Mestieri d'arte e Design // Virtuosi

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“ BEAUTY LIES IN THE DETAILS OF THE GRANDEST STRUCTURES, AND THE FINEST.” ORA ÏTO,

CREATOR OF SHAPES, WEARS THE VACHERON CONSTANTIN TRADITIONNELLE.


UN MONDO

POTENTE

e fragile

Dal dialogo tra genio e consapevolezza che si fondono in un ambito socioculturale fertile e vivace, nasce una catena umana di talenti, competenze e conoscenze profonde. Un sistema virtuoso al servizio della bellezza dell’alto artigianato. di Alberto Cavalli

Nel suo celeberrimo volume del 1748, Charles-Louis de Montesquieu identificava lo “Spirito delle leggi” in quella catena di rapporti, o per meglio dire, in quell’organizzazione di rapporti che era in grado di dare vita a un sistema. Un sistema: ovvero, una serie di relazioni interconnesse che danno identità e originalità ad azioni, scambi o procedure che altrimenti resterebbero isolati. Mentre la creazione del sistema, appunto, rafforza ogni elemento e lo include in una costruzione di senso destinata a diventare riconoscibile. Pensiamo al Rinascimento fiorentino: gli splendori creati da Botticelli e Piero della Francesca sono certamente l’espressione più visibile e suggestiva di un’epoca inimitabile. Ma il talento degli artisti nasceva e si sviluppava in un contesto urbano, sociale, politico e culturale fertile, dove la virtù della legge rendeva possibile l’esercizio della libertà: e questa legge creava appunto una serie di rapporti virtuosi (tra capitale, commercio, arte e mestiere) che hanno dato vita a un’eredità spettacolare, tuttora potenzialmente fertile per la cultura e l’economia italiane. Fertile perché eloquente, perché autentica, basata sulla costruzione di un valore che, parafrasando Orazio, potremmo definire aere perennius, più duraturo del bronzo: quello dell’eccellenza. Che fa scuola e fa epoca tanto quanto il genio.

Percepire, vivere e intendere il mondo della bellezza fatta a mano come un “sistema virtuoso” significa riconoscere che la creazione di valore prende vita non in un contesto arido o ideale, ma appunto in un territorio fisico e culturale, in un’atmosfera che si nutre di creatività ma anche di ricerca, di consapevolezza e conoscenza. Come quello che abbiamo voluto raccontare in questo numero di Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture, dedicato proprio ai virtuosi e ai virtuosismi dell’alto artigianato. Essere virtuosi significa non soltanto essere tecnicamente ineccepibili, ma avere anche un’integrità, una dignità e una fierezza che si esprimono in gesti sicuri ma gentili, in oggetti meravigliosi e potenti, in relazioni umane e dunque profonde. Gesti, oggetti e relazioni che hanno il potere di trasformare il mondo, come la virtù, sempre, imporrebbe di fare. Tutte le storie che abbiamo scelto per questo numero pongono l’accento sugli elementi “virtuosi” di una trasformazione verso la bellezza che tutti noi sentiamo come inderogabile: una bellezza che ci rigenera e che ci rende migliori. Non so se Sant’Agostino sarebbe d’accordo, ma so che chiunque desideri guardare alla città celeste, pur vivendo nella città dell’uomo, non ha mai paura della trasformazione: al contrario, la progetta e la fa partire. E di solito, la conduce in porto. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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N°27 SEMESTRALE DELLA FONDAZIONE COLOGNI

EDITORIALE

Un mondo potente e fragile Alberto Cavalli

20 Album Stefania Montani

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Il Niccolò Paganini del vetro Jean Blanchaert

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Il tempo nell’atelier delle meraviglie Alberto Cavalli

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52 30 Nozze d’argento e vetro Alba Cappellieri

82 Nel silenzio di una valle incantata Nurye Donatoni

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88 Le armi e le lettere Federica Sala

Castorina 1895: virtuosismi dell’ebanisteria in Oltrarno Maria Pilar Lebole

46 Libertà visionaria Ugo La Pietra

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102 Alla ricerca del suono perduto Giuditta Comerci

Il frutto della passione Anna Carmen Lo Calzo

60 Cuore di terracotta Rosa Alba Impronta

Il grande sogno chiamato finzione Andrea Tomasi

108 Essere Corrado Andrea Sinigaglia 116 English Version

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LE OPINIONI

16 Il più bravo di tutti Ugo La Pietra 18 Elogio del gesto Stefano Follesa 114 Il coraggio di essere virtuosi Franco Cologni

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE Semestrale – Anno 14 – Numero 27 - Ottobre 2023 mestieridarte.it DIRETTORE RESPONSABILE

MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE

Alberto Cavalli

è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

DIRETTORE EDITORIALE

Franco Cologni DIREZIONE ARTISTICA

Lucrezia Russo CONSULENTE EDITORIALE

Ugo La Pietra

Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

Susanna Ardigò Alessandra de Nitto Lara Lo Calzo Francesco Rossetti

IN COPERTINA:

Vaso Fazzoletto di Venini,

REDAZIONE

in vetro rosso e interno verde.

PUBBLICITÀ E TRAFFICO

Base in argento con frutti Buccellati.

Mestieri d’Arte Srl Via Statuto, 10 - 20121 Milano

TRADUZIONI

Traduko Giovanna Marchello (editing e adattamento) PRESTAMPA E STAMPA

Grafiche Antiga Spa MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Artigiani della parola I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana (www.tipoteca.it)

Ugo La Pietra Nurye Donatoni Alba Cappellieri

Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata in opere contemporanee. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). È stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber” 2018 e della sala Next of Europe di “Homo Faber” 2022, alla Fondazione Cini, Venezia.

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Professore Ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano. Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello, all’interno della Basilica Palladiana di Vicenza, il primo museo italiano dedicato al gioiello.

Laureata in conservazione dei beni culturali, esperta di artigianato artistico e di tradizione, è direttrice artistica del MAV – Museo dell’Artigianato Valdostano di tradizione. Attualmente svolge per Fondazione Cologni una ricerca per la mappatura dei mestieri rari e a rischio di scomparsa in tutta Italia.

Giuditta Comerci

Ricercatrice e curatrice di eventi culturali, è direttore artistico dell’Associazione Noema per lo studio e la promozione della cultura musicale. È cultore della materia Mestieri d’arte e bellezza italiana al Politecnico di Milano dal 2015 e coautrice de Il valore del mestiere (Marsilio, 2014).

Stefano Follesa

Ricercatore e docente presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. La sua ricerca indaga i rapporti tra Design e Artigianato e tra Design e Identità locali. Ambasciatore per il Design Italiano nel Mondo, insegna in università internazionali ed è autore di numerose monografie.

Rosa Alba Impronta

Laureata in Giurisprudenza, è consigliere di amministrazione di MAG Spa, storica e oggi principale Società italiana di brokeraggio assicurativo. Appassionata di arte contemporanea e di alto artigianato, nel 2014 ha fondato, insieme al marito Davide de Blasio, la Fondazione Made in Cloister, dove arte contemporanea, artigianato e design si incontrano in un progetto culturale di riconversione architettonica e rigenerazione urbana nel cuore di Napoli.

Artista, architetto, designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, pubblicazioni, didattica nelle Accademie e nelle Università. Le sue opere sono presenti nei più importanti Musei internazionali.

Maria Pilar Lebole

Giornalista, dirige la Rivista OMA ed è responsabile di Osservatorio dei Mestieri d’Arte per Fondazione CR Firenze. Da oltre venti anni è impegnata nella ricerca e promozione dell’artigianato artistico con iniziative e progetti culturali, tra cui mostre, contest dedicati alle giovani promesse dell’artigianato artistico, esperienze di didattica e di formazione per i mestieri d’arte.


Stefania Montani

Anna Carmen Lo Calzo

Ex modella internazionale, musa ispiratrice di stilisti come Gianfranco Ferrè e Giorgio Armani, archiviate le sfilate e i servizi fotografici, ha trasformato in professione la passione per il mondo del lusso e del made in Italy. Giornalista pubblicista dal 2003, è scrittrice e consulente di comunicazione.

Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell’artigianato.

Federica Sala

È curatrice indipendente e design advisor. Negli ultimi anni ha curato con Patricia Urquiola “A Castiglioni” alla Triennale di Milano e la recente mostra su Giulio Castelli per il neonato Adi Design Museum. Collabora con alcune testate e ha curato la monografia Minimal/ Baroque Gianluca Pacchioni (Rizzoli International, 2021).

Andrea Sinigaglia

Laureato in Lettere alla Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Cultura dell’Alimentazione a Bologna e un MBA presso il MIP. Ha pubblicato: La cucina Piacentina (Tarka, 2016), Gusto Italiano (Plan, 2012) e Il vignaiolo. Mestiere d’arte (Il Saggiatore, 2006). Dal 2004 insegna Storia della Cucina italiana presso ALMA, dove dal 2013 è direttore generale.

Andrea Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la Homo Faber Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e e in altri Paesi extra-europei.

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Il più bravo di tutti

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OPINIONI

PRATICHE E COMPETIZIONI TRA GLI ARTISTI-ARTIGIANI

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In Italia, fino a due generazioni fa, in tutti i paesi e i centri urbani erano presenti artisti-artigiani, esperti nella lavorazione di diversi materiali per la realizzazione di oggetti: FATTO AD ARTE

ferro, vetro, ceramica, tessuto, pelle… Tali artisti-artigiani caratterizzavano la popolazione urbana: non a caso era chiara a tutti la distinzione tra chi lavorava la terra (contadini) fuori dalla città, e chi costruiva oggetti (artisti) in città.

Tra gli artisti-artigiani che lavoravano nel settore della ceramica (come anche per tutti gli altri settori citati) c’è sempre stata molta competizione, e questa caratteristica diffusa tra i vari autori era motivo di gelosie, desiderio di coltivare segretamente le proprie “invenzioni”, ricerca di clientela e impegno costante a mantenerla. Tra le diverse strategie messe in atto dai vari artisti-artigiani impegnati nello stesso settore di lavorazione, quella maggiormente praticata è sempre stata l’ostentazione di una “superiore capacità”. Capacità che doveva esprimersi con forza, per distinguere il proprio lavoro da quello degli altri colleghi con i quali, quasi sempre, si condividevano le stesse tecniche di lavorazione e le stesse tipologie merceologiche. Per ottenere questo risultato si è sempre cercato di inventare modelli originali, ma quando questo non bastava si è spesso ricorso all’esaltazione del fare, proponendo sempre più sofisticate elaborazioni nell’uso della materia e dei colori, in elaborazioni capaci di esprimersi in virtuosismi sempre più sofisticati. Immagini bizzarre e cariche di esasperate manipolazioni sono state spesso alla base di proposte finalizzate a comunicare il “valore” dell’artista-artigiano, ma meglio sarebbe dire dell’artigiano, a discapito dell’artista. Sì, perché a forza di spingere la competizione sul tasto dell’elaborazione, si andava perdendo la qualità e l’originalità della ricerca, schiacciata sempre più verso un immaginario bizzarro, rasentando spesso il kitsch. Abbiamo quindi spesso assistito alla decadenza di certi autori che hanno concentrato tutto il proprio lavoro nella competizione, mettendo al primo posto le sempre più sofisticate elaborazioni. Il virtuosismo, questa pratica che ha spesso dato valore aggiunto all’opera dell’artista (pensiamo a Paganini), non sempre è stata garanzia di qualità!Lo sanno molto bene certi ceramisti di Caltagirone o di Vietri o ancora di Capodimonte, dove la loro capacità nella realizzazione delle figure antropomorfe, zoomorfe o fitomorfe, quando perdeva la genuinità popolare, scadeva in leziose, quasi oscene, figure iperrealistiche. Le grandi capacità dell’artista-artigiano, che rasentano qualche volta il virtuosismo, trovano spesso il consenso dell’acquirente o del collezionista che, non riuscendo o a cogliere alcuni valori più concettuali dell’opera – come il significato, l’originalità, le motivazioni sociali, la capacità di rinnovare i modelli del passato – ne apprezza l’esasperata manipolazione, la sovrabbondante decorazione, la dimensione e/o il numero delle tante varianti al tema. Eppure esiste l’opera che riesce a dare valore attraverso la pratica del virtuosismo dell’eccesso e delle esasperate sovrastrutture. Basterebbe guardare certe ceramiche (cosiddette barocche) di Lucio Fontana, maestro ormai celebrato a cui si ispirano giovani autori come Francesco Simeti, Salvatore Arancio, Sissi… artisti che lavorano in modo istintivo, manipolano la materia in cerca del “meraviglioso” e lo fanno dando sfogo a tutta la repressione presente in una generazione di autori che cercano di conquistare il mercato attraverso lo “stupore”. Un percorso alternativo alle ormai diffuse manipolazioni video; opere realizzate mettendo le mani nella materia, senza pudore verso l’eccesso, arrivando a fare dell’uso esasperato della manipolazione virtuosistica il modello alternativo e quindi decisamente opposto della realtà virtuale. •

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La prefigurazione degli scenari che seguiranno gli sviluppi dell’intelligenza artificiale delineano una contrapposizione tra un mondo dominato dalle macchine e un mondo riconquistato dall’uomo. PENSIERO STORICO

Elogio del gesto

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OPINIONI

All’egemonia tecnologica si contrapporrà una riconquista dei gesti e dei rituali del fare. In tale scenario si colloca una nuova idea di virtuosismo come esaltazione di un fare ragionato tra pensiero e gesto.

Tra i termini inafferrabili della contemporaneità si colloca il concetto di virtuoso, la cui definizione impone un adattamento ai mutati scenari. Virtuoso è colui che eccelle in un’arte, “capace di usare con assoluta padronanza i mezzi tecnici connessi con l’esercizio di quell’arte” (Treccani). Il termine “mezzi tecnici” (leggibile in una accezione che va dalle macchine alle tecniche) sembra lasciar spazio, in una lettura contemporanea, ad un equilibrio negoziato tra pratiche manuali e tecniche digitali, ma tale definizione non chiarisce appieno il ruolo della mente. La virtù sta nelle mani o nel pensiero? Nello sviluppo di un gesto o nell’applicazione di un’idea? È virtuoso colui che esegue con maestria l’opera o virtuoso è colui che concepisce l’opera? Riferendoci all’ambito musicale probabilmente potremo dire che la virtù sta nell’esecuzione e quindi è virtuoso colui che esegue in maniera eccellente una sonata di Paganini e non chi quel brano lo ha ideato (anche se nel caso di Paganini “violinista del diavolo”, questi era anche uno straordinario esecutore). Il concetto di virtuosismo nella musica è legato alla nascita del concerto, cioè a una idea dell’esecuzione come attività distinta dall’ideazione. È pur vero, tuttavia, che l’esecuzione è guidata dalla mente e quindi la reale differenza sta forse nello scarto tra mera esecuzione e interpretazione. L’interpretazione implica un fare guidato dal pensare, un apporto alla realizzazione mosso dalla mente e dal cuore. Per Juhani Pallasmaa (La mano che pensa, 2014) la mano non è un semplice strumento, ma il luogo privilegiato in cui il pensiero si incarna, «l’intenzione, la percezione e il lavoro della mano non esistono separatamente” (p. 81). Ma tale interazione per aspirare alla virtù necessita di svilupparsi nella ripetizione del gesto. L’autore parla della necessità di “fermare il tempo e difendere la naturale lentezza e diversità dell’esperienza». L’esperienza accompagna quindi la virtù dando stabilità al talento; è l’esperienza (fatta di continue innovazioni e sperimentazioni) che, nella dimensione del tempo, guida la transizione verso l’eccellenza. E tuttavia vi è un’ulteriore componente che necessita di essere rilevata. Quando si osserva il bassorilievo della Madonna della Scala che Michelangelo realizzò all’età di quindici anni nel Giardino di San Marco, ci si chiede se la virtù sia una dote innata o quanto, nello sviluppo di un’arte, sia dovuto ad una naturale predisposizione. Il virtuoso, in tutte le arti, si presenza come eccezione e non come regola e si definisce in una capacità di interpretazione che lega talento, manualità ed esperienza. Parlare di virtuosismo acquisisce un maggior ruolo se sappiamo cogliere le trasformazioni di senso del termine legate alla dimensione del domani. Come si definisce una nuova figura di virtuoso nell’ambito delle discipline del fare? Gli scenari in premessa sembrano voler restituire significato e ruolo al termine. Si avvicinano tempi di riscoperta, non solo del fare, ma del valore del fare. L’artigianato sarà sempre più il grande laboratorio di sperimentazione al cui interno si definiscono le maggiori innovazioni, sia in termini di sviluppo di nuove figure di connessione tra progettare e fare, sia in termini di innovazione continua di processi e linguaggi. Il nuovo virtuosismo saprà unire una cultura estetica che trova ispirazione nel patrimonio, con una capacità del fare che appartiene al DNA dei nostri artigiani. Il tema, ancora una volta, è quello di un confronto tra storia e futuro, un dialogo virtuoso tra un passato che ha saputo costruire un lessico di elementi in cui la comunità si è riconosciuta e un futuro che da tali elementi può ripartire per accompagnare una nuova idea di virtuoso nella connessione tra pensare e fare. •

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Album di Stefania Montani


Antonella Cimatti Via Dino Campana 49 48018 Faenza (RA) Tel. +39 328 4817579 antonellacimatti.it

Ad Antonella Cimatti la creatività non è mai mancata: fin da bambina creava trompe l’œil sul muro della sua camera, inventando nicchie e scaffali, e disegnava abiti per se stessa che pretendeva fossero realizzati dai suoi genitori, entrambi sarti. Dopo aver frequentato l’Istituto d’Arte Ballardini di Faenza e l’Accademia di Belle Arti di Bologna ha iniziato a sperimentare tecniche combinando i diversi materiali per studiarne gli effetti. Fino a diventare una delle più innovative e talentuose maestre d’arte. «La mia è stata sempre una grande passione, sviluppata attraverso la sperimentazione», racconta Antonella Cimatti. «Negli anni in cui frequentavo l’accademia univo i mosaici combinandoli insieme agli impasti di ceramica: talvolta scoppiavano durante la cottura a 920°, ma spesso creavano effetti di grande suggestione». Sperimentazione che è sempre continuata, fino ai nostri giorni. Nel suo laboratorio di Faenza, tra scaffali e tavoli da lavoro, ci sono barattoli con impasti, forme, matite, pennelli, colori, grandi siringhe. «All’inizio ho realizzato

delle maioliche con pitture che riprendevano i disegni della tradizione ceramica. Poi, agli inizi del 2000, ho sentito l’esigenza di cambiare. Mi sono ispirata alle crespines, oggetti che erano in uso nelle corti rinascimentali faentine. Quelle classiche prevedevano la lavorazione al tornio, poi lo scavo con un coltellino, a sottrazione. Io ho capovolto il procedimento, modificato l’impasto, ad addizione, iniziando a produrle in porcellana: utilizzo trame sottili che realizzo con una siringa a mano libera, creando il disegno sopra un supporto refrattario». Con questa tecnica innovativa sono nate le sue farfalle multicolori dalle ali leggerissime, posate sulle pareti, che grazie a giochi di luce sembrano pronte a spiccare il volo. E i vasi, le ciotole, i fiori di varie dimensioni e colori che sembrano di pizzo. «Oggi sto lavorando sul movimento con un progetto che prevede leggerezza e senso di equilibrio, ispirato a Calder», confida la talentuosa Maestra. Dopo aver insegnato per anni Design presso l’Istituto d’Arte di Faenza, oggi Antonella Cimatti tiene corsi e workshop in Italia e all’estero.

Elena Arienti Carate Brianza (MB) Tel. +39 0362 907490 facebook.com/merletto.biennale

Elena Arienti ha iniziato giovanissima a frequentare le scuole di formazione professionale a Cantù, continuando poi con corsi di specializzazione e di aggiornamento fino a conseguire l’attestato di Merlettaia. «Il Merletto è un’arte preziosa che va coltivata con pazienza e passione. Cantù ha avuto un centro manifatturiero importante la cui attività è proseguita dal Seicento fino a oggi. È una delle eccellenze artigiane italiane che vogliamo tramandare», ci spiega. «Per questo abbiamo creato il Comitato per la promozione del Merletto di Cantù la cui presidente Renata Casartelli è anche direttrice della Biennale Internazionale del Merletto, che quest’anno si terrà in ottobre». Continua l’abile artigiana: «Il merletto al tombolo è una specializzazione artigianale molto antica. Consiste in un intreccio di fili realizzato a mano con attrezzi molto semplici: i principali sono il tombolo a manicotto, il cavalletto, la cartina con il disegno, gli spilli, i fuselli, l’ago. Esistono un’infinita varietà di punti tipici canturini: punto Ornato, Biscetta, punto


Venezia, punto Mimosa… Ci sono poi state delle contaminazioni con altre culture e tradizioni: ad esempio, dalle monache di Cluny, arrivate qui nel Seicento, è stato importato il punto Cluny, mentre dalla comunità religiosa belga il punto Rosalind». Il pregio dei merletti è determinato da due fattori strettamente collegati fra loro: la novità del progetto o disegno, che solo la creatività può assicurare, e la perfezione tecnica, che richiede una consolidata esperienza esecutiva. A Cantù questa sinergia tra design e sapienza artigianale ha saputo realizzarsi, facendosi apprezzare anche nel campo della moda e dell’arredo. «Come filati utilizziamo il cotone, il lino, la seta, anche dei filati metallizzati per alcuni inserti nel campo della moda e dell’arredo. I lavori più frequenti sono merletti per inserti delle tende o delle tovaglie, oppure bordi per impreziosire qualche capo di abbigliamento». Elena Arienti è specializzata anche nella realizzazione dei disegni o cartine, arte assai complessa, e ama molto insegnare, «perché quest’arte antica non vada perduta». Ha ricevuto il MAM-Maestro d’Arte e Mestiere, premio assegnato dalla Fondazione Cologni.

Gioielli Donati Corso Mazzini 112 31044 Montebelluna (TV) Tel. +39 0423 600763 gioiellidonati.it

Donatella Pozzobon e Livio Busato sono due eccellenti orafi che creano raffinati gioielli in oro bianco, rosso e giallo, e in argento, usando con maestria le antiche tecniche di lavorazione. Appassionata fin da giovanissima dell’arte orafa, studiata e perfezionata in varie scuole professionali, Donatella ha saputo comunicare la sua passione anche al marito Livio. Il loro laboratorio è alle spalle dello showroom, nel centro di Montebelluna, bella cittadina nella provincia di Treviso. Qui grazie a un forno per fondere, a una trafilatrice e a una serie di strumenti del mestiere, avvengono le lavorazioni più complesse che danno vita ai loro preziosi monili. Racconta Livio: «Abbiamo iniziato nel 1974 con un laboratorio in casa, poi dal 1983 ci siamo trasferiti in questo spazio. Con Donatella ci divertiamo a studiare non solo le forme dei gioielli, ma anche i meccanismi per trasformarli dando loro la possibilità di diventare “altro”».

Spiega Donatella: «Abbiamo creato un anello con doppio gambo che grazie all’attivazione di uno scatto può trasformarsi nella parte di un bracciale o di un girocollo. Abbiamo anche realizzato un anello diviso in tre parti che può trasformarsi in un pendente o in un fermaglio da collana, a seconda del desiderio di chi lo indossa». La loro specialità sono proprio i raffinati ed estrosi gioielli trasformabili. Continua Livio Donati: «Il successo dei nostri gioielli è dovuto anche alla bravura del tagliatore col quale collaboriamo da tempo: con lui studiamo i tagli più appropriati, da eseguire a mano, per conferire la maggior luce possibile alle pietre preziose e a quelle naturali. Lavoriamo molto con le tormaline rosa, la rubellite, l’ametista, il calcedonio bianco e azzurro, il cristallo di rocca, la rodocrosite. A volte progettiamo i gioielli insieme ai nostri clienti, per interpretare meglio i loro desideri. Spesso utilizziamo l’argento, sia bianco che dorato, per sperimentare lavorazioni diverse: è un materiale nobilissimo, molto duttile e malleabile, col quale è possibile realizzare procedimenti anche complessi con straordinari effetti finali». Un prezioso sodalizio di vita e di lavoro, all’insegna della maestria e del fatto ad arte.


Rosmundo Giarletta Corso Garibaldi 90 84025 Eboli (SA) Tel. +39 333 4543263 rosmundo.it

Rosmundo Giarletta è uno straordinario Maestro d’arte che fin da giovanissimo ha saputo seguire la sua creatività, frequentando le più importanti scuole orafe. «Da bambino ero affascinato dalle mani di mia madre che cuciva con grande abilità. Restavo a guardarla per ore. È stato allora che ho deciso di fare l’artigiano, mettendo a frutto il sapere delle mie mani». Dopo la Scuola di Arti Orafe a Firenze, e la specializzazione in un atelier sul Ponte Vecchio, nel 1982 Giarletta decide di tornare al paese di origine della sua famiglia, Eboli, nella provincia di Salerno, per aprire una bottega tutta sua. «Gli inizi non sono stati facili, ma nel 1995 è arrivata la svolta. A furia di provare nuove lavorazioni, combinando le tecniche più antiche e tradizionali alle mie sperimentazioni, ho inventato il “nido d’ape figurativo”, una tecnica unica e peculiare realizzata con lastre traforate con l’archetto e punte elicoidali, saldate poi fino a comporre dei disegni». In quegli anni i suoi

gioielli riscuotono l’ammirazione anche del principe Ranieri di Monaco del quale Giarletta sarà per molto tempo l’orafo personale. In occasione delle celebrazioni per i 700 anni di vita della famiglia Grimaldi di Monaco, Rosmundo crea il gioiello Te Deum, definito da S.A.S. Ranieri III un alto capolavoro di gioielleria orafa. In quest’opera realizzata a “nido d’ape”, Giarletta impiega il solo archetto da traforo: ogni lastra d’oro viene svuotata e poi assemblata, per dare vita a immagini che raccontano la storia del Principato di Monaco. La sua opera più nota, Parsifal, che viene esposta nel 2002 a Ravello, in Villa Rufolo, in occasione del 50° anniversario del Festival internazionale della musica, è un gioiello preziosissimo dalle complesse simbologie. «L’ispirazione mi è stata data da una lettera conservata a Palazzo Grimaldi scritta da Nietzsche a un suo amico», racconta il Maestro artigiano. «I miei gioielli sono sempre ispirati dalla cultura, soprattutto antica, e dal territorio, come quello che rimanda al pavimento a mosaico del IV secolo dedicato a Dioniso». Il Maestro ha saputo trasmettere l’amore per l’arte orafa non solo ai suoi figli, Giuseppe e Francesco (che lavorano con lui), ma anche a una settantina di orafi della provincia di Salerno, tutti suoi appassionati discepoli. Per la sua maestria unica “l’orafo dei principi” è stato insignito del riconoscimento MAM-Maestro d’Arte e Mestiere nel 2018.

