros shook my mind like a mountain wind falling on oak trees”. (*) Indeed, Flavie Audi’s sculptures evoke trees bent by the wind, which could either be the warm khamsin that blows in Beirut, her native city, the cold northern tramontane, the sultry sirocco or, occasionally, the mighty bora. Designed for Nadja Romain’s project Everything I want, the first prototype was crafted in Murano in collaboration with master glassmaker Nicola Causin

of Berengo Studio, further production continuing at the Devereux & Huskie glassworks in Wiltshire, in the southwest of England. Nothing should ever be taken for granted, and these vases embody the commitment and effort required to sustain a relationship. The colours used for the communicating vases – the lovers - reflect their personalities: black stands for willpower and independence, light blue hints at a propensity for harmony, purple evokes an intense spirituality. The two cylindrical vases seem to support a coloured sphere between them, symbolising their relationship. You can sense the effort required to keep it from falling, as Charles Aznavour poignantly suggests in one of his songs: “You’ve let yourself go… your stocking seams, not even straight / and that old faded dressing gown, your hair in curlers hanging down…”. This same tension is captured in Jan Fabre’s The man who bears the cross, displayed in Antwerp’s Cathedral. The bronze sculpture depicts a man struggling not to drop a big cross balanced on his outstretched right hand: even faith needs to be reaffirmed every day.

Bob Wilson, a long-time friend of Jan Fabre, recently created a glass installation called Wrestlers. It draws inspiration from a traditional discipline that was popular in China during the Han dynasty, two thousand years ago. The athletes wrestle while balancing a medium-sized ceramic amphora on their left elbow. Whoever drops it loses. Another example, like Jan Fabre’s and Flavie Audi’s sculptures, of how real life teeters on a knife’s edge.

Flavie Audi’s artwork takes its cue from the manipulation of glass, which plays a central role throughout her artistic career. Her sculptures are a 3D rendering of an imagined future world. Extremes meet. They evoke the earliest geological finds, harking back to the primordial landscapes of history. Flavie explores ways of conveying sensuality and radiance by creating dazzling encounters. Her mysterious shapes embody the energy and essence of existence, a sense of life. Flavie invites the mind to expand into the infinity of the cosmos and connect emotionally to the world. Les vases communiquants emanate a sidereal sensuality. The curved cylinders and the suspended rock capture a fleeting, living presence, the vital force binding us together. The shapes tenderly brush against one another. Sensual glass.

(*) Trans. Anne Carson, If Not, Winter: Fragments of Sappho, 2002

CRAFTING THE UNEXPECTED

Paola Carimati

The fact that Doppia Firma has become a benchmark, leading the way both in Italy and abroad, is supported by the number of editions held (9), the artisandesigner duos involved (63), the excellence in the techniques interpreted, the variety of materials explored and the territories represented. Launched in 2016 by Alberto Cavalli, director of the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, the event has consistently kept the spotlight on experimentation, effectively contributing to presenting craftsmanship from a more comprehensive perspective, geared towards the priorities of contemporary life. What the general public has received in return is the unfolding of a new Humanism, deeply rooted in the values of tradition, exchange and respect Francesca Taroni, editor-in-chief of Living Corriere and media partner of Doppia Firma since the first edition, makes no secret of her satisfaction in retracing the stages of an adventure that has lasted almost ten years: “By bringing savoir-faire into the contemporary world, we have identified a need that has since evolved into a trend. Promoting a project that intimately connects design and craftsmanship, we have contributed to inspiring Italian and international events that were launched in the following years,” such as the Lake Como Design Festival and Edit Napoli, both established in 2019. This year, at Villa Mozart, the concept embraces a more historical approach, showcasing seven works from past editions alongside new projects, offering a kind of “best

of” craftsmanship. Among the new duos are studio Cara\Davide with Roberto Lucchinetti, and Andrea Mancuso with Luciano Tousco: “Working with artisans is our way of exploring materials and their untapped potential,” say Cara Judd and Davide Gramatica, who are working with soapstone for the first time. “Roberto’s workshop is a very special place by the river, in the heart of the Valchiavenna: together we approached a technique that is as special and age-old as soapstone itself, and is used to minimise waste.”

