Psichiatria settembre dicembre 2012

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SOMMARIO

Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza Salute mentale e riabilitazione

Volume 79 N. 3 Settembre - Dicembre 2012 SOMMARIO Editoriale: Gabriel Levi, Maria Romani, Ritardo Mentale vs Disturbo dello Sviluppo Intellettivo: appunti per una prognosi sensibile (allo sviluppo)

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Sezione: disturbi dello sviluppo e disturbi di personalità M. Molteni, E. Mani, A. Pellegri, I Disturbi dello Spettro Autistico: dalla suddivisione categoriale ad una descrizione psicopatologica dimensionale

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S. Di Biasi, B. Trimarco, Adattamento e rischio psicopatologico dei fratelli di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico

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G. Gambino, M. Bellomo, F. Di Maria, M. Russello, F. Aneli, M.G. Farina, Esperienza di Buone Prassi: diagnosi e intervento precoce delle sindromi Autistiche

512

C. D’Ardia, A. De Giacomo, E.Matera, S. Melogno, E. Lafortezza, L. Margari, G. Levi, Sviluppo atipico della comunicazione non verbale e verbale nei DPS NAS ad alto funzionamento

529

Sezione: psicopatologia dello sviluppo e salute mentale M. Gatta, N. Impollino, L. Del Col, P. C. Testa, L. Svanellini, P.A. Battistella, Alessitimia e psicopatologia in adolescenza: studio casocontrollo

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G. Monniello, G. Colafrancesco, C. Pirisi, L. Quadrana, Trattare e prevenire la psicopatologia dell’adolescenza. Specificità del Day Hospital Adolescenti

568

M.G. Martinetti, M. Baratti, P. Dirindelli, E. Innocenti, M.C. Stefanini, M.R. Troiani, M. Caselli, Percorso diagnostico terapeutico nello Scompenso psichico adolescenziale: riferimenti teorico-clinici e strumenti di valutazione

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SOMMARIO

Sezione: neuropsicologia dello sviluppo e riabilitazione N. Del Villano, R. Perrella, V.P. Senese, C. Cecere, A. Sannino, G. Cavigllia, “Working memory”, apprendimento e attaccamento: una ricerca empirica in età scolare

607

L. Piredda, N. Ranucci, C. Gabaglio, G. Levi, I Disturbi della Comprensione del Testo: un nuovo cluster di Disturbi Specifici dell’Apprendimento

622

F. Bocci, S. Ciardi, F.R. Fumarola, M. Vigliante, Fattori di rischio psicopatologico in preadolescenza. Considerazioni su una indagine esplorativa nella scuola media

637

Sezione: epidemiologia clinica e prevenzione M. Nobile, P. Colombo, M. Bellina, V. Bianchi, O. Carlet, M. Molteni, Continuità delle problematiche psicopatologiche attraverso l’adolescenza: il ruolo degli eventi di vita avversi

653

R. Nacinovich, S. Gadda, M. Bomba, F. Neri, Studio retrospettivo su 293 casi di adolescenti borderline: antecedenti evolutivi

674

Sezione: esperienze A. Gritti, M. Paone, S. Pisano, T. Salvati, R. Iorio, P. Vajro, La valutazione del rischio psicopatologico e dell’autostima in bambini epatotrapiantati ed epatotopatici cronici

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U. Sabatello, Il problema: la giustizia costa troppo, la giustizia per i bambini costa ancora di più. Come ridurre le spese e migliorare i risultati

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Istruzioni per gli Autori

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 483-486

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EDITORIALE Ritardo Mentale vs Disturbo dello Sviluppo Intellettivo: appunti per una prognosi di sviluppo sensibile (allo sviluppo) Gabriel Levi, Maria Romani

Nel 2002 l’American Association on Mental Retardation definiva il Ritardo Mentale: “Una disabilità caratterizzata da significative limitazioni sia nel funzionamento intellettivo che nel comportamento adattivo espresso, in abilità concettuali sociali e adattive pratiche. Questa disabilità si manifesta prima dei 18 anniÆIl Ritardo Mentale è una disabilità dello sviluppo intellettivo. La Disabilità Intellettiva (DI): – Rappresenta circa il 2,8% dei disturbi psichiatrici dell’età evolutiva nei paesi occidentali. – Nel 40% dei casi non se ne conosce eziopatogenesi certa e pertanto sono escluse cause genetiche, metaboliche, ipossiche, infettive pre-, peri- o post-natali, tossiche e traumatiche. L’età di segnalazione ai servizi varia in base alla gravità del quadro clinico, alle caratteristiche specifiche del bambino e del suo ambiente. – All’interno del 40% dei casi di Disabilità Intellettiva in assenza di causa certa si collocano i disturbi con esordio complesso perché nascosto dal cono d’ombra di una segnalazione spesso tardiva e, a volte, settoriale che segna il confine incerto tra Disturbi di Sviluppo, Inibizioni Intellettive, quadri Borderline cognitivi e Disabilità Intellettive conclamate. – In circa un terzo dei casi è possibile riscontrare comorbidità con altri disturbi psichiatrici; tutti i principali disturbi psicopatologici presenti nei soggetti senza DI sono presenti anche nei soggetti con DI con l’unica differenza di tassi di prevalenza maggiori in questi ultimi. 1) La linea del tempo del problema cognitivo in età evolutiva ÆAnni ’60

Insufficienza Mentale/Oligofrenia

Anni ’70

Ritardo Mentale

2007

Disabilità Intellettiva

2012Æ 2013

Disturbo dello Sviluppo Intellettivo

Nel 1966 Jack Tizard, in uno storico articolo edito sul Journal of Child Psychology and Psychiatry sottolineava che: “In molti paesi europei i servizi che si occupano di Insufficienza Mentale o Oligofrenia fanno parte dei Servizi di Salute Mentale e pertanto l’insufficienza Mentale dovrebbe essere propriamente considerata parte della psichiatria. Ma i confini dell’Oligofrenia si estendono oltre quelli della psichiatria così come la stessa psichiatria include province che sono ben distanti dall’Oligofrenia. La sovrapposizione è di gran lunga più consistente nei quadri clinici pertinenti all’età evolutiva rispetto a quelli relativi all’età adulta, visto che l’Oligofrenia è il più comune dei disturbi gravi dell’infanzia mentre la schizofrenia e la depressione lo sono per gli adulti. Ma nonostante l’Oligofrenia rappresenti una parte così importante della psichiatria infantile fino ad ora ci sono stati scarsi punti di contatto tra coloro che si occupano di Oligofrenia e quelli che si occupano di altre forme di handicap mentale in età evolutiva”. Negli anni a seguire molti sono stati i ricercatori che hanno rappresentato con la metafora di Cenerentola il ruolo svolto dall’Oligofrenia e, successivamente, dal Ritardo Mentale all’interno dei disturbi psichici ad esordio precoce, segnalando l’esiguità delle ricerche rivolte all’argomento. Il Ritardo Mentale ha lungamente rappresentato uno spettro da non evocare con facilità in quanto temuto sinonimo di un


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percorso di sviluppo che si sarebbe invariabilmente intrecciato con elementi sociali ed avrebbe esitato in una prognosi di altissimo rischio in termini di adattamento ad un contesto allargato. Negli anni pioneristici di Tizard, accanto all’evoluzione della genetica, della neurobiologia, delle pratiche di prevenzione pre-, peri- e post-natale, delle metodiche diagnostiche di neuroimmagini, prendeva piede la Psicopatologia dello sviluppo di Michael Rutter. Il Ritardo mentale si trovava ad un passaggio importantissimo: essere coinvolto nella corrente dei percorsi di sviluppo o essere considerato un disturbo a sé perché segnato sin dall’esordio da un deficit che comprometteva troppo marcatamente il percorso di sviluppo successivo. In Italia nel 1983 Levi e Antonozzi, in una voce monografica per l’Enciclopedia Medica, segnalavano che il termine Ritardo Mentale a confronto con quello di Insufficienza Mentale “porta alla luce due fatti: che la difficoltà non è solo intellettiva ma è una difficoltà d’integrazione della personalità, che almeno per i primi tre decenni di vita i soggetti con ritardo mentale si caratterizzano per uno sviluppo ritardato (rallentato ed eterocronico) delle competenze sociali, affettive, comunicative e cognitive”. Nel 2008, ed in risposta a comunicazioni scientifiche avvenute nel corso dell’anno precedente, nel capitolo dedicato ai quadri clinici di funzionamento cognitivo al di sotto della norma, all’interno della quinta revisione del manuale di Rutter, Stewart Einfeld e Eric Emerson sottolineavano di “preferire il termine Disabilità Intellettiva a quello dei sinonimi Ritardo Mentale (utilizzata nell’ICD-10 e nel DSMIVTR) e Difficoltà d’Apprendimento (prevalentemente utilizzato in Gran Bretagna) anche per evitare la confusione che insorge nell’uso di termini che hanno significati molto diversi in paesi differenti (vd. i Disturbi d’Apprendimento)”. Nel 2012, la presentazione del DSM 5 (di prevista pubblicazione nel maggio 2013) ha prodotto un nuovo passo evolutivo nel sofferto percorso d’integrazione tra i disturbi psichici dell’età evolutiva da parte dei quadri clinici che caratterizzano il bambino e l’adolescente con sviluppo intellettivo al di sotto della norma. Nel DSM 5 non vi sarà più una collocazione del Ritardo Mentale/Disabilità Intellettiva al di fuori dell’Asse I sul cosiddetto asse di struttura (Asse II), bensì, in un processo trasformativo che ha cercato di coniugare la diagnosi categoriale con quella dimensionale, il Ritardo Mentale o Disabiltà Intellettiva diventerà Disturbo dello Sviluppo Intellettivo e verrà collocato nel più ampio capitolo dei Disturbi Neuroevolutivi. 2) Linea del tempo e nosografia La linea del tempo teorico-clinica impone alcune riflessioni. Ci sono stati quasi settant’anni di Insufficienza mentale e/o Oligofrenia, circa trentacinque anni di Ritardo Mentale e cinque/sei anni di Disabilità Intellettiva ed è in progetto una trasformazione verso i Disturbi dello Sviluppo Intellettivo. Va da sé che il concetto emergente dal gruppo di lavoro del DSM 5 avrebbe raccolto i segnali provenienti dalla clinica sottolineando in maniera trasversale l’importanza del concetto di sviluppo e traiettorie life span (Walsh, 2005) in base a: 1) Presentazione clinica: è importante aver chiaro i modi diversi in cui lo sviluppo può influenzare la manifestazione di un disturbo, anche dei disturbi dello sviluppo intellettivo. La modalità con cui si manifestano le disabilità (Rutter, 2011), proprio come i sintomi, si esprime in modo diverso in funzione dell’età. I cambiamenti nell’ambiente circostante possono modulare il livello di disabilità del bambino, soprattutto nelle fasi precoci. 2) Storia naturale: permette di riflettere sul processo di sviluppo in assenza di intervento, questo, parzialmente, appartiene al passato della neuropsichiatria infantile, purtroppo, a volte, rappresenta ancora un’istantanea attuale della condizione di rischio aggravato dei bambini con DI. Lo studio sistematico delle storie naturali della Disabilità Intellettiva e del rapporto storie/fasce di gravità ci può fornire le indicazioni per altri temi più generali: sul rapporto tra le strategie di processamento ed i diversi tipi di intelligenza, sul rapporto tra strategie di processamento, strutture di fase e mondo rappresentazionale (Levi e Musatti, 1988). 3) Psicopatologia dello sviluppo: le formulazioni sui disturbi dello sviluppo mentale da tempo hanno riconosciuto l’importanza dei periodi critici o sensibili che rappresenterebbero fasi dello sviluppo in cui le influenze dell’ambiente hanno un peso maggiore sulla progressione del quadro clinico in formazione. Queste argomentazioni risuonano con la visione dello sviluppo normale che dimostra a sua volta l’importanza dei periodi sensibili nel processo di sviluppo delle funzioni psicologiche nucleari, come ad esempio l’acquisizione del linguaggio. Una simile argomentazione, anche per i Disturbi dello Sviluppo intellettivo, sottolineerebbe che la prognosi più severa è maggiore tra i bambini che mostrano atipie troppo disorganizzate nel corso del tempo rispetto a quei casi che mostrano uno sviluppo, seppur


RITARDO MENTALE VS DISTURBO DELLO SVILUPPO INTELLETTIVO

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alterato, armonico nel corso del tempo e pertanto con una maggior compliance da parte dell’ambiente circostante. 4) Età d’esordio e processi di modulazione delle traiettorie di sviluppo dei disturbi: nuovamente, in relazione alle risposte dell’ambiente ma soprattutto connessi ad una riflessione sulla necessità di identificare manifestazioni collegate all’età che possano modificare i criteri diagnostici specifici e pertanto rappresentare la chiave di volta nella distribuzione dei percorsi di sviluppo possibili per quel bambino con quel determinato tipo di Disabilità Intellettiva. 3) Confusioni/Dispercezioni nosografiche Nel 2007, come già sottolineato, la comunità scientifica, prevalentemente quella anglossassone, impose un cambio di orientamento nell’uso del termine diagnostico che identificava il quadro clinico d’allora chiamato Disabilità Intellettiva. Con ciò si sottolineava la potenziale confusione tassonomica che derivava dal confronto di ricerche basate su casistiche provenienti da paesi europei differenti e relative a bambini e adolescenti con difficoltà scolastiche. Ma difficoltà scolastica non è sinonimo di Disabilità Intellettiva. Difficoltà scolastica può rappresentare la congrua emergenza di un quadro conclamato di Disturbo Specifico dell’Apprendimento ma, spesso, la difficoltà scolastica è la modalità di accesso ai servizi NPI che alcuni bambini si trovano a seguire per veder segnalata una condizione di disagio evolutivo. Pertanto difficoltà scolastica può essere sinonimo di: – Difficoltà comportamentali (Disturbo da Deficit dell’Attenzione ed Iperattività, Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbo della Condotta); – Disturbi affettivi (quadri depressivi precoci e disturbi d’ansia). Questa riflessione assolve il quesito relativo alle associazioni in comorbidità psicopatologica dei quadri clinici ad esordio scolastico. Ma la clinica dei bambini con difficoltà d’apprendimento segnala con insistenza il peso specifico sul riarrangiamento delle funzioni cognitive emergenti di una difficoltà nell’accesso alle competenze neurocognitive in uso per fase d’età e compito scolastico specifico. Spesso i bambini con difficoltà d’apprendimento presentano all’inizio del percorso nella scuola primaria un funzionamento cognitivo ai limiti inferiori della norma. Se è vero che la prima strada per la conoscenza è attraverso il pensiero (processi centrali) e questo percorso è collegato alle differenze di QI nei bambini, la risoluzione di un problema cognitivo può avvenire o attraverso la verbalizzazione (uso di proposizioni linguistiche per pensare) o attraverso la visualizzazione (uso delle rappresentazioni visuospaziali per pensare), ma la seconda strada verso la conoscenza è attraverso moduli di processamento delle informazioni e questa è la strada che è correlata allo sviluppo cognitivo. La teoria dell’architettura cognitiva minima ( Jensen et al., 2002) implica l’esistenza di due livelli di fattore g. Il primo è correlato alle differenze di QI per fasce d’età e si basa su una velocità del meccanismo di processamento di base. La seconda è correlata ai cambiamenti evolutivi nella competenza cognitiva ed è sostenuta dalla maturazione e acquisizione dei moduli. I moduli funzionano indipendentemente dalla velocità di processamento del meccanismo di base e pertanto sono indipendenti dal QI. Mutuando in termini clinici il significato di una simile argomentazione si deduce che lavorare terapeuticamente sulle difficoltà d’apprendimento precoci aiuta il bambino a costruire schemi per sostenere il pensiero e ad evitare l’abbandono di un confronto con moduli di processamento congrui ai compiti preposti. In che modo tutto ciò si correla al problema della Disabilità Intellettiva? Il cono d’ombra rappresentato in termini percentuali da circa 40 casi su 100 di Disabilità Intellettiva senza chiara causa eziopatogenetica raccoglie: – Condizioni cliniche che arrivano tardivamente alla segnalazione neuropsichiatrica; – Quadri di disabilità intellettiva che subiscono l’effetto valanga, perché nel loro percorso naturale, non incontrando “ostacoli” (e.g. segnalazioni specialistiche, invii terapeutici etc.) idonei ad evitare l’aggravamento della condizione clinica, esitano in veri e propri disturbi cognitivi nonostante una partenza all’interno di una norma cognitiva fragile. 4) I Percorsi di Sviluppo nella Riabilitazione e Obiettivi Pratici La Disabilità Intellettiva pesa sulla popolazione in età evolutiva con una quota percentuale abbastanza stabile nel tempo e oscillante tra il 2 ed il 3% nel corso degli ultimi venti anni. – Ma quanti sono i bambini e gli adolescenti fragili che pagano alla Disabilità Intellettiva il prezzo di un ascolto tardivo e poco specialistico?


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– Nello stesso gruppo di bambini e adolescenti con Disabilità Intellettiva conclamata quanti sono i soggetti che transitano verso pattern di sviluppo fortemente mal/disadattavi per assenza d’interventi congrui per timing evolutivo e competenze specifiche? – La Disabilità Intellettiva è un costrutto evolutivo che percorre lo sviluppo neurocognitivo, neurobiologico, affettivo, relazionale del bambino sensibilizzandosi su moduli potenziali generati nel complesso scambio dinamico tra il bambino ed il suo ambiente. La Disabilità Intellettiva è un disturbo dello sviluppo intellettivo a cui contribuiscono fattori interni ed esterni al bambino-adolescente DI. La riabilitazione centrata sullo sviluppo può intervenire con efficacia per: – Ascoltare, identificandola precocemente, la necessità evolutiva specifica del bambino con Disabilità Intellettiva sostenendo lo sviluppo nonostante e contro il deficit cognitivoÆsono necessari screening per individuare, accanto ai bambini francamente compromessi, quelli fragili che possono evolvere verso prognosi negative se non individuati in tempo. – Eliminare gli ostacoli allo sviluppo che la situazione patologica di per sé pone, lavorare con e per l’ambiente del bambino con DI per capirne lo sviluppo possibileÆ dati sensibili e specifici sullo sviluppo possono essere dedotti solo verificando come i bambini con DI cambino nel tempo attraverso efficaci studi longitudinali. – Differenziare gli interventi secondo finestre di sviluppo che si aprano nella progressione dinamica della disabilitàÆuna volta diagnosticato il quadro clinico è necessario lavorare per tappe di sviluppo (cosa fare e come fare a 0-3aa; 3-6aa; 6-12aa; 12-16aa) per interpretare, con sensibilità e specificità, la singolare storia dell’incrocio tra età cronologica ed età di sviluppo attraverso i diversi compiti evolutivi. – Aiutare il bambino e adolescente con DI ad usare al meglio le sue competenze e raggiungerle nei tempi giusti, ad utilizzare le crisi evolutive per crescere e non per specializzare le sue incapacitàÆ fornire un maggior sostegno nei percorsi scolastici ed una maggior integrazione sociale incentrando i programmi riabilitativi sulle competenze funzionali specifiche per trasformare meccanismi spontanei di compenso in strategie attive di sviluppo. La ricerca sulla Disabilità Intellettiva è ad una svolta cruciale, negli ultimi sessant’anni pochi sono stati gli studi specifici sulla prognosi ed i percorsi di sviluppo, i cambiamenti nosografici recenti indicano il consistente auspicio nella comunità scientifica internazionale di porre fine ad una storica negligenza di ricerca nei confronti di una realtà clinica di enorme importanza per la comprensione dello sviluppo del bambino. Espandere il concetto di Disabilità Intellettiva nella categoria dei Disturbo dello Sviluppo Intellettivo vuol dire anche scommettere sull’investimento della comunità scientifica internazionale sulla reale presa in carico e valutazione ponderata dei percorsi di sviluppo terapeutici dei bambini con Disabilità Intellettiva. Lavorare per la Disabilità Intellettiva vuol dire programmare interventi efficaci e sensibili volti a ridurre la gravità della prognosi di sviluppo di bambini che incidono life span sui costi pubblici della salute mentale. Bibliografia APA (2012), Towards DSM V, American Psychiatric Association. Einfeld S., Emerson E. (2008), Intellectual Disability, in Rutter’s Child and Adolescent Psychiatry, Oxford, UK, Blackwell Publishing Jensen A.R. (2002), The g factor: the science of mental ability, Westport, CT, Praeger. Levi G., Antonozzi I. (1983), Oligofrenie, voce per Enciclopedia Medica, vol. X: 1572-1589. Levi G., Musatti L. (1988), Teorie dello sviluppo e modelli clinici nel ritardo mentale, Psichiatria dell’Infanzia e dell’adolescenza, 55: 293-305. Luckasson R., Borthwick-Duffy S., Buntinx W.H., Et Al. (2002), Mental Retardation: Definition, Classification and Systems of Support, Washington, DC, American Association on Mental Retardation. Rutter M. (2011), Research Review: Child Psychiatric Diagnosis and Classification: concept findings, challanges and potential, Journal of Child Psychology and Psychiatry 52, 6: 647-660. Tizard J. (1966), Mental Subnormality and Child Psychiatry, Journal of Child Psychology and Psychiatry, 7: 1-15. Walsh P.N. (2005), Ageing and health issues in intellectual disabilities, Current opinion in Psychiatry, 18: 502-506.


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I Disturbi dello Spettro Autistico: dalla suddivisione categoriale ad una descrizione psicopatologica dimensionale Autism Spectrum Disorders: A dimensional approach to diagnosis Massimo Molteni*, Elisa Mani*, Alda Pellegri**

Summary Since Kanner’s original description of autism almost 70 years ago, the medical and sociocultural construct of autism has changed greatly and continues to remain in flux. The prevalence estimate for childhood autism is increased; rapid advances have been made in understanding the etiology of autism but the knowledge is still not enough fort what would be needed. There are different phenotypic presentations with distinct genetic underpinnings: syndromic ASD caused by rare, single-gene “de novo” disorders; broad autism phenotype caused by genetic variations in single or multiple genes, with complex gene–gene and gene–environment interaction. The newest revision of the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM), the DSM-5 will be published in just a few months: the changes to the Pervasive Developmental Disorders (PDD) criteria are likely to be among the most extensive of the revisions to the manual, with a dimensional approach to defining psychopathology. The research in Psychopathology will be bound to define dimensional ratings of symptom counts, level of impairment, severity, and need for support, and cutoffs and criteria will be applied to boil this down to categories that are needed for clinical care. As example, we presented the data of 183 children with ASD, seen in the first six months of 2012, at Irccs Eugenio Medea – La Nostra Famiglia – Bosisio Parini. Key words ASD – Epidemiology – Dimensional psychopathology.

Introduzione Da quando Kanner ha descritto i primi casi di Autismo (Kanner, 1943) sono passati ormai 70 anni e il costrutto clinico e sociale dell’Autismo ha subito cambiamenti importanti e altri si profilano con l’ormai prossimo DSM V. Da una sindrome rara, inizialmente poco conosciuta e studiata all’interno del vasto arcipelago delle psicosi infantili degli anni 70, si è progressivamente passati a * Unità Operativa Neuroriabilitazione 2 – Psicopatologia dello sviluppo, IRCCS ‘Eugenio Me-

dea’, Bosisio Parini, Lecco. ** Associazione La Nostra Famiglia – Ponte Lambro, Como.


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considerare l’Autismo come la patologia centrale dell’intera psichiatria infantile, con una vera e propria “esplosione” sia dei livelli di prevalenza (Duchan e Patel, 2012) che dell’attenzione sia dei media che dell’opinione pubblica. Questi cambiamenti, impressionanti per rapidità e vastità, sono stati favoriti anche dai mutamenti dei criteri clinici utilizzati per identificare la sindrome che ha portato a raggruppare attorno al concetto di “Disturbi dello Spettro Autistico”, sia il disturbo autistico che la sindrome di Asperger che i Disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati, quadri accumunati dal deficit di relazione sociale, da un deficit della comunicazione, sia verbale che non verbale, e da interessi ristretti e manierismi motori. La crescita esponenziale dei casi di “Autismo” diagnosticato ha messo in evidenza una significativa eterogeneità della sindrome, così che, con il tempo, è diventata prassi comune parlare di “autismi”, proprio per sottolineare la presenza di quadri clinici diversificati anche all’interno delle diverse categorie diagnostiche. Questa eterogeneità clinica rende molto complesso il processo di individuazione delle cause biologiche all’origine del disturbo. Gli studi genetici relativi a questo disturbo fin qui pubblicati confermano la straordinaria eterogeneità etiologica di questo disturbo: nessuno specifico gene è stato fino ad ora individuato e le anomalie genetiche più frequenti spiegherebbero non più dell’1 – 2% dei disturbi dello spettro autistico (Abrahams e Geschwind, 2008). Inoltre i geni coinvolti governano meccanismi molecolari molto diversi tra loro che vanno dalla adesione cellulare, alla neurotrasmissione, alle strutture sinaptiche ai meccanismi di splicing dell’RNA (Geschwind, 2011). Da una parte mutazioni rare, la maggior parte delle quali sotto forma di submicroscopiche variazioni cromosomiche strutturali, CNV, occorrenti de novo, che complessivamente spiegherebbero non più del 10% degli autismi idiopatici (Levy et al., 2011), dall’altra varianti genetiche molto comuni, con effetti molto modesti, non necessariamente specifici, mai causali per la patologia e che indirizzano verso la ricerca di endofenotipi clinici, lungo la strada di una complessa interazione gxe. L’ormai prossimo DSM V, sulla base delle evidenze di quest’ultimo decennio, si sta orientando per racchiudere all’interno di un unico ambito – identificato con il termine Disturbi dello Spettro Autistico – le diverse variabili quali-quantitative presenti e ben note: forse anche per evitare il frastagliamento in diverse categorie diagnostiche di quadri con ampie aree di sovrapposizione che hanno portato nel tempo ad oscillazioni diagnostiche, nello stesso individuo, in relazione ai convincimenti o alla sensibilità dei diversi clinici coinvolti, a sottolineare una più marcata attenzione verso un approccio “dimensionale” della sindrome autistica (Ozonoff, 2012). All’interno di questa condivisibile scelta, la decisione di assumere la ristrettezza degli interessi e la presenza di stereotipie quale “discriminante” tra ciò che verrà conservato all’interno dei Disturbi dello Spettro Autistico e ciò che verrà invece ricollocato all’interno di una nuova categoria diagnostica individuata: i disturbi della comunicazione sociale, suscita alcune perplessità, che derivano non solo dalla apparente contraddizione di inserire una “categoria” clinica con molte sovrapposizioni con quella dello Spettro Autistico, proprio mentre si è operata una coraggiosa scelta di


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raggruppare ciò che era, probabilmente erroneamente, diviso, ma soprattutto perché appare difficile ipotizzare etiopatogenesi diverse per il “core” clinico delle due categorie individuate (il deficit di comunicazione sociale) finendo così per attribuire alle stereotipie e alla ristrettezza degli interessi una centralità, forse eccessiva, nei Disturbi dello Spettro Autistico. L’evoluzione prospettata dal DSM V dovrà accompagnarsi ad una migliore caratterizzazione psicopatologica, definendo in misura più puntuale le diverse “componenti neuropsicologiche e comportamentali” che si associano alla sindrome e graduando con maggiore precisione e accuratezza sul piano quantitativo la compromissione sociale e generale. In attesa della evoluzione che il DSM V porterà, con il probabile nuovo cambiamento dei tassi di prevalenza, è opportuno fare il punto della situazione epidemiologica, alla luce degli ultimi lavori scientifici. Incidenza dell’Autismo Gli unici dati sulla incidenza della sindrome sono americani e indicano un tasso di incidenza attorno a 1:110 (dati raccolti tra il 2006 e il 2009), con un aumento in quattro anni, in un campione del Massachusetts, di oltre il 60% nelle nuove diagnosi sotto i tre anni di età, soprattutto a carico dei quadri di Autismo e di PDD non altrimenti specificati (stabili invece i quadri di Autismo tipico) (Manning et al., 2011). Anche se l’aumento del tasso di incidenza è di solito legato ad un aumento del rischio assoluto, in questo caso potrebbero essere in gioco altri fattori quali il miglioramento dei programmi di screening messi in atto: l’aumento dei quadri clinici meno netti fa propendere per questa ultima ipotesi. L’assenza di un sistema di rilevazione adeguato rende impossibile, allo stato attuale, verificare il tasso di incidenza in Italia: questa mancanza complica il compito della programmazione e rende difficile la verifica di efficacia di eventuali programmi intrapresi per migliorare la risposta al bisogno di cura di questi bambini. Prevalenza dell’Autismo a livello internazionale La prevalenza dei Disturbi dello Spettro Autistico rilevabile dai dati raccolti negli USA negli ultimi 5 anni, indica come attendibile una oscillazione compresa tra 1/90 e 1/220 soggetti (Kogan et al., 2008, 2009): l’ultima survey condotta in 8 stati USA dal CDC americano (Baio, 2012) sui bambini di 8 anni di età ha portato il tasso di prevalenza a 1/88 bambini in netto aumento rispetto alle rilevazioni precedenti: l’intervallo di confidenza è però molto ampio, anche rispetto a rilevazioni precedentemente effettuate. I dati europei si riferiscono prevalentemente ai dati inglesi: uno studio di survey del 2008 individua una prevalenza di Disturbi dello Spettro Autistico all’età di 11 anni pari a 1/195, di cui circa 1/490 riferibili a quadri di Autismo tipico (Williams et al., 2008), lievemente inferiori ai dati su un ampio campione di popolazione adulta


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dove la prevalenza dei Disturbi dello Spettro Autistico risultava pari a 1/105 (Brugha et al., 2011). Dati di screening, sempre inglesi, definiscono una prevalenza compresa tra 1/130 e 1/180 (Baird et al., 2006), decisamente diversi dai dati del registro danese delle malattie psichiatriche che indica una prevalenza di 1/550 bambini di 11 anni di età (Lauritsen et al., 2004). Un recentissimo studio epidemiologico svedese ha invece confermato una prevalenza di 1/100 nella popolazione compresa tra 0 e 17 anni (Idring et al., 2012). Emerge una tendenza a stime di prevalenza più alte negli studi epidemiologici rispetto alle survey cliniche. In Asia la situazione sembra sovrapponibile ai dati nord-europei: sia a Taiwan che in Giappone la prevalenza rilevata dei Disturbi dello Spettro Autistico è attorno a 1/370, (Chien et al., 2011; Honda et al., 2005) mentre i dati cinesi riferiti alla popolazione al di sotto dei 15 anni collocano la prevalenza di poco superiore a 1/600 (Wong e Hui, 2008). L’ultimo dato derivato da uno studio epidemiologico riferito alla popolazione della Corea del Sud, fa esplodere la prevalenza in una popolazione asiatica a 1/60 nei bambini fino ai 12 anni di età (Kim et al., 2011): ma alcuni autori suggeriscono cautela su questo ultimo dato. In Italia non ci sono dati sistematici a livello nazionale: i dati derivanti dal Progetto PRIA della Regione Emilia Romagna, indicano una prevalenza attorno al 2/1000 di utenti in carico ai servizi pubblici di Npia regionali (Nardocci e Andruccioli, 2010), dato sostanzialmente simile quello rilevato in Regione Piemonte sulla rete Npi.net. Il contributo dei fattori genetici e ambientali Questa grande variabilità tra i dati viene principalmente attribuita alle difficoltà diagnostiche che si riscontrano in questa sindrome: questo giudizio, assolutamente ragionevole, si basa sull’assunto che la sindrome autistica è legata essenzialmente ad anomalie genetiche che si ritiene siano diffuse ubiquitariamente nella popolazione mondiale, fatto che tende a rendere trascurabile l’eventuale peso dei fattori ambientali. Il recente dato che innalza ad oltre il 18% la probabilità di ricorrenza della sindrome nei fratelli di famiglie con già un bambino autistico, specie se i fratelli sono di sesso maschile e ancora di più in presenza di casi multipli, potrebbe apparentemente confermare il “peso” genetico della sindrome, in questo caso a carico di mutazioni trasmesse (Newschaffer et al., 2012). Questo dato, per quanto oggi noto, può però essere interpretato anche in maniera differente, ossia come la conferma del possibile “peso” dei fattori ambientali condivisi nell’agire da “trigger” su fattori di suscettibilità biologica, peraltro ancora non chiari. Un recente studio sui gemelli monozigoti (Hallmayer et al., 2011) ha parzialmente ridotto il “peso” dei fattori genetici, fino ad ora valutato come il più alto in assoluto tra le patologie psichiatriche (Bailey et al., 1995), aumentando il “peso” dei “fattori ambientali comuni” che spiegherebbero circa il 55% del rischio di autismo nei ma-


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schi e di oltre il 70% nelle femmine: e, ulteriore elemento di riflessione, non sarebbe emersa da questo studio nessuna differenza nel peso relativo tra fattori genetici e ambientali tra la patologia autistica tipica e i disturbi dello spettro autistico. Poiché nella maggior parte dei casi i primi sintomi di autismo si manifestano alla fine del primo anno di vita, è probabile che proprio nel periodo pre-natale e immediatamente post-natale vadano studiati gli eventuali fattori ambientali coinvolti. Il ruolo della ricerca clinica Pur senza confondere i compiti rispetto alla ricerca di base, viste le tante incertezze tutt’ora presenti, la ricerca clinica (Levi, 2011) anche in Italia potrebbe offrire un contributo per una migliore comprensione del fenomeno “Autismo”, soprattutto in relazione ai cambiamenti diagnostici che si preannunciano. L’orientamento verso la ricerca della “nuclearità” dei disturbi dello spettro che è in corso sia nella ricerca genetica e biologica che nei modelli patogenetici, determina la necessità di riconsiderare la sintomatologia autistica sotto un duplice aspetto: da una parte una migliore descrizione dimensionale degli aspetti caratteristici, dall’altra una differenziazione e riclassificazione di quei sintomi che non sono necessariamente determinati dall’autismo in sé. Alcuni lavori sottolineano come la variabilità dei sintomi presenti non riflette solo il livello di sviluppo ma potrebbe rappresentare l’espressione di concomitanti fattori etiologici (Georgiades et al., 2007) ovviamente non sempre presenti con la stesso “peso dimensionale”, e che potrebbero essere determinanti sia per la gravità che per l’evoluzione clinica. La ricerca clinica può quindi essere di grande utilità sia sul piano epidemiologico, che nello studio degli outcome a breve e a lungo termine. Prima di tutto, una ricerca clinica comune tra i diversi centri che studiano l’autismo potrebbe migliorare la capacità “descrittiva”, psicopatologica e neuropsicologica, dei quadri dello Spettro Autistico, in aggiunta alla doverosa attenzione ad individuare i quadri sindromici e le condizioni “organiche” associate. Quanti bambini diagnosticati con Autismo presentano una assenza o una gravissima compromissione del linguaggio verbale? Nei soggetti “verbali” quali sono le differenze “dimensionali” del linguaggio sviluppato? Come incide questa dimensione sulla scelta degli interventi e sui relativi outcome? Alcuni lavori di “survey” indicano che lo sviluppo cognitivo nell’Autismo è mediamente inferiore a quello atteso e che tra il 40 e il 60% di soggetti con Autismo è presente anche una disabilità intellettiva: nei vari servizi qual è la percentuale dei soggetti in carico con disabilità intellettiva? È possibile “sezionare” il profilo cognitivo? La disabilità intellettiva come correla con l’adattamento sociale che in ultima analisi dovrebbe essere l’obiettivo di outcome da verificare? La presenza di comportamenti ripetitivi, rituali o interessi ristretti in misura più accentuata di quanto atteso nell’Autismo, sarebbe in relazione ad una maggiore probabilità di avere una famigliarità per i tratti di tipo ossessivo-compulsivo. È esperienza comune di ogni clinico attento aver notato diversità di rigidità in questi sintomi


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all’interno della stessa diagnosi: solo ritardo negli interventi? Ci sono indicatori precoci nelle prime fasi dello sviluppo? In alcuni casi è osservabile un peggioramento nel tempo? È possibile descrivere una comorbidità con l’Autismo di un quadro clinico, già di per sé controverso, come l’ADHD (Goldstein e Schebach, 2004; Reiersen e Todd, 2008), o si tratta invece di comportamenti correlati alla sindrome? E in che relazione è questa sintomatologia con l’eventuale disabilità intellettiva? Causa, conseguenza o “semplice” correlazione? Non può passare inosservato il dato inequivocabile derivato da numerose pubblicazioni scientifiche sull’efficacia del metilfenidato in alcuni quadri di Autismo (Hazell, 2007; Posey et al., 2007). Alcune reazioni “catastrofiche” di alcuni bambini con Autismo, anche nelle prime fasi di sviluppo, hanno una qualche relazione con il “Dysregulation Profile”, dal momento che anche questi aspetti sembrano avere una caratterizzazione genetica (Mick et al., 2011), che porta a ipotizzare la presenza di fattori di suscettibilità? Una diagnosi tempestiva (entro i 36 mesi) deve essere un obiettivo fondamentale per iniziare subito il percorso di presa in carico e intervento: non bisogna però dimenticare i quadri che si rendono evidenti durante il percorso scolastico, per i quali è altrettanto necessario un intervento specifico, con modalità diverse dai quadri tipici. Un primo parziale contributo per cercare di individuare una modalità descrittiva psicopatologica più esaustiva sulla sindrome autistica, può derivare dalla semplice osservazione descrittiva della casistica. I dati di seguito presentati derivano dalla osservazione dei soggetti consecutivamente giunti all’osservazione della U.O. di Neuroriabilitazione 2/Psicopatologia dello Sviluppo dell’Irccs Eugenio Medea di Bosisio Parini, per una prima diagnosi di autismo o per una rivalutazione funzionale, nel corso del primo semestre del 2012. L’U.O. di Psicopatologia dello sviluppo è una struttura di riabilitazione con finalità diagnostiche - cliniche e funzionali - e di impostazione di intervento abilitativo, rivolta sia a pazienti ambulatoriali attraverso le modalità proprie di un Polo territoriale di Npia, che in regime di ricovero ospedaliero, secondo le specifiche normative previste per la riabilitazione. All’interno della U.O. opera il Centro regionale Psicosi Infantili, interamente dedicato alla diagnosi dei disturbi dello spettro autistico e agli interventi abilitativi dei bambini con Autismo nelle primissime fasi susseguenti alla diagnosi. Durante il primo semestre 2012 sono giunti alla osservazione clinica della U.O. di Psicopatologia dello Sviluppo dell’Irccs Eugenio Medea, n. 183 bambini, di cui n. 101 erano al loro primo contatto con il Centro.


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La diagnosi psicopatologica principale, al termine della valutazione clinica, risulta suddivisa secondo i criteri ICD 10, come segue:

Nel 13% dei casi (n째 23) era presente un quadro sindromico, mentre solo 3 casi presentavano epilessia, dato nettamente inferiore ad altre survey pubblicate. Sono state registrate, in singoli casi, anche le seguenti patologie associate: distrofia muscolare, neurofibromatosi, cerebellopatia di ndd e 3 casi di PCI da sofferenza pre-natale. Complessivamente il 67% del campione presentava ritardo intellettivo ai test psicometrici: il funzionamento adattivo sociale valutato con la Vineland Adaptative Behavior Scale risultava al limite della norma solo nel 5% dei casi, mentre nel 34% dei casi era presente un ritardo lieve, nel 36% un ritardo medio e nel 25% un ritardo


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grave, con una evidente dissociazione di funzionamento adattivo rispetto al solo dato psicometrico cognitivo. Alla valutazione psicolinguistica (batteria Fabbro), solo il 13% del campione presentava un linguaggio espressivo nella norma, nel 24% il linguaggio era completamente assente, mentre nel restante 63% era presente un ritardo di 1 o più deviazioni standard. Il linguaggio ricettivo è risultato normale nel 20% dei casi, mentre nel 58% dei casi era non valutabile o inferiore alle due deviazioni standard. Solo il 5% dei soggetti valutati era in psico-farmacoterapia, anche se il 34% del campione presentava problemi comportamentali clinicamente significativi, soprattutto iperattività e aggressività: la scarsa propensione all’uso degli psicofarmaci (bassa “compliance” parentale?) si conferma una caratteristica italiana molto stabile anche in questo ambito. A completamento di questa prima descrizione di un campione di soggetti con diagnosi di Disturbi dello Spettro Autistico, appare interessante fare una prima descrizione clinica dei soggetti complessivamente in carico al 30 giugno 2012 nei 9 Centri di riabilitazione ambulatoriale della Associazione La Nostra Famiglia presenti in regione Lombardia, raggruppati secondo macro-gruppi diagnostici basati sui criteri dell’ICD 10, in base alla diagnosi principale. Quadri presenti 30 giugno 2012 Ritardi mentali – unica diagnosi Disturbi di apprendimento (*)

422

12,43%

1.364

40,19%

Esiti di lesioni acquisite

120

3,54%

Paralisi cerebrali infantili

155

4,57%

Patologia ortopedica (**)

505

14,88%

Sindromi

63

1,86%

Patologia psichica (***)

534

15,73%

Autismo

91

2,68%

Disordini sensoriali

63

1,86%

Altro

77

2,27%

Totale

3.394

100%

Legenda: (*) disturbi di apprendimento = cod. ICD 10 F80.0 Î F83.0 (**) patologia ortopedica = prevalentemente per l’adulto (nei cdr di riabilitazione è possibile riabilitare anche adulti) (***) disturbi emozionali = cod. ICD 10 F90.0 Î F99.0

Anche in questo caso, la percentuale di soggetti complessivamente in carico ambulatoriale con un disturbo autistico appare simile, pur in condizioni completamente diverse, a quelle dei servizi pubblici della regione Emilia Romagna: in questo caso è impossibile trarre qualsiasi considerazione epidemiologica di prevalenza, ma si con-


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ferma la diffusione del fenomeno che coinvolge non solo i servizi pubblici ma anche i Centri di riabilitazione ambulatoriale, confermando la necessità di sviluppare strumenti di rilevazione e confronto di casistiche per tutti i servizi che si occupano di salute mentale del bambino. Conclusioni Appare importante, oltre all’uso degli strumenti diagnostici tipici per effettuare una corretta diagnosi di autismo (ADI-R, Ados, Cars), e agli approfondimenti strumentali per le patologie o le sindromi associate, strutturare sistematicamente anche una valutazione comportamentale con Check-list strutturate che permettano una descrizione dimensionale dei diversi aspetti comportamentali con una metodologia confrontabile tra i diversi servizi: sarebbe utile introdurre l’utilizzo sistematico di check-list come ad esempio la CBCL o la DBC, quando è associato un ritardo cognitivo significativo. Inoltre potrebbe essere utile introdurre, almeno per i quadri di autismo di età maggiore agli 11 anni, scale globali di funzionamento, così da valutare nel tempo l’evoluzione e gli outcome: la sola valutazione in sub-scale di strumenti diagnostici specifici (come ad esempio la Cars e la Ados) nel corso della evoluzione nel tempo potrebbero essere insufficienti nel valutare complessivamente l’adattamento funzionale raggiunto, così come la sola Vineland non appare in grado, da sola, di consentire un giudizio clinico complessivo: individuare e validare clinicamente un simile strumento potrebbe essere un ulteriore passo per una migliore comprensione del fenomeno. Per poter dare significatività ai dati raccolti, appare auspicabile un confronto e una condivisione di strumenti e metodologie, così da sviluppare, anche in Italia, una collaborazione tra più centri, anche nella ricerca clinica. Riassunto L’evoluzione del concetto di Autismo nel tempo ha portato a modificare i criteri diagnostici e l’attenzione sia dei clinici che dell’opinione pubblica, facendo diventare questa patologia un modello paradigmatico di studio. L’epidemiologia del fenomeno ha assunto dimensioni considerevoli, mentre la comprensione etiologica non ha ancora raggiunto significative certezze: accanto alle mutazioni “de novo” e alle variabili genetiche comuni, sembrano giocare un ruolo importante anche i fattori ambientali comuni. La prossima evoluzione che si preannuncia con il DSM V consiglia di intensificare gli sforzi per una ricerca clinica in grado di caratterizzare anche quantitativamente le dimensioni principali connesse alla sindrome e di descrivere e classificare i sintomi psicopatologici e neuropsicologici, quali possibili fattori ad etiologia differente dal core nucleare dell’autismo. Come primo esempio di un lavoro comune, sono presentati i dati di 183 bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico, valutati nel primo semestre 2012 presso l’Irccs E. Medea di Bosisio Parini, dell’Associazione La Nostra Famiglia. Parole chiave Disturbi dello spettro autistico – Epidemiologia – Psicopatologia associata.


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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 498-511

Adattamento e rischio psicopatologico dei fratelli di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico Adjustment and psychopathological risk in siblings of children with Autism Spectrum Disorder Stefania Di Biasi*, Barbara Trimarco**

Summary Recent international studies have highlighted how siblings of individuals with Autism Spectrum Disorder (Autism Spectrum Disorder-ASD) often show language, communication, affective regulation and social interaction deficits and are exposed to a higher risk to develop psychopathology than siblings of individuals with other illnesses/disabilities or with typical development. In this paper, the authors report the most noteworthy results from the literature, focusing on two main research topics: one investigating the psychosocial adjustment of children and youngsters with ASD’s siblings and the other concerning the relationship between siblings when one of them has an ASD. Results seem to suggest that the presence of a sibling with ASD alone is not a risk factor, whereas the risk appears to spring from the interaction between this condition and other socio-demographic and environmental stress variables. The assessment of psychopathological risk in these children could help researchers to understand the role played by genetic and environmental factors in structuring a psychopathological disorder and to program new models of evaluation and intervention for families of children with ASD. Key words Autism – Siblings – Adjustment – Psychopathological risk.

Introduzione Da diversi anni, la ricerca scientifica nazionale ed internazionale ha focalizzato la sua attenzione sugli effetti del trauma psichico in età evolutiva e su quanto e con quali modalità questo comprometta lo sviluppo del bambino e rappresenti un fattore di rischio per lo strutturarsi di Disturbi Psicopatologici a breve e lungo termine (Levi e Di Biasi, 2008). Diversi studi hanno evidenziato nei bambini traumatizzati un alto rischio per lo sviluppo di Disturbi Internalizzanti ed Esternalizzanti e a lungo termine per Disturbi di Personalità, associati a comportamenti a rischio, quali abuso di sostanze, farmaci, alcool e comportamenti suicidari. * MD, PhD, Neuropsichiatra infantile c/o TSMREE Asl RMH2-5, Giudice Onorario c/o Corte d’Appello di Roma. ** Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università Roma.