Umberto Ughi Via Gaetano Sbodio 29 20134 Milano Tel. +39 335 8011286 umbertoughi@gmail.com

Umberto Ughi è un giovane eclettico artista artigiano che, dopo essersi laureato in filosofia a Brighton, ha deciso di dare una svolta alla sua vita, confrontandosi con la sua vera passione: la scultura. Figlio d’arte, il padre scultore, ci racconta i suoi esordi: «Sono sempre stato attratto dalla scultura e quando sono rientrato a Milano, dopo l’università, ho avuto la fortuna di entrare nella storica Fonderia Artistica Battaglia, dove mi sono occupato del primo reparto di formatura e della fusione a cera persa. E ho capito subito di aver trovato la mia strada. Mi sono specializzato nei calchi realizzando sculture di grandi artisti, tra i quali Velasco Vitali: per lui ho riprodotto un cane che è stato esposto a Torino, a Venaria Reale e a Palazzo Reale». Lavorando a contatto con altri artigiani in fonderia, Umberto scopre l’utilizzo del marmo artificiale, detto anche finto marmo o scagliola, una tecnica messa a punto nell’Ottocento nella città di Rima, in Piemonte, e utilizzata per impreziosire a costi contenuti le pareti interne dei palazzi. «Si tratta di un impasto realizzato con colle


di animali, prevalentemente coniglio, e pigmenti ossidi mescolati insieme ai colori diversi, che creano venature molto simili a quelle del marmo. Questo impasto viene applicato sopra la struttura, che può essere di gesso o di mattoni, con effetti sorprendenti». Nel suo studio di fianco alla Fonderia Battaglia, Umberto decide di unire la tecnica della lavorazione del marmo artificiale con quella dei formatori appresa in fonderia, riscattando il valore di un materiale quasi dimenticato. Nascono così le sue sculture, basate sulla ricerca sia delle forme che dei materiali: la barca, l’ulivo, il pavone… «Dopo aver dato forma al gesso, creo l’impasto che reputo più adatto all’opera e spesso abbino il marmo artificiale al bronzo, al vetro, alla ceramica, per dare vita ai miei soggetti. Mi piace sperimentare sviluppando diverse tecniche: la mia ricerca è improntata sulle potenzialità di ogni materiale».

Luisa Canovi Origami Do Via privata Sartirana 6 20144 Milano Tel. +39 333 3836620 origami-do.it

Luisa Canovi è stata la prima in Italia, e forse in Europa, a scoprire il fascino dell’origami, l’antica arte giapponese di piegare la carta, trasformandola in mille forme. Erano gli anni Settanta e lei,

studentessa dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, aveva avuto il compito di realizzare un oggetto in carta senza matite né forbici né colle. «Piegando il foglio mi sono accorta che le pieghe avevano creato degli effetti meravigliosi, dei giochi di luce e ombre tridimensionali. Ne rimasi così colpita che andai all’Archivio storico della Biennale a cercare notizie sugli origami. Trovai un solo libro, ma da lì partì la mia ricerca che non si è mai fermata. Al Dams mi sono poi diplomata in cinema di animazione e scenografia con un film di origami animati», racconta la Maestra. Ma la strada di Luisa era appena iniziata. «Arrivata a Milano ho aperto il centro culturale PaperFactory con laboratori e corsi di cartonaggio ai quali partecipavano anche tanti artisti, tra i quali Caterina Crepax. Ho iniziato a creare origami per allestimenti nel campo della moda, del design, della pubblicità». Straordinari i suoi voli di colombe bianche, gli aquiloni multicolori, le sculture che riproducono le pieghe del plissé soleil. «La carta deve essere di prima qualità, rigorosamente washi ovvero fatta a mano. Io utilizzo quella che comunemente viene chiamata carta di riso e in realtà è realizzata con i gelsi. In laboratorio ho un archivio con differenti carte e cartoncini, bianchi e colorati, di ogni formato.

Molte marche sono italiane, come Fabriano e Fedrigoni. Non utilizzo mai la carta riciclata perché ha una fibra già sfruttata che non terrebbe la piega e si spezzerebbe». Fra i lavori che Luisa Canovi ama ricordare vi è l’installazione realizzata durante l’Expo a Palazzo Morando per la mostra di gioielli a tema cibo. «Il tema culinario era al centro della mostra. Così, coadiuvata da una collega, ho realizzato con la tecnica dell’origami su carta bianca dei supporti dalle forme di piatti, teiere, tazze, una caffettiera gigante... È stata una grande sfida, molto divertente». Luisa Canovi si dedica anche alla tecnica del suminagashi, l’arte giapponese dell’inchiostro fluttuante: «Con pennello, pietra, inchiostro, carta e una ciotola di acqua pura si creano disegni liberi che possono raffigurare il mare, le nuvole, e lasciano spazio alla meditazione». Attualmente si dedica prevalentemente all’insegnamento. «Scrivo anche molti libri: perché questo antico sapere non vada perduto».

Matteo Seguso Campiello della Pescheria 3 30141 Murano (VE) Tel. +39 041 739569 matteoseguso.it

È uno dei più talentuosi incisori di Murano, che ha ereditato dal padre, il maestro Bruno Seguso, la passione per questa antica arte. Matteo Seguso ci confida: «Quando nel 1999 ho iniziato a lavorare in bottega, per far piacere a mio padre, non avrei mai immaginato che mi sarei appassionato a questo mestiere. Grazie a lui e al suo socio Paolo Linzi ho appreso tutti i segreti del mestiere». Esperto nell’incisione artistica su vetro a ruota fatta a


«Oltre ai disegni del repertorio classico della tradizione, l’uva, i fiori, le foglie e i rombi, abbiamo fatto molte sperimentazioni di tecniche: incisione, intaglio, diamantino, battuto. Lavoro molto sulle personalizzazioni degli oggetti, anche con le aziende, realizzando loghi, stemmi di famiglia, monogrammi, disegni a campione». Ama molto fare dimostrazioni per trasmettere la passione della lavorazione del vetro. Per questo, oltre a tenere corsi di incisione nel suo atelier, frequenta mostre e fiere di settore: dotato di un piccolo tornio realizza le sue incisioni davanti al pubblico, sempre affascinato dalla bravura di questo Maestro, insignito del titolo di MAM-Maestro d’Arte e Mestiere nel 2018. mano, Matteo utilizza un tornio fisso con mandrini e ruote intercambiabili con cui realizza incisioni su oggetti di vetro di ogni forma e colore. «Quando mio padre ha cessato l’attività, ho aperto la Matteo Seguso Incisore d’arte su vetro. Era il 2006. Ho iniziato subito a collaborare con alcuni designer e nel 2007 col maestro Lino Tagliapietra, artista muranese famoso in tutto il mondo, che mi ha portato con lui in America per fare dimostrazioni nelle varie accademie: al Corning Museum of Glass di New York, all’Urban Glass di Brooklin, a Pittsburgh, anche a Canberra, in Australia. Il maestro Tagliapietra mi ha permesso di conoscere un’altra faccia della lavorazione a freddo, la molatura e il battuto». Quest’ultima tecnica consiste nel modificare tutta o in parte la superficie dell’oggetto in vetro. «In origine», spiega il maestro, «il battuto era nato per coprire le bolle, le impurità, le malformazioni degli oggetti: la ruota toglieva, copriva e nascondeva i difetti. Oggi è molto ricercato». E conclude:

Stamperia d’arte Busato Contrà porta Santa Lucia 38 36100 Vicenza Tel. +39 0444 513525 stamperiadartebusato.it

Un luogo magico, dove il tempo sembra essersi fermato. È la Stamperia d’Arte Busato che, nascosta all’interno di un cinquecentesco palazzo del centro di Vicenza, racchiude non solo il laboratorio ma anche un affascinante archivio dell’arte

della stampa, dalla metà del 1940 ai nostri giorni. Racconta Giancarlo Busato, terza generazione di questa famiglia di maestri artigiani: «Mio nonno Ottorino nel 1946 decise di mettersi in proprio dopo aver lavorato per anni in alcune importanti stamperie e avere acquisito una grande esperienza. Furono poi gli anni Sessanta, con mio padre Giuliano, a creare un grande fermento in laboratorio, con artisti del calibro di Neri Pozza e Tono Zancanaro, con i quali mio padre strinse un legame di collaborazione, instaurando uno stretto rapporto tra stampatore e artista. Da allora questa intesa è ciò che rende unica la nostra stamperia». Spiega Giancarlo: «Io ho lavorato fianco a fianco con Vico Calabrò, grande artista e per me maestro di vita, oltre a mio padre. Io utilizzo ancora i torchi, gli inchiostri, le carte 100% cotone con i bordi strappati a mano, e cerco di tramandare la capacità di usare le matrici agli allievi che frequentano la stamperia, oltre a comunicare loro la passione per questo mestiere».


In laboratorio si realizzano le litografie su pietra, le xilografie su legno, le calcografie su rame o zinco. «Ognuna di queste tecniche ha i suoi strumenti», continua a spiegare il maestro. «Si inizia sempre con la preparazione della carta bagnata: ogni foglio viene preparato, bagnato singolarmente e lasciato “riposare” tutta la notte. Anche la preparazione delle matrici dev’essere realizzata con grande attenzione perché la quantità di inchiostro non dev’essere eccessiva ma deve comunque entrare nei solchi voluti dall’artista. Poi le matrici si mettono sul torchio, utilizzando il registro per posizionarle in maniera perfetta». Giancarlo Busato collabora con molte scuole, lasciando aperta la stamperia anche ai turisti per far conoscere questo antico e raffinato mestiere. «Sono almeno mille gli studenti che ogni anno frequentano il mio laboratorio: spero che qualcuno di loro continui nella mia stamperia». Il maestro ha ottenuto il riconoscimento di eccellenza MAM nel 2020.

Essezeta Plissé Via Zocco 6/i 25030 Adro (BS) Tel. +39 030 7457343 essezetaplisse.it

Una bella storia sulla trasmissione del sapere delle mani. Stiamo parlando della plissettatura Essezeta Plissè, che nel 2019 ha rilevato da Marco Viviani e dalla moglie Roberta la famosa plissettatura Milady di Firenze, raccogliendone l’eredità con lo scopo di dare continuità a un’eccellenza italiana. Racconta Claudio Savoldini: «Marco Viviani prima di andare in pensione cercava qualcuno che fosse in grado di proseguire la sua attività, conservando l’alto livello qualitativo che contraddistingueva la sua produzione. I miei genitori, Giuseppe e Francesca Romana, avevano un’esperienza trentennale come plissettatori e tutti noi figli, negli anni, abbiamo appreso da loro il mestiere. Così, acquisito anche l’archivio dei cartoni di Milady, abbiamo attrezzato un laboratorio di circa 2000 metri quadri per realizzare le operazioni delle diverse

plissettature. Abbiamo poi rilevato un’altra storica azienda artigianale di Milano, la Tessilpiega: oggi in laboratorio siamo 22. Oltre ai miei genitori, ci sono i miei fratelli Paolo, Cesare con le rispettive mogli, tutti uniti dalla stessa passione per questo mestiere». Una continuità generazionale che dà speranza nel futuro artigianale italiano. Dopo gli inizi faticosi che hanno coinciso con l’inizio della pandemia, oggi i Savoldini lavorano a pieno ritmo per tante case dell’alta moda: Prada, Valentino, Gucci, Armani, Saint Laurent. Realizzano un ampio ventaglio di lavorazioni, con pieghe piatte con larghezze variabili, pieghe sagomate, organetti, arricci, incroci, stropicci, pieghe varie con balze, pieghe svasate, nonché origami, soleil e soleil origami. Le loro lavorazioni prevedono sia l’uso di tecniche manuali con stampi a cartone, sia l’ausilio di macchinari specializzati. «I nostri stampi sono fatti a mano, su di essi vengono tracciate le righe, piegate una per una, manualmente», spiega Savoldini. «Qui vengono poi adagiati i tessuti, arrotolati su cartoni gemelli, chiusi con una corda e “cotti” in un forno a vapore. Le plissettature più celebri sono le soleil realizzabili con infinite dimensioni e abbinate fra loro in vari versi, su ogni tipo di tessuto, dal lino alla seta, dalla paglia alla pelle».


Puscina Flowers Podere Puscina 65 SS146 Montefollonico, Torrita di Siena (SI) Laura Cugusi tel. +39 333 8178202 Teresa Cugusi tel. +39 328 5539699 puscinaflowers.com

L’amore per la natura e per la propria terra unito a una coraggiosa scelta di vita: nasce così, nel 2016, Puscina Flowers, un progetto di tre sorelle che hanno deciso di creare un giardino bio di fiori di stagione e fogliame, all’insegna delle coltivazioni sostenibili. Si chiamano Laura, Mara e Teresa Cugusi e il loro giardino delle meraviglie si trova in Toscana, tra la Val D’Orcia e la Val di Chiana. «Ognuna di noi arrivava da un percorso lavorativo diverso», racconta Laura. «Ma ci siamo lanciate in questo progetto nell’intento di far rivivere la proprietà di famiglia, ereditata dal nonno e dai nostri genitori, che continuano ad aiutarci. Ora siamo rimaste io e Teresa, con 3 collaboratori più la mamma, colonna portante, perché Mara ha seguito il suo cuore e si è trasferita all’estero». 25 ettari di terreno seminativo, 25 ettari di bosco, 1 ettaro per le composizioni. «Posso dire che tutto ha avuto inizio da un libro, Il linguaggio segreto dei fiori, che è stato una rivelazione per noi e ci

ha dato la spinta a intraprendere questo cammino. Gli inizi sono stati duri, ma poi siamo diventate esperte. Abbiamo cominciato a essere conosciute, a organizzare eventi e matrimoni, e la nostra filosofia di coltivazione è piaciuta: antiche sementi e nuovi rizomi all’insegna della tradizione e della ricerca». Oggi il giardino conta più di 200 varietà e 400 specie di fiori, coltivati senza anticrittogamici né pesticidi. Fiori antichi e da taglio, rose e graminacee, arbusti e bulbi che si armonizzano con le erbe selvatiche. «Ci affidiamo a un’alternativa naturale che si basa sullo sviluppo delle difese immunitarie della pianta», confida Laura. «Gran parte della produzione avviene in campo aperto così da permettere lo sviluppo e la crescita delle piante in maniera naturale. Il nostro è un giardino quasi autosufficiente dove l’intervento dell’uomo è ridotto al minimo. Non utilizziamo materiali inquinanti come la spugna e la plastica. Per le nostre composizioni scegliamo materiali naturali, biodegradabili e riutilizzabili». I loro addobbi sono ormai richiestissimi per la particolarità dei fiori. Nel loro podere si possono seguire corsi sulle tecniche di taglio, di conservazione, di composizione e per curare il proprio spazio verde in maniera sostenibile. Puscina Flowers è tra i soci fondatori di Slowflowers Italy: un rifugio per le api e gli insetti impollinatori.

Valentina Giovando Via Domenico Fiasella 3 19038 Sarzana (SP) Tel. +39 0187 954630 valentinagiovando.com

Un laboratorio delle meraviglie, una specie di “stanza delle magie” dove tutto si trasforma per rinascere sotto forme diverse. È l’officina di Valentina Giovando, eclettica designer artigiana di Sarzana, che da quasi 30 anni riesce a dar vita a originali complementi d’arredo unendo i materiali più disparati. Un passato da restauratrice e antiquaria, poi la svolta. «Tutto è iniziato il giorno in cui, andando a curiosare da un rigattiere, mi sono imbattuta in una scatola piena di cristalli per lampadari che nessuno voleva più», racconta Valentina. «Mi hanno affascinato: li ho comprati, puliti, selezionati e ho realizzato i miei primi lavori, una lampada e un paravento con appesi 680 cristalli. Li ho proposti a Milano, alla galleria di Paola Colombari, che si è entusiasmata e mi ha fatto fare il mio primo Salone del Mobile. Dopo quella prima esperienza, abbiamo collaborato per 10 anni». Entusiasta e vulcanica, la maestra


Pietro Virzi Vimas Arredo Via Sandro Botticelli 30 20133 Milano Tel. +39 02 2615567 vimas-arredo.it

Avevo una tale passione per questo mestiere che avrei affrontato qualunque fatica», confida il valente artigiano. «Ho avuto la fortuna di imparare da grandi esperti del mestiere che mi hanno preso a bottega finché a 24 anni ho aperto il mio laboratorio a Milano: la Vimas». Da allora Virzì non solo realizza, per clienti privati e per noti architetti, arredi, imbottiti, tende, mobili in ogni stile, ma si batte anche per aprire una scuola. «Dal 1992 sono entrato nel direttivo di Tisea e dal 1994 sono responsabile di C.I.T.A., Consociazione italiana tappezzieri arredatori. Ho cercato di tenere viva la scuola professionale dove insegnavo dal 1994 ma nel 2002 è stata chiusa. Oggi siamo riusciti ad organizzare un corso e spero che diventi presto ufficiale per dare un attestato di lavoro ai giovani che lo frequentano. Il mio scopo, oltre a far vedere agli allievi come si realizza una poltrona, è quello di farli innamorare del mestiere e di trasmettere loro la mia conoscenza. È indispensabile offrire ai giovani di 15 anni la possibilità di scegliere un mestiere. È importante far capire loro che con le mani puoi realizzare quello che sta chiedendo il cliente. Non solo per accontentare lui ma soprattutto per far felice te stesso». E conclude sorridendo: «Io posso affermare non che ho lavorato per 40 anni, ma che mi sono divertito per 40 anni!”. La felicità del fare... © Dario Garofalo per Venezia su Misura

ha una vena creativa non comune. I suoi oggetti provengono perlopiù dai mercatini: mobili, lampadari, scatole, sedie, paraventi, ma anche stoffe e passamanerie. Munita di chiodi e martello, forbici e pinze, recupera pezzi, inserisce tasselli, trasforma i complementi più anonimi in pezzi unici straordinari. Dà vita anche a strutture nuove in legno impreziosendole con inserti di vari materiali. «Amo ricoprire i mobili con tessuti particolari, come le sete, i broccati e i damaschi, preferibilmente lucidi, sui quali inserisco ritagli di lamiera, frammenti di ottone, viti, borchie, cristalli, frange, paillettes, passamanerie... Ricopro tutto con vetroresina e pianto poi dei chiodi che rompendo le superfici creano degli effetti di stelle di ghiaccio, molto decorative». Ogni pezzo è unico, realizzato a mano con il supporto di due sue esperte collaboratrici. «Ho molti progetti da realizzare che mi vengono richiesti soprattutto dall’estero: Marocco, Egitto, Asia, Emirati Arabi e collaboro con architetti di Londra e New York». Antico e moderno, primitivo e industriale, materiali poveri e preziosi: Valentina Giovando unisce e trasforma tutto per dare vita a opere fuori dal comune.

È il tappezziere di fiducia di Christian Dior Italia, Maison per la quale realizza tutti gli arredi dei negozi. Ma Pietro Virzi, straordinario maestro d’arte, collabora anche con altre grandi firme, tra le quali Chanel e Omega, e si diverte a creare arredi fuori dal comune in occasione di grandi eventi, come il Salone del Mobile. Nel 2018 è premiato dalla Fondazione Cologni con il MAM per il suo grande talento e per l’impegno verso i giovani e la trasmissione del sapere. «Gli inizi non sono stati facili, però», confessa Virzì. «Da ragazzino rimasi incantato dalla vetrina di un tappezziere e decisi che sarei riuscito anch’io a realizzare degli arredi come quelli. All’epoca vivevamo a Bollate e la mia famiglia non aveva molti mezzi. Così a 14 anni iniziai ad andare a bottega il sabato e durante le vacanze scolastiche, a frequentare le scuole serali di formazione professionale, dopo la scuola, fino a 17 anni.


NOZZE

d’argento e vetro di Alba Cappellieri Fotografie di Silvia Rivoltella

QUI: Composizione

di opere Buccellati. Foglia di acanto; cestino in argento con mela; vaso Fazzoletto in vetro Venini, in vetro rosso e interno verde.


Dall’incontro tra due storie di eccellenza italiana, nasce la collaborazione tra Venini e Buccellati. Due marchi iconici, accomunati dall’alta artigianalità e dall’originalità delle loro creazioni, si uniscono per dare vita a una collezione di vasi fatti per meravigliare.


QUI: Vasi Venini Déco

piccoli, in vetro verde e in vetro rosso, ricoperti in argento. PAGINA ACCANTO: Vaso

Fazzoletto, Venini, in vetro rosso e interno verde. Base in argento con frutti Buccellati.

Virtuoso è una parola potente, densa, che apre e connette mondi. Deriva dal latino virtus, che significa forza e che a sua volta deriva da vir, uomo, che è l’origine e il fine di ogni virtù. Il virtuoso è pertanto chi esercita una forza consapevole e perseverante con l’obiettivo di conseguire un fine elevato, resistendo alle avversità della fortuna. Nei secoli, le virtù sono state interpretate in modi diversi, in base ai diversi contesti storici: per i Romani le virtù erano morali, orientate a esprimere e a raggiungere il bene collettivo; il Medioevo ha privilegiato la spiritualità delle virtù teologali, che hanno Dio come oggetto formale. «O isplendor di Dio ... Dammi virtù a dir com’io il vidi!» scrive Dante, mentre è nel Settecento illuminista che il virtuoso diviene chi eccelle in un’arte, principalmente la musica, al punto da superarne con assoluta padronanza le tecniche. «Il virtuosismo è l’arte di esprimere l’impossibile con facilità», afferma Niccolò Paganini, tra le massime espressioni del virtuosismo violinistico, per sottolinearne l’intreccio di talento, maestria e tecnica. Dall’Età dei Lumi, “virtuosi” sono coloro che riescono a superare i limiti della tecnica e a raggiungere perfezioni 32

irraggiungibili ai più, chi dimostra un’abilità eccezionale, un talento o una maestria in un campo specifico, come la musica, l’arte, lo sport o altre discipline. Nella musica, ad esempio, un virtuoso è un musicista estremamente talentuoso e abile, che suona uno strumento con straordinaria precisione, abilità ma anche intuito e creatività. Lo stesso vale per tutte le arti, che considerano virtuoso non soltanto chi padroneggia magistralmente le tecniche ma anche chi ha il coraggio di infrangere gli steccati disciplinari, intersecando estetiche, tecniche e ispirazioni. Da questa prospettiva la recente collaborazione tra Buccellati e Venini è un brillante esempio di virtuosismo contemporaneo, perché esprime la maestria di una doppia eccellenza, negli argenti e nei vetri, e anche perché dimostra che le innovazioni non sono legate esclusivamente all’invenzione del nuovo ma, come sosteneva Joseph Schumpeter, esse possono nascere anche dalle nobili tradizioni del passato. È il caso degli argenti di Buccellati, la Maison fondata a Milano nel 1919 da Mario Buccellati, e oggi parte del Gruppo Richemont, i cui gioielli e argenti sono ammirati in tutto il mondo per la squisita



manifattura, fondata sulle antiche tecniche orafe e argentiere del Rinascimento, e per l’eleganza delle forme. A Mario Buccellati va il merito di aver saputo valorizzare le antiche tecniche del passato, soprattutto l’incisione e il traforo, e di averle fatte poi evolvere secondo un’estetica contemporanea. Anche i vetri di Venini, realizzati sull’isola di Murano, hanno conquistato il mondo per la loro bellezza senza tempo e la maestria artigianale di tecniche millenarie. La storia di Venini risale al 1921, quando l’avvocato Paolo Venini fondò, insieme all’antiquario veneziano Giacomo Cappellin, a Luigi Ceresa ed Emilio Ochs, la Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini & C., con l’obiettivo di innovare l’antica arte del vetro di Murano, facendone una delle massime espressioni della qualità e della bellezza italiana. Due storie coeve, quelle di Buccellati e di Venini, cominciate all’inizio del secolo breve, con molti valori in comune: storie di uomini visionari e di committenti illuminati, di famiglie numerose e unite da affetti e affari, di innovazioni tecniche 34

e di tradizioni millenarie combinate insieme in creazioni leggendarie. Buccellati e Venini sono ambasciatori nel mondo della bellezza italiana e condividono una storia di virtuosismo legato alle grandi tradizioni italiane di due materie meravigliose come l’argento e il vetro, sapientemente innovate nelle tecniche e reinterpretate nel segno della contemporaneità. E le vicinanze non finiscono qui. Pochi sanno, infatti, che il primo lavoro che il Vate commissionò a Buccellati, nel 1922, è legato al vetro: la legatura di un frammento marciano, un vetro bicolore, rosso granato da un lato e oro vecchio dall’altro, particolarmente caro a D’Annunzio che lo aveva destinato a un dono prezioso. «Fu un lavoro molto arduo – ricordava Mario – ma la legatura fu fatta e piacque tanto che, si può dire, legò me, da allora, a D’Annunzio». La lettera del poeta del 7 novembre 1922 lo conferma, quando scrive: «Mio caro Buccellati, la legatura del frammento marciano è bellissima. Me ne felicito con lei e me ne congratulo con me. La sua arte sottile va di bene in meglio». Un secolo dopo Buccellati presenta Rosso Maraviglia, una


collezione di centrotavola, vasi e coppe che accosta le sue caratteristiche creazioni in argento agli iconici vasi Fazzoletto, Déco e alle coppe Narciso e Venere di Venini. Un elegante ornato di frutti e foglie in argento decora l’iconico vaso Fazzoletto nato, nel 1948, dalla creatività del pittore Fulvio Bianconi, le cui forme sinuose e ondulate vengono esaltate dal ricco trionfo vegetale della base. Analogamente, Buccellati interviene nel vaso Déco, disegnato nel 1939 da Napoleone Martinuzzi, all’epoca direttore del Museo del vetro di Murano, accentuandone la composizione ritmica, formata dall’alternarsi di costolature tonde orizzontali in vetro opalino, aggiungendo una fila di anelli in argento al piede e alla bocca del vaso. Infine, le coppe Narciso e Venere, realizzate con la tecnica “opalini” in vetro incamiciato, si arricchiscono, rispettivamente, di una lussureggiante decorazione in frutti e di una corona di conchiglie, per ricordarci, come affermava Mario Buccellati, che «l’argento è come il pane, più lo si lavora e più diventa bello». •

QUI E PAGINA ACCANTO: Fasi di

lavorazione delle opere della collezione Rosso Maraviglia, risultato della collaborazione tra l’alto artigianato di Buccellati e quello di Venini.

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QUI: La Milano Design

Week 2023 ha ospitato la mostra “Buccellati Rosso Maraviglia” sulla grande terrazza Portaluppi della sede della celebre Maison. L’installazione, ideata dallo studio AMDL CIRCLE e dall’architetto Michele De Lucchi, ha trasformato la terrazza in un Pantheon moderno che racchiude in un involucro rosso un magico giardino delle meraviglie.


QUI: Candelabro a nove

fiamme in argento con composizione di foglie di nocciolo.


Castorina 1895 VIRTUOSISMI DELL’EBANISTERIA IN OLTRARNO di Maria Pilar Lebole


In un laboratorio fiorentino lontano da itinerari prevedibili, il legno si trasforma in complementi d’arredo, oggettistica e piccoli mobili sotto le abili mani di Marco Castorina, rinnovando così un’arte che si tramanda da quattro generazioni.

QUI: Composizione

di fregi, capitelli, soprapporta, elementi decorativi e strumenti da intaglio, all’interno della bottega di via Santo Spirito a Firenze, dove la passione per il legno si tramanda da quattro generazioni di intagliatori. Foto: Castorina 1895.