Doing more with less is their hallmark, perfectly in tune with the valley’s traditions. “With Luciano, a true mountain man, we worked on the concept creating a design through the use of grafting,” explains Andrea Mancuso, who has become familiar with every decorative expression of the Aosta Valley.

“It’s a return to Alpine decoration: the seat we designed preserves the sinuous lines of a lounge chair, but is grafted with real branches.” The back of the chair is designed to resemble a clearing, conveying the effect of a hand-carved mountain landscape. An ode to the strength of solid wood, but also to the fragility of a material undergoing transition. Much like the environment in which we live.

“Through the talent of carefully selected designers, the cultural project developed by the Fondazione Cologni rescues craftsmanship from the mere act of making, restoring it to the nobility of thinking,” Francesca Taroni points out. “This is partly due to manufacturers increasingly focusing on contract production and less on experimentation, which has encouraged designers to embrace self-production with more conviction.”

Notable examples include Barnaba Fornasetti and Giovanni Bonotto, patrons and entrepreneurs at the head of two leading Italian manufacturing companies and prime examples of “slow design”. Piero Fornasetti established his business in Milan in 1940, while Luigi Bonotto founded his in Molvena in 1912.

For the cultured and softspoken Barnaba, slowness “is an inherent part of our artisanal essence, of our philosophy: taking the right amount of time to make something allows us to reflect on the meaning of a project and, as I often say, to think with our hands.” Slow design is a great concept, but it is only truly credible when it takes into account both our intellectual and manual pace.

“When I met Giovanni Bonotto,” with whom Fornasetti is collaborating on the creation of A Thread of Practical Madness, “we immediately connected. Both of us consider respect for tradition and an obsession with detail to be fundamental values. I appreciated what he said in an interview: ‘I pride myself on working in a factory equipped with the lenses of imagination.’ This is the real thread that unites us: creative freedom coupled with rigorous training.”

This new approach to craftsmanship makes it possible to scale it up, extending its impact even into the world of interior design. “The emotions that you experience within a home, or an interior, are increasingly linked to the materials, the finishes, the textures of the surfaces. What I like about the scenographies designed by Giacomo Moor and Pietro Russo,” concludes Francesca Taroni, “is that they are a sort of architectural decoration, in which surfaces, finishes, and glass explode in a three-dimensional way to warm the atmosphere.”

Vento, the screen created for the 2022 Milan Design Week by Hannes Peer with Del Savio 1920, was designed as a movable architectural element: “In my interior designs, craftsmanship is always an integral part of the space. Handpainted tiles, blown glass chandeliers, inlaid furniture are not just decorative details, but the means to connect art and function,” enhancing a dimension so texturally rich and emotionally engaging that it resonates. “Craftsmanship is the soul of my projects, always offering interior designers the opportunity to breathe authenticity and depth into spaces, bringing them to life..” And, as Barnaba Fornasetti likes to emphasise, this skilfully executed game “combines function and creativity, everyday life and wonder, and borders on madness.”

Daring is therefore the first commandment of signature craftsmanship. The one that, as Alberto Cavalli reminds us, does not copy, but invents.

Caring is an act of love. Crafted with the same care with which it holds things, the trunk has always played a central role in travel. When we set off, it contains everything necessary for the journey, but once it’s over, it becomes the treasure chest for the memories of the experiences we have lived. Whether used as a wardrobe, a travel cabinet or a refined piece of furniture, Serapian’s Secret Beauty Trunk is an act of love and craftsmanship that embraces several meanings: dedication to the traveller and their interests, passion for handmade products, and the expertise of the artisans who made it.

This objet d’art, first presented in the “Love/Union” room at Homo Faber: The Journey of Life, is a masterful example of the craftsmanship that defines the Milan-based Maison, now part of the Richemont Group. It showcases Serapian’s dedication to refined skills and techniques, blending tradition with innovation – exactly as its Bespoke Assoluto service demands, allowing customers to collaborate on any leather creation. As Serapian’s CEO Maxime Bohé explains, this philosophy is rooted in the value of the hands.