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Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato gli effetti sullo sviluppo di traumi quali l’abuso ed il maltrattamento, la malattia organica e il lutto o di eventi acuti come i disastri naturali, mentre sono ancora pochi gli studi che analizzano il possibile trauma relazionale ed il rischio psicopatologico dei bambini che hanno fratelli/sorelle con un grave Disturbo di Sviluppo (Di Biasi, 2007). Recenti studi internazionali hanno evidenziato come i fratelli/sorelle di soggetti affetti da Disturbo Autistico presentino spesso atipie comunicativo-linguistiche, della regolazione emotivo-affettiva e dell’interazione sociale ed un rischio psicopatologico più alto rispetto a bambini con fratelli/sorelle con altra malattia/disabilità o con sviluppo normale (Kaminsky e Dewey, 2002; Pilowsky et al., 2003). Il trauma dell’essere fratello/sorella di un bambino con Disturbo Autistico non equivale al trauma di avere un fratello con una malattia organica. L’autismo infatti è un disturbo le cui basi genetiche si stanno progressivamente sempre più evidenziando. Le ricerche su gemelli monozigoti mostrano una probabilità dal 60 all’80% di avere due bambini affetti da Autismo; gli studi sulle fratrie mostrano che, tra il 3 ed il 5% dei casi, un altro fratello/sorella presenta delle anomalie “nello spettro dei disturbi autistici” se uno dei membri della famiglia ne è affetto (Costantino et al., 2010). Il quadro clinico dei fratelli/sorelle dei bambini autistici sembrerebbe pertanto l’espressione dell’interazione dinamica tra fattori genetici (per la condivisione di parte del patrimonio genetico) e fattori ambientali, quali presenza di dinamiche familiari conflittuali, elevato stress familiare, poca attenzione genitoriale, vissuti di colpa e vergogna spesso presenti all’interno dell’ecosistema familiare di bambini con Autismo. I fratelli/sorelle di bambini con Autismo devono affrontare delle importanti sfide adattive anche reattive a significativi cambiamenti all’interno del nucleo familiare. Un approfondito studio del rischio psicopatologico in questi bambini porterebbe da un lato i ricercatori ad una maggiore comprensione del ruolo giocato dai fattori genetici e ambientali nella strutturazione di un disturbo psichiatrico e dall’altro i clinici alla programmazione di un nuovo modello di valutazione e intervento per le famiglie di bambini affetti da Autismo. L’interesse per lo sviluppo dei fratelli dei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder, ASD) è relativamente recente. Nelle decadi passate, diversi ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sulle conseguenze psicopatologiche nei fratelli/sorelle di bambini con disabilità, soprattutto nei casi di Ritardo Cognitivo e Sindrome di Down. Solo negli ultimi anni la ricerca ha focalizzato la sua attenzione sugli ASD, analizzando non solo il rischio psicopatologico e il possibile disadattamento delle fratrie, ma anche ricercando l’eventuale presenza di alterazioni neuropsicologico-cognitive e/o comunicativo-linguistiche e sociali simili a quelle dei bambini con ASD. Dopo un periodo iniziale in cui gli studi sulla famiglia si sono indirizzati principalmente a rilevare il grado di disadattamento, disgregazione e stress familiare derivante dalla presenza di un bambino con un disturbo pervasivo dello sviluppo, i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sullo studio specifico del cosiddetto endofenotipo autistico (Broader Autism Phenotype, Bauminger e Yirmiya, 2001). L’endofenotipo autistico è caratterizzato da uno spettro di difficoltà cognitivoneuropsicologiche, neurolinguistiche, comunicativo-sociali e comportamentali simili


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a quelle dei soggetti con ASD, ma meno severe. Diverse ricerche negli ultimi hanno valutato lo sviluppo dei fratelli di bambini con ASD, valutando diverse funzioni, quali la teoria della mente, le funzioni esecutive, le competenze comunicativo-linguistiche, le competenze pro-sociali ed il funzionamento cognitivo-neuropsicologico in generale (Dawson et al., 2007; Gamliel et al., 2007; Shaked et al., 2006; Yirmiya et al., 2006; Wong et al., 2006; Yirmiya et al., 2007). L’analisi dei dati della letteratura sull’argomento mostra tuttavia risultati ancora molto contraddittori e poco omogenei sia per quanto riguarda la presenza di un più alto rischio psicopatologico, che per la presenza di caratteristiche del fenotipo autistico allargato. Inoltre mancano studi che valutano il funzionamento dei fratelli/ sorelle in modo esaustivo, tenendo in considerazione sia gli aspetti neuropsicologici che quelli di adattamento e rischio psicopatologico. In questo lavoro gli autori hanno effettuato una revisione ragionata dei recenti studi internazionali analizzando i risultati secondo un’ottica evolutiva. L’obiettivo principale è stato quello di utilizzare un modello di analisi integrata al fine di valutare in che modo i fattori di sviluppo ed i fattori genetici interagiscano con i fattori ambientali per lo strutturarsi di un disturbo psicopatologico (Diathesis Stress Model). Gli studi della letteratura sono stati selezionati attraverso il motore di ricerca Pubmed, restringendo il campo agli articoli pubblicati tra gli anni 2002-2012. Sono state utilizzate le seguenti parole chiave: Siblings, Autism Spectrum Disorder, Psychopathology, Functioning. I risultati della revisione hanno mostrato una vastissima gamma di lavori con filoni di ricerca molto eterogenei tra loro. Pertanto il campo della ricerca è stato ulteriormente ristretto ed in questo lavoro gli autori riportano una analisi dei dati della letteratura riguardanti due specifici filoni: 1. sviluppo psicosociale e competenze adattive; 2. la qualità della relazione tra fratelli, l’identità sociale e le competenze relazionali nelle fratrie di bambini con ASD. In generale gli autori si sono posti i seguenti interrogativi: come incide sullo sviluppo psicosociale delle fratrie avere un fratello e/o sorella con Autismo? E ancora: come incide la qualità della relazione tra fratelli sulla struttura di personalità, sull’identità sociale e sulle competenze relazionali? 1. Adattamento psicosociale dei fratelli di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico (SIBS-A) Diversi ricercatori e clinici (Baker et al., 2002) hanno evidenziato come i fratelli di bambini con Disturbo Autistico (SIBS-A) presentino un rischio più alto rispetto alla popolazione generale per lo sviluppo di: Disturbi del Comportamento, Disturbi Depressivi, Disturbi d’Ansia e vissuti depressivi quali bassa autostima, senso di solitudine, vergogna ed imbarazzo per il fratello disabile. Il rischio psicopatologico sembrerebbe aumentare dall’età preadolescenziale. Altre ricerche non confermano questi dati e non rilevano differenze significative dal confronto con fratelli di bambini normodotati o con altri disturbi evolutivi. Tale discordanza sembra essere dovuta


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soprattutto ad incongruenze metodologiche tra i vari studi. Infatti, inizialmente, venivano spesso inclusi nello stesso campione partecipanti con età eccessivamente distanti, che andavano dall’infanzia alla tarda adolescenza. Inoltre di frequente i gruppi di controllo erano diversi, in alcuni casi composti da fratelli di bambini normodotati, in altri, da fratelli di bambini con ritardo mentale o disturbo dello sviluppo di vario genere. Infine non venivano differenziati i fratelli di bambini con autismo ad alto e basso funzionamento e la numerosità del campione era spesso limitata. Anche se alcuni ostacoli materiali non permettono di eliminare totalmente questi difetti nella procedura sperimentale, l’attenzione al rigore metodologico è senza dubbio aumentata negli anni. Oggi, gli studiosi tendono con sempre maggiore impegno ad utilizzare gruppi di controllo di vario tipo nello stesso lavoro, a servirsi di campioni maggiormente numerosi ed a tenere in considerazione il livello di ritardo mentale dei bambini con ASD. Gli studi si concentrano anche, con maggior frequenza, su specifiche fasce d’età, secondo un modello evolutivo. È anche importante sottolineare la recente tendenza ad indagare non solo gli effetti dannosi dovuti alla presenza di un fratello con ASD in famiglia, ma anche i possibili aspetti benefici da essa derivanti, come lo sviluppo di un concetto di sé più positivo o di un livello di maturità maggiore. In una ricerca di Kaminsky e Dewey (2002), è stata indagata l’influenza che variabili fondamentali, come il supporto sociale percepito ed alcuni fattori socio-demografici, quali la numerosità della famiglia ed il genere dei fratelli, possono avere sull’adattamento psicosociale di questi bambini. I partecipanti alla ricerca avevano un’età compresa tra gli 8 ed i 18 anni. I risultati dello studio non evidenziano differenze significative, rispetto all’adattamento psicosociale e alla presenza di vissuti depressivi tra i fratelli di bambini con ASD e fratelli di bambini con Sindrome di Down o normodotati. Tuttavia gli autori sottolineano come in questo studio tutte le famiglie partecipanti frequentavano interventi di supporto psicologico. Inoltre, i fratelli di tutti e tre i gruppi riferivano di sentirsi ugualmente sostenuti da parte della propria rete sociale. Lo studio mostrava come il livello di adattamento psicosociale nei fratelli dei bambini con ASD era tanto migliore, quanto maggiore era il numero dei figli nella famiglia. Anche se la direzione causale di tale associazione è ignota, gli autori ipotizzano che avere altri fratelli possa costituire un fattore di protezione rispetto a vissuti di diversità e vergogna e permetta la condivisione della preoccupazione riguardo alla disabilità del fratello con autismo. Pertanto, come nella popolazione generale, una relazione positiva tra fratelli sembra rappresentare un fattore protettivo per far fronte agli eventi di vita stressanti ( Jenkins e Smith, 1990). Secondo un’altra recente ricerca (Macks e Reeve, 2007), condotta su un campione di fratelli di età compresa tra i 7 ed i 17 anni, non sarebbe la presenza di un fratello con autismo in sé a rappresentare un fattore di rischio psicopatologico, quanto l’interazione tra tale condizione ed altre variabili socio-demografiche come il genere del fratello normodotato, il numero di fratelli in famiglia, l’ordine di nascita e lo status socio-economico familiare. In particolare emergevano come variabili socio-demografiche a rischio l’essere di genere femminile, provenire da una famiglia con un basso


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status socio-economico, avere solo un fratello ed essere il maggiore. I risultati dello studio evidenziavano anche che i fratelli di bambini con ASD, rispetto al campione di controllo, presentavano un concetto di sé più positivo e minori vissuti depressivi. Gli autori ipotizzano che gli individui con un fratello con autismo si confrontino con quest’ultimo nel valutare il proprio concetto di sé. Secondo gli studiosi inoltre è anche plausibile che essi abbiano realmente sviluppato un livello più alto di maturità, che favorirebbe un miglioramento nei comportamenti, nelle competenze sociali, nelle prestazioni scolastiche e di conseguenza anche nello stesso concetto di sé. Lo studio sottolinea quindi la valenza positiva dell’avere un fratello con ASD. Gli autori mostrano come l’avere un fratello con autismo non rappresenti di per sé un fattore di rischio significativo per lo sviluppo psichico dell’individuo ma che la copresenza di fattori di rischio ambientali può favorire lo strutturarsi di problematiche psicopatologiche. Nella sua ricerca longitudinale, Hastings (2007) ipotizzava l’esistenza di correlazioni tra la presenza di problemi comportamentali nei bambini con disturbo dello sviluppo e l’adattamento psicosociale dei fratelli. Tale studio metteva a confronto fratelli e sorelle normodotati, tra i 3 ed i 18 anni, di bambini con autismo, sindrome di Down e RM ad eziologia variabile (tutti presentavano un ritardo evolutivo da lieve a profondo). Il tipo di disturbo dei fratelli non è risultato un fattore predittivo significativo dell’adattamento comportamentale dei partecipanti. Tuttavia, rispetto ad un campione normativo, i fratelli di bambini con sindrome di Down presentavano un miglior adattamento, ed i fratelli di bambini con autismo e con RM riportavano meno problemi di iperattività. Secondo gli autori dello studio, questo risultato va interpretato con cautela. Infatti è possibile che i genitori di questi soggetti valutassero come meno problematici alcuni dei loro comportamenti poiché avevano sviluppato una maggiore tolleranza verso condotte difficili, oppure perché non volevano dare l’impressione che i propri figli subissero un’influenza negativa da parte del fratello con alterazione o ritardo nello sviluppo. Dopo il follow-up, a distanza di due anni dalla prima valutazione, si evidenziava la seguente relazione unidirezionale: la presenza di comportamenti problematici dei bambini con alterazione o ritardo nello sviluppo nella prima fase sembrava favorire il manifestarsi in epoche successive di problemi di adattamento comportamentale dei fratelli con sviluppo tipico. Al contrario l’adattamento dei bambini con autismo, sindrome di Down e RM non risultava influenzato dai comportamenti problematici dei propri fratelli normodotati. La presenza di Disturbo del Comportamento nel bambino con ASD rappresenterebbe quindi un fattore di rischio per lo sviluppo di difficoltà di adattamento nei fratelli, anche in epoche di vita successive. Tali dati sono confermati anche da un recente studio (Tomeny et al., 2012), dove sono stati confrontati fratelli-ASD e fratelli di bambini con sviluppo tipico, di età compresa tra i 6 ed i 18 anni. I risultati hanno mostrato come la presenza di comportamenti esternalizzanti e di sintomi internalizzanti era un fattore predittivo dello sviluppo di sintomi internalizzanti e di problemi sociali nei fratelli. La presenza di problemi esternalizzanti e di sintomi interalizzanti nel bambino era inoltre correlata positivamente anche ai livelli di stress genitoriale. Per quanto riguarda il solo gruppo-


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ASD, erano presenti più alti livelli di stress genitoriale nelle famiglie dei bambini che manifestavano sintomi autistici più severi. Un’importante variabile da tenere in considerazione nello studio del funzionamento dei fratelli di bambini con ASD è data dal livello e profilo cognitivo dei bambini con Disturbo dello Spettro Autistico. I dati della letteratura a riguardo sono spesso carenti e non differenziano la presenza o il grado di ritardo mentale che caratterizza i fratelli con autismo. Tuttavia, la presenza di ritardo mentale associato potrebbe essere d’ostacolo alla comprensione degli aspetti adattivi effettivamente influenzati dalle caratteristiche del disturbo autistico fraterno. Per questo, alcuni ricercatori hanno preferito focalizzarsi esclusivamente su fratelli di bambini con autismo ad alto funzionamento. Rao e Beidel (2009) hanno indagato i possibili effetti che la presenza di un bambino con autismo ad alto funzionamento in famiglia può avere sull’adattamento di fratelli tra gli 8 ed i 16 anni. I risultati evidenziavano come i genitori con un figlio con ASD mostravano livelli di stress significativamente superiori, rispetto ai genitori del gruppo di controllo, i cui figli non presentavano alcun tipo di disturbo. La percezione maggiore di stress, nei genitori di bambini con ASD, sembrava legata principalmente ai fattori comportamentali del bambino con disturbo dello sviluppo. I due gruppi non presentavano differenze significative riguardo all’eventuale presenza di psicopatologia genitoriale e neppure nei livelli di salute mentale e fisica generale dei genitori. Lo studio evidenziava inoltre un livello piuttosto elevato di problemi internalizzanti tra i SIBS-A. Rispetto alla fase evolutiva alcuni autori si sono maggiormente concentrati sul rischio psicopatologico dei fratelli in preadolescenza, poiché è in questa fase evolutiva che il ragazzo deve riorganizzarsi rispetto all’immagine che ha di se stesso ed in relazione al suo ambiente familiare ed al confronto con i coetanei. Orsmond e Seltzer (2009) hanno analizzato il funzionamento di fratelli di soggetti con ASD, di età compresa tra i 12 ed i 18 anni. I ricercatori (Orsmond e Seltzer, 2009) hanno inoltre cercato di testare il modello “Diathesis-Stress” (Ingram e Luxton, 2005; Rende e Plomin, 1992; Zuckerman, 1999). In particolare, gli studiosi facevano riferimento alla proposta di Bauminger e Yirmiya (2001), secondo cui un modello Diathesis-Stress potrebbe spiegare l’elevata variabilità evidenziata in letteratura nel funzionamento dei SIBS-A: la vulnerabilità genetica come diatesi interagirebbe con lo stress ambientale, influenzando gli esiti di sviluppo. Orsmond e Seltzer (2009) hanno quindi considerato come diatesi la vulnerabilità genetica (identificata con la presenza del fenotipo autistico allargato), mentre per quanto riguarda lo stress familiare ed ambientale sono state valutate tre variabili: problemi comportamentali nel fratello con ASD; eventi di vita negativi; sintomi di depressione nella madre. Dai risultati di questo studio, è emerso che i livelli dei sintomi di ansia e depressione dei fratelli e delle sorelle del campione erano paragonabili a quelli della popolazione generale adolescente. É importante, d’altra parte, sottolineare che vi era una significativa differenza di genere: le sorelle manifestavano livelli superiori a quelli dei fratelli, in entrambi i tipi di sintomi. Nella popolazione adolescente generale, le ragazze tendono ad ottenere punteggi di depressione più alti rispetto ai ragazzi; tuttavia, è


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interessante che i fratelli in questo studio riferissero livelli di depressione anche minori rispetto ai valori normativi dei loro coetanei dello stesso sesso. Secondo gli autori di questa ricerca (Orsmond e Seltzer, 2009), è possibile che sui risultati descritti non influissero solamente le differenze di genere presenti nella popolazione generale, ma anche aspettative e stereotipi sociali relativi ai compiti di cura ed accudimento o altri fattori di natura socio-culturale che renderebbero l’impatto della presenza di un fratello con ASD particolarmente incisivo per le sorelle. Inoltre, il modello Diathesis-Stress è stato in parte confermato: le caratteristiche del fenotipo autistico allargato erano infatti correlate con i sintomi di depressione ed ansia nei fratelli, ma solo quando erano presenti un alto numero di eventi di vita stressanti. La presenza di altri casi di ASD nella storia familiare risultava associata ai sintomi depressivi sia nei fratelli che nelle sorelle; allo stesso modo, a più alti livelli di sintomi di depressione materni, corrispondevano più alti livelli di sintomi ansiosi e depressivi sia dei fratelli, che delle sorelle. Inoltre, quando erano più numerose le caratteristiche del fenotipo autistico allargato nelle madri e nei figli normodotati di entrambi i sessi, erano anche più alti i livelli dei sintomi ansiosi e depressivi di questi ultimi, ma solo in presenza di elementi di stress ambientale. La più evidente conferma al modello Diathesis-Stress è data dal fatto che i fratelli e le sorelle, che presentavano un più alto numero di caratteristiche del fenotipo autistico allargato e che riferivano di aver vissuto più eventi di vita stressanti, manifestavano elevati sintomi di depressione ed ansia. Secondo gli autori della ricerca esposta, è quindi possibile che i fratelli con maggiore presenza di deficit subclinici, legati al fenotipo autistico, siano più vulnerabili davanti ad eventi di vita stressanti e siano maggiormente a rischio per lo strutturarsi di Disturbi Psicopatologici. Oltre all’analisi delle competenze adattive e del rischio psicopatologico, diversi autori hanno cercato di approfondire i vissuti e sentimenti che i fratelli di bambini e ragazzi con ASD sviluppano sia verso se stessi che nell’ambito della relazione con il fratello/sorella. Ad esempio, Ross e Cuskelly (2006) in uno studio su bambini e ragazzi di età compresa tra gli 8 ed i 15 anni hanno evidenziano come l’84% dei fratelli di bambini con ASD esprima vissuti di rabbia nei confronti del fratello, soprattutto per aver sperimentato in diverse occasioni aggressioni e violenze fisiche da parte del fratello. Tuttavia, indagare i vissuti emotivi ed affettivi dei fratelli dei bambini con ASD non è semplice soprattutto per i bambini in età prescolare e scolare. Inoltre diverse ricerche in merito hanno mostrato come più della metà dei fratelli non sia in grado di spiegare i problemi del fratello ed 1/3 riferisce di non poter condividere e parlare delle difficoltà del fratello con gli altri familiari. I fratelli dei bambini con ASD, soprattutto in età evolutive precoci, non comprendono il significato di alcuni comportamenti dei fratelli con ASD. Questo aspetto che rende il bambino con ASD poco comprensibile nelle sue manifestazioni comportamentali e comunicative sembra rappresentare un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di problematiche psicosociali nei fratelli dei bambini con ASD. Benderix e Sivberg (2007) hanno intervistato alcuni bambini, ragazzi e giovani adulti (l’età dei soggetti era compresa tra i 5 ed i 29 anni), per esplorare la loro esperienza di vita con un fratello o una sorella con autismo e ritardo mentale. I bambini


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con autismo e ritardo mentale avevano tra i 10 e gli 11 anni e stavano per trasferirsi in un Centro terapeutico residenziale. L’intervista utilizzata da Benderix e Sivberg (2007) andava a toccare alcuni temi specifici relativi all’esperienza degli intervistati, come la descrizione del fratello o della sorella, il tempo passato con lui/lei, le attività familiari, le relazioni amicali e l’influenza che il fratello o sorella con autismo aveva in esse. Dall’analisi del contenuto delle interviste sono state rilevate sette categorie: 1. avere un precoce senso di responsabilità, 2. provare dispiacere per il fratello o la sorella con autismo, 3. essere esposti a comportamenti spaventosi insoliti, 4. provare sentimenti empatici per il bambino con autismo, 5. sperare che il trasferimento del bambino con ASD sia di sollievo per la famiglia, 6. provare sentimenti di insicurezza ed ansia in casa a causa dell’aggressività fisica, 7. influenza negativa del fratello o della sorella con autismo sulle relazioni amicali. Il senso di responsabilità precoce variava tra una famiglia e l’altra ed a seconda dell’età dei fratelli con sviluppo tipico: a volte questi ultimi riferivano di farsi carico di ruoli di responsabilità per permettere ai genitori di riposare, altre volte perché si sentivano tenuti a proteggere il fratello o la sorella con autismo. Il sentimento di dispiacere derivava spesso da una riflessione degli intervistati rispetto al fatto che i propri fratelli non riuscissero a capire o gestire molte situazioni della vita quotidiana e non avrebbero potuto condurre una vita “normale” ed indipendente in futuro. Venivano considerati comportamenti spaventosi insoliti quelli incontrollabili messi in atto dal fratello o dalla sorella con autismo, che spingevano spesso gli intervistati a chiudersi a chiave in camera, per stare da soli. I sentimenti empatici emergevano soprattutto quando i fratelli con autismo apparivano tristi, spaventati o frustrati. Per quanto riguarda la speranza di sollievo derivante dal trasferimento, i fratelli e le sorelle minori speravano di sentirsi più liberi, mentre i maggiori si focalizzavano principalmente sugli effetti positivi che il cambiamento avrebbe avuto per i genitori. Alcuni tra i partecipanti facevano anche riferimento alla possibilità di poter passare più tempo con il padre e la madre, dopo il trasferimento. Uno degli aspetti più difficili da accettare per gli intervistati era l’aggressività fisica in famiglia, attuata dal bambino con autismo, che in molti casi veniva chiuso in una stanza, quando la situazione diventava ingestibile anche per i genitori. Gli intervistati riferivano di sentirsi spesso offesi ed insultati da tali atti di violenza impulsiva e non abbastanza protetti dai genitori. Infine, i partecipanti dichiaravano di non invitare gli amici a casa, quando c’era anche il fratello o la sorella con ASD. Le categorie emergenti dalla ricerca tendono sia a confermare i differenti risultati presenti in letteratura, sia ad evidenziare esperienze profonde e personali rimaste per lo più inesplorate. Particolarmente significativa è la categoria avere un precoce senso di responsabilità: questa assunzione di responsabilità può infatti accelerare il raggiungimento di un buon livello di maturità nei fratelli, tuttavia può allo stesso tempo essere sentita come un peso, soprattutto per i più giovani, determinando vissuti di ansia ed impotenza di fronte alla disabilità del fratello/sorella.


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2. Le relazioni tra fratelli Lo studio della relazione tra fratelli, pur avendo dei risvolti molto importanti a livello clinico e terapeutico, in letteratura è poco analizzata. Tuttavia, comprendere i processi che sono in grado di promuovere relazioni positive e di sostegno tra i bambini con ASD ed i loro fratelli può essere d’aiuto nel tentativo di rendere più salde tali relazioni. Inoltre, nelle relazioni con i fratelli, il bambino con ASD può trovare uno spazio protetto per affrontare le difficoltà dell’interazione sociale (Rivers, Stoneman, 2008). La relazione tra fratelli può anche avere un ruolo chiave nel migliorare la qualità della vita e diminuire l’isolamento delle persone con ASD, specialmente nell’età adulta. Molti studi hanno analizzato in che modo cambia questo tipo di relazione, quando uno dei due fratelli presenta un ASD: se si caratterizza e si sviluppa in modo simile alla relazione tra fratelli normodotati o se è influenzata in modo rilevante dalle modalità in cui il disturbo dello spettro autistico si modifica, durante la vita della persona. Si è anche cercato di individuare quali variabili possano incidere maggiormente sugli sviluppi più o meno positivi della relazione oggetto di studio. Rivers e Stoneman (2008) hanno studiato le possibili associazioni tra il temperamento di entrambi i fratelli e la qualità della relazione tra loro. Gli studiosi erano interessati ad indagare il modo in cui il temperamento e la percezione dei fratelli di essere trattati in modo differente dai genitori (differential parenting) possono interagire con la qualità della relazione tra fratelli. Uno dei punti di forza dello studio era il doppio punto di vista considerato riguardo alla qualità della vita: quello del fratello con sviluppo tipico e quello di uno dei genitori. I fratelli reclutati per la ricerca avevano un’età compresa tra i 7 ed i 12 anni. Gli autori hanno individuato nella dimensione temperamentale della Persistenza (attenzione sostenuta nel compito, anche quando esso è molto impegnativo. Martin e Bridger, 1999; Deal et al., 2005) un fattore predittivo fondamentale della qualità delle relazioni tra i bambini con ASD ed i loro fratelli normodotati. Infatti, sia i bambini con sviluppo tipico che i genitori ritenevano che la relazione presentasse meno aspetti negativi, quando i bambini avevano temperamenti persistenti. I giudizi positivi dei bambini sulla qualità della relazione oggetto di studio raggiungevano i livelli più bassi, quando entrambi i fratelli erano considerati poco persistenti. In tale condizione, anche i genitori ritenevano che la soddisfazione del figlio con sviluppo tipico, rispetto alla relazione con il fratello con ASD, fosse minima. Lo studio evidenziava inoltre come il temperamento non persistente di uno dei fratelli favorisse la mancanza di persistenza dell’altro, portando ad un risultato assai dannoso per la relazione tra i due. Quando almeno uno dei due fratelli presentava un temperamento persistente esso era invece in grado di modulare l’influenza negativa del temperamento più difficile dell’altro (effetto cuscinetto). In quest’ultimo caso, infatti, la relazione era percepita in modo positivo dal bambino con sviluppo tipico, indipendentemente da quale dei due fratelli avesse un alto livello di persistenza. Anche per quanto riguarda il differential parenting, il ruolo della persistenza rimaneva significativo: quando i loro livelli di persistenza erano minori, i fratelli sembravano meno soddisfatti del trattamento differenziato ricevuto da parte dei genitori, e quan-


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do i fratelli erano insoddisfatti rispetto alle differenze percepite nel trattamento dei genitori, la qualità della relazione tra fratelli ne risultava deteriorata. In generale, i dati della letteratura evidenziano come i bambini in età scolare percepiscano in modo prevalentemente positivo la loro relazione con fratelli e sorelle con ASD. Tuttavia l’interazione ludica appare meno presente, sia dal confronto con bambini con fratelli con altra Disabilità (es: Sindrome di Down) che dal confronto con fratelli con sviluppo tipico. Rispetto a questi ultimi tuttavia la relazione tra fratelli appare meno competitiva e conflittuale pur mantenendo un ridotto livello di intimità. Orsmond, Kuo e Seltzer (2009) hanno analizzato la qualità della relazione affettiva tra fratelli in due momenti evolutivi, l’età adolescenziale e quella adulta. I risultati evidenziavano che sia i fratelli adolescenti che quelli in età adulta riferiscono simili livelli di affettività nella relazione, mostrando una certa stabilità temporale della relazione tra i fratelli. L’analisi delle capacità di coping ha rivelato invece differenze nelle strategie utilizzate dai partecipanti adolescenti e adulti, corrispondenti a quelle riscontrate nella popolazione generale: rispetto agli adulti, infatti, gli adolescenti tendevano a servirsi di strategie maggiormente centrate sulle emozioni e meno sul problema. Inoltre, solo per i soggetti in età adulta, è emersa una correlazione positiva tra la percezione di essere sostenuti dai propri genitori e l’affettività positiva nella relazione con il fratello. È stata evidenziata pertanto, anche in età adulta, l’importanza del ruolo dei genitori per la qualità della relazione tra i fratelli. Per gli adolescenti invece risultava ancora più importante il sostegno ricevuto dall’intero nucleo familiare. In questo gruppo, erano i soggetti provenienti da nuclei familiari più numerosi a riferire livelli di affettività maggiori nella relazione fraterna. Rispetto al genere, emergeva una differenza solo per il gruppo degli adulti: fratelli adulti di sorelle con ASD riferivano il grado più basso di coinvolgimento in attività condivise, al contrario delle adulte con sorelle con ASD, che mostravano l’implicazione maggiore. A questo proposito, gli studiosi sottolineano il maggiore rischio di isolamento sociale per le donne con ASD che hanno solo un fratello di genere maschile. È emerso anche che i fratelli maggiori condividevano un maggior numero di attività con il proprio fratello o sorella con ASD. Infine, la presenza di severe problematiche comportamentali nei soggetti con ASD esercitava un’influenza negativa sulla relazione. Conclusioni Gli studi della letteratura, seppure altamente eterogenei tra loro, sembrano confermare la presenza di una possibile vulnerabilità nello sviluppo nei fratelli/sorelle dei soggetti con ASD. Si conferma la presenza del modello Diathesis-Stress, secondo cui l’esistenza di un endofenotipo autistico nel fratello/sorella associata alla presenza di altri fattori di rischio psicosociali e familiari e/o alla sperimentazione di eventi di vita stressanti, aumenta la possibilità dello strutturasi di un Disturbo Psicopatologico. Pertanto, nello studio del funzionamento dei fratelli-ASD, non è possibile differenziare in modo netto la presenza dell’endofenotipo autistico e lo studio dei fattori di rischio ambien-


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tali. Secondo un’ottica di sviluppo è quindi necessario considerare l’interazione dinamica tra i diversi fattori (vulnerabilità genetica-diathesis e fattori ambientali-stress) nell’ambito dei crocevia evolutivi. I fratelli dei bambini con ASD affrontano nell’arco del loro sviluppo diverse sfide adattive che possono, in specifici momenti di crisi ed in presenza di altri fattori stressanti, determinare lo strutturarsi di Disturbi Psicopatologici. In generale gli studi evidenziano come le capacità di adattamento dei fratelli/ sorelle di bambini con ASD siano correlate soprattutto a: • Grado di severità del Disturbo Autistico; • Presenza di Disturbi del Comportamento associati; • Livello e profilo cognitivo del bambino con ASD; • Livello di Parenting stress; • Numero di fratelli all’interno della famiglia; • Stato socio-economico della famiglia; • Età, genere, ed ordine di nascita del fratello con sviluppo tipico; • Presenza di supporto terapeutico, familiare e sociale. Appare inoltre importante sottolineare che i fratelli/sorelle devono affrontare delle sfide adattive differenti da quelle dei fratelli di bambini con altre disabilità, che sono legate proprio alle caratteristiche cliniche del Disturbo dello Spettro Autistico. In particolare: le problematiche comportamentali (aggressività verbale e fisica), i disturbi della comunicazione verbale e non verbale, alcune bizzarrie comportamentali, le difficoltà dell’interazione sociale e dell’adattamento, gli interessi limitati e ristretti etc. I clinici ed i ricercatori hanno evidenziato come la non possibilità di comprensione e il non poter dare significato alle manifestazioni comportamentali dei loro fratelli/sorelle con ASD rappresenta un fattore di rischio molto importante. Più della metà dei fratelli di bambini con ASD non è in grado di spiegare il perché dei problemi del fratello ed 1/3 dei bambini riferisce di parlare molto poco delle difficoltà del fratello e dei suoi dubbi a riguardo. La letteratura ha tuttavia evidenziato anche dei fattori positivi per l’adattamento psicosociale dei fratelli/sorelle di bambini con ASD e nello specifico: il maggiore senso di responsabilità, una migliore immagine di se stessi, una maggiore sensibilità e capacità di comprendere l’altro, un maggiore altruismo ed empatia. Tali risultati sembrano comunque contrapporsi a quanto emerso dallo studio dei vissuti dei fratelli/ sorelle dei bambini con ASD. L’analisi dei recenti dati della letteratura mostra infatti come oltre allo studio fenomenologico e diagnostico-nosografico sia fondamentale analizzare in profondità i vissuti emotivo-affettivi dei fratelli/sorelle dei bambini con ASD. L’esperienza clinica dimostra infatti come tali vissuti rimangano spesso misconosciuti poiché la famiglia e l’equipe medica tendono ad investire tutta la loro attenzione prevalentemente sul bambino “malato”, tralasciando in molti casi le possibili vulnerabilità emotive e di sviluppo dei fratelli/sorelle. In questo senso lo studio delle qualità della relazione tra i fratelli e sorelle appare molto più utile rispetto all’uso di questionari ed interviste standardizzate. Tali indagini cliniche evidenziano infatti


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spesso la presenza di vissuti depressivi e di ansia che, se non accolti e riconosciuti, possono favorire, soprattutto in epoca preadolescenziale ed adolescenziale, lo strutturarsi di problematiche più severe. Il riconoscimento di una vulnerabilità nel fratello/sorella e la sua presa in carico rappresentano infatti un fattore protettivo anche per l’evoluzione terapeutica del bambino con ASD. Gli studi dimostrano infatti come la qualità positiva della relazione fra fratelli rappresenta un importante punto di forza sia per il bambino normodotato che per il bambino con ASD e per il funzionamento di tutto il nucleo familiare. Pertanto l’analisi dei recenti dati della letteratura mette in luce la necessità di un nuovi studi con metodologie più rigorose al fine di poter progettare specifici modelli di valutazione ed intervento dei nuclei familiari di bambini con ASD. Questo lavoro rappresenta la cornice teorica di un Progetto di Ricerca sul funzionamento dei fratelli/sorelle di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico svolto dalla Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “Sapienza” e dai Servizi TSMREE della ASL RMH ed ASL RMC. I risultati del progetto sono in fase di elaborazione.

Riassunto Recenti studi internazionali hanno evidenziato come fratelli e sorelle di soggetti affetti da Disturbo dello Spettro Autistico (Autism Spectrum Disorder - ASD) presentino spesso atipie comunicativo-linguistiche, della regolazione emotivo-affettiva e dell’interazione sociale ed un rischio psicopatologico più elevato, rispetto a bambini con fratelli/sorelle con altra malattia/disabilità o con sviluppo normale. In questo lavoro, gli Autori riportano i dati più salienti della letteratura rispetto a due specifici filoni di ricerca: quello riguardante l’adattamento psicosociale delle fratrie di bambini e ragazzi con ASD e lo studio della relazione tra fratelli quando uno dei due presenta un ASD. L’analisi dei dati raccolti sembra suggerire che la presenza di un fratello con Disturbo dello Spettro Autistico non rappresenti di per sé fattore di rischio per lo sviluppo di Disturbi Psicopatologici. Il rischio aumenta in presenza altre variabili socio-demografiche e di stress ambientale/familiare. Una valutazione approfondita del rischio psicopatologico in questi bambini permetterebbe non solo una maggiore comprensione teorica del ruolo giocato dai fattori genetici ed ambientali nella strutturazione di un Disturbo Psicopatologico ma anche la programmazione di nuovi modelli di valutazione ed intervento per le famiglie dei bambini affetti da ASD. Parole chiave: Autismo – Fratelli/sorelle – Adattamento – Rischio psicologico.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 512-528

Esperienza di Buone Prassi: diagnosi e intervento precoce delle sindromi Autistiche Experience Best Practices: diagnosis and early intervention Autistic Syndromes Giovanna Gambino*, Marina Bellomo**, Francesca Di Maria***, Monia Russello***, Francesca Aneli****, Maria Grazia Farina****

Summary The Autism Spectrum Disorders (ASD) are a group of developmental disorders characterized by deficits in social interaction and communication patterns and restricted, repetitive and stereotyped patterns of behavior. Symptoms usually appear before age 3 years. We want to bring our experience of good practice for taking care of the autistic syndromes at an early stage in the life of 0-3 years. Shows the data on population in access to the service and the procedural protocol evaluation diagnostic and therapeutic adopted in accordance with guidelines on good practice that allows you to switch from a functional individual project. Key words Autism Spectrum Disorders – Good practice – Care of autistic syndrome – Early intervention.

Introduzione I Disturbi dello Spettro Autistico (DSAut) costituiscono un gruppo di disturbi dello sviluppo neurocomportamentale, ad esordio nei primi tre anni di vita e a carattere evolutivo, che compromettono le autonomie personali e sociali anche in età adulta. I primi tre anni di vita del bambino rappresentano una finestra di opportunità molto incisiva per l’acquisizione di funzioni cognitive, sociali e linguistiche, necessarie alla successiva integrazione nel sistema sociale, essendo correlate alla fase di maggiore neuroplasticità cerebrale. Pertanto, rappresentano terreno elettivo per i programmi di prevenzione nell’area della salute mentale della età evolutiva. L’individuazione del Rischio Evolutivo verso il Disturbo Autistico nel corso del secondo anno di vita – epoca in cui dovrebbero essere già presenti tutti gli indicatori cognitivi e sociali propri dello sviluppo armonico – potrebbe permettere di ostacolare * Dirigente

Resp.ff Ambulatorio HUB Diagnosi e trattamento intensivo precoce delle Sindromi Autistiche (0-6 aa.) - ASP Palermo. ** Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo comportamentale. *** Logopedista. **** Psicologa.


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la progressiva organizzazione atipica dei meccanismi neurobiologici che sono alla base dello sviluppo socio-comunicativo e quindi la gravità dell’autismo che raggiunge piena espressione nel corso dei primi tre anni di vita (Levi, 2012). Una tempestiva attivazione del trattamento potrebbe evitare la successiva diagnosi di autismo; da questa ipotesi deriva l’ambizioso obiettivo di poter ridurre realmente la frequenza di autismo attraverso un programma di screening dei bambini tra 18 e 30 mesi (Bristol, Cohen, Costello, 1996; Dawson e Osterling, 1997; Nadig et al., 2007; Levi, 2012; Muratori, 2012). Le recenti Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità (2011) per i trattamenti delle Sindromi Autistiche, sottolineano la necessità del trattamento intensivo precoce con il coinvolgimento dei genitori, rispetto alla possibilità di una significativa evoluzione prognostica positiva. I genitori “non terapeuti né coterapeuti” divengono “competenti rispetto al proprio bambino” già in fase di Individuazione del Rischio, in riferimento alla tipologia del suo funzionamento ed ai suoi “bisogni speciali” e quindi sono parte integrante del Sistema Curante ( Johnson e Myers, 2007). L’ intervento ha come presupposto essenziale il coordinamento delle azioni dei caregivers (genitori, insegnanti, terapisti, educatori) nei principali ambienti di vita del bambino finalizzate a promuoverne l’ integrazione sociale (Fabrizi e Diomede, 2006). Ciò significa lavorare costantemente per il Progetto di Vita, in una logica individuale (del bambino e della famiglia) con attenzione al sistema in cui è inserito “il bambino” e al sistema organizzativo di rete, in cui tutti i processi sono centrati sulla persona. Riguardo l’individuazione del più efficace modello di trattamento diretto, con il bambino e il genitore, sono ancora diverse le questioni aperte e vi è la necessità di studi di validazione. Obiettivo del lavoro Il presente lavoro vuole riferire i dati preliminari relativi al primo semestre di attività diagnostica e terapeutica dell’ anno 2012 svolta nel nostro Servizio ambulatoriale HUB, strutturata sulla base di protocolli, secondo le raccomandazioni da Linee Guida SINPIA (2005). Nell’ambito del progetto terapeutico l’attenzione è rivolta alla significativa modificabilità di alcune funzioni estrapolate dal profilo funzionale dei bambini del campione in esame, rispetto a criteri di importanza espressiva nell’evoluzione del disturbo a breve e medio termine. Le procedure diagnostico valutative sono applicate a tutta la popolazione di bimbi della fascia 0-6 anni, mentre il trattamento intensivo precoce secondo modello cognitivo-comportamentale è rivolto prioritariamente alla fascia di 24-36 mesi. Si descrivono le prassi adottate in fase di prima diagnosi e di assessment iniziale e si individuano i parametri funzionali emergenti dal follow-up semestrale, dopo lo start up terapeutico di tre mesi. I dati analizzati sono estrapolati dall’Assessment Funzionale di Sundberg e Partington (1998) e dall’ADOS modulo 1 (Lord, Rutter, Di Lavore, Risi, 1999).


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Soggetti e metodi Il nostro Ambulatorio HUB per l’Autismo (inserito nel modello aziendale organizzativo della NPI territoriale Hub e Spoke), rivolgendosi prioritariamente all’individuazione precoce e alla diagnosi dei Disturbi dello Spettro Autistico, attiva un percorso che prevede: – Visita e valutazione neuropsichiatrica; – Formulazione dell’ipotesi diagnostica; – Attivazione del percorso valutativo del profilo funzionale e di definizione diagnostica; – Attivazione del percorso terapeutico. L’intervento è articolato su modello cognitivo-comportamentale a carattere multimodale (riabilitazione logopedica - intervento psicoeducativo strutturato - Comunicazione Aumentativa Alternativa, anche attraverso uso di strategie informatiche - training alimentare per la cura delle turbe oro-alimentari e deglutitorie) ed è strutturato secondo programmi evolutivi individuali formulati a seconda del profilo funzionale di ciascun bambino, molto efficace nella promozione dello sviluppo delle abilità residue del soggetto e nella generalizzazione delle abilità apprese nel corso del trattamento individuale. – Trattamento Farmacologico; – Servizi di supporto alle famiglie; – Servizi di interazione con le scuole e ai servizi educativi presenti nel territorio; – Interazione con i Centri di Riabilitazione ed i Servizi Territoriali. Nel presente lavoro, viene analizzata la popolazione 0-6 anni afferente al nostro Servizio HUB per l’Autismo, selezionata nell’ambito dell’utenza del primo semestre 2012, secondo la codifica ICD 10-DSMIV TR (American Psychiatric Association, 2003). Il campione totale di 115 bambini è caratterizzato: 1. da 80,87% maschi e 19,13% femmine (vedi Grafico 1); 2. l’età è compresa tra 0 e 6 anni, con una percentuale di bambini del 36,32% di 3 anni (vedi Grafico 2);


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3. le diagnosi di accesso sono distribuite tra Autismo e Disturbo dello Spettro Autistico, codificate secondo ICD 10-DSMIV TR F84.0 62,61%, F84.9 29,57%, F84.1 7,83% (vedi Grafico 3).


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L’esordio risulta ritardato in circa 82% dei casi, mentre il 18% presenta esordio regressivo. La valutazione retrospettiva viene effettuata attraverso i video familiari che risultano molto utili nella ricostruzione delle prime fasi evolutive e di esordio del disturbo e più fedeli rispetto al riferito genitoriale. I bambini del campione ad elevato rischio evolutivo verso un disturbo autistico, individuati al di sotto dei 24 mesi, che condividono già l’assenza di indicatori di Intersoggettività - Pointing - Attenzione condivisa - dopo rilevamento di Risposta al richiamo a 8 mesi e l’emergenza di turbe di regolazione sensoriale, vengono anch’essi avviati al protocollo valutativo con attivazione dei genitori, orientati verso una corretta “attenzione allo sviluppo neurocomportamentale” del proprio bambino ed un’attività che curi particolarmente il sistema psicoeducativo, ludico e interattivo-relazionale. Vengono monitorati sino all’accesso al trattamento intensivo, condividendo la condizione di “individuazione del rischio evolutivo” e accompagnati alla “conferma diagnostica”. Il presente lavoro fa riferimento ad un gruppo di 63 bambini del campione totale, di età compresa tra i 24 e i 36 mesi. Vengono distinti per diagnosi di accesso secondo la classificazione ICD 10-DSMIV TR: il 73,02% è identificabile come Disturbo Autistico (F84.0) e il 26,98% come Disturbo Pervasivo dello Sviluppo NAS (F84.9) (vedi Grafico 4) e avviati direttamente al trattamento intensivo. Sono esclusi tutti quei soggetti in cui è presente una componente organica conosciuta (sindromi genetiche note, malattie metaboliche, deficit neurosensoriali, ecc.).

L’iter dell’inquadramento valutativo, in accordo con quanto stabilito dalle linee guida della Società di Neuropsichiatria Infantile (Linee Guida SINPIA 2005), prevede le seguenti fasi con le relative strumentalità utilizzate: 1. esame clinico con: valutazione degli aspetti biologici (indagini genetiche, biochimico-


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metaboliche, elettrofisiologiche, neuroradiologiche, audiometriche), esame neuropsichiatrico generale; 2. valutazione diagnostica attraverso l’uso: di Autism Diagnostic Interview-Revised (Rutter, Le Couteur e Lord, 2003) e Autism Diagnostic Observation Schedule (Lord et al., 1999), Childhood Autism Rating Scale (Schopler, Reicheler e Renner, 1988); 3. valutazione cognitiva attraverso: somministrazione di Leiter-R. (Roid e Miller, 2002); Griffith Mental Development Scales (Griffith,1997); 4. valutazione funzionale e di sviluppo: PEP-R Profilo psicoeducativo revisionato (Schopler et al., 1995); scheda ESDM-EARLY Start Denver Model (Rogers e Dawson, 2010), l’Abbls-R (The Assessment of Basic Language and Learning Skills – Revised) (Partington, 2011) strumento utilizzato sia ai fini di valutativi oltre che per la costruzione di specifica guida/curriculum per il percorso di apprendimento; 5. valutazione adattiva: Vineland Adaptive behavior Scales (Sparrows, Balla, Cicchetti, 2003); 6. valutazione logopedica, che prevede la valutazione diagnostica delle competenze comunicativo-linguistiche, attraverso dei test differenziati a seconda della tipologia del bambino e integrano i risultati con le informazioni provenienti dai genitori, dagli operatori e dalle video registrazioni, con i dati relativi allo stato cognitivo e con altri fattori capaci di influenzare le acquisizioni del bambino (Crais, 1995; Wetherby e Prizant, 1992). Per i bambini allo stadio preverbale o fenotipo prosodico-sillabico, sono previste due sedute d’osservazione in contesto ludico e con il coinvolgimento dei genitori, e la somministrazione del Questionario MacArthur, scheda Gesti e Parole (Caselli e Casadio, 1995) compilato nell’arco di una settimana. Si individua non solo il profilo comunicativo e linguistico del bambino, ma anche lo stile comunicativo, interattivo e le competenze sociali dei genitori. Il Test VCAA – Valutazione della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (Goldman, 2006) è utilizzato per individuare il sistema di comunicazione più adatto per le abilità e i bisogni dei bambini privi di abilità verbali affetti da autismo. Per i bambini a linguaggio emergente o fenotipo ecolalico, è prevista la raccolta di un campione di linguaggio, spontaneo e su stimolo iconico, e la somministrazione del Questionario MacArthur (1995), scheda Parole e Frasi. La valutazione logopedica prevede, quando possibile, la somministrazione di: P.P.V.T. versione italiana a cura di G. Stella (2000); T.P.L. (Axia, 1996); T.V.L. (30- 71 mesi) di C. Cianchetti e G. S. Fancello (2003); Bilancio fonetico-fonologico di F. Fanzago (1983); PVCL (Rustioni, 2007); per i prerequisiti di base: l’attenzione, l’attenzione congiunta, l’imitazione e le abilità motorie dell’apparato fonatorio (Tager-Flusberg, Paul e Lord, 2005), alternanza di turno, gesti deittici e referenziali, anche all’interno di routines sociali, schema d’azione con l’oggetto, gioco simbolico; nel versante del linguaggio, il lessico in comprensione e produzione, per qualità e quantità, la comprensione di semplici frasi tipiche del contesto familiare. L’iter di valutazione funzionale si pone quindi in una logica di prosecuzione del processo di conoscenza del soggetto iniziato in fase di valutazione diagnostica, e si conclude nel momento in cui le informazioni emerse ci mettano in grado di predisporre un intervento individualizzato. La valutazione di ogni soggetto lungo tutto il suo iter è condivisa con le figure genitoriali, al fine di enucleare le possibili risorse in termini di sostenibilità del percorso psico-educativo e per favorire il livello di comprensione delle condizioni del bambino da parte dei genitori. Parallelamente all’approfondimento conoscitivo si procede, ad una restituzione continua di tipo psico-educazionale, offrendo i suggerimenti appropriati per il proprio figlio e per la riorganizzazione del sistema più ampio.


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Il modello di intervento è quello cognitivo comportamentale che si muove secondo interventi basati sui principi dell’analisi del comportamento modernamente declinati in termini evolutivi” (Novak, 1999; Bijou, 1997; Anchisi, Dessy e Moderato, 1996). Nonostante l’intervento mirato allo sviluppo delle abilità funzionali sia dominante negli approcci comportamentali, il nostro trattamento essendo rivolto prioritariamente alla fascia 0-3 anni mira a conciliare l’intervento funzionale con quello evolutivo. Pertanto il nostro modello, che è orientato a costruire il progetto terapeutico intorno al bambino e non intorno alla sua diagnosi, si propone di utilizzare in modo integrato e strategico diverse componenti metodologiche dell’analisi comportamentale applicata (Vivanti, 2010). L’intervento diretto sul bambino, alla luce della fascia di età presa in considerazione (< 36 mesi), si muove su un duplice versante: a) attraverso lo sviluppo di abilità sociali pre-verbali, concepite come base per lo sviluppo delle altre aree, vengono specificatamente stimolati gli elementi base della reciprocità sociale: attenzione condivisa, imitazione, sequenze di gioco triadico (bambino-genitore-operatore). Si tratta di un modello basato sul nucleo del Early Start Denver Model, in cui l’intervento è centrato sul bambino per favorire la sua iniziativa, la sua motivazione e la sua partecipazione a relazioni sociali coordinate; b) attraverso l’intervento psicoeducativo cognitivo comportamentale finalizzato a: colmare i deficit di apprendimento che derivano dall’ incapacità di accedere al mondo della socializzazione e ad attenzionare con specifiche tecniche i possibili problemi di comportamento originati dal deficit comunicativo. Inoltre laddove non si osserva alcuna emergenza verbale viene attivato l’insegnamento di un sistema di comunicazione alternativo (PECS- Picture Exchange Communication System/linguaggio dei segni). L’intervento, si articola in ambienti strutturati o semi-strutturati che forniscano una sorta di regolazione esterna necessaria per attivare le strategie di insegnamento specifiche per gli obiettivi prefissati. L’intero piano di trattamento, caratterizzato da una valutazione qualitativa delle abilità e delle difficoltà, da una analisi funzionale dei problemi comportamentali finalizzata a comprenderne le motivazioni ed a trovare le modalità di estinzione, costituisce la guida del percorso. Tale curriculum viene spiegato alla famiglia e condiviso durante l’itinerario abilitativo, in modo da far emergere: cosa viene insegnato, come insegnare e cosa il bambino sta apprendendo. Relativamente al come insegnare, durante i trattamenti, i genitori vengono guidati a comprendere e verificare l’efficacia delle tecniche di intervento comportamentale (manipolazione di antecedenti e conseguenze, rinforzo, analisi del compito, prompt, fading, concatenamento, analisi funzionale) che spesso “vengono viste come strategie innaturali sino a quando non se ne sperimenta l’utilizzo e non vengono assorbite all’interno di un modus pensandi ed operandi”. Lungo il percorso di trattamento il fondamentale coinvolgimento familiare è orientato su due livelli: diretto e indiretto. L’attività diretta è articolata in sessioni di interazione strutturate con il bambino, guidate dall’operatore secondo diversi itinerari previsti per area funzionale e di sviluppo. L’attività indiretta prevede n° 10 incontri con la famiglia condotti da tutti gli operatori della equipe impegnati nel lavoro con il bambino. L’evoluzione della qualità delle interazioni ed il coinvolgimento del sistema familiare nello specifico percorso di crescita del bambino, determina un parallelo rafforzamento delle competenze genitoriali. Pertanto, obiettivo del “Sistema Curante” sarà fornire al soggetto autistico


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un “tessuto ambientale” adeguato ad affrontare le complesse problematiche poste dalla patologia, reso “abilitativo” dalla competenza di tutti i componenti e dalla condivisione del progetto individualizzato, in risonanza con il concetto di “riabilitazione ecologica” già utilizzato nell’ambito del trattamento dei disturbi neuromotori (Pierro, 2002). L’area d’intervento logopedico gode della possibilità di sviluppare diverse tipologie di attività, inserite nel contesto educativo ad orientamento cognitivo comportamentale, a partire dalla valorizzazione delle specifiche competenze degli operatori del settore. Pertanto dalla valutazione del fenotipo comunicativo linguistico del bambino si passa all’individuazione dell’intervento terapeutico integrato. Lo sviluppo della comunicazione si integra con lo sviluppo delle competenze cognitive e sociali; ne consegue che i deficit nella comunicazione sono correlati alle anomalie dello sviluppo sociale, al ristretto repertorio di comportamenti ed interessi, influenzando così il funzionamento adattivo e comportamentale. Quindi, i comportamenti non convenzionali o problematici del bambino autistico o a rischio autismo costituiscono atti comunicativi da ricondurre ad atti funzionali alla interazione. L’intervento logopedico si sviluppa secondo due modalità principali: 1. un intervento diretto sul bambino per almeno 2 ore settimanali, con il coinvolgimento di almeno uno dei genitori in grado di favorire: a) l’ acquisizione di adeguate competenze facio-oro-deglutitorie, con una positiva ricaduta nell’area delle condotte alimentari e delle abilità motorie finalizzate all’espressione verbale; b) la generalizzazione degli apprendimenti, resi funzionali nei contesti ecologici e con interlocutori diversi; 2. un intervento indiretto, attraverso l’informazione e la collaborazione con il genitore al fine di incrementarne le competenze come interlocutore sociale valido. La Valutazione dei risultati dell’ intervento logopedico prevede, a breve e medio termine (3 - 6 mesi), di verificare, in quantità e qualità, le abilità acquisite dai bambini nell’area comunicativo-linguistica attraverso un’ulteriore somministrazione delle schede del Questionario Mac Arthur; per i bambini a linguaggio emergente o fenotipo ecolalico è prevista la somministrazione di prove standardizzate per la valutazione dei livelli di linguaggio: fonetico-fonologico, morfo-sintattico, pragmatico e prossemico. L’intervento logopedico, pertanto, strutturato nell’ambito dell’approccio cognitivo-comportamentale, privilegia la comunicazione in tutte le sue forme, i vari livelli dell’organizzazione linguistica e la componente pragmatica. Pertanto, anche la scelta di utilizzare strategie di CAA – Comunicazione Aumentativa Alternativa (foto, tablet, icone…) rispetta il profilo evolutivo del bambino e le necessità di condivisione dell’equipe multidisciplinare in rete. L’intervento di CAA incrementa l’intenzionalità sociale, la capacità di scelta, le aperture sociali e la relazione con il contesto dei pari. Il lavoro preliminare, svolto sia nell’individualizzazione dell’intervento e nella personalizzazione dello strumento con il coinvolgimento attivo dei genitori è essenziale alla preparazione della sostenibilità familiare, prima ancora della verifica della efficacia (Cafiero, 2009). Il monitoraggio del percorso si avvale di compilazioni di schede che possano oggettivamente definire il processo di apprendimento sia nello spazio terapeutico che nell’ambiente naturale. Dall’analisi dei progressi intesi sia in logica di apprendimento che di generalizzazione viene stabilito il rinnovo del trimestre all’interno del servizio, o il monitoraggio a distanza del percorso riabilitativo. L’ incontro conclusivo con i genitori prevede la comunicazione della diagnosi, con indicazioni sulle possibili evoluzioni a distanza, sulle caratteristiche del percorso terapeutico personalizzato.