Capita a Firenze di immergersi nella realtà di un quartiere come l’Oltrarno e immaginare che dentro alle mura che lo dividono da Porta Romana siano nascosti ninfee e armoniosi esempi di architetture, immersi nelle storiche aree verdi come il Giardino Torrigiani, il più grande parco storico privato d’Europa, poco lontano dal più maestoso Boboli che si presenta alla città oltre le possenti braccia di Palazzo Pitti. È la rive gauche fiorentina, fatta anche di piccole strade, chiassi, coste, corsi e sdruccioli che si irradiano tra le fitte trame di quella parte popolare della città dove le botteghe degli artigiani, da decenni, caratterizzano le strade evocate nei romanzi di Vasco Pratolini. In quel tratto che corre parallelo all’Arno, in via Santo Spirito, con i suoi imponenti palazzi patrizi, ci accoglie tra le dimore storiche che avvolgono l’atmosfera di mistero e sobrietà una tra le più virtuose realtà artigiane fiorentine: Castorina, bottega di intaglio dal 1895, un vero e proprio scrigno di abilità artigianale e preziosa manualità. Lontana 40

dal turismo massificato che affolla il centro cittadino, l’attività esiste e resiste come il suo quartiere e sa offrire, con la semplicità e la bellezza del gesto del maestro artigiano, tutto il valore della tradizione. Compie 128 anni questa eccellente attività che vede nell’attuale conduzione la quarta generazione di intagliatori. Marco Castorina da adolescente impara a conoscere le varietà delle venature e il profumo del legno e di giorno in giorno insieme al padre Mario crea cornici e mobili seguendone l’esempio. L’arte dell’intaglio è appresa sul campo, profondamente ispirata dai suoni degli strumenti e dalla magia della doratura a foglia d’oro. Dal 2007, Marco è subentrato al padre Mario nella conduzione dello storico atelier, dove dal disegno all’intaglio alla doratura, dalla laccatura sino alla verniciatura, esegue ogni fase esclusivamente a mano. Modelli di cornici rettangolari o quadrate d’ispirazione rinascimentale, fondi oro tipici del Trecento senese si


ammirano in mostra alle pareti insieme a una preziosa varietà di accessori e semilavorati. Sono oltre cinquemila gli articoli che compongono il campionario vastissimo di fregi, cornici, mobili su misura destinati ad arredare case, ville, dimore private e hotel. Subito all’ingresso della bottega due maestose ali in legno a grandezza naturale accolgono il visitatore per consentire di conservare in uno scatto fotografico il ricordo di questo luogo senza tempo, che si apre alla scoperta di innumerevoli elementi lignei e dorati dai decori classici che invitano ad addentrarsi a perdita d’occhio tra i dettagli delle pareti tinte di blu Tiffany. La lunga storia di questa produzione tutta familiare si deve al bisnonno Mario, intagliatore a Catania fin dal 1895, che sceglie di spostarsi nei primi anni del Novecento a Roma in cerca di fortuna aprendo una bottega di restauro e costruzione di mobili. Insieme al figlio appena adolescente si impegna nell’intaglio ligneo fino a conquistarsi una grossa commessa in Vaticano e il 1942 segna la svolta che condurrà la famiglia a scegliere Firenze

PAGINA ACCANTO: Marco Castorina

con una delle iconiche ali intagliate a mano di Castorina 1895, mentre allestisce la postazione “selfie” davanti alla vetrina d’ingresso; dettagli della sezione legno naturale nella parte più interna della bottega artigiana. Foto: Eleonora Birardi. IN ALTO: Uno scorcio dell’entrata

del negozio Castorina 1895, nel cuore dell’Oltrarno a Firenze. Foto: Eleonora Birardi.

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come città prediletta per aprire un fondo in via Maggio, dove si concentrava il maggior numero di attività artigiane. L’ebanisteria, l’intaglio, il restauro e la decorazione sono al centro dell’attività dei Castorina, che si lanciano nella proposta di piccola oggettistica a tema religioso. Il successo di questa produzione consentirà l’acquisto di uno spazio più grande in via Santo Spirito, dove insieme agli apprendisti la famiglia può consolidare la produzione e la fortuna aziendale. L’alluvione del 1966 e la conseguente perdita di tutti i risparmi di famiglia, insieme al fango e ai detriti di un periodo buio per la bottega segnano solo il preludio di un futuro più florido. Quel disastro accrebbe la richiesta di riportare in vita tanto patrimonio artistico alluvionato e il restauro divenne l’attività principale. Da allora le cornici, i complementi d’arredo, gli accessori in legno naturale per il restauro fanno del negozio il punto di riferimento per tutti gli artigiani fiorentini ma soprattutto per coloro che conoscono le mirabili capacità di questi Maestri del legno. 42

Dagli anni Novanta, Castorina è un indirizzo privilegiato anche per il cinema e la moda. La bottega ha prodotto oggettistica e accessori lignei e molte creazioni artistiche sono apparse nelle recenti produzioni televisive, che hanno scelto i suoi spazi come suggestivo set cinematografico per documentari storici e testimonianze sulle eccellenti botteghe di tradizione. Realizzazione di tavoli e complementi, candelabri, ali, basi e sculture hanno adornato le sfilate fiorentine ispirate al Rinascimento che Dolce & Gabbana ha dedicato alla città del Giglio nel 2020 e sempre più spesso i più esclusivi hotel di Firenze e di Venezia si fregiano di oggettistica e piccoli complementi firmati Castorina: console, comodini, basi per lampade, specchi, mensole, per la decorazione delle stanze degli hotel più ricercati e raffinati partono da questo straordinario scrigno di bellezza per adornare e arredare mete esclusive del turismo internazionale, diffondendo il valore inimitabile dell’alto artigianato fiorentino, di cui questo storico atelier rappresenta un’assoluta eccellenza. •


PAGINA ACCANTO: Cornice Otto Foglie,

design originale Castorina 1895, ispirato allo scartoccio fiorentino, mentre viene sottoposta al processo di brunitura con pietra d'agata. Foto: Castorina 1895. IN ALTO: Cherubini volanti, modelli

e campioni di angeli e cherubini appesi in un angolo del laboratorio: questo è uno degli scorci dell’atelier tra i più fotografati dai clienti e dagli estimatori. Foto: Eleonora Birardi. A DESTRA: Marco Castorina mentre

intaglia un Giglio di Firenze. Sullo sfondo, campioni di fregi, borchie, lampade e basi che ricoprono le pareti da cima a fondo. Foto: Eleonora Birardi.

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QUI: Mensola Cartoccio

con finitura in oro lucido, modello ancora in produzione ed esempio tipico di scartoccio fiorentino. Oltre cinquemila gli articoli del campionario di fregi, cornici, mobili su misura destinati ad arredare dimore private e hotel. Foto: Castorina 1895.



QUI: Luigi Serafini

è artista, designer, architetto, creatore di opere stranianti e misteriose, come la sedia Santa, 1990 (Sawaya & Moroni), struttura in metallo con cuscino in velluto rosso. Il progetto ha un’impronta metalinguistica che trascende la propria funzione oggettiva. Foto: Archivio Sawaya & Moroni.


Libertà

di Ugo La Pietra

VISIONARIA Il coraggio di essere unici passa attraverso la libertà d’espressione. Luigi Serafini, artista visionario, supera magistralmente i limiti del formalismo e stravolge i linguaggi e i canoni dell’arte e del design, giocando con immaginazione, estro e abilità.

È fuori dubbio che l’opera con il massimo d’invenzione e di raffinato virtuosismo rimanga ancora oggi il Codex Seraphinianus (pubblicato nella prima edizione da Franco Maria Ricci nel 1981). Trecentosessanta pagine di straordinari disegni, associati a una scrittura inventata e fortemente legati alla tradizione delle più importanti opere surrealiste del secolo scorso. Il grande successo di quest’opera – amata e apprezzata da artisti, scrittori, intellettuali – ha un po’ oscurato il grande impegno di Serafini come artista che si è mosso anche nei territori dell’architettura e del design. Luigi Serafini si fa conoscere con alcune sue opere già nella prima mostra di Memphis (settembre 1981) ma, dopo un primo esordio promettente, l’anno successivo viene espulso dal gruppo anche se, di fatto, era stato uno dei primi designer a usare colori vivaci e un immaginario bizzarro e kitsch, con grande libertà creativa, frutto della sua indole surrealista. Una capacità e libertà inventiva unita al virtuosismo di chi si sente libero di superare certi limiti e di andare “oltre”. Superati, infatti, i formalismi delle tendenze stilistiche di Memphis (e di sua “cugina” Alchimia). Serafini inizia a creare opere coerenti al suo modo di vedere e immaginare, come ad esempio la sedia a spirale Suspiral. Ma dove Serafini riuscì a realizzare il meglio del suo pensiero, fatto di osservazioni e capacità di modificazione e stravolgimento dei modelli tradizionali, per arrivare a pensare e realizzare opere fuori da ogni possibile riferimento a modelli più o meno consolidati, fu negli anni Ottanta e Novanta, in occasione delle tante partecipazioni alle mostre collaterali che ho curato ad “Abitare il Tempo”, presso la fiera di Verona. All’epoca riuscivo a far dialogare artisti e architetti, che non avevano mai lavorato con aziende del mobile classico: aziende

che non avevano mai avuto contatti con il mondo del progetto e dell’arte. Memorabili le opere di alcune partecipazioni di Serafini (nell’ambito delle mostre “Progetti e territori”, “Design territoriale”, “Genius loci”, con la partecipazione di diverse regioni italiane), come quella proposta per la regione Umbria per la quale progettò il SALTO-di-pesce, il Bisecretaire, il Mobiluovo, Dentro-la-foglia, in cui il suo estro e il suo virtuosismo bizzarro diedero il meglio. Dall’allestimento della mostra “Oggetto e società” del 1994 alla “Stanza del Coro-Guardaroba”, dove faceva bella mostra il mobile Curvadio, una sorta di armadio in radica di noce dalle curve sinuose e barocche. Un mobile che è recentemente ricomparso dal nulla, a Parigi, in un’asta da PIASA. Nella stanza del coro-guardaroba si discute cantando sugli abiti da giorno, si scelgono sia calze che calzini, è molto bello sostarci nei dì di festa seduti sulle seggiole-cassettate, con a fianco il battimano colorato contemplando l’elegante curvadio. (Luigi Serafini) Dopo “Abitare il Tempo” molte altre furono le esperienze che, dall’arte al design, accolsero le sue opere, connotate attraverso i linguaggi, i segni, i materiali di quel virtuosismo e surrealismo che ha reso l’arte di Luigi Serafini un’esperienza di assoluta originalità nel panorama internazionale. Non ultima, mi piace ricordare la sua partecipazione alla mostra che curai alla Triennale di Milano nel 1992 “SpazioReale, Spazio Virtuale” che fu un’occasione, nei lontani primi anni Novanta, per artisti e progettisti di confrontarsi con i nuovi linguaggi audiovisivi e multimediali in contrapposizione ai linguaggi produttivi tradizionali: occasione in cui l’arte visionaria di Serafini trovò uno stimolante terreno creativo. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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PAGINA ACCANTO:

“fantaenciclopedia”

Luigi Serafini nel 1981

illustrata con disegni

pubblica la prima

fantastici e commentato

edizione del Codex

con una lingua

Seraphinianus edito

indecifrabile che

da Franco Maria Ricci.

reinterpreta in chiave

Le tavole originali del

visionaria zoologia,

Codex sono esposte nel

botanica, mineralogia,

Labirinto della Masone

anatomia, architettura

della Fondazione FMR

e tanto altro.

e nel 2021 Rizzoli

Foto: Archivio Serafini.

ne ha celebrato il 40° anniversario con

QUI: Divano King Fisher

un’edizione speciale.

(Sawaya & Moroni, 1992),

Pubblicato in diversi

struttura in metallo e

Paesi, è considerato

velluto rosso e celeste.

oggi il volume più strano

Foto: Archivio Sawaya

al mondo, una sorta di

& Moroni.


QUI: Luigi Serafini inizia a esplorare

delle angolazioni in cui lo si osserva,

PAGINA ACCANTO: Nessie, teiera

il mondo del design nel 1981 con

è del 1991 e fu realizzato per

zoomorfa, 1987, ceramica surreale

Memphis di Ettore Sottsass.

“Memphis Extra” dalla Compagnia

dove il manico e il beccuccio

Questo vaso-creatura, che sembra

Vetraria Muranese.

richiamano un serpente.

quasi prendere vita a seconda

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Foto: Archivio Ugo La Pietra.


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Il frutto

DELLA PASSIONE di Anna Carmen Lo Calzo Fotografie di Giuliano Beduglio e Daniela Azeglio

I frutti in cera che escono dal laboratorio di Davide Furno sono manufatti di pura poesia. Raccontano l’amore a prima vista per un mestiere antico e raro che rivive grazie alla dedizione, alla ricerca della perfezione e agli studi minuziosi di questo indiscusso Maestro ceroplasta.


QUI: Pomona d’agrumi

in cera. La collezione,

coltivati in Italia

che attualmente

(particolare). “Pomone”

comprende un’ottantina

erano le collezioni

di varietà, è realizzata

di frutti artificiali in gran

con una ricetta che si

voga nei secoli passati:

ispira (e migliora)

ideate per soddisfare la

quella tradizionale che

volontà da catalogazione

utilizzava ingredienti

dell’Illuminismo, erano

quali grassi animali e

fatte in legno, cartapesta,

polveri tossiche, oggi

gesso, e, naturalmente,

eticamente improponibili.


Quando la bellezza di una riproduzione sublima la realtà, siamo di fronte a un’alchimia. Savoir-faire, talento, arte, magia, perfezionismo: Davide Furno racchiude l’essenza di questi elementi che si sintetizzano nella sua dimensione di Maestro ceroplasta. Nato a Biella nel 1963, inizia a dedicarsi alla lavorazione della cera grazie a una vera e propria “illuminazione” avuta negli anni Novanta, dopo aver frequentato lo IED e aver intrapreso l’attività di grafico e illustratore. Collateralmente, ha sempre coltivato la passione per l’artigianato, per il disegno e per la tecnica della doratura a guazzo. «Al tempo giocavo, mi dilettavo a fare dorature senza alcuna pretesa», dichiara. Durante una visita alla facoltà di Agraria dell’Università di Torino nel 1996, si imbatte nella collezione di frutti in cera di Francesco Garnier Valletti, grande ceroplasta del XIX secolo, ed è amore a prima vista. «Ricordo perfettamente quel colpo di fulmine diventato una passione. Quella meravigliosa collezione di centinaia di frutti in cera, realizzati con una tecnica sconosciuta, unica al mondo, era lì, abbandonata, 54

forse saccheggiata negli anni dagli studenti. Si presentò ai miei occhi come un dono inaspettato che mi ha letteralmente cambiato la vita». La ceroplastica è un affascinante metodo di lavorazione della cera di antica tradizione. Fiorì in tempi remoti e nei secoli divenne una pratica diffusa in tutta Europa in ambito devozionale, decorativo, iconografico, ma anche botanico e scientifico. Garnier Valletti, nella seconda metà dell’Ottocento, rappresentò l’eccellenza italiana nella produzione di modelli decorativi in cera. Lavorò presso le più importanti corti d’Europa, come quelle di Vienna e San Pietroburgo, realizzò collezioni di fiori e frutti di straordinario realismo. Oggi le sue creazioni sono conservate a Torino, presso il Museo della frutta, a lui dedicato. «Iniziai da subito ad appassionarmi alla ricerca di formule, appunti e ricette sulla lavorazione della cera. Scoprii che quasi tutto era andato perduto. Trovai qualche istruzione subordinata ad altre forme artistiche, come le formule tradizionali del Vasari e del Cellini, ma la svolta fu quando


riuscii a reperire la “misteriosa” formula del Garnier Valletti, grazie a un manualetto frammentario proveniente dalla Francia, acquistato a un’asta online. Scritto da un discepolo, uno dei pochissimi eletti che ebbero il privilegio di frequentare il corso universitario per ceroplasti voluto dall’allora Ministro dell’Agricoltura, il torinese Boselli, quel manualetto è stato il mio unico strumento didattico. Garnier Valletti, che fu gelosissimo della sua ricetta, nobilitò la cera perché seppe superare i limiti della sua scarsa durabilità. Oltre alla cera d’api, infatti, si usano resine naturali, cenere e polveri di gesso e di marmi che servono a creare i calchi, allo scopo di garantire solidità e durabilità alle creazioni». Centinaia di ore di lavoro senza istruzioni precise sui passaggi, lunghi tempi di cottura, la ricerca delle giuste temperature e degli ingredienti sono stati necessari per arrivare a ottenere “la prima pasta credibile”. Finalmente il Maestro Furno ha trovato la sua tecnica, il suo metodo magistrale che lo ha portato a conseguire il titolo di MAM – Maestro d’Arte e Mestiere, conferitogli dalla Fondazione Cologni dei Mestieri

PAGINA ACCANTO: Uno scorcio

del laboratorio, fucina di virtuosismi ceroplastici. QUI: Composizione di cachi

e melograni. Fin dall'antichità, il melograno è simbolo di fertilità, abbondanza e buon auspicio; regalare un melograno a Natale o Capodanno corrisponde a un augurio di fortuna, salute e prosperità. Frutti realizzati con miscela di cere e resine naturali e colorati rigorosamente a pennello, come da tradizione.

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d’Arte nel 2022. «Una bella responsabilità, all’inizio mi tremavano le gambe. Sotto i riflettori cambia tutto». Davide Furno oggi lavora con la consapevolezza di un Maestro d’arte al quale viene affidato il compito di affinare sempre di più abilità e unicità. Il sogno di trasformare la passione in professione si è avverato: da qualche mese si è trasferito nel nuovo laboratorio di Vigliano Biellese, all’interno di Villa Era, antica dimora circondata da un pregiato vigneto. «Sogno ancora, vorrei che questa professione diventasse la mia unica attività a tempo pieno. Il volano è partito, sono estremamente riconoscente e sento la responsabilità di restituire valore e qualità». L’obiettivo del Maestro per il prossimo autunno è una sfida molto ambiziosa: l’uva. Gli acini vengono realizzati in resina Dammar, un materiale molto fragile di origine vegetale che spesso si sgretola. «Dopo il riconoscimento MAM, mi sento di accettare la sfida che sarà quella di presentare una collezione di uve con la tecnica del Garnier Valletti e i primi pezzi della riedizione della Pomona del Gallesio in ceroplastica. Conto di 56

farlo entro l’autunno, si tratta di un progetto molto ambizioso, ma i riconoscimenti ottenuti mi danno coraggio». Ama definirsi «più artigiano che artista» perché «l’arte ha implicazioni per me esagerate. Io replico la realtà. Potrei definirmi un illustratore botanico autodidatta con manualità artigianale». Il Maestro Furno, autodidatta d’eccellenza, “replica la realtà” in modo poetico e raffinato, creando veri e propri capolavori di iperrealismo, frutti nati da un amore fulminante che non lo ha mia più abbandonato. Oltre a realizzare modelli e prototipi a scopo decorativo e scientifico, a lavorare per musei e università, una delle attività che lo coinvolgono maggiormente è quella della realizzazione di frutti appartenuti a persone care scomparse. In questo caso, il suo lavoro diventa ancora più nobile: sublimare un sentimento umano che non vuol essere perduto, cristallizzare un legame attraverso la virtù. Raffinatezza, serietà, umiltà (tanta): Davide Furno è un nobile Maestro che ci regala il privilegio di poter apprezzare un’artigianalità rara, a rischio di estinzione. •


PAGINA ACCANTO: Composizione di

limoni e noci in cera d’api, colofonia, dammar, carnauba e inerti. Colori a resina. IN ALTO: Scorcio del laboratorio

in Villa Era a Vigliano Biellese: «Lavorare a una autentica passione, nei saloni di una dimora storica, circondato da un parco secolare, è una fortuna per cui ringrazio ogni volta che apro la porta del laboratorio». QUI: Metodo Garnier Valletti:

«L’estrazione del frutto grezzo dal calco mi emoziona sempre come la prima volta, anche se poi al frutto compiuto mancano ancora ore di lavoro, mesi di attesa, infinite lavorazioni».

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QUI: Metodo Garnier

Valletti, particolare della coloritura. Dopo la fusione, dopo numerose mani di imprimitura e relativa levigatura, inizia la fase più delicata: la coloritura, che avviene rigorosamente a pennello e con colori i quali, data la natura del fondo, devono essere preparati manualmente con mescola dei pigmenti a medium resinoso.



QUI: Gesù nasce in

Costiera (particolare), terracotta. Negli anni Ottanta, dal contatto quotidiano con la terracotta, emerge la grande passione di Marcello Aversa per il Presepe Napoletano. PAGINA ACCANTO:

Adorazione dei pastori, terracotta. Entrambe le foto: Umberto Astarita.

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Cuore di

di Rosa Alba Impronta

TERRACOTTA Marcello Aversa realizza straordinari presepi in terracotta, sofisticate miniature di grande abilità tecnica. Un magico microcosmo che sublima la cura del dettaglio in capolavori d’arte che perpetuano una lunga tradizione.

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Immaginate una Natività, perfetta nei dettagli, realizzata in terracotta con piccoli personaggi la cui misura parte da 8 mm. Da qui si potrebbe partire per descrivere l’unicità del lavoro del Maestro Marcello Aversa: l’uso della creta e il virtuosismo tecnico delle sue miniature come caratteri distintivi di un magistero unico e sorprendente. Infatti se da un lato il filo conduttore della sua vita e del suo lavoro è senza dubbio la creta, dall’altro la ricerca continua e la cura del dettaglio, anche nelle figure di minuscole dimensioni, sono certamente le caratteristiche che rendono straordinario il lavoro di questo Maestro nella sua bottega d’arte nel centro storico di Sorrento. Il papà Luigi era “cretaro”, con una fornace di famiglia nell’antico Borgo di Maiano, piccolo Rione di Sant’Agnello, uno dei paesi della Costiera Sorrentina: nel Rione si trovano ancora le antiche fornaci, risalenti al XVI secolo, nelle quali venivano realizzati laterizi per i forni a legna, una lavorazione 62

rimasta immutata fin dal tempo dei Romani. Oggi in questo Borgo delle otto fornaci una sola produce ancora laterizi: qui si lavora seguendo una tecnica antica, che abbinata al terreno argilloso ricco di silicio caratteristico della zona rende il mattone perfetto per i forni. La creta viene estratta negli agrumeti, successivamente i cretai di Maiano iniziano un lungo procedimento interamente manuale in cui si parte dalla spianata della creta nei cortili per una prima essiccazione; dopodiché, con l’uso di un attrezzo particolare in legno, la creta viene pestata e ridotta in piccoli frammenti: un lento processo al cui termine i mattoni vengono puliti dalle sbavature con l’utilizzo di coltellacci, per essere pronti alla cottura. Dopo la morte del padre, Marcello Aversa decide di terminare gli studi e di lavorare nella fornace di famiglia prendendo il suo posto: nel tempo passa alla realizzazione dei pastori in creta, si avvicina al presepe guidato dai ricordi familiari, quando


durante il Natale tutti erano coinvolti nella creazione del presepe, come in un grande rito familiare. A capire quale fosse la sua vocazione Marcello è arrivato per gradi, a partire dalle scenografie che riempiva con i pastori che acquistava. Solo più tardi ha capito che i pastori erano la sua vera passione e ha iniziato a creare figure in miniatura di 1,5/2 cm, che portava a Napoli ai presepisti di Via San Gregorio Armeno. Come racconta, così è nata la sua storia di Maestro artigiano. La sua produzione artistica è concentrata nella creazione di presepi, di scene bibliche del Vecchio e Nuovo Testamento, con una ricerca e una tecnica continuamente affinate, ogni dettaglio studiato e perfezionato, fino al capolavoro. Una sfida continua con se stesso, un virtuosismo tecnico impareggiabile: come si può ammirare nella miniatura di Gesù nell’orto degli ulivi, dove le circa settemila foglie sono modellate e inserite una alla volta,

QUI E PAGINA ACCANTO: Il Maestro

Marcello Aversa al lavoro su Vita Semper Vincit, all’interno del suo studio d’arte di via Sersale, a Sorrento. L’opera è stata realizzata per l’inaugurazione del Duomo di Santa Maria Maggiore a Mirandola (Modena), in occasione della riapertura dopo sette anni dal sisma del 2012. Entrambe le foto: Rosa Gargiulo.

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con pazienza certosina. Guardando con attenzione le opere di Marcello Aversa si scopre un mondo di dettagli a prima vista nascosti… Nella tavola di legno, ciò che sembrerebbe una venatura è invece, sorprendentemente, una scena di risurrezione scolpita, un incredibile racconto nel racconto apparentemente invisibile che rivela non solo la cura ma anche molto del pensiero che accompagna il lavoro di questo Maestro. Altrettanto significativo è il messaggio della bellissima opera Vita semper vincit: un albero della vita con un teschio alla base, a simboleggiare la vita che vince sempre sulla morte. Sulla croce, Aversa ha rappresentato con straordinaria precisione la storia del cristianesimo. La scultura, che misura quasi tre metri di altezza, è esposta nel Duomo di Mirandola, vicino a Modena. Ma nelle sue opere Aversa tiene molto a rappresentare anche la natura e la tradizione del meraviglioso territorio della Costiera Sorrentina, i suoi paesaggi e i suoi riti antichi e affascinanti, come la processione degli Incappucciati. Marcello ci racconta come non abbia mai frequentato una vera e propria scuola. Il passaggio dalla realizzazione dei mattoni ai presepi è per lui una sorta di dono, un sapere istintivo che 64

ha perfezionato con il tempo e con la tecnica. Ha l’umiltà dei grandi e si sente fortunato per essere riuscito a trovare il talento a cui era destinato: proprio per questo rivolge con passione alle nuove generazioni il suo impegno, affinché i ragazzi possano apprendere ed esplorare la bellezza e le potenzialità del lavoro artigianale, perché i doni stupendi del fare non vadano perduti. Alla tristezza dei centri storici che si svuotano dalle attività tradizionali, perdendo moltissimo della loro identità, Marcello Aversa contrappone il suo sogno di realizzare nel borgo delle antiche fornaci di Maiano un centro per l’insegnamento e laboratori artigianali. Passione per il lavoro, rispetto per la tradizione e amore per gli altri: questi i valori che il Maestro coltiva e mette sempre al centro della sua attività. Lavora in solitudine nella sua Bottega con la concentrazione di un mistico e se qualcuno stupefatto da tanta maestria gli chiede quanto tempo impieghi per la realizzazione delle sue miniature la risposta è semplice e disarmante: «Quando lavoro il tempo non esiste!» E così lo lasciamo, immerso nella bellezza senza tempo che è quella della creazione. •


PAGINA ACCANTO:

Marcello Aversa nella fornace di famiglia. L’artista-artigiano riesce a modellare, utilizzando una stecca e uno spillo, piccoli personaggi in terracotta che misurano da 8 mm fino a 10 cm, inserendoli in una scenografia; crea così un genere tutto suo, dove struttura e figure formano un solo blocco che viene infornato a 920°. QUI: Vita semper vincit:

albero della vita in terracotta. L’opera rielabora un’antica tradizione del Sud Italia, quella dei Presepi di Pasqua. Entrambe le foto: Umberto Astarita.

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QUI: Oleandro di Venezia,

vetro soffiato e inciso. Opera realizzata nel 2008 da Andrea Zilio con il Maestro incisore Giacomo Barbini, su disegno dell’artista di arti visive Yoichi Ohira. Foto: Enrico Fiorese. PAGINA ACCANTO: Azoici,

vetro soffiato color zaffiro con applicazioni di fili a caldo blu e neri e anelli biancolatte. Realizzati da Andrea Zilio e dagli aiuti Maestro di Fornace Anfora, su disegno dell’artista francese Emmanuel Babled; i due vasi sono stati esposti a “Vitrea. Vetro italiano contemporaneo d’autore”, Triennale Milano, 2021. Foto: Valentina Zanobelli.

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IL NICCOLÒ PAGANINI

DEL VETRO

di Jean Blanchaert

L’intenzione diventa capolavoro, la capacità d’interpretazione raggiunge l’apice del virtuosismo. Andrea Zillo è l’eccelso Maestro vetraio che dirige l’“orchestra” della creatività, trasformando un’idea in un’esecuzione magistrale.