The Secret Beauty Trunk draws inspiration from the passion for cinema, the Dolce Vita years, the stars of the 1950s acting at the legendary Cinecittà film studios in Rome, who often travelled to Milan to purchase custom-made bags from Serapian. This imposing trunk of marvels, measuring 2.20 metres in height, was painstakingly crafted by master cabinet-maker Giordano Viganò in palm wood. The inside features Serapian’s hallmark Mosaico technique, in which strips of nappa leather are hand-woven by the Maison’s artisans. Equipped with twelve drawers – six of which are concealed (hence the “secret” in the name) – this luxurious piece of furniture also boasts a central backlit mirror engraved with a decoration reminiscent of the diamond-shaped pattern of the Mosaic, whose iconic design and formal beauty have remained unchanged since Stefano Serapian first experimented with it in 1947. This bespoke trunk – no doubt designed for an elegant, cultured woman who loves beauty and travelling on long journeys – certainly fulfils a practical function. At the same time, it stands for a lifestyle that possesses the most precious commodity of all: time for oneself. A time that, when carved out in the hustle and bustle of everyday life, provides an alternative but effective way of loving oneself. Clothes, perfumes, accessories (and perhaps a few secret love letters) are all carefully guarded in this love trunk on wheels: a malle d’amour to confront today’s fast-paced life, which is all about hand luggage!

THE MELODY OF CREATION

Speaking of love is a practice as old as time itself. Still, whenever we reflect on the topic of love - on the feelings that spring up in our hearts, and which we often cannot quite put a name to - words can seem inadequate, inaccurate and out of touch with reality. For this reason, we end up singing our own song, in our own unique way—a song that is often mysterious and arcane, nourished by perceptions, looks and words that hold a “universal” meaning only for us. A meaning that transcends their nature and transforms these tunes into the most extraordinary and powerful energy: the energy that allows us to create, bring to life, transform. The tune to which master artisans sing in their workshops, studios and businesses expresses their love for beauty, for perfection, for materials that their talent manages to exalt and turn into ever evolving shapes. It resonates only in special places, where the spirit of craftsmanship is embodied through competence, experience and tradition. It celebrates a way of living that is more intense, in which the happiness of crafting translates into a of lifelong commitment. As artisans teach us, love can never be devoid of a certain degree

of realism and criticism. To love a person or a place does not mean to close our eyes to their flaws and pretend that they are the emblem of perfection. This is not love, but at most a somewhat immature infatuation. To love is to recognise there are flaws, but also to understand that we can try to overcome them together. We can even accept the fact that they exist, just as our own flaws exist, and resolve that it is worth pursuing our feelings, since perfection can only be achieved day by day through mutual encouragement and improvement. At the same time, master craftspeople encourage us to find the flaw in the commonplace products that we are surrounded by, to underscore how different, and certainly better, an object handcrafted with care and talent is. They urge us not to accept every choice and every outcome, because perfection is only achieved through experience and constant refinement. Through their work, they show us that love also means to face one’s shortcomings and look at them realistically: not with the clinical and cynical gaze of those who search for responsibilities or hunt for the ghosts of the past, but rather with the realistic and sincere approach of the true master. In other words, of those people who love what they do, and build the purpose of their lives around this love.

IWC Ingenieur. Form und Technik.

Ingenieur Automatic 40, Ref. 3289

Non è necessario essere ingegneri per apprezzare le qualità di questo orologio. L’Ingenieur Automatic 40 con quadrante blu con motivo a griglia rivisita gli audaci codici estetici dell’Ingenieur SL di Gérald Genta degli anni ’70, abbinandoli a un’ergonomia straordinaria e a finiture curate fin nei dettagli. Nel rispetto della migliore tradizione ingegneristica, una cassa interna in ferro dolce protegge il calibro 32111 di manifattura IWC, con riserva di carica di cinque giorni dall’effetto dei campi magnetici. IWC. Engineered.

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.