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Gli utenti segnalati all’Ambulatorio HUB dedicato alla Diagnosi ed al Trattamento intensivo precoce delle sindromi autistiche 0-6 anni vengono, infine, inviati allo spoke, codificati attraverso ICD 10 e DSM IV TR. 3. Si procede infine con programma di follow-up a distanza.

Risultati Il campione oggetto di studio di 63 bambini, di età compresa tra i 24 e i 36 mesi sottoposti al trattamento precoce, ha diagnosi distribuite tra Autismo e Disturbo dello Spettro Autistico secondo ADOS mod 1- DSM IV TR. Gli elementi comuni a tutti i bambini del campione in fase valutativa precedente il trattamento sono: la compromissione degli indicatori relazionali (contatto oculare insolito, espressioni facciali dirette agli altri, divertimento condiviso, mostrare, inizio e risposta all’attenzione condivisa), comunicativi (frequenza di produzione vocale diretta agli altri, intonazione delle vocalizzazioni/verbalizzazioni, indicare, gesti), temperamentali (iperattività, ipoattività e risposta allo stress) e comportamentali (interessi sensoriali insoliti, manierismi semplici o complessi). Questi ultimi, essendo legati all’età oltre che alla tipologia del profilo, si manifestano con livelli di espressività differenti nei bambini del campione in oggetto. Si prendono in considerazione due strumenti: uno diagnostico, ADOS modulo 1 e la scala di Assessment Funzionale di Sundberg e Partington. Essi mostrano una diversa sensibilità alle variazioni evolutive di singoli parametri in quanto la scala di Assessment di Sundberg e Partington comprende una più ampia fascia di valori da 0 a 5, rispetto allo strumento diagnostico ADOS da 0 a 2 o 3. Attraverso le tabelle di contingenza, vengono comparati i punteggi di specifici item considerati “indicatori di sviluppo” dei bambini in fase valutativa pre ed in fase valutativa post. Dalla scala di Assessment di Sundberg e Partington, si individuano gli item: richiesta, imitazione motoria e imitazione verbale. Nello spazio temporale del semestre emergono sensibili miglioramenti nelle tre aree, nella quasi totalità dei partecipanti (richiesta in 60 bambini; imitazione motoria in 62; imitazione vocale in 50); il processo evolutivo più incisivo emerge negli ambiti della richiesta (95%) e dell’imitazione motoria (97%) (vedi Allegato 1). Allegato 1. Valutazione del campione con scala di Assessment di Sundberg e Partington. Partington Post Richiesta

Partington Pre

1

2

3

4

5

Totale

1

0

11

7

1

0

19

2

0

6

11

9

2

28

3

0

0

2

10

3

15

4

0

0

0

1

0

1

5

0

0

0

0

0

0

Totale

0

17

20

21

5

63


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Partington Post Imitazione motoria

Partington Pre

1

2

3

4

5

Totale

1

0

16

2

2

0

20

2

0

0

9

16

2

27

3

0

0

0

3

8

11

4

0

0

0

1

3

4

5

0

0

0

0

1

1

Totale

0

16

11

22

14

63

Partington Post Imitazione vocale

Partington Pre

1

2

3

4

5

Totale

1

8

12

6

0

0

26

2

0

0

2

10

3

15

3

0

0

0

10

2

12

4

0

0

0

2

6

8

5

0

0

0

0

2

2

Totale

8

12

8

22

13

63

Gli indicatori estrapolati dallo strumento ADOS modulo 1 sono: frequenza di produzione vocalica, mostrare e gioco; si evidenzia una significativa evoluzione di: frequenza produzione vocale in 39 bambini; mostrare in 32; gioco in 44; nell’ambito del gioco si ottengono le maggiori percentuali di miglioramento (70%) (vedi Allegato 2). Allegato 2. Valutazione del campione con Ados. ADOS POST

Freq. Prod. Voc.

Freq. Prod. Voc.

ADOS PRE

0

1

2

Totale

0

1

0

0

1

1

20

14

0

34

2

0

11

17

28

Totale

20

25

17

63


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G. GAMBINO - M. BELLOMO - F. DI MARIA ET AL.

ADOS POST

Mostrare

Mostrare

ADOS PRE

0

1

2

Totale

0

0

0

0

0

1

15

12

1

28

2

1

12

22

35

Totale

16

24

23

63

ADOS POST

Gioco

Gioco

ADOS PRE

0

1

2

3

4

Totale

0

0

0

0

0

0

0

1

0

3

0

0

0

3

2

7

9

4

0

0

20

3

0

6

7

3

0

16

4

0

0

0

6

18

24

Totale

7

18

11

9

18

63

Rispetto all’area logopedica, si valuta che per 13 dei 63 bambini partecipanti al training, sono emersi deficit delle competenze prassiche e/o iperselettività alimentare; i genitori riferiscono, all’anamnesi, difficoltà di attaccamento al seno/biberon spesso associato a reflusso gastro-esofageo. Per ciascuno di questi bambini, è stato somministrato anche il Questionario di Valutazione delle abilità facio-oro-deglutitorie e richiesto un video del momento del pasto a casa; in seguito abbiamo programmato e attivato un piano di trattamento personalizzato. Si valuta che l’osservazione congiunta con i genitori, accompagnata dalle informazioni specialistiche sia sul piano valutativo che sul piano del trattamento, induce delle modifiche nella gestione del pasto da parte dei genitori (come momento interattivo e nella sua funzione primaria), ancor prima del trattamento diretto con il bambino, con ricadute positive secondarie sulla diade madre-bimbo.

Discussione dei dati Il nostro lavoro, pur rappresentando un breve follow-up dell’intervento, sottolinea nel campione oggetto di studio l’ emergenza di: 1) gioco funzionale e imitazione/riduzione delle attività ripetitive e stereotipate; 2) gesti deittici richiestivi;


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3) competenze adattive all’altro/regolazione delle condotte di evitamento; 4) funzioni oro-alimentari. Tali parametri vengono individuati anche in letteratura quali indicatori di riferimento per lo sviluppo comunicativo linguistico e per gli esiti evolutivi (Magiati, Charman, Howlin, 2007) e sollecitano quindi alcune riflessioni su concetti chiave di “definizione di diagnosi in epoca precoce” e “necessità di intervento precoce”, prima ancora di esprimere considerazioni sulla valutazione di efficacia terapeutica. La modificabilità dei parametri individuati sottolinea particolarmente che il vantaggio di operare in un periodo molto precoce di vita è certamente legato alla particolare influenza sulla neuroplasticità cerebrale che individua lo 0-3 anni come la finestra elettiva (Dawson, 2008; Zwaigenbaum et al., 2009). Considerato che la disfunzione del Mirror Neuron Sistem (MNS) e di network neuronali di diverse aree cerebrali, così come lo squilibrio neurotrasmettitoriale e lo specifico genotipo sono responsabili di un difetto del precoce sistema sociale diadico, con povertà di interazioni faccia-a-faccia ed una cascata di effetti cui sono riconducibili molte delle difficoltà intersoggettive tipiche dell’autismo, è dato condiviso in letteratura che i trattamenti precoci che rafforzano le interazioni faccia-a-faccia ben enfatizzate, attraverso gli itinerari specifici relativi alla attivazione di competenze imitative ovvero di abilità esecutive e di pianificazione attraverso modellamento, possono svolgere nell’autismo un importante effetto riparatore sui sistemi neurobiologici (non soltanto MNS) esperienza-dipendenti. La necessità di intercettare i DSAut in una fascia di età inferiore al terzo anno di vita (spostamento verso il 2° anno) e sotto il 4° anno per i DPS NAS, è strettamente correlata alla possibilità di miglioramento prognostico a distanza con ricadute sulla operatività e sulle limitazioni dei trattamenti farmacologici. Per i Disturbi di Sviluppo la Diagnosi è una “continua diagnosi prognostica su tempi medio brevi” (Levi, 2012). Pertanto è essenziale procedere verso l’affinamento della diagnosi e del trattamento precoce, nonché la standardizzazione del successivo follow-up a lungo termine, per favorire l’ individuazione di traiettorie individuali, secondo specifici fenotipi evolutivi distinti per fascia di età.

Conclusioni Il trattamento precoce è strumento essenziale di repeachment del bambino affetto da disturbo dello spettro autistico e la sostenibilità familiare è una variabile molto importante della efficacia terapeutica, qualunque sia il modello di riferimento adottato. I dati del nostro lavoro, seppure preliminari, proprio perché relativi ad un follow-up semestrale, sottolineano alcuni concetti chiave: 1. La precocità dell’intervento dopo la diagnosi è certamente l’elemento essenziale per la modificabilità del quadro clinico sintomatologico, ma è altrettanto necessario affinare il lavoro di individuazione etiopatogenetica, diagnosi differenziale e comorbidità, tenuto conto di alcune evidenze. I DSAut sono frequentemente associati al Ritardo Mentale, presente nel 75% dei soggetti e all’ epilessia presente nel 30% dei soggetti, il 35% dei soggetti con Disturbi Pervasivi dello Sviluppo presentano altri disturbi psichiatrici in comorbidità: Disturbi dell’ Umore Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbi d’Ansia, Disturbi della


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Condotta, Disturbo Oppositivo-Provocatorio; ADHD… (Rice et al., 2005; Chakrabati e Fombonne, 2005). 2. È necessaria cautela nella formulazione delle diagnosi molto precoci per possibili sviluppi ed evoluzioni dei sintomi precoci verso problematiche differenti dall’Autismo. La certezza della diagnosi può richiedere anche un periodo di tre-sei mesi ed il training può acquisire in quest’ottica il significato di definizione della diagnosi con il genitore. Lo svantaggio di una diagnosi troppo precoce è legato alla possibilità di false diagnosi (e quindi di una sopravvalutazione dell’impatto epidemiologico, nella concezione più ampia del sistema). Al contrario, i DPS NAS costituiscono il sottogruppo più numeroso (circa il 60 % dei DSAut) “vengono individuati tardivamente – spesso in età scolare – per l’aspetto frustro della sintomatologia” e per tale sottogruppo è necessario favorire il riconoscimento in epoca antecedente, prima dei 4 anni (Levi, 2012). La tipizzazione del fenotipo evolutivo e del profilo di crescita individuale necessita di follow-up standardizzati e a medio lungo termine. Pertanto è essenziale che le risorse professionali dedicate siano competenti e specializzate. 3. Il coinvolgimento attivo dei genitori resi “competenti” e la diversa sostenibilità familiare rendono possibile: • la realizzazione del Progetto individualizzato nel rispetto delle caratteristiche evolutive della persona e del Sistema Famiglia; • l’Adattamento e la Verifica consapevole delle procedure e dell’iter diagnostico terapeutico; • la Creazione di una “cultura” condivisa dell’Autismo. Il Training intensivo precoce assume in tale cornice un significato importante prima ancora che per l’“effetto terapeutico”, per il vissuto genitoriale nella acquisizione di consapevolezza e attenzione alle distorsioni di sviluppo neurocomportamentale del proprio bambino. Queste ultime, individuate sia in epoca precoce che più tardiva, diversamente caratterizzate dalla “lenta emergenza” sintomatologica, secondo una “fenomenologia che si costruisce nel tempo”, rendono necessario l’adeguato accompagnamento da parte delle risorse professionali “dedicate e specializzate”. La qualità della vita di una persona con autismo e dei suoi familiari può essere migliorata da una corretta presa in carico da parte dei servizi. Quanto sopra affermato sottolinea la necessità di Servizi Dedicati specialistici sia per “il tempo pieno dedicato allo studio delle sindromi autistiche” che per la “competenza specialistica” sviluppata dagli operatori “dedicati come risorsa”. Riassunto I Disturbi dello Spettro Autistico (DSAut) sono un gruppo di disturbi dello sviluppo caratterizzati da deficit nella interazione sociale e comunicazione e da schemi ristretti, ripetitivi e stereotipati di comportamento. I sintomi di solito si manifestano prima dei 3 anni. Vogliamo riportare la nostra esperienza di buone prassi nella presa in carico delle sindromi autistiche in una fase precoce della vita di 0-3 anni. Sono riportati i dati relativi alla popolazione in accesso al servizio e il protocollo procedurale valutativo


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diagnostico e terapeutico, adottato secondo le linee guida, che consente di passare da un profilo funzionale al progetto individuale. Parole chiave Disturbi dello Spettro Autistico – Buone Prassi – Presa in carico della sindrome autistica – Intervento precoce.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 529-546

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Sviluppo atipico della comunicazione non verbale e verbale nei DPS NAS ad alto funzionamento Atypical Non Verbal and Verbal Communication in High Functioning PDD NOS Children Caterina D’Ardia*, Andrea De Giacomo**, Emilia Matera**, Sergio Melogno*, Elena Lafortezza**, Lucia Margari**, Gabriel Levi*

Summary The “communication and language” variable has been widely studied and understood in Autism, as well as in Asperger syndrome, whereas less is known about it in the PDD NOS. In this research study, communication and language features in children with high functioning PDD NOS were examined, using ADOS and ADI-R. The sample included 29 patients with PDD NOS, recruited from the Child Neuropsychiatry Operative Unit of Rome University “Sapienza” and the Child Neuropsychiatry Operative Unit of Bari University “Aldo Moro”. All those items from ADOS and ADI-R, considered as the most useful to supply quantitative and qualitative information about the patients’ communication and language level, were analysed. Key words Language – Communication – DPS NAS – ADOS – ADI-r.

Introduzione I disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS) si caratterizzano per peculiari deficit e/o atipie a carico delle competenze interattive, comunicative verbali e non verbali e l’attività immaginativa associati alla presenza di comportamenti ristretti e stereotipati (APA, 2000). I deficit e/o atipie dell’area comunicativa linguistica sono stati descritti sia da Kanner (1943) sia da Asperger (1944) in modo puntuale. Nello specifico, il primo considerava come tali competenze fossero estremamente variabili: alcuni bambini presentavano semplici atipie del linguaggio e delle modalità comunicative altri, invece, erano estremamente in ritardo nello sviluppo di questa competenza e, altri ancora, non avevano acquisito nessuna forma di linguaggio verbale e non, considerando l’età *

Unità di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Università “Sapienza”, Roma. ** Unità di Neuropsichiatria Infantile, Scienze mediche di base, Neuroscienze e Organi di Senso, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”.


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cronologica. Asperger, invece, riportava diverse peculiarità comunicative linguistiche, legate non tanto ad un ritardo dello sviluppo quanto all’uso; infatti, questi bambini pur avendo una buona padronanza delle regole grammaticali e un vocabolario ricco, presentavo un eloquio fluente ma tendente al prolisso, letterale e pedantesco, utilizzato soprattutto per monologhi e non per la conversazione reciproca. Infine, presentavano una comunicazione non verbale povera e un’intonazione vocale monotona o peculiare. Senza entrare in merito al dibattito ancora aperto se e quanto il Disturbo Autistico e la Sindrome di Asperger siano quadri clinici diversi o semplicemente forme estreme di uno stesso disturbo (Wing, 2004) appare interessante sottolineare come la variabile comunicazione e linguaggio assuma un ruolo centrale e peculiare in entrambi. Questo aspetto appare evidente anche nella nosografia attuale (APA, 2000) nelle quali vengono delineati specifici criteri relativi alla “compromissione qualitativa e quantitativa a carico della comunicazione verbale e non” per quanto riguarda l’Autismo e, al contrario, si sottolinea come per la Sindrome di Asperger “non vi sia un ritardo clinicamente significativo del linguaggio”. La ricerca degli ultimi anni si è molto concentrata, al di là di questioni nosografiche, sulle caratteristiche comunicative linguistiche sia nell’Autismo sia nella Sindrome di Asperger fornendo dati significativi e utili alla determinazione delle manifestazioni cliniche ed evolutive di queste competenze (Tager-Flusberg et al., 2009). Generalmente, i ritardi nello sviluppo della comunicazione e del linguaggio sono i primi ad essere notati dai genitori dei bambini con autismo e riportati con un’elevata frequenza (74,4%) (De Giacomo e Fambonne, 1998). Nei primi anni di vita, quello che si osserva nei bambini con autismo è soprattutto un ritardo importante nella comunicazione non verbale (es. scarsa risposta al nome, ridotto contatto oculare, assenza o importante ritardo nella comparsa di gesti comunicativi quali quello dell’indicare, etc.) associato a deficit significativi anche a carico dello sviluppo verbale sia rispetto alla produzione che alla comprensione. Lo sviluppo del linguaggio è, in ogni caso, estremamente variabile nei bambini con autismo: alcuni non riescono ad acquisire alcuna espressione verbale, altri lo acquisiscono in ritardo ed in modo atipico e, infine, altri ancora presentano un progressivo sviluppo del linguaggio, che può addirittura diventare particolarmente fluente e articolato ma sempre qualitativamente inadeguato. Quest’ultimo infatti, quando presente, è stereotipato, ripetitivo, monotono o cantilenante, idiosincrasico ed eccentrico e si caratterizza per importanti difficoltà d’uso che si manifestano, tra le altre cose, con compromissione della capacità di iniziare e sostenere una “interazione” verbale. Molti parlano ma dopo un lungo periodo di assenza del linguaggio e spesso si osservano lunghi periodi in cui sono prevalenti ecolalie immediate e/o differite. La comprensione verbale, spesso, più compromessa della produzione, può essere contestuale, letterale e legata al concreto (incapacità di riconoscere i nessi impliciti del linguaggio, di comprendere i conflitti tra intenzione ed espressione, tipici di motti di spirito, doppi sensi, metafore, bugie).


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In altri termini, nell’autismo il linguaggio perde la sua funzione sociale, le domande sono sempre in relazione ad eventi immediati o a interessi peculiari dell’individuo, e quasi mai dirette ad indagare gli stati mentali di un altro o i suoi sentimenti. Per quanto riguarda la Sindrome di Asperger il discorso è molto diverso, infatti lo sviluppo precoce (o comunque nei limiti) del linguaggio non suscita particolari preoccupazioni nei genitori ma crescendo si osservano atipie delle competenze pragmatiche e conversazionali (Klin e Volknars, 2003). In particolare, si evidenziano difficoltà nel modulare quanto viene detto e come viene detto rispetto all’ascoltatore; il bambino e il ragazzo con Sindrome di Asperger sembra avere difficoltà nel monitorare tutti quei segnali tipici di uno scambio conversazionale (sguardo, attenzione, partecipazione, etc.) e, inoltre, non sempre esegue in modo automatico un ricontrollo della propria comprensibilità. Questo aspetto è particolarmente evidente nel gruppo dei pari dove le discrepanze appaiono più evidenti e manifeste determinando importanti difficoltà nell’uso sociale del linguaggio. È possibile affermare che la variabile “comunicazione e linguaggio” sia ben delineata e ampiamente compresa per quanto riguarda sia il Disturbo Autistico sia la Sindrome di Asperger mentre appare più carente il discorso quando si parla di DPS NAS. I DPS NAS vengono descritti dal DSM IV-TR come una categoria a cui fare riferimento quando “vi è una menomazione grave e pervasiva nello sviluppo dell’interazione sociale reciproca e delle capacità di comunicazione verbale e non, associata alla presenza di comportamenti, interessi e attività stereotipate” ma la sintomatologia e/o la storia clinica non sono sufficienti da permettere di formulare una diagnosi di Autismo, Sindrome di Asperger, Schizofrenia o Disturbo di Personalità di Cluster A (APA, 2000). Come è noto il concetto di NAS non prevede la presenza di criteri codificati a livello nosografico e questo ha determinato, nel tempo, una certa confusione nel formulare questa diagnosi (D’Ardia e Melogno, 2009). In gran parte questa confusione è legata, oltre all’assenza di criteri definiti, ai cambiamenti di definizione intercorsi nelle varie edizioni del DSM e ai confronti con il sistema ICD. Il problema dell’assenza di criteri condivisi ha determinato un uso non condiviso di questa diagnosi ma che, paradossalmente, è quella più frequente tra i DPS (30 su 10 mila) (Fombonne, 2009). Un tentativo interessante è stato quello di Buitelaar et al. (1999) in cui si è cercato di definire dei criteri diagnostici per i quadri di DPS NAS e, per far questo, sono stati presi in considerazione tutti quegli item, sia del DSM IV sia dell’ICD, che permettevano di discriminare i DPS NAS rispetto all’Autismo e a tutti i Disturbi Non Pervasivi. Gli autori hanno, quindi, creato un algoritmo formato da sette criteri che sono risultati essere i più specifici e sensibili per la diagnosi di DPS NAS (Figura 1). Il problema è, tuttavia, che nel frattempo è stata pubblicata una versione revisionata del DSM (IV, TR) e, fatto ancora più importante, i criteri non sembrano essere adatti ad una diagnosi precoce.


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Figura 1. Algoritmo Buitelaar et al. (1999). (1) Deficit/Atipia qualitativa dell’interazione sociale reciproca: a. Importante compromissione di uno, o più, comportamenti non verbali (es. contatto di sguardo, espressioni del viso, posture, gesti) che regolano interazione sociale. b. Difficoltà a sviluppare relazioni sociali con i pari adeguate all’età di sviluppo. c. Mancanza di reciprocità sociale ed emotiva. (2) Compromissione qualitativa della comunicazione: a. Per gli individui con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione. b. Utilizzo del linguaggio stereotipato o idiosincrasico. (3) Interessi, attività, comportamenti ristretti, stereotipati e ripetitivi: a. Manierismi, stereotipie motorie

Se si considera, ad esempio, l’area della Comunicazione si osserva come per prima cosa si parli di un problema di “Compromissione qualitativa” di tale competenza e, inoltre, i 2 criteri proposti sono applicabili solo ed esclusivamente a bambini con linguaggio. Non si parla di eventuali ritardi, più o meno significativi, nell’acquisizione del linguaggio (in produzione e in comprensione) ma non è chiaro se questo avvenga perchè si ritenga che sia implicita nella diagnosi di DPS NAS l’assenza di ritardo di linguaggio oppure perchè gli autori si riferiscano maggiormente ad una popolazione di fascia di età più avanzata. Esiste il linguaggio inteso come competenza, acquisizione, analizzata da un punto di vista quantitativo (quante parole/frasi etc e a che età) ed esiste la comunicazione che può essere pensata come la capacità di utilizzare la competenza linguaggio (quindi in un ottica qualitativa). Questa dicotomia, che può sembrare riduttiva, è sicuramente utile quando si valutano i bambini con quadri clinici come Autismo, Asperger e DPS NAS. Nel caso dell’Autismo il problema riguarda soprattutto la quantità e secondariamente la qualità mentre nell’Asperger riguarda in modo centrale la qualità. In ogni caso il discorso linguaggio appare non secondario quando ci riferiamo ai NAS perchè a seconda del ruolo che gli diamo cambiamo il nostro modo di interpretare il disturbo (in mezzo tra Autismo e Sindrome di Asperger, variante lieve di Autismo o grave di Asperger, forma a lenta insorgenza, etc). In un precedente lavoro (Levi e D’Ardia, 2006) è stato osservato come l’analisi solo di presenza od assenza di una caratteristica linguistica non fosse sufficiente per descrivere il livello linguistico ma fosse necessario valutare l’uso che veniva fatto di tali competenze in termini di frequenza e in termini di capacità di integrazione con altre abilità (es. uso coordinato dello sguardo, gesto e linguaggio). Il dato emergente era che i bambini NAS presentavano un livello linguistico globalmente non adeguato per l’età cronologica e le competenze possedute erano utilizzate in modo atipico e incostante. Le difficoltà riscontrate, in ogni caso, non erano spiegabili solo come conseguenza del ritardo ma piuttosto erano tipiche di un nucleo autistico sottostante. In altri termini, i bambini NAS sembravano collocarsi


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in un’area intermedia tra il Disturbo di Linguaggio vero e proprio e caratteristiche di linguaggio tipiche dei Disturbi dello Spettro Autistico. In altri termini, per i DPS NAS si pone il problema se ci si trovi di fronte ad un gruppo di comportamenti e sintomi nucleari di questi quadri oppure se vi sia una comorbidità con un quadro simile al Disturbo di Linguaggio. Il discorso sulla comorbidità appare, come è noto, complesso soprattutto quando parliamo di disturbi dello sviluppo e di fasce di età precoci. È noto infatti che soprattutto nei primi anni di vita molti sintomi sono aspecifici e non patognomonici e la presentazione dipende da variabili quali l’età cronologica, l’età dello sviluppo e il rapporto tra queste oltre, ovviamente, la gravità del disturbo primario e l’età della diagnosi. Un ritardo nell’acquisizione delle competenze comunicativo linguistiche è uno dei motivi principali di segnalazione neuropsichiatrica nella fascia di età 2-4 anni ma questo non implica per forza una diagnosi finale di disturbo di linguaggio. In questo lavoro si è voluto indagare le caratteristiche comunicativo linguistiche nei bambini con quadri di DPS NAS ad alto funzionamento attraverso l’utilizzo dei due strumenti, ADOS e ADI-r, considerati il gold standard per la diagnosi di Autismo e Disturbi dello Spettro Autistico. Soggetti e Metodi Il campione è costituito da pazienti selezionati da una più ampia casistica di bambini con Disturbo dello Spettro Autistico afferiti presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile della Sapienza Università di Roma e l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Bari “Aldo Moro”. Tutti i bambini hanno effettuato una consultazione diagnostica secondo un protocollo, comune ai due Centri, finalizzato alla formulazione di una diagnosi nosografica e del profilo di sviluppo. Tale protocollo è stato elaborato sulla base di quanto previsto dalle principali Linee Guida Nazionali ed Internazionali per i Disturbi dello Spettro Autistico (SINPIA, 2005; SIGN, 2007; SNLG, 2011) e prevede tra le varie prove l’utilizzo di due strumenti diagnostici strutturati (ADOS e ADI-R) che esplorano i comportamenti appartenenti alla triade sintomatologica riguardante i disturbi pervasivi dello sviluppo. La diagnosi finale è stata formulata, secondo i criteri del DSM-IV TR e quelli proposti da Buitelaar, da due neuropsichiatri, in modo indipendente, dopo un iter che prevedeva: raccolta anamnestica, esame obiettivo generale e neurologico, valutazione neuropsicologica e psichica, visite specialistiche e/o esami strumentali (EEG standard e in sonno, RMN encefalo, indagini audiometriche, indagini genetiche e metaboliche). I criteri di inclusione in questo studio sono stati: – diagnosi di DPS NAS; – un Livello di Linguaggio Espressivo minimo caratterizzato dalla presenza di frasi di almeno tre parole;


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– un livello cognitivo adeguato (QI>70); – un’età cronologica compresa tra i 2 e 8 anni. I criteri di esclusione sono stati: Disturbo dello Spettro Autistico associato a sindromi genetiche note, malattie metaboliche, deficit neurosensoriali, danni cerebrali, etc. Il campione finale è risultato costituito da 29 soggetti di età compresa tra i 2,8 anni e i 7,5 anni (età media 56 mesi; Deviazione Standard 14,79) al momento della valutazione. Il QI medio è risultato di 91 (min:max =70:111) È stata effettuata, quindi, un’analisi di tutti quegli item dell’ADOS e dell’ADI-r ritenuti più utili nel fornire informazioni sia quantitative sia qualitative del livello comunicativo linguistico dei pazienti. I diversi punteggi sono stati valutati sia in termini di frequenze sia di relativa significatività (chi quadro) sul campione totale ma anche sul campione diviso in due gruppi in base alla fascia di età: – gruppo A (piccoli) range età 32-53 mesi, composto da 15 bambini; – gruppo B (grandi) range età 59-89 mesi, composto da 14 bambini. L’analisi della significatività è stata effettuata facendo un confronto, sia all’ADOS sia all’ADI-R, tra l’assenza del sintomo (punteggio 0) e il totale della risposta lievemente atipica e/o in ritardo (puneggio 1) e della risposta fortemente atipica e/o in ritardo (punteggio 2). Strumenti L’Autistic Diagnostic Observation Schedule (ADOS) (Lord et al., 2000), complementare all’intervista ADI-r per i genitori, è uno strumento, semistrutturato, per la valutazione dell’interazione sociale, della comunicazione, del gioco e dell’attività simbolica in individui con sospetto autismo o disturbo pervasivo dello sviluppo. Lo scopo dell’ADOS è quello di creare particolari situazioni che elicitino comportamenti spontanei in situazioni standardizzate. L’utilizzo di attività e materiali strutturati (e interazioni meno strutturate), permettono di rilevare quei comportamenti utili, sia per l’area sociale sia per quella comunicativa, alla diagnosi. L’ADOS è formulato in modo da fornire diverse opportunità per mettere in evidenza determinati comportamenti sociali e modalità comunicative, spontanee o di risposta all’adulto. Sono, inoltre, presenti diverse situazioni di gioco nelle quali è possibile rilevare la presenza di attività di tipo immaginativo e/o di giochi con regole sociali. In base al livello di linguaggio spontaneo del bambino viene scelto il modulo dell’ADOS più idoneo da somministrare e i punteggi ottenuti rientrano in un algoritmo diagnostico basato sui criteri del DSM IV. I punteggi finali ADOS determinano tre possibili situazioni: fuori Spettro, Autismo e Spettro Autistico (DPS NAS). In questo lavoro sono stati analizzati i seguenti item: 1. Nell’Area del Linguaggio e Comunicazione: gesti descrittivi, convenzionali, strumentali o informativi, uso di parole/frasi idiosincrasiche/stereotipate, ecolalia immediata.


SVILUPPO ATIPICO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE E VERBALE

535

2. Nell’Area dell’Interazione Sociale Reciproca: contatto oculare insolito, espressioni facciali dirette agli altri, qualità delle aperture sociali. 3. Nell’Area dell’Immaginazione/creatività: gioco immaginativo. 4. Infine, si è valutato con quale frequenza i soggetti raggiungevano e/o superavano i cut off per Autismo e/o ASD (ovvero DPS NAS). L’Autism Diagnostic Interview-Revisited (ADI-R) (Lord, 1994), è uno strumento diagnostico per la valutazione del disturbo autistico complementare all’ADOS. Consiste in un’intervista standardizzata semistrutturata, articolata in 93 item, destinata ai genitori, basata su domande relative ai comportamenti appartenenti alle triade sintomatologica dei disturbi dello spettro autistico. Le domande riguardano la maggior parte degli aspetti evolutivi e comportamentali dell’autismo e della condizioni correlate, utilizzando le informazioni riguardo al comportamento di un soggetto nel corso della vita e nel momento attuale, affinché sia possibile determinare la presenza di caratteristiche che soddisfano o meno i criteri della diagnosi di ASD. Fornisce un punteggio finale, all’interno di un algoritmo diagnostico secondo i criteri diagnostici DSM IV, che permette di delineare due possibilità: fuori o dentro lo Spettro Autistico (si intendono in questo caso sia Autismo, sia DPS NAS sia Asperger). Nello specifico, per quanto riguarda l’ADI-R sono stati selezionati e analizzati, in questo lavoro, i seguenti item: 1) Nell’area delle Anomalie Qualitative nell’Interazione Sociale Reciproca: sguardo diretto, sorriso sociale, uso del corpo dell’altro per comunicare. 2) Nell’area delle Anomalie Qualitative nella Comunicazione: pointing, annuire, scuotere la testa per dire no, gesti dimostrativi, imitazione di azioni, gioco immaginativo, gioco sociale di imitazione, verbalizzazione sociale, conversazione reciproca, ecolalia differita, domande o affermazioni inappropriate, inversione pronominale, neologismi. 3) Inoltre, è stato valutato l’item “Anomalie dello sviluppo evidenti a/o prima dei 36 mesi”. 4) Infine, se e con quale frequenza i soggetti raggiungevano e/o superavano i cut off per lo spettro autistico nelle diverse aree considerate dall’ADI-r. Risultati I risultati saranno presentati facendo riferimento, in modo separato, al campione nella sua totalità, al gruppo A (piccoli) e al gruppo B (grandi). Analisi del Campione Totale La valutazione è stata eseguita sul campione totale costituito da 29 soggetti con un’età compresa tra 2,8 e 7,5 anni. All’ADOS è emerso (Tabella 1): – nell’Area del Linguaggio e Comunicazione si è rilevata una frequenza, statisticamente significativa, tra 0 (sintomo non presente) e 1 (risposta lievemente


536

C. D’ARDIA - A. DE GIACOMO - E. MATERA ET AL.

atipica e/o in ritardo) + 2 (risposta fortemente atipica e/o in ritardo) per l’item gesti (in particolare sono lievemente compromessi nel 55,6%), mentre la maggior parte del campione ha presentato comportamenti adeguati nell’item linguaggio idiosincratico e stereotipato (66,7%). – Nell’Area dell’Interazione Sociale Reciproca, si evidenzia una maggiore frequenza, statisticamente significativa, tra 0 (sintomo non presente) e 1 (risposta lievemente atipica e/o in ritardo) + 2 (risposta fortemente atipica e/o in ritardo) per l’item contatto oculare (risulta una risposta fortemente atipica e/o in ritardo nel 77,8%), mentre il 66,7% dei bambini ha evidenziato lievi atipie e/o ritardi sia nell’item Espressioni Dirette agli altri sia in quello Aperture Sociali, entrambi statisticamente significativi tra 0 (sintomo non presente) e 1 (risposta lievemente atipica e/o in ritardo) + 2 (risposta fortemente atipica e/o in ritardo). - L’analisi dei cut off finali ha evidenziato una maggiore frequenza di punteggi positivi per autismo nelle singole sottoaree ma la somma delle diverse aree è compatibile nella maggior parte dei casi con quadri di DPS NAS.

Tabella 1. Punteggi Ados _Campione Totale*. 0

1

2

TOT.1+2

P.VALUE

gesti

22,2

55,6

22,2

77,8

0,002º

Ling idiosinc-stereotIpato

66,7

29,6

3,7

33,3

0,095

Ecolalie immediate

33,3

37,5

29,2

66,7

0,095

1) Item Linguaggio e Comunicazione

2) Item Interazione Sociale Reciproca Contatto oculare

22,2

-

77,8

77,8

0,002º

Espress diretta

33,3

66,7

-

66,7

0,095

Aperture sociale

18,5

66,7

14,8

81,5

0,000º

36,4

27,3

36,4

63,7

0,19

a

b

c

3) Gioco Gioco immaginativo Cut off

37

11,1

51,9

63

0,19

Interazione

44,4

7,4

48,1

55,5

0,57

Totale

59,3

18,5

22,2

40,7

0,35

Linguaggio e comunicazione

(° P> 0.05) *0 = risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo a= DPS NAS; b = negativo; c = autismo


537

SVILUPPO ATIPICO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE E VERBALE

All’ADI-r è emerso (Tabella 2): Tra gli item selezionati dell’area Interazione Sociale Reciproca, la maggioranza dei bambini presenta, risposte lievemente atipiche e/o in ritardo per quanto riguarda il sorriso sociale e l’uso del corpo dell’altro per comunicare, entrambi statisticamente significativi, tra 0 e 1 + 2. Tra gli item selezionati nell’area Comunicazione e Linguaggio sono risultati significativamente compromessi, gesti dimostrativi, imitazione di azioni, verbalizzazione, conversazione, ecolalie, ad eccezione dell’item ecolalie e conversazione, la maggioranza dei genitori riporta comportamenti adeguati o lievemente atipici nei diversi item. Inoltre, l’87 % dei genitori afferma di aver osservato dei sintomi prima dei 36 mesi (dato significativo) e, sebbene non significativo da un punto di vista statistico, il 52,2 % dei bambini non ha presentato ritardi nell’acquisizione delle prime parole mentre il 65,2% dei bambini ha presentato un ritardo nell’acquisizione della frase.

Tabella 2. Punteggi ADI-R _Campione Totale*. 0

1

2

TOT.1+2

P VALUE

14,8

66,7

0,095

1) item area interazione sociale reciproca Sguardo diretto

33, 3

51,9

Sorriso sociale

25,9

63

11,1

74,1

0,005º

Uso corpo altro

25,9

51,9

22,2

74,1

0,005º

Indicazione

51,9

33,3

14,8

48,1

0,85

Annuire

51,9

22,2

25,9

48,1

0,85

Negare

55,6

29,6

14,8

44,4

0,57

Gesti Dimostrativi

25,9

59,3

14,8

74,1

0,005º

Imitazione di Azioni

25,9

55,6

18,5

74,1

0,005º

Gioco Immaginativo

37

33,3

29,6

63

0,19

33,3

51,9

14,8

66,7

0,095

2) item comunicazione e linguaggio

Gioco Sociale Verbalizzazione

12

60

28

88

0,000º

Conversazione

12

40

48

88

0,000º

Ecolalie

4

24

72

96

0,000º

Affermaz Inappropriate

60

40

-

40

0,353

Inversione Pronominale

32

40

28

68

0,041º

Neologismi

56

36

8

44

0,57

13

87

-

-

-

52,2

47,8

-

-

-

3) area primo sviluppo Età primi sint osserv Età Parole


538

C. D’ARDIA - A. DE GIACOMO - E. MATERA ET AL.

34,8

Età frasi 4) cut off

65,2

A

B

Interazione

70,4

29,6

Linguaggio

96,3

3,7

Comport

70,4

29,6

Area Primo Svil

95,7

4,3

-

-

-

(° P> 0.05) *0 = risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo a= DPS NAS; b = negativo; c = autismo A = spettro autistico; B = fuori spettro autistico

Analisi Gruppo A (piccoli): Questo gruppo è costituito da 15 bambini con un’età compresa tra i 32 e i 53 mesi. I risultati all’ADOS sono stati i seguenti (tab 3): – nell’Area del Linguaggio e Comunicazione c’è una frequenza, statisticamente significativa, tra 0 e 1 + 2 per l’item gesti, (lievemente compromessa nel 69,2%), mentre la maggior parte del campione ha presentato comportamenti adeguati nell’item linguaggio idiosincratico e stereotipato (76,9%), dato anch’esso significativo. – Nell’Area dell’Interazione Sociale Reciproca, hanno evidenziato una maggiore frequenza di risposte fortemente atipica e/o in ritardo per quanto riguarda l’item contatto oculare (92,3%), mentre il 69,2% dei bambini ha evidenziato lievi atipie e/o ritardi sia nell’item Espressioni Dirette agli altri, sia in quello Aperture Sociali. Tutti gli item considerati sono risultati significativi tra 0 e 1+2. – L’Area del gioco ha evidenziato punteggi non significativi. – L’analisi dei cut off finali ha evidenziato una maggiore frequenza di punteggi positivi per Autismo nelle singole sottoaree ma la somma delle diverse aree è compatibile nella maggior parte dei casi con quadri di DPS NAS.

Tabella 3. Punteggi ADOS_gruppo A*. 0

1

2

TOT 1+2

P.VALUE

1) Item Linguaggio e Comunicazione Gesti

7,7

23,1

92,3

0,001º

Ling Idiosinc-Stereot

76,9

23,1

69,2

-

23,1

0,020º

Ecol Immediate

33,4

50

16,7

56,7

0,19

2) Item Interazione Sociale Reciproca Contatto Oculare

7,7

-

92,3

92,3

0,001º

Espress Diretta

30,8

69,2

-

69,2

0,197


539

SVILUPPO ATIPICO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE E VERBALE

7,7

69,2

23,1

92,3

0,001º

Gioco Immag

27,3

27,3

45,5

72,8

0,071

4) Cut Off

a

b

c

Linguaggio E Com

35,7

-

64,3

64,3

0,197

Interaz

42,9

-

57,1

57,1

0,439

Totale

57,1

7,1

35,7

42,8

0,79

Apert Sociale 3) Gioco

(° P> 0.05)

*0 = risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo a= DPS NAS; b = negativo; c = autismo

All’ADI-r è emerso quanto segue (Tabella 4): Tra gli item selezionati dell’area Interazione Sociale Reciproca, la maggioranza dei bambini presenta, risposte, statisticamente significativo, tra 0 e 1+ 2 per quanto riguarda il sorriso sociale e l’uso del corpo dell’altro come strumento. Tra gli item selezionati nell’area Comunicazione e Linguaggio sono risultati significativi come somma 0 e 1+2 imitazione di azioni, gioco immaginativo, gioco sociale, verbalizzazioni, conversazioni, ecolalie che risultano gravemente presenti, mentre risultano assenti la presenza di affermazioni inappropriate. Inoltre, il 91,7% dei genitori afferma di aver osservato dei sintomi prima dei 36 mesi (dato significativo) e, sebbene non significativo da un punto di vista statistico, il 58% dei bambini non ha presentato ritardi nell’acquisizione delle prime parole mentre il 66,7% dei bambini ha presentato un ritardo nell’acquisizione della frase. Tabella 4. Punteggi ADI-r _Gruppo A*. 0

1

2

TOT 1+2

Sguardo Diretto

30,8

Sorriso Sociale

23,1

Uso Corpo Altro

P VALUE

61,5

7,7

69,2

0,19

61,5

15,4

76,9

0,020º

7,7

61,5

30,8

92,3

0,001º

Indicazione

53,8

30,8

15,4

46,2

0,79

Annuire

38,5

15,4

46,2

61,5

0,43

Negare

46,2

23,1

30,8

53,8

0,79

Gesti Dimostr

38,5

38,5

23,1

61,5

0,43

Imitaz Azioni

15,4

61,5

23,1

84,6

0,005º

Gioco Immag

15,4

53,8

30,8

84,6

0,005º

Gioco Sociale

23,1

61,5

15,4

76,9

0,020º

Verbalizzaz

18,2

45,5

36,4

81,8

0,005º

1) Item Interazione Sociale

2) Item Comunicazione e Linguaggio


540

Conversaz

C. D’ARDIA - A. DE GIACOMO - E. MATERA ET AL.

18,2

18,2

63,6

81,8

0,005º

Ecolalie

9,1

9,1

81,8

90,9

0,001º

Affermaz Inapprop

63,6

36,4

-

36,4

0,317

Inversione pronomin

36,4

36,4

27,3

63,6

0,19

Neologismi

63,6

27,3

9,1

36,4

0,19

Età primi sint oss

8,3

91,7

-

-

-

Età Parole

58,3

41,7

-

-

-

Età frasi

33,3

66,7

-

-

-

4) cut off

A

B

Interazione

76,9

23,1

Linguaggio

92,3

7,7

Comport

76,9

23,1

Area primo svil 100 -

100

-

3) area primo sviluppo

(° P> 0.05)

*0 = risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo

A = spettro autistico; B = fuori spettro autistico

Analisi Gruppo B (grandi): Questo gruppo è costituito da 14 bambini con un’età compresa tra i 59 e gli 89 mesi. All’ADOS non si sono osservati risultati significativi negli item indagati, nello specifico (Tabella 5) sono emersi: – nell’Area del Linguaggio e Comunicazione una maggiore frequenza di lievi atipie e/o ritardi per l’item gesti (42,9%) e una maggiore frequenza di un risposta fortemente atipica e/o in ritardo per quanto riguarda l’item delle ecolalie immediate (41,7%), mentre la maggior parte del campione ha presentato comportamenti adeguati nell’item linguaggio idiosincratico e stereotipato (57,1%). Indipendentemente dalla frequenza, nessuno di questi item è risultato significativo. – Nell’Area dell’Interazione Sociale Reciproca, è stato rilevata una maggiore frequenza di un risposta fortemente atipica e/o in ritardo per quanto riguarda l’item contatto oculare (64,3%), mentre il 64,3 % dei bambini ha evidenziato lievi atipie e/o ritardi sia nell’item Espressioni Dirette agli altri sia in quello Aperture Sociali. Non sono risultati significativi gli item considerati per questa area. – L’Area del gioco ha evidenziato punteggi non significativi. – L’analisi dei cut off finali ha evidenziato una maggiore frequenza di punteggi


SVILUPPO ATIPICO DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE E VERBALE

541

positivi per DPS NAS nell’area dell’interazione mentre, nell’area della comunicazione, i bambini hanno ottenuto nel 38,5% dei casi punteggi positivi per DPS NAS e nel 38,5% per Autismo. In ogni caso la somma delle diverse aree è risultata compatibile nel 61% dei casi con quadri di DPS NAS.

Tabella 5. Punteggi ADOS_Gruppo B*. 1) Item Linguaggio e Comunicazione

0

1

2

TOT 1+2

P VALUE

Gesti

35,7

42,9

21,4

64,3

0,28

Ling idiosinc-stereot

57,1

35,7

7,1

42,9

0,59

Ecol immediate

33,3

25

41,7

66,7

0,28

2) Item Interazione Sociale Reciproca Contatto oculare

35,7

-

64,3

64,3

0,28

Espress diretta

35,7

64,3

-

64,3

0,28

Apert sociale

28,6

64,3

7,1

71,4

0,109

45,5

27,3

27,3

54,5

0,59

a

b

c

Linguaggio e com

38,5

23,1

38,5

61,5

0,285

Interaz

46,2

14,4

38,5

53,8

0,593

Totale

61,5

30,8

7,7

38,5

0,285

3) gioco Gioco immag 4) cut off

*0

= risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo a= DPS NAS; b = negativo; c = autismo

Tra gli item selezionati, all’ADI-R (Tabella 6), dell’area Interazione Sociale Reciproca, la maggioranza dei bambini presenta, risposte lievemente atipiche e/o in ritardo sia per quanto riguarda il sorriso sociale (64,3%). Tra gli item selezionati nell’area Comunicazione e Linguaggio sono risultati significativi, in senso positivo, annuire, negare e affermazioni inappropriate, lievemente compromessi gesti dimostrativi, verbalizzazione, gravemente presenti le ecolalie, mentre la conversazione risulta statisticamente compromessa come confronto tra 0 e 1+2. Inoltre, l’81,8% dei genitori afferma di aver osservato dei sintomi prima dei 36 mesi (dato significativo) e, sebbene non significativo da un punto di vista statistico, il 45,5% dei bambini non ha presentato ritardi nell’acquisizione delle prime parole mentre il 63,6% dei bambini ha presentato un ritardo nell’acquisizione della frase.