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Ogni volta che un direttore d’orchestra si accinge a eseguire le musiche di un compositore, inserisce nella “memoria del suo computer”, per usare un linguaggio contemporaneo, il file concernente il musicista che sta per interpretare. Deve tener conto non soltanto delle note, ma anche delle annotazioni presenti nello spartito: Andante con moto, Cantabile, Allegro, Adagio, Scherzo. Più il direttore sarà grande, più le note invaderanno l’orchestra e il pubblico, facendoci rivivere le intenzioni del compositore. Riccardo Muti è capace di portarci Verdi in sala, Daniel Barenboim ci fa entrare persino nei romantici leitmotiv di Carl Maria von Weber, Kirill Petrenko ci travolge con Čajkovskij e Marin Alsop ci elettrizza con Prokof ’ev. Il mondo del vetro è più piccolo di quello della musica, ma non è meno affascinante. Nulla è più simile alla creazione 68

di un insigne lavoro in vetreria e anche qui si ripete la magica collaborazione fra artista ed esecutore. L’artista, il designer, si presenta al maestro vetraio con qualche schizzo, qualche idea e molti pensieri inespressi. La straordinaria capacità tecnica e il virtuosismo del maestro renderanno possibile la traduzione di quei segni, di quei pensieri, in vetro soffiato. Anche nel vetro, dunque, si creano abbinamenti memorabili dovuti sì, all’abilità dell’artista, ma anche moltissimo alla capacità dell’esecutore che entra in sintonia telepatica con chi ha di fronte. Spesso il risultato finale lascia a bocca aperta lo stesso ideatore dell’opera che vede il suo pensiero realizzarsi, dapprima in forma liquida, per poi divenire scultura solida piena di luce. Andrea Zilio, considerato oggi uno dei primi Maestri al mondo nella soffiatura del vetro non figurativo, a mano volante, inizia la sua carriera di artigiano dal legno, più


PAGINA ACCANTO: Linfa

Series, serie di 9 pezzi unici, vetro soffiato di Murano e bronzo riciclato, realizzati da Andrea Zilio su disegno di Michela Cattai, ed esposti a “Doppia Firma. Dialoghi tra pensiero progettuale e alto artigianato”, Palazzo Litta, Milano 2022. Foto: Laila Pozzo per Doppia Firma 2022. QUI: Untitled, vetro

soffiato, molato e inciso. Vaso realizzato da Andrea Zilio con il Maestro incisore Giacomo Barbini su disegno dell’olandese Melvin Anderson, textile-glass designer per eccellenza. Esposto a “Vitrea. Vetro italiano contemporaneo d’autore”, Triennale Milano, 2021. Foto: Burt van Bussel.

precisamente dal restauro di mobili antichi, anche in ambito museale. Il passaggio dallo scalpello per legno alla canna da supiar, in fornace, non è stato traumatico perché Andrea Zilio ha le mani d’oro. Comunque, il profumo del legno, il suo primo amore, lo accompagna ancor’oggi. La grande passione per il vetro lo porta in breve tempo a ottenere la qualifica di primo Maestro nella Vetreria Anfora, sotto la guida dei Maestri Giulio Ferro e Luigi Busatto. Fine esperto delle lavorazioni più complesse, quali reticello, incalmo, zanfirico e sommerso, che padroneggia alla perfezione, il Maestro Zilio guarda al futuro lavorando come mille anni fa e realizzando anche suoi personali progetti, in una prospettiva di ricerca in continua evoluzione. Zilio è fra i pochi Maestri muranesi ancor’oggi capaci di realizzare magnifici “tipetti”, calici in stile veneziano cinquecentesco

di incredibile virtuosismo. È il Niccolò Paganini del vetro. Negli anni Ottanta, Renzo Ferro, proprietario della fornace Anfora, la conduce dalla produzione di bicchieri e lampadari a una proficua collaborazione con artisti e designer di tutto il mondo che ancora oggi fanno la coda per poter lavorare con Andrea Zilio, coadiuvato da Andrea Ferro e da Marco De Gregori. Quello che si diceva per i grandi direttori d’orchestra, vale anche per i grandi Maestri vetrai: Andrea Zilio pensa e dirige in francese quando lavora con Emmanuel Babled, in giapponese, quando crea con Ritsue Mishima, in olandese quando collabora con Melvin Anderson, in italiano con Domitilla Harding, Tristano di Robilant e Ivan Baj e in veneziano quando interpreta gli spartiti di Massimo Micheluzzi, di Michele Burato, di Maria Grazia Rosin, di Michela Cattai, di Marina e Susanna Sent e di Silvano Rubino. MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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La sua versatilità e la sua capacità di concentrazione gli consentono di creare con l’autore, senza troppe parole, quell’empatia in mancanza della quale non si va da nessuna parte. È stato proprio per non perdere la concentrazione che ha rifiutato le offerte molto allettanti di vetrerie cinesi. In un certo senso, si sarebbe sentito un traditore. Gabriella Belli, direttrice dal 2011, per un decennio, dei 70

Musei Civici di Venezia, ha giustamente rilevato che non si può neanche lontanamente immaginare quanti capolavori vengano realizzati ogni giorno nelle vetrerie muranesi. Dopo essere state soffiate e molate, spesso queste opere sono impacchettate e spedite nei cinque continenti senza neppure essere fotografate. All’Anfora, centro mondiale di creazione vetraria, succede così. Uno dei primi a capire la grandezza di Zilio fu Pasquale


Leccese, che nel 2005, quando era direttore di MiArt (Fiera Internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano), affascinato dai capolavori che il Maestro aveva creato con il compianto Yoichi Ohira, gli assegnò il Premio Eccellenza Artigiana. Già vent’anni fa, Andrea Zilio era uno dei grandi protagonisti del mondo CCM (Contemporary Craft Masterpieces). E continua ad esserlo, incantandoci. •

PAGINA ACCANTO: Vaso 1015, mosaico

di vetro soffiato. Realizzato da Andrea Zilio con il Maestro veneziano e storico dell’arte Massimo Micheluzzi. Foto: Bianca Vannucchi. QUI: Andrea Zilio al lavoro in uno

scatto che celebra la sua maestria. Foto: Susanna Pozzoli per Michelangelo Foundation.

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PAGINA ACCANTO:

Fuochi d’acqua, opera unica con vaso scultura in vetro trasparente di Murano con 17 fiori soffiati direttamente su steli di rame, manifattura Venini. È realizzato da Andrea Zilio su disegno dell’artista Giorgio Vigna. Esposto a “Vitrea. Vetro italiano contemporaneo d’autore”, Triennale Milano, 2021. Foto: Paola Oregioni. QUI: Ficu d’India, vetro

di Murano soffiato a bocca e modellato a mano, 2022. Il vaso, dalle nuances ambra reale e cristallo, è un pezzo unico nato dalla collaborazione tra Andrea Zilio e il designer Ivan Baj, fondatore e art director di Arcade. Foto: Martina Ferraretto Zanvettor.


Il tempo

NELL’ATELIER DELLE MERAVIGLIE Nell’Atelier dei Mestieri Rari® di recente creazione, la storica manifattura orologiaia svizzera Jaeger-LeCoultre riunisce in un solo luogo tutte le specialità d’artigianato artistico che concorrono alla realizzazione di orologi tra i più complicati e straordinari del mondo.

QUI: L’esperta mano di

uno dei 30 artigiani che costituiscono l’Atelier dei Mestieri Rari® realizza, sulla cassa di un Reverso, l’incisione con bulino. Foto: Pol Baril.

di Alberto Cavalli



Solo quando ogni gesto è padroneggiato alla perfezione, le mani sembrano volare come quelle di un pianista, la mente è libera di creare mentre le dita si muovono con precisione calligrafica: solo allora si ha quella che da Jaeger-LeCoultre, manifattura svizzera di alta orologeria fondata nel 1833, viene chiamata “competenza”. Perché la competenza non è solo una capacità tecnica di agire, di lavorare e di arrivare a un risultato in maniera perfetta: è anche l’empatia che nasce dall’esperienza, è il gusto che si acquisisce quando ci si libera dalle preoccupazioni di sbagliare, è il senso profondo della bellezza che si esprime al meglio quando si ha consapevolezza di quello che si sta creando. Una consapevolezza comune e condivisa: come testimonia la piccola, preziosa comunità di trenta artigiani che costituiscono l’Atelier dei Mestieri Rari®, all’interno della sede di Jaeger-LeCoultre presso la Vallée des Joux. Un sancta sanctorum di quella competenza appena descritta, profondamente umana e raffinata, che si articola intorno alla silenziosa operosità delle Maestre e dei Maestri che con dita intelligenti e pazienti, con occhi sempre animati dalla passione, con una concentrazione limpida come cristallo riuniscono i savoir-faire legati all’identità della Maison: la smaltatura, l’incisione, l’incastonatura e il guillochage. Un vero e proprio spirito sinergico anima questi virtuosi di tecniche rare e preziose: virtuosi non solo perché possiedono una tecnica affinata su anni di pratica intorno alle migliori materie prime, ma anche perché vivono ogni giorno (e sviluppano continuamente) quel principio di interazione e dialogo che per Jaeger-LeCoultre è fondamentale. Al di là della sapiente acquisizione dei gesti, infatti, i collaboratori della Manifattura seguono un processo di apprendimento che consiste anche nel saper lavorare insieme con entusiasmo: una virtù rara, in un mondo sempre più isolato. Una virtù che si riflette appieno nell’Atelier dei Mestieri Rari®, organizzato in funzione dei vari poli di specializzazione: i banchi di lavoro degli incisori, per esempio, si trovano vicino a quelli degli smussatori proprio per favorire una perfetta sinergia di gesti e pensieri – un elemento troppo smussato non lascerebbe spazio a sufficienza per l’incisione. Lezioni che si acquisiscono solo con l’intelligente pratica quotidiana del bello, e che vengono trasmesse con passione agli apprendisti che affiancano i Maestri: formare nuove generazioni di talentuosi Maestri, specializzati in mestieri rari e dunque particolarmente significativi, è per Catherine Renier (amministratrice delegata di Jaeger-LeCoultre) una priorità. 76

PAGINA ACCANTO

3. Smaltatura della cassa

(DA SINISTRA):

del Reverso Grand Taille

1. L’arte del sertissage,

dedicato alla Scuola

che impreziosisce un

Grande di San Rocco,

orologio con pietre

presentato alla 73ª Mostra

preziose, sul quadrante

del Cinema di Venezia,

tourbillon cassa master

2016. Foto: Johann Sauty.

con tecnica neige:

4. Messa a punto

il materiale è totalmente

di una scheletratura.

ricoperto, senza lasciare

Foto: Jaeger-LeCoultre.

alcuno spazio tra le

5. Incastonatura

pietre preziose.

a baguette della cassa

Foto: Eveline Perroud.

di un Reverso.

2. Incisione su cassa

Foto: Eveline Perroud.

eseguita a mano.

6. Smaltatura di un

Foto: Jaeger-LeCoultre.

quadrante. Foto: Pol Baril.

E non solo all’interno della Manifattura: grazie a una partnership con la Michelangelo Foundation, infatti, la Grande Maison sosterrà il tirocinio formativo di 20 giovani apprendisti in cinque Paesi europei, in mestieri che nulla hanno a che fare con l’orologeria ma che testimoniano il forte impegno di Jaeger-LeCoultre nel tenere viva la cultura dell’eccellenza, come in un vero e proprio ecosistema. Osservare l’Atelier dei Mestieri Rari® significa scoprire non solo gesti straordinari, ma anche strumenti unici. L’arte del guillochage, fondamentale in alta orologeria, richiede per esempio una grande competenza non solo manuale ma anche meccanica: il macchinario che la esegue, infatti, necessita di una gestualità fluida e ispirata, la sola in grado di imprimere brillantezza alla materia tagliata. L’incisione si fa con l’échoppe e può essere al tratto, con incastonatura, laccata o modellata: ma il maestro incisore dà prova del suo talento anche quando procede alla scheletratura di piccole serie di movimenti, per rivelarli alla vista. Per scheletrare il celebre calibro 101 di Jaeger-LeCoultre, dal quale viene rimossa una quantità di materiale pari a 0,2 g su un totale di 0,98 g, ci vogliono tre settimane di intensa concentrazione. Lo smalto che Jaeger-LeCoultre predilige per le sue creazioni è il Grand Feu: gli artigiani si servono di una cassa in oro con una rientranza di 0,4 mm nella quale depositano tre strati di smalto bianco. Quindi il motivo viene disegnato con pezzi di smalto colorati da ossidi metallici, ridotti in polvere e mescolati a olio. La tecnica dello smalto Grand Feu conferisce all’esemplare una purezza e una resistenza eccezionali. Sul quadrante si applicano poi altri sei-otto strati di smalto trasparente protettivo, che successivamente viene sottoposto a lapidage e lucidatura per ottenere un aspetto estremamente brillante. E naturalmente, per impreziosire i pezzi di Jaeger-LeCoultre è necessaria la competenza degli incastonatori, che hanno a loro



QUI: Macchinario d’epoca per la

PAGINA ACCANTO: Fronte e retro del

alla tecnica Grand Feu. La cassa di

tecnica del guillochage. Utilizzato

Reverso One Precious Colours, 2023,

questo modello richiede fino a 15

ancora oggi nell’Atelier dei Mestieri

oro bianco, quadrante in madreperla,

cotture e numerose fasi di asciugatura

Rari®, è azionato manualmente da una

fondello con smalto Grand Feu e

a 200°. Per incastonare i 277 diamanti

manovella e richiede una competenza

277 diamanti (1,6 carati), cinturino

sono necessarie 45 ore di lavoro

specifica da parte degli artigiani.

alligatore verde. Le diverse gradazioni

e più di 80 ore per la smaltatura.

Foto: Eveline Perroud.

di smalto verde sono ottenute grazie

Foto: Jaeger-LeCoultre.

disposizione varie tecniche: l’incastonatura a grani tradizionale, realizzata con pietre di taglio simile, fissate appunto da quattro grani, oppure l’incastonatura a baguette o à clos (a castone ribattuto), o ancora l’incastonatura “a neve”. Maestri di arti e discipline diverse, e apprendisti in formazione, sono quindi in dialogo costante tra di loro. Ma anche con l’équipe creativa: i loro virtuosismi si devono infatti non solo integrare alla perfezione, ma anche evolvere di pari passo con le sfidanti richieste estetiche che contraddistinguono ogni creazione della Grande Maison. Come i nuovi Reverso One Precious Colours, presentati all’edizione 2023 di “Watches and Wonders” e ispirati alle geometrie dell’Art déco. I virtuosi dell’Atelier dei Mestieri Rari® sono stati dunque sfidati, per così dire, a superare se stessi per queste nuove creazioni. Ogni Reverso One Precious Colours richiede infatti un’assoluta padronanza di ciascuna 78

tecnica, oltre che una coordinazione impeccabile delle diverse lavorazioni artigianali, a cominciare dalla smaltatura e proseguendo in un crescendo vertiginoso di abilità, che si esprimono anche con il Reverso Secret Necklace: il cordonnet (letteralmente “cordoncino”), ovvero il cinturino in tessuto nero di cui erano originariamente dotati i modelli Reverso degli anni Trenta, viene re-immaginato come una sinuosa collana a catena con le maglie tempestate di diamanti e di perline in onice lucidate, alle cui estremità troviamo il Reverso, anch’esso incastonato di pietre preziose. La fortuna esercita la sua potenza ove non è ordinata virtù a resisterle, scriveva Machiavelli: e per i Maestri di Jaeger-LeCoultre specializzati in mestieri rari, la virtù che ordina il loro tempo è quella della competenza e della bellezza, dell’impegno e della condivisione, per far fronte qualunque “fortunale” che possa sfidare la loro affascinante, suggestiva, sorridente felicità del fare. •


MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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QUI E PAGINA ACCANTO: Il Reverso

Calibro Jaeger-LeCoultre 846 a carica

Secret Necklace è stato presentato

manuale, quadrante in onice

quest'anno al Salone ginevrino

nera e diamanti, fondello in onice

“Watches and Wonders”. Collier

nero e diamanti. Oltre 3.000 le pietre

lungo 55 cm in oro rosa con pendente,

preziose incastonate, per un totale di

composto di perline in onice e

18 carati. Riserva di carica 38 ore.

maglie tempestate di diamanti.

Foto: Jaeger-LeCoultre.

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QUI: Preziosi e tradizionali

manufatti della Val Sarentino creati dalla famiglia Thaler che da tre generazioni si tramanda il sapere artigianale. Le pregiate decorazioni su cuoio sono realizzate con un “filo” particolare: la rachide delle penne di pavone.


Nel silenzio

DI UNA VALLE

di Nurye Donatoni

INCANTATA La ricercatezza e il saper-fare d’altri tempi di due giovani sarti altoatesini esaltano lo spirito identitario di una comunità. Nella quiete della Val Sarentino, i fratelli Thaler realizzano pregiati manufatti in cuoio ornati da ricami finissimi realizzati con piume di pavone.


Entro in un piccolo condominio anni Ottanta, scendo le scale grigie tra pareti bianche. Sono perplessa, mi pare un luogo anonimo, troppo anonimo per essere un laboratorio artigianale. Busso alla porta, lentamente la apro, con il timore di disturbare. Entro. Uno scrigno. Un laboratorio pulito, ordinato, ovattato, con le pareti e i pavimenti di legno che profumano, una grande vetrata e un pacifico silenzio. Una sorprendente tranquillità pervade lo spazio. Percepisco di trovarmi in un luogo raro, virtuoso e magico. Sono nel meraviglioso atelier dei fratelli Thaler a Sarentino, Sarntal. Un comune di circa settemila anime in una valle laterale, la Val Sarentino, a nord di Bolzano. La sua caratteristica, come cita il materiale promozionale, è la coesione degli abitanti, il rispetto per la natura, la fede religiosa, il valore per le tradizioni, i suoi splendidi costumi. È una valle dove la maggior parte delle persone è impegnata nell’agricoltura e il quotidiano scorre seguendo la stagionalità della montagna. Ventisette piccole frazioni compongono questo comune montano. Non ci sono comprensori sciistici, 84

se non verso il fondo valle, e c’è un turismo non aggressivo. La caratteristica della Val Sarentino è la produzione di uno dei costumi tradizionali più ricchi, preziosi e ambiti di tutta l’area germanofona. Pregevoli prodotti artigianali che meravigliano e identificano una comunità. Ulrich e Georg, due giovani artigiani, lavorano con entusiasmo insieme a cinque abili collaboratrici, alcune giovanissime, e con il supporto della sorella Andrea. Seduti ricamano di fronte alla grande vetrata da cui entra una luce risplendente. Calzano ciabatte di lana cotta. Mostrano dedizione, pazienza e serietà nel loro fare, qualità che rivelano a prima vista una passione propria delle alte maestrie artigianali, una virtù che distingue i nostri Maestri d’eccellenza. I fratelli Thaler producono preziosi ed esclusivi manufatti in cuoio ricamati sapientemente: cinturoni per i costumi tradizionali, cinture per pantaloni, portafogli, scarpe tradizionali, bretelle e altri piccoli oggetti. La pregevolezza della loro arte è data dal magnifico ricamo realizzato con un “filo” particolare, le rachidi delle penne di pavone, Federkielstickerei in tedesco, la lingua parlata in


questi luoghi. Si tratta di un’antica tecnica di ricamo nata nel XVIII secolo nell’area germanofona. All’epoca gli aristocratici e le persone più abbienti usavano portare cinture ricamate che servivano da protezione. Nel XIX e XX secolo la lavorazione del cuoio assunse crescente importanza per la decorazione dei costumi tradizionali, sottolineando l’appartenenza a una precisa comunità identitaria. I pavoni maschi una volta all’anno, tra luglio e agosto, perdono l’intera coda. Con grande pazienza vengono pulite le piume che la compongono. Si eliminano le belle penne colorate, le barbe e le barbule. Si tengono solo le costole bianche o rachidi, che vengono tagliate in finissime e lunghe listarelle, da quattro a sei per ogni rachide. Questi fili, da loro chiamati “fili della rachide”, sono utilizzati come veri e propri ago e filo per ricamare. A volte qualche “mazzo di rachidi” viene tinto con colori naturali per arricchire la decorazione del ricamo. Gli eleganti e ricercati decori evocano paesaggi, animali, fiori e foglie di montagna, ma anche sinuose forme astratte. Sono disegnati a mano su carta velina e poi riportati, con la tecnica dello spolvero, sulla base in

PAGINA ACCANTO: Ulrich e Georg Thaler,

con il supporto della sorella Andrea, lavorano nel loro laboratorio, uno scrigno in legno al di fuori del tempo, pelle bovina o di vitello. QUI: Disegno a mano realizzato

su carta velina con motivi floreali e iniziali. Il disegno preparatorio viene creato dai fratelli Thaler in base alle esigenze del cliente e riportato, con la tecnica dello spolvero, sulla base in cuoio da decorare.

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cuoio da decorare. Il cuoio viene perforato con punteruoli di diverse dimensioni. Nel foro si inserisce, usando le dita, il filo di rachide. Bisogna avere gli occhi buoni ed essere molto precisi. Per cucire è utilizzato il tradizionale punto sellaio. Nascono così preziosi ricami, pezzi ornati, che richiedono ore e ore di paziente lavoro. Ci vogliono ad esempio oltre trecento ore per ricamare la cintura del costume tradizionale. La famiglia Thaler si dedica da tre generazioni al ricamo del cuoio. Il nonno Johann aveva imparato il mestiere da 86

un vecchio contadino della Val Sarentino, perfezionando la tecnica e disegnando motivi decorativi più sinuosi e raffinati. È subentrato poi il papà Johann, che alcuni anni fa ha lasciato il ricamificio alla terza generazione, continuando però ad affiancare i figli con i suoi preziosi consigli e la sua esperienza. I Thaler sono artigiani conosciuti e stimati e i loro manufatti sono molto ricercati. Parlando con Ulrich, sempre gentile e sorridente, scopro che gli estimatori e i clienti provengono per lo più da tutta l’area germanofona e per avere un loro prezioso


PAGINA ACCANTO: Elaborato ricamo

dei cinturoni in cuoio del costume tradizionale della Val Sarentino.

pezzo unico sono disposti a una lunga attesa. Comprendo ancora una volta, emozionandomi, che la particolare abilità tecnica e il virtuosismo del fare artigiano sono capaci di creare manufatti di sorprendente bellezza. I Thaler con tenacia, serietà e passione esprimono una maestria impareggiabile. Nella loro silenziosa bottega perseverano un sapere manuale che travalica il tempo. Il rigore e la coerenza della loro produzione celano un’integrità che suscita ammirazione. •

L’antica tecnica è nata nel XVIII secolo nell’area germanofona e in questa valle ha assunto una crescente importanza. QUI: Cintura in cuoio con ricamo

a rachide di pavone (pezzo unico). Gli eleganti e ricercati decori evocano paesaggi, animali, fiori e foglie di montagna, ma anche sinuose forme astratte, iniziali e monogrammi classici.

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QUI: Serie di paraventi

Tropical Fossil in legno e ottone dorato. Ogni pannello presenta elementi unici in bassorilievo formati da foglie e piante coltivate nel cortile dello studio di Gianluca Pacchioni.


LE

ARMI E LE

di Federica Sala Fotografie di Lorenzo Pennati

lettere

Amante della materia, sperimentatore e innovatore, Gianluca Pacchioni è un artista generoso e dinamico, in continua evoluzione. Lo stile inconfondibile dei suoi preziosi mobili sculturali si deve alle forme imperfette e raffinate.


Conosco Gianluca Pacchioni da tanti anni. Ci siamo conosciuti quando entrambi eravamo in una fase della vita molto social e ci siamo subito trovati simpatici, sarà perché condividevamo tutti e due un amato passato francese i cui ricordi erano ancora molto vividi o perché andavamo a ballare negli stessi posti. Poi ci siamo persi di vista per ritrovarci, anni dopo, dentro un Padiglione della Biennale di Venezia. Da quel momento in poi ho avuto la fortuna di condividerne, a tratti, l’iter professionale e di conoscerlo anche nel suo universo privato di marito, figlio, fratello, padre e amico. Una costellazione di relazioni umane vissute con quel trasporto e con quella generosità che non manca mai anche nel suo lavoro e che sono il fuoco sacro che alimenta la sua produzione. Perché così è Gianluca: indivisibile. Non si può separare l’uomo, e i suoi amori, dalle sue opere, che sono proprio il frutto di queste sue emozioni. In tutti questi anni ho avuto la possibilità di vedere la sua evoluzione professionale: se nei primi anni Duemila l’avrei 90

forse definito un designer, perché la sua produzione era principalmente incentrata sulle luci, ora capisco che un designer Gianluca non lo è mai stato. Perché quelle luci non sono mai state “solo” luci ma sono sempre state sculture luminose, veicoli per un altrove. Il movimento che creano, infatti, con il gioco di ombre ed il suono prodotto dal fruscio degli elementi, fanno parte dei meccanismi che ci raccontano l’artista che si cela dietro, il suo lato gentile al pari della sua forza. Per anni definito “Efesto” o “il re dei metalli”, Pacchioni ha lavorato acciaio, bronzo e ottone in tutte le loro possibilità, mosso quasi da un ancestrale spinta al dominio sulla materia, alla capacità di gestire la sua metamorfosi. Queste sculture, spesso funzionali come la libreria Collapse, che è tutt’ora uno dei suoi best seller, racchiudono tutta la perizia dell’artista nel piegare e trasformare la materia, nel saper renderla decorativa in una vorticosa danza che alterna alla ruvidità delle parti arrugginite lo scintillio lucido del metallo come nelle Koicea o nelle Cut. Anno dopo


PAGINA ACCANTO: Consolle

e tavolini della serie Cremino in onice, 2018. Le pietre translucide controbilanciano la forza di materiali come bronzo e ottone. QUI: Scultura in bronzo

e cemento Dancing Queen, alta quasi 2 metri, realizzata nel 2020. Sul fondo, paravento della serie Tropical Fossil. «Cambio tutte le proporzioni, trasformando micropodi in macro germogli o creando sculture con innesti fantasiosi, quasi a voler istituire uno spettacolare bestiario vegetale», afferma l’artista.


anno, tentativo dopo tentativo, sempre mosso da un connubio di passione e di tenacia, di intuizione e slancio ma anche di rigore e disciplina, Gianluca è arrivato a padroneggiare le superfici metalliche inventando un linguaggio personale che l’ha portato a essere esposto in grandi mostre internazionali come Homo Faber, a diventare l’interprete delle arti italiane presso le ambasciate e i consolati nazionali in Francia e a New York, a collaborare con grandi gallerie internazionali fino ad arrivare alla recente asta organizzata a Cannes da Simon de Pury. Un crescendo quindi. Un ritmato crescendo di maestria, di riconoscimenti, di traguardi raggiunti che l’hanno portato nel 2016 a essere nominato tra i Maestri dei Mestieri d’Arte dalla Fondazione Cologni e che oggi lo conducono tra queste righe, annoverandolo tra i virtuosi. Il virtuoso è colui che eccelle, che ha saputo perfezionare a tal punto la propria arte da renderla uno stile inconfondibile, cesellato giorno dopo giorno con pazienza e trasporto al contempo. Ed è in 92

questo suo virtuosismo che risiede l’anima dell’artista, la sua grazia. Proprio come nel bellissimo libro de Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, del 1528, in Gianluca Pacchioni troviamo quella ricomposizione tra le armi e le lettere che lo scrittore assevera come la qualità principale della grazia (la virtù per antonomasia). Ovvero una visione integra in cui le abilità nelle armi, che qui potremmo tradurre con le abilità manuali di realizzazione, devono trovare uguale proporzione e misura nello sviluppo delle arti e delle lettere, ovvero della cultura in generale. E proprio qui risiede la virtù di Pacchioni, nell’aver ricomposto quella che per anni è stata una frattura tra la mano e la mente. Ed è sull’onda di questo continuo perfezionismo ed esigenza di sfidarsi, di aprire il fianco all’ignoranza per avere un nuovo terreno di gioco in cui apprendere, che l’artista, negli anni, ha iniziato a lavorare la pietra: marmi e onici preziose che scova in giro per il mondo come un novello Magellano già pregustandosi come trasformarle, come esaltarle,


come renderne la potente voce nascosta in una scultura suadente, morbida nelle linee come nei coffee table Teshima o nelle consolle Under the Sheets. Sculture che sono tavoli o contenitori, come il Metaphysical Cube in onice ricomposta con una tecnica ispirata al kintsugi, o che sono opere d’arte a tutti gli effetti, ormai scevre da ogni possibile uso quotidiano, se non quello di elevare lo spirito. Nascono così le sculture Eden, The Dancing Queen, fino alla recente installazione Time, presentata lo scorso aprile nel cortile di Palazzo Litta, dove è stata vista da 23.000 visitatori solo nella settimana del Fuorisalone. Una scultura che trae la sua forza dal cosmo e dal suo alter ego sotterraneo, cercando di porsi come un buco bianco tra i due grandi misteri dell’umanità. Con Time Gianluca si allontana dai limiti del mondo conosciuto per abbandonarsi ai flutti del mistero, di quei territori non emersi o sommersi che un artista riesce a rendere manifesti grazie all’intensità, o meglio alla virtuosità, del suo lavoro. •

PAGINA ACCANTO: Librerie Collapse,

in ferro con finiture ruggine. QUI: Gianluca Pacchioni, maestro

dell’arte delle pietre e dei metalli, nella sua fonderia di via Druso a Milano: l’artista-artigiano, demiurgo erede della tradizione rinascimentale, realizza opere connotate da una potenza plastica e originalità senza eguali.

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QUI: Eden è un prezioso

blocco di onice smeraldo, modellato, levigato e lucidato a mano. In questa scultura del 2020, Gianluca Pacchioni trova un momento di grande sintonia con la natura, rielaborando in modo personale la filosofia e l’estetica orientale. L’opera è stata esposta a Venezia durante Homo Faber 2022 nella sala “Italia e Giappone: le relazioni meravigliose”, a cura di Fondazione Cologni.


DE CASTELLI.C OM

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QUI: Tiara realizzata dal

Laboratorio Pieroni, su disegno della costumista premio Oscar Gabriella Pescucci, per l’attore Jeremy Irons nella serie televisiva I Borgia, 2011. Il ricercato copricapo è in metallo, ottone, oro e argento, con base in finto metallo laminato.

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Il grande sogno finzione C H I A M AT O

di Andrea Tomasi Fotografie di Valeria Bono per kreativebit.com

Figlio d’arte, contagiato da una passione senza ritorno, Massimo Pieroni ha ereditato dal padre un laboratorio tra i più rinomati al mondo per la creazione di copricapi e armature di scena, veri pezzi di storia del cinema.

«Credo che papà avesse una strategia ben precisa in mente: invitandomi a trovare la mia strada fuori dal laboratorio, senza che per forza questa coincidesse con la sua, mi ha invece spinto a osservare con più attenzione quello che lui stava facendo. E la sua, senza alcun dubbio, era una passione contagiosa. Ecco, se dovessi individuare il valore più alto che papà mi ha trasmesso, la sua prima virtù diventata poi mia, è la passione per quello che si fa. Che è certo il leitmotiv di ogni mestiere, ma del nostro in particolare. Siamo un meccanismo all'interno di un ingranaggio complesso destinato al grande pubblico e fondato sulle emozioni, se non ci mettessimo la passione comprometteremmo il risultato finale e il lavoro di tante altre persone». E la passione si percepisce chiaramente dalla voce di Massimo Pieroni, sia quando parla di questa o quell’icona transitata dal laboratorio a pochi passi dal Vaticano, sia soprattutto quando ricorda papà Bruno, figura divenuta leggendaria nel panorama cinematografico italiano e internazionale: fu lui, infatti, che nell’immediato secondo dopoguerra fondò quello che oggi si può senza dubbio considerare il più importante atelier al mondo per la realizzazione di cappelli, copricapi e corazze per film, serie TV, opere liriche e di prosa. «Tutto è cominciato negli anni Trenta, quando papà era garzone e poi artigiano presso la ditta Neri, che produceva fez e marinaretti per il regime fascista. Con l’apertura di Cinecittà

nel 1937, si spostarono gradualmente verso la nuova industria cinematografica. Nel 1941, papà fu chiamato a occuparsi degli accessori di scena de La corona di ferro di Alessandro Blasetti, film che tra gli altri vedeva tra i protagonisti Luisa Ferida, la diva per eccellenza del fascismo. Fu il biglietto d’andata senza ritorno verso un altro mondo, anzi, verso mille altri mondi e storie». Alla morte del proprietario della Neri, Bruno Pieroni decise di rilevare l’attività cambiandone il nome. Il successo arriva dopo qualche anno, non grazie al movimento neorealista che attraversa sceneggiatori e registi italiani dell’epoca, ma grazie a Hollywood. «Verso la fine degli anni Cinquanta», prosegue Massimo, «esplose la mania dei “sandaloni”, ovvero di quelle pellicole ambientate nell’antica Roma. Tanto per citarne due, ricordiamo lo Spartacus di Stanley Kubrick o Ben Hur, ancora oggi il film che ha vinto il maggior numero di Oscar. Cinecittà divenne quindi la capitale del cinema e papà si trovò a lavorare senza sosta per Hollywood. Fu un momento unico e irripetibile: pensi che per una scena del celeberrimo Cleopatra con Elizabeth Taylor dovette realizzare 1500 corazze per altrettante comparse. Oggi ne basterebbero dieci che grazie agli effetti speciali verrebbero moltiplicate all’infinito». Stagione dopo stagione, il Laboratorio Pieroni si impone come punto di riferimento internazionale, grazie anche alla stretta collaborazione con un’altra realtà d’eccellenza italiana, la


Sartoria Tirelli fondata dal collezionista di abiti storici Umberto Tirelli nel 1964. Ed è proprio negli atelier della sartoria che il giovanissimo Massimo affonda il suo primo ricordo professionale. «Sono cresciuto in bottega, anche perché pure mamma ci lavorava come modista. E così, da ragazzino, papà mi faceva sbrigare mille commissioni. Un giorno mi chiese di portare alcuni cappelli in Sartoria Tirelli, arrivai e c’era un silenzio di tomba. Nessuno fiatava, l’atmosfera era carica di tensione: al centro vidi un austero signore intento a visionare una gran quantità di capi con una minuzia che attirò la mia curiosità. Papà mi spiegò poi che era Luchino Visconti e che con lui bisognava prestare attenzione anche al più minimo dei dettagli. Un’altra delle lezioni che porto ancora oggi con me: il dettaglio fa la differenza tra un oggetto buono e uno eccellente». Da poco più di dieci anni, papà Bruno non c’è più e Massimo porta avanti il laboratorio con l’aiuto della moglie Stefania, della figlia Evaluna e della mamma Gabriella, autrice dell’iconico cappello di Kate Winslet in Titanic e che a 94 anni si reca ancora ogni mattina tra i tavoli da lavoro. «Mi piace paragonarmi a un direttore d’orchestra, chiamato a far suonare al meglio diversi strumenti. Se la cura e l’impegno sono quelli di sempre, tante cose sono invece cambiate, a cominciare dai committenti. Oggi il nostro lavoro è per il 50% legato alle serie TV, per il 30% a lirica e teatro e per il restante 20% al 98

cinema. Il nostro primo punto di riferimento, come sempre, resta il costumista, e se un tempo il confronto con i registi era pressoché una costante – e in molti casi una lezione vista la profonda cultura di alcuni di essi, vedi Visconti, Fellini o Pasolini – oggi è piuttosto raro. Il che facilita in un certo senso il processo, specie con gli americani che hanno un rispetto tale della nostra storia e della nostra conoscenza da darci indipendenza e fiducia totali». Quello che non è cambiato è il momento di confronto con gli attori che dovranno indossare i copricapi e le armature del Laboratorio Pieroni, e lì si apre un ultimo flusso di ricordi e aneddoti. «Non scorderò mai Burt Lancaster, conosciuto sul set de I promessi sposi: un gigante di due metri. Oppure Monica Bellucci, un’attrice di infinita bellezza, simpatia e pazienza. Recentemente ho incontrato un altro mostro sacro, Anthony Hopkins, che sarà l’imperatore Vespasiano in una nuova serie TV ambientata nell’antica Roma. Con loro diventiamo anche medici e psicologi, spesso li aiutiamo a entrare nel personaggio, a capire come interpretarlo nei gesti e nella postura, specie quando si parla di film in costume. Perché prima di arrivare a realizzare un capo, cappello o armatura che sia, studiamo e ci immergiamo a fondo nella storia dell’epoca. È solo in questo modo che raggiungiamo il traguardo che ci siamo prefissati: trovare il bello e l’irraggiungibile, essere una parte importante di quel grande sogno che si chiama finzione». •


A LATO, DA SINISTRA:

Copricapo in feltro flamant, velluto di seta e piume antiche, realizzato per il film Anna Karenina, 2012; elmo di cavalleria russa in cuoio e metallo con cresta di crine di cavallo per il film Waterloo, 1970; elmo in cuoio e metallo per Tristano e Isotta, 2006; cilindro e feluca del 1800, collezione privata di Massimo Pieroni. SOTTO: Corazze loriche

romane in cuoio e metallo per film La Passione di Cristo, 2004.


QUI: Massimo Pieroni all’opera:

A LATO: Uno degli interni del

il rapporto tra Hollywood e il

laboratorio di via Filippo Ermini

Laboratorio Pieroni è diventato, nel

a Roma: il lavoro a regola d’arte di

corso degli anni, sempre più solido

Massimio Pieroni e del suo staff è oggi

e produttivo, a tal punto che in

il punto di riferimento per l'artigianato

quasi ogni film in costume, italiano o

cinematografico di qualità.

internazionale, è sempre presente un copricapo o una corazza Pieroni.

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QUI E PAGINA ACCANTO:

Clavicembalo Restelli copia di un Jean-Claude Goujon (Parigi, XVIII secolo), 1990. La tavola armonica è dipinta con colori a tempera da Lucilla Trivelloni.


Alla ricerca

DEL SUONO PERDUTO La grande curiosità, la paziente cura del dettaglio e la sete di conoscenza caratterizzano Andrea Restelli, raffinato Maestro liutaio che, insieme alla moglie, si dedica alla replica, al restauro e alla decorazione di strumenti musicali storici.

di Giuditta Comerci Fotografie di Dario Garofalo per Italia su Misura – GruppoEditoriale


Riservato, schematico, introverso: Andrea Restelli si mostra con una parsimonia e una discrezione che appartengono a molti Maestri d’arte. Non sappiamo se sia peculiarità del lavoro o soltanto del suo carattere, ma ci piace immaginare che in quel silenzioso riserbo l’artigiano milanese riporti tutta la concentrazione e l’attenzione che rendono i suoi strumenti straordinari: i clavicembali soprattutto, ma anche clavicordi e fortepiani. La passione per la musica, fiorita in giovanissima età, si è trasformata in una passione per la costruzione degli strumenti. L’organo era lo strumento prediletto, tanto da essere la prima costruzione di Andrea alla Civica Scuola di Liuteria di Milano, verso cui ha virato dalla facoltà di architettura il giorno in cui la Scuola venne aperta in via Pastrengo: proprio davanti alla casa materna, ancora oggi sede del suo laboratorio (mentre la Scuola è ora in via Noto). Con il diploma (1985), che comprendeva corsi di liuteria, di conservazione e restauro, la passione di Andrea si struttura. 104

Accede a un livello di formazione accademica, rivela una eccezionale abilità di costruttore, alimenta un’infinita curiosità verso i modelli storici, di cui analizza misure, materiali, decorazioni, e di cui replica la meraviglia: con la moglie Lucilla, incontrata a scuola e dedita alla finitura e alla decorazione degli strumenti, viaggiano per l’Europa in moto, in camper, per musei e case private, facendo rilievi su strumenti storici, disegni in scala 1:1, ricerche, approfondimenti. Per vedere gli strumenti antichi, per arricchire di conoscenza l’esperienza di restauro, per conoscerli a fondo: perché ancora oggi le tecniche costruttive sono invariate, le colle sono tradizionali, i materiali identici a quelli originali. Solo alcuni strumenti sono differenti, per le sgrossature e i tagli del legno o dell’osso – usato per le placchette che ricoprono i tasti – mentre la costruzione, il dettaglio e la decorazione rimangono quelli: finissimi, quasi chirurgici. Clavicembali e fortepiani sono copie fedeli di strumenti storici. La scelta del materiale è accuratissima: abete della Val di Fiemme per le tavole armoniche; il noce italiano


per la cassa di molti strumenti Restelli, «il più pregiato e bello, senza confronti», e diversi altri in base al modello storico. I più teneri e leggeri, esteticamente meno belli, venivano decorati: laccati, come per la scuola di costruzione francese: «i clavicembali sono strumenti di dimensioni importanti, quindi da sempre hanno seguito, anche del punto di vista estetico, l’andamento di decorazione degli interni, dei mobili, in quanto elementi importanti nella casa, corte o reggia che fosse. Da Luigi XIII ai fortepiani del periodo napoleonico si sono perciò prestati a differenti tecniche di lavorazione e materiali». Lucilla Trivelloni, già formatasi alla scuola di restauro fiorentina prima di quella liutaria milanese, nel laboratorio Restelli si dedica alla lucidatura del noce o di legni pregiati, alla laccatura, alle dorature, alle decorazioni in tempera idrosolubile delle tavole armoniche, palesando la meraviglia dello strumento già nel mobile. Ma è lei stessa aiuto importante nel processo di costruzione: «la colla viene utilizzata inevitabilmente a caldo: quando l’incollaggio è ampio, su dimensioni da cinquanta

PAGINA ACCANTO: Clavicembalo

Restelli copia di un Pierre Donzelague (Lione, XVIII secolo), 2015. Dipinto a mano da Lucilla Trivelloni. QUI: Pialla Lie Nielsen n. 5.

Gli strumenti utilizzati per la costruzione e la finitura sono fondamentali e preziosi per ogni Maestro d’arte.

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QUI: Il clavicembalo Restelli copia

PAGINA ACCANTO: cassa di un

di un Goujon completo di cineserie

fortepiano copia di un Anton Walter

commissionate a Elena Felipe Royo

(Vienna, XIX secolo), attualmente

di Saragozza che le ha realizzate

in costruzione presso il laboratorio

nel 2017.

Restelli. Entrambe le foto: Archivio Andrea Restelli.

morsetti, occorre essere molto veloci perché una volta raffreddata diventa durissima, sebbene reversibile». Questa proprietà è ciò che consente propriamente il restauro, insieme alla fedeltà al materiale: «se possiamo aprirli, scollarli, è perché la colla è la stessa da trecento anni». In quasi quarant’anni di attività, Andrea Restelli ha costruito circa novanta strumenti a tastiera, tra cui un organo positivo, dieci fortepiani copie da Graf, Fritz, Silbermann e Dulcken, una sessantina di cembali a due tastiere copie da vari modelli francesi, tedeschi e fiamminghi, strumenti a una tastiera copia di modelli italiani e cinque clavicordi. Ha inoltre restaurato alcuni fortepiani, tra i quali un importante Johann Fritz datato 1814 circa, e primo in Italia e tra i pochi al mondo ad aver costruito fortepiani copie da Conrad Graf. 106

L’eccellenza del lavoro è stata dunque la conseguenza di plurimi fattori: il talento, la ricerca spasmodica della precisione, della perfezione, lo studio e la ricerca continui, la fedeltà a un metodo e ai tempi inesorabili di un lavoro paziente hanno fatto di Andrea Restelli un virtuoso della meccanica, delle tastiere, rendendo lunga la lista d’attesa del laboratorio – una lista che comprende altri virtuosi, come i più importanti musicisti legati al mondo della musica antica. La committenza internazionale degli strumenti Restelli, privata e istituzionale, tra musicisti, musei e conservatori, potrebbe da sola dire il grande apprezzamento per la costruzione e il suono eccellente che ne consegue: un suono frutto del virtuosistico lavoro di Andrea, delle sue capacità di analisi e realizzazione, nonché dell’affinamento costante di tecniche, materiali e conoscenza. •



QUI: Cassata. Le origini

della cassata risalgono al XI secolo, quando gli Arabi giunsero in Sicilia portando agrumi, pistacchi, mandorle e zucchero da canna. Si dice che un pastore un giorno unì ricotta e zucchero e chiamò questo dolce “quas’at”, cioè bacinella, dal nome del contenitore in cui aveva mescolato gli ingredienti.


Corrado ESSERE

di Andrea Sinigaglia Fotografie di Brian McGeen

Corrado Assenza è considerato un pioniere tra gli chef italiani. Formatosi in chimica e biologia, porta la precisione della ricerca scientifica nelle sue ricette, ispirandosi alla grande tradizione della pasticceria siciliana per ideare nuove e sorprendenti combinazioni di sapori.


«Non credo nella separazione tra dolce e salato. La natura non fa questa distinzione, ci può essere tanta dolcezza in un pesce quanta sapidità in un frutto». Una volta sentii pronunciare queste parole da quello che è reputato il punto di riferimento non solo della pasticceria ma anche del gusto, non solo siciliano ma anche nazionale. Questa frase, questa convinzione lungi dal giustificare un becero relativismo gastronomico che potrebbe condurre al caos perfetto apre, in verità, nella storia e nell’esperienza di chi la possiede una prospettiva fatta di esplorazione, ricerca e proposta meravigliosa. A Noto, al Caffè Sicilia, nel cuore dell’isola fascinosa e altera c’è il punto focale del pensiero e dell’azione di Corrado Assenza. Persona semplice e profonda, la sua pacatezza nel dire e nel fare è gravida di vissuto. Quando sei davanti a lui vedi uno che crede in quello che dice e fa quello in cui crede e te lo fa mangiare. Le parole stanno a zero, puoi essere in accordo o in disaccordo ma la provocazione è radicale, un’anarchica eleganza conduce la danza. Assenza è capace anche di una sottilissima ironia nel proporsi e l’ironia è come 110

le quattro dita d’acqua in cui può galleggiare un transatlantico carico di suggestioni, eversioni e perché no insurrezioni. La sua potenza comunicativa è innanzitutto data dalle sue radici, oseremmo dire “secolari”. Prima di tutto la materia prima. Punto. Conoscenza del territorio, dell’albero di mandorla o di gelso e della persona che lo cura. Il miele – materia di cui è cultore – il pistacchio, l’origano, lo zafferano, il peperoncino, la pasta e il pastaio, il gelato, il riso, specialmente il Venere, i frutti in generale ma anche il pesce e i pescatori con le loro facce rugose, la carne e i macellai, quelli veri tipo Franco, il mondo del cibo come in un pantone diventa in-grediente ovvero entra nel pensiero di Corrado e atterra nel piatto. La critica ontologica contro i semilavorati industriali, il suo essere Maestro di Arte e Mestiere, la difesa strenua dell’artigianalità, della pasticceria da ristorazione come pari dignitaria dei piatti della carta di un ristorante e non orpello conclusivo e decorativo. Tante battaglie, tante prese di posizione, tanto dialogo con i più grandi dello scenario gastronomico ma dentro una pazienza quasi indecifrabile, lo vedi salire sul palco di un


congresso o in una cattedra a New York o servirti una granita al Caffè Sicilia con lo stesso piglio e con lo stesso volto perché come gli autentici lui di faccia ne ha una. Ci piace dunque raccontare di lui in questo numero dedicato al virtuosismo perché non vogliamo cedere al manierismo nel mondo della gastronomia, non vogliamo arroccarci al tecno emozionale, vogliamo resistere, in un credo in cui alberga tanta italianità. Resistere per esistere. Corrado rappresenta la vedetta, è chiamato a incendiare i cuori, a ispirare magari a portare discordia, amen... La sua realtà è contrappeso a tutte le potenziali deviazioni che l’arte della cucina possa interpretare come falsa virtù. Corrado, kuoni e radha, che insieme significano “coraggioso nelle decisioni”. È nel tuo etimo. Per questo, per quello che fai e per il frutto che è destinato a generare il tuo essere, dedichiamo a te e a chi attende di rinvenire sulla sua strada il coraggio della decisione diamo spazio alle parole di un grande della tua terra, Elio Vittorini, che nell’incipit del suo Conversazione in Sicilia, quasi un secolo fa affondava la lama nei cuori troppo spesso anestetizzati così:

PAGINA ACCANTO: Cassatina. Tra i tanti

elementi ereditati dalla pasticceria siciliana nella cultura araba vi sono i canditi. Il nome deriva dalla parola araba qandi che indica il succo di canna di zucchero utilizzato per conservare fiori e frutti, al fine di trasformarli in dolci prelibatezze. QUI: Torta di pesca e rabarbaro.

L’approccio al mondo della pasticceria del Caffè Sicilia, a Noto, è indissolubilmente legato alle stagioni e ai ritmi della natura.

MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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QUI: Campari Sicilia, gelato fior di latte

PAGINA ACCANTO: Corrado Assenza

al bitter Campari e sorbetto di arancia

insegna alcuni segreti del mestiere

rossa. La pasticceria di Corrado

durante una lezione presso ALMA,

Assenza è da sempre contraddistinta

La Scuola Internazionale di Cucina

da una precisa linearità di pensiero.

Italiana basata a Colorno (Parma). Foto: Archivi Alma.

«Io ero, in quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica che erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete. Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non avere febbre di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad 112

esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso. Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo che cosa significa essere felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffè, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un’infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo dentro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l’acqua mi entrava nelle scarpe». •


CORRADO ASSENZA Nato a Noto (SR) dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Agraria dell’Università di Bologna, dove studia entomologia e si specializza in apicoltura. Nel 1983, il richiamo della storica pasticceria di famiglia, lo fa tornare nella città natale, per occuparsi del Caffè Sicilia. Il locale, santuario dell’arte dolciaria siciliana, propone esperienze sensoriali di naturale purezza, attraverso la bellezza e la conoscenza delle materie prime del suo territorio. La sua intelligenza, sana e poliedrica, lo rende un trapezista che gioca sul filo dei principi culinari, rimanendo sempre in equilibrio e reimpostandone ogni volta i limiti. La sua arte racchiude, in un unicum gustativo, i profumi della Sicilia, rispettando le leggi dell’armonia. Tra i tanti traguardi, nel 2018 Netflix gli dedica una puntata di Chef’s Table Pastry e, nel 2020, viene proclamato Maestro d’Arte e Mestiere della Pasticceria.


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OPINIONI

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I Maestri d’arte sono autentici virtuosi, capaci di resistere all’appiattimento della mediocrità. Portano alto lo stendardo del valore, in equilibrio perenne

RI-SGUARDO

tra talento e studio, tra ingegno e manualità, tra passione e perfezione.

Il coraggio di essere virtuosi «Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi. (…) la fortuna dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle». Così scriveva Niccolò Machiavelli ne Il Principe, distinguendo molto opportunamente tra la “fortuna” (ovvero il fato, propizio o meno che sia) e la “virtù”: il valore e l’onore, certo, ma anche la forza, l’integrità, la dignità di saper rispondere con vigore alle alternanze del caso. La virtù, i virtuosi e virtuosismi che abbiamo raccontato in questo numero rappresentano al meglio questa visione del saggio Machiavelli: perché i nostri Maestri, pur in un contesto difficile e non sempre agevole come quello contemporaneo, ogni giorno resistono alla banalità e raccontano storie di valore, di bellezza, di straordinario talento. Il virtuoso ha per definizione talento, e intorno al talento struttura un suo linguaggio eloquente e convincente: come ricordava Cesare De Michelis, il talento è infatti al tempo stesso la misura di un peso e l’indicazione di un valore monetario molto elevato. Un peso: ovvero qualcosa che inclina la bilancia spostando più in basso il piatto sul quale appoggia, finché non si intervenga per ricreare e ribilanciare l’equilibrio. E dunque il talento, come il denaro, definisce la supremazia di una parte sull’altra: e la parte che si dovrebbe affermare, noi speriamo, è proprio quella in cui il talento incontra la virtù e i virtuosismi, per creare bellezza anche quando il fato non è favorevole. Per affermare la propria tenacia grazie all’intelligenza della mano e alla sapienza del cuore. Come ricorda Massimo Cacciari, «per bene vivere occorrono industria, consiglio, arte, ma anche mani, piedi e nervi: le ragioni del corpo devono allearsi con quelle della diligenza, della sollecitudine, della cura, per sfidare fato e fortuna. Se anche l’uomo avesse il doppio dell’ingegno e non avesse la mano, ‘organo degli organi’, non esisterebbero dottrine, edifici e città». Dalla lettura di questo numero appare evidente come l’antitesi del talento e della virtù, così come li abbiamo descritti e celebrati, non sia dunque il destino avverso, ma l’ignoranza. Intesa come un’espressione di dilettantismo, di presunzione, di mancanza di profonde motivazioni, di protervia nell’agire al di sopra delle proprie possibilità non per educarsi a superarle, ma per ignorarle. Con la bellezza dei loro virtuosismi, sempre suggestivi e profondi, i Maestri d’arte ci ricordano invece che trasversale all’evoluzione del paradigma della bellezza italiana è l’equilibrio perfetto, sempre dinamico e irripetibile, tra studio e natura, tra competenza ed emozione, tra un effetto artistico sorprendente e l’emozionante precisione calligrafica (“virtuosistica”, appunto) della creazione. Solo la virtù della bellezza, oggi, ci permette di far evolvere il nostro modo di pensare la differenza e la pluralità, per accogliere il nuovo e ritrovare l’originalità, per non aver mai paura di affermare la virtù che più ci sta a cuore: la dignità degli esseri umani. •

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A POWERFUL AND FRAGILE WORLD Alberto Cavalli In his celebrated treatise The Spirit of the Laws, published in 1748, Charles-Louis de Montesquieu identified the chain of relations, or rather the organisation of relationships, through which a system can be created. A system is a set of interconnected relationships giving identity and originality to actions, interactions or procedures that would otherwise remain isolated. Indeed, the creation of a system reinforces each individual element, incorporating it within a construction of meaning that will eventually become recognisable. The splendid Renaissance masterpieces by Sandro Botticelli and Piero della Francesca, for instance, are the most tangible and evocative expressions of an inimitable era. But the talent of these artists germinated and developed in a fertile urban, social, political and cultural context, where the virtue of law made it possible to exercise freedom. Indeed, this very law brought about a number of virtuous relationships (between capital, trade, art and the crafts), which in turn gave rise to a spectacular legacy that continues to provide a potentially fertile terrain to Italy’s culture and economy. A terrain that is fertile because it is meaningful and authentic, rooted in a value that, to paraphrase Horace, we can define as aere perennius: more long-lasting than bronze. It is the value of excellence, which sets the benchmark and represents an era just as much as genius itself. Perceiving, experiencing and understanding the world of hand-crafted beauty as a “virtuous system” is to acknowledge that the creation of value takes place not in an arid or ideal context, but in a tangible and cultural one, where it is nourished by creativity and exploration, insight and knowledge. Just like the one we have described in this issue of Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture, dedicated to the virtuosos of fine craftsmanship and related virtuosities. Being virtuous does not only mean to be technically flawless. It also implies integrity, dignity and pride, which are displayed in confident yet gracious movements, in wonderful and powerful objects, and which are based on human - and therefore deep - relationships. These gestures, objects and relationships have the power to transform the world in the same way that virtue always would prescribe. All the stories we have selected for this issue highlight the “virtuous” elements of a transformation towards a kind of beauty that we all consider to be essential: the beauty that regenerates us and makes us better people. I don’t know if St Augustine would agree, but what I do know is that anyone who wishes to look up to the heavenly city, while still living in the city of man, is never afraid of transformation. On the contrary, they plan it and set it in motion. And usually manage to reach the finish line.