542

C. D’ARDIA - A. DE GIACOMO - E. MATERA ET AL.

Tabella 6. Punteggi ADI-R_Gruppo B*. 1) item interazione sociale

0

1

2

TOT 1+2

P VALUE

Sguardo diretto

35,7

42,9

21,4

64,3

0,285

Sorriso sociale

28,6

64,3

7,1

71,4

0,109

Uso corpo altro

42,9

42,9

14,3

57,1

0,593

50

35,7

14,3

50

1,000

Annuire

64,3

28,6

7,1

35,7

0,285

Negare

64,3

35,7

-

35,7

0,285

Gesti dimostr

14,3

78,6

7,1

85,7

0,008º

Imitaz azioni

35,7

50

14,3

64,3

0,285

Gioco immag

57,1

14,3

28,6

42,9

0,593

Gioco sociale

42,9

42,9

14,3

57,1

0,593

Verbalizzaz

7,1

71,4

21,4

92,9

0,001º

Conversaz

7,1

57,1

35,7

92,9

0,001º

2) item comunicazione e linguaggio Indicazione

-

35,7

64,3

100

--

Affermaz inapprop

57,1

42,9

-

42,9

0,593

Inversione pronomin

28,6

42,9

28,6

71,4

0,109

50

42,9

7,1

50

1,000

Età primi sint oss

18,2

81,8

-

-

-

Età Parole

45,5

54,5

-

-

-

Età frasi

36,4

63,6

-

-

-

4) cut off

A

B

Interazione

64,3

35,7

-

-

-

Linguaggio

100

-

-

-

-

Comport

64,3

35,7

-

-

-

Area primo svil

90,9

9,1

-

-

-

Ecolalie

Neologismi 3) area primo sviluppo

(° P> 0.05)

*0 = risposta adeguata; 1 = risposta lievemente atipica e/o in ritardo; 2 = risposta fortemente atipica e/o in ritardo

A = spettro autistico; B = fuori spettro autistico

Discussione In questo lavoro sono state analizzate le caratteristiche comunicativo-linguistiche in un gruppo di 29 bambini con diagnosi di DPS NAS ad alto funzionamento, al fine di identificare i sintomi maggiormente presenti in questo dominio in quadri che


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sebbene siano a maggior prevalenza tra i DPS sono spesso poco studiati e definiti dalla letteratura. La scelta di criteri ristrettivi, quali il buon funzionamento cognitivo e il livello di linguaggio espressivo minimo, permette di attribuire in modo specifico le difficoltà osservate al nucleo DPS e non ad eventuali ritardi dello sviluppo. Si è, inoltre, ritenuto necessario analizzare i risultati sia nel campione totale sia nel campione diviso per fasce di età per meglio capire come le competenze comunicativo linguistiche si modificano nel corso dello sviluppo nei bambini con DPS NAS. Sulla base degli obiettivi iniziali sono stati utilizzati alcuni item selezionati dagli strumenti standardizzati ADOS e ADI-r considerati come gold standard nel caso di sospetto DPS e la scelta di questi strumenti è stata motivata, tra le altre cose, dal fatto che permettono di avere informazioni sul bambino e, quando usati in modo complementare, considerano il punto di vista dei genitori, rendendo più completa la valutazione. I risultati del nostro campione totale ci permettono di evidenziare alcuni sintomi spia, importanti che potrebbero considerarsi come dei markers per definire i soggetti appartenenti ai quadri di DPS NAS. All’osservazione del bambino, tramite ADOS, i sintomi significativamente più presenti sono risultati essere, per la Comunicazione, la capacità di utilizzare i gesti e, per l’Interazione, il contatto oculare, le espressioni dirette agli altri e le aperture sociali. I genitori dell’intero campione riportano una maggiore presenza di sintomi quali ritardo o atipia nel sorriso sociale e, tra gli item selezionati nell’area comunicazione e linguaggio, sono risultati significativi quello gesti dimostrativi, imitazione di azioni, verbalizzazione, ecolalie. Per entrambi i questionari si evidenzia lo scarso uso dei gesti che quindi potrebbe essere un primo importante segno di riconoscimento nella popolazione con DPS NAS. Gli altri sintomi risultati significativi si differenziano tra l’ADOS e l’ADI-r e questo dato risulta interessante poichè indicativo della utilità di usare entrambi gli strumenti per avere un quadro più completo dei sintomi dei bambini valutati. Infatti, nell’osservazione si evidenziano più difficoltà nel contatto oculare, espressioni dirette agli altri e nelle aperture sociali, mentre nell’intervista i genitori danno più peso alla difficoltà nella reciprocità del sorriso, nell’imitazione di azioni, alla poca verbalizzazione e alla presenza di ecolalie. L’analisi dei risultati divisi per fascia di età dei bambini ha evidenziato nel campione dei piccoli le stesse significatività a quelle del campione totale per quanto riguarda, nell’osservazione ADOS, sia l’area dell’interazione sia quella della comunicazione. Nel campione dei grandi, al contrario, non sono emerse all’ADOS significatività, ma solo una frequenza maggiore dell’item gesti e dell’item ecolalie per quanto riguarda l’area del linguaggio e comunicazione e nell’area dell’interazione una maggiore frequenza dei sintomi indagato ma anche in questo caso non significativi. Questo dato può essere letto in un’ottica evolutiva in cui il bambino DPS NAS presenta difficoltà significative per quanto riguarda la comunicazione e il linguaggio nei primi anni e che tali difficoltà tendono a ridursi, diventando non significative, ma sono comunque sempre presenti. Importanti segni di riconoscimento iniziale risultano essere, quindi, i deficit della


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gestualità descrittiva, strumentale e convenzionale, che potrebbe diventare un segnale importante in un nuovo protocollo di screening dei DPS. L’analisi dei risultati, all’ADI-r, divisi per fascia di età mette in luce, anche in questo caso, una evoluzione e trasformazione delle difficoltà percepite dai genitori. Inizialmente, oltre all’item del sorriso sociale è risultato significativamente più presente l’uso del corpo dell’altro per comunicare mentre, nei grandi, entrambi questi item diventano non significativi. Per quanto riguarda l’area della comunicazione e del linguaggio, nei bambini più grandi, i genitori riportano difficoltà maggiori nelle capacità conversazioniali e di uso pragmatico del linguaggio. In altri termini, si evidenzia un deficit comunicativo e linguistico nei bambini con DPS NAS che risulta essere di lieve entità nei pazienti ad alto funzionamento. Questa considerazione trova conferma nella letteratura, infatti nonostante alcune variazioni delle abilità linguistiche siano state riportate (Tager-Flusberg e Joseph, 2003), questi individui presentano generalmente un ampio vocabolario e una capacità di linguaggio formale inalterata (Tager-Flusberg e Caronna, 2007). Riguardo l’ADI-r nei nostri pazienti DPS ad alto funzionamento si evidenziano anomalie della conversazione rilevate dalle difficoltà ad avviare un interazione con l’interlocutore, sostenere un dialogo mediante la partecipazione attiva ed associate alle frequenti interruzioni inefficaci rappresentate dall’eco dell’altrui intervento. In letteratura, come nel nostro campione, è riportata una difficoltà nella verbalizzazione(Loveland et al. 1988; Capps, 1998; Ghaziuddin e Mountain-Kimchi, 2004) e una difficoltà ad assumere la prospettiva dell’interlocutore in una conversazione, mentre è segnalato in letteratura una mimica ridotta e uniforme con sorriso ridotto (Landry, 1989) che non è stato riscontrato nel nostro campione. Si evidenzia, inoltre, in questo campione all’ADI-r una compromissione nella imitazione, almeno nei pazienti più piccoli, dato suggestivo soprattutto se si pensa alle ipotesi di neuroscienze sul ruolo dei neuroni a specchio (Rizzolatti e Craighero, 2004; Rizzolatti, 2009; Vogt et al., 2007) I bambini DPS NAS valutati in questo studio presentano, infine, modalità comunicative peculiari e atipiche che tendono a modificarsi nel tempo, questa modificabilità deve essere tenuta in considerazione poichè può fornire indicazioni utili al trattamento riabilitativo globale nelle diverse fasi. In conclusione, da questo lavoro si evidenzia come rilevato dall’ADI-R, i genitori riescano a riconoscere alcuni sintomi, mentre come rilevato dall’ADOS altri si evidenziano solo all’osservazione diretta da parte del clinico e, di conseguenza, una valutazione completa e specifica del bambino deve tenere conto sempre dell’integrazione di questi elementi. Riassunto Esiste il linguaggio inteso come competenza, acquisizione, analizzata da un punto di vista quantitativo (quante parole/frasi etc e a che età) ed esiste la comunicazione che può essere pensata come la capacità di utilizzare la competenza linguaggio (quindi in un ottica qualitativa). La variabile “comunicazione e linguaggio” è ben studiata e ampiamente compresa per quanto riguarda sia il Disturbo Autistico sia la Sindrome di Asper-


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ger mentre appare più carente il discorso quando si parla di DPS NAS. In questo lavoro si è voluto indagare le caratteristiche comunicativo linguistiche nei bambini con quadri di DPS NAS ad alto funzionamento attraverso l’utilizzo dei due strumenti, ADOS e ADIr. Il campione è costituito da 29 pazienti DPS NAS afferiti presso l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile della Sapienza Università di Roma e l’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Bari “Aldo Moro”. È stata effettuata un’analisi di tutti quegli item dell’ADOS e dell’ADI-r ritenuti più utili nel fornire informazioni sia quantitative sia qualitative del livello comunicativo linguistico dei pazienti. Parole chiave Linguaggio – Comunicazione – DPS NAS – ADOS – ADI-r.

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Alessitimia e psicopatologia in adolescenza: studio caso-controllo Alexithimya and psychopathology in adolescence: A case-control study Michela Gatta*, Nancy Impollino**, Lara Del Col**, Paolo C. Testa**, Lorenza Svanellini**, Pier Antonio Battistella*

Summary This paper aims to study the relationship between alexithymia and psycho-behavioural disorders. It compares a group of psychiatric teenagers (experimental group) with a group of “healthy” teenagers (control group), considering the gender and age variables. This paper also considers the relationship between alexithymic characteristics in adolescents and parents. To test alexithymia we used Toronto Alexithymia Scale (TAS-20), to test emotionalbehavioural disorders and psychiatric symptoms we used respectively the Youth Self Report questionnaire (YSR 11-18) and the Symptom Checklist-scale -90-Revised (SCL-90-R). The results show that alexithymia is prevalent among psychiatric adolescents if compared with “healthy” subjects. In the control group no differences were found between males and females, instead in the experimental group girls are more alexithymic than boys. According to age, in the control group alexithymic characteristics tend to decrease with age increasing (and with cognitive abilities’ improvement). Instead, in the experimental group there is no difference and it suggests that the presence of psychopathology might influences the evolutionary movement in emotional processing skill with age. Studying the relationship between alexithymia and emotional and behavioral disorders in the experimental group, in contrast to the control group, an association between alexithymia and externalizing problems come out. Finally, according to some other literature studies, we found that there was a significant association between adolescents’ and mothers’ alexithymia scores rather than fathers’ ones. Key words Alexithimya – Psychopathology – Adolescence.

Introduzione L’alessitimia implica un deficit della componente psicologica dell’affetto (feeling), per cui le persone che ne sono affette hanno emozioni espresse dalle componenti biologiche degli affetti, ma con scarsa o nessuna possibilità di ricorrere agli strumenti * Dipartimento **

di Salute Donna e Bambino, Università di Padova. UOC di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Azienda ULSS 16 di Padova.


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psicologici (immagini, pensieri, fantasia) per rappresentarle (Taylor e Bagby, 2004). Il principale dibattito tra gli studiosi sulla natura dell’alessitimia, si riferisce al considerarla un tratto di personalità stabile piuttosto che uno stato transitorio secondario ad un malessere psicologico associato ad una malattia acuta o a qualche altra situazione stressante. A tal proposito, Freyberger (1977) ha introdotto la distinzione tra alessitimia primaria, legata a deficit neurobiologici, e alessitimia secondaria, legata ad una strategia protettiva di fronte a situazioni traumatiche e stressanti. L’ipotesi al momento più accreditata sulla natura dell’alessitimia è quella avanzata dal gruppo di Toronto: Taylor, Bagby e Parker (1997) ritengono sia fondamentale distinguere tra alessitimia in quanto tratto di personalità stabile, indipendentemente dall’eziologia (deficit neurobiologico oppure trauma psicologico subito nell’infanzia) e alessitimia in quanto dipendente da uno stato, in cui le caratteristiche alessitimiche scompaiono una volta che la situazione stressante che l’ha provocata si sia modificata. I ricercatori canadesi, in riferimento a questa distinzione, hanno fornito prove convincenti del fatto che l’alessitimia è un tratto di personalità stabile e non una semplice conseguenza di uno stress psicologico. Grazie al contribuito del gruppo di Toronto, la diatriba tra alessitimia primaria e secondaria ha lasciato lo spazio ad un’idea nuova del costrutto come “dimensione clinica transnosografica, che si estende lungo un continuum che dal normale va al patologico a seconda del livello di difficoltà a comprendere e comunicare le esperienze emotive” (Caretti e La Barbera, 2005). Dunque, l’attuale concetto di alessitimia considera questa ultima come un costrutto di personalità che riflette un disturbo importante nella regolazione degli affetti, costituendo così un fattore di rischio rilevante per il prodursi di malattie psicologiche e somatiche. L’alessitimico presenta le seguenti caratteristiche: 1) Una difficoltà a discriminare le emozioni le une dalle altre e distinguerle dalle sensazioni somatiche; 2) Un vocabolario emotivo limitato, che comporta una notevole difficoltà a comunicare verbalmente le proprie emozioni agli altri; 3) Processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie; 4) Uno stile cognitivo orientato all’esterno. Alla luce dei recenti lavori di ricerca, l’alessitimia appare molto rilevante per il livello di salute e benessere complessivo dell’individuo, essendo considerata come uno dei possibili fattori di rischio per svariati disturbi somatici e psichiatrici, in quanto l’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva genera nei soggetti alessitimici la tendenza a liberarsi da tensioni causate da stati emotivi non piacevoli mediante comportamenti compulsivi, quali l’abbuffarsi di cibo, l’abuso di sostanze, il comportamento sessuale perverso; diversi studi in letteratura hanno messo in luce come il costrutto alessitimico, inizialmente associato ai disturbi somatoformi, sia riscontrabile in numerose altre patologie psichiatriche, inclusi i disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, di personalità, del comportamento alimentare e di abuso di sostanze (Grimaldi Di Terresena et al., 2010). Se la dimensione alessitimica è stata finora analizzata in età adulta, salvo rare eccezioni pochi sono gli studi che hanno interessato il costrutto dell’alessitimia in


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età evolutiva. La prevalenza di alessitimia in adolescenza è fondamentalmente sovrapponibile a quella dell’età adulta, ma con differenze di genere non definite come nell’adulto (negli adulti il tratto alessitimico è prevalente nei maschi) (Sakkinen et al., 2007; Joukamaa et al., 2007). Un recente studio finlandese (Honkalampi et al., 2009) ha indagato la relazione tra alessitimia, sintomi depressivi e problemi rilevati con lo Youth Self Report (YSR) in un campione di 3936 adolescenti dai 13 ai 18 anni, che hanno compilato TAS-20, Beck Depression Inventory (BDI) e YSR durante le lezioni scolastiche. La prevalenza di alessitimia rilevata è stata del 7.3%; le ragazze erano più frequentemente alessitimiche dei ragazzi. Indipendentemente dal sesso, i giovani alessitimici hanno riportato più problemi internalizzanti ed esternalizzanti degli altri. La TAS-20 correlava significativamente con il punteggio del BDI, con il punteggio totale dello YSR e con i problemi internalizzanti; questi risultati suggeriscono che gli adolescenti alessitimici sono a maggior rischio di disordini mentali e necessitano di trattamento. La prevalenza dell’alessitimia in questo studio era significativamente più alta nei tredicenni rispetto ai diciottenni; questa diminuzione del tasso di alessitimia registrato con l’aumento dell’età è coerente con il graduale miglioramento delle capacità cognitive legate al processo di elaborazione delle emozioni (Sakkinen et al., 2007). Le ricerche fino ad ora condotte su alessitimia e psicopatologia in adolescenza hanno rilevato interessanti associazioni con disturbi del comportamento alimentare (Zonnevylle-Bender et al., 2002; 2004), tendenze dissociative (Sayar et al., 2005), depressione (Chinet et al., 1998; Honkalampi et al., 2009), disturbo post-traumatico da stress (Ledouc, 2002), problematiche comportamentali come la delinquenza (Zimmermann et al., 2006). Obiettivi Lo scopo generale del lavoro è quello di studiare la relazione fra alessitimia e problematiche psico-comportamentali, confrontando un gruppo di adolescenti psichiatrici (gruppo sperimentale) con un gruppo di soggetti “sani” (gruppo di controllo). Il lavoro si basa sui seguenti obiettivi di indagine rispetto ai quali è stato possibile formulare alcune ipotesi: 1) Prevalenza di alessitimia nei soggetti adolescenti con disagio psichico rispetto ai soggetti del gruppo di controllo. Come emerge dalla letteratura (Karukivi et al., 2010; Zimmermann et al., 2006; Carretti et al., 2005), infatti, l’alessitimia è spesso associata a diverse forme psicopatologiche. Inoltre, ci si aspetta una differenza rispetto al genere e all’età nella presenza di caratteristiche alessitimiche (Honkalampi et al., 2009; Sakkinen et al., 2007; Di Trani et al., 2009). 2) Presenza di associazioni significative tra punteggi riportati alla scala dell’alessitimia (TAS 20) e punteggi riportati alle scale sindromiche (YSR 11-18, SCL-90 R), sia nel gruppo sperimentale sia nel gruppo controllo; con eventuali specifiche che possano differenziare il gruppo sperimentale da quello di controllo. Come riportato da Honkalampi et al. (2009), i soggetti alessitimici sono a maggior rischio di sviluppare disordini psico-comportamentali.


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3) Ricerca di associazione significativa tra presenza di alessitimia nel figlio e presenza di alessitimia nei genitori, in linea con le ricerche presenti in letteratura (Lumley et al., 1996; Fukunishi et al., 1997; Fukunishi e Paris, 2001). Soggetti e metodi Campione Il campione sperimentale è stato reclutato presso il Servizio Semiresidenziale di Psicopatologia dell’Adolescenza dell’Unità Operativa Complessa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UOC di NPIA) dell’Azienda ULSS 16-Università di Padova. Si tratta di 20 soggetti, 13 maschi (65%) e 7 femmine (35%), con un’età media di 13,95 anni (DS: 1,932). Per quanto riguarda il livello culturale delle famiglie di provenienza, valutato considerando la scolarità dei singoli genitori, il padre presenta un livello culturale basso in 11 casi (55%), e medio in 9 casi (45%); mentre la madre presenta un livello culturale basso in 10 casi (50%), medio in 7 (35%) e alto in 3 casi (15%). Il gruppo di controllo consta di 20 studenti selezionati sulla base dell’appaiamento con i 20 sperimentali per età, sesso e livello culturale dei genitori; a tal fine è stato considerato un campione più ampio (302 soggetti) costituito da studenti afferenti a 6 differenti scuole secondarie (primo e secondo grado) di Padova (2 scuole secondarie di I grado, 1 liceo scientifico, 1 liceo classico, 1 istituto tecnico ed 1 istituto professionale) facenti capo ad un altro progetto di ricerca nell’ambito della UOC di NPIA (Progetto “Che Piacere” Educazione alla salute e prevenzione del consumo precoce di alcolici negli adolescenti, anno scolastico 2010-11 (Gatta et al., 2012). Il gruppo di controllo è costituito da 13 maschi (65%) e 7 femmine (35%) con un’età media di 13,95 anni (DS: 1,932). Il gruppo sperimentale ed il gruppo di controllo risultano comparabili per età [χ2 (g.l=1; N=40) = .00; p>.05], sesso [χ2 (g.l=1; N=40) = .00; p>.05] e livello culturale del padre [χ2 (g.l=2; N=40) = 1.66; p>.05] e della madre [χ2 (g.l=2; N=40) = .03; p>.05], non differendo significativamente in alcuna delle variabili suddette. Si evidenzia invece una differenza – a parità di età - nella classe frequentata [χ2 (g.l=2; N=40) = 8.46; p<.05], in quanto nel gruppo sperimentale vi è un numero elevato di soggetti ripetenti: nel gruppo sperimentale 14 soggetti frequentano la scuola secondaria di I grado (70%), 5 la scuola secondaria di II grado (25%) ed 1 soggetto ha abbandonato gli studi (5%); mentre nel gruppo di controllo 6 soggetti frequentano la scuola secondaria di I grado (30%) e 14 la scuola secondaria di II grado (70%). I soggetti del gruppo sperimentale risultano affetti da problematiche psico-comportamentali, così diagnosticate secondo i criteri dell’ ICD-10: – 3 soggetti presentano disturbo della condotta (F90-99) (15%), – 9 soggetti presentano sindromi affettive (F30-39) (45%), – 8 soggetti presentano sindromi nevrotiche (F40-48) (40%).


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Strumenti 1)Toronto Alexithymia Scale (TAS-20) per l’età evolutiva (Di Trani et al., 2009) L’attuale versione della Toronto Alexithymia Scale, la TAS-20, poiché 20 sono gli item di cui è costituita, rappresenta lo strumento oggi più utilizzato per la valutazione dell’alessitimia nell’adulto. È stata tradotta in molteplici lingue e numerosi sono stati gli studi di standardizzazione e validazione nei diversi paesi; in Italia, la traduzione e validazione sono state curate dal gruppo di ricerca di Bressi et al. (1996). Si tratta di un questionario self-report basato su una scala Likert a 5 punti, che misura le tre dimensioni che definiscono il costrutto dell’alessitimia: – F1: difficoltà nell’identificare le emozioni (item 1, 3, 6, 7, 9, 13, 14), DIS, – F2: difficoltà nel comunicare le emozioni (item 2, 4, 11, 12, 17), DDS, – F3: pensiero orientato all’esterno (item 5, 8, 10, 15, 16, 18, 19, 20), POE. La scala consente di classificare i soggetti in: – non alessitimici: soggetti che ottengono punteggi inferiori a 51, – borderline: soggetti che ottengono punteggi compresi tra 51 e 60, – alessitimici: soggetti che ottengono punteggi superiori o uguali a 61. Per quanto concerne le sue caratteristiche statistiche, l’attuale versione della TAS20 ha dimostrato di avere un’alta coerenza interna (alfa di Cronbach = 0.81), una buona affidabilità test-retest su un intervallo di tre mesi (r = 0.77) e una struttura a tre fattori congruente da un punto di vista teorico con il costrutto dell’alessitimia (Caretti e Barbera, 2005). Pochi studi hanno analizzato le proprietà psicometriche della TAS-20 negli adolescenti. Il primo tentativo di costruire una scala vera e propria per la misurazione dell’alessitimia in età evolutiva, semplificando la TAS-20 per gli adulti, è stato fatto da Rieffe et al. (2006). Il questionario per bambini mantiene i 20 item della scala per adulti, ricalcando la stessa struttura e contenuti, ma con un riadattamento linguistico che ne facilita la comprensione. Studi internazionali hanno confermato la validità della struttura a tre fattori in campione di adolescenti supportano la struttura a tre fattori utilizzata negli adulti ma rilevando livelli di consistenza interna sub ottimali soprattutto nella sottoscala del ‘pensiero orientato all’esterno’ (Sakkinen et al., 2007; Zimmermann et al., 2007). Anche in Italia un tentativo di effettuare una prima applicazione della TAS-20 su adolescenti (La Ferlita et al., 2007) ha evidenziato la stabilità di due fattori della TAS-20 (DIS e DDS) e l’instabilità del terzo fattore. In Italia, Di Trani et al. (2009) basandosi sullo strumento proposto da Rieffe et al. (2006) hanno esaminato la struttura fattoriale e attendibilità. I dati indicano una adeguata consistenza interna e dall’analisi fattoriale esplorativa si conferma l’instabilità del terzo fattore. Nel nostro studio è stata utilizzata la versione della TAS-20 per l’età evolutiva, tradotta da quella di Rieffe et al. del 2006 e validata da Di Trani et al., 2009, e si è tenuto conto in particolare dei primi due fattori (identificazione e comunicazione delle emozioni).


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2) Youth Self report (YSR) (Achenbach, 2001) Il questionario self report di Achenbach (YSR11-18) è tra le scale di valutazione del comportamento giovanile più diffuse e utilizzate a livello nazionale e internazionale in ambito sia clinico sia di ricerca. I questionari sul comportamento del giovane (Achenbach e Ruffle, 2000; Achenbach e Rescorla, 2001, Ivanova et al., 2007) sono autodescrittivi circa le competenze e i problemi comportamentali ed emotivi di soggetti in età evolutiva. Sono standardizzati anche per la popolazione italiana (Frigerio et al., 2001; 2002; 2004). Viene richiesta la valutazione su diverse aree riguardanti sia le competenze sia le difficoltà, in 113 item che prevedono tre alternative risposte (0= non vero, 1= in parte o qualche volta vero, 3= molto vero o spesso vero). Si ottengono così due profili: uno per le competenze (attività, socialità, prestazione scolastica) ed uno per i problemi comportamentali ed emozionali che vengono valutati nel range “normale”, “border” e “clinico” di specifiche scale sindromiche (ansia/depressione, ritiro, lamentele somatiche, problemi sociali, problemi del pensiero, problemi di attenzione, comportamento antisociale/delinquenziale, comportamento aggressivo). Queste ultime sono quindi raggruppate in tre principali scale: le scale dei problemi internalizzanti, le scale dei problemi esternalizzanti, le scale dei problemi totali. La scala dei problemi internalizzanti (ritiro, ansia/depressione, lamentele somatiche) comprende varie problematiche che si associano a conflitti interni (ritiro, inibizione, tensione, vergogna, passività, preoccupazioni riguardanti il soma, stati di ansia e depressione), le scale esternalizzanti (aggressività e delinquenza/antisocialità) includono invece problemi che riguardano più direttamente la sfera sociale e del comportamento (rottura di regole, aggressività). La scala totale dei problemi è costituita dalla somma di tutti gli item, comprendendo quindi le scale “pensiero”, “attenzione” e “socializzazione” (dette scale dei problemi né internalizzanti né esternalizzanti) fornendo un quadro generale di problematicità del soggetto. 3) Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90 -R) La Symptom Checklist-90-Revised, SCL-90-R (Derogatis, 1977, 1983, 1994) è un questionario di autovalutazione (self-report symptom inventory), costruito con l’obiettivo di fornire una misura standardizzata dello status psicologico e/o psicopatologico attuale di un individuo, applicabile a popolazioni normali o psichiatriche di adolescenti e adulti (Derogatis e DellaPietra, 1994). Lo strumento, costituito da 90 item, può essere completato dal soggetto. A ciascuno dei 90 item che compongono la SCL-90-R è attribuito un punteggio su una scala Likert da 0 a 4 punti; i punteggi ottenuti sono interpretati sulla base di 9 dimensioni primarie, ognuna delle quali include un ampio raggruppamento di sintomi specifici, e sulla base di tre indici globali di disturbo (Distress). Le nove dimensioni primarie della SCL-90-R sono: 1. Dimensione Somatizzazione (Somatization, SOM), 2. Dimensione Ossessivo-Compulsiva (Obsessive-Compulsive, O-C), 3. Dimensione Sensibilità Interpersonale (Interpersonal Sensitivity, I-S), 4. Dimensione Depressione (Depression, DEP),


ALESSITIMIA E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA

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5. Dimensione Ansia (Anxiety, ANX), 6. Dimensione Ostilità (Hostility, HOS), 7. Dimensione Ansia Fobica (Phobic Anxiety, PHOB), 8. Dimensione Ideazione Paranoide (Paranoid Ideation, PAR), 9. Dimensione psicoticismo (Psychoticism, PSY). Inoltre, la SCL-90-R prevede un indice globale di disturbo (Indice di Gravità Globale, Global Severity Index, GSI) che fornisce un quadro clinico complessivo sul livello di profondità e gravità dell’esperienza soggettiva di disagio (Derogatis et al., 1975). Analisi dei dati Allo scopo di verificare le ipotesi della ricerca, sono stati utilizzati i seguenti metodi qualitativi e quantitativi. Lo studio descrittivo del campione è stato realizzato mediante un’analisi delle frequenze e delle percentuali, allo scopo di ottenere alcuni elementi descrittivi generali relativi alla distribuzione dei soggetti rispetto alle variabili cliniche e personali da noi prese in considerazione, e alle variabili interne di ogni strumento, relativamente ai tre obiettivi della ricerca. Per ciò che concerne il confronto fra le distribuzioni delle variabili relativamente alle ipotesi 1 e 3 è stata utilizzata la statistica del Chi-Quadrato, che rappresenta il grado di associazione fra due variabili per le quali si ipotizza indipendenza (Cristante et al., 1992), definendo in modo globale la presenza di un’implicazione fra le variabili considerate. Allo scopo di verificare gli obiettivi 2 e 3 della ricerca è stato utilizzato il Coefficiente di Correlazione r di Pearson, che riflette il grado del rapporto lineare tra due variabili. I limiti della correlazione sono fra -1 e +1, dove lo 0 indica che non esiste alcuna relazione nell’andamento di due variabili. I segni + o – indicano la direzione della correlazione, mentre la cifra indica la sua forza. Per la verifica del I e del II obiettivo, è stato inoltre utilizzato il Test-t per campioni indipendenti, che si utilizza per confrontare due medie provenienti da due campioni indipendenti. Per eseguire questo test è necessario specificare almeno due variabili: la variabile dipendente (Variabile oggetto del test) e la variabile che permette di identificare i gruppi (Variabile di raggruppamento). Vengono quindi calcolate le medie dei due gruppi nella variabile oggetto del test e confrontate tra loro. Le varianze possono essere considerate omogenee quando il valore di probabilità del Test di Levene è maggiore di 0,05; se il valore di probabilità associato al t calcolato è minore di 0,05 possiamo concludere che le medie dei due gruppi sono significativamente diverse tra loro.


554

M. GATTA - N. IMPOLLINO - L. DEL COL ET AL.

Risultati e discussione 1) Verifica I obiettivo: confronto caso-controllo rispetto alla prevalenza di alessitimia e alla relazione tra questa e variabili di genere ed età Per quanto riguarda la presenza di alessitimia nei due gruppi, sono state prese in considerazione tre categorie principali: non alessitimici (<51), borderline (51-60), alessitimici (≥61). L’alessitimia si presenta con una percentuale maggiore nel gruppo sperimentale (45%; n=9) rispetto al gruppo di controllo (10%; n=2) definendo un’associazione statisticamente significativa [χ2 (g.l.= 2; N = 40) = 6,103; p<.0,5] che consente di affermare la prevalenza di alessitimia nel gruppo sperimentale rispetto al controllo. Riguardo ai punteggi della TAS-20 e ai Fattori interni allo strumento, riportiamo in Tabella 1 i valori relativi alle medie e alle deviazioni standard nei due gruppi: sono rilevabili valori più elevati delle medie nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo controllo.

Gruppo Sperimentale TAS-20

Gruppo controllo

Media

DS

Media

DS

F1 Identificare i sentimenti

18,70

7,32

13,50

6,88

F2 Comunicare i sentimenti

15,95

4,29

11,60

2,60

F3 Pensiero orientato all’esterno

25,20

5,01

21,65

6,18

Punteggio Totale TAS-20

59,85

11,95

46,85

12,45

Tabella 1. Punteggi TAS-20: medie e deviazioni standard nei due gruppi.

Per confrontare le medie ottenute nei Fattori della TAS-20 all’interno dei due gruppi, è stato effettuato il Test-t per campioni indipendenti. Sia la scala del Punteggio Totale [t(38) =3.370; p= .002] sia quelle relative ai singoli fattori (Fattore1 [t(38) =2.315; p = .026], Fattore2 [t(31,34) = 3.880; p= .001], Fattore3 [t(39) = 1,995; p= 053]) della TAS-20 riportano medie più elevate nel gruppo sperimentale rispetto a quello di controllo. Per verificare se nel gruppo sperimentale esiste una differenza tra le medie di alessitimia totale e dei singoli Fattori rispetto alla variabile genere è stato utilizzato il Test-t per campioni indipendenti. Come si evince dalla Tabella 4 le medie dei punteggi relativi alla scala TAS-20-totale, risultano significativamente più elevate nel sesso femminile rispetto a quello maschile [t(18) = -2,250; p<.05]. Rispetto ai Fattori 1 e 2 le medie dei punteggi ottenute dalle femmine risultano maggiori rispetto a quelle ottenute dai maschi (rispettivamente [t(18)= -2,092; p=.05] e [t(18)= -3,275; p<.05]). Rispetto al Fattore3 non esiste alcuna differenza significativa tra i due sessi nelle medie dei punteggi (Tabella 2).


555

ALESSITIMIA E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA

TAS-20 totale e fattori

Genere

Media

DS

Totale

Maschi

55,85

10,511

Femmine

67,29

11,485

Maschi

16,38

5,650

Femmine

23,00

8,524

Maschi

14,08

3,546

Femmine

19,43

3,359

Maschi

25,38

5,781

Femmine

24,86

3,532

F1:DIS

F2:DDS

F3:POE

Tabella 2. Media e deviazione standard TAS-20 rispetto alla variabile genere del gruppo sperimentale.

Per quanto riguarda il gruppo di controllo, non è emersa tra i due sessi alcuna differenza statisticamente significativa nelle medie dei punteggi alla TAS-20. Per verificare se nel gruppo sperimentale esiste una differenza tra le medie dei Fattori relativi alla TAS-20 in relazione alla variabile età, è stato utilizzato il Test-t per campioni indipendenti. Le medie dei punteggi relativi ai Fattori della TAS-20 non presentano alcuna differenza significativa nelle due differenti fasce di età considerate (≤14.6 anni e >14.6 anni) (Tabella 3).

TAS-20 totale e fattori

Fascia età

Media

DS

Totale

≤14.6

60,31

11,041

>14.6

59,00

14,387

≤14.6

18,54

7,114

>14.6

19,00

8,266

≤14.6

16,54

4,594

>14.6

14,86

3,716

≤14.6

25,23

5,246

>14.6

25,14

4,947

F1

F2

F3

Tabella 3. Media e deviazione standard TAS-20 rispetto alla variabile età del gruppo controllo.

Nel gruppo di controllo, invece, le medie dei punteggi della scala TAS-20-Totale risultano significativamente più elevate nei soggetti con un’età inferiore a 14.6 anni [t(18) = 4,588; p<.05]. Anche scomponendo i tre fattori, si rilevano medie di punteg-


556

M. GATTA - N. IMPOLLINO - L. DEL COL ET AL.

gi più elevate nei soggetti più giovani (Fattore1 [t(13,51) = 4,313; p<.05], Fattore2 [t(15,54) = 4,008; p<.05], Fattore3 [t(18) = 2,785; p<.05]). Riassumendo i risultati relativi al I obiettivo del presente studio, abbiamo rilevato la maggiore prevalenza di alessitimia nel gruppo sperimentale (45%) rispetto ai controlli (10%), con percentuali in questo secondo caso lievemente più elevate rispetto ai dati della letteratura (Sakkinen et al., 2007; Joukamaa et al., 2007; Honkalampi et al., 2009) che si attestano attorno al 7-8%. Tra i pazienti l’alessitimia è più frequente nel sesso femminile, mentre tra i controlli non si rilevano differenze di genere. Questi dati sono supportati da altri studi in letteratura, alcuni dei quali dimostrano che le ragazze sono più frequentemente alessitimiche rispetto ai ragazzi (Honkalampi et al., 2009), mentre altri non ritrovano alcuna differenza significativa tra i sessi nella prevalenza di alessitimia (Karukivi et al., 2010; Joukamaa et al., 2007). Di fatto, mentre varie ricerche nella popolazione adulta, hanno rilevato che gli uomini mostrano maggiori caratteristiche alessitimiche rispetto alle donne (Franz et al., 2008; Kokkonen et al., 2001; Mattila et al., 2006), i risultati nella popolazione adolescenziale sono controversi (Honkalampi et al., 2009; Joukamaa et al., 2001; Säkkinen et al., 2007). Rispetto all’età, mentre nei controlli è rilevabile l’andamento fisiologico di diminuzione del tasso di alessitimia (coerente con il graduale miglioramento delle capacità cognitive legate al processo di elaborazione delle emozioni) (Sakkinen et al., 2007), nel gruppo sperimentale tale andamento non si verifica e non si evidenziano differenze significative. Le diverse relazioni tra alessitimia e variabili di genere ed età in adolescenti psichiatrici rispetto a soggetti “sani” potrebbero essere legate alla presenza di psicopatologia nel gruppo sperimentale la quale potrebbe influenzare il movimento evolutivo nella capacità di elaborazione emotiva da una fascia d’età all’altra e differenziarsi per sesso data la maggiore tendenza tra le femmine rispetto ai maschi di sviluppare disturbi di tipo internalizzante che, come è noto, si associano a loro volta a problematiche alessitimiche; tuttavia, in entrambi i gruppi non sono state riscontrate significatività statistiche di genere ed età con i punteggi allo YSR 11-18, né con quelli di SCL-90-R nel gruppo sperimentale in parte probabilmente dovuto all’esiguità numerica dei pazienti. 2) Verifica II Obiettivo: confronto tra il gruppo sperimentale ed il gruppo di controllo rispetto ai problemi comportamentali ed emozionali, e alla relazione tra tali problematiche e l’alessitimia Riportiamo in Tabella 4 media e deviazione standard per lo strumento YSR relativo al gruppo sperimentale ed al gruppo di controllo. Gruppo sperimentale

Gruppo di controllo

Scale YSR

Media

DS

Media

DS

Competenza Attività

36,05

8,49

45,63

9,66

Competenza Socialità

41,65

9,52

43,53

6,28

Competenze totali

35,88

8,04

42,78

7,52


557

ALESSITIMIA E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA

Ansia e Depressione

60,70

10,51

57,05

9,09

Ritiro e Depressione

60,05

9,96

54,95

5,79

Lamentele Somatiche

57,05

5,98

54,35

6,19

Problemi Sociali

56,90

8,00

54,75

6,37

Problemi del pensiero

57,00

7,53

53,80

5,62

Problemi di Attenzione

60,85

10,44

56,35

9,14

Antisocialità

55,20

6,14

55,10

5,13

Comportamenti Aggressivi

57,75

7,67

55,65

7,18

Problemi Internalizzanti

58,95

11,69

52,80

9,86

Problemi Esternalizzati

54,30

10,08

52,80

9,30

Problemi Totali

56,95

10,89

51,85

9,74

Disturbo Affettivo

59,50

8,65

55,35

6,81

Disturbo d’Ansia

59,25

9,04

57,60

8,52

Disturbi Somatici

56,55

6,31

53,60

5,67

ADHD

57,35

7,01

55,60

8,11

Dist. Oppositivo-Provocatorio

56,75

7,45

56,60

6,79

Disturbo della Condotta

56,55

6,80

53,15

5,68

Tabella 4. YSR 11-18: media e deviazione standard di gruppo sperimentale e gruppo di controllo.

Il gruppo sperimentale presenta valori di media più bassi rispetto al gruppo di controllo nelle scale delle competenze (Socialità, Attività e Competenze Totali). Relativamente alle scale sindromiche, invece, il gruppo sperimentale presenta in generale punteggi di media maggiormente elevati rispetto al gruppo di controllo, in particolare i valori più elevati delle medie sono relativi alle scale Ansia e Depressione, Ritiro e Depressione, Problemi del Pensiero, Problemi di Attenzione, Problemi Internalizzanti, Problemi Totali e Problemi Affettivi. A dire quindi che i pazienti, rispetto ai controlli, riportano minori competenze e maggiori problematiche psicocomportamentali specie di tipo internalizzante. Per verificare se tra il gruppo sperimentale ed il gruppo di controllo esistono delle differenze tra le medie delle scale relative allo YSR, è stato utilizzato il Test-t per campioni indipendenti. La scala delle Attività [t(37)= - 3,295; p<.05] e delle Competenze Totali [t(32)= - 2,586; p<.05] sono caratterizzate da medie più elevate nei soggetti del gruppo di controllo. Nel gruppo sperimentale, la Scala Ritiro/Depressione presenta punteggi di media più elevati rispetto al gruppo di controllo [t(30,52) = 1,980; p<.05].


558

M. GATTA - N. IMPOLLINO - L. DEL COL ET AL.

Per verificare quali legami esistono tra i problemi emotivo-comportamentali e alessitimia nel gruppo sperimentale è stato utilizzato il coefficiente di correlazione r di Pearson. Si è scelto di riportare i punteggi maggiormente significativi (Tabella 5).

YSR Ansia depressione

Ritiro depressione

Problemi pensiero

TAS-20 tot Correlazione di Pearson

,486

Sig. (2-code)

,030

Problemi internalizzanti

Problemi esternalizzanti

*

,403

-,093

,078

,697 -,057

Sig. (2-code)

,144

,035

,395

,811

Correlazione di Pearson

Correlazione di Pearson

Correlazione di Pearson

**

,595

,006 **

,566

,009 **

,702

**

,592

,006 **

,614

,004 **

,567

*

,518

,112

,019

,640

,352

,153

,128

,521

*

,538

,386

Sig. (2-code)

,001

,009

,014

,093

Correlazione di Pearson

,436

* ,544

,314

-,024

Sig. (2-code)

,055

,013

,177

,920

Correlazione di Pearson

Correlazione di Pearson

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Dist.ansia DSM

,003

F3:POE

,201

Sig. (2-code) Dist.affettivo DSM

,621

F2:DDS

,474

Sig. (2-code) Problemi totali

**

,338

Sig. (2-code) Aggressività

F1: DIS

Correlazione di Pearson

Sig. (2-code) Problemi attenzione

*

**

,638

,002 **

,635

,003 **

,589

,006

*

*

,537

,479

,327

,015

,033

,159

**

,660

,002 **

,656

,002 *

*

,495

,127

,027

,592

*

,509

,010

,022

,968

Correlazione di Pearson

,373

,478

,341

-,102

Sig. (2-code)

,106

,033

,141

,668


559

ALESSITIMIA E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA

ADHD DSM

Dist. oppositivo DSM

,547

Sig. (2-code)

,013

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Dist.condotta DSM

*

Correlazione di Pearson

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

**

,598

,335

,143

,148

,547

,536

,408

,394

,015

,074

,085

,440

,541

,287

,052

,014

,220

,005

**

*

,640

,002 **

,584

,007

*

Tabella 5. * La correlazione è significativa a livello 0,05 (2-code). **La correlazione è significativa a livello 0,01 (2-code).

Per verificare quali legami esistono tra i problemi emotivo-comportamentali e alessitimia nel gruppo controllo è stato utilizzato il coefficiente di correlazione r di Pearson. Si è scelto di riportare i punteggi maggiormente significativi (Tabella 6).

TAS-20 tot

F1: DIS

F2:DDS

F3:POE

,322

,446

,317

,032

,166 ** ,604

,049 ** ,602

,174 * ,494

,893

,005 * ,512

,005 * ,546

,027

,142

,264

,311

Sig. (2-code)

,021

,261

,182

Correlazione di Pearson

,404

,013 * ,494

,330

,126

,078 ** ,740

,027 ** ,804

,156 ** ,667

,597

,000 * ,475

,000 ** ,578

,001

,162

,304

,190

,034

,008

,192

,423

YSR Correlazione di PeAnsia depressio- arson ne Sig. (2-code) Ritiro depressione Lamentele somatiche

Problemi sociali

Correlazione di Pearson Sig. (2-code) Correlazione di Pearson

Sig. (2-code) Problemi siero

pen-

Problemi internalizzanti

Correlazione di Pearson Sig. (2-code) Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

*

,341

,325


560

Problemi totali

M. GATTA - N. IMPOLLINO - L. DEL COL ET AL.

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Dist. affettivo DSM

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

**

**

,580

,635

,361

,316

,007 ** ,721

,003 ** ,781

,118 * ,528

,174

,000

,000

,017

,118

,361

Tabella 6. * La correlazione è significativa a livello 0,05 (2-code). **La correlazione è significativa a livello 0,01 (2-code).

Dai risultati di correlazione tra punteggi riportati a YSR e a TAS-20 si evince che esistono diverse differenze tra i due gruppi sperimentale e controllo; sottolineiamo i maggiormente rilevanti, in quanto presenti solamente nel gruppo sperimentale, che sono relativi alle differenze emerse rispetto alla relazione tra i Problemi Esternalizzanti, Comportamenti Aggressivi, Problemi di Attenzione e Alessitimia. Per verificare quali legami esistono tra sintomatologia rilevata con la SCL-90-R e alessitimia nel gruppo sperimentale è stato utilizzato il coefficiente di correlazione r di Pearson (Tabella 7).

SCL-90-R I-S

ANX

TAS-20 tot * ,536

F1:DIS * ,549

F2:DDS * ,499

F3:POE

Sig. (2-code)

,015

,838

,427

,012 * ,534

,025

Correlazione di Pearson

,436

-,133

,060 * ,499

,015 * ,531

,055 * ,485

,575

,025 ** ,597

,016 ** ,619

,030 ** ,691

,005 * ,547

,004 ** ,591

,001 * ,503

,767

,012

,006

,024

,961

Correlazione di Pearson

Sig. (2-code) HOS

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

PSY

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

GSI

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

Tabella 7. * La correlazione è significativa a livello 0,05 (2-code) **La correlazione è significativa a livello 0,01 (2-code).

,049

-,001 ,998 -,071

,012


ALESSITIMIA E PSICOPATOLOGIA IN ADOLESCENZA

561

Riassumendo i risultati relativi al II obiettivo del presente studio abbiamo rilevato una maggiore prevalenza di problemi emotivo-comportamentali – specie internalizzanti – nel gruppo sperimentale rispetto ai controlli. Abbiamo inoltre riscontrato un’associazione tra alessitimia e problemi psico-comportamentali rilevati con YSR 11-18 sia nel gruppo sperimentale che nei controlli. In particolare, l’alessitimia correla sia con problemi esternalizzanti che con problemi internalizzanti nel gruppo sperimentale, mentre nel gruppo di controllo correla solo con i secondi. Ciò conferma recenti dati di uno studio finlandese che ha indagato la relazione tra alessitimia, sintomi depressivi e problemi in un campione di 3936 adolescenti dai 13 ai 18 anni, che hanno compilato TAS-20, Beck Depression Inventory (BDI) e YSR 1118 durante le lezioni scolastiche. Indipendentemente dal sesso, i giovani alessitimici hanno riportato più problemi internalizzanti ed esternalizzanti degli altri. La TAS20 correlava significativamente con il punteggio del BDI, il punteggio totale dello YSR e con i problemi internalizzanti. Tali risultati suggeriscono che gli adolescenti alessitimici sono a maggior rischio di disordini mentali a tal proposito citiamo altre ricerche sull’alessitimia in adolescenza da cui sono emerse interessanti associazioni con disturbi del comportamento alimentare (Zonnevylle-Bender et al., 2002; 2004), tendenze dissociative (Sayar et al., 2005), depressione (Chinet et al., 1998; Honkalampi et al., 2009), disturbo post-traumatico da stress (Ledouc, 2002), problematiche comportamentali come la delinquenza (Zimmermann et al., 2006). La forte correlazione tra alessitimia e disturbi esternalizzanti, oltre che l’associazione tra alessitimia e sintomatologia psichiatrica (SCL-90-R), nei soggetti sperimentali del nostro studio, si potrebbe interpretare come deficit nell’elaborazione cognitiva delle emozioni riscontrabile in soggetti adolescenti alessitimici e con problemi che interessano il controllo degli impulsi, la sfera sociale e le modalità d’interazione interpersonale. Inoltre, ciò riporta all’idea che l’incapacità di modulare le emozioni per mezzo dell’elaborazione cognitiva genera nei soggetti alessitimici la tendenza a liberarsi da tensioni causate da stati emotivi non piacevoli mediante azione e comportamenti a scapito di modalità improntate alla riflessione e alla mentalizzazione (Grimaldi Di Terresena et al., 2010). Da tali studi emerge come l’alessitimia nell’adolescenza vada considerata come possibile fattore predisponente ad una patologia adolescenziale o adulta, come mediatore degli effetti di situazioni traumatiche, ma anche e soprattutto come indice evolutivo di sviluppo della capacità di regolazione affettiva (La Ferlita et al., 2007). 3) Verifica III Obiettivo: legami tra l’alessitimia del figlio e quella dei genitori Per quanto riguarda la presenza di alessitimia nel padre e nella madre, valutata attraverso lo strumento TAS-20, sono state prese in considerazione tre categorie principali: non alessitimici, borderline, alessitimici. Dai punteggi della TAS-20 Adulti emerge l’assenza di alessitimia in entrambi i genitori: in particolare il padre risulta non alessitimico nell’85% dei casi e borderline nel 15%; la madre rientra nella categoria non alessitimici nell’80% dei casi e in quella borderline nel 20%.


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M. GATTA - N. IMPOLLINO - L. DEL COL ET AL.

Riguardo ai punteggi della TAS-20 e ai Fattori interni allo strumento, le medie della scala Punteggio Totale della TAS-20 e quelle dei Fattori interni riportate dai genitori tendono ad essere simili. Per verificare se esistono legami tra l’alessitimia del figlio e quella dei genitori è stato utilizzato il coefficiente di correlazione r di Pearson. Rispetto al padre non è emerse alcuna relazione significativa con l’alessitimia del figlio; mentre sono stati trovati diversi legami significativi tra l’alessitimia della madre e quella del figlio. A tal proposito, riportiamo in Tabella 8 le correlazioni emerse dalla nostra analisi statistica.

TAS-20 tot

MD TAS-20 totale

Correlazione di Pearson Sig. (2-code)

MD F1:DIS

MD F2:DDS

MD F3:POE

Correlazione di Pearson

**

,581

,007 **

,686

Sig. (2-code)

,001

Correlazione di Pearson

F1:DIS

F2:DDS

F3:POE

,363

,392

,518

,115

,087

,019

*

,529

**

,655

*

,302

,016

,002

,196

,464

,251

,220

,552

Sig. (2-code)

,039

,286

,352

,012

Correlazione di Pearson

,062

-,025

-,063

,237

Sig. (2-code)

,796

,918

,793

,315

*

*

Tabella 8. * La correlazione è significativa a livello 0,05 (2-code). **La correlazione è significativa a livello 0,01 (2-code).

Come si evince dalla Tabella 8 esistono correlazioni positive tra alessitimia materna e del figlio, specie per quanto riguarda i punteggi totali e quelli relativi al I e II fattore. Alcuni studi della letteratura che hanno approfondito tale tematica, hanno evidenziato che la percezione da parte dei figli di scarso accudimento materno correla con la presenza di alessitimia in età adulta, specie con la capacità di descrivere i sentimenti (Fukunishi et al., 1997). Inoltre, l’alessitimia si associa con il non essersi sentiti emotivamente al sicuro durante l’infanzia e con l’aver avuto un ambiente familiare in cui non è permesso esprimere direttamente i propri sentimenti; livelli maggiori di alessitimia sono associati con livelli bassi di comunicazione positiva nella famiglia, come l’espressione di simpatia o di approvazione (Berenbaum e James, 1994). Di


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contro, Kench et al. (2000) e King et al. (2000) hanno dimostrato che la presenza di un ambiente familiare favorevole, caratterizzato da coesione, incoraggiamento all’indipendenza ed espressioni emotive, riduce il rischio di sviluppare caretteristiche alessitimiche. Uno studio olandese (Kooiman et al., 2004) ha evidenziato in un gruppo di pazienti psichiatrici ambulatoriali che un buon rapporto con uno dei due genitori aveva un effetto protettivo sul livello di alessitimia, a differenza di quanto accadeva in relazione ai sintomi psicopatologici. La relazione tra caratteristiche alessitimiche materne e filiali conferma inoltre l’ipotesi che le relazioni primarie influenzino i comportamenti precoci del bambino e abbiano un effetto a lungo termine sull’alessitimia e che è possibile ipotizzare una trasmissione transgenerazionale madre-figlio dell’alessitimia (Lumley et al., 1996; Fukunishi e Paris, 2001; Gatta et al., 2011). I nostri dati ci consentono di affermare che i soggetti alessitimici del campione hanno delle madri che riportano anch’esse una certa difficoltà nell’identificare e nel comunicare le emozioni, supportando l’ipotesi di una trasmissione transgenerazionale. Conclusioni Il presente studio ha evidenziato una prevalenza di alessitimia maggiore in soggetti adolescenti con disagio psichico rispetto a soggetti “sani” e differenti relazioni tra alessitimia e variabili di genere ed età in adolescenti psichiatrici rispetto a soggetti “sani” . Nonostante sia stato possibile rilevare un’associazione tra punteggi dell’alessitimia e punteggi relativi a problematiche internalizzanti (e totali) in entrambi i gruppi, nello specifico è stato interessante notare che il gruppo sperimentale presenta, a differenza del gruppo controllo, un’associazione tra alessitimia e problemi esternalizzanti, oltre che un associazione tra alessitimia e sintomatologia psichiatrica (SCL-90-R). L’evidenza di tali associazioni fornisce sostegno alla concezione di Taylor (Taylor et al., 1997) dell’alessitimia come dimensione psicologica “transnosografica” rispetto a patologie psichiatriche accomunate da disregolazione affettiva, la quale nell’adolescente spesso si manifesta come turba del comportamento. Dunque la psicopatologia ad espressione comportamentale potrebbe essere legata a caratteristiche alessitimiche, considerabili portanti nell’ambito della personalità in formazione dell’adolescente. In tal senso interventi miranti all’aumento della mentalizzazione e delle funzioni simboliche potrebbero risultare efficaci nel ridurre la componente alessitimica (in considerazione del fatto che l’alessitimia riconosce il suo nucleo essenziale nell’incapacità di elaborazione cognitiva degli affetti, ossia nella mancanza di mentalizzazione). Sarebbero auspicabili studi di outcome relativamente ad interventi simili, possibilmente di tipo longitudinale e con formula caso-controllo. In definitiva ci sembra di poter considerare l’alessitimia in età adolescenziale come possibile fattore predisponente ad una patologia adolescenziale o adulta, come mediatore degli effetti di situazioni traumatiche, ma anche e soprattutto come indice evolutivo di sviluppo della capacità di regolazione affettiva.


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Riassunto Il presente lavoro si propone di studiare la relazione fra alessitimia e problematiche psico-comportamentali, confrontando un gruppo di adolescenti psichiatrici (gruppo sperimentale) con un gruppo di soggetti “sani” (gruppo di controllo), tenendo conto delle variabili di genere ed età. Inoltre, si è voluta approfondire la relazione tra caratteristiche alessitimiche dei figli e dei genitori. Per il rilievo di alessitimia è stata utilizzata la Toronto Alexithymia Scale (TAS-20), per il rilievo di disordini emotivocomportamentali e di sintomatologia psichiatrica sono stati utilizzati rispettivamente il questionario Youth Self Report (YSR 11-18) e la scala Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90-R). I risultati evidenziano che l’alessitimia è maggiormente presente in soggetti adolescenti con disagio psichico rispetto a soggetti “sani”. Per quanto riguarda la variabile genere, mentre non si rilevano differenze tra maschi e femmine nel gruppo controllo, le ragazze del gruppo sperimentale presentano più frequentemente caratteristiche alessitimiche rispetto ai ragazzi. Relativamente alla variabile età, nel gruppo di controllo la presenza di caratteristiche alessitimiche tende a diminuire con l’aumentare dell’età e quindi con il miglioramento delle capacità cognitive, mentre nel gruppo sperimentale non vi è alcuna differenza, suggerendo che la presenza di psicopatologia potrebbe influenzare il movimento evolutivo nella capacità di elaborazione emotiva da una fascia d’età all’altra. Studiando la relazione tra alessitimia e problematiche emotivo-comportamentali emerge, nel gruppo sperimentale a differenza del gruppo controllo, un’associazione tra alessitimia e problemi esternalizzanti. Infine, a conferma di alcuni studi della letteratura, anche nel presente è emersa un’associazione significativa tra punteggi di alessitimia del figlio e punteggi di alessitimia della madre, piuttosto che del padre. Parole chiave Alessitimia – Psicopatologia – Adolescenza.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 568-583

Trattare e prevenire la psicopatologia dell’adolescenza. Specificità del Day Hospital Adolescenti Treating and preventing Adolescent Psychopathology. Adolescent Day Hospital specificity Gianluigi Monniello*, Giada Colafrancesco**, Chiara Pirisi***, Lauro Quadrana*

Summary Adolescence is an emotional and cognitive re-arrangment. This means adolescence is an important second chance, after early childhood, to safeguard Mental Health. Adolescent Day Hospital performs its therapeutic efficacy and validity facing Adolescence Psychopathology, in order to prevent hospitalization. Adolescent Day Hospital operating model consists of regular Psychotherapy to promote subjectivation and occupational/recreational therapy group experiences. Adolescent Day Hospital specificity comes from clinical and epidemiological evidences of widespread requests of intervention in the age range from early puberty (age 10-13) to young adulthood (18-19). In the last years, according to our data, Adolescent Day Hospital had a daily attendance of 13.9 teenagers and a annual attendance of about 3800. Half of the new cases have been diagnosed with Personality Disorders (45,63%), 16,6% had a diagnosis of Dissociative and Somatoform Anxiety Disorders, 7,32% had Adjustment Disorders, 6,76% had Behaviour Disorders. Prevalence among our sample of Personality Disorders, in particular Borderline Personality Disorders, Introvert Personality Disorders, Passive-aggressive Personality Disorders, upholds the specificity of the Service, making use of both Psychotherapy and occupational/recreation therapy, in managing and processing emotional dysregulation, impulse control/lack of control, relationship skills and at risk mental state. Key words Adolescence – Day Hospital – Psychotherapy – Hospitalization Prevention - Personality Disorders.

Recentemente è stato sottolineato il generale consenso scientifico sul fatto che l’origine delle malattie mentali dell’adulto vada rintracciata “nelle disfunzioni evolutive e biologiche che avvengono nel corso dei primi anni di vita” (Leckman, March, 2011). È pertanto necessario riflettere, ora, su come far buon uso di tali ulteriori acquisizioni per programmare interventi efficaci ai livelli individuali, familiari, sociali e culturali. * Dipartimento

di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma. di ricerca presso Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma. *** Laurea in Medicina. ** Dottoranda


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In particolare, per quanto riguarda l’adolescenza, nuovo passaggio evolutivo successivo alla pubertà, essa costituisce un periodo di ampliamento emotivo e cognitivo contrassegnato dall’incremento di sviluppo e di “potatura” delle connessioni neurali a livello prefrontale (Giedd, 2004). Tutto ciò rende l’adolescenza la seconda occasione a disposizione, dei soggetti in età evolutiva e di tutti coloro che si occupano ai diversi livelli della salute mentale, per intervenire a favore della salute mentale soprattutto offendo ambienti emotivi esterni adeguati e in grado di offrire valide alternative ai modelli operativi interni stabilitisi nella primissima infanzia. La stesura di questo lavoro nasce dall’esigenza di presentare, quale utile dispositivo di cura, il modello teorico e organizzativo del Day Hospital Adolescenti (HD), documentando, grazie ad alcuni dati raccolti, la sua efficacia terapeutica, la sua validità nel rispondere alla psicopatologia dell’adolescenza, e nel prevenire il ricorso al ricovero ospedaliero. La specificità dell’HD muove dall’evidenza epidemiologica e clinica della diffusa richiesta di interventi nella fascia d’età compresa fra l’inizio della pubertà (10-13) e l’età giovane adulta (18-19). I disturbi che si presentano in questa fascia d’età sono caratterizzati da una elevata varietà psicopatologica (disagio emozionale, problemi comportamentali o disturbo mentale). È in adolescenza, infatti, più che in ogni altra fase di vita che si pone, talvolta nettamente, la questione tra normalità e patologia. Lo sviluppo adolescenziale si caratterizza, in particolare nella fascia 12-16 anni, per impulsività, ricerca di sensazioni, comportamenti a rischio; attualmente, accanto alle ipotesi psicopatologiche legate alla difficile integrazione del corpo sessuato e al conflittuale distacco dalle figure genitoriali infantili, le neuroscienze pongono il focus della loro attenzione sul riconoscimento di facilitazioni o impedimenti al processo di “maturazione”, inteso come una chiara e definita riorganizzazione cerebrale in corso. L’evidenza clinica e recenti ricerche nel campo delle neuroscienze mostrano infatti come, nel corso dell’adolescenza, vulnerabilità individuale e fattori ambientali “stressanti” (condizioni di distress) possano interferire, in senso “patoplastico”, nel processo di trasformazione e organizzazione di personalità dell’adolescente. Tutto ciò predispone alla strutturazione di gravi disturbi psichici. Pertanto la nostra attenzione è rivolta espressamente ai rischi legati al protrarsi nel tempo delle manifestazioni cliniche dei Disturbi di Personalità, Depressivi e dell’Umore, Psicotici. Infatti la strutturazione di tali psicopatologie, in un’ottica di economia sanitaria, comporta un alto costo per la necessità di cure e frequenti ospedalizzazioni, ma soprattutto produce grave sofferenza, rischio individuale ed ambientale, essendo caratterizzata da devianze, comportamenti a rischio e distruttivi auto ed eterodiretti, gravi dipendenze, tentativi di suicidio. Notazioni sulla psicoterapia psicoanalitica dell’adolescenza L’adolescenza, secondo la visione psicodinamica, è il periodo di maggiore esposizione ai pericoli per la salute mentale, che essi provengano dalla realtà esterna, dalle pulsioni, dalla fragilità dell’Io in metamorfosi, o dalle pressioni di un Super-io arcaico (Novelletto, 2009). L’adolescenza è il tempo della grande recettività psichica


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tanto quanto lo stato di hilflosigkeit infantile, ma è anche l’età delle opportunità. È il momento culminante delle proprie possibilità e dunque della creatività. La specificità dell’adolescenza sta nel fatto che l’insieme dei processi psichici si riattualizza, riorganizzando il funzionamento mentale. Tale riattualizzazione è stata espressa da diversi Autori, di impostazione psicoanalitica, in vario modo: riedizione dell’edipo ( Jones), seconda individuazione (Blos), considerazione dell’identificazione primaria (Aulagnier), interrogativi ansiosi sul nucleo della propria personalità (Kestemberg). La posta in gioco è l’acquisizione del sicuro convincimento della vitalità globale dell’essere e dell’esistenza dell’inconscio, nonché l’introiezione pulsionale nell’Io. In particolare, si riattualizzano le tracce dei vissuti originari, che tornano ad essere profondamente attuali al momento della comparsa della potenzialità orgasmica. Una problematica centrale dell’adolescenza è infatti quella implicata nell’introiezione di tale potenzialità e nella rappresentazione dell’affetto che la caratterizza. Tale introiezione suppone la possibilità o meno di far scomparire, almeno per un momento, i confini del proprio corpo e di sé. Il riferimento è alla cosiddetta “piccola morte” dell’orgasmo, che costituisce una netta e profonda esperienza di discontinuità vissuta dal soggetto, dopo la sua pubertà (Monniello, 2012). L’adolescente è perciò chiamato a verificare la propria capacità o incapacità di integrare e rappresentare nuove immagini di sé, trasformate dall’evento puberale. Si tratta di momenti dello sviluppo nei quali vanno accantonati i funzionamenti acquisiti fino a quel momento, per assumerne di nuovi, riconoscendosi al contempo agenti di quei funzionamenti. In questi passaggi è in primo piano l’angoscia di integrazione (Gaddini, 1983). Pertanto è la possibilità o meno di riconoscere ed elaborare i vissuti d’integrazione a rappresentare la principale posta in gioco. Tali vissuti mettono a dura prova le basi narcisistiche del soggetto, cioè il precipitato a livello psichico delle relazioni precoci con il caregiver ( Jeammet, 1999). La qualità del legame con la figura di accudimento e la cosiddetta identificazione primaria sono in primo piano e hanno bisogno di coesistere con la nuova immagine di sé. La percezione interna dell’incapacità di affrontare le trasformazioni degli investimenti su di sé (narcisistici) e sull’altro (oggettuali), quando fa la sua comparsa, determina la psicopatologia. Il soggetto è continuamente invaso, posseduto dall’oggetto (troppo seduttivo e/o troppo abbandonico). Tutto ciò anche perché l’oggetto non ha potuto fornire a sufficienza la funzione di schermo antistimolo per la costruzione di una funzione contenitiva interna. In altre parole, il funzionamento psichico dell’oggetto primario e di accudimento è caduto sull’Io del soggetto. Dal punto di vista psicodinamico, in questi casi, sono in primo piano le aree di indifferenziazione fra sé e l’altro e i tentativi di differenziarsi sono per lo più distruttivi. Inoltre, il soggetto non dispone di una propria funzione contenitiva che gli permetta di essere l’agente capace di gestire i processi di soggettivazione (Cahn, 2010) e di differenziazione e quindi, unitamente, di determinare il proprio destino. Senza una propria funzione contenitiva entro la quale la vita psichica possa svolgersi, l’oggetto/ altro/psicoanalista non può che essere tenuto a distanza, immobilizzato.


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L’incontro clinico con l’adolescente Come avvicinare allora l’adolescente, incuriosirlo al suo funzionamento psichico, alla complessità e alla potenzialità della creazione di sé? Ciò che è particolarmente importante nell’incontro psicoterapeutico con l’adolescente, è che proprio nel momento in cui tutta la storia personale, familiare, transgenerazionale del soggetto fa sentire la sua presenza e si attualizza, l’adolescente possa “illudersi sufficientemente” di guardare al proprio futuro, di disporre appieno del proprio potenziale di crescita. Si tratta di far durare, per un tempo sufficiente, la sua illusione pubertaria, così da poter sperimentare una certa discontinuità con l’infantile, perché la sua originalità psicosessuale sia assunta. Tuttavia l’acquisizione della differenziazione dall’oggetto primario, dal sé infantile e dall’oggetto edipico coesiste stabilmente accanto alla costante presenza dell’infantile e dello stato di indifferenziazione originaria. Non si tratta quindi di “abbandonare” l’infanzia, ingiunzione che induce a non farlo mai, ma di incuriosirsi, aggiungere, vivere l’esperienza di nuovi funzionamenti e nuove immagini di sé. Alla luce di questi brevi riferimenti teorici, quali sono, allora, le specificità dell’incontro clinico con l’adolescente? Il primo incontro tra adolescente e psicoterapeuta (Monniello, 2012) propone, al contempo, la messa in gioco della preistoria (l’arcaico), della storia (l’infantile), delle vicissitudini del pubertario (l’adolescenziale) e dell’attuale, nonché la messa alla prova, per la persona del terapeuta, della propria disponibilità a sorprendersi (riscoperta della psicoanalisi) per la rilevanza che l’ambiente esterno umano (nuovo oggetto) e culturale (ambiente esterno e presenza dei coetanei) hanno sul costruirsi della vita psichica nel corso di tutta l’esistenza ma, in particolare, nella primissima infanzia e nella prima adolescenza. L’incontro si configura, peraltro, come una sfida, una posta in gioco, perché non è facile incontrare chi, almeno apparentemente, non desidera affatto essere avvicinato, chi, piuttosto e implicitamente, si aspetta di essere cercato o indovinato, chi pretende, per lo più, di cavarsela da solo, senza aver ancora acquisito la “capacità di essere solo”. Ci sembra utile distinguere, schematicamente, quattro periodi referenziali e le loro peculiari problematiche psichiche, fin dal primo incontro con l’adolescente: l’arcaico, tempo della costruzione della relazione Io/non Io (arché, tempo delle origini); l’infantile che vede il dispiegarsi della questione della differenza dei sessi e delle generazioni (complesso edipico); l’adolescenza che si organizza intorno alla questione sessualità infantile e sessualità adulta (potenzialità orgasmica); l’attuale, caratterizzato dalle suddette problematiche e dal loro articolarsi nelle diverse possibili espressioni. Tutto ciò significa optare o semplicemente affermare uno stile di contatto che consideri accanto all’ascolto analitico delle specificità della fase evolutiva, alla costruzione graduale del setting, alla considerazione dell’alleanza terapeutica con i genitori (importanza dei genitori reali in adolescenza quali nuovi modelli che si affiancano


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agli oggetti interni genitoriali) anche l’uso del controtransfert in senso ampio1 ma soprattutto dell’autoanalisi da parte dell’analista, in riferimento alla propria adolescenza. La violenza dell’interpretazione, infatti, può configurarsi facilmente in vissuti di passivizzazione, anziché mobilitare le funzioni dell’Io o rendere consce le fantasie inconsce sottostanti. Piuttosto è il riconoscimento e la nominazione della presenza, accanto alla sofferenza psichica, di una segreta visione di se stessi, di propri funzionamenti, o anche il rafforzamento dell’immagine di sé quale agente del proprio funzionamento a permettere all’adolescente di investire sull’incontro e, con il tempo, di prendere contatto con i propri limiti e la propria quota di impotenza, quali antidoti alle pretese dell’onnipotenza infantile. Il transfert, poi, è in gioco in tutta la sua ricchezza e complessità anche se la narratività indirizzata del transfert è tutta da costruire. Non tanto nevrosi di transfert, ricapitolazione difficile se non impossibile della nevrosi infantile, come aveva fortemente sostenuto Anna Freud, ma piuttosto transfert delle origini, transfert dell’identificazione all’oggetto primario. Così l’esperienza clinica ci ha portato ad attribuire, fin dal primo incontro, particolare peso specifico alla presenza di una identificazione primaria con l’imago materna, spesso vissuta solo in termini estremi. Da una parte tale imago rappresenta una figura onnipotente, protettiva e sacra; dall’altra può personificare una figura vulnerabile e patetica che può anche essere dominante, tirannica, rancorosa e implacabile. Del resto sono proprio i transfert narcisistici (speculari, idealizzanti, gemellari) e le loro risonanze controtransferali ad essere la principale moneta da spendere nei primi incontri con l’adolescente e anche oltre. Il principio di piacere e la ricerca dell’oggetto di soddisfazione sono subito in primo piano, con l’evidente rischio di incappare in nuove cocenti delusioni. L’adolescente vive nel transfert e ne intuisce la forza pervasiva; percepisce di essere abitato dall’altro ma scorge anche la propria creativa originalità. Grande influenza dell’altro, dunque, ma anche rischio di “essere nell’altro”, perdendo la propria promessa di identità nel momento in cui viene assunta quella dell’altro. Così il modello psicoanalitico trova nel lavoro con gli adolescenti la sua forma più specifica in quanto esperienza e elaborazione interpretativa della ripetizione agita nel transfert. Il passato può essere ipotizzato ma soprattutto ritorna naturalmente, liberando il suo potenziale, così da prevenire destini semplicemente già scritti, dipendenze patologiche dall’oggetto e dall’ambiente esterno che mortificano l’intrapsichico e il processo di costruzione di un “auto-apparato” (costruzione degli autoerotismi in assenza dell’oggetto, attraverso la sua evocazione allucinatoria piacevole; possibilità di vivere a sufficienza, nelle fasi precocissime dello sviluppo, l’esperienza dell’informe descritta da Winnicott (1971). Il primo incontro analitico con l’adolescente può trarre vantaggio, allora da interventi che distinguano tra apporti alla capacità di entrare in contatto con l’oggetto e apporti al ri-avvio dei processi intrapsichici. 1

Parlando di controtransfert in senso ampio ci riferiamo in particolare a quanto scrive Green (1974): “La risposta attraverso il controtransfert è quella che avrebbe dovuto aver luogo da parte dell’oggetto” (p. 92).


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Ovviamente l’attenzione a tale distinzione persegue l’obiettivo di assumere la giusta distanza/vicinanza nell’immediatezza dello scambio, consapevoli che tali dinamiche non possono che articolarsi reciprocamente e coesistere. Gli apporti alla capacità di entrare in contatto con l’oggetto (l’altro) consistono nella costruzione di una intimità duale dove possano operare il rispecchiamento, la risonanza, la co-creazione di immagini, figurazioni e narrazioni comuni. Le interpretazioni vanno evitate e l’analista non si propone come “supposto sapere”. Gli apporti al ri-avvio dei processi intrapsichici hanno quale obiettivo, invece, quello di avviare l’azione autoregolativa, e interessano l’intrapsichico e il processo di costruzione di un “auto-apparato” in grado di favorire l’appropriazione soggettiva delle esperienze. Essi facilitano il re-investimento su di sé a partire dal riconoscimento condiviso che ciascuno di noi dipende dal contesto psichico che ci ha concepito e fatto nascere. Essi considerano il tempo necessario per re-investire, tempo autogenerativo successivo agli scambi con gli altri. Volendo poi esprimere con una formula la posizione ottimale del terapeuta con il paziente adolescente potremmo dire che si tratta di essere più vicini a se stessi in presenza dell’adolescente e della propria adolescenza. Organizzazione del dispositivo di cura Tutto ciò impone strategie e interventi centrati sulla prevenzione e sulla promozione della salute mentale. Essenziale sarà allora riconoscere i segni di una psicopatologia in fieri, così da fornire all’adolescente una presa in carico e un intervento centrati sull’ascolto psicodinamico e sull’offerta specifica di una funzione contenitiva, entro la quale il rafforzamento del funzionamento psichico e il dispiegarsi delle potenzialità possano svolgersi. Alla luce di tali considerazioni diviene imprescindibile sottolineare il ruolo delle istituzioni, con particolare riferimento all’istituzione Scuola, nel segnalare iniziali segni di un possibile disagio emozionale. Ad esempio, le alterazioni della condotta o le distrazioni protratte in classe, possono essere l’inizio di più conclamati disturbi del comportamento, di un progressivo disinvestimento scolastico o del ritiro sociale. Inoltre tali condotte possono fissare l’adolescente in risposte ripetitive, che favoriscono la costruzione di una identità negativa, e lo stabilizzarsi di comportamenti devianti. La possibilità di effettuare una osservazione allargata con l’apporto di tutti coloro che sono in contatto con l’adolescente garantisce una lettura maggiormente corretta ed affidabile di fenomeni sfumati e getta le basi per un’eventuale, successiva più efficace presa in carico. La clinica mette in evidenza, infatti, come l’adolescente risulti particolarmente sensibile agli apporti facilitanti dell’ambiente e degli oggetti esterni ma, al contempo come, per lui, la relazione con l’altro possa costituire una minaccia per il suo fragile equilibrio narcisistico. Così all’iniziale turbamento per i cambiamenti fisiologici, corporei e cognitivi, può far seguito la comparsa di forme di dipendenza psicopatologica da persone, ambienti e sostanze. Il principale obiettivo terapeutico dell’HD è quello di rafforzare le basi narcisistiche e sviluppare l’investimento su di sé, per prevenire e scongiurare il passaggio da or-


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ganizzazione a Disturbo di Personalità e dalla depressione maturativa alla Depressione Maggiore o Disturbo dell’umore, soprattutto in gioco nel corso dell’adolescenza. È proprio in questo periodo dello sviluppo che l’assetto difensivo, fino ad allora mantenuto, può venir meno e produrre tentativi di riequilibrio, che per lo più si manifestano sotto forma di disturbi del comportamento. Tali tentativi intimano la mobilitazione di un ambiente facilitante esterno in grado di andare incontro a quanto non vissuto sufficientemente in precedenza e che hanno influenzato e limitato il processo di soggettualizzazione. Il modello operativo prevede regolari colloqui psicoterapeutici tesi a rafforzare l’autosoggettivazione, insieme ad esperienze gruppali di terapia ricreazionale e occupazionale, tali da fornire opportunità di rispecchiamento e confronto con i pari, grazie alla presenza di personale specializzato, attento a mediare e modulare le difficoltà relazionali. Il percorso terapeutico prevede la valutazione psicodiagnostica dell’adolescente e dei suoi genitori, la psicoterapia individuale e di gruppo, il trattamento farmacologico, terapia occupazionale, ricreazionale e educazionale in gruppo. Le valutazioni psicodiagnostiche vengono effettuate attraverso colloqui clinici e somministrazioni di test psicometrici, di personalità, proiettivi, cognitivi, ed eventuali approfondimenti neurofisiologici. Il numero e la frequenza settimanale delle presenze in HD non è prestabilito, ma si adatta necessariamente alla specificità e alla complessità del singolo caso. L’HD ha avviato la sua attività in forma sperimentale nel settembre 1997. Ha iniziato a funzionare a tempo pieno dal gennaio 1998. Le osservazioni in HD vengono richieste autonomamente dalla famiglia, da specialisti e dai servizi territoriali. Dal settembre 1997 al dicembre 2011 il numero di nuovi casi è stato di 2.488, l’età media dei soggetti di 14,9 anni, con un rapporto tra maschi e femmine di 3:1.

Grafico 1. Media presenze diurno (1997-2011) 4500 4000 3500 3000 2500 2000 1500 1000 500 0

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011


TRATTARE E PREVENIRE LA PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENZA

575

Dai dati in nostro possesso è possibile affermare che negli ultimi anni l’HD ha visto la presenza quotidiana media di 13.9 adolescenti e il numero delle presenze complessive per anno è stato in media, di 3800. Riferendosi a tutto l’arco temporale (1997-2011), i casi che hanno interrotto arbitrariamente l’osservazione psicodiagnostica dopo il 1° giorno di ricovero in HD sono stati 425, ossia il 22% dei soggetti. I restanti 2063 soggetti hanno iniziato la valutazione. La media dei giorni di presenza è di 23,58. I DRG sono suddivisibili in due gruppi: Funzionamenti psicotici (gruppo B) e Disturbi della Personalità, del controllo degli impulsi, Disturbi Mentali dell’Infanzia, Reazione acuta di Adattamento e la disfunzione psicosociale (gruppo C). Al termine della valutazione psicodiagnostica, più o meno prolungata, è stato effettuato un invio concordato per psicoterapia esterna nel 7,76%, e nel 28% un invio o ri-invio ai servizi Territoriali (ASL, case famiglia, ecc). L’8% del totale dei casi trattati ha necessitato di uno o più ricoveri presso il Reparto Degenze II del nostro Dipartimento, di questi il 65% presentava un funzionamento psicotico (gruppo B), il restante 34,5% un disturbo ascrivibile al gruppo C. La relativa scarsa entità di quest’ultimo dato (l’8% del totale dei casi trattati) sottolinea la rilevanza terapeutica dell’HD nel calmierare sensibilmente il ricorso al ricovero ordinario in una casistica destinata notoriamente a questo tipo di presa in carico, maggiormente oneroso. In particolare soffermandoci sull’elaborazione dei dati relativi ai nuovi casi del 2010-2011, 355 pazienti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni, è possibile un’analisi più accurata e sensibile sul ruolo dell’offerta psicoterapeutica a sostegno del funzionamento della mente adolescente e della prevenzione di scompensi più protratti nel tempo. Sono proprio tali condizioni a rendere imprescindibile il ricovero data la gravità e la progressiva cronicizzazione dei disturbi psicopatologici. I dati, inoltre, mettono in evidenza come la metà dei nuovi casi, il 45,63%, ha ricevuto una diagnosi principale di Disturbo di Personalità, il 16,06 di Disturbo d’ansia dissociativo o somatoforme, il 7,32% di Reazione d’adattamento, il 6,76% di Disturbo della Condotta, le restanti diagnosi si distribuiscono secondo le percentuali riportate in tabella.


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Grafico 2.

%

Frequenze

Disturbi di personalità

Blocchi Diagnostici

45,63

162

Disturbi d’ansia

10,06

57

Reazioni d’adattamento

7,32

26

Disturbo della condotta, non classificato altrove

6,76

24

Disturbo delle emozioni specifico dell’infanzia e dell’adolescenza

6,76

24

Sintomi e sindromi speciali, non classificati altrove

4,23

15

Disturbi episodici dell’umore

3,94

14

Psicosi schizofreniche

2,54

9

Reazione acuta allo stress

1,69

6

Ritardi specifici dello sviluppo

1,69

6

Altre psicosi non organiche

0,85

3

Disturbi pervasivi dello sviluppo

0,85

3

Sindrome ipercinetica dell’infanzia

0,56

2

Disturbi sessuali e d’identità di genere

0,28

1

Disturbi depressivi

0,28

1

Epilessie e crisi ricorrenti

0,28

1

Altri problemi psicosociali

0,28

1


577

TRATTARE E PREVENIRE LA PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENZA

Categorie disturbi di personalità

M

F

TOT

personalità introversa

21

11

32

disturbo di personalità borderline

11

19

30

personalità passivo-aggressiva

9

7

16

disturbo di personalità dipendente

9

4

13

disturbo di personalità narcisistica

6

7

13

disturbo di personalità schizoide, non specificato

8

4

12

disturbo di personalità ossessivo-compulsivo

10

2

12

disturbo di personalità istrionico, non specificato

2

6

8

disturbo di personalità evitante

4

4

8

disturbo di personalità schizotipica

4

2

6

disturbo di personalità affettivo, non specificato

2

2

4

altro disturbo di personalità istrionico

0

3

3

disturbo di personalità paranoide

1

1

2

disturbo di personalità esplosivo

0

1

1

disturbo di personalità antisociale

1

0

1

disturbo di personalità non specificato

0

1

1


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G. MONNIELLO - G. COLAFRANCESCO ET AL.

Categorie d’ansia, dissociativi e somatoformi

M

F

TOT

stato ansioso non specificato

9

4

13

disturbo ansioso generalizzato

6

6

12

disturbo di panico senza agorafobia

2

7

9

disturbi ossessivo-compulsivi

4

2

6

altri

2

3

5

isteria non specificata

0

5

5

agorafobia con disturbo di panico

1

2

3

disturbo di somatizzazione

1

1

2

disturbo da conversione

0

1

1

disturbo o reazione dissociativa non specificata

1

0

1


579

TRATTARE E PREVENIRE LA PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENZA

Categorie reazioni di adattamento

M

F

TOT

Disturbo dell’emancipazione dell’adolescenza e della prima vita adulta

5

3

8

Disturbo dell’adattamento con disturbi mist dell’emotività e della condotta

2

3

5

Disturbo dell’adattamento con umore depresso

4

0

4

Reazione depressiva prolungata

0

3

3

Disturbo dell’adattamento con disturbi della condotta

1

1

2

Sindrome ansiosa da separazione

1

0

1

Disturbo dell’adattamento con ansia

0

1

1

Disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso

0

1

1

Disturbo post traumatico da stress

1

0

1


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G. MONNIELLO - G. COLAFRANCESCO ET AL.


581

TRATTARE E PREVENIRE LA PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENZA

Distribuzione di frequenze per età Età

Disturbi d’ansia, dissociativi e somatoformi

Disturbi di personalità

Reazioni di adattamento

11

1

0

0

12

2

3

0

13

5

13

2

14

11

27

5

15

9

24

6

16

15

31

6

17

11

46

4

18

3

18

2

La prevalenza all’interno della nostra casistica, di Disturbi di Personalità, ed in particolare di Disturbo Borderline di personalità, Personalità introversa, Disturbo di Personalità passivo-aggressivo, conferma la specificità dell’intervento in HD, sia di tipo psicoterapeutico che occupazionale/educativo, nella gestione ed elaborazione della disregolazione emotiva, del controllo/discontrollo degli impulsi, della vita relazionale e degli stati mentali a rischio. La disfunzione in una o più di queste aree, che può presentarsi con modalità e tempi improvvisi ed acuti o essere l’evoluzione di altri quadri clinici, è infatti frequente motivo di segnalazione ed invio. Alla stessa maniera la sintomatologia manifestata dagli adolescenti affetti da Disturbo della Condotta, o da Disturbi d’ansia, esordisce e rappresenta motivo di segnalazione, quando da un lato l’aggressività o i comportamenti devianti e dall’altro l’evitamento o il ritiro sociale, esordiscono determinando una “rottura nel percorso di sviluppo dell’adolescente”. I disturbi dell’umore, gli esordi psicotici, le reazioni paranoide e acute e le psicosi schizofreniche sono diagnosi rappresentate in percentuale nettamente minore, apparentemente perche necessitano di interventi terapeutici attuabili in ambienti protetti, come il reparto di degenza. I quadri descritti ed in particolare i Disturbi di Personalità sembrano distribuirsi in maniera relativamente uniforme nella fascia d’età compresa tra i 14 ed i 18 anni, con un picco tra i 16 ed i 17 anni; i disturbi della condotta si distribuiscono, altresì, nel nostro campione con due picchi uno ai 14 ed uno ai 17 anni. Sembra quindi che il comportamento dirompente, aggressivo, e violento costituisca un motivo di segnalazione ed una richiesta di valutazione, più precoce rispetto alla sintomatologia più eterogenea, spesso meno dirompente, ma non meno grave e rischiosa, che caratterizza i Disturbi di Personalità. Basti pensare ai comportamenti autolesivi e dipendenti, presentata da tali soggetti o da quelli affetti da disturbi di personalità o da disturbi d’ansia dissociativi e somatoformi, spesso specchio di stati mentali a forte rischio. Tali considerazioni possono essere uno spunto di riflessione sulla difficoltà di individuare i segni precoci della psicopatologia da parte della famiglia e delle altre istituzioni,


582

G. MONNIELLO - G. COLAFRANCESCO ET AL.

sulla carenza delle risorse terapeutiche, ma anche e soprattutto per la mancanza di definizioni chiare sulle indicazioni alla psicoterapia in età evolutiva. Dai dati a nostra disposizione, facendo riferimento agli ultimi due anni (2010-2011), è possibile ipotizzare, con buona approssimazione, che la percentuale dei casi trattati in HD che ha necessitato del ricovero ospedaliero, sia circa l’8%. L’esperienza di tutti questi anni di attività ci ha suggerito di organizzare il lavoro clinico in HD secondo queste tre proposte prevalenti: • 2-4 mesi: fino a 10 presenze con prevalente finalità psicodiagnostica (valutazione psicodiagnostica con definizione di un progetto di intervento). • 4-12 mesi: fino a 40 presenze con prevalente finalità psicoterapeutica (psicoterapia dinamica a breve termine con riconoscimento condiviso della fragilità delle basi narcisistiche). • 12-36 mesi: fino a 180 presenze con prevalente finalità di trattamento terapeutico (psicoterapia dinamica a medio termine con consolidamento e ampliamento del funzionamento mentale dell’adolescente). Al termine della presa in carico presso l’HD si definisce il progetto successivo che può includere la conclusione della stessa, la prosecuzione di colloqui presso il nostro Servizio, la proposta di una psicoterapia psicoanalitica individuale esterna, la segnalazione/invio ai servizi TSMREE, o il passaggio a CSM, per i soggetti che hanno ampiamente superato il limite di età dei 18 anni. Le diverse forme di presa in carico presso l’HD hanno come chiara finalità la cura e la prevenzione con l’obiettivo di limitare il persistere, l’aggravamento e la cronicizzazione della grave psicopatologia dell’adolescenza, che inevitabilmente comporta il passaggio alle strutture dei CSM, o come già segnalato il ricorso al ricovero ospedaliero. In tale ottica segnaliamo come l’HD necessiti un significativo ampliamento delle sue diverse offerte di presa in carico, grazie al potenziamento della componente della Psicoterapia (Levi, 2006) rispetto alle forze attuali. Riassunto L’adolescenza costituisce un periodo di rimaneggiamento emotivo e cognitivo. Tutto ciò rende l’adolescenza la seconda occasione, dopo la prima infanzia, per intervenire nella tutela della salute psichica. Il Day Hospital Adolescenti esplica la sua efficacia terapeutica e la sua validità nel rispondere alla psicopatologia dell’adolescenza, prevenendo il ricorso a periodi di ricovero ospedaliero. Il modello operativo dell’HD prevede regolari colloqui psicoterapeutici tesi a rafforzare l’autosoggettivazione, insieme ad esperienze gruppali di terapia ricreazionale e occupazionale. La specificità dell’HD muove dall’evidenza epidemiologica e clinica della diffusa richiesta di interventi nella fascia d’età compresa fra l’inizio della pubertà (10-13) e l’età giovane adulta (18-19). Dai dati sinora in nostro possesso negli ultimi anni l’HD ha visto la presenza quotidiana media di 13.9 adolescenti e il numero delle presenze complessive per anno si attesta sulla media di circa 3800. La metà dei nuovi casi, il 45,63%, ha ricevuto una diagnosi principale di Disturbo di Personalità, il 16,06 di Disturbo d’ansia dissociativo o somatoforme, il 7,32% di rea-


TRATTARE E PREVENIRE LA PSICOPATOLOGIA DELL’ADOLESCENZA

583

zione d’adattamento, il 6,76% di Disturbo della Condotta. La prevalenza all’interno della nostra casistica di Disturbi di Personalità, ed in particolare di Disturbo Borderline di Personalità, Personalità introversa, Disturbo di Personalità passivo-aggressivo, conferma la specificità del lavoro in HD, sia di tipo psicoterapeutico che occupazionale/educativo, nella gestione ed elaborazione della disregolazione emotiva, del controllo/discontrollo degli impulsi, della vita relazionale e degli stati mentali a rischio. Parole chiave Adolescenza – Day Hospital – Psicoterapia – Prevenzione Ricovero – Disturbi di Personalità.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 584-606

Percorso diagnostico terapeutico nello Scompenso psichico adolescenziale: riferimenti teorico-clinici e strumenti di valutazione Adolescent breakdown: study of personality functioning with SWAP-200-A Maria Grazia Martinetti*°, Michela Baratti*, Paolo Dirindelli*, Elisabetta Innocenti*, Maria Cristina Stefanini**, Maria Rita Troiani*, Michela Caselli*

Summary Objective: To evaluate possibility in inpatients of a dimensional diagnostic and therapeutic process in the acute phase of adolescent breakdown using MCA axis of the Psychodynamic Diagnostic Manual and the SWAP-200-A. Method: 20 adolescent presenting with breakdown subjected to the treatment protocol of Neuropsychiatry of Childhood and Adolescence of Careggi University Hospital of Florence, assessed at admission and after 6 months with categorical (DSM-IV-TR) and dimensional (Axis MCA PDM) instruments. Assessment of personality and global functioning (SWAP-200-A, HoNOSCA and C-GAS respectively) was performed. Results: There is a significant impairment in personality functioning at admission (T0): mean T-Score 33.57 ± 6.7. Slight improvement at 6 months (T1): T-Score score 38.47 ± 9.42. Breakdown seem to affect mostly emotional and relational functioning (Q factors Emotional Dysregulation and Inhibited Self-critical). There is a significant correlation between the scores of global functioning (C-GAS and HoNOSCA) and personality functioning (SWAP-200-A) both T0 and T1 (0.65 and 0.59 at t0, p <. 01, 0.53 and 0.63 at T1, p <.01 respectively). Conclusions: The use of clinical instruments based on the reflective function of the clinician, allows to observe some changes otherwise not noticeable. The SWAP-200-A showed good sensibility. It allows to integrate and confirm the clinical point of view encouraging the discussion within therapeutic group. Analysis at 6 months showed slight changes, in particular an overall improvement in subjective symptoms and in adaptive behaviours (assessed with CGAS and HoNOSCA). At the same time we observed changes in the dimensions of MCA Axis of PDM. According to this data, in adolescent breakdown, it’s important to use an integrated and

* SODc

di Neuropsichiatria Infantile Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, Firenze. Ricercatore Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino - Università degli Studi di Firenze. ° Professore Associato Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino - Università degli Studi di Firenze. **


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

585

intensive multidimensional intervention by early hospitalization with the aim of interrupting the vicious circles that maintain pathologic functioning. Key words Adolescent breakdown – Multidimensional intervention – Assessment functioning of personality – SWAP-200-A.

Introduzione Questo lavoro raccoglie l’esperienza di intervento specialistico ospedaliero, multidisciplinare integrato, nei casi di breakdown adolescenziale svolto presso la Struttura Dipartimentale di Neuropsichiatria Infantile1 di Firenze. Il gruppo di lavoro (Martinetti et al., 2010), nel complesso quadro nazionale dell’intervento terapeutico in queste situazioni (Carratelli et al., 1998; Monniello, 2004, 2005; Neri et al., 1999; Pavan, 2002; Perakis e Condini, 2003; Rigon e Costa, 1998, 2004), da anni sta consolidando, nell’ambito di una formazione e aggiornamento continuativi, una metodologia di intervento specifica dell’acuzie e dell’esordio dello scompenso psichico. Il percorso individuato sottende un approccio terapeutico trasversale nelle diverse manifestazioni sintomatiche dello scompenso psichico calato in un assetto organizzativo di rete tra Struttura Ospedaliera e Servizi Territoriali, all’interno di possibili differenziazioni di risposta che rendano flessibili i percorsi di ciascun ragazzo e della famiglia, pur dentro una coerenza e continuità dell’intervento nei differenti contesti di cura che il percorso individuale rende necessari (Martinetti et al., 2010). La presente riflessione verte sui possibili strumenti teorico-clinici che possano guidare e avvalorare il percorso diagnostico terapeutico, orientando il clinico (o meglio il gruppo degli operatori coinvolti) nel progetto terapeutico, ma, soprattutto, sostengano la capacità di sintonizzarsi con quei processi di cambiamento che appaiono a volte virtuali, ma che consentono la comprensione clinica dimensionale e la formulazione del progetto terapeutico integrando la diagnosi nosografica (Ammaniti e Fontana, 2009; Lingiardi, 2009; Rigon e Costa, 2004). Nel breakdown adolescenziale vengono messi in gioco importanti processi maturazionali che a loro volta incidono in diversi tipi di patologia adolescenziale. Tali processi, ampiamente studiati anche dal punto di vista delle neuroscienze e del neurosviluppo, indicano come nel cervello adolescente avvengano processi trasformativi in un tempo relativamente breve e come le diverse componenti cerebrali in trasformazione si sviluppino seguendo tabelle di marcia differenti (Monniello e Quadrana, 2010) che coinvolgono la rete di connessioni sinaptiche, esperienza-dipendenti. La riorganizzazione della mente adolescenziale comporta nuove capacità cognitive e di astrazione: modalità sequenziali di tipo adulto circa i sentimenti e le motivazioni di sé e dell’altro; il modo di reagire a situazioni emotive; una forte riorganizzazione del sé; una particolare ipersensibilità agli stati mentali propri e altrui che può determinare un’attivazione eccessiva, a volte disorganizzante (Fonagy e Target, 2002; Laufer e 1 DAI di Neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Dipartimento Universitario di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell’Università di Medicina e Chirurgia di Firenze.


586

M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

Laufer, 1984). Aspetti che vertono attorno al concetto di competenza mentalizzante (Allen e Fonagy, 2006), forma di conoscenza emotiva che permette l’attribuzione di stati mentali alle azioni degli altri e alle proprie e di percepire in modo immaginativo e interpretare il comportamento come connesso con stati mentali intenzionali. Questa competenza, che ha la propria “culla” nelle relazioni di attaccamento, permane come modalità di funzionamento prevalentemente interattiva che crea un ponte fra l’esperienza interna e la realtà interpersonale, sensibile alla variabilità e ricchezza delle esperienze relazionali. In una prospettiva psicologica, neurobiologica e psicosociale i processi adolescenziali in gioco spostano gli equilibri precedenti fra resilienza e vulnerabilità individuale e possono costituire un’area di criticità, potenziale fattore di rischio di scompenso psichico; d’altronde l’esperienza stessa di scompenso può rafforzare la resilienza ma anche comportare una strutturazione di aree di vulnerabilità (scarring: fenomeno che individua quanto importanti esperienze di psicopatologia alterino la personalità in fieri dell’adolescente in modo persistente). Possiamo allora intravedere la strutturazione di profili di personalità patologica (Ammaniti e Fontana, 2009; Kernberg, 1984; Lingiardi, 2009; Lingiardi e Codazzi, 2009; Romani e Levi, 2009; Westen, Gabbard, Blagov, 2006). Circa un terzo degli adolescenti sperimenta una adolescenza tumultuosa, segnata da una sofferenza psichica pervasiva, dove affiorano problematiche identitarie, difficoltà relazionali, tempeste emotive, regressione nelle capacità adattive e difficoltà nel far fronte alle richieste e alle nuove situazioni; ne conseguono disadattamento, conflitti con i genitori e attacco ai loro valori, comportamenti impulsivi e autolesivi, e un interrogarsi spaventato attorno alla stima di sé, al proprio valore e alla propria capacità (Bleiberg, Rossouw, Fonagy, 2012). Come da più parti sottolineato si conferma un incremento significativo in adolescenza di disturbi psichiatrici: un adolescente su 5 presenta seri problemi psichici sia di tipo internalizzante che esternalizzante (depressione, abuso di droghe, disturbi alimentari, disturbi psicotici, disturbi di personalità) (Levi, 2009); si calcola inoltre che circa il 10% circa dei ricoveri per problematiche psichiatriche in età evolutiva abbia carattere di emergenza-urgenza (Calderoni et al., 2008). Secondo alcuni studi (Kim-Cohen et al., 2003) questi disturbi persistono nell’età adulta. Come sottolineato da Bleiberg, Rossouw e Fonagy (2012) è necessario differenziare fra adolescenti che sperimentano scompensi emozionali e adattivi che li conducono alla fine “fuori dal bosco”2 e che mostrano un funzionamento a volte eccezionalmente buono nell’età adulta (Hauser et al., 2006), da quelli per cui lo scompenso adolescenziale è premonitore di persistente disagio e disadattamento per lo strutturarsi di aspetti psicopatologici e di personalità che minano il processo evolutivo, con aspetti di minore o maggiore rigidità nel successivo funzionamento psichico (stallo, moratoria, o progressione del processo evolutivo nello scompenso psichico adolescenziale; Martinetti, 2007). Si considera che la specifica traiettoria evolutiva sia sostenuta dall’equilibrio fra fattori di rischio e protettivi; questi ultimi, specifici di questo periodo, vengono individuati nella competenza riflessiva, nel sentimento di 2 “Out

of the woods” letteralmente “fuori dal bosco”, essere in salvo.


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

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incidere nella realtà, nel senso di responsabilità, nella capacità relazionale di apertura alla prospettiva dell’altro, e di potersi coinvolgere in relazioni intime (Hauser et al., 2006). Consideriamo inoltre potenziale fattore protettivo l’intervento che consenta di sostenere e reintegrare le competenze descritte, spesso minate nella fase di scompenso. La compromissione della competenza mentalizzante si evidenzia negli stati di scompenso psichico adolescenziale (Bleiberg, Rossouw e Fonagy, 2012; Martinetti e Innocenti, 2012) con la comparsa di aspetti prementalistici, che comportano la presenza di percezioni distorte di pensieri, sentimenti e intenzioni (Sharp, Fonagy, Goodyer, 2006; Allen, Bateman, Fonagy, 2008), alterazioni, peraltro, che in questo periodo sono dinamiche (deficit dinamico della mentalizzazione, distorsioni della mentalizzazione quali ipermentalizzazione e pseudomentalizzazione, schemi di pensiero prementalistici). Questa compromissione si evidenzia nella possibile comparsa, a volte improvvisa, di condotte impulsive, stati psicotici acuti, stati ansiosi e/o attacchi di panico, stati dissociativi e/o derealizzazione anche a seguito di abuso di sostanze, suicidio, autolesionismo; d’altronde, il recupero da queste tempeste emotive è lento; spesso manca la consapevolezza del proprio stato e si assiste ad una compromissione delle capacità adattive con ritiro e isolamento o comportamenti dirompenti non gestibili; si associa la difficoltà nel mantenimento dei ritmi quotidiani (scuola, relazioni, attività sociali). Ne derivano comportamenti di ritiro sociale, ansia, agiti, espressività somatica. In parallelo si assiste ad un’analoga compromissione delle capacità riflessive dei contesti di vita del ragazzo. Per primo il contesto familiare: legato alla comparsa di una sintomatologia acuta nel figlio, non comprensibile, che sollecita spavento e che mina la rappresentazione integrata del figlio e la capacità di rispecchiamento (Martinetti e Stefanini, 2003). Di pari passo si ha una compromissione a livello sociale, conseguente all’allarme e contagio emotivo in luoghi di vita relazionale come ad esempio la scuola e il gruppo dei pari; compromissione che può coinvolgere anche lo stesso contesto di cura: ad esempio reazioni controtransferali con agiti degli operatori di comunità, coinvolti nella gravità e complessità del disagio. La cecità mentale che questo implica (Martinetti e Landi, 2009) è fortemente dinamica, evidenziando aree di sensibilità alla modalità di cura che dovrà quindi sintonizzarsi sul livello di possibile fruizione. Nello scompenso si viene a delineare “un tempo” (da 8 settimane a 6 mesi circa), caratterizzato da difese ed organizzazioni psicopatologiche instabili, con l’evidenziarsi di una frattura del senso di continuità e della integrità del Sé. Tale condizione si può manifestare con gradi diversi di compromissione e con una sintomatologia clinica polimorfa (Stolorow e Lachmann, 1980; Martinetti e Innocenti, 2012), esponendo l’adolescente ad un importante compromissione del funzionamento mentale in cui la funzione riflessiva risulta un indicatore significativo della competenza di mentalizzazione. Nel protrarsi dello scompenso, per uscir dal bosco, risulta fondamentale la resilienza individuale ma anche la capacità dell’ambiente, comprendendo in questo l’ambiente delle relazioni familiari e dei pari e l’ambiente delle relazioni di cura, di supportare gli aspetti potenzialmente evolutivi. È in questa cornice teorica che si inserisce l’intervento diagnostico-terapeutico in


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risposta a tali complesse situazioni cliniche, che abbiamo nel tempo messo a punto. L’ottica di intervento multidisciplinare e multidimensionale implica fin dall’inizio il tentativo di comprensione del funzionamento mentale attraverso un avvicinamento conoscitivo che accanto alla descrizione soggettiva e oggettiva di sintomi (che ovviamente richiede anche un trattamento tempestivo specifico come nell’autolesionismo, negli stati panici, nell’organizzarsi di una sintomatologia che configuri quadri clinici riconducibili ad inquadramenti nosografici suggerendo specifiche indicazioni psicofarmacologiche) offra una possibilità di tratteggiare il profilo personologico dell’adolescente durante la fase di scompenso. L’obiettivo del presente lavoro è quello di indagare il grado di compromissione del funzionamento mentale e quindi anche delle competenze di mentalizzazione durante lo scompenso adolescenziale e le possibili variazioni che l’evoluzione e l’intervento terapeutico comportano. In quest’ottica, quali strumenti valutativi e diagnostici possono costruire la mappa su cui orientare il nostro intervento, e con quale bussola è possibile sostenere l’adolescente e i familiari nell’intervento terapeutico? Metodologia e strumenti Nel tentativo di dare risposta a questo interrogativo presentiamo un lavoro di ricerca svolto all’interno della SOD di NPI dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Firenze, relativamente a una casistica di adolescenti seguiti per scompenso acuto in regime ospedaliero. La modalità di ricovero attuata (DH intensivo plurisettimanale, ospedale diurno, ricovero ordinario) è dipendente dalla gravità dello scompenso e dalla tenuta del contesto socio-familiare, con la possibilità di affiancamento da parte dell’Unità Funzionale Salute Mentale Infanzia e Adolescenza Territoriale di riferimento fin dalla fase acuta nell’intervento complessivo (flessibilità del progetto terapeutico, personalizzato e individualizzato nelle sue varie fasi, Martinetti et al., 2010) L’intervento che viene attuato dal gruppo terapeutico multidisciplinare multidimensionale è a carattere multifocale. L’intervento prevede psicoterapia individuale, lavoro psicoterapeutico con la coppia genitoriale e attivazione di un ambiente terapeutico (laboratori espressivi, interventi psicoeducativi). Filo conduttore focale dell’intervento il riferimento teorico e tecnico corrispondente all’intervento basato sulla mentalizzazione (Bateman e Fonagy, 2006, 2012; Bleiberg, 2001), sia nell’intervento con il ragazzo, sia con i genitori, con l’utilizzo anche di incontri congiunti (Martinetti et al., 2010; Martinetti e Innocenti, 2012). Elemento caratterizzante il processo diagnostico e l’impostazione del percorso terapeutico è la ridiscussione costante nel gruppo degli operatori a vario titolo coinvolti (educatori, infermieri, medici specializzandi in Neuropsichiatria Infantile, psicologi).