THE BEST OF THEM ALL Ugo La Pietra Up until a couple of generations ago, every town and city in Italy had its own artisan-artists, who were skilled in crafting objects from a variety of materials: iron, glass, clay, textiles, leather... These artisan-artists characterised the urban population, and it was indeed no coincidence that everyone was aware of the distinction between those who worked the land (farmers) outside the city, and those who made objects (artists) within the city. In the field of ceramics (and likewise in all the other trades mentioned above) there has always been a strong rivalry among artisan-artists. This widespread attitude was the cause of envy, giving rise to the urge to cultivate one’s “inventions” in secret, to the pursuit of customers and the constant endeavour to keep hold of them. The strategy most frequently adopted by artisan-artists engaged in the same line of business was to flaunt their “superior skills”. Skills 116

that they had to express in a powerful way, if they wanted to distinguish their work from that of other artisan-artists who manufactured the same types of goods using the same techniques. In order to achieve this result, attempts have always been made to invent original creations. But when this was not enough, they often resorted to exalting their craftsmanship, presenting increasingly sophisticated evolutions in the use of materials and colours, and in increasingly elaborate displays of virtuosity. Bizarre and exaggerated manipulations have all too often characterised initiatives aimed at communicating the “worth” of the artisan-artist, though it would be better to say of the artisan, at the expense of the artist. Indeed, the very act of forcing the competition to focus on manipulation meant that the quality and originality of the research became less and less important, more often than not crushed by a bizarre imagery that often verged on being kitsch. For this reason, we have often witnessed the decadence of those artisans who have focused entirely on competition, giving priority to increasingly sophisticated elaborations. The practice of virtuosity, which has often added value to an artist’s work (think of Paganini), has not always been a guarantee of quality! A fact that is well known to ceramicists in Caltagirone, Vietri, or even Capodimonte. Once they lost their folksy genuineness, their skill in the creation of anthropomorphic, zoomorphic or phytomorphic figures degenerated into indecent, almost obscene, hyper-realistic ones. The artisan-artist’s greatest skill, which can verge on virtuosity, often meets the approval of the buyer or collector who, unable or unwilling to grasp some of the more conceptual aspects of an artwork - namely meaning, originality, social motivations, the ability to renew the models of the past - appreciates its excessive workmanship, the overabundant decorations, the scale and/or the sheer number of variations on the same theme. Yet there are works that actually succeed in increasing their value thanks to their redundant virtuosity. It would suffice to look at certain (so-called baroque) ceramics by Lucio Fontana, a celebrated Maestro who has inspired young creators such as Francesco Simeti, Salvatore Arancio, Sissi... Artists working intuitively, manipulating matter in search of the “marvellous”, giving free rein to the repression that characterises a generation of makers who believe they can conquer the market using the medium of “wonder”. This represents an alternative path to the now widespread use of video manipulations: works executed by putting one’s hands in the matter, without being ashamed of being excessive, going so far as to make the exaggerated use of virtuous manipulation, the alternative, hence distinctly different, model of virtual reality.

THE FUTURE OF VIRTUOSITY Stefano Follesa One of the most elusive concepts in the contemporary world is that of the virtuoso, the definition of which needs to be adjusted to ever-changing scenarios. According to the Italian Treccani dictionary, a virtuoso is “an individual who excels in an art”, and uses “the technical resources associated with an art with absolute mastery”. The term “technical resources” (which can cover a wide range of meanings, from machinery to techniques) seems to suggest that manual practices and digital techniques are encompassed in a calibrated balance. However, this definition does not clearly explain the role played by the human intellect. Is virtue to be found in the hands or in the mind? Does it unfold in the execution of a gesture or in the implementation of an idea? Is the virtuoso the person who performs a work masterfully, or is it the person who conceives that work? In the field of music, we would probably argue that virtuosity lies in the execution. A virtuoso is thus the musician who plays Paganini’s sonatas in a superb way, and not the composer (although in Paganini’s case, the “devil’s violinist”, he was also an outstanding performer). In music, the concept of


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virtuosity is related to the genesis of the concert, and to the notion that the act of performing is separate from the act of conceiving. On the other hand, it is equally true that the execution is guided by the mind, hence the real difference probably lies in the divide between a mere execution and an interpretation. The act of interpreting implies an action that is driven by a combination of mind and heart. For Finnish architect Juhani Pallasmaa (The Thinking Hand, 2009), the hand is not just a tool, but rather the special place in which thoughts materialise: “Intention, perception and the work of the hand do not exist as separate entities.” But in order to aspire to virtuosity, this interaction needs to develop in the repetition of the gesture. According to the author, it is necessary to “halt time, and defend the natural slowness and diversity of experience”. Hence, experience accompanies virtuosity by imparting stability to talent. It is experience (consisting of ongoing innovation and experimentation) that guides the transition towards excellence within the dimension of time. Nevertheless, an additional element needs to be taken into account. When we observe the bas-relief of the Madonna della Scala, which Michelangelo executed at the age of 15 in Lorenzo de’ Medici’s sculpture garden at San Marco, we wonder whether virtuosity is inborn or whether it is the result of a natural talent in the continuous practice of an art. In all arts, the virtuoso is an exception, not the rule, and is defined in terms of an interpretative skill that combines talent, manual dexterity and experience. Debating virtuosity becomes even more significant if we can appreciate the changes in the term’s meaning in relation to the future. How can we define the virtuoso of tomorrow in the context of making? Future scenarios seem to want to restore meaning and purpose to the term. We are heading towards a time of rediscovery, both of the making and of its value. Craftsmanship will increasingly become the great experimental laboratory in which the most important developments take shape, both in terms of the emergence of new figures connecting design and making, and of the progressive innovation of processes and languages. The virtuosity of tomorrow will combine the culture of aesthetics, inspired by heritage, with a manual expertise that is part and parcel of our craftspeople. The issue, once again, revolves around the confrontation between history and the future. A virtuous dialogue between a past that managed to establish a lexicon of elements in which the community could identify itself, and a future that can start from these elements to support a new idea of virtuosity that lies in the connection between thinking and making.

ALBUM Stefania Montani Antonella Cimatti Via Dino Campana 49, Faenza (Ravenna) Tel. +39 328 4817579 Antonella Cimatti has never been short of creativity. She was still little more than a child when she used to create trompe l’œils on her bedroom wall, inventing niches and shelves. She also designed outfits for herself, which she would then ask her parents, who were both dressmakers, to make for her. After studying ceramics at the Istituto d’Arte Ballardini in Faenza (where she later taught for many years) and graduating from the Academy of Fine Arts in Bologna, she started experimenting with different techniques, combining a variety of diverse materials to study how they reacted. “My great passion for ceramics has grown hand-in-hand with my research,” says Antonella Cimatti. “While studying at the Academy, I used to mix mosaics and clay. Occasionally they would burst in the kiln, but they also produced very impressive results.” The fact of becoming one of the most innovative and talented Italian master ceramicists hasn’t stopped her experiments. The shelves and workbenches

in her Faenza workshop are full or jars with clay mixtures, moulds, pencils, brushes, colours and large syringes. “In the early days, I used to make majolicas painted with traditional ceramic patterns. Then, in the early 2000s, I felt the need for change. I was inspired by crespines, objects that were popular in the courts of Faenza during the Renaissance. Traditionally, they were thrown on the lathe and then carved with a small knife. I reversed the process, changed the mixture, and started to produce them in porcelain. For the decoration, I use a syringe, with which I create the design on a refractory base.” With this innovative technique, she crafts colourful butterflies with ultra-light wings that, thanks to the play of light, make them appear to be ready to take flight. Even the rest of her production, ranging from vases and bowls to flowers in various sizes and colours, looks as if it were made of lace. “I am currently exploring the concept of motion with a project inspired by Calder, which is based on lightness and a sense of balance,” confides the ingenious master artisan. Antonella Cimatti holds courses and workshops in Italy and abroad. antonellacimatti.it Elena Arienti Carate Brianza (Monza Brianza) Tel. +39 0362 907490 After attending the vocational training schools in Cantù from a very young age and following many specialisation and advanced courses, Elena Arienti obtained her certification as a professional lacemaker. “’Lacemaking is a priceless art that needs to be nurtured with patience and passion. Cantù has been an important manufacturing centre since the 17th century, and to this day it carries on this tradition of Italian excellence, which we are committed to preserve,” she explains. “’For this reason, we established the Committee for the Promotion of Cantù Lace. Renata Casartelli, the committee’s chairperson, is also the director of the International Lace Biennial, which will be held in October this year.” “Bobbin lace,” she continues, “is a time-honoured speciality. It is made by braiding and twisting lengths of thread with very simple tools: pillow, easel, pricking cards, pins, bobbins and hook. There is an infinite variety of typical Cantù stitches: Ornato, Biscetta, Venezia, Mimosa... There have also been cross-pollinations with other cultures and traditions: for example, the nuns of Cluny, who arrived here in the 17th century, introduced the namesake stitch, while the Rosalind stitch was brought by a religious community from Belgium.” The quality and value of the lace depend on two closely related criteria: the novelty of the design, which only creativity can provide, and technical perfection, which requires a consolidated expertise. The synergy between design and craftsmanship has been successfully achieved in Cantù, and it is much appreciated also in the fields of fashion and furniture. “We normally use cotton, linen and silk threads. For special productions, in fashion and furnishing, we sometimes use metallic threads. Lace is commonly used for inserts in curtains and tablecloths, or as trims to embellish certain items of clothing.” Elena Arienti also specialises in making designs and pricking cards, a very complex art. She loves to teach, “so that this centuries-old heritage is not lost,” she says. She was awarded the MAM-Master of Arts and Crafts title by the Fondazione Cologni. facebook.com/merletto.biennale Gioielli Donati Corso Mazzini 112, Montebelluna (Treviso) Tel. +39 0423 600763 Donatella Pozzobon and Livio Busato are two outstanding goldsmiths who create refined jewellery in gold and silver using age-old techniques. Enamoured with the goldsmith’s craft from a very young age, Donatella studied and perfected her skills in various professional schools, instilling her passion in Livio too. Their workshop is located behind their showroom in the centre of Montebelluna, a charming town in the province of Treviso. Thanks to a melting furnace, MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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a wire-drawing machine and a range of special tools, the duo can carry out the most elaborate processes and give life to precious jewellery. “When we started, in 1974, our workshop was in our home,” says Busato. “Then, in 1983, we moved into this space. Donatella and I enjoy studying not only the designs of our jewels, but also the ways in which we can transform them into ‘something else’.” Pozzobon explains: “We created a ring with a double band that can be opened and transformed into part of a bracelet or choker. We also made a ring divided into three parts, which can become a pendant or a necklace clasp, as the wearer prefers.” And in fact, they are well known for their refined and creative transformable jewellery. “The success of our jewels also depends on the skill of the cutter with whom we have been working for a long time,” continues Livio Busato. “Together we work out the most suitable cuts, which he always performs by hand, in order to give the gemstones and the other natural stones we use as much light as possible. We like to work with pink tourmalines, rubellite, amethyst, white and blue chalcedony, rock crystal and rhodochrosite. Occasionally, we design a piece of jewellery together with our customers, in order to interpret their wishes more accurately. We often use silver, both white and gold-plated, to experiment with different manufacturing processes. Silver is a very noble and malleable material, which enables us to carry out even complex processes, resulting in extraordinary effects.” In the name of the finest craftsmanship, Pozzobon and Busato have established a wonderful partnership in both life and work. gioiellidonati.it Rosmundo Giarletta Corso Garibaldi 90, Eboli (Salerno) Tel. +39 333 4543263 Rosmundo Giarletta is an extraordinary master artisan, who has cultivated his creativity from a very early age, attending the best goldsmithing schools. “As a child, I was fascinated by my mother’s hands while she sewed. I used to watch her for hours. That’s when I decided to harness the skill in my hands and become a craftsman.” After completing the goldsmiths’ school in Florence, in 1982, and training in a workshop on the Ponte Vecchio, Giarletta decided to return to Eboli, his home town in the province of Salerno, to open his own workshop. “Things weren’t easy in the beginning, but the breakthrough finally came in 1995. After years experimenting with new techniques, in which I combined the oldest and most traditional ones with my own experiments, I came up with a unique and peculiar process that I named ‘figurative honeycomb’, in which the decorative pattern is created by welding together layers of gold previously cut out with a fretsaw and spiral drills.” In those days, his jewels won the admiration of Prince Rainier of Monaco, for whom Giarretta would serve as personal goldsmith for many years. To mark the 700th anniversary of the Grimaldi family, Giarletta created Te Deum, a jewel that H.S.H. Rainier III defined a masterpiece of fine goldsmithing. This “honeycomb” creation was made by Giarletta with just a fretsaw: each layer of gold was first hollowed out and then assembled to create images depicting the story of the Principality of Monaco. His best-known work, Parsifal, is an exquisite jewel with an elaborate symbolism. It was first exhibited at Villa Rufolo, in 2002, for the 50th anniversary of the Ravello Music Festival. “I was inspired by a letter, preserved at Palazzo Grimaldi, which Nietzsche wrote to one of his friends,” reminisces Giarletta. “My jewels are invariably influenced by different cultures, especially ancient ones, and by the local territory. For example, the 4th-century mosaic floor dedicated to Dionysus.” Giarletta has succeeded in passing on his passion and skills not only to his sons Giuseppe and Francesco, but also to some 70 goldsmiths in the province of Salerno, all of whom are his devoted disciples. “The goldsmith of princes” was presented with the MAM-Master of Arts and Crafts award in 2018. rosmundo.it 118

Umberto Ughi Via Gaetano Sbodio 29, Milan Tel. +39 335 8011286 Umberto Ughi is a young and eclectic artisan-artist who, after graduating in philosophy at the University of Brighton, decided to turn his life around and engage in his true passion: sculpture. The son of a sculptor, Ughi tells us about his beginnings: “I have always been drawn to sculpture, and when I returned to Milan, after university, I had the good fortune to be hired by the historic Fonderia Artistica Battaglia, where I was assigned to the department dedicated to moulding and lost wax casting. I knew from the start that I had found my way. I ended up specialising in casts, creating sculptures by great artists such as Velasco Vitali, for whom I cast a dog that was exhibited at the Venaria Reale and at the Royal Palace in Turin.” Working in the foundry alongside other artisans, Ughi was introduced to artificial marble, also known as faux marble or scagliola, a technique developed in the 19th century in the town of Rima, Piedmont, and which was used to decorate palace rooms and halls at an affordable cost. “The compound is made mixing animal glues, mainly rabbit, and oxide pigments together with different colours, creating a veining very similar to that of marble. This mixture is applied onto the surface, which can be either made of plaster or brick, to create truly amazing effects.” In his studio next to the Fonderia Battaglia, Ughi decided to combine the scagliola technique with that of the moulders in the foundry, thereby reviving a material that had almost been forgotten. This is how his sculptures originated, inspired by research into both forms and materials: the boat, the olive tree, the peacock... “After shaping the plaster, I create the mixture that I think is most suitable for the work I have in mind. To bring my subjects to life, I often combine artificial marble with bronze, glass, clay. I enjoy experimenting and developing different techniques: my research is based on the potential of each material.” umbertoughi@gmail.com Luisa Canovi - Origami Do Via privata Sartirana 6, Milan Tel. +39 333 3836620 Luisa Canovi was the first person in Italy, and possibly in Europe, to transform the traditional Japanese art of origami into a thousand new and unexpected shapes. In the 1970s, while a student at the Academy of Fine Arts in Venice, Canovi was assigned the task of making a paper object without using neither pencils nor scissors nor glue. “As I folded the sheet, I realised that the pleats had created amazing three-dimensional effects of shadow and light. I was so impressed that I went to the Biennale’s archives to hunt for information on origami. I could only find one book, but that’s what set me off on a research that has never stopped. Later on, in Bologna, I graduated at the DAMS in animation movies and set design with a film featuring animated origami,” she recalls. Canovi’s journey had only just begun. “When I arrived in Milan, I opened a cultural association called PaperFactory, offering workshops and courses with paper, which many artists attended, including Caterina Crepax. I began creating origami installations that were used in fashion, design and advertising.” Among her many extraordinary works are the flights of white doves, the multicoloured kites and the sculptures reproducing the folds of plissé soleil. “The paper must be of the finest quality, strictly washi, which means handmade in Japanese. I use what is commonly known as rice paper, but is actually made from mulberry. In my studio I have an archive with many different types of paper and cardboard, white and coloured, and in all sizes. Many of the brands I use are Italian, such as Fabriano and Fedrigoni. But I never use recycled paper, because once the fibre has been used, it does not retain the fold and breaks very easily.” Some of the works Luisa Canovi likes to remember include the installation she created for a food-themed jewellery exhibition staged at Palazzo Morando during Milan Expo. “Since the culinary theme was at the heart of the exhibition, with the help of a colleague I used the origami technique with white paper to create a


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series of plates, teapots, cups and a giant coffee pot. It was a great challenge, but also a lot of fun.” Luisa Canovi also likes to express her creativity with suminagashi, the Japanese paper marbling technique: “Using a brush, stone, ink, paper and a bowl of pure water I sketch the sea and clouds, immersing myself in meditation.” She currently dedicates most of her time to teaching. “I also write many books, because I want to make sure that this ancient knowledge is preserved.” origami-do.it Matteo Seguso Campiello della Pescheria 3, Murano (Venice) Tel. +39 041739569 One of the most talented glass engravers in Murano inherited his passion for this traditional art from his father, master engraver Bruno Seguso. “I started working in my father’s workshop in 1999, just to please him,” confides Seguso. “I never imagined that I would end up loving this craft. I was taught all the secrets of the trade by my father and his associate Paolo Linzi.” Matteo Seguso specialises in manual wheel-engraving, and creates artistic decorations on glass objects in every shape and colour using a fixed lathe with interchangeable disks and mandrels. “When my father closed his business, in 2006, I decided to open my own, which I called Matteo Seguso Incisore d’Arte su Vetro. I soon started collaborating with designers, and in 2007 with Maestro Lino Tagliapietra, a world-famous Murano artist, who took me with him to demonstrate this craft in academies in the US, such as the Corning Museum of Glass in New York, Urban Glass in Brooklyn, and Pittsburgh, and all the way to Canberra, in Australia.” Lino Tagliapietra introduced him to another cold-crafting technique: battuto. Although the term literally means “beaten”, this technique consists in creating irregular marks on the surface of the glass object with the grinding wheel. “Originally used to hide or remove bubbles, defects and other impurities, today this technique is very soughtafter,” explains Seguso. “In addition to traditional decorations, which include grapes, flowers, leaves and diamond shapes, we have been experimenting with many techniques, including engraving, carving, diamantino and battuto. I also do a great deal of customisations, even for companies, creating logos, family crests, monograms, and bespoke designs.” To communicate his passion, he particularly enjoys demonstrating his skills, so in addition to holding courses in his workshop, he also participates in exhibitions and trade fairs. Equipped with a portable lathe, he creates his engravings in front of an admiring and enthusiastic public. Matteo Seguso was awarded the title of MAM-Master of Arts and Crafts in 2018. matteoseguso.it Stamperia d’Arte Busato Contrà Porta Santa Lucia 38, Vicenza Tel. +39 0444 513525 Time seems to stand still in the Busato print shop. This enchanted place, tucked away in a 16th-century mansion in the centre of Vicenza, houses a workshop and a fascinating archive dedicated to the art of printing, spanning from the mid1940s to the present day. Giancarlo Busato, who represents the third generation of this family of master artisans, narrates: “My grandfather Ottorino decided to set up his own business in 1946, after having worked for years in a number of major printing houses, where he had gained a considerable amount of experience. Then, in the 1960s, the workshop took a new and exciting direction when my father Giuliano started collaborating with artists of the calibre of Neri Pozza and Tono Zancanaro, with whom he developed a very close relationship. Since then, this understanding between artist and printer is what makes our print shop truly unique. I have worked side by side with Vivo Calabrò,” he continues, “a great artist who, along with my father, has been an example and a point of reference in my life. I still use the old printing presses, the inks, the hand-cut cotton paper…. To the students who come to see me I try to pass on the skill of using dies, as

well as my passion for this craft.” The atelier specialises in stone lithography, woodblock printing and copper or zinc chalcography. “Each of these techniques has its own tools,” Busato explains. “We always start by preparing the wet paper: each sheet is soaked and then left to rest overnight. The matrices too have to be prepared with great care: the quantity of ink must not be too much, but it still has to fill the etchings that represent the artist’s design. When the matrices are placed on the printing press, we regulate them with adjusting screws to make sure that they are perfectly in place.” Giancarlo Busato is so keen on making this time-honoured craft known that he collaborates with many schools and even opens the doors of his print shop to tourists. “At least one thousand students visit my workshop every year: I hope that someone among them will be inspired to carry on my activity.” Busato received the MAM-Master of Arts and Crafts award in 2020. stamperiadartebusato.it Essezeta Plissé Via Zocco 6/I, Adro (Brescia) Tel. +39 030 7457343 This inspiring story offers hope that manual skills and know-how will continue to be passed on to the new generations. The protagonist is Essezeta Plissé, which in 2019 took over the renowned Florentine atelier Plissettatura Milady from Marco Viviani and his wife Roberta. The aim of the acquisition was to ensure the continuity of an all-Italian excellence. “Before his retirement, Marco Viviani was looking for someone who would continue his business while preserving the outstanding quality that characterises his production,” explains Claudio Savoldini. “My own parents, Giuseppe and Francesca Romana, had been pleating fabric for three decades, training my brothers and I in the trade over the years. Together with the company we also acquired Milady’s archive of cardboard moulds. We then took over Tessilpiega, another long-standing artisanal company in Milan. We equipped a workroom of roughly 2,000 square metres where we carry out the pleating process. Today 22 people work in the studio, including my parents, my brothers Paolo and Cesare and their wives. All united by the same passion for this profession.” This generational continuity shines a light of hope on the future of Italian craftsmanship. Following a difficult start, which coincided with the beginning of the pandemic, the Savoldini family now works at full steam for many fashion houses: Prada, Valentino, Gucci, Armani, Saint Laurent. Their range of pleats is wide and assorted: flat pleats in varying widths, shaped pleats, accordion pleats, gathered pleats, flared pleats, as well as origami pleats, sunray pleats and sunray origami pleats. The manufacturing process involves the use of both manual techniques and special machinery. “The moulds are all handmade. First, rows of lines are drawn on the cardboard sheets, which are then folded one by one,” explains Savoldini. “The fabric is spread out, rolled into matching moulds, fastened with a rope and steamed in a special kiln. Sunray is the most famous and versatile type of pleating: it can be made on any type of fabric - from linen to silk, from straw to leather - in infinite sizes and combined in many different ways.” essezetaplisse.it Puscina Flowers Podere Puscina 65 Montefollonico (Siena) Laura Cugusi tel. +39 333 8178202 Teresa Cugusi tel. +39 328 5539699 Puscina Flowers was created in 2016 by Laura, Mara and Teresa Cugusi, three brave sisters who loved nature and their homeland. Their life-changing project consisted in creating, under the banner of sustainability, an organic garden of seasonal flowers and foliage. Their dream garden is in Tuscany, between Val D’Orcia and Val di Chiana. “’We were all working in different fields,” says Laura. “But we embarked on this project because we wanted to breathe new life into the family property, inherited from our grandfather and our parents. Only MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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Teresa and I remain now, with three co-workers plus my mother, our pillar, because Mara has moved abroad to follow her heart.” The garden consists of 25 hectares of farmland, 25 hectares of forest and one hectare for the flower arrangements. “It all started with a book, The Secret Language of Flowers, which was a revelation and a stimulus for us to embark on this journey. The beginning was tough, but eventually we became experts. People were getting to know us, we started to organise events and weddings, and everyone appreciated our farming philosophy: heirloom seeds and new rhizomes, in the name of tradition and research.” The garden currently counts more than 200 varieties and 400 species of flowers, all grown without the use of fungicides or pesticides. Ancient blooms and cut flowers, roses and grasses, bushes and bulbs grow in harmony with wild herbs. “We use a natural farming method that is based on the development of the plant’s immune system,” Laura explains. “Most of the plants are grown in the fields, allowing them to develop naturally. Our garden is almost self-sufficient and human interaction is kept to a minimum. We do not use environmentally harmful substances such as foam and plastic. For our compositions, we only use natural, biodegradable and reusable materials.” Their creations are in high demand thanks to the uniqueness of the flowers. On their estate they offer courses in cutting, conservation, flower arrangement and how to care for green spaces in a sustainable way. Puscina Flowers is a founding member of Slowflowers Italy: a haven for bees and other pollinating insects. puscinaflowers.com Valentina Giovando Via Domenico Fiasella 3, Sarzana (La Spezia) Tel. +39 0187 954630 An atelier of wonders, a “magic room” where everything is transformed and born again in new forms. This is where Valentina Giovando, an eclectic artisan designer from Sarzana, combines the most diverse materials to create original furnishing accessories. Until 30 years ago, she was engaged in furniture restoration and dealing in antiques. Then, all of a sudden, everything changed. “One day I was browsing around in a junk shop, when I came across a box full of crystal elements for chandeliers, which nobody wanted anymore,” remembers Valentina. “I was thunderstruck. I bought them, cleaned them, sorted them and created my first works: a lamp and a screen with 680 crystals hanging from them. I brought them to Paola Colombari’s gallery in Milan. She loved them, and made me take part in my first Salone del Mobile. After that experience, we continued to work together for 10 years.” Passionate and brimming with ideas, Giovando is endowed with a creativity that is out of the ordinary. Most of the objects she transforms come from flea markets: furnishings, lamps, boxes, chairs, screens, and also textiles and trimmings. Equipped with hammer and nails, scissors and pliers, she rescues elements that she mixes together, turning the most anonymous of accessories into extraordinary one-of-a-kind pieces. She also brings new wooden structures to life by adorning them with various inserts in different materials. “I just love to cover pieces of furniture with special fabrics, preferably glossy ones such as silk, brocades and damasks, onto which I incorporate sheet metal cuttings, brass fragments, screws, studs, crystals, fringes, sequins, passementerie... Then I coat everything with a layer of fibreglass, in which I hammer nails that break the surface, producing very decorative star patterns.” Each item is a one-off, handmade with the assistance of two of her skilled assistants. “I work on many projects, most of which are commissioned from outside Europe (Morocco, Egypt, Asia, the UAE), but I also collaborate with architects based in London and New York.” Antique and modern, primitive and industrial, humble and precious: Valentina Giovando has the gift of transforming materials into unique and extraordinary objects. valentinagiovando.com 120