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PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

Casistica La casistica è composta da 20 pazienti adolescenti (5 M e 15 F, vedi Tabella 1) di età compresa fra i 14 e i 17 anni, seguiti in regime ospedaliero (ricovero ordinario o DH intensivo) per breakdown psichico a seguito di sintomatologia ad esordio importante (discontrollo degli impulsi con auto e etero aggressività, disturbi alimentari con grave scompenso somatico e psichico, tentativi di suicidio, scompensi psicotici, stati dissociativi), giunti consecutivamente nel periodo gennaio 2010 - settembre 2011. Sesso

5 maschi, 15 femmine

Età media

15 anni

Fratria

6 figli unici; 14 con almeno un fratello o una sorella

Prese in carico precedenti alla presa in carico ospedaliera e invio alla nostra struttura

15 pazienti provenivano da una precedente presa in carico: 10 dai servizi territoriali di NPI 2 dall’Ospedale Meyer 2 dai pediatri di base 1 da psicoterapeuta privato 5 pazienti erano alla prima presa in carico

Diagnosi

Disturbo del Comportamento Alimentare 11 Disturbo d’Ansia 6 Disturbo dell’Umore 2 Disturbo Schizofreniforme 1

Tabella 1. Descrizione del campione e diagnosi categoriali DSM-IV-TR.

Strumenti Nel lavoro di ricerca sono stati individuati specifici strumenti diagnostici e di valutazione, utilizzati al momento dell’esordio del breakdown (t0) e a 6 mesi di distanza (t1). Ad integrazione dei riferimenti categoriali del DSM-IV-TR, è stata utilizzata la metodologia diagnostica proposta dal Manuale di Classificazione Diagnostica Psicodinamica (PDM, 2006) attraverso l’utilizzo della griglia di riferimento dell’asse MCA (Funzionamento Mentale del Bambino e dell’Adolescente), valutabile da parte del clinico. In tutti i soggetti della casistica era presente, trasversalmente alla differente sintomatologia di esordio, una compromissione di alcuni aspetti prevalenti del funzionamento mentale riguardante tre principali aree di funzionamento (rappresentazioni interne, modulazione affettiva, differenziazione integrazione, vedi Tabella 2). Coerentemente con la definizione del breakdown adolescenziale sopra descritta, all’interno di tali categorie cliniche sono stati considerati gli specifici disfunzionamenti delle capacità di mentalizzazione, come descritti da Fonagy, che trasversalmente si ritrovano come elementi nucleari del funzionamento mentale in fase di scompenso acuto.


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Descrizione dei pattern disfunzionali prevalenti nello scompenso psichico acuto in base agli items asse MCA sul funzionamento mentale (PDM) Capacità di formare rappresentazioni interne: uso delle rappresentazioni e delle idee in modo concreto. La difficoltà ad elaborare un sentimento in quanto tale si traduce in tendenza ad agiti impulsivi, somatizzazioni o dispercezioni corporee coincidenti con stati emozionali intensi. Incapacità nel fare uso delle rappresentazioni interne per fare esperienza di un senso di sé e degli altri o per elaborare desideri e sentimenti. Esperienza e modulazione degli affetti: difficoltà di integrazione e coesione dei pattern emotivi con tendenza alla distorsione/non comprensione degli stati mentali propri e dell’altro. Capacità di differenziazione e integrazione: tendenza alla frammentazione (incapacità di differenziazione sé - non sé, passato e presente, desideri e sentimenti diversi) e polarizzazione (tutto-nulla) dell’esperienza interna.

Tabella 2. Descrizione dei pattern disfunzionali prevalenti nello scompenso psichico.

Ci siamo poi posti l’intento di verificare e valutare (sempre all’interno della griglia dell’asse MCA) l’evoluzione di questi aspetti individuando negli items corrispondenti al funzionamento sano delle tre aree cliniche dell’asse MCA considerate, possibili segnali di un’evoluzione positiva complessiva in uscita dallo scompenso psichico.

Indicatori dell’evoluzione dello scompenso psichico acuto in base agli items di funzionamento sano dell’ asse MCA sul funzionamento mentale (PDM) Capacità di formare rappresentazioni interne: passaggio da una modalità di pensiero concreto alla possibilità crescente di utilizzo e costruzione di rappresentazioni interne per sperimentare ed esprimere desideri ed emozioni e il proprio senso di sé e degli altri. Sa usare le rappresentazioni interne per regolare gli impulsi e il comportamento. Esperienza e modulazione degli affetti: allargamento crescente della gamma di espressione di emozioni e desideri in modo intenzionale e progressiva capacità di comprendere alcuni segnali emotivi in modo flessibile anche sotto stress. Capacità di differenziazione e integrazione: progressiva capacità di differenziare e integrare le esperienze interne (del sé –non sé e degli altri; della fantasia e della realtà; del passato presente e futuro; e di una varietà di desideri, emozioni e sentimenti) con graduale attenuazione della frammentazione e della polarizzazione “tutto o nulla” che può rimanere ancorata a situazione di forti emozioni o stress.

Tabella 3. Indicatori dell’evoluzione dello scompenso psichico.

L’utilizzo di scale adattive come CGAS (Children Global Assessment Scale, Shaffer et al., 1983) e HoNOSCA (Health of the Nation Outcome Scales for Children and Adolescents, Gowers, 2000, 2002) in parallelo ci ha permesso di fotografare la situazione complessiva di ognuno al momento dello scompenso e l’evoluzione successiva.


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

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A integrazione di questi strumenti clinici di riferimento, si è fatto uso di uno strumento standardizzato, la scala SWAP-200-A (Shedler & Westen Assessment Procedure, 2003), Scala di valutazione clinica di Patterns e Tratti di personalità emergenti in età adolescenziale. Abbiamo applicato questo strumento al momento del ricovero (tempo 0) e a 6 mesi di distanza (tempo 1), al fine di valutare la possibile modificabilità o meno dell’assetto personologico del soggetto all’interno delle relazioni terapeutiche stabilite (Westen et al., 2003, 2004), incrociando tali dati con il funzionamento globale valutato tramite la CGAS e l’HoNOSCA.

Strumento

Descrizione

Diagnosi categoriale

Asse I del DSM-IVTR

Valutazione diagnostica secondo un’impostazione categoriale proposta dall’Associazione Psichiatrica Americana.

Diagnosi dimensionale

Asse MCA del Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM

L’asse MCA valuta 9 dimensioni per la definizione del funzionamento mentale del bambino e dell’adolescente. Gli autori del PDM propongono che tale valutazione debba precedere la valutazione dei profili e dei pattern disfunzionali di personalità (Asse PCA del PDM) e la valutazione dei sintomi (Asse SCA del PDM), per i quali si cerca di integrare l’approccio ateoretico del DSM con un approccio maggiormente “soggettivo”.

Valutazione del funzionamento globale e adattivo

C-GAS HoNOSCA

La Scala C-GAS propone una valutazione da 0 a 100 del funzionamento globale dell’individuo. Punteggi inferiori a 60 individuano un funzionamento progressivamente più patologico con il diminuire dei punteggi. La Scala HoNOSCA individua alcuni aspetti comportamentali, emotivi e di pensiero spesso compromessi nei disturbi psichiatrici di infanzia e adolescenza (funzionamento scolastico, funzionamento sociale, agiti etero e autoaggressivi, iperattività e disattenzione, abuso di alcol o sostanze, problemi fisici, problematiche di pensiero, problemi affettivi etc, per un totale di 15 categorie). Esistono forme del test per i genitori, per i ragazzi e per i clinici (quest’ultima è stata utilizzata nel nostro studio). Il clinico per ogni categoria di problematiche deve esprimersi su una scala Likert da 0 a 4 dove lo “0” rappresenta un funzionamento conservato e “4” il massimo grado di compromissione. La somma dei punteggi restituisce il punteggio totale, per cui a punteggi più alti corrisponde un maggior grado di compromissione.

Funzionamento di personalità

SWAP-200-A

Shedler & Westen Assessment Procedure. Scala per la valutazione della personalità in adolescenza. Lo strumento viene descritto all’interno del testo.

Tabella 4. Strumenti utilizzati a tempo 0 e a tempo 1.


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La SWAP-200-A è uno strumento Q-Sort clinician report che identifica dei profili personologici età-specifici che sono stati definiti empiricamente a partire da una casistica di adolescenti. Viene applicata dopo un tempo corrispondente ad una conoscenza clinica individuale sufficientemente approfondita da parte del clinico. L’analisi Q, utilizzata per la validazione dello strumento, ha permesso di identificare cinque disturbi di personalità (Narcisistico, Istrionico, con Disregolazione Emotiva, Evitante-Coartato, Antisociale-Psicopatico) e un profilo, definito Stile ad Alto Funzionamento, in cui il funzionamento del soggetto appare maggiormente conservato (Stile Inibito Autocritico) (Westen et al., 2004). Il clinico attribuisce i punteggi su una scala Likert da 0 a 7 per tutti i 200 items che compongono il test secondo una distribuzione fissa. Il test restituisce dei punteggi T-Score che possono essere letti sia in ottica “dimensionale” sia in ottica “categoriale” individuando come soglia di cut-off 55 punti T-Score per “tratti patologici” e 60 punti T-Score per “disturbo di personalità”. Il test permette anche di attribuire un punteggio al funzionamento mentale del paziente (Fattore Q “Indice di funzionamento sano”) per cui a punteggi T-Score più alti corrisponde un funzionamento mentale migliore. La Tabella 4 riassume gli strumenti utilizzati. Risultati Prima fase dello studio: tempo 0 HoNOSCA e C-GAS (vedi Grafico 1 e Grafico 2) Il punteggio medio all’HoNOSCA è di 21,85 ± 4,27, il punteggio C-GAS 35,15 di ± 10,38. Questi dati indicano una globale importante compromissione su base adattiva e sintomatica con notevoli limitazioni sul piano delle autonomie e importante interferenza della sintomatologia sulla qualità di vita quotidiana al momento dello scompenso. SWAP-200-A Utilizzare la SWAP-200-A per comprendere quali sono i profili di personalità maggiormente rappresentati nella nostra casistica significa capire quali tipi personologici sono più descrittivi di quel particolare momento di sofferenza psichica acuta (t0); questo ci aiuta ad identificare gli aspetti personologici più tipici dello scompenso del campione di adolescenti da noi esaminato, ci fa riflettere su una possibile fenomenologia comune dello scompenso psichico degli adolescenti in genere e ipotizzare che certi profili di funzionamento di personalità siano da considerarsi propri dell’acuzie psichiatrica in adolescenza.


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PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

Fattori Q

Punteggi medi t0

Punteggi medi t1

>55 a t1 (to)

>60 a t1 (t0)

Disregolazione Emotiva

59,96 ± 7,49

57,33 ± 9,42

11 (16)

9 (10)

Istrionico

45,74 ± 5,55

47,74 ± 5,56

1 (1)

0 (0)

Narcisistico

49,72 ± 5,56

50,45 ± 5,12

4 (4)

1 (0)

Antisociale psicopatico

45,89 ± 7,79

46,1 ± 8,12

2 (3)

2 (1)

Evitante-Coartato

49,63 ± 8,87

48,29 ± 8,82

5 (5)

2 (2)

Stile inibitoautocritico

63,97 ± 14,73

67,49 ± 15,06

15 (15)

13 (13)

Tabella 5. Profili della SWAP-200-A, punteggi medi per ciascun Fattore Q in T-Score a t0 e a t1.

Nella Tabella 5 viene riportato il numero di soggetti che a t0 (fra parentesi nella tabella) e a t1 ha riportato punteggi superiori a 55 (valore diagnostico per tratto di personalità patologico) e a 60 (valore diagnostico per Disturbo di Personalità), per ciascun Fattore Q. La somma dei soggetti può risultare maggiore di 20 perché abbiamo incluso nella colonna >55 anche i soggetti che avevano punteggi >60. Sono particolarmente alti i punteggi medi per il Fattore Q “con Disregolazione Emotiva” e del Fattore Q “Stile di Personalità Inibito Autocritico”, nonché la loro associazione (7 casi su 20 per entrambi i due Fattori Q). Indice di funzionamento sano a t0 (Tabella 8) L’“Indice di Funzionamento Sano” a t0 è risultato mediamente 33,57 ± 6,7 TScore3. Si nota quindi come nella fase di scompenso il campione presenti un funzionamento di personalità estremamente compromesso coerentemente con i dati relativi alla distribuzione dei profili di funzionamento di personalità. Sulla base di quanto emerge dai dati della SWAP-200-A potremmo delineare una sorta di prototipo di funzionamento di personalità, nella fase di scompenso, parafrasando gli items che sono risultati maggiormente rappresentativi del campione nella fase di scompenso acuto. Durante lo scompenso i nostri pazienti sono accomunati da sentimenti depressivi, non solo si sentono infelici, abbattuti, ma anche inferiori, inadeguati, e se sottoposti a stress psicologici divengono incapaci di controllare le proprie emozioni alle quali spesso soccombono, cadendo in spirali emotive che difficilmente riescono a gestire, dimostrando un notevole declino del livello di funzionamento abituale. Si dimostrano inibiti e coartati. Non riescono a esprimere o riconoscere desideri o impulsi. Sono tendenzialmente ansiosi e tendono a un disperato bisogno di controllo; si dimostrano inoltre eccessivamente dipendenti e bisognosi di rassicurazioni o approvazioni. Le 3 Si noti che per l’Indice di Funzionamento Sano minore è il punteggio T-Score, maggiore è la compromissione di funzionamento rispetto alla media di riferimento.


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problematiche psicologiche di cui soffrono interferiscono con la frequenza scolastica e con un normale rendimento. Seconda fase dello studio: rivalutazione a sei mesi, tempo 1 A 6 mesi dalla presa in carico abbiamo applicato la stessa batteria di test. Tutti i pazienti presentavano alla rivalutazione a sei mesi i criteri diagnostici per la stessa diagnosi nosografica in asse I (vedi Tabella 1). C-GAS e HoNOSCA I risultati C-GAS a tempo 1 (vedi Grafico 1) sono mediamente 53,45 ± 11,47 con discrepanza significativa con i punteggi a t0, anche se mediamente rimaniamo in un range ancora patologico (Grafico 1).

Grafico 1. Andamento C-GAS fra t0 e t1, medie totali dei pazienti. Sono raffigurati i punteggi medi e le barre di errore corrispondenti alle deviazioni standard.

Il punteggio medio all’HoNOSCA al tempo 1 è 14,55 ± 5,97 (vedi Grafico 2). La diminuzione dei punteggi medi indica che è avvenuto un miglioramento nel corso di questi 6 mesi. Le aree in cui si è riscontrata una maggiore riduzione del punteggio sono state: “iperattività, difficoltà di concentrazione o di attenzione”; “frequenza scolastica”; “problematiche psicologiche” e quella relativa ai “disturbi del pensiero”; ciò indica un miglioramento a sei mesi più evidente nell’area sintomatica (sintomi psicotici o sintomatologia soggettivamente o oggettivamente rilevabile), e nell’area del funzionamento adattivo connesso con la ripresa di attività quotidiane (relazioni sociali apprendimenti scolastici).


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

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Grafico 2. Andamento HoNOSCA t0-t1 medie totali dei pazienti. Sono raffigurati i punteggi medi e le barre di errore corrispondenti alle deviazioni standard.

SWAP-200-A Nella Tabella 5 sono riportati in sintesi i punteggi medi al t0 e t1 dei profili di funzionamento di personalità emergenti nella casistica. Come si può notare nella nostra casistica si mantengono elevati i punteggi relativi ai due fattori Q maggiormente emergenti (stile Inibito Autocritico e Disregolazione Emotiva). Disregolazione Emotiva I valori medi a t0 sono di 59,96, e di 57,33 a t1. L’evoluzione a breve termine dimostra che tale tratto rimane mediamente stabile nel tempo. La Tabella 6 riporta le variazioni di punteggio degli items più rappresentativi: all’interno del permanere di una rigidità a sei mesi della difficoltà di autoregolazione emotiva si notano minimi ma significativi movimenti evolutivi con una modificazione dei punteggi (intorno al 30% circa) di alcuni items corrispondenti ad alcuni aspetti dimensionali significativi, come la generale instabilità dell’immagine di Sé (item 15) la capacità empatica e auto-riflessiva insita in alcuni items (56, 163) relativi alla impossibilità di provare piacere e aver cura di sé, all’autolesionismo e alle tendenze suicidarie (168).


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M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

valore medio t0

valore medio t1

differenze medie t0-t1

differenze in %

157) Tende a diventare irrazionale quando prova forti emozioni; può mostrare un notevole declino rispetto al normale livello di funzionamento

5,03

4,15

0,88

17,4%

189) Tende a sentirsi depresso, infelice, abbattuto

5,05

4,05

1,00

19,8%

156) Ha un’immagine del proprio corpo disturbata o distorta; si vede come sgradevole, grottesco, disgustoso/a

4,42

4,05

0,37

8,4%

12) Tende a cadere in spirali emotive senza controllo che conducono ad estrema ansia tristezza, rabbia, eccitazione

4,98

4

0,98

19,6%

54) Tende a sentirsi inadeguato, inferiore, fallito

4,11

3,95

0,16

3,8%

103) Tende a reagire alle critiche con sentimenti di rabbia e umiliazione

3,68

3,8

0,13

-3,4%

117) È incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo; ha bisogno di una persona che lo aiuti a regolare gli affetti

4

3,65

0,35

8,8%

57)Tende a sentirsi in colpa

3,79

3,4

0,39

10,3%

91) Tende ad essere autocritico; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante verso i propri umani difetti

2,95

3,2

0,25

-8,5%

98) Tende ad aver paura di essere rifiutato dalle persone per lui emotivamente significative

3,15

3,05

0,1

3,1%

73) Tende a essere catastrofico, vede i problemi come irrisolvibili

2,93

3

0,08

-2,6%

90) Tende a sentirsi vuoto

3,83

2,8

1,03

27%

50) Tende a sentire che la sua vita è priva di significato

3,21

2,75

0,46

14,3%

15) Non ha un immagine stabile di sé (ad esempio, atteggiamenti, valori, scopi, e sensazioni relativi a sé possono essere instabili o mutevoli)

3,84

2,5

1,34

34,9%

16) Tende a sentirsi arrabbiato e ostile (consciamente e inconsciamente)

2,55

2,25

0,3

11,8%

56) Sembra sentire poco, o non provare piacere, soddisfazione e divertimento nelle attività della vita

2,95

2,05

0,9

30,5%

36) Tende a sentirsi impotente debole, o alla mercé di forze al di fuori del proprio controllo

2,5

2

0,5

20%

163) Sembra voler punire se stesso; crea situazioni che conducono all’infelicità, o evita attivamente le opportunità di piacere o gratificazione

2,4

1,65

0,75

31,3%

142) Tende a ripetere minacce o tentativi di suicidio, entrambi con lo scopo di richiedere aiuto o di manipolare gli altri

1,35

1,1

0,25

18,5%

168) Lotta contro veri e propri desideri suicidi

0,89

0,65

0,24

26,9%

Item Disregolazione Emotiva

Tabella 6. Differenze nei punteggi medi t0-t1 agli items del Fattore Q Disregolazione Emotiva, posti secondo un ordine decrescente per punteggio medio a t1.


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PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

Stile Inibito Autocritico Per lo “Stile Inibito Autocritico” notiamo che i punteggi a t1 aumentano, il che significa che i nostri pazienti a distanza dalla fase di maggior acuzie presentano un profilo caratterizzato da inibizione sociale, ansia, forte autocritica, compiacenza verso figure autorevoli, tendenza a sperimentare sentimenti di vergogna, imbarazzo, inadeguatezza, bassa autostima; contemporaneamente si evidenzia un’attivazione di alcune qualità e competenze: capacità di esprimersi in modo comunicativo, di utilizzare le proprie abilità, di essere empatici e di avere standard morali ed etici ai quali cercano di adeguarsi (si ricordi che lo Stile Inibito Autocritico viene definito da Westen “Stile ad Alto Funzionamento”). Il valore medio di questo stile al tempo dello scompenso era di 63,97 ± 14,93 mentre 6 mesi dopo risultava essere 67,49 ± 15,96. La Tabella 7 riporta le variazioni di punteggio degli items più rappresentativi. Ritroviamo qui alcuni elementi mobilizzati riguardanti la funzione riflessiva (item 92 sulla capacità autonarrativa), sulla capacità di incidere in maniera efficace e di autoaffermazione (item 2), e elementi di consapevolezza e sofferenza “mentalizzata” (item 6 riconoscimento di pensieri egodistonici; 149 sofferente spinta all’autonomia con senso di esclusione).

valore medio t0

valore medio t1

differenze medie t0-t1

differenze in %

86) Tende a provare vergogna o imbarazzo

3,6

4,1

0,5

-13,9%

189) Si sente depresso, infelice abbattuto

5,05

4,05

1,00

19,8%

54) Si sente inadeguato, inferiore, fallito

4,11

3,95

0,16

3,8%

35) È tendenzialmente ansioso

4,20

3,90

0,30

7,1%

175) È tendenzialmente coscienzioso e responsabile

3,20

3,55

0,35

-10,9%

Item Stile Inibito Autocritico

57) Tende a sentirsi in colpa

3,79

3,40

0,39

10,3%

60) Tende ad essere timido e riservato in situazioni sociali

3,60

3,30

0,30

8,3%

174) Si aspetta di essere “perfetto”(nell’aspetto, nelle performance..)

3,35

3,30

0,05

1,5%

120) Ha standard morali e etici e si sforza di vivere alla loro altezza

2,84

3,30

0,46

-16,1%

91) Tende ad essere autocritico/a; si pone standard irrealisticamente elevati ed è intollerante verso i propri umani difetti

2,95

3,20

0,25

-8,5%

92) Sa esprimersi in modo articolato, sa raccontarsi

2,20

3,20

1,00

-45,5%

119) Tende a essere inibito e coartato; ha difficoltà nel riconoscere desideri e impulsi

4,03

3,10

0,93

23,0%

1) Tende a sentirsi responsabile per le cose negative che accadono

2,53

3,10

0,57

-22,7%


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M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

2) Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo

1,75

2,95

1,20

-68,6%

25) Ha difficoltà ad esprimere o riconoscere la propria rabbia

3,25

2,70

0,55

16,9%

6) È tormentato da pensieri ossessivi che vive come intrusivi e privi di significato

3,80

2,50

1,30

34,2%

199) Tende ad essere passivo o poco assertivo

2,75

2,40

0,35

12,7%

59) È empatico, sensibile e responsivo verso i bisogni e i sentimenti degli altri

1,37

2,15

0,78

-57,1%

141) Tende ad essere eccessivamente compiacente verso le figure di autorità

2,05

1,90

0,15

7,4%

149) Tende a considerarsi un outsider, privo di qualunque appartenenza

1,90

1,45

0,45

23,7%

Tabella 7. Differenze nei punteggi medi t0-t1 agli items del Fattore Q Stile Inibito Autocritico, posti secondo un ordine decrescente per punteggio medio a t1.

Indice di funzionamento sano a t1 La media di questo fattore Q a sei mesi dallo scompenso è di 38,47 ± 9,42 (33,57 ± 6,7 a t0). Complessivamente si osserva un incremento medio dell’Indice di Funzionamento Sano vale a dire di quegli aspetti di funzionamento riguardanti in particolare proprio i fattori protettivi (la coscienziosità e senso di responsabilità e standard morali, umorismo, capacità autoaffermative valutati negli items 175, 120, 68, 2, si veda la Tabella 8).

Item Funzionamento Sano

Punteggi medi a t0

Punteggi medi a t1

Differenze medie fra t0 e t1

Variazione %

175) È tendenzialmente coscienzioso e responsabile

3,2

3,55

0,35

10,90%

120) Ha standard morali ed etici e si sforza di vivere alla loro altezza

2,84

3,3

0,46

16%

68) Apprezza e sa rispondere all’umorismo

2,55

3,05

0,5

19,60%

2

2,6

0,6

30%

106) Tende ad esprimere affetti appropriati per qualità e intensità alla situazione che sta vivendo

1,8

2,85

1,05

58,3

2) Sa usare i suoi talenti, capacità ed energie in modo efficace e produttivo

1,75

2,95

1,2

68%

63) Quando è necessario, sa essere assertivo in modo efficace e appropriato

1,7

2,1

0,4

23,50%

95) Si sente a proprio agio in situazioni sociali

1,4

1,7

0,3

21,40%

51) Tende a suscitare simpatia negli altri


599

PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

59) È empatico, sensibile e responsivo verso i bisogni e i sentimenti degli altri

1,37

2,15

0,78

56,90%

183) Ha intuito psicologico; riesce a capire in modo piuttosto sofisticato se stesso e gli altri

1,35

1,95

0,6

44,40%

1

1,1

0,1

10%

19) Ama le sfide; prova piacere nel realizzare le cose

0,9

1,45

0,55

61%

101) Di solito trova soddisfazione e motivo di felicità in quel che fa

0,85

1,7

0,85

100%

200) Riesce a stringere amicizie intime e di lunga durata caratterizzate da sostegno reciproco e condivisione delle esperienze

0,85

1,35

0,5

58,80%

89) Sopporta bene le situazioni stressanti; sa reagire in modo efficace alle perdite, ai traumi o a eventi problematici

0,35

0,8

0,45

128%

179) È tendenzialmente energico o espansivo

Tabella 8. Differenze nei punteggi medi t0-t1 agli items del Fattore Q Indice di Funzionamento Sano, posti secondo un ordine decrescente per punteggio medio.

ASSE MCA del PDM al tempo t0 e t1 Sulla base di quanto sopra descritto si ritrova una corrispondenza clinica nella valutazione del Funzionamento Mentale (asse MCA) secondo il PDM: riprendendo la descrizione delle Tabelle 2 e 3 le modificazioni osservate negli items della SWAP200-A, relative ai profili personologici prevalenti, appaiono coerenti con la compromissione e in parte la distorsione dei processi di mentalizzazione della fase acuta e con i movimenti in fieri osservati durante il trattamento orientati verso una graduale riattivazione di quelle aree di funzionamento sano (Tabella 3) da noi individuate come indicatori e “focus” specifici dell’intervento. Correlazioni Le Tabelle 9 e 10 valutano la presenza di correlazione fra il funzionamento globale e quello di personalità rispettivamente a t0 e a t1. È presente una correlazione diretta fra i punteggi C-GAS e l’Indice di Funzionamento Sano alla SWAP e una correlazione inversa fra quest’ultimo e i punteggi HoNOSCA. Ciò sta a significare che a movimenti del funzionamento di personalità corrispondono movimenti nello stesso senso del funzionamento globale, anche se l’indagine statistica non stabilisce dei nessi causali.


600

M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

C-GAS

C-GAS

HoNOSCA

-,788**

,651**

,000

,002

20

20

20

-,788**

1

-,585**

1

r Sig. (2-code) N

HoNOSCA

r Sig. (2-code)

Fattore Q Indice di funzionamento sano

Fattore Q Indice di funzionamento sano

,000

,007

N

20

20

20

R

,651**

-,585**

1

,002

,007

20

20

Sig. (2-code) N

20

** La correlazione è significativa al livello 0,01 (2-code).

Tabella 9. Tempo 0. La tabella riporta i coefficienti “r” di correlazione di Pearson che emergono dal confronto fra i diversi test somministrati.

C-GAS

C-GAS

R

HoNOSCA

1

Sig. (2-code)

HoNOSCA

-,719**

,533*

,000

,016

N

20

20

20

R

-,719**

1

-,625**

Sig. (2-code)

Fattore Q Indice di funzionamento sano

Fattore Q Indice di funzionamento sano

,000

,003

N

20

20

20

R

,533*

-,625**

1

Sig. (2-code)

,016

,003

20

20

N

20

** La correlazione è significativa al livello 0,01 (2-code). * La correlazione è significativa al livello 0,05 (2-code).

Tabella 10. Tempo 1. La tabella riporta i coefficienti “r” di correlazione di Pearson che emergono dal confronto fra i diversi test somministrati.


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

601

Discussione Relativamente all’inquadramento diagnostico osserviamo che tutti i pazienti del presente studio presentano sia a t0 sia a t1 le stesse diagnosi categoriali; la staticità di questo inquadramento non permette quindi di valutare indicatori di outcome e di sintonizzarsi sui possibili cambiamenti nel decorso dello scompenso. Abbiamo quindi cercato di comprendere se gli altri strumenti utilizzati potessero fotografare i cambiamenti intervenuti nella fase di scompenso psichico acuto, e risultare sensibili nell’identificare la qualità dei cambiamenti. Dai risultati si apprezza come si siano potute rilevare modificazioni sia per quanto riguarda la competenza adattiva sia per quanto riguarda il funzionamento di personalità. Nello specifico la SWAP-200-A ci ha permesso di individuare un profilo di personalità tipico dello scompenso psichico all’interno di un campione di pazienti con una sintomatologia a espressione prevalentemente internalizzante. Appaiono essere particolarmente descrittivi del campione due dei Fattori Q della SWAP-200-A: quello con Disregolazione Emotiva e lo stile Inibito Autocritico. Per il Fattore Q con Disregolazione Emotiva i punteggi medi risultano sostanzialmente stabili a 6 mesi dalla presa in carico, a conferma che ci troviamo davanti ad aspetti nucleari della sofferenza psichica acuta in adolescenza. Si ipotizza, a conferma di quanto illustrato nell’introduzione, che sei mesi siano un lasso di tempo troppo breve per poter avere modificazioni significative sul piano specificatamente personologico, a conferma di quanto, in un’ottica evolutiva, una valutazione dimensionale risulti dinamica e richieda tempi superiori per poter cogliere l’eventuale strutturazione di questi profili, mentre i cambiamenti possono essere maggiormente evidenti su un piano adattivo. Rispetto al fattore Q Inibito Autocritico nel confronto dei risultati fra t0 e t1 risulta come i punteggi dello Stile Inibito Autocritico siano alti e mediamente in aumento a t1. Osservando i dati dei singoli item, tale aumento trova spiegazione in due elementi: (1) lo Stile Inibito Autocritico rappresenta uno stile ad alto funzionamento e complessivamente un aumento dei punteggi di questo Fattore risente di un miglioramento in termini di maggiori competenze e risorse; (2) certi tratti importanti di ansia, inibizione, tendenza al perfezionismo, compiacenza, modalità fortemente autocritiche e autosvalutanti sono più descrittive dei pazienti a t1 che nella fase acuta dello scompenso, quando la situazione di grave blackout e arresto del processo evolutivo sono contraddistinti da un livello di funzionamento ancora più compromesso: si potrebbe parlare di un passaggio da un livello borderline di funzionamento a un livello nevrotico di funzionamento (PDM, 2006; QFM, Albasi e Lasorsa, 2008). L’altro aspetto che la nostra indagine ha approfondito è quello relativo al funzionamento mentale. È dato comune a tutti i pazienti in scompenso la compromissione del funzionamento mentale alla presa in carico (t0). La rivalutazione a 6 mesi ha evidenziato che tale indice si mantiene basso, anche se si possono intravedere dei movimenti “carsici” legati a un progressivo miglioramento delle capacità di autoregolazione, soprattutto laddove non intervengano dei fattori di stress che attivino l’emotività del ragazzo, con un recupero di reciprocità nelle relazioni e di senso di re-


602

M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

sponsabilità e coscienziosità. Senz’altro questi movimenti portano a un miglioramento degli aspetti comportamentali e a un miglioramento del funzionamento globale e delle capacità adattive, prezioso per la messa in moto di circoli virtuosi innescati da nuove esperienze sociali, da una ritrovata conferma della propria efficacia e più in generale da esperienze positive. Conclusioni Gli strumenti utilizzati, che vanno dalla diagnosi categoriale ad una comprensione del funzionamento mentale in ottica dimensionale ed evolutiva, mostrano come l’utilizzo di strumenti clinici che poggiano sulla capacità riflessiva del clinico consente, nella relazione individuale e nella funzione integrante del gruppo, di “avere a mente” il ragazzo quando gli elementi di fragilità lo espongono maggiormente al rischio di un collasso delle difese (“gli scudi si aprono” come verbalizzato da uno dei nostri adolescenti in scompenso psicotico che presentava gravi condotte distruttive verso gli altri). Tale approccio consente di sintonizzarsi su aspetti di cambiamento altrimenti non apprezzabili se non nella consapevolezza del clinico, rendendo dinamica la rappresentazione dimensionale del ragazzo e potendo restituirla a lui e ai genitori scavalcando e attenuando il senso di paura e di estraneità che l’elemento destrutturante del funzionamento mentale corrispondente allo scompenso comporta. In questo l’applicazione della SWAP-200-A è risultato strumento sensibile che integra e conferma, avvalorandoli, quegli elementi clinici soggettivi potendo favorire così una ulteriore condivisione di quanto osservato dal gruppo terapeutico e potendo in tal modo guidare il clinico e tutto il gruppo degli operatori all’interno del processo terapeutico in fieri. Infatti nell’analisi dei vari Items del profilo a 6 mesi di distanza si notano potenziali modificazioni, percepite all’interno della relazione terapeutica e che a nostro avviso costituiscono segnali di iniziale cambiamento: tali segnali possono guidare il clinico nel lavoro terapeutico sia con il soggetto che con le famiglie e si accompagnano peraltro ad un complessivo miglioramento della sofferenza soggettiva e sintomatica del paziente e ad una ripresa dei processi adattivi (compatibilmente con la complessità e gravità dei disturbi descritti), come evidenziato nelle scale di funzionamento globale (CGAS e HoNOSCA), e in corrispondenza clinica con le dimensioni individuate sull’asse MCA del PDM. Tali modificazioni del funzionamento mentale ci sembra possano coincidere con gli obiettivi dell’intervento terapeutico multifocale complessivo in fase acuta (vedi Tabella 3), finalizzato alla riattivazione/mobilizzazione dei processi di mentalizzazione (Bateman e Fonagy, 2012). Infine ci pare interessante la possibilità di porre attenzione e rilevare la crescente anche se lenta attivazione di quei fattori protettivi descritti da Hauser et al. (2006) che si evidenzia in particolare nell’andamento dei punteggi relativi agli items del “funzionamento sano”. Ribadiamo quindi la necessità di un intervento multidimensionale, integrato e intensivo, nelle situazioni di scompenso, che può essere attivato da una presa in carico ospedaliera tempestiva, al fine di interrompere i circoli viziosi che sottostanno


PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO

603

al funzionamento patologico e che lo mantengono. Nel percorso di cura si rivela di particolare importanza restituire non solo al paziente, ma anche ai suoi familiari, gli elementi in evoluzione del quadro psicopatologico e riuscire ad attribuirvi significato all’interno non solo delle relazioni terapeutiche ma attraverso l’attivazione e comprensione nei contesti di vita del soggetto (famiglia e relazioni sociali). Questo si dimostra particolarmente utile ed efficace laddove la persistenza della sintomatologia che si lega alla diagnosi nosografica, possa essere interpretata erroneamente come una situazione di stallo: in tali casi è necessario ridefinire e condividere gli obiettivi del percorso terapeutico, che cambiano aggiustandosi nel tempo, in base alle risorse emotive disponibili e al recupero del funzionamento mentale e delle capacità di mentalizzazione. Tali strumenti terapeutici inoltre possono attivare anche all’interno del gruppo degli operatori una funzione riflessiva/mentalizzante “allargata” (concetto che richiama per analogia la funzione di Spazio psichico allargato di Jeammet, 1992) da parte del contesto di cura. In conclusione ci sembra che gli strumenti individuati consentano di osservare sia in fase diagnostica che nel processo terapeutico quegli aspetti dimensionali dello scompenso psichico che permettono di mantenere e integrare in un’ottica evolutiva un intervento centrato non solo sul recupero adattivo sintomatico ma sulla ripresa (che sappiamo spesso essere più lenta e faticosa) dei processi evolutivi così drammaticamente interrotti o parzialmente compromessi nella fase di break-down. Ci sembra pertanto di interesse condividere queste riflessioni relative alla possibilità di utilizzare anche questi strumenti professionali come “bussola” di orientamento per permettere a questi adolescenti e ai loro genitori di intravedere insieme agli operatori coinvolti “l’uscita dal bosco”. Riassunto Obiettivo: nell’intervento su pazienti ricoverati durante la fase acuta dello scompenso psichico adolescenziale si valuta la possibilità di operare un processo diagnostico e terapeutico in senso dimensionale attraverso l’utilizzo dell’asse MCA del Manuale Diagnostico Psicodinamico e della SWAP-200-A. Metodo: studio su 20 pazienti in regime di ricovero ospedaliero per scompenso adolescenziale valutati alla presa in carico e dopo 6 mesi, trattati secondo il protocollo di cura del reparto di Neuropsichiatria Infantile dell’AOU Careggi di Firenze. Il processo diagnostico si è avvalso di strumenti categoriali (DSM-IV-TR) e dimensionali (Asse MCA del PDM). Valutazione del funzionamento di personalità attraverso l’Indice di Funzionamento Sano della SWAP-200-A e del Funzionamento Globale attraverso la valutazione delle scale C-GAS e HoNOSCA. Risultati: Emerge un’importante compromissione del funzionamento di personalità alla presa in carico (t0): punteggio T-Score medio 33,57 ± 6,7. Lieve miglioramento a 6 mesi (t1): punteggi T-Score medi 38,47 ± 9,42. Lo scompenso psichico acuto sembra compromettere maggiormente il funzionamento emotivo e relazionale (Alti punteggi dei Fattori Q con Disregolazione Emotiva e Inibito Autocritico). Esiste una correlazione significativa fra i punteggi di funzionamento globale (C-GAS e HoNOSCA) e di funzionamento di personalità (SWAP-200-A) sia a t0 sia a t1 (rispettivamente 0,65 e 0,59


604

M.G. MARTINETTI - M. BARATTI - P. DIRINDELLI ET AL.

a t0, p < .01; 0,53 e 0,63 a t1, p < .01). Conclusioni: L’utilizzo di strumenti clinici che poggiano sulla capacità riflessiva del clinico consente di sintonizzarsi su aspetti di cambiamento altrimenti non apprezzabili. La SWAP-200-A è risultata strumento sensibile che integra e conferma gli elementi clinici soggettivi favorendo la condivisione di quanto osservato all’interno del gruppo terapeutico. Nell’analisi a 6 mesi di distanza si notano segnali di iniziale cambiamento che si accompagnano ad un complessivo miglioramento della sofferenza soggettiva e sintomatica del paziente e ad una ripresa dei processi adattivi (CGAS e HoNOSCA), in corrispondenza con modificazioni all’interno delle dimensioni individuate sull’asse MCA del PDM. Ciò rafforza l’importanza di un intervento multidimensionale, integrato e intensivo nelle situazioni di scompenso, attraverso una presa in carico ospedaliera tempestiva che mira ad interrompere i circoli viziosi che sottostanno al funzionamento patologico e che lo mantengono. Parole chiave Scompenso psichico adolescenziale – Intervento diagnostico e terapeutico multidimensionale – Strumenti di valutazione – Funzionamento di personalità – SWAP200-A.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 607-621

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“Working memory”, apprendimento e attaccamento: una ricerca empirica in età scolare Working memory, learning and attachment: a school-age empirical research Nadia Del Villano*, Raffaella Perrella*, Vincenzo Paolo Senese*, Claudia Cecere*, Alessia Sannino*, Giorgio Caviglia*

Summary Several studies underline a definite connection between “working memory” (WM), deficit and learning disorder in children. WM skills mainly affect the learning of written language and of arithmetic. On the basis of the studies relating to the Attachment Theory, it is possible to stress that children with a secure attachment to their caregiver and/or to their teacher have higher skills in expression and emotional recognition, in pro-social behavior, in ludiccognitive activities, in acquisition of core issues, in school adaptability and in linguistic-expressive development. In the present study – on the basis of a previous pilot study – significant connections have been empirically estimated between the results of several cognitive tests (WM measuring test), learning tests and the student’s attachment style (both with his caregivers and his teacher). The recruited sample is made up of 130 children 6 to 7 years of age who, subject to their parents and schools approval, have been administered the TVL - Test di Valutazione Linguistica, the shortened version of AWMA (Automated Working Memory Assessment), the SAT - Separation Anxiety Test, in its family and school versions, and the Prove di Lettura MT – AC-MT 6-11. The results underline the absence of deficit or malfunctions in the subjects’ linguistic development, a significant connection between the learning performances and the verbal and visuo-spatial trials evaluated by AWMA, and a moderating effect of the attachment style upon the connection itself. Key words Working memory – Learning – Attachment.

Introduzione La memoria può essere definita come la capacità di ricordare eventi passati, immagini, idee ed informazioni precedentemente apprese. Una capacità, quella mnemonica, che coinvolge numerosi meccanismi e funzioni quali: attenzione, percezione, ragionamento, competenze emotive ed intellettive (Cicogna, 1999) e che racchiude un insieme di processi cognitivi, deputati alle funzioni di immagazzinamento e ri* Dipartimento

di Psicologia, Seconda Università degli Studi di Napoli.


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N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

chiamo delle informazioni precedentemente acquisite (Tulving, 1985). I primi studi sulla memoria risalgono alla pubblicazione della monografia Memory: A Contribution to Experimental Psychology ad opera di Ebbinghaus nel 1885, studi che portarono all’identificazione della curva di apprendimento e quella di oblio – caratterizzata da un calo della prestazione mnestica direttamente proporzionale al tempo di ritenzione (Dazzi e Vetrone, 2000). Nel 1968 Atkinson e Shiffrin fornirono un modello multiplo di immagazzinamento, costituito da tre differenti magazzini, attraverso cui è possibile ritenere le informazioni: quello del Registro Sensoriale (RS), quello della Memoria a Breve Termine (MBT) e quello della Memoria a Lungo Termine (MLT) (Atkinson e Shiffrin, 1971). Nel 1972 Baddeley e Hitch proposero un nuovo modello di Memoria di Lavoro (ML o Working Memory – WM), allo scopo di delineare accuratamente le dinamiche della MBT. I risultati dei loro studi misero in discussione la visione di un sistema unitario di MBT e portarono alla formulazione del modello della ML come alternativa ai classici modelli del doppio magazzino. Il concetto di ML si riferisce a un sistema gerarchico deputato al mantenimento e all’elaborazione temporanea dell’informazione, durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi (Baddeley e Hitch, 1974). Il primo modello proposto dai due autori, era formato da tre componenti principali: il Sistema Esecutivo Centrale (SEC); il Loop (o anello) articolatorio; il Taccuino visuo-spaziale. Nel 2000 tale modello verrà modificato da Baddeley, presentando la Working Memory (1986) costituita come segue: Esecutivo centrale, sistema flessibile deputato alla regolazione e al coordinamento dei compiti multipli, allo slittamento tra compiti o strategie di recupero, attenzione selettiva, inibizione e al controllo/supervisione delle informazioni dirette agli altri tre sistemi ad esso gerarchicamente sottoposti; Circuito fonologico, sistema deputato all’immagazzinamento temporaneo delle informazioni verbali; Taccuino visuo-spaziale, sistema deputato all’immagazzinamento di rappresentazioni di natura visiva o spaziale; Buffer episodico, responsabile dell’integrazione delle informazioni provenienti dalle differenti componenti della ML e della MLT in una rappresentazione episodica L’apprendimento può essere considerato il processo tramite il quale l’esperienza vissuta da un individuo in un certo momento è in grado di influenzare e/o modificare successivamente il suo comportamento (Gray, 2004). Nell’ambito degli studi sull’apprendimento, è possibile identificare differenti profili teorici come: la prospettiva comportamentista, quella cognitivista e quella ecologica. Secondo la Teoria dell’attaccamento elaborata da Bowlby (1972; 1975; 1983), il legame di attaccamento è un rapporto esclusivo e duraturo che il bambino stabilisce con il proprio caregiver e si attua sin dall’inizio all’interno di una matrice relazionale diadica con i relativi meccanismi interni e di relazione con l’ambiente esterno (Caviglia, 2003). Secondo Bowlby, il bambino piccolo possiede una predisposizione innata, su base biologica, a sviluppare un legame di attaccamento verso chi si prende cura di lui (caregiver), un legame che ha la funzione biologica di garantire al piccolo una protezione e quella psicologica di fornirgli sicurezza. Come evidenziato dalla Ainsworth (1969), e successivamente da Main e Salomon (1990), è possibile evidenziare quattro tipologie (pattern) di legame caregiver-bambino: Sicuro o tipo “B”, Insicuro-evitante o tipo “A”, Insicuro-resistente/ambivalente o tipo “C”, Disorganizzato o tipo “D”.


“WORKING MEMORY”, APPRENDIMENTO E ATTACCAMENTO

609

Memoria di lavoro, Apprendimento e Attaccamento: quali relazioni? Numerosi studi presenti in letteratura evidenziano una marcata associazione tra deficit della Memoria di Lavoro (ML) e disturbi dell’apprendimento nei bambini. Le abilità della ML influiscono, in particolar modo, sull’apprendimento del linguaggio scritto e dell’aritmetica (Caviglia et al., 20101; Alloway e Passolunghi, 2011; Del Villano et al., 2011; Alloway, 2012). Anche le relazioni interpersonali instaurate con adulti e pari sembrano avere notevole influenza sul corretto sviluppo psicofisico del bambino, sull’espressione delle sue abilità cognitive e/o affettivo-relazionali, nonché sulla corretta percezione di Sé. Sulla base degli studi effettuati nell’ambito della Teoria dell’Attaccamento è possibile infatti evidenziare che bambini con un attaccamento sicuro, con il proprio caregiver e/o con il/la proprio/a insegnante, dimostrino migliori capacità nell’espressione e riconoscimento emotivo, nel comportamento prosociale, nelle attività ludico-cognitive, nell’acquisizione di concetti base, nell’adattamento scolastico e nello sviluppo linguistico-espressivo (Pianta, Nimez e Bennet, 1997; Meins, 1999; Pianta, 1999; Cassibba e Caviglia, 2001; Caviglia, 2003; Caviglia, 2005). Ogni bambino sin dalla nascita, è inserito in una rete relazionale/ sociale che coinvolge persone diverse in grado di influenzare – in modi diversificati – il suo sviluppo psico-fisico ed emotivo-relazionale. Dopo i primi anni di vita inoltre, altri contesti relazionali – diversi da quello familiare – possono avere un impatto più o meno diretto sullo sviluppo complessivo psico-fisico e relazionale del bambino stesso (Cassibba, 2005; Liverta Sempio et al., 2001). Un crescente numero di lavori, inoltre, evidenzia l’importanza della figura dell’insegnante come figura di attaccamento, in grado di fornire un contesto di crescita e sviluppo – considerando che, con l’ingresso in ambito scolastico, i bambini trascorrono il loro tempo essenzialmente con due figure adulte: genitori e insegnanti (Sagi et al., 1995; Howes et al., 1998; Howes, 1999). Sulla base di uno studio pilota da noi effettuato nel 2010, nel presente lavoro di ricerca sono stati introdotti nuovi strumenti di valutazione, aumentato il campione e ristretta la fascia d’età di riferimento a quella scolare (scuola primaria), al fine di rendere più attendibili i risultati e le conclusioni raggiunte. Obiettivo della presente ricerca empirica è duplice: da un lato si vuole verificare la relazione tra le abilità di WM e il livello di apprendimento raggiunto dai bambini, dall’altro si vuole verificare se tale relazione è influenzata, ovvero moderata, dal tipo di legame di attaccamento che il bambino sviluppa in relazione alle figure genitoriali e all’insegnante. A tal scopo sono stati utilizzati come strumenti di valutazione la versione breve dell’Automated Working Memory Assessment (AWMA) in grado di valutare l’efficienza dei diversi sottosistemi della Working Memory, due differenti strumenti (Prove di lettura MT e Test di valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11) per la valutazione dell’appren1

Questo primo lavoro è stato reso possibile dal finanziamento del Programma di Ricerca Scientifica Interesse Nazionale – PRIN 2007: “Lo studio della memoria come fattore di rischio psicopatologico in età evolutiva in un campione campano” (Responsabile Scientifico dell’Unità di ricerca: Prof. Giorgio Caviglia).


610

N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

dimento, sia in prove linguistiche sia in prove numeriche, e un test semi-proiettivo (SAT) in grado di valutare il tipo di attaccamento instaurato da ciascun bambino, sia con i propri genitori sia con l’insegnante. Ci aspettiamo che una maggiore abilità della WM sia associata a una maggiore capacità di apprendimento in entrambi i domini considerati. Inoltre, data la rilevanza della relazione di attaccamento, ci aspettiamo che lo stile di attaccamento, sia nei confronti dei genitori, sia verso l’insegnante, moderi tale associazione. Campione e metodi Hanno partecipato allo studio 130 bambini (61 femmine e 69 maschi), di età compresa fra i 6 e i 7 anni (Metà = 6.4; DS = 0.5), selezionati in maniera casuale in diversi Istituti Scolastici della Campania. A ciascun partecipante, previo consenso dei genitori e del dirigente scolastico, sono stati somministrati il Test di Valutazione Linguistica (TVL; Cianchetti e Sannio Fancello, 2007), la versione breve dell’Automated Working Memory Assessment (AWMA; Alloway et al., 2004), il Separation Anxiety Test (SAT), sia nella versione famiglia (Attili, 2001), sia nella versione scuola (Liverta Sempio et al., 2001), e due differenti test di valutazione del livello di apprendimento raggiunto: le Prove di lettura MT e il Test di Valutazione delle Abilità di Calcolo AC– MT 6-11 (Cornoldi e Colpo, 1998; Cornoldi, Lucangeli, Bellina, 2002). La somministrazione dei singoli strumenti di valutazione è avvenuta in luoghi appositamente forniti dagli istituti stessi. La durata e le modalità di somministrazione (individuale e di gruppo) sono state realizzate tenendo conto delle indicazioni di standardizzazione di ogni singolo strumento. Test di Valutazione Linguistica. Il TVL è uno strumento che consente di valutare e quantificare il livello evolutivo complessivo del bambino, nonché di evidenziare eventuali differenze e/o anomalie nell’evoluzione delle varie componenti ed espressioni linguistiche. Il TVL è stato somministrato al fine di verificare che nessun partecipante manifestasse un deficit dello sviluppo linguistico. Automated Working Memory Assessment. Per la valutazione delle diverse componenti della Working Memory (WM) – così come descritte nel modello teorico elaborato da Baddeley e Hitch (1974) – è stata utilizzata la versione breve dell’AWMA, uno strumento consistente nei seguenti quattro subtest principali: 1. Digit recall: il soggetto è invitato ad ascoltare una sequenza numerica e a ripeterla nell’ordine di presentazione (prova di tipo verbale); 2. Dot matrix: il soggetto è invitato a visualizzare uno stimolo segnale all’interno di una matrice e, successivamente, a ricordarne la collocazione esatta (prova di tipo visuo-spaziale); 3. Spatial recall: il soggetto è invitato a identificare la corretta collocazione spaziale di una figura ruotata e la posizione di un segnale stimolo colorato (prova di tipo visuo-spaziale); 4. Listening recall: il soggetto è invitato a giudicare come vera o falsa un’affermazione e a ricordare l’ultima parola della stessa (prova di tipo verbale).


“WORKING MEMORY”, APPRENDIMENTO E ATTACCAMENTO

611

Ai quattro subtest sopra descritti, si aggiungono altri due subtest di natura differente che consentono di stimare il livello di elaborazione utilizzato dal soggetto per analizzare le informazioni necessarie a fornire la risposta al compito datogli. Tali subtest vengono denominati Processing Spatial Recall e Processing Listening Recall. Per ciascun subtest sopra descritto, il software somministra diversi trial di complessità crescente. Al termine della prova il programma computerizzato attribuisce automaticamente un punteggio che quantifica l’abilità del soggetto nella specifica componente della Working Memory valutata, sia verbale sia visuo-spaziale. Separation Anxiety Test. Per la rilevazione dei Modelli Operativi Interni (MOI), è stato utilizzato il Separation Anxiety Test (SAT) nella versione famiglia (Attili, 2001) e scuola (Liverta Sempio et al., 2001). Il SAT è un test semi-proiettivo basato su una serie di figure che rappresentano scene di separazione tra un/una bambino/a e i suoi genitori, nella versione famiglia, e tra un/una bambino/a e l’insegnante, nella versione scuola. Le differenti scene attivano le rappresentazioni del bambino legate all’attaccamento, permettendo di classificarle in tre categorie (Sicuro, Insicuro e Ambiguo/ Disorganizzato). Prove di lettura MT e Test di Valutazione delle Abilità di Calcolo AC–MT 6-11. Questi ultimi test consentono di valutare il livello raggiunto da ciascun alunno in compiti di lettura (Comprensione del testo, Correttezza/numero di Errori commessi e Tempo impiegato nella lettura di un testo campione) e di calcolo (Calcolo scritto, Conoscenza Numerica, Accuratezza e Rapidità nello svolgimento dei compiti di calcolo). Ad ogni prova vengono attribuiti punteggi standardizzati che permettono di valutare la performance del soggetto sia graficamente sia in termini di livelli di prestazione (Ottima, Sufficiente, Richiesta di Attenzione, Richiesta di Intervento Immediato). Analisi dei dati Allo scopo di confrontare le performance dei partecipanti sul funzionamento della WM e sul livello di apprendimento, i dati sono stati analizzati mediante quattro analisi della varianza multivariata (MANOVA) a un fattore, utilizzando come variabile indipendente a tre livelli lo stile di attaccamento (verso i genitori o verso l’insegnante) e come variabili dipendenti i subtest dell’AWMA o le prove di apprendimento. Allo scopo di valutare il grado di associazione tra le abilità della WM e il livello di apprendimento raggiunto dai bambini, sono stati calcolati dei coefficienti di correlazione di Pearson tra i subtest dell’AWMA e le prove di apprendimento. Allo scopo di valutare se il tipo di attaccamento modera la relazione tra le abilità della WM e il livello di apprendimento, sono state eseguite le analisi della moderazione suggerite da Baron e Kenny (1986). Inoltre, per interpretare gli effetti di moderazione, sono stati calcolati i coefficienti di correlazione di Pearson tra le sottoscale dell’AWMA e le sottoscale delle prove di apprendimento, in funzione del tipo di compito e dello stile di attaccamento. Per tutte le analisi è stato fissato un valore di α pari a .05.


612

N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

Risultati Effetto dello stile di attaccamento sulle variabili considerate Le analisi della MANOVA condotte sui subtest dell’AWMA non hanno evidenziato effetti significativi dello stile di attaccamento sia verso i genitori, lambda di Wilks = .847, F(12, 244) = 1.762, p = .055, sia verso l’insegnante, lambda di Wilks = .861, F(12, 244) = 1.576, p = .099. Le analisi della MANOVA condotte sulle prove di apprendimento hanno evidenziato effetti significativi dello stile di attaccamento sia verso i genitori, lambda di Wilks = .729, F(14, 242) = 2.955, p < .001, η2p = .146, sia verso l’insegnante, lambda di Wilks = .757, F(14, 242) = 2.585, p = .002, η2p = .130. Le successive analisi della Tabella 1. Punteggi medi alle prove di apprendimento (Lettura MT e Calcolo AC-MT) in funzione dello stile di attaccamento del bambino. Stile di attaccamento Prove di apprendimento

°Sicuro

$Insicuro

^ Ambiguo/ Disorganizzato

η2p

Genitori Lettura Comprensione

8.6a

7.5b

6.9b

.127***

Errori

1.9a

3.0a,b

4.0b

.102***

Tempo

103.5a

109.5a

132.8b

.085**

Calcolo scritto

72.4a

65.5a

49.7b

.115***

Conoscenza Numerica,

66.9a

54.5a,b

44.2b

.082**

Accuratezza

71.6a

66.3a,b

57.5b

.055*

Rapidità

47.1a

40.2a,b

31.1b

.052*

Calcolo

Insegnante Lettura Comprensione

8.1

7.4

7.4

.034

Errori

2.1a

3.4a,b

3.6b

.074***

Tempo

105.6

113.1

125.9

.043

Calcolo scritto

70.7a

62.1a,b

54.9b

.065*

Conoscenza Numerica,

62.3a

60.1a

40.7b

.093**

Accuratezza

67.3

65.1

64.4

.003

Rapidità

49.1a

35.5a,b

31.9b

.084**

Calcolo

Note. °n = 54; $n = 42; ^n = 34; *p < .05; **p < .01; ***p < .001; lettere uguali corrispondono a medie uguali (p < .05).


613

“WORKING MEMORY”, APPRENDIMENTO E ATTACCAMENTO

varianza univariata (ANOVA) hanno confermato che l’effetto dello stile di attaccamento verso i genitori si osserva in tutte le misure considerate, mentre lo stile di attaccamento verso l’insegnante influenza solo alcune misure (si veda Tabella 1). I post hoc condotti, con la correzione di Scheffè, hanno evidenziato che, indipendentemente dalla misura, i bambini classificati come “Sicuri” mostrano delle performance migliori rispetto a quelli classificati come “Ambigui/Disorganizzati”. Intermedia risulta essere la posizione degli “Insicuri”. Relazione tra WM e apprendimento L’analisi della correlazione ha messo in evidenza un’ associazione significativa tra le abilità di WM e le performance ottenute alle prove di apprendimento, sia di lettura sia di calcolo. I dati relativi alla prova di lettura evidenziano che le abilità della WM sono associate prevalentemente alle performance nella prova di Comprensione, sebbene in modo moderato, mentre sembrano non avere associazione con il numero di errori e con il tempo necessario per eseguire la prova. In particolare, sia i subtest Dot matrix, Listening recall e Spatial recall, sia i subtest che valutano il livello di elaborazione, Processing Listening recall e Processing Spatial recall, mostrano una correlazione positiva con la prova di Comprensione del testo (si veda Tabella 2). In tutti i casi, una maggiore abilità è associata a una maggiore capacità di comprensione del testo. Non significativa risulta essere la relazione tra il subtest Digit recall e l’abilità di lettura.

Tabella 2. Matrice di correlazione tra i punteggi riportati alle sottoscale dell’AWMA e le performance alle Prove di Lettura MT (N = 130). Prove di Lettura MT Subtest AWMA

Comprensione

Errori

Tempo

Digit recall

.106

.054

.032

Dot matrix

.164*

-.077

-.047

Listening recall

.198*

-.018

.081

Spatial recall

.164*

-.104

.057

Processing Listening recall

.221**

-.035

.073

Processing Spatial recall

.157*

-.026

.116

Note. *p < .05; **p < .01; ***p < .001.

I dati relativi alla prova di calcolo evidenziano che le abilità della WM sono associate prevalentemente alle performance nella prova di Conoscenza numerica, mentre sembrano non avere associazione con le performance nella prova di Calcolo scritto. In particolare, sia i subtest Dot matrix, Listening recall e Spatial recall, sia i subtest che valutano il livello di elaborazione, Processing Listening recall e Processing Spatial recall, mostrano una correlazione positiva con la scala Conoscenza numerica (si veda Ta-


614

N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

bella 3). Inoltre, i dati evidenziano una moderata relazione tra le scale visuo-spaziali Dot matrix e Spatial recall e, rispettivamente, la misura di accuratezza e la velocità di esecuzione della prova di calcolo. Non significativa risulta essere la relazione tra il subtest Digit recall e l’abilità di calcolo.

Tabella 3. Matrice di correlazione tra i punteggi riportati ai subtest dell’AWMA e le performance al Test di Valutazione delle abilità di Calcolo AC-MT 6-11 (N = 130). Prove di Calcolo MT Calcolo scritto

Conoscenza numerica

Accuratezza

Rapidità

-.083

.038

.073

.004

Dot matrix

-.050

.261**

.187*

.128

Listening recall

-.067

.246**

.111

.038

Spatial recall

.142

.371**

.052

.149*

Processing Listening recall

-.052

.198*

.079

.031

Processing Spatial recall

.091

.379**

.072

.078

Subtest AWMA Digit recall

Note. *p < .05; **p < .01; ***p < .001.

Analisi della moderazione SAT famiglia Per quanto riguarda le prove di lettura, le analisi condotte hanno messo in evidenza che lo stile di attaccamento con i propri genitori modera la relazione tra la memoria a breve termine verbale e l’abilità di lettura. In particolare, nel gruppo che mostra un attaccamento di tipo “Ambiguo/Disorganizzato”, si osserva che alti punteggi nel Digit recall sono associati a una riduzione degli errori, mentre una maggiore abilità nel subtest Listening recall è associata a un maggior tempo di esecuzione della prova (si veda Tabella 4). Negli altri due gruppi (“Sicuri” e “Insicuri”) i dati ricalcano l’andamento osservato nel campione complessivo. Per quanto riguarda le prove di calcolo, i dati non mostrano effetti di moderazione dello stile di attaccamento con i genitori e la capacità di apprendimento nei principali subtest dell’AWMA. L’unico effetto significativo si osserva per il subtest Processing Spatial recall. In particolare, il gruppo con un attaccamento di tipo “Ambiguo/Disorganizzato” evidenzia una maggiore associazione tra questa abilità e la prova di apprendimento relativa al giudizio di numerosità (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11), rispetto ai gruppi con attaccamento “Sicuro” e “Insicuro” (rispettivamente: r = .578, p < .01; r = .367, p < .01; r = .273, p < .05).


615

“WORKING MEMORY”, APPRENDIMENTO E ATTACCAMENTO

Tabella 4. Correlazioni tra i subtest dell’AWMA e le performance alle Prove di Lettura MT in funzione dello stile di attaccamento del bambino con i propri genitori (SAT famiglia). Attaccamento genitori Subtest AWMA

aSicuro

b Insicuro

cAmbiguo/ Disorganizzato

Comprensione °Digit recall

.055

.054

.335*

Dot matrix

.035

.191

.189

Listening recall

.133

.08

.238

°Spatial recall

.057

.056

.326*

Processing Listening recall

.064

.129

.363*

†Processing

-.003

.052

.452**

Spatial recall

Errori recall

.029

.239*

-.294

°Dot matrix

.290*

-.074

-.307*

Listening recall

-.029

.036

.124

Spatial recall

.038

-.086

-.118

Processing Listening recall

-.095

.127

-.067

Processing Spatial recall

.089

.013

-.059

†Digit

Tempo -.061

.202

Dot matrix

.137

-.081

-.034

†Listening

-.062

.035

.422**

Spatial recall

.169

.07

.135

Processing Listening recall

.019

.087

.257

Processing Spatial recall

.202

.2

.143

Digit recall

recall

.018

Note. an = 54; bn = 42; cn = 34; *p < .05; **p < .01; ***p < .001; †effetto di moderazione p < .05; °effetto di moderazione p < .10.

Analisi della moderazione SAT scuola Per quanto riguarda le prove di lettura, le analisi condotte hanno messo in evidenza che lo stile di attaccamento con l’insegnante modera la relazione tra la memoria a breve termine e abilità di lettura. In particolare, nel gruppo che mostra un attaccamento di tipo “Insicuro”, una maggiore abilità nel Digit recall, nel Listening recall, nello Spatial recall e nel Processing spatial recall è associata a una maggiore comprensione del testo (si veda Tabella 5). Inoltre, una tendenza simile si osserva per la prova


616

N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

Processing listening recall. Nel gruppo che mostra un attaccamento con l’insegnante di tipo “Ambiguo/Disorganizzato”, l’abilità nel Digit recall è associata a un minor numero di errori. Non si osservano altri effetti significativi. Per quanto riguarda le prove di calcolo, i dati mostrano che lo stile di attaccamento con l’insegnante influenza in modo marginale la relazione tra WM e apprendimento (si veda Tabella 6). In particolare, il gruppo con un attaccamento di tipo “Ambiguo/ Disorganizzato” evidenzia una maggiore associazione tra l’abilità nella prova di Spatial recall e la prova di apprendimento Rapidità (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11), rispetto ai gruppi con attaccamento “Sicuro” e “Insicuro”. Un effetto simile si osserva nell’associazione tra il subtest Processing listening recall e la prova di apprendimento Conoscenza numerica (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11) e tra il subtest Processing spatial recall e la prova di apprendimento Rapidità (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11). Infine, si osservano due tendenze alla moderazione del ruolo della memoria a breve termine verbale che riguardano il gruppo con attaccamento “Insicuro” verso l’insegnante. In particolare, questo gruppo mostra un’associazione non significativa tra il subtest Listening recall e la prova di apprendimento Conoscenza numerica (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11) e una relazione negativa tra Processing listening recall e l’abilità di Calcolo scritto (una delle prove di apprendimento del Test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11).

Tabella 5. Correlazioni tra i subtest dell’AWMA e le performance alle Prove di Lettura MT in funzione dello stile di attaccamento del bambino con l’insegnante (SAT scuola). Attaccamento insegnante Subtest AWMA

aSicuro

bInsicuro

cAmbiguo/ Disorganizzato

Comprensione -.035

.393**

.106

.074

.352*

.076

.037

.449**

.228

†Spatial recall

-.008

.418**

.095

°Processing Listening recall

.081

.411**

.239

-.068

.493**

.089

†Digit recall Dot matrix †Listening recall

†Processing Spatial recall

Errori †Digit recall

.257*

.037

-.293*

Dot matrix

-.050

.035

-.229


617

“WORKING MEMORY”, APPRENDIMENTO E ATTACCAMENTO

.030

.068

-.113

Spatial recall

.010

-.090

-.108

Processing Listening recall

-.012

.126

-.131

Processing Spatial recall

.106

.057

-.079

Listening recall

Tempo Digit recall

.232*

-.132

-.126

Dot matrix

.064

-.135

-.059

Listening recall

.038

.093

.199

Spatial recall

.314*

-.045

.000

Processing Listening recall

.049

.109

.145

Processing Spatial recall

.387**

.039

Note. an

= 54; ne p < .10.

bn

= 42;

cn

= 34; *p < .05; **p < .01; ***p < .001;

†effetto

di moderazione p < .05;

.002 °effetto

di moderazio-

Tabella 6. Correlazioni tra i subtest dell’AWMA e le performance al test di Valutazione delle abilità di calcolo AC-MT 6-11 in funzione dello stile di attaccamento del bambino con l’insegnante (SAT scuola). Attaccamento insegnante Subtest AWMA

aSicuro

bInsicuro

cAmbiguo/ Disorganizzato

Calcolo scritto Digit recall

-.102

-.012

-.110

Dot matrix

-.017

-.143

-.090

Listening recall

.041

-.243

-.161

Spatial recall

.005

.042

.264

°Processing Listening recall

.045

-.315*

-.035

Processing Spatial recall

-.011

-.034

.172

Conoscenza numerica Digit recall

.063

-.019

.055

Dot matrix

.158

.231

.404**

°Listening recall

.370**

-.051

.308*

Spatial recall

.260*

.312*

.411**

†Processing Listening recall

.304*

-.175

.373*

Processing Spatial recall

.292*

.295*

.475**


618

N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

Accuratezza Digit recall

.093

.109

-.004

Dot matrix

-.007

.387**

.304*

Listening recall

.217

.059

-.087

Spatial recall

-.086

.239

.163

Processing Listening recall

.159

-.050

.047

Processing Spatial recall

-.087

.272*

.132

Rapidità Digit recall

-.084

.032

.247

Dot matrix

.053

.142

.217

Listening recall

-.049

.029

.153

†Spatial recall

-.152

.145

.496**

-.111

-.047

.272

-.295*

.135

.440**

Processing Listening recall †Processing Spatial recall

Note. an = 54; bn = 42; cn = 34; *p < .05; **p < .01; ***p < .001; †effetto di moderazione p < .05; °effetto di moderazione p < .10.

Conclusioni I risultati di questo studio confermano quanto riportato in letteratura sul ruolo della WM sull’apprendimento. Infatti, dalle analisi dei dati effettuate si è osservata un’associazione significativa e positiva tra le abilità di WM e le performance ottenute alle prove di apprendimento, sia di lettura sia di calcolo. I dati raccolti indicano che le abilità di WM influenzano prevalentemente la comprensione del testo e la conoscenza numerica, ossia l’abilità dei bambini nella trasformazione in cifre, nella disposizione di cifre in ordine crescente e decrescente e, infine, nel giudicare quale tra due numeri è il più grande. L’aspetto innovativo messo in evidenzia da questo studio è che le performance di apprendimento non sono sempre legate alle abilità di WM. Infatti, i dati osservati indicano che i MOI moderano tale relazione. Questo effetto è ancora più rilevante se si considera che lo stile di attaccamento non influenza il funzionamento della WM, mentre sembra avere una relazione con le performance alle prove di apprendimento. In particolare, le analisi condotte hanno messo in evidenza che lo stile di attaccamento con i propri genitori modera la relazione tra la memoria a breve termine verbale e l’abilità di lettura, mentre, relativamente alle abilità di calcolo, l’effetto si osserva tra la componente di processamento spaziale (Processing spatial recall) e la conoscenza numerica (Giudizio di numerosità). In definitiva, mentre nei soggetti con attaccamento “Sicuro” e “Insicuro” la relazione tra WM e performance è meno forte, nel gruppo con uno stile di attaccamento “Ambiguo/Disorganizza-


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to” l’associazione tra la WM e la performance diventa maggiormente rilevante. Allo stesso modo, lo stile di attaccamento con l’insegnante modera la relazione tra la memoria a breve termine e abilità di lettura e, in modo marginale, la relazione tra WM e abilità di calcolo. In particolare, quando l’attaccamento verso l’insegnante è di tipo “Insicuro” si osserva una maggiore associazione tra la WM (nei subtest Digit recall, Listening recall, Spatial recall e Processing spatial recall) e la capacità di comprensione del testo, mentre negli altri due gruppi WM e performance sembrano del tutto indipendenti. Per quanto riguarda le prove di calcolo, i dati mostrano che un attaccamento di tipo “Ambiguo/Disorganizzato” è caratterizzato da una forte associazione tra l’abilità nella prova di Spatial recall e la prova di apprendimento Rapidità, tra il subtest Processing listening recall e la prova di apprendimento Conoscenza numerica e tra il subtest Processing spatial recall e la prova di apprendimento Rapidità, mentre negli altri due gruppi WM e performance sembrano del tutto indipendenti. Le relazioni bambino-genitore e bambino-insegnante hanno la funzione di regolare lo sviluppo delle abilità emotive e scolastiche, esercitando una notevole influenza sull’espressione, il deficit o il potenziamento delle competenze del bambino. Questi dati non lo disconfermano, confluendo in una concezione developmental in cui i disturbi psicopatologici, neuropsicologici e cognitivi in età evolutiva sono interconnessi (Levi, 2007). Riassunto Numerosi studi presenti in letteratura evidenziano una marcata associazione tra deficit della Memoria di Lavoro (ML) e disturbi dell’apprendimento nei bambini. Le abilità della ML influiscono, in particolar modo, sull’apprendimento del linguaggio scritto e dell’aritmetica. Sulla base degli studi effettuati nell’ambito della Teoria dell’Attaccamento è possibile evidenziare che bambini con un attaccamento sicuro con il proprio caregiver e/o con il/la proprio/a insegnante, dimostrano migliori capacità nell’espressione e nel riconoscimento emotivo, nel comportamento prosociale, nelle attività ludico-cognitive, nell’acquisizione di concetti base, nell’adattamento scolastico e nello sviluppo linguistico-espressivo. Nel presente studio – sulla base di uno studio pilota precedente – è stata valutata empiricamente la presenza di relazioni significative tra i risultati ottenuti in una serie di prove cognitive (quantificanti la ML), prove di apprendimento e lo stile di attaccamento dell’alunno (sia con i propri genitori sia con la propria insegnante). Il campione reclutato è composto da 130 bambini fra i 6 e i 7 anni ai quali, previo consenso dei genitori e delle scuole, sono stati somministrati il TVL - Test di Valutazione Linguistica, la versione breve dell’AWMA (Automated Working Memory Assessment), il SAT – Separation Anxiety Test – nelle versioni famiglia e scuola e le Prove MT – calcolo e lettura. I risultati evidenziano l’assenza di deficit o disfunzioni nello sviluppo linguistico dei soggetti, una correlazione significativa tra le performance di apprendimento e le prove verbali e visuo-spaziali valutate dall’AWMA e un effetto di moderazione dello stile di attaccamento sulla correlazione stessa. Parole chiave Memoria di lavoro – Apprendimento – Attaccamento.


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N. DEL VILLANO - R. PERRELLA - V.P. SENESE ET AL.

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I Disturbi della Comprensione del Testo: un nuovo cluster di Disturbi Specifici dell’Apprendimento The Poor Comprehenders: a new cluster of Learning Disabilities Letizia Piredda*, Nausica Ranucci**, Chiara Gabaglio*, Gabriel Levi*

Summary A subgroup of children coming to our attention for learning troubles have a considerable difficulty comprehending text, despite having age-appropriate levels of reading accuracy and fluency. Based on clinical experience and literature, we know that Poor Comprehenders may have different levels of impairment in language and cognitive skills involved in the process of comprehension. To investigate the neuropsychological profile of Poor Comprehenders we have analyzed two cases of 12 years old children: one in which the difficulty is circumscribed to the reading comprehension; the other in which there are difficulties in comprehension of both oral and written language. The study of Poor Comprehenders has positive implications both in terms of early diagnosis and for the activation of targeted rehabilitative interventions, so as to reduce the risk of cognitive impairment, which is still high. Key words Poor Comprehender – Reading Comprehension – Oral Comprehension - Semantic Developmental Language Disorder.

Introduzione A partire dagli otto anni un bambino si misura con un compito di estrema complessità: la comprensione del testo. La complessità di questa competenza è data da: – la contemporaneità dei processi in atto (di basso e alto livello); – l’intervento di competenze linguistiche (lessicali e sintattiche) e competenze cognitive di 2° livello (meta) e della memoria di lavoro. Nella comprensione del testo il bambino deve veicolare le competenze linguistiche specifiche già maturate a livello orale: in particolare deve integrare le informazioni semantiche con il ragionamento inferenziale, deve inoltre controllare alcuni processi linguistici specifici per collegare tra loro le informazioni in entrata (riferimento anaforico, uso del contesto, struttura narrativa della storia); infine deve collegare e integrare tra loro le informazioni in entrata con le conoscenze possedute. Tra comprensione orale e comprensione del testo scritto, il passaggio è dato da * Dipartimento ** TNPEE

di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma. – Libera Professionista.


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una maggiore solidità dei singoli sotto processi, da un funzionamento adeguato della memoria di lavoro, che serve per fissare le informazioni in entrata, mantenerle in memoria e consentirne poi l’elaborazione e dallo sviluppo delle competenze meta cognitive che svolgono una funzione di controllo e di verifica del processo in atto. In generale quello che caratterizza la comprensione del testo scritto è una maggiore esaustività dei processi ed una maggiore chiusura degli schemi inferenziali. Il processo di decodifica, che in fase iniziale interferisce e sovraccarica il processo di comprensione, in fase intermedia non dovrebbe più interferire, dato che arriva ad automatizzarsi completamente. In precedenti lavori, basandoci sul modello clinico delle funzioni emergenti (Levi, 1984, 2011), abbiamo individuato nell’ambito dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) ad emergenza tardiva,un sottogruppo con una buona comprensione del testo, che presentava una difficoltà nella costruzione del testo scritto, dovuta probabilmente a un disfunzionamento delle competenze metalinguistiche di tipo lessicale sintattico (Piredda et al., 2002; Penge e Piredda, 2009). È un dato ormai acquisito che i Disturbi Specifici di Apprendimento sono dei disturbi multistadio (Levi, 1984, 2011) che emergono in fasi evolutive diverse e che presentano nuclei di difficoltà e dissociazioni differenti in funzione del momento di emergenza. L’ipotesi che avevamo formulato era che le difficoltà presenti nei bambini DSA nell’organizzazione del testo scritto fossero riconducibili, almeno in parte, ad una difficoltà metalinguistica generale che si esprime nel tempo con modalità diverse: – in fase iniziale a livello fonologico; – in fase tardiva a livello lessicale e sintattico, che incide “sui processi di integrazione logico-linguistici e sugli usi meta cognitivi del pensiero verbale” (Levi, 2011) e quindi con i processi di comprensione e di pianificazione del testo scritto. Più di recente abbiamo notato che, tra i ragazzi che vengono segnalati, spesso tardivamente, al nostro Centro, per una difficoltà di apprendimento, un numero ristretto, ma in aumento, presenta, come nucleo centrale del disturbo, una caduta selettiva molto sostenuta nella comprensione del testo, in assenza di difficoltà nella decodifica. La difficoltà di comprensione si accompagna in modo ricorrente a difficoltà di pianificazione del testo scritto, e a difficoltà di ragionamento logico-matematico (con o senza difficoltà di calcolo). Probabilmente questo sottogruppo di ragazzi DSA costituisce un cluster a se stante, rispetto al precedente (con difficoltà nella costruzione del testo scritto), proprio per la selettività del disturbo in comprensione, né ci sembra sovrapponibile al gruppo molto più ampio dei disturbi di apprendimento aspecifici, dove confluiscono bambini a funzionamento cognitivo borderline (BL), con ritardo cognitivo lieve, con disturbi relazionali ad alto funzionamento o con svantaggio socio-culturale. Questo sottogruppo DSA si caratterizza anche per altri aspetti,su cui vale la pena soffermarci, in quanto possono aiutarci a comprendere meglio l’origine di questo disturbo. Anzitutto la segnalazione tardiva: infatti sono relativamente pochi i ragazzi con Disturbo di Comprensione del Testo (DCT) in fase intermedia (2° ciclo della scuola


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primaria), mentre il numero prevalente appartiene alla fase avanzata (scuola secondaria inferiore di 1°grado). In secondo luogo i dubbi diagnostici ricorrenti, che sono emersi nel corso della valutazione neuropsicologica, che riguardavano: – il quoziente intellettivo: per molti casi è sorto il sospetto che si trattasse di borderline cognitivi; – nella maggior parte dei casi è stato difficile se non impossibile ricostruire la storia clinica di questi soggetti data la tardività della segnalazione. D’altra parte in molti casi sono emersi indici che deponevano per un pregresso ritardo di linguaggio o un Disturbo Specifico di Linguaggio (DSL) lieve, probabilmente di tipo semantico, che è rimasto silente nel tempo. Sappiamo che in generale tra i DSL in età prescolare, sono proprio quelli di tipo semantico che tendono a non essere riconosciuti, in quanto non essendo colpite le competenze fonologiche, non si evidenziano difficoltà rilevanti nella produzione orale. Con l’apprendimento della lettura, in fase iniziale, dove prevalgono i processi di decodifica, non si riscontrano difficoltà significative; solo in fase intermedia quando le competenze lessicali e sintattiche assumono un ruolo centrale nel processo di lettura, a livello di comprensione del testo, possono insorgere le prime difficoltà. Spesso però queste difficoltà non vengono riconosciute perché il bambino sa leggere e in generale, sia in ambito scolastico che in ambito familiare, prevale l’idea che il fatto di saper leggere vada di pari passo con la capacità di saper comprendere quello che si legge. Soltanto in fase avanzata, quando ormai le richieste scolastiche passano non solo per la comprensione (e la produzione) del testo scritto, ma iniziano a formalizzarsi a livello di metodologia di studio, le difficoltà presentate dal ragazzo acquistano una visibilità che in molti casi porta alla segnalazione. Il rischio a cui vanno incontro questi ragazzi è quello di sommare difficoltà “a valanga” e questo spiegherebbe la caduta grave nella comprensione del testo; inoltre il protrarsi di continui insuccessi scolastici dovuti a difficoltà silenti non riconosciute, potrebbe portare a un deterioramento cognitivo con un funzionamento di tipo borderline. Da una breve revisione della letteratura ci risulta che alcuni autori considerano il DCT un cluster clinico e diagnostico indipendente sia rispetto ai disturbi di comprensione da ascolto (orale), sia rispetto ai disturbi di decodifica (Disturbo Specifico di Apprendimento “classico” o Dislessia). Su questo punto gli autori non sono concordi: alcuni sostengono che il DCT possa esprimersi sia nella comprensione orale (CO), sia nella comprensione del testo scritto (CT) (Stothard e Hulme, 1992; Joshi et al., 1998), altri sostengono che il DCT si caratterizza solo per una difficoltà nella comprensione del testo scritto (Cain e Oakill, 2003) (vedi Padovani, 2006 per una rassegna sull’argomento). Per quanto riguarda la separabilità tra processi di decodifica e processi di comprensione, è stata evidenziata da studi recenti (Nation, 2010) e da situazioni cliniche ben conosciute:


I DISTURBI DELLA COMPRENSIONE DEL TESTO

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a) i bambini che presentano un DSA di tipo “classico” o dislessia, presentano difficoltà nei processi di decodifica con una comprensione del testo fondamentalmente integra; b) bambini con Ritardo Mentale Lieve o con Disturbi dello Spettro Autistico ad alto funzionamento presentano un quadro di iperlessia speculare al precedente: i processi di decodifica sono integri ma è presente una caduta importante nella comprensione del testo. Anche i dati clinici sui DCT, da noi raccolti, presentano situazioni a favore di una separabilità tra CO e CT: infatti abbiamo individuato casi in cui sembra compromessa soltanto la CT e casi in cui la compromissione è sia nella CO che nella CT. In entrambi i casi il profilo neuropsicologico del DCT presenta cadute sovrapponibili o evolutivamente compatibili con le difficoltà nell’area linguistica che vengono riscontrate in età prescolare in bambini con Disturbo Specifico di Linguaggio (DSL) Espressivo di tipo Semantico (Bishop e Snowling, 2004; Fabrizi e Penge, 2009). Dall’insieme delle considerazioni fatte è possibile avanzare una seconda ipotesi che vede una continuità evolutiva tra DSL Semantico e DCT: secondo questa ipotesi alcuni ragazzi che presentano un DCT in età scolare, possono aver presentato un DSL di tipo Semantico, rimasto silente nel tempo, che ha prodotto delle difficoltà “a valanga” nella comprensione del testo, evidenziate solo in fase scolare avanzata. In base alle riflessioni fatte è possibile formulare alcuni quesiti ed ipotesi cliniche. Qual è il profilo neuropsicologico dei bambini e ragazzi con Disturbo Specifico di Comprensione del Testo? Le difficoltà del DCT sono specifiche per il linguaggio scritto o sono indice di una difficoltà più trasversale della comprensione linguistica orale? È possibile che un disturbo assuma connotazioni diverse in funzione della fase evolutiva in cui emerge? Riprendiamo qui di seguito le due ipotesi che abbiamo formulato rispetto al DCT: a) si tratta di bambini con una fragilità linguistica che sono riusciti a tenere nella fase iniziale del processo di lettura, ma presentano difficoltà nella fase intermedia, in coincidenza con un aumento della complessità del compito, quando il peso delle competenze cognitive e linguistiche di secondo livello acquista un ruolo preponderante all’interno del processo; b) si tratta di un disturbo secondario con alla base un pregresso ritardo del linguaggio o un Disturbo Specifico di Linguaggio di grado lieve di tipo Semantico che è rimasto silente nel tempo, producendo difficoltà nella comprensione del testo visibili soltanto in fase tardiva. Per approfondire le tematiche e le ipotesi proposte, presentiamo due casi clinici con DCT in fase avanzata con profili clinici iniziali diversi: a) un caso con difficoltà sia nella comprensione orale che nella comprensione scritta; b) un caso con difficoltà esclusivamente nella comprensione del testo scritto. Presentiamo la valutazione iniziale dei due casi.


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I casi clinici Prima della presentazione dei casi, è utile fare alcuni precisazioni metodologiche. Nelle prove di comprensione del testo orale-scritto, abbiamo considerato oltre le domande, la produzione orale del racconto ascoltato o letto, che abbiamo chiamato “Riassunto Orale”. Sappiamo che questa richiesta implica un livello di competenze più alto, ma ci è sembrato utile proporla in quanto ci consente di analizzare le strategie attivate per arrivare ad una rappresentazione del testo ascoltato o letto. Nella presentazione dei casi clinici seguiremo lo schema seguente: – Dati relativi alla valutazione preliminare. – Dati relativi alla valutazione approfondita della comprensione. Tutte le prove sono state somministrate individualmente. Per le prove di comprensione del testo orale-scritto abbiamo richiesto nell’ordine: – il riassunto orale; – le domande di comprensione (aperte per il racconto orale, a scelta multipla per il testo letto). Per l’analisi del riassunto orale (dopo ascolto o dopo lettura) abbiamo seguito i seguenti parametri: – STRUTTURA NARRATIVA: sequenza temporale/causale. – CONTENUTO: controllo degli aspetti narrativi (personaggi, luoghi, tempi, azioni), controllo dei nessi logico-causali, inferenziali e impliciti; livello di esplicitazione verbale. – STRATEGIE SEMANTICO – CONCETTUALI di elaborazione del testo: si considera la presenza di unità di significato (relazioni, associazioni, contrapposizioni) che rientrano all’interno di una rete cognitiva di significati di tipo routinario (relativa a conoscenze personali o script convenzionali) o di tipo costruttivo (relativa ai contenuti testuali). Si valuta il livello di congruenza delle unità di significato rispetto al testo. – STRATEGIE SEMANTICO - LESSICALI di elaborazione del testo: si considera il tipo di lessico selezionato rispetto al significato espresso e si valutano le eventuali atipie semantico-lessicali. Caso 1: Silvia S. è una ragazza di 12,3 aa. che frequenta la prima classe della scuola secondaria di primo grado. Dalla raccolta dei dati della valutazione emerge il seguente profilo: WISC-III (Wechsler, 2006): QIV 88; QIP 102; QIT 94. Prove di MBT verbale: – Memoria di cifre: a) span in avanti = 6, b) span indietro = 4. – Memoria di liste di parole: span medio di 6 termini con utilizzo strategie utili al compito (categorizzazione, assonanza meta fonologica). Prova di Comprensione del Testo: M.T. 1° Media finale “Il re che doveva morire” (Cornoldi e Colpo, 1995).


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– Riassunto orale: riportiamo una tabella di confronto tra testo originale del brano e riassunto orale prodotto (Tabella 1). Tabella 1. TESTO ORIGINALE

RIASSUNTO ORALE

Una volta un re doveva morire. Era un re assai potente, ma era malato a morte e si disperava: – Possibile che un re tanto potente debba morire? Che fanno i miei maghi? Perché non mi salvano? Ma i maghi erano scappati per paura di perdere la testa. Ne era rimasto uno solo, un vecchio mago a cui nessuno dava retta, perché era piuttosto bislacco e forse anche un po’ matto.

C’era una volta un re molto giudizioso, era subito pronto a criticare qualsiasi persona che lo circondava.

Da molti anni il re non lo consultava, ma stavolta lo mandò a chiamare. – Puoi salvarti – disse il mago – ma ad un patto: che tu ceda per un giorno il tuo trono all’uomo che ti somiglia più di tutti gli altri. Lui, poi, morirà al tuo posto. Subito venne fatto un bando in tutto il reame: “Coloro che somigliano al re si presentino a Corte entro ventiquattr’ore, pena la vita”. Se ne presentarono molti: alcuni avevano la barba uguale a quella del re, ma avevano il naso un tantino più lungo o più corto, e il mago li scartava; gli altri somigliavano al re come un’arancia somiglia a un’altra nella cassetta del fruttivendolo, ma il mago li scartava perché gli mancava un dente, o perché avevano un neo sulla schiena. – Ma tu li scarti tutti – protestava il re col suo mago – lasciami provare con uno di loro, per cominciare. – Non ti servirà a niente – ribatteva il mago. Una sera il re e il suo mago passeggiavano sui bastioni della città, e a un tratto il mago gridò: – Ecco l’uomo che ti somiglia più di tutti gli altri! E così dicendo indicava un mendicante storpio, gobbo, mezzo cieco, sporco e pieno di croste. – Ma come è possibile – protestò il re – tra noi due c’è un abisso. – Re che deve morire – insisteva il mago – somiglia soltanto al più povero, al più disgraziato della città. Presto, cambia i tuoi vestiti con i suoi per un giorno, mettilo sul trono e sarai salvo.

Un bel giorno alla sua corte venne un povero mendicante chiedendo aiuto. Questo povero mendicante era tutto sporco, volgare e soprattutto era pieno di bolle e croste sulla schiena.

Ma il re non volle assolutamente ammettere di asso- Il re cercava di porre rimedio alla tragedia del povero migliare al mendicante. mendicante ma non era particolarmente attirato, e preTornò al palazzo tutto imbronciato e quella sera feriva dedicarsi ad altro. stessa morì, con la corona in testa e lo scettro in pugno.


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Dall’analisi della produzione orale in seguito a lettura si rileva: – Struttura narrativa: mantenimento della macrosequenza del racconto (inizio, nucleo centrale, fine) seppur rielaborata e con importanti lacune; nel patrimonio delle conoscenze personali sembra presente lo script tipico di una sequenza narrativa, ma tale strumento risulta povero e viene utilizzato in modo poco flessibile, con difficoltà ad integrare informazioni esterne, adattandone la struttura; importante lacuna nella sequenza centrale che riporta i contenuti più inferenziali. – Contenuto: bassa precisione nella rievocazione degli elementi narrativi principali: omissione di un personaggio principale (mago), genericità nei luoghi (corte); ridotto il controllo e le capacità di esplicitazione di nessi e significati inferenziali ed impliciti; sono infatti presenti omissioni in varie sequenze e soprattutto a livello del nucleo centrale della storia. Rielaborazione degli eventi con inserimento di contenuti personali (è il mendicante che arriva a corte; è il mendicante che chiede aiuto al re) ed elaborazione di una sequenza finale completamente incongrua. – Strategie semantico-concettuali: mantenimento e costruzione spontanea di associazioni semantico-cognitive semplici, proprie di strutture narrative (script della favola): ad es. tra le associazioni mantenute ricordiamo corte-re; mendicante-sporco-croste; tra le associazioni nuove incongrue rispetto al testo: re-giudizioso in contrasto con quanto detto dopo (re pronto a criticare); mendicante-volgare; mendicante-chiede aiuto- re-porre rimedio. Tali associazioni risultano convenzionali rispetto ai contenuti delle favole. – Strategie semantico-lessicali: trasposizione e sovraestensione di significati lessicali: ad esempio, re potente-re giudizioso; re pronto a criticare – re “lasciato solo”; imbronciato – non era particolarmente attirato. Le strategie utilizzate per ricostruire la struttura e il contenuto, cognitive e semantiche, creano dei conflitti di coerenza a vari livelli nella rielaborazione: ad es. a livello lessicale-semantico, il re è sia “giudizioso” che “pronto a criticare”; a livello di contenuto generale, è il mendicante che chiede aiuto ed il re che si impegna a porre rimedio e tale concetto non consente di ricostruire invece il corretto nesso causale presente nel racconto. Rispetto a tali conflitti non vengono attivate competenze metacognitive di controllo, monitoraggio o correzione. Nelle domande in CT: risponde correttamente a 2/10 domande con prestazione <1° decile. Rispetto alla caduta riscontrata nella comprensione del testo, si è proceduto alla somministrazione di 2 prove di approfondimento della CO: – Racconto orale: “Il cagnolino” F2 (ascolto) (Penge e Feo, 2001). – Prova di Denominazione su presentazione visiva (BVN 5-11) (Bisiacchi et al., 2005). Il cagnolino (F2) – Racconto Orale (Tabella 2).


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Tabella 2. CONTENUTO ORIGINALE

RIASSUNTO ORALE

C’era un cagnolino randagio, che viveva libero per le strade di un paese di campagna. Un giorno, mentre andava in cerca di cibo, vide passare un carro trainato da un cavallo che avanzava al piccolo trotto. Bobby, così si chiamava il cagnolino, curioso decise di seguirlo; e fu così che fece al suo fianco un bel tratto di strada. Improvvisamente, da una fattoria, sbucò un enorme cagnaccio che abbaiava furioso, pronto ad attaccarlo e forse a morderlo. Bobby si spaventò e decise di mettersi in salvo; quindi girò dietro al carretto e con un agile salto balzò dentro. Così quando passò davanti al cagnaccio non ebbe più paura, perché lo poteva vedere dall’alto in basso pur essendo più piccolo di lui. Appena il carretto ebbe girato l’angolo della strada il cagnolino saltò giù e riprese il cammino per conto suo, contento di poter riprendere la libera corsa nei campi.

C’era questo cagnolino che stava su un carro

e allora quando il carro passò davanti alla fattoria, allora davanti alla fattoria c’era il cane che gli abbaiò e Bobby lo ignorò e risaltò su sul carretto. Appena girata la strada, (esitazione lunga) non mi ricordo cosa succede (esitazione lunga), arriva dove doveva arrivare.

Dall’analisi della produzione verbale in seguito ad ascolto si rileva: – Struttura narrativa: mantenimento della macrosequenza del racconto a livello superficiale (inizio, nucleo centrale, conclusione); scendendo ad un livello più approfondito di analisi della sequenza si rilevano lacune importanti e imprecisioni nell’ordine degli eventi sia a livello temporale che causale. – Contenuto: mantenimento degli elementi narrativi principali: personaggi (cagnolino, cane che abbaia), luoghi (carro, fattoria, strada); ridotto il controllo e le capacità di esplicitazione di nessi e significati inferenziali ed impliciti. – Strategie semantico - concettuali: mantenimento e costruzione spontanea di associazioni semantico-cognitive (concettuali) semplici, routinarie; ad es: tra le associazioni mantenute ricordiamo carro-fattoria, fattoria-cane, cane-abbaiare, cagnolino-carro; tra le associazioni nuove routinarie ricordiamo: girare la strada-arrivare. – Strategie semantico - lessicali: trasposizioni e rielaborazione incongrue di significati verbali: all’inizio colloca il cagnolino già sul carretto (trasposizione e incongruenza semantica); usa il verbo “ignorare” per definire un significato più ampio (sovraestensione semantica); usa “risaltò” non avendo specificato prima l’azione precedente. Nelle domande in comprensione, risponde correttamente a 4/8 item, con difficoltà nel controllo di nessi logico-causali e contenuti inferenziali. Prova di Denominazione su presentazione visiva (BVN 5-11) (Bisiacchi et al., 2005): punteggio grezzo 11, punteggio standardizzato (per la fascia d’età 10,7 – 11,6


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aa) di 73,7; ds. -1, 78. Tra le risposte non corrette sono presenti 4 generalizzazioni per area semantica e 5 item non vengono denominati (difficoltà nel recupero lessicale, amnesiae nominum). In sintesi, rileviamo la presenza di difficoltà linguistiche, in particolare nell’area lessicale- semantica. Il livello di comprensione del testo appare maggiormente vicino alle classi intermedie della scuola primaria; non si rilevano sostanziali differenze di prestazione tra la comprensione del testo e la comprensione da ascolto di un brano, entrambe deficitarie. Risulta interessante la capacità di utilizzare uno script convenzionale per riportare le macrosequenze dei racconti, accompagnata però dalla difficoltà di adattarne la struttura alle informazioni esterne. È presente una strategia di pianificazione del testo definibile “a riempimento”: laddove non ricorda o non riesce ad essere precisa dal punto di vista sequenziale o semantico, inserisce contenuti di rielaborazione personale, facendo riferimento al proprio limitato patrimonio (script povero e poco flessibile, lacune nell’area semantica sia concettuale che lessicale, ecc.). Risultano scarsamente attive funzioni di monitoraggio metacognitivo della comprensione e della congruenza dei significati in produzione. Caso 2: Riccardo R. è un ragazzo di 12,6 aa. che frequenta la seconda classe della scuola secondaria di primo grado. Dalla raccolta dei dati della valutazione emerge il seguente profilo: WISC-III (Wechsler, 2006): QIV 92; QIP 102; QIT 96. Prove di MBT verbale: – Memoria di cifre: a) span in avanti = 5, b) span indietro = 4. – Memoria di liste di parole: span medio di 5,5 termini. Prova di Comprensione del Testo: M.T. 2 Media finale “Grande Corvo” (Cornoldi e Colpo, 1995). – Riassunto orale: riportiamo una Tabella di confronto tra testo originale del brano e riassunto orale prodotto (Tabella 3). Dall’analisi della produzione verbale in seguito alla lettura si rileva: – Struttura narrativa: difficoltà nella ricostruzione/mantenimento della corretta sequenza degli eventi. – Contenuto: rievoca correttamente i principali personaggi, con alcune difficoltà ad associare il giusto ruolo o azione (meccanismo anaforico per costruire collegamenti nel testo). Nonostante la complessità del testo, vengono rievocati alcuni degli eventi principali del racconto. Presenti lievi difficoltà nella comprensione di contenuti inferenziali (perché Massachussets decide di andare via). Si osserva una difficoltà nel mantenere la coesione del racconto durante l’esposizione orale. – Strategie semantico - concettuali: nella rievocazione delle informazioni si osserva discreta capacità di selezione, con lieve tendenza alla rievocazione di particolari. – Strategie semantico - lessicali: assenza di atipie specifiche.


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Tabella 3 CONTENUTO ORIGINALE Le ferite di Tommy River guarirono completamente nel giro di una ventina di giorni. E intanto, tutti i coloni avevano lasciato Forte St. Louis, diretti alle loro fattorie, ai loro campi. A parte una incursione, fatta per rubare qualche capo di bestiame, i Cheyennes erano rimasti tranquilli nella loro riserva. Durante l’incursione, però, un indiano era stato catturato da una pattuglia di soldati. Ora entrava nel forte, a cavallo, con le braccia legate dietro la schiena. Tommy stava con Massachusetts davanti al saloon. Accennò al prigioniero che avanzava, impassibile, tra i soldati, e chiese: – Che gli faranno, Massachusetts? Il vecchietto si passò una mano sulla barba grigia: – Beh, credo che gli daranno dieci frustate, e un paio di mesi di galera … Questa è la pena, Tommy. Quando, beninteso, i ladri non siano riusciti a rubare bestiame. Se, invece, hanno portato via un paio di vitelli … beh, allora le cose si complicano. Li rinchiudono anche per cinque anni. O li deportano nell’Est – Massachusetts scosse il capo – Ho visto anche degli indiani impiccati per un vitellino, Tommy – aggiunse. – Finiremo per sterminarli tutti – mormorò allora Tommy – Ma sono guerrieri, loro, e non si faranno distruggere senza lottare. E così, ci saranno ancora guerre e guerre … – Beh, non state a prendervela, Tommy! E le guerre, per mille pipe, le guerre noi non le faremo più. È vicino il giorno in cui appenderemo fucile e pistola ad un chiodo del solaio! – Vorrei che quel giorno fosse già arrivato. Intanto, l’indiano era giunto alla prigione del forte, in fondo, sul lato nord. Lo fecero smontare, lo gettarono brutalmente oltre una porta. Massachusetts si calcò il cappello sulla fronte: – Beh, vado dai miei ragazzi; credo che non si lavino da cinque o sei giorni…

RIASSUNTO ORALE

Un giorno … non mi ricordo chi è che ha rubato il bestiame … chi è che viene impiccato Un giorno Massa rubò il bestiame ma venne scoperto da delle guardie …

Allora un bambino di nome Tommy venne a sapere che Grande Corvo venne portato via dalle guardie.

Allora questo Massa va a dire a Tommy che al massimo gli potevano dare 10 frustate e 5 giorni … ehm 3 mesi di galera.