Pietro Virzì - Vimas Arredo Via Sandro Botticelli 30, Milan Tel. +39 02 2615567 He is the trusted upholsterer of Christian Dior Italia, the French maison for which he makes the store furnishings. An extraordinary master craftsman, Pietro Virzì also works with other big names, Chanel and Omega for example, and enjoys creating out of the ordinary upholsteries for important events, such as Milan’s Salone del Mobile. In 2018, he was awarded the MAM-Master of Arts and Crafts prize from Fondazione Cologni in recognition of his talent and his commitment to pass on his knowledge to young people. “Things weren’t easy in the beginning, though,” Virzì confides. “’I remember that as a young lad, I was enchanted by an upholsterer’s shop window and resolved that I too would be able to do the same one day. At the time we were living in Bollate, and my family did not have many means. So, from the age 14 to 17, after school I attended evening classes in a vocational school, while on Saturdays and during school holidays I worked as an apprentice in an upholsterer’s workshop. My fascination for this profession was such that I was prepared to face any challenge,” says the talented craftsman. “I was blessed to have been taught by the best upholsterers, who took me under their wings. At the age of 24, I managed to open my own workshop in Milan, and I called it Vimas.” Since then, Virzì has not only been making upholsteries, curtains, furnishing elements in every possible style for private customers and renowned architects. He has also been pursuing the dream of opening a training institute. “I joined the board of Tisea in 1992 and since 1994 I have been responsible for C.I.T.A., the Italian association of upholsterers. I tried to save the vocational school where I had been teaching since 1994, but it was closed in 2002. We have recently succeeded in setting up a course, and I hope that it will be soon recognised formally, so that we will be able to award a professional certificate to the young people who are attending it. Apart from teaching students how to make an armchair, my purpose is to make them fall in love with this craft and pass on my knowledge. It is essential to offer 15-year-olds the opportunity to choose a career in the crafts, and help them understand that with their hands they can create what the customer is asking for. Not only to please the customer, but above all to make themselves happy.” And he concludes with a smile: “I can honestly say that it’s not so much that I have worked for 40 years, but that I have been enjoying myself!” Enjoying the happiness of making... vimas-arredo.it

THE MARRIAGE OF SILVER AND GLASS Alba Cappellieri Virtuoso is a powerful, substantial word, which opens worlds and connects them together. It comes from the Latin virtus, meaning strength, which in turn stems from vir, man, the origin and end of all virtues. So, the virtuoso is someone who uses his or her strength deliberately and perseveringly, withstanding the ups and downs of fortune, with the ultimate goal of achieving a higher purpose. Over the centuries, virtues have been interpreted in many different ways, according to the historical context. For the Romans, virtues were essentially moral, designed to express and attain common good. The Middle Ages emphasised the spirituality of theological virtues, which had God as their formal object: “O prime enlightener! …Grant virtue now to utter what I kenn’d,” wrote Dante. In the enlightened 18th century, however, a virtuoso was someone who excelled in an art, primarily music, to the point of mastering its techniques to flawless perfection. Niccolò Paganini, one of the greatest violin virtuosos, emphasised this fusion of talent, mastery and technique when he stated that “virtuosity is the art of expressing the impossible with ease”. Ever since the Age of Enlightenment, a “virtuoso” is someone who can exceed


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the boundaries of technique and achieve a level of perfection beyond the reach of most people. Someone who displays exceptional skill, talent or mastery in fields such as music, art, sports or other disciplines. In music, for example, a virtuoso is an exceptionally talented and skilled musician who plays an instrument with outstanding accuracy and dexterity, but also intuition and creativity. The same applies to all the arts, where a virtuoso is not only someone who masters a technique superbly, but also someone bold enough to overcome the boundaries of discipline, and merge aesthetics, techniques and inspirations. In this perspective, the recent collaboration between Buccellati and Venini is a fine example of contemporary virtuosity. It expresses mastery in two different fields of excellence, silversmithing and glassmaking, and demonstrates that innovations are not related exclusively to the invention of something new, but, as Schumpeter argued, that they can arise also from the noble traditions of the past. This is certainly the case with the silverware made by Buccellati, the Milan-based Maison founded in 1919 by Mario Buccellati, and now part of the Richemont Group. Thanks to Mario Buccellati, who revived time-honoured silver and goldsmithing techniques of the Renaissance, especially engraving and openwork, developing them in line with contemporary aesthetics, the Maison’s jewels and silverware are admired across the world for their exquisite workmanship and for the elegance of their design. The glassware made by Venini on the island of Murano has also enchanted the world with its timeless beauty and the craftsmanship of centuries-old techniques. The origins of the glassworks date back to 1921, when Paolo Venini, a lawyer, founded the company Vetri Soffiati Muranesi Cappellin Venini & C. in partnership with Giacomo Cappellin, a Venetian antiquarian, Luigi Ceresa and Emilio Ochs. Their aim was to update the ancient art of Murano glass, and make it one of the highest expressions of Italian quality and beauty. Both established at the beginning of the 20th century, Buccellati and Venini share many common values: stories of foresighted men and enlightened patrons, of large families united by love and business, of technical breakthroughs and millenary traditions combined to generate legendary creations. Buccellati and Venini are world ambassadors of Italian beauty and they share a heritage of virtuosity related to the great Italian traditions of two marvellous materials such as silver and glass, skilfully updated in their techniques and reinterpreted with a contemporary spirit. And the connections do not end here. Few people know that the first artwork that Gabriele D’Annunzio commissioned to Buccellati, in 1922, was related to glass: the binding of a fragment of Saint Mark, a two-tone glass, garnet red on one side and ancient gold on the other, which was particularly dear to the Italian poet, and who intended to use it as a precious gift. “It was a very difficult job,” Mario later recalled, “but we succeeded in creating the binding. D’Annunzio liked it so much that it literally bound us together from that point on.” A fact confirmed by the poet himself in a letter dated 7 November 1922: “My dear Buccellati, the binding of Saint Mark’s fragment is wonderful. I have to praise you for it, and congratulate myself too. Your fine artistry is going from strength to strength.” One century later, Buccellati presents Rosso Maraviglia, a collection that pairs the Maison’s signature silver creations with Venini’s iconic Fazzoletto and Deco vases, and Narciso and Venere centrepieces. The sinuous, rippling lines of the Fazzoletto vase, created in 1948 by painter Fulvio Bianconi, are enhanced by an elegant decoration of silver fruit and leaves around the base. Buccellati performs a similar intervention in the Deco vase, designed in 1939 by Napoleone Martinuzzi, then director of the Murano Glass Museum: its rhythmic composition, made of horizontal opaline glass ribs, is further emphasised by the addition of rows of silver ribs at the foot and mouth of the vase. Lastly, the Narciso and Venere centrepieces, crafted in layered glass using the opalini technique, are enriched with a silver stand featuring a lush fruit decoration and a crown of shells. To remind us that, in Mario Buccellati’s words: “Silver is like bread: the more you knead it, the more beautiful it becomes.”

CASTORINA 1895: FINE CABINETMAKING IN FLORENCE Maria Pilar Lebole When strolling around Florence, you can immerse yourself in the Oltrarno neighbourhood and imagine that, concealed within the walls that separate it from Porta Romana, there are waterlilies and graceful examples of architectural designs immersed in landmark green areas such as the Giardino Torrigiani, Europe’s largest private historical gardens, not far from the more majestic Boboli gardens, which present themselves to the city beyond the mighty arms of Palazzo Pitti. This is Florence’s Left Bank, a maze of narrow streets locally known as chiassi, coste, corsi and sdruccioli, which form the close-knit web of the more working-class area of the city, where for many decades artisan workshops have represented the defining feature of the streets portrayed in Vasco Pratolini’s novels. Running parallel to the Arno River is Via Santo Spirito, with its imposing patrician palaces. This is where Castorina, one of Florence’s most distinguished artisan businesses, welcomes visitors in a stately residence imbued with a mysterious, understated atmosphere. A woodcarving workshop since 1895, Castorina is an authentic treasure chest of outstanding artisan skill. Far removed from the mass tourism that swarms the city centre, Castorina continues to exist and resist, like the rest of the neighbourhood, offering the value of tradition with all the simplicity and beauty of the master artisan’s workmanship. The family enterprise, currently run by the fourth generation of master woodcarvers, is celebrating its 128th anniversary. As a teenager, Marco Castorina learned to recognise the varieties of wood grain and the scent of timber. Day in and day out, he would scrape frames and furniture following his father Mario’s example, because the art of carving is mastered in the process of working and is nurtured by the sounds of the tools and the magic of gold leaf gilding. In 2007, Marco took over the management of the time-honoured atelier, continuing to perform each step exclusively by hand, starting from the drawing, carving and gilding, up to the lacquering and varnishing. Models of Renaissance-inspired rectangular or square frames and gold leaf backgrounds are exhibited on the walls along with a rich variety of accessories and semi-finished products. More than 5,000 items make up Castorina’s vast assortment of friezes, frames and custom-made cabinetry crafted to furnish homes, villas, private residences and hotels. Right at the entrance, two majestic life-sized wooden wings welcome visitors, who can thus capture in a snapshot the memory of this timeless place brimming with countless wooden and gilded elements in classical decorations, beckoning visitors to delve into the phantasmagoria displayed on the atelier’s walls painted in Tiffany blue. The long history of this family business can be traced back to great-grandfather Mario, woodcarver in Catania since 1895. At the beginning of the 20th century, he moved to Rome in search of fortune, where he opened a workshop to build and restore furniture. Together with his teenage son, he engaged in woodcarving until he managed to secure a large commission from the Vatican. In 1942, Mario moved the family to Florence, and opened a new business on Via Maggio, where the majority of craft workshops were concentrated. The Castorinas specialised in cabinetmaking, woodcarving, restoration and decoration, also embarking on the production of small religious-themed items. This range proved so successful that they were soon in a position to purchase a bigger space on Via Santo Spirito, where the family, supported by its apprentices, managed to consolidate its production along with the company’s fortunes. If the 1966 flood, along with the mud and debris and the consequent loss of all the family’s savings, represented the workshop’s darkest hour, it ended up being the prelude to a more prosperous future. Indeed, the calamity boosted the demand to rescue the city’s flooded artistic heritage, and restoration became the workshop’s core business. Since then, the frames, home decor objects and accessories in natural wood have established the business as a point of reference for all the artisans in Florence, especially those who are familiar with the MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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formidable skills of this master woodworker. From the 1990s, Castorina has also attracted the film and fashion industries: many of the atelier’s creations have appeared in recent television productions, which have chosen its premises as an evocative set for historical documentaries and reports on outstanding heritage workshops. Tables and complements, candelabras, wings, bases and sculptures have adorned the Renaissance-inspired fashion shows that Dolce & Gabbana dedicated to Florence in 2020. The most exclusive hotels in Florence and Venice turn to Castorina for gifts and small furnishings: sideboards, bedside tables, lamp bases, mirrors and shelves that decorate the rooms of some of the most exclusive international tourist destinations come from this incredible treasure chest of beauty, spreading the inimitable value of highquality Florentine craftsmanship, of which this legendary atelier represents its highest expression.

VISIONARY FREEDOM Ugo La Pietra Without a doubt, the Codex Seraphinianus (first published by Franco Maria Ricci in 1981) remains to this day the most inventive masterpiece of refined virtuosity. Its 360 pages of extraordinary drawings, coupled with an imaginary language, are intimately connected to the heritage of the most important Surrealist works of the 20th century. The huge success of the Codex - cherished and revered by artists, writers and intellectuals - has somewhat overshadowed Serafini’s incredible work in the fields of architecture and design. Luigi Serafini became known thanks to a number of his works in the Memphis Group’s first exhibition, in September 1981. After this promising debut, however, he was thrown out of the group the following year, despite the fact that he had been one of the first to use, in line with his surrealist nature, bright colours and a bizarre, kitsch imagery. His creative freedom and flair went hand in hand with the virtuosity of a designer who felt free to overcome boundaries and go “beyond”. Having transcended the stylistic formalisms of the Memphis Group (and of its “cousin” Alchimia). Serafini went on to create works consistent with his way of seeing and imagining, such as the Suspiral chair. But it was during the 1980s and 90s, when he took part in the collateral exhibitions that I curated for Abitare il Tempo at the Verona Trade Fair, that Serafini effectively succeeded in expressing his vision, born of his talent to observe, modify and distort traditional models, conceiving and developing objects that went beyond any possible reference to more or less established standards. In those years, I managed to open a dialogue between artists and architects who had never worked with traditional furniture companies, with companies that had never had any contact with the world of art and design. Some of his participations (with the Progetti e territori, Design territoriale and Genius loci exhibitions, which he developed in collaboration with different Italian Regions) have been particularly memorable. Like Salto-di-pesce, Bisecretaire, Mobiluovo and Dentro-la-foglia, which he created for the Region of Umbria. Or the set-up of the Stanza del Coro-Guardaroba (Abitare il Tempo, 1988), featuring a sinuous piece of furniture in walnut veneer called Curvadio, right up to the 1994 exhibition Oggetto e società, all of which are shining examples of his creativity and eccentric virtuosity. The Curvadio cabinet recently reappeared out of nowhere at an auction held at Piasa, in Paris. In the chorus-dressing room, one discusses the clothes of the day, singing. In the chorusdressing room, people choose either socks or stockings. One finds it nice to stay in the chorus-dressing room on holidays, seated on the two-drawer-chairs and flanked by a colourful hand-clapper, contemplating the elegant Curvadio. —Luigi Serafini 122

After Abitare il Tempo, many other contexts, ranging from art to design, welcomed his works, which were characterised by the languages, signs and materials of the surrealism and virtuosity that made Luigi Serafini’s art an original and unmatched experience on the international scene. Last but not least, I would like to recall his participation in the exhibition Spazio Reale Spazio Virtuale, which I curated at the Milan Triennale in 1992. Back in the early 1990s, the exhibition provided artists and designers with the opportunity to engage with new audio-visual and multimedia languages, as opposed to traditional production practices. On this occasion, Serafini found a stimulating terrain for his visionary creativity.

THE FRUIT OF PASSION Anna Carmen Lo Calzo When the beauty of a reproduction transcends reality, we are witnessing the outcome of an alchemy that incorporates savoir-faire, talent, art, magic and perfectionism. Qualities that characterise master sculptor Davide Furno, and which he blends seamlessly in his work. Born in Biella in 1963, Furno approached wax thanks to a “revelation” that struck him while he was working as a graphic designer and illustrator, after graduating from the IED design institute. Throughout the years, he had continued to cultivate a passion for craftsmanship, drawing and gouache gilding. “Back then,” he explains, “I was just playing around, dabbling with gilding without a specific aim.” Then one day in 1996, while visiting the Faculty of Agriculture at the University of Turin, he came across the wax fruit collection made by Francesco Garnier Valletti, the great 19th-century wax sculptor. It was love at first sight: “I distinctly remember the thunderbolt that literally ignited my passion. That wonderful collection of hundreds of wax fruits, created with a technique that was both unknown and unique, was simply lying there abandoned, most probably ransacked by students over the years. It was an unexpected gift, which transformed my life.” Wax sculpting is a fascinating traditional process that originated in remote times. Over the centuries, the practice became widespread across Europe, mostly for religious, ornamental and iconographic purposes, but also in botanical and scientific applications. In the second half of the 19th century, Garnier Valletti exemplified Italian excellence in the production of decorative wax models. He worked for the most important European courts, including those of Vienna and St. Petersburg, and crafted remarkably realistic collections of flowers and fruits. His sculptures are now preserved in Turin’s Fruit Museum, which is dedicated to him. “I soon delved in a passionate quest, searching for formulas, notes and recipes related to wax. I discovered that almost everything had been lost. I did find the occasional indication, but it was always associated with other art forms, such as Vasari’s and Cellini’s traditional formulas. The turning point finally came when I managed to find Garnier Valletti’s ‘mysterious’ formula, thanks to a fragmentary manual from France, which I bought at an online auction. That little compendium, my only source of knowledge, had been written by a ‘disciple’, one of the chosen few who had enjoyed the privilege of attending the university course for wax workers that had been instituted upon the request of the then Minister of Agriculture, Mr Boselli from Turin. Garnier Valletti, who was extremely protective of his recipe, ennobled wax by overcoming the limits imposed by its natural impermanence. To create the casts, he mixed natural resins, ash and powders of plaster and marble to the beeswax, thus giving solidity and durability to his creations.” After working for hundreds of hours without accurate instructions to follow, in the pursuit of the right temperatures and ingredients, Furno obtained “the first plausible compound”. At last, he managed to develop his own technique, an accomplishment that led him to receive the MAM-Master of Arts and Crafts award from the Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte in 2022. “It’s a big


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responsibility, something that made my legs shake. Everything changes when you find yourself under the spotlights.” Davide Furno works with the awareness of a master artisan who has been given the task of constantly refining his skills and distinctiveness. His dream of turning his passion into a profession has come true: a few months ago, he moved into his new workshop inside Villa Era, an old mansion surrounded by a prestigious vineyard in the town of Vigliano Biellese. “I would like this profession to become my only full-time occupation. The wheel is in motion, and I’m extremely grateful for everything. At the same time, I feel the responsibility of giving value and quality in return.” His goal for the coming autumn is very ambitious. Furno wants to create a collection of grapes in Dammar resin, a very delicate material of vegetable origin that tends to crumble. “After receiving the MAM award, I am ready to accept the challenge of reproducing the first pieces of the re-edition of Garnier Valletti’s wax fruits from the tables contained in Giorgio Gallesio’s famous treatise Pomona Italiana.” He likes to define himself “more artisan than artist”, because “art has far too many implications. My work consists in reproducing reality. At most, I could call myself a self-taught botanical illustrator with artisanal skills.” Furno is undoubtedly an outstanding autodidact, who “copies reality” in a poetic and sophisticated way, creating hyperrealistic masterpieces, fruits born of an all-consuming love that still continues to burn inside of him. Besides making models and prototypes for decorative and scientific purposes, and working for museums and universities, one of the activities he is most committed to is recreating fruit that belonged to loved ones who have passed away. In such cases, his work becomes even more noble: to sublimate a human emotion so that it is not lost, to crystallise a bond through virtue. Davide Furno is endowed with elegance, dedication and (a lot of ) modesty. He is a great master who grants us the privilege of enjoying a rare kind of craftsmanship that is threatened by extinction.

HEART OF CLAY Rosa Alba Impronta Picture a terracotta nativity scene, perfect in every detail, with tiny figurines measuring as little as 8 mm in height. This alone would be enough to describe the uniqueness of Marcello Aversa’s workshop, located in the historical centre of Sorrento. His use of clay and the technical virtuosity of his miniatures are the hallmarks of an unrivalled and outstanding craftsmanship. Indeed, if the common thread of his life and work is represented by clay, what makes the approach of this master ceramicists extraordinary is his ongoing research and painstaking attention to detail. His father Luigi was a cretaro, a clay worker in the local dialect. The family kiln was situated in Borgo di Maiano, a locality of Sant’Agnello, one of the towns along the Sorrento coast. This area is still home to the ancient furnaces, dating back to the 16th century, in which bricks for ovens were made following a manufacturing process that had remained unchanged since Roman times. Only one of the village’s eight kilns still continues to produce bricks according to a time-honoured technique that, combined with the clay soil that is naturally rich in silicon, makes the bricks perfect for the construction of wood-burning ovens. The clay is quarried in the citrus groves, after which the brickmakers undertake a long and entirely manual procedure, in which they first spread out the clay in their courtyards to dry, and where it is then pounded into tiny fragments with a special wooden tool. At the end of this laborious procedure, a large knife is used to remove any excess clay from the edges of the bricks before they are finally fired. After Luigi’s passing, Marcello Aversa decided to terminate his studies and take his father’s place in the family brickworks. Over time, he started making clay

shepherds and then to approach nativity scenes, inspired by his memories of when the making of the Christmas crib was an important family ritual. Marcello became conscious of his vocation very gradually. At first, he would create small settings that he filled with the shepherds he bought. It was only at a later stage that he realised that making shepherds was his true passion. He started to create miniature figures measuring 1.5 to 2 centimetres, which he presented to the crib makers on Via San Gregorio Armeno, in Naples. This, he reveals, is how his journey as a master craftsman began. Marcello’s artistic production is focused on cribs and biblical scenes from the Old and New Testaments. He constantly hones his research and techniques, studying and perfecting every detail until he succeeds in creating a masterpiece. It is an ongoing challenge with himself, in an display of unmatched technical virtuosity. His mastery can be admired in the miniature of Jesus on the Mount of Olives, for which he modelled and assembled, with unflagging patience, 7,000-odd individual leaves. Upon closer observation, Marcello Aversa’s works reveal a universe of details that may otherwise go unnoticed... Surprisingly, what would appear to be the grain of a wooden panel is in fact a carved scene of the Resurrection: an incredible story within another seemingly invisible story, revealing not only his meticulousness, but also much of the insight that inspires the work of this master craftsman. The message in the beautiful artwork Vita semper vincit is equally meaningful: a tree of life that grows over a cross with a skull at its base, to symbolise life that always wins over death. On the cross, Aversa depicted the history of Christianity with extraordinary accuracy. The sculpture, measuring almost three metres in height, is exhibited in the Cathedral of Mirandola, near Modena. Marcello Aversa is also very keen to evoke the beautiful natural landscapes as well as the fascinating age-old traditions of the Sorrento coast, such as the White and Black Processions that take place during the Easter celebrations. Aversa explains that he never received a formal training in the craft. He considers the transition from brick-making to nativity scenes as a gift, an instinctive skill that he has perfected with time and technique. He is humble, like all great artisans, and considers himself blessed, because he managed to nurture the talent for which he was destined. For this very reason, he passionately addresses his efforts to teaching the new generations, to make sure that young people may learn and explore the beauty and potential of craftsmanship. In this way, he hopes that the wonderful gift of making will not be wasted or lost. While historical town centres are faced with the sad fate of losing much of their identity with the progressive disappearance of traditional trades, Marcello Aversa pursues his dream of establishing a training centre and artisan workshops among the ancient kilns of Maiano. Passion for his craft, respect for traditions and love of fellowmen: these are the values that Aversa cultivates and the core of his work. In his studio, he works in solitude, concentrating like a mystic. If someone asks how long it takes him to make one of his miniatures, his answer is as simple as it is disarming: “When I’m working, time ceases to exist.” And this is how we leave him, immersed in the timeless beauty of creation.

THE NICCOLÒ PAGANINI OF GLASS Jean Blanchaert When preparing to perform a musical score, the conductor uploads into the memory of his or her “computer” (to use a contemporary analogy) the “file” concerning that particular composer. In doing so, the conductor takes into account not only the notes, but also the tempo markings on the score: Andante con moto, Cantabile, Allegro, Adagio, Scherzo… The greater the conductor, the stronger the music engages the orchestra and the audience, who thus experience in full the composer’s intentions. Riccardo Muti manages to summon the spirit of Verdi in a concert hall, Daniel Barenboim can mesmerise us with the romantic MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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leitmotivs of Carl Maria von Weber, Kirill Petrenko is capable of capturing our senses with Tchaikovsky, and Marin Alsop to thrill us with Prokofiev. Although smaller than that of music, the world of glass is by no means less fascinating. Nothing compares to the creation of a masterpiece in a furnace, and here, too, the magical collaboration between artist and maker unfolds over and over again. The artist or designer approaches the master glassmaker with a handful of sketches, a few ideas and many unexpressed thoughts. The master’s extraordinary technical skill and craftsmanship will make it possible to translate those drawings and concepts into blown glass. Memorable partnerships thus occur in glass, too, thanks to the talent of the artist and, to a great extent, also to the ability of the artisan to tune in with the designer, who witnesses open-mouthed the materialisation of his or her idea: first in a fluid form, and eventually in a solid sculpture brimming with light. Andrea Zilio, who is now considered one of the world’s greatest masters of nonfigurative, free-hand glassblowing, began his career as a woodworker, dedicated to the restoration of antique furniture, also for museums. The transition from the wood chisel to the canna da supiar (the glassmaker’s blowpipe), in the kiln, was not traumatic because Zilio has been blessed with hands of gold. In any case, the scent of wood, his first love, lingers on with him to this day. His unbridled passion for glass soon resulted in his earning the title of first master glassmaker at the Vetreria Anfora, under the guidance of masters Giulio Ferro and Luigi Busatto. A true expert in the most complex techniques, such as reticello, incalmo, zanfirico and sommerso, which he masters to perfection, Maestro Zilio looks ahead into the future, even producing his own designs, and constantly develops his research while working in the same way as a thousand years ago. He is one of a handful of Murano master glassmakers who can still craft magnificent tipetti, 16th-century Venetian-style goblets that require an outstanding talent. Indeed, he is the Niccolò Paganini of glass. In the 1980s, Renzo Ferro, owner of the Anfora glassworks, steered it from the production of drinking glasses and chandeliers to successful collaborations with artists and designers from around the world, who continue to this day to stand in line to work with Andrea Zilio, assisted by Andrea Ferro and Marco De Gregori. What I previously mentioned about great orchestra conductors also applies to great master glassblowers: Andrea Zilio thinks and conducts in French when he works with Emmanuel Babled, in Japanese when he creates with Ritsue Mishima, in Dutch when he collaborates with Melvin Anderson, in Italian with Domitilla Harding, Tristano di Robilant and Ivan Baj, and in Venetian dialect when he interprets the scores of Massimo Micheluzzi, Michele Burato, Maria Grazia Rosin, Michela Cattai, Marina and Susanna Sent, Silvano Rubino. His versatility and ability to stay focused enable him to work hand-in-hand with the artist or designer, with the necessary empathy and without wasting too many words. Indeed, he turned down very tempting offers from Chinese glassworks in order to keep his focus. In a way, it would have felt like a betrayal. Gabriella Belli, director of the Musei Civici di Venezia from 2011 to 2022, rightly pointed out that it is impossible to even imagine how many masterpieces are made in Murano’s glassworks every day. These objects are often packed and shipped to the four corners of the world as soon as they have been blown and polished, without even being photographed. This is exactly what happens at Anfora, a world-renowned glass furnace. One of the first people to grasp Zilio’s greatness was Pasquale Leccese. In 2005, when he was the director of MiArt (the international modern and contemporary art fair in Milan), he was so fascinated by the masterpieces the master had created with the late Yoichi Ohira that he awarded him the Prize for Excellence in Craftsmanship. Twenty years ago, Andrea Zilio was already amongst the great stars of CCM (Contemporary Craft Masterpieces). And he is to this day, while he continues to enchant us.

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TIME IN THE ATELIER OF WONDERS Alberto Cavalli Only when every gesture is mastered to perfection, when the hands seem to glide like those of a pianist, when the mind is free to create while nimble fingers work with meticulous precision, do we witness what Jaeger-LeCoultre, the Swiss Manufacture of fine watches founded in 1833, calls “competence”. Competence is not just a technical skill, something that enables us to work and achieve a flawless result. Competence is also about the empathy that comes from experience, the pleasure we enjoy when we rid ourselves of the fear of making mistakes. It is the deep sense of beauty that can best be expressed when we create with awareness. This awareness is shared by the small community of thirty prized artisans who make up Jaeger-LeCoultre’s Rare Crafts Atelier, housed within the company headquarters in the Vallée des Joux. The Atelier is a temple dedicated to the essentially human and extremely refined competence revolving around the silent industriousness of the master craftsmen and women who, with their intelligent and patient fingers, with their eyes always fuelled by passion, with their crystalclear concentration, embrace the Rare Crafts that are deeply rooted in the Maison’s identity: enamelling, engraving, gemsetting and guilloché work. A genuine synergic spirit inspires each of these virtuosos of rare and exquisite skills. Their virtuosity does not reside just in the techniques, honed over the many years spent working with the best raw materials. But, also in the fact that every day they exercise (and constantly evolve) the principle of interaction and dialogue that represents the guiding spirit of Jaeger-LeCoultre. On top of acquiring the skilled gestures related to their crafts, the Manufacture’s master artisans also engage in the process of learning how to work together with enthusiasm: a vanishing virtue in an increasingly isolated world. A virtue that is fully reflected in the Rare Crafts Atelier, which is structured according to the areas of expertise: the engravers’ workbenches, for example, are placed next to those of the chamferers to encourage a perfect interplay of gestures and intents – if a component is excessively chamfered, for example, there would not be enough space for the engraving. These lessons can only be mastered through the daily practice of beauty, and they are passed on wholeheartedly to the apprentices who work side by side with the masters: training the next generation of talented artisans to specialise in rare, and therefore particularly meaningful, crafts is a priority for Catherine Renier, Jaeger-LeCoultre’s CEO. And not just within the Manufacture: thanks to a partnership with the Michelangelo Foundation, the Grande Maison will support internships involving 20 young apprentices in five European countries. The fact that the Fellowship will be in fields that have nothing to do with watchmaking testifies to Jaeger-LeCoultre’s steadfast commitment to preserving, as in a true ecosystem, the culture of excellence. A visit to the Rare Crafts Atelier is not only a way to discover extraordinary gestures, but also unique tools. The art of guilloché work, fundamental in fine watchmaking, requires a perfect combination of manual skills and mechanical expertise. The machinery must be operated with a flowing and inspired sequence of movements that will give the cut metal its inimitable gleam.The engraving, which is performed with a tool called échoppe, can be line, gemset, lacquered or modelled. Master engravers also demonstrate the full extent of their talent when skeleton-working extremely small series of movements. It takes three weeks of intense concentration, for example, to skeleton-work Jaeger-LeCoultre’s famous 101 calibre, in the process of which 0.2 grams of material are removed from a total of 0.98. Jaeger-LeCoultre proudly uses the Grand Feu enamel technique for its creations. The artisans work on a gold case with a 0.4 mm recess that is coated with three layers of white enamel. The motif is then created using enamel fragments coloured by metal oxides that are crushed to powder and mixed with oil. The Grand Feu enamelling technique endows the models with exceptional purity and longevity. Six to ten layers of transparent protective enamel are then applied to the dial, which


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is accurately sanded and polished to achieve a shiny, finely glazed appearance. Needless to say, Jaeger-LeCoultre’s watches are made even more precious by the expertise of the Maison’s gem-setters. They have a variety of techniques at their disposal, including traditional bead setting, done using stones of similar size held by four beads, baguette (tapered) or bezel setting, and the so-called snow setting. Master artisans from different crafts and disciplines and apprentices are hence in constant dialogue with each other. But also with the creative team: indeed, their virtuosities must not only complement each other, but also evolve hand in hand with the challenging aesthetic demands that characterise each creation of the Grande Maison. Such as the new Reverso One Precious Colours, inspired by the geometric patterns of Art Deco, presented at Watches and Wonders 2023. For these new creations, the virtuosos of the Rare Crafts Atelier were challenged, so to speak, to surpass themselves: each Reverso One Precious Colours requires absolute mastery of each technique and impeccable coordination of all processes, in a dizzying crescendo of skill. The same skill is featured in the Reverso Secret Necklace. The cordonnet (literally a fine or small cord) was the original black textile bracelet on Reverso models in the 1930s. For the new edition, it has been reimagined as a supple chain necklace with diamond-set links and polished onyx beads, from which a richly gem-set Reverso is suspended. Machiavelli wrote that fortune shows its power where virtue does not resist it. For Jaeger-LeCoultre master artisans specialising in rare crafts, the virtue that governs their time is that of competence and beauty, of commitment and sharing. In this way, they will be able to withstand any “fortune” that might challenge their fascinating, evocative, joyful approach to work.

IN THE SILENCE OF AN ENCHANTED VALLEY Nurye Donatoni I enter a small block of flats built in the 1980s and descend a flight of grey stairs flanked by white walls. I am baffled, because the place looks so unassuming, far too plain for an artisan workshop. I knock on the door and open it gently, for fear of intruding. But when I step inside, I find myself in a treasure chest. A clean, organised atelier immersed in a muffled silence, with walls and floors panelled in scented wood and a huge window. An unexpected peacefulness pervades the entire space, and I sense that I have landed in a rare, virtuous and magical place. I am standing in the amazing atelier of the Thaler brothers in Sarentino, a small town of about 7,000 inhabitants in the Sarntal valley, north of Bolzano. As the promotional brochures point out, the valley’s key features are represented by the unity of its residents, their respect for nature, their religious belief, their appreciation of traditions and their splendid costumes. Most of the people living in this valley are engaged in farming, and life follows the pace set by the seasons in the mountains. The community consists of 27 small settlements. There are no ski resorts, except further down the valley, and tourism is of a peaceful kind. The hallmark of the Sarntal valley is the production of one of the richest, most precious and coveted traditional costumes in the whole German-speaking area: fine handicrafts that identify the local community and amaze foreigners. Two young and passionate craftsmen, Ulrich and Georg are assisted by five skilled co-workers, some of whom are very young, and their sister Andrea. They sit embroidering in front of the large window, through which a glowing light shines in. They wear felt wool slippers. While they are busy working, they radiate commitment, patience and professionalism, all of which are attributes that immediately reveal a dedication inherent to the finest craftsmanship, a quality that is distinctive of masters of excellence. The Thaler brothers handcraft exquisite and unique leather goods: big belts used in historical costumes, trouser belts, wallets, traditional shoes, braces and other small items. The outstanding feature of their artistic production consists in the magnificent needlework that they create with a very unusual “thread”: peacock feathers. This time-honoured embroidery technique (known as Federkielstickerei)

was developed in the 18th century in German-speaking countries. In those days, the nobility and wealthy people used to wear embroidered belts, which also served as a protection. In the 19th and 20th centuries, leatherwork became an increasingly important decoration on traditional costumes, symbolising belonging to a specific community. Male peacocks shed their tails once a year, between July and August. The feathers are carefully and patiently cleaned. The beautiful coloured feathers, beards and barbs are removed, and only the white shafts (or rachides) are kept. These are then cut into very fine, long strips (between four to six for each shaft), which are called “rachis threads” and are then used both as a “needle” and a “thread” to embroider the leather. Sometimes the decorations are further embellished with a few rachis threads dyed in natural pigments. Stylish and elaborate, the embroideries depict landscapes, animals, flowers and mountain leaves, as well as sinuous abstract patterns, which are hand-drawn on tissue paper and then transferred onto the leather with the dusting technique. The pattern is punched into the leather using awls of different sizes, and the rachis thread is inserted by hand into the tiny holes. An operation that requires a sharp eyesight and great accuracy. The traditional saddle stitch used for sewing results in precious embroideries that require countless hours of patient work. For example, it takes over 300 hours to embroider the belt of the region’s historical costume. The Thaler family has been engaged in leather embroidery for three generations. Grandfather Johann, who had been taught by an old farmer in the Sarntal valley, perfected the technique and created more sinuous and elegant decorative motifs. He was succeeded by his son, also called Johann, who handed over the atelier to the third generation a few years ago, although he continues to support his children with his invaluable advice and experience. The Thalers are well-known and respected artisans, and their creations are highly sought after. Talking with Ulrich, always affable and smiling, I find out that connoisseurs and customers come mainly from German-speaking areas, and that they are willing to wait a long time in order to obtain one of their precious, one-of-a-kind items. I realise once again, not without a thrill, that technical skill and virtuous craftsmanship can generate amazingly beautiful handmade articles. The Thalers express unparalleled craftsmanship with perseverance, reliability and passion. In their peaceful atelier they perpetuate a manual expertise that transcends time. The meticulousness and consistency of their production attest to an integrity that can only arouse our admiration.

THE RECONCILIATION OF HAND AND MIND Federica Sala I have known Gianluca Pacchioni for many years. Back when we first met, we were both in a more social phase of our lives, and we immediately hit it off. Maybe because we shared many vivid and cherished memories of the time we spent in France, or because we used to go dancing in the same places. Then we lost sight of each other, only to meet again, years later, in a pavilion at the Venice Biennale. From then on, I have had the great privilege of sharing in his professional career, and also of getting to know him in his private sphere, where he is husband, son, brother, father and friend. He lives this constellation of human relationships with the same enthusiasm and generosity that he always puts in his work, and which represent the burning passion that fuels his production. That’s how Pacchioni is: you cannot separate the man and his emotions from his work, which is by all means the outcome of his very emotions. Over the years, I have had the opportunity to observe how his practice has evolved. If in the early 2000s I would probably have defined him a designer, since he was mostly focused on lighting, I now realise that Pacchioni wasn’t a designer at all. Because his creations were never “just” lights, but rather luminous sculptures meant to transport you somewhere else. Indeed, the movement generated by the play of light and shadow and the sound produced by the rustling MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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of the components are there to tell us about the artist behind the work, and of his gentle side as much as of his strength. Dubbed “Hephaestus” or “the king of metal” for many years, Pacchioni has worked with steel, bronze and brass in all their many forms, almost as if driven by an ancestral impulse to dominate matter and control its transformations. His sculptures, many of which are functional - like the Collapse bookcase, which is still one of his best sellers - incorporate the artist’s mastery in bending and transforming metals, and his skill in making them decorative elements, in a whirling dance between the roughness of the rusty parts and the shiny gleam of the polished metal, as in his works Koicea and Cut. Year after year and trial after trial, constantly driven by a combination of passion and endurance, of intuition and impetus but also of discipline and rigour, Pacchioni has learned to master metal surfaces, inventing a personal language that has brought him to be exhibited in prestigious international events, such as Homo Faber, to become the interpreter of Italian art in Embassies and Consulates in France and New York, to work with major international galleries, right up to the auction that Simon de Pury recently staged in Cannes. It has been a crescendo. A rhythmic escalation of mastery, accolades and achievements, leading him to be awarded the title of MAM-Master of Arts & Crafts by the Fondazione Cologni in 2016, and to have his place among the virtuosos featured in this magazine. Virtuoso is someone who excels, who has succeeded in perfecting an art to such an extent that it has become a distinctive style, chiselled day after day with patience and commitment. The artist’s spirit and grace reside precisely in this virtuosity. Just like in the beautiful book Il Cortegiano, written by Baldassarre Castiglione in 1528, Gianluca Pacchioni exemplifies the integration between the culture of arms with that of letters, which Castiglione claims to be the main quality of grace (the quintessential virtue). In this integrated vision, proficiency in using weapons, which we might translate here as the manual skills involved in crafting something, must find equal balance and measure in the evolution of arts and humanities, in other words, of culture in general. Pacchioni’s virtue lies precisely in having reconciled what has long represented a gap between hand and mind. Driven by his constant perfectionism and the urge to challenge himself, to open up to ignorance in order to have a new playground in which he can acquire knowledge, over the years, the artist has begun sculpting stone. Precious marbles and onyxes that he unearths around the world like a modern-day Magellan, relishing how he will transform and enhance them, how he will conceal their powerful voices in a captivating sculpture with smooth lines, such as the Teshima coffee table and the Under the Sheets consoles. His sculptures can either be tables or containers (like the Metaphysical Cube made of onyx reassembled using a technique inspired by kintsugi), or works of art in their own right, in their being stripped of any possible practical use other than that of elevating the spirit. This is how the sculptures Eden and The Dancing Queen were born, all the way to Time, his most recent installation presented last April in the courtyard of Palazzo Litta, where it was admired by 23,000 visitors during the Fuorisalone week alone. This sculpture draws its strength from the cosmos and its subterranean alter ego, aiming to recreate the blank hole between humanity’s two great mysteries. With Time, Pacchioni breaks away from the confines of the known world and surrenders to the billows of mystery, of the undiscovered or submerged territories that only an artist can reveal through the intensity, or rather the virtuosity, of his work.

DREAMS FOR THE SILVER SCREEN Andrea Tomasi “I believe that my father had a clear plan in mind. By encouraging me to find my own course away from the workshop, and not forcing me to follow in his footsteps, he actually induced me to take a closer look at what he was doing. And his passion was, without any doubt, quite contagious. If I were to pinpoint 126

the single most important value that my father passed on to me, his primary virtue that later became my own, it would be to work with passion. Sure, this is the common denominator in every trade, but all the more so in ours. We are a cog within a complex mechanism designed for the public, which is based on emotions. If we didn’t put passion into it, we would jeopardise the final result and with it the work of many other people.” The intensity of Massimo Pieroni’s passion is evident in his voice when he talks about this or that celebrity who has visited his atelier, which is located just a stone’s throw from the Vatican. Even more so when he remembers his father Bruno, a legendary figure in both the Italian and international film industry. Indeed, Bruno was the one who, in the aftermath of World War II, established what is now considered the world’s most important atelier for the creation of hats, headgear and armours used in films and TV series, opera and theatre productions. “Everything started in the 1930s, when my father worked first as a shop boy and later as an artisan in a company called Neri, which manufactured fez hats and sailor caps for the regime. When Cinecittà opened, in 1937, they gradually shifted towards the nascent film industry. In 1941, he was asked to take care of the props for La corona di ferro, Alessandro Blasetti’s film starring Luisa Ferida, the diva par excellence of the Fascist era. This was his one-way ticket to another world, indeed, to a thousand other worlds and stories.” After the death of Neri’s owner, Bruno Pieroni decided to take over the business and change its name. When success arrived, after a few years, it was not thanks to the Neorealist movement that was sweeping the Italian film industry, but to Hollywood. “Towards the end of the 1950s,” Massimo Pieroni continues, “a craze exploded for films set in ancient Rome. To name just two: Stanley Kubrick’s Spartacus and William Wyler’s Ben Hur, which continues to be the film that won the most Academy Awards. Cinecittà became the film mecca, and my father found himself working non-stop for Hollywood. It was a unique and unrepeatable season: just imagine that for one scene of the very famous Cleopatra, with Elizabeth Taylor, he had to manufacture 1,500 armours for as many extras. Nowadays, ten of them would be enough, because with special effects they can be multiplied ad infinitum.” Season after season, Laboratorio Pieroni became an international benchmark, also thanks to its close partnership with another Italian atelier of excellence: Sartoria Tirelli, a workshop specialising in stage costumes that Umberto Tirelli, collector of period garments, founded in 1964. Indeed, Massimo Pieroni’s first professional memories are rooted in the dressmaking studio. “I grew up in my father’s workshop, partly because my mother, who was a milliner, also worked there. So, when I was little more than a boy, my father would make me run a thousand errands. One day he asked me to take some hats over to Sartoria Tirelli. When I arrived, you could not hear a pin drop. Everyone was silent, the atmosphere was tense. In the middle of the room, I saw a stern gentleman inspecting a huge quantity of garments with a meticulousness that aroused my curiosity. My father later explained to me that it was Luchino Visconti, and that when you worked with him, you had to pay attention to the tiniest detail. This is another lesson I treasure to this day: details make the difference between a product that is good and one that is outstanding.” Bruno passed away just over ten years ago, and his son keeps running the workshop with the help of his wife Stefania, his daughter Evaluna and his mother Gabriella, who made Kate Winslet’s iconic hat in Titanic and, aged 94, still continues to go to the workshop every morning. “I fancy comparing myself to an orchestra conductor, whose task is to ensure that all the instruments play at their best. Although our care and dedication are always the same, many other aspects of this business have changed, starting from the clients. Today 50% of our work is for TV series, 30% for opera and theatre, and the remaining 20% for the cinema. The costume designer continues to be our point of reference. However, if in the past it was perfectly normal to have an open dialogue with the directors – and in many cases it was also a lesson, considering the incredible knowledge of men like Visconti, Fellini and Pasolini - today it is quite rare. In a way, this makes the process easier, especially with American directors, who respect our history and experience to such an extent that they trust us unconditionally.”


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What has not changed is the moment when the actors try on the headgear and armour made in the Pieroni workshop. And this is where the final stream of memories and anecdotes begins to flow. “I will never forget Burt Lancaster, a six-foot giant whom I met on the set of The Betrothed. Nor Monica Bellucci, an incredibly beautiful, charming and patient actress. I recently met Anthony Hopkins, another icon, who will star as Emperor Vespasian in a new TV drama set in ancient Rome. With the actors we also have to play the part of doctors and therapists. More often than not, we help them get into their role, figure out how to interpret their part, especially in the case of period films. Before we get anywhere near making a headpiece or armour, we study and immerse ourselves in the history of an epoch. This is the only way we can reach our goal: create the beautiful and the unattainable, and play an important part in the wonderful dream world of the performing arts.”

IN SEARCH OF LOST SOUND Giuditta Comerci Reserved, schematic and withdrawn: Andrea Restelli’s restraint and discretion are typical of many master artisans. It’s hard to tell whether these features represent his craft in general or just his character, but it’s nice to imagine that his quiet reservedness reflects the concentration and diligence that contribute to making his instruments – notably harpsichords, but also clavichords and fortepianos - so outstanding. Restelli’s precocious fascination for music soon turned into a passion for building musical instruments. The organ being his favourite, it was also the first instrument he made while attending the Civica Scuola di Liuteria di Milano, the violinmaking school of Milan to which he transferred from the faculty of architecture the day the school first opened in via Pastrengo, right opposite what used to be his father’s house and has since become his atelier. By 1985, the year he gained his diploma that covered violin making as well as conservation and restoration, Restelli’s passion had become more structured. Reaching an academic level, he revealed exceptional skills as a builder and nurtured an endless curiosity for historical models, of which he analysed measurements, materials and decorations in order to reproduce their magnificence. With his wife Lucilla, whom he met at the same school and now specialises in finishing and decorating his instruments, he travels across Europe by motorbike or camper van, visiting museums and private homes, mapping heritage instruments, drawing them in 1:1 scale, carrying out researches and extensive studies. Since construction techniques have remained virtually unchanged over the centuries, and luthiers employ traditional glues and materials that are identical to the original ones, it is vital for Restelli and his wife to analyse antique instruments, because it enriches their knowledge and enables them to understand the nature of the instruments in great depth. “Glue is always used hot. When gluing is extensive, on parts containing as many as fifty clamps, you have to be very quick, because once the glue has cooled down it becomes extremely hard. However, the gluing is always reversible.” This is the property that makes restoration possible, along with keeping faithful to the original material: “If we can open the instruments and remove the glue it’s because it has been there for 300 years.” Only the tools used to whittle and carve the wood, or the bone used for the small plaques that cover the keys, are different. The ones used for construction, details and decorations continue to be traditional and very fine, almost surgical. Andrea’s harpsichords and fortepianos are accurate replicas of ancient instruments. The material is meticulously selected: spruce from the Val di Fiemme for the soundboards and Italian walnut for the case (“the most prized and beautiful wood, definitely matchless”), and various other types, depending on the historical model. The more tender and lighter kinds, aesthetically less appealing, used to be decorated and lacquered, as was the case with the French violin making school, or

according to the fashion of the day. “Being large instruments, harpsichords were important elements of the household, and they have therefore always followed the same decorative style of the place where they were set, be it a court or a royal palace. So, from Louis XIII to the fortepianos of the Napoleonic period, they lent themselves to different construction techniques and materials.” Lucilla Trivelloni, who had studied restoration in Florence before enrolling in Milan’s violin-making school, is dedicated to polishing walnut and other precious woods, to varnishing, gilding and decorating the soundboards with water-soluble tempera, heralding the instrument’s interior beauty. In the course of close to forty years, Andrea Restelli has built some 90 keyboard instruments, including a positive organ, ten fortepiano replicas of original Graf, Fritz, Silbermann and Dulcken instruments, around 60 two-keyboard harpsichords based on various French, German and Flemish models, onekeyboard instruments recreated from antique Italian models, and five clavichords. He has also restored several fortepianos, including a notable Johann Fritz model dating back to around 1814. He was also the first in Italy, and one of a handful in the world, to make replicas of Conrad Graf ’s fortepianos. The excellence of his work is the result of a number of factors: his talent, the relentless pursuit of precision and perfection, his incessant studies and researches, his adherence to a methodology and to an exact timetable have made Andrea Restelli a virtuoso of mechanics and keyboards, resulting in the atelier’s long waiting list. Restelli’s international patronage alone, which includes private and institutional clients, musicians, museums and conservatories, could speak volumes about the great appreciation for their construction and the excellent sound they produce. A sound generated by Restelli’s masterful expertise, his outstanding analytical and construction skills, his constant refinement of techniques materials and knowledge.

BEING CORRADO Andrea Sinigaglia “I don’t believe in the division between sweet and savoury. Nature doesn’t make that distinction. There can be as much sweetness in a fish as there is sapidity in a piece of fruit.” I once heard these words spoken by a man who is considered - not only in Sicily, but also on a national scale - a point of reference for pastry and for taste in general. This statement, this conviction, does not justify the kind of obtuse gastronomic relativism that would lead to total chaos. In fact, this notion opens new paths of exploration, research and innovations within the personal history and experience of those who share it. The cornerstone of Corrado Assenza’s philosophy and activity is represented by his Caffè Sicilia, in Noto, deep in the heart of the charming and proud island of Sicily. A simple and wise man, his placid way of speaking and working is in fact steeped in experience. When you are with him, you see someone who believes in what he says, does what he believes in, and then makes you eat it. Words mean nothing: you can agree or disagree, but the challenge is radical, and an elegant form of anarchy leads the show. Assenza also manages to display a subtle irony in his work: an irony that is like the glass full of water in which an ocean liner brimming with ideas, disruption and indeed insurrection remains afloat. He draws his communicative skills first and foremost from his roots, which we venture to define as “centuries-old”. From the raw materials. End of the story. From his knowledge of the local territory, of the almond and mulberry trees and of the person who looks after them. Honey of which he is an expert - pistachios, oregano, saffron and chilli peppers. And then pasta and the person who makes it, ice cream, rice, black Venere rice in particular, fruit in general, but also fish and fishermen with their wrinkled faces, meat and butchers, but only genuine ones, like Franco. The world of food is like a pantone. It becomes an “in-gredient” (in the sense of the Latin etymology of the verb ingredior: “to enter into”), which finds its way into Assenza’s thoughts and winds up right on MESTIERI D’ARTE & DESIGN

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his plate. His ontological criticism of semi-finished industrial food products, his status as a Master of Arts and Crafts, his untiring championing of craftsmanship, of pastry that, he claims, must have the same dignity of the other dishes featured on a restaurant menu, and not be considered just as the ornamental conclusion of a meal. His many battles, his many stances, his constant dialogue with the greatest exponents of the culinary world conceal an almost indecipherable patience. Whether he takes the stage at a conference, a professorship in New York, or serves you a granita at Caffè Sicilia, he has the same attitude and the same face. Because, like all authentic people, he has one face only. We are proud to write about him in this issue dedicated to virtuosity, because we do not want to surrender to the mannerism of gastronomy. We do not wish to entrench ourselves behind techno-emotional cuisine. Instead, we want to resist and embrace a creed steeped with the spirit of Italy. Resist in order to exist. Assenza is our watchman, called upon to set hearts on fire, to inspire, possibly even to cause discord, so be it…. His reality is pitted against all the potential deviations that the culinary art might happen to interpret as a false virtue. Your name, Corrado, stems from kuoni and radha, which together mean “brave in making decisions”. It’s in the etymology of your name. For this reason, for what you do, for the fruit that you are destined to generate, we dedicate you, and to all those who are waiting to find the courage to make up their minds, the words penned almost a century ago by Elio Vittorini, one of the greatest Sicilian novelists. This is how he thrust the dagger into hearts that are all too often etherised: “I was, that winter, possessed with abstract furies. I will not say which, that’s not what I’ve set out to relate. But I have to say that they were abstract, not heroic, not spirited; furies, in some way, for the lost mankind. This had been a long time going, and I was with my head hung low. I saw blaring newspapers’ posters and I bowed my head; I saw friends, for an hour, two hours, and I stood in their company without saying a word, I stooped my head; and I had a girlfriend or wife waiting for me but I didn’t say a word with her either; with her, too, I bent my head. Meanwhile it rained and the days passed, the months, and I had holes in my shoes, water that seeped in my shoes, and there was nothing else but this: rain, massacres on the newspapers’ posters, and water in my broken shoes, mute friends, life in me like a dull dream, and non-hope, quiet. That was the terrible thing: the calm in hopelessness. Believing humanity lost and not burning to do something to counter it, wanting to forego myself, as an example, with it. I was agitated by abstract furies, not in my blood, and I was calm, I yearned for nothing. It didn’t matter to me that my girlfriend was waiting for me; joining her or not joining her, or flipping through a dictionary, was all the same to me; and going out to see friends, others, or staying home, was all the same to me. I was calm; I was as if I had never had a day of life, nor ever known what it meant to be happy, as if I had nothing to say, to affirm, to deny, nothing of myself to put into play, and nothing to listen to, to give and no inclination to receive, and as if never in all my years of existence had I eaten bread, drunk wine, or drunk coffee, never gone to bed with a lass, never had children, never punched somebody, or didn’t believe any of this possible, as if I had never had a childhood in Sicily among the prickly pears and sulphur, in the mountains; but I was agitated inside by abstract furies, and I thought humankind lost, I hung my head, and it rained, I didn’t say a word to my friends, and water seeped into my shoes.”(*) (*) Elio Vittorini, Conversations in Sicily - in the version by Ercole Guidi presented at ercoleguidi.altervista.org

THE COURAGE OF VIRTUE Franco Cologni “However, so as not to put our free will entirely out of business, I contend that fortuna decides half of our actions, leaving the other half - or perhaps a bit less - to our decisions. (…) That’s how it is with fortuna, which shows its power in places where virtù hasn’t made preparations to resist it…” (*) 128

In The Prince, Niccolò Machiavelli very fittingly draws a distinction between fortuna (i.e., fate, whether favourable or not) and virtù: valour and virtue, of course, but also vigour, integrity, and the dignity of knowing how to respond effectively to the vagaries of chance. The virtues, virtuosities and virtuosos featured in this issue are a shining example of Machiavelli’s insight: even in today’s challenging and unfavourable scenario, our master artisans continue to withstand banality with their stories of worth, beauty and extraordinary talent. The virtuoso is by definition talented, thus he or she develops around this talent a personal language that is both eloquent and convincing. As Cesare De Michelis used to say, talent is at the same time a measure of weight and an indication of a very high monetary value. A weight: that is to say, something that tips the scales by loading the plate on which it rests, until action is taken to restore the balance. Similarly, talent (just like money) determines the pre-eminence of one plate over the other. And we hope that the plate that will prevail is the one on which talent meets virtue and virtuosity, thus creating beauty even at times when fate is not propitious. In so doing, it proves its tenacity through the intelligence of the hand and the wisdom of the heart. As Massimo Cacciari reminds us: “In order to live well, we need hard work, council and art, but also hands, feet and sinews. In order to defy fate and fortune, the motives of the body must team up with those of conscientiousness, thoughtfulness and diligence. Even if human beings had twice the ingenuity but no hands, the ‘organ of organs’, there would be no doctrines, no buildings and no cities.” In reading this issue, it is clear that the antithesis of talent and virtue as described and celebrated here is not adverse fate, but ignorance. Whereby ignorance is the expression of amateurism, of conceit, of the lack of a deep-rooted motivation. Going beyond one’s limits not to learn how to overcome them, but driven by the arrogance to ignore them. Instead, through the beauty of their virtuosity, which is always evocative and meaningful, master craftspeople remind us that the evolution of the paradigm of Italian beauty rests on the perfect balance, both dynamic and inimitable, between learning and nature, between expertise and emotion, between a surprising artistic effect and the breathtaking precision (“virtuosity”, in fact) of creation. Today, only the virtue of beauty can help us progress in the way we think about diversity and plurality, to welcome the new and rediscover originality, and never hesitate to affirm the virtue we hold most dear: the dignity of human beings. (*) Niccolò Machiavelli, The Prince - in the version by Jonathan Bennett presented at earlymoderntexts.com


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