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Tommy andò a prendere Chico, e uscì dal forte per una lunga cavalcata solitaria. Tornò verso le tre del pomeriggio. Nella stalla, trovò Massachusetts. Era scuro in viso. Stava sellando i suoi due cavalli. – Che fate, Massachusetts? Portate i ragazzi a spasso? Il vecchietto scosse il capo: – No, Tommy. Me ne vado. Il giovane, che stava legando Chico, si rabbuiò in viso: – Ve ne andate? … Ma … – Prima ce ne andiamo, meglio è. È per via di quell’indiano. Non mi va che i miei ragazzi sappiano che gli uomini fanno certe cose. Tommy scosse il capo: – Via, Massachusetts! Anche se i vostri ragazzi sapranno che ai ladri di bestiame vengono date dieci frustate, non ne rimarranno sconvolti. I ragazzi crescono presto, nell’Ovest … Il vecchietto fissò acutamente Tommy: – Come – chiese – non sapete, Tommy? – Sapere? Cosa? – Lo impiccano. Il giovane strinse le redini di Chico; le strinse fino a quando le nocche delle dita non divennero bianche. Guardò a lungo Massachusetts, prima di dire: – Lo impiccano perché ha tentato di rubare del bestiame? Massachusetts trasse un lungo, profondo sospiro, e continuò a sellare i cavalli. – Quella è l’accusa, Tommy. Ma la ragione è un’altra. Sapete chi è quell’indiano? – chiese poi, abbassando la voce. Tommy scosse il capo. – È Grande Corvo – sussurrò il vecchietto – sicuro! Il figlio di Aquila Pazza, il capo dei Cheyennes Neri.

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*

E allora dopo un po’ Tommy venne a sapere che Grande Corvo deve essere impiccato.

Alla fine Tommy scopre che Grande Corvo è figlio di Aquila Pazza, il capo dei Cheyennes. * Massa non vuole che i suoi figli sappiamo che gli uomini fanno certe cose … rubano il bestiame.

Nelle domande in CT: risponde correttamente a 3/12 domande con prestazione <1° decile. Rispetto alla caduta riscontrata nella comprensione del testo, si è proceduto alla somministrazione di due prove di approfondimento della CO: – Racconto Orale: “Il ladro di galline” C2. – Prova di Denominazione su presentazione visiva (BVN 5 – 11) (Bisiacchi et al., 2005). Il ladro di galline (C2) – Racconto orale (Tabella 4).


I DISTURBI DELLA COMPRENSIONE DEL TESTO

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Tabella 4 TESTO ORIGINALE

RIASSUNTO ORALE

Un giorno una contadina viene derubata delle galline, che sta ingrassando per Natale.

C’era questa vecchia anziana che voleva fare ingrassare una gallina per Natale poiché non sa che è stata rubata. Corre subito alla stazione di polizia e gli dice cosa è sucQuando se ne accorge, infuriata corre alla stazione cesso di Polizia per denunciare il furto e scoprire il ladro. Tutti gli abitanti del paese vengono riuniti dal poliziotto che racconta loro l’episodio. E aggiunge, con furbizia, che di lì a poco sul cappello del colpevole spunteranno le penne delle galline. Nel sentire queste parole il ladro si toglie subito il cappello. Così il poliziotto scopre il ladro, che viene immediatamente condotto in prigione.

poi fa riunire tutti gli abitanti della città o del paese e dice loro … al paese che chi aveva rubato le galline avrà sul cappello delle piume allora il ladro si toglie subito il cappello e così il ladro viene subito scoperto e arrestato.

Dall’analisi della produzione verbale in seguito ad ascolto si rileva: – Struttura narrativa: mantenimento della macrosequenza del racconto – Contenuto: mantenimento degli elementi narrativi principali: personaggi, luoghi; buon controllo dei nessi e significati inferenziali con maggiori difficoltà nell’esplicitazione verbale degli stessi. – Strategie semantico - concettuali: utili al compito. Buone capacità di selezione delle informazioni rilevanti e controllo on line dei significati. – Strategie semantico - lessicali: assenza di atipie specifiche. Nelle domande in comprensione, risponde correttamente a 10/10 item, con difficoltà nel controllo di nessi logico-causali e contenuti inferenziali. Prova di Denominazione su presentazione visiva (BVN 5-11) (Bisiacchi et al., 2005): punteggio grezzo 17, punteggio standardizzato (per la fascia d’età 10,7 – 11,6 aa.) di 105,6; ds. 0,35. In sintesi, il profilo emerso ci fa ipotizzare una difficoltà specifica nella CT, mentre la CO appare maggiormente preservata. Le capacità di rappresentazione mentale del testo appaiono valide, con buona capacità di poggiare e manipolare script narrativi con struttura simile alle convenzionale grammatica delle storie. Non sono presenti atipie nel patrimonio semantico (concettuale o lessicale), tuttavia, in comprensione, si evidenziano difficoltà nelle competenze di secondo livello di monitoraggio della coerenza e coesione del testo; tale lacuna si ripercuote e quindi si evidenzia nella produzione orale, con difficoltà di pianificazione circoscritte alla costruzione morfosintattica di strutture frasali e periodali efficaci (coerenti e coese). Discussione Nel complesso i dati raccolti ci consentono di avanzare alcune riflessioni: Nel primo caso sono presenti difficoltà trasversali nella comprensione del materiale verbale (sia in formato orale che scritto) ed evidenti disfunzioni a carico dei si-


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stemi semantico-concettuali e semantico-lessicali, di entità tale da far ipotizzare che alcune competenze di base non siano maturate in modo funzionale all’età e al contesto. Le difficoltà riguardano sia quantità che qualità del patrimonio di conoscenze acquisite, sia i processi di organizzazione e uso delle stesse. Nell’ambito delle competenze di comprensione di un testo, sia orali che scritti, i dati rilevati ci permettono di ipotizzare l’esistenza, all’interno del patrimonio di conoscenze personali, di uno script narrativo “passepartout” (modello) che viene utilizzato per costruire la rappresentazione mentale dei contenuti; tuttavia tale script possiede una struttura povera e poco flessibile e non riesce ad essere facilmente manipolato e adattato a compiti di complessità crescente, con tipologie narrative nuove. Di qui, la necessità di acquisire e utilizzare una strategia di compenso per la costruzione del significato del testo: “a riempimento”, cioè una strategia di tipo probabilistico, induttivo, in cui prevale il ricorso ad associazioni mentali semplici, routinarie e alla costruzione di narrazioni con un unico script convenzionale noto, senza ricontrollo della congruenza, né interna né esterna (rispetto alle nuove informazioni). Tali riflessioni a nostro avviso conducono ad ipotizzare per questo caso che il disturbo della CT sia poco circoscrivibile e debba essere ricondotto ad un panorama più ampio di pregresso ritardo nella maturazione delle competenze linguistiche di base, sia in comprensione che in produzione, sia nei sistemi semantico-concettuali che in quelli semantico-lessicali. Tale pregresso profilo evolutivo potrebbe essere simile a quello del Disturbo Specifico di Linguaggio di tipo Semantico. Nel secondo caso sono presenti difficoltà circoscritte alla comprensione del testo e alle competenze di secondo livello di elaborazione del materiale verbale (produzione verbale). La comprensione orale risulta valida. Tale profilo ci conduce ad ipotizzare che, in questo caso, il Disturbo Specifico di CT sia realmente una difficoltà circoscritta ed emergente in fase avanzata, in assenza di disturbi evolutivi pregressi. La novità e la complessità del materiale testuale comporta l’utilizzo di competenze di secondo livello e la loro immaturità conduce alle difficoltà osservate, che rimangono strettamente correlate al contesto del nuovo compito. Conclusioni Dall’analisi dei due casi con DCT presentati, possiamo trarre alcune considerazioni preliminari: – I DCT costituiscono un cluster DSA più difficile da individuare, in quanto le difficoltà di comprensione del testo in assenza di difficoltà nella decodifica sono meno visibili: la segnalazione tardiva e il protrarsi di continui insuccessi scolastici rischiano di produrre un deterioramento cognitivo con un funzionamento di tipo “borderline”. – Nell’ambito dei DCT le difficoltà di comprensione possono presentare diversi livelli di compromissione: in alcuni casi le difficoltà sono circoscritte alla comprensione del testo letto, in altri si estendono anche alla comprensione orale (testo ascoltato); abbiamo ipotizzato che le difficoltà circoscritte siano emergenti in coincidenza di un’elaborazione linguistica di alto livello; mentre, quan-


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do le difficoltà di comprensione sono trasversali a livello orale-scritto, l’ipotesi è che ci siano delle difficoltà pregresse, riconducibili a un DSL di tipo semantico. – La comprensione di un racconto orale (ascoltato) costituisce un dato di particolare importanza sia per valutare la gravità di un DCT, sia come predittore della successiva capacità di comprensione del testo scritto (Levi et al., 1984; Penge e Feo, 2001). La validità di queste nostre ipotesi va verificata su un campione clinico consistente mediante studi trasversali sui DCT e studi longitudinali sui DSL di tipo semantico. L’approfondimento di questi disturbi è fondamentale per la diagnosi e l’attivazione di interventi riabilitativi mirati e può incidere notevolmente sui tempi di segnalazione del disturbo riducendo il rischio di deterioramento cognitivo che, attualmente è ancora molto elevato. Parallelamente, l’aumentare delle conoscenze sulle competenze che stanno alla base della comprensione del testo consente di sviluppare interventi utili anche per adolescenti con DSA ad emergenza precoce che, in fase tardiva, hanno come problema principale la difficoltà a comprendere ed a produrre testi scritti comprensibili, rischiando l’impoverimento cognitivo. Allo stesso modo tali interventi potrebbero essere adattati a ragazzi con Ritardo Mentale Lieve che, non avendo problemi di decodifica, si giovano di un lavoro mirato sui processi di integrazione logico-linguistica che guidano la comprensione del testo. Riassunto Un sottogruppo di ragazzi segnalati per difficoltà di apprendimento presenta una caduta molto sostenuta nella comprensione del testo, in assenza di difficoltà nella decodifica. Sulla base dell’esperienza clinica e della letteratura sappiamo che i Disturbi della Comprensione del Testo (DCT) possono implicare diversi livelli di compromissione delle competenze linguistiche e cognitive che intervengono nel processo di comprensione. Per approfondire il profilo neuropsicologico dei DCT abbiamo analizzato due casi di ragazzi di 12 anni: uno in cui la difficoltà è circoscritta alla comprensione del testo scritto; l’altro in cui sono presenti difficoltà trasversali nella comprensione del materiale verbale (sia orale che scritto). L’approfondimento dei casi di DCT ha risvolti positivi sia sul piano della diagnosi precoce che per l’attivazione di interventi riabilitativi mirati, così da ridurre il rischio di deterioramento cognitivo che attualmente è ancora elevato. Parole chiave Disturbo della comprensione del testo – Comprensione del Testo – Comprensione Orale – DSL Semantico. Questo lavoro è stato elaborato nell’ambito della ricerca su: Disturbi Specifici dell’Apprendimento e Disturbi di comprensione del testo condotta per il MIUR per il 2011/2012.

Bibliografia Cornoldi C., Colpo G. (1995), Nuove prove di lettura MT per la scuola media inferiore, Firenze, O.S. Fabrizi A., Penge R. (2009), Dal Disturbo Specifico di Linguaggio al Disturbo


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Specifico di Apprendimento, in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di), Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo, Trento, Erickson. Joshi R.M., Williams K.A., Wood J.R. (1998), Predicting reading comprehension from listening comprehension: Is this the answer to the IQ debate?, in C. Hulme and R.M. Joshi (Eds), Reading and spelling: Development and disorders, Mahwah, NJ, USA, Lawrence Erlbaum Associates. Levi G. (1984), Funzioni emergenti e diagnosi di sviluppo delle disfasie evolutive, I Care, 9: 82-87. Levi G. (2009), Disturbi Specifici di Linguaggio: nosografia vs cluster neurolinguistici, in E. Mariani, L. Marotta, M. Pieretti (a cura di), Presa in carico e intervento nei disturbi dello sviluppo, Trento, Erickson. Levi G. (2011), Legge 170/2010: il momento delle scelte, in Atti del 4° Convegno Abbicì – quando apprendere è difficile, 1 e 2 febbraio 2012, Università degli Studi di Roma. Levi G., Musatti L., Piredda M.L., Sechi E. (1984), Cognitive and Linguistic Strategies in Children with Reading Disabilities in an Oral Story-Telling Test, Journal of Learning Disabilities, 17 (7): 385-391. Nation K., Cocksey J., Taylor Jo S.H., Bishop D.V.M. (2010), A longitudinal investigation of early reading and language skills in children with poor reading comprehension, Journal of Child Psychology and Psychiatry, 51(9): 1031–1039. Padovani R. (2006), La comprensione del testo scritto in età scolare. Una rassegna sullo sviluppo normale e atipico, Psicologia clinica dello sviluppo, 3: 369-398. Penge R., Feo P. (2001), Competenze logico-narrative nei bambini con Disturbo Specifico dell’Apprendimento, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 68: 6980. Penge R., Piredda M.L., Tosco A., Ubertini C. (2009), Abilità narrative e competenze di scrittura nei Disturbi Specifici di Apprendimento, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 76: 320-331. Piredda L., Penge R., Miraglia D. (2002), Difficoltà di Costruzione del testo scritto nei bambini con disturbo specifico di lettura e scrittura, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 69: 369-379. Stothard S.E., Hulme C. (1992), Reading comprehension difficulties in children: The role of language comprehension and working memory skills, Reading and Writing, 4: 245-256. Wechsler D. (2006), WISC-III: Wechsler intelligence scale for children, New York, The Psychological Corporation.


Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 637-652

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Fattori di rischio psicopatologico in preadolescenza. Considerazioni su una indagine esplorativa nella scuola media Preadolescence psychopathological risk factors. Results about an exploratory survey in middle schools Fabio Bocci*, Selena Ciardi**, Francesca Romana Fumarola***, Miriam Vigliante***

Summary In this study the Authors compare two preadolescent subjects samples, a clinical one (with a diagnosed learning disabilities) and a non-clinical one (normal development subjects) concerning psychopathological risk. The Authors have taken account of age, gender and residence. Two questionnaires were used for this purpose: YSR and CBCL. The most in relevant survey outcomes point out an increased psychopathological risk in 12-years-old subjects of the non-clinical sample subjects, compared to the 11- and 13-years-old ones, aside from residence. Moreover in the clinical sample a higher psychopathological risk has been observed compared to the non-clinical one, aside from age and gender. Some cues for special education reflections have been gathered from these outcomes. Key words Learning Disabilities – Psychopathological risk – Preadolescence – Protective and risk factors – CBCL – YSR – Special education. Il nostro prossimo più vicino e più fragile sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti (Goffredo Fofi, Salvare gli innocenti)

Introduzione In Italia i preadolescenti sono circa tre milioni e mezzo. Su questa fascia d’età gli studiosi mostrano da qualche anno un crescente interesse, soprattutto con la finalità di mettere a punto interventi educativo-formativi mirati, ritenuti (a ragione) fondamentali in questa fase dell’arco vitale. Nonostante questa accresciuta attenzione, tuttavia, il mondo psicologico dei preadolescenti appare ancora come una sorta di continente sommerso (De Pieri, Tonolo, 1990). Probabilmente la principale ragione sottesa a questa scarsa conoscenza concerne il * Università

Roma Tre. Breccia nel muro Onlus. *** Sapienza, Università di Roma. ** Una


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fatto che la nozione di preadolescenza sia utilizzata con cautela da parte degli studiosi dell’età evolutiva, non godendo della stessa fama delle nozioni di pubertà e adolescenza (Bosi, Zavattini, 1982). In letteratura si riscontra un certo accordo sul fatto che esistano delle differenziazioni fra una prima e una seconda fase dell’adolescenza (Rosanna, 1984; Palmonari, 1997). Tuttavia, alcuni autori (De Pieri, Tonolo, 1990; Huston, Alvarez, 1990) considerano la preadolescenza come la fase iniziale dell’adolescenza e sono concordi nell’affermare che si tratti di un periodo abbastanza definito e specifico, distinto dall’adolescenza vera e propria, mentre altri (Blos, 1979) non riconoscono questa fase intermedia e fanno decorrere l’adolescenza dall’inizio della pubertà. Gli stessi criteri di definizione rispecchiano questo dibattito: in alcuni casi ci si avvale del criterio cronologico, che pur con varie fluttuazioni da autore ad autore situa la preadolescenza tra i 10 e i 14 anni; in altri casi si assume il criterio biologico, che pone come centrali le trasformazioni somatiche che avvengono in questa fase evolutiva. Quel che è certo, è che ci si trova dinanzi a quella che taluni studiosi indicano come età delle grandi migrazioni (De Pieri, Tonolo, 1990). In questa fase l’individuo inizia a emanciparsi dal suo corpo infantile, prende le distanze dalla famiglia e si aggrega con più sicurezza al gruppo dei pari, passa gradualmente dalla logica concreta a quella formale, rielabora criticamente le proprie convinzioni, la propria personalità, la propria identità sociale non raggiungendo, pur tuttavia, l’integrazione e la consapevolezza critica tipica dell’adolescente. La condizione dei ragazzi dai 10 ai 14 anni, dunque, ha la caratteristica della transitorietà: i preadolescenti non sono più bambini e non sono, tuttavia, ancora adolescenti. Questo susseguirsi di trasformazioni fisiche, psicologiche e sociali, profonde e irreversibili nel segnare lo sviluppo dell’individuo, rischia però di essere relativamente invisibile. L’impressione è che ci si trovi dinanzi a crescite nascoste, piccoli momenti impossibili da identificare con chiarezza. Questa indeterminatezza fa anche sì che non siano sempre di facile interpretazione i segnali di difficoltà, quando non di vera e propria sofferenza, inviati dai ragazzi di questa età (Montuschi, Palmonari, 2006). D’altro canto, gli stessi protagonisti hanno sentimenti ambivalenti rispetto ai sintomi, e il senso di colpa nonché la dipendenza nei confronti del mondo adulto possono spingerli a mascherare (anche a se stessi) la portata di quanto sentono (Camuffo, Costantino, 2009). Va anche detto che non sempre gli insegnanti della Scuola Media o i genitori hanno strumenti adeguati per cogliere le richieste di aiuto poco eclatanti e attivare, o semplicemente dare avvio, a forme di supporto tempestive ed efficaci (Tomassetti et al., 2008). Si aggiunga, anche, che il riconoscimento da parte degli adulti di una sofferenza a carico di un ragazzo è ancora fortemente condizionato da stereotipi socio-culturali e dal grado di dissonanza che la difficoltà provoca nell’ambiente circostante. L’insieme di questi fenomeni comporta un grave ritardo nella segnalazione, ai servizi di competenza, dei problemi dei preadolescenti. Per cui ci si trova spesso di fronte a disturbi ormai conclamati o a strategie di compenso, più o meno adeguate, messe in atto dal ragazzo.


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Per poter attuare interventi di prevenzione sul rischio in età evolutiva è necessario, quindi, conoscere con maggiore accuratezza e completezza l’iter che va da situazioni di disagio, più o meno accompagnate da fattori ambientali sfavorevoli, a situazioni di disturbo emergente fino a quadri clinici diagnosticabili (Levi, Penge, 1996). Certamente lo sviluppo dell’individuo è sempre la risultante dell’intreccio tra fattori personali e fattori ambientali, così come tra fattori di rischio e fattori protettivi, ma nel soggetto in età evolutiva l’interazione è assai più dinamica, complessa e multifattoriale di quanto sia per l’adulto. In età evolutiva la manifestazione sintomatologica di un disagio, o di un disturbo, muta costantemente e a volte rapidamente nel corso del tempo (Levi, 2011) risentendo dei fattori di sviluppo, quali la rapida mutabilità dei sintomi e la fluttuazione sindromica nelle diverse fasce d’età. Va anche detto che le indagini aventi per oggetto l’analisi del rischio su campioni non clinici sono poco diffuse nella fascia d’età di nostro interesse. L’attenzione della ricerca in età evolutiva si è focalizzata maggiormente sullo studio di campioni clinici, attraverso i quali si intende valutare sistematicamente l’eventuale correlazione tra la presenza di un disturbo e determinate situazioni di rischio o protettive. È il caso, ad esempio, dei Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) che rappresentano, tra l’altro, una delle motivazioni più frequenti che portano le famiglie, sovente su sollecitazione degli insegnanti (Penge et al., 2003), a richiedere una consultazione presso un Servizio di Neuropsichiatria Infantile. Com’è noto, diverse ricerche hanno mostrato come all’interno di una popolazione con Disturbi Specifici di Apprendimento vi sia una percentuale, che varia tra il 24 e il 54% di soggetti (per es: Cornoldi, 1991), con disturbi emotivi in comorbidità (nello specifico ADHD, depressione, ansia). Una incidenza che supera, quindi, di quattro volte quella dei pari senza DSA . I fattori di rischio maggiormente coinvolti nella strutturazione di disturbi psicopatologici nei DSA sono: la segnalazione tardiva, la discontinuità nella presa in carico terapeutica, la discontinuità nella storia scolastica e nelle relazioni educative, la modalità con cui si elaborano i conflitti e si organizza la personalità, il ruolo dei DSA nel processo di identificazione, il peso e il ruolo del DSA nelle interazioni familiari e sociali, la severità del disturbo di letto-scrittura (De Negri, 1999; Hammill, 1990; Levi, 1999). Sono invece pochi gli studi, sia a livello nazionale sia internazionale, riguardo al rischio psicopatologico in preadolescenza nella popolazione non clinica (Ezpeleta et al., 2008; van der Laan et al., 2009). Tra i più interessanti a livello nazionale si segnala PriSMA (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti, Frigerio et al., 2009), una ricerca multicentrica di tipo epidemiologico realizzata contemporaneamente in sette città italiane, finalizzata a indagare la prevalenza dei disturbi mentali in soggetti di età compresa tra i 10 e i 14 anni che vivono in aree urbane e ad analizzare i correlati sociodemografici e biologici dei problemi emotivo-comportamentali. Tendenzialmente tali studi si avvalgono di strumenti self-report o report-form. In proposito Becker et al. (2004), nel predire categorie diagnostiche, ritengono che la valutazione tramite questionari self-report dei soggetti unita alla valutazione dei questionari report-form dei genitori sia il metodo migliore per predire eventuali situa-


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zioni di rischio psicopatologico. Nonostante la presenza di più informatori aumenti la probabilità di eventuali discrepanze nella valutazione fornita (Berg-Nielsen, Vika e Dahl, 2003; Verhulst, van der Ende, 1992), i report provenienti da soggetti diversi consentono l’acquisizione di indicazioni specifiche e differenziate (Achenbach, 2001), utili a definire un eventuale profilo di rischio. In linea di massima, si tratta di indagini condotte con l’intento di promuovere una maggiore sensibilizzazione di genitori e insegnanti ai segnali, spesso confusi e contraddittori, inviati dai ragazzi (Sogos, Nicolais, D’Ardia, 1999). Un obiettivo che si è cercato di tenere presente anche nella indagine esplorativa che presentiamo in queste pagine, che si prefigge lo scopo di contribuire all’ampliamento della riflessione su questi temi anche in ambito educativo. Obiettivi e ipotesi L’obiettivo principale della presente ricerca è stato quello di approfondire la conoscenza dei fenomeni legati al rischio psicopatologico in preadolescenza e di comprendere ulteriormente le analogie e le differenze nell’insorgenza di psicopatologie presenti in gruppi di preadolescenti con e senza diagnosi di DSA. Il gruppo di lavoro si è anche posto l’obiettivo di individuare alcuni punti nodali da sottoporre all’attenzione della riflessione pedagogico speciale, in modo da poter offrire spunti operativi per l’intervento educativo-didattico a scuola e in famiglia. Sulla base di questi obiettivi, e della letteratura precedentemente illustrata, sono state ulteriormente sottoposte a verifica le seguenti ipotesi: – l’età, il genere e la residenza rappresentano fattori di rischio nell’insorgenza di psicopatologie in gruppi di soggetti preadolescenti con e senza diagnosi neuropsicologiche; – i ragazzi con DSA sono più predisposti a sviluppare disturbi psicopatologici rispetto a gruppi di pari senza DSA. Soggetti e metodi Hanno partecipato all’indagine 355 soggetti di età compresa tra gli 11 e i 13 anni, frequentanti la Scuola Media Statale (SMS) nei comuni di Roma e di Gallipoli e così suddivisi: – Gruppo non clinico A (Roma), composto da 185 soggetti (107 femmine, 78 maschi) frequentanti la SMS Istituto Comprensivo Marco Fulvio Nobiliore; – Gruppo non clinico B (Gallipoli), composto da 58 soggetti (33 femmine, 25 maschi), frequentanti la SMS Istituto Comprensivo 3° Polo; – Gruppo clinico (diagnosi di DSA), composto da 112 soggetti (33 femmine, 79 maschi) valutati presso la UOC B del Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma2. 2 In

proposito si ringrazia la dott.ssa Flavia Capozzi per il supporto e la collaborazione.


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Strumenti Sono stati utilizzati due questionari facenti parte del Sistema ASEBA di Achenbach e Rescorla (2001): – il questionario report-form Child Behavior Checklist (CBCL) 6-18, compilato dai genitori; – il questionario self-report Youth Self Report (YSR) 11-18, compilato dai ragazzi e dalle ragazze appartenenti ai tre gruppi. La Child Behavior Checklist 6-18 (Achenbach, Rescorla, 2001) è un questionario che valuta le competenze sociali e i problemi emotivo-comportamentali di bambini ed adolescenti di età compresa tra i 6 e i 18 anni. La recente versione del questionario prevede la possibilità di valutare i problemi comportamentali sia attraverso scale empiricamente derivate, capaci cioè di fornire indicazioni su diversi quadri sindromici (come, ad esempio, i problemi di attenzione, l’ansia, la depressione, l’aggressività), sia mediante scale DSM-IV oriented, in grado di orientare il clinico e il ricercatore sulla diagnosi da formulare in base ai criteri del DSM-IV (per alcuni disturbi). Dai punteggi, confrontati con i valori normativi, si ricavano due punteggi totali: il primo per le competenze (attività, socialità, rendimento scolastico), il secondo per i problemi emotivo- comportamentali. Si ottengono, dunque, due profili separati: I) il profilo di competenze; II) il profilo psicologico e/o psicopatologico. Nella nostra indagine si è focalizzata l’attenzione su quest’ultimo. Lo Youth Self Report (Achenbach, Rescorla, 2001) è una versione adattata della CBCL al fine di ottenere informazioni dirette dai soggetti nella fascia d’età 11-18 anni, su competenze e problemi comportamentali ed emotivi. La possibilità di rilevare problemi e competenze a partire da diversi informatori è la caratteristica fondamentale del Sistema ASEBA, che si definisce per l’appunto cross-informant, il quale fornisce un quadro complessivo e, soprattutto, misurabile dei soggetti esaminati. La procedura di assessment consiste nell’inquadrare tali problemi in insiemi sindromici e di costruire un profilo psicologico e/o psicopatologico del soggetto valutato. L’emergere di divergenze nella descrizione dei comportamenti non necessariamente riflette una scarsa attendibilità della misurazione; piuttosto, prova che valutazioni differenti possono essere validi ausili per una comprensione più globale dell’adattamento o del disadattamento in vari contesti di vita, contribuendo ad un giudizio clinico più accurato. I punteggi standardizzati e cut off permettono di confrontare popolazioni cliniche e non cliniche con valori buoni e di attendibilità e validità. Per il questionario CBCL gli indici di attendibilità sono eccellenti (range = .85-.88). Per il questionario YSR gli indici di attendibilità variano da buoni ad eccellenti (range = .66-.87). Per quanto riguarda la procedura adottata per la somministrazione, va segnalato il pieno coinvolgimento e l’attiva partecipazione delle scuole e delle famiglie. Una volta ottenuta l’autorizzazione preliminare dalla Dirigente scolastica e dal Consiglio d’Istituto, i genitori sono stati informati e coinvolti per mezzo di una lettera che i ragazzi hanno consegnato loro unitamente alla CBCL, nella quale si descrivevano le finalità e gli obiettivi dell’indagine. Naturalmente, nel caso in cui i genitori non hanno dato la loro disponibilità o non hanno restituito la CBCL, non si è proceduto alla somministrazione dello YSR o lo si è scartato.


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Risultati Per valutare la presenza di differenze significative rispetto ad età, genere e residenza tra i due gruppi non clinici, sono stati presi in considerazione i punteggi medi ottenuti nella scala dei Problemi Totali dello YSR e della CBCL. Nello YSR il fattore età non è risultato significativo (cfr. Tavola 1). Si osservano, tuttavia, punteggi inferiori nei soggetti di 11 anni rispetto a quelli di 12 -13 anni (i quali ottengono lo stesso punteggio). Nella CBCL, invece, i soggetti di 12 anni risultano significativamente più a rischio di quelli di 11 e 13 anni (cfr. Tavola 2). Il genere è emerso come fattore significativo rispetto al rischio psicopatologico, maggiore nei maschi rispetto alle femmine, sia nello YSR che nella CBCL (cfr. Tavole 3 e 4); mentre, per quanto concerne la residenza, non è stata rilevata alcuna significatività. Nel gruppo clinico i fattori età e genere non risultano influire significativamente sullo sviluppo di psicopatologie in entrambi i questionari utilizzati. Sia sui due gruppi non clinici sia su quello clinico è stata poi effettuata un’Analisi della varianza Multivariata (MANOVA) per valutare differenze significative nelle Scale internalizzanti/esternalizzanti e nelle Scale DSM-IV oriented rispetto ai fattori di età, genere e residenza, utilizzando sempre i test YSR e CBCL (cfr. Tavole 5 e 6).

Tavola 1. Punteggi medi ottenuti dai soggetti del campione non clinico nella Scala dei Problemi Totali della YSR confrontati per età. Età

Media

Ds

11

49,66

10,49

12

52,24

9,79

13

52,2

9,90

Totale

50,94

10,20

Tavola 2. Punteggi medi ottenuti dai soggetti del campione non clinico nella Scala dei Problemi Totali della CBCL confrontati per età. Età

Media

Ds

11

45,06

10,692

12

49,14

11,154

13

48,88

12,228

Totale

48,90

11,048


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Tavola 3. Test ANCOVA per Scala dei Problemi Totali allo YSR nel campione non clinico. Variabili indipendenti

F

Sig.

Genere

22,708

0,000

Residenza

0,120

0,759

Età

0,782

0,585

genere * residenza

0,061

0,818

genere * età

0,049

0,952

residenza * età

7,438

0,117

genere * residenza * età

0,858

0,425

Tavola 4. Test ANCOVA per la Scala dei Problemi Totali alla CBCL nel campione non clinico. Variabili indipendenti

F

Sig.

Genere

0,959

0,329

Residenza

0,901

0.345

Età

4,454

0,036

genere * residenza

1,870

0,173

genere * età

1,067

0,346

residenza * età

2,314

0,102

genere * residenza * età

0,254

0,776

Tavola 5. Test MANOVA per le Scale INT/EST e per le scale DSM-IV Oriented rispetto a età, genere e residenza nel campione non clinico nello YSR e nella CBCL. Valore effetto

Ipotesi df

gradi di libertà dell’errore

Sign.

F

Età

Lambda di Wilks

0,684

2,183

30

314

0,000

Genere

Lambda di Wilks

0,839

2,001

15

157

0,018

Residenza

Lambda di Wilks

0,885

1,358

15

157

0,174

Età * Genere

Lambda di Wilks

0,755

1,576

30

314

0,031

Età * Residenza

Lambda di Wilks

0,779

1,385

30

314

0,091

Genere * Residenza

Lambda di Wilks

0,882

1,396

15

157

0,155

Età * Genere * Residenza

Lambda di Wilks

0,8133

1,135

30

314

0,290


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Tavola 6. Test MANOVA per le Scale INT/EST e per le scale DSM-IV Oriented rispetto a età, genere e residenza nel campione clinico (DSA) nello YSR e nella CBCL. Valore effetto

Ipotesi df

gradi di libertà dell’errore

Sign.

F

Età

Lambda di Wilks

0,769

0,753

32

172

0,827

Genere

Lambda di Wilks

0,814

1,226

16

86

0,265

Età * Genere

Lambda di Wilks

0,725

0,959

32

172

0,535

Nei due gruppi non clinici, dalla CBCL emerge come significativo il fattore età, particolarmente nelle Scale DSM-IV oriented dei problemi di ansia, attenzione e condotta. Nello YSR il fattore età ha un effetto significativo sia nelle Scale internalizzanti sia in quelle esternalizzanti e risulta influenzare quelle DSM-IV oriented per quel che concerne i problemi affettivi, di attenzione, oppositivo-provocatori e di condotta. Nello YSR, inoltre, la differenza tra maschi e femmine emerge come significativa nelle Scale dei problemi affettivi e somatici, mentre nella CBCL questo effetto si rileva nella scala dei problemi d’ansia. Venendo ora al gruppo clinico, composto da ragazze e ragazzi con DSA, nello YSR si osserva una differenza significativa tra maschi e femmine nelle Scale dei problemi oppositivo-provocatori e dell’attenzione, mentre nella CBCL tale dato si evince solo nella Scala dei problemi oppositivo-provocatori. In quest’ultimo questionario emerge, in particolare, un effetto dell’interazione tra genere (f) ed età (11anni) nella scala dei problemi di attenzione. Nel complesso i soggetti con DSA, in entrambi i questionari (cfr. Grafici 1 e 2), hanno punteggi medi più alti (sia borderline che clinici) su tutte le scale (internalizzanti, esternalizzanti e DSM-IV oriented) rispetto ai due gruppi non clinici e questo si è notato a prescindere dall’età e dal genere. Tale dato è in accordo con le evidenze scientifiche circa la comorbidità tra i DSA e altre condizioni cliniche. I soggetti con DSA, infatti, risultano con punteggi significativamente maggiori rispetto ai loro pari senza diagnosi specialmente nei problemi affettivi, d’ansia, somatici, di attenzione, della condotta ed oppositivo provocatori. Relativamente al confronto fra le valutazioni dei genitori, rilevate con la CBCL, e quelle dei figli mediante lo YSR, emerge un accordo significativo tra le risposte dei due informatori, in modo particolare rispetto ai problemi di attenzione. Discussione dei dati e conclusioni Dai dati raccolti e dall’analisi effettuata emerge che nei due gruppi non clinici diversi fattori possono contribuire a prevenire o, all’opposto, a innescare una situazione di rischio. Dalla valutazione si evince che nel campione non clinico il genere sembra


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Grafico 1. Confronto tra percentuali borderline e cliniche nel campione clinico e non clinico nello YSR.

Grafico 2. Confronto tra percentuali borderline e cliniche nel campione clinico e non clinico nella CBCL.

avere una particolare significatività: il punteggio dei maschi nella Scala dei Problemi Totali è più alto di quello delle femmine suffragando quanto il gruppo di studio attendeva di riscontrare. Rispetto all’età si è invece osservato come, indipendentemente dal genere e dalla residenza, dai 12 ai 13 anni si registrino i punteggi più alti su tutte le scale della CBCL


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come dello YSR. Ciò avvalora ulteriormente la plausibilità dell’ipotesi che si riscontri una maggiore incidenza di condizioni di rischio psicopatologico nella fascia d’età più prossima all’adolescenza. Sul piano pedagogico (speciale, in particolar modo) ed educativo, quindi sul piano della concettualizzazione e della attivazione di azioni capaci di assolvere la funzione di fattori protettivi, queste indicazioni (specialmente quella relativa alla fascia d’età) sono piuttosto significative. La letteratura scientifica (soprattutto quella pedagogica, filosofica, socio-antropologica) ha mostrato le caratteristiche di fragilità della cosiddetta generazione y, che, a seconda del punto di osservazione adottato varia da quella tipica dei teenagers a tutta la fascia post-adolescenziale (La Marca, 2011). E se è vero che adolescenti e giovani adulti vivono in pieno una crisi, attanagliati come sono dalla cultura dell’istante (La Marca, 2011), è altrettanto vero che tale fenomeno è un derivato (meglio sarebbe dire un prodotto) della crisi della funzione educativa del cosiddetto mondo adulto a sua volta produttore e vittima (quindi carnefice, anche di se stesso) dell’epoca delle passioni tristi (Benassayag, Schmit, 2005), che ha contribuito a generare. Lo spiega molto bene Goffredo Fofi: «in definitiva genitori e insegnanti appaiono, visti da vicino, sempre sull’orlo di una crisi di nervi, vittime di un contesto che li oltrepassa e di cui non riescono più non solo a controllare ma a capire il funzionamento, a vedere le prospettive, e tantomeno a indirizzarle o a contrastarle. In definitiva né i genitori né la scuola vogliono oggi che i nuovi arrivati conquistino una loro autonomia, apprendano a ragionare con la propria testa e a decidere cosa va bene per loro. Sono in tanti a preoccuparsi del nostro star bene, dello star bene dei nostri figli. Tutto l’affannarsi degli adulti appare qualcosa di secondario e perfino, a volte, d’insulso quando si ha modo di frequentare dei bambini e degli adolescenti fuori dalla scuola. E di scoprire chi è che davvero li educa: né la famiglia né la scuola, né la Chiesa né lo Stato, semplicemente il mercato […] Le mode si susseguono, i prodotti decadono e vengono sostituiti da nuovi prodotti che sono mossi tutti da un unico obiettivo: la felicità nella dimenticanza. Se io consumo io sono, altrimenti non sono; e i miei amici, il mio cerchio, il mio specchio ne terranno conto e me la faranno scontare. Niente è più umiliante di non avere ciò che gli altri hanno. Come possono illudersi gli adulti, genitori e professori o preti, di avere qualche cosa da dire ai ragazzi di altrettanto e di più convincente delle merci? Sono le merci a stimolare le fantasie e a decidere le eventuali seti di conoscenza dei ragazzi» (Fofi, 2012, pp. 42-43). È sulla base di questa premessa – frutto di una riflessione pedagogica che viene da lontano, radicata, fortunatamente non ancora totalmente soggiogata dalla cultura dell’istante e della dimenticanza, una riflessione che si richiama all’impegno di studiosi come Lamberto Borghi, Ivan Illich, Paulo Freire e, passando per Focault, come Marco Lombardo Radice (Fofi, 1990; Bocci, 2009) – che Goffredo Fofi, proseguendo nella sua argomentazione, fornisce quelli che possono a ragione connotarsi come indicatori culturali del fenomeno osservato sul piano della ricerca e della clinica. In modo particolare quando Fofi afferma: «l’unica speranza di salvarli da questo fondamentale conformismo è forse quello della nevrosi: se irrequieti, se incapaci di sentirsi soddisfatti dal consumo e dalle merci, se sensibili all’intimo vuoto che da questo


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consegue, forse si salveranno. Anzi: solo loro si salveranno, ma a costi salati, perché la nevrosi non è una soluzione e può portare in direzioni molto diverse da quelle della presa in carico del proprio destino» (Fofi, 2012, p. 42). Qualcuno potrebbe ritenere esagerati i termini utilizzati in questa sorta di j’accuse, che ha però, al di là delle sensibilità dei singoli, il grande merito di porre il dito nel vulnus della questione, facendo riferimento a uno degli aspetti centrali nel dibattito attuale in ambito educativo (e non solo): quello della presa in carico del proprio destino, ossia, detto con Abraham Maslow e Karl Rogers, dell’autorealizzazione, oppure, detto con Amartya Sen e Martha Nussbaum, delle capabilities3, approccio che concepisce lo sviluppo delle persone (e dei sistemi sociali) come un processo di espansione delle capacità e delle opportunità (di ciascuno e di tutti), affinché ciascuno possa scegliere di vivere la vita a cui attribuisce valore e, in tal modo, perseguire e dare atto a una vita fiorente. Una questione, a ben vedere, perfettamente in sintonia con quella dei fattori protettivi che, chi si occupa con intenzionalità e con sistematicità di educazione (gli insegnanti, in primo luogo), ha la funzione di promuovere, favorire, sviluppare, consolidare in quel suo prossimo più vicino e più fragile che sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti. In tal senso, diviene a dir poco fondamentale il porre attenzione, con competenza, ai bisogni (anche non dichiarati) e alle difficoltà (anche sfumate) di chi si accosta (si utilizza volutamente un termine che evoca il gioco del biliardo) all’adolescenza. Tornando ora alla discussione dei dati, come già anticipato si sono ottenuti esiti interessanti anche attraverso la MANOVA applicata al campione non clinico, mediante la quale sono stati valutati i punteggi medi nelle Scale Sindromiche Principali e nelle Scale DSM-IV Oriented rispetto ai fattori di età, residenza e genere. La residenza non sembra influire significativamente su eventuali diagnosi psicopatologiche; diversamente, per le Scale DSM-IV Oriented sono risultate significative l’età e il genere. L’età, in particolare, mostra di giocare un ruolo significativo per problemi anche opposti, come l’ansia e la condotta. Lo stesso dicasi per le Sindromi Internalizzanti e per quelle Esternalizzanti, nonché per la quasi totalità delle Scale DSM-IV Oriented. Anche per quel che concerne il gruppo clinico, composto da ragazze e ragazzi con diagnosi di DSA, è stata effettuata un analisi MANOVA nelle Scale Internalizzanti ed 3 Com’è

noto il capability approach (o approccio delle capacità) è stato formulato intorno alla metà degli anni Ottanta dal Premio Nobel Amartya Sen (1985). Successivamente, è stato ulteriormente sviluppato, in una chiave multi e interdisciplinare, grazie al contributo di numerosi studiosi – su tutti spicca la figura di Martha Nussbaum che a lungo ha collaborato con lo stesso Sen (Sen, Nussbaum, 1993) e arricchito e rivisitato (Sen, 2009) anche nella prospettiva della disabilità (Terzi, 2005, 2010). L’ approccio delle capacità concepisce il benessere della persona non come una condizione univoca, statica e materialistica (ossia definita dal mero possesso, in determinate dimensioni spazio temporali, di risorse materiali, siano esse il reddito o i beni a disposizione) ma come «un processo in cui i mezzi e le risorse acquisibili o disponibili rappresentano uno strumento – certamente essenziale e irrinunciabile – per ottenere benessere, ma non costituiscono di per sé una metrica adeguata a misurare il benessere complessivo delle persone o la qualità della vita che esse riescono a realizzare» (Chiappero, Mangano, 2011, p. 11).


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Esternalizzanti e nelle Scale DSM-IV Oriented, ma non si è registrata alcuna significatività rispetto ai fattori di età e di genere. Il confronto tra i gruppi non clinici e il gruppo clinico, infine, ha confermato quanto riportato in letteratura (e, quindi, atteso dal team di ricerca) circa la comorbidità tra DSA e disturbi psicopatologici. Il gruppo clinico, infatti, ha mostrato punteggi più alti su tutte le scale rispetto al campione non clinico, indipendentemente dall’età e dal genere4. In particolar modo ciò è emerso nelle scale DSM-IV Oriented, dove i soggetti con DSA hanno riportato punteggi significativamente maggiori dei loro pari senza diagnosi nei problemi affettivi, d’ansia, somatici, di attenzione, della condotta e oppositivo provocatori. Anche in questo caso i dati in possesso suggeriscono qualche riflessione sul piano educativo. Le conoscenze sulle caratteristiche dei Disturbi Specifici di Apprendimento, indubbiamente, sono sempre più diffuse in ambito scolastico ed è raro riscontrare cadute negli stereotipi classici che inquadravano il soggetto con difficoltà di apprendimento come allievo svogliato, demotivato, ecc. (Mazzoncini, Musatti, 1993; Cornoldi, 1999). La recente Legge 170 del 2010 permette alle famiglie e alle scuole di avvicinare il problema della/e difficoltà di apprendimento con maggiore consapevolezza, in termini di comprensione dell’eventuale disagio che i soggetti vivono nei diversi contesti di appartenenza. La nuova normativa, ivi incluse le Linee guida, affronta/no con rigore metodologico la questione della gestione dei DSA (Stella, Grandi, 2011) nella scuola per tutti (ossia inclusiva) e non solo di tutti (ossia quella dell’inserimento e dell’integrazione): da un lato individuando un percorso di segnalazione del disturbo alternativo rispetto a quello previsto dalla Legge Quadro 104 del 1992, dall’altro sollecitando le istituzioni scolastiche ad «attuare i necessari interventi pedagogico-didattici per il successo formativo degli alunni e degli studenti con DSA, attivando percorsi di didattica individualizzata e personalizzata e ricorrendo a strumenti compensativi e a misure dispensative». Non è questa la sede per approfondire il tema dei DSA, della formazione degli insegnanti (vedi alla voce Master approvati dal ministero e organizzati dalle università) e delle famiglie (per lo più ad appannaggio delle associazioni). È un bene assoluto che si riscontri un risveglio di interesse intorno ai tanti temi che da sempre sono cari alla neuropsicologia e alla pedagogia speciale. Restano tuttavia molte questioni aperte che investono la scuola e il sistema formativo italiano, le quali – come evidenzia Levi in un recente contributo (2011) – comportano tutta una serie di aspetti/problematiche che devono essere oggetto di approfondimento e di ricerca. Rispetto all’oggetto del presente contributo se ne evidenziano due: 1) il fatto che i Disturbi Specifici di Apprendimento abbiano diversi gradi di espressività clinica e, soprattutto, come tutti i Disturbi di Sviluppo i DSA siano disturbi che si sviluppano 4 A tal proposito è in corso un approfondimento per rilevare la relazione tra genere ed età rispetto alle singole scale prese in esame.


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per stadi e che non si manifestano in un’unica soluzione e una volta per tutte; 2) la presenza nei soggetti con DSA di un elevato tasso di comorbidità: da un lato con i cosiddetti disturbi dirompenti (ADHD, Disturbi della condotta), dall’altro con i disturbi depressiviansiosi o della coordinazione motoria. Si ritiene che tali esigenze di ricerca non debbano essere ad appannaggio solo di chi indaga in campo clinico ma anche degli studiosi della Scienza dell’Educazione, ambito nel quale si avverte sempre più l’esigenza di sviluppare una Evidence Based Research che sia da supporto a una Istruzione Evidence Based (Calvani, 2012), capace di indicare, attraverso l’analisi rigorosa, come si interconnettono i dati (acquisiti o ancora da rilevare) inerenti queste tre dimensioni (Cottini, 2012): 1. l’efficacia degli interventi (efficacy research): determinare, attraverso la ricerca, quali sono le metodologie in grado di dare risultati significativi (Che cosa funziona?); 2. l’effetto che gli interventi producono (effectiveness research): fare riferimento agli esiti, sempre rilevati sperimentalmente, di quella particolare procedura nel mondo reale, nel lavoro quotidiano in classe (Quando funziona?); 3. le modalità di applicazione (implementation): intese sia come controllo delle variabili durante l’intervento educativo, per far sì che lo stesso possa avere successo, che come monitoraggio sistematico dell’evoluzione dell’intervento (Come possiamo fare per farlo funzionare?; Sta funzionando?). E tutto questo nell’ottica dell’inclusione. Non fosse altro perché l’inclusione rappresenta il paradigma (Stainback, Stainback, 1990) di una società, quindi di una scuola (e viceversa, soprattutto), capace di prevedere e attivare – vedi, ad esempio, l’index for inclusion (Booth, Ainscow, 2008) – tutti i fattori protettivi possibili e immaginabili e non solo quelli di cui si dispone in un dato momento. Lo chiarisce con rara maestria Andrea Canevaro in una lettera non pubblicata condivisa con la comunità dei Pedagogisti Speciali. Un pensiero che riguarda da vicino il senso di quello che si è cercato di focalizzare meglio in questa indagine e che interessa di comprendere sempre meglio in ambito educativo, con rigore e con passione, con l’evidenza scientifica ma senza tralasciare lo sguardo sottile (come amava definirlo Sergio Neri) che sa cogliere le sfumature: «A chi deve guardare e a chi deve rispondere chi educa e si educa? […] A chi cresce. E deve farlo guardando oltre, avanti, cioè non fermandosi a quello che ora vede, non a quello che chi cresce è; ma aprendosi al domani, a ciò che sarà. È la dimensione profestica (don Lorenzo Milani) propria dell’educazione (educare/educarsi). Chi cresce non può essere solo commentato, magari sapientemente, per quello che é; deve ricevere indicazioni per quello che forse sarà… Chi educa non è un commentatore – di diagnosi, di valutazioni istantanee, cioè di quell’istante –. Ha il dovere di aprire varchi, o almeno spiragli, di ispirare luoghi in cui andrà chi cresce e non chi educa. Deve trasmettere non nozioni, ma un sentimento misto di curiosità e di sfida. Non è il custode o il padrone di un tesoro, neanche culturale. È un attento osservatore degli orizzonti per fiutare le speranze. Non può accontentarsi e neanche accontentare, perché chi cresce non va accontentato: deve andare oltre. Quando arriva un po’ di sconosciuto (un soggetto non


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diagnosticato o con diagnosi non chiara; un soggetto particolare per i comportamenti o per la cultura di provenienza), chi educa deve essere contento. È come quando in un villaggio sperduto arrivava un viaggiatore, uno straniero, che portava novità e notizie, anche difficili da capire... Benvenuto l’imprevisto!». Riassunto Nel presente studio gli Autori confrontano due campioni di soggetti preadolescenti, uno clinico (diagnosi di Disturbo Specifico dell’Apprendimento) e uno nonclinico (soggetti a sviluppo tipico) rispetto al rischio psicopatologico. I fattori presi in considerazione sono l’età, il genere e la residenza. A tale scopo sono stati utilizzati due questionari: YSR e CBCL. Le informazioni più rilevanti ottenute tramite quest’indagine indicano un aumento del rischio di psicopatologia nei soggetti di 12 anni di età nel campione non clinico, rispetto a quelli di 11 e 13 anni, indipendentemente dalla residenza. Nel campione clinico, inoltre, il rischio psicopatologico risulta maggiore di quanto non lo sia nel campione non clinico, indipendentemente dall’età e dal genere. Tali risultati hanno suggerito agli Autori alcuni spunti di riflessione a carattere pedagogico-speciale. Parole chiave Disturbi specifici di apprendimento – Rischio psicopatologico – Preadolescenza, Fattori di rischio e protettivi – CBCL – YSR – Pedagogia speciale.

Bibliografia Achenbach T.M., Rescorla L.A. (2001), Manual for the ASEBA School–age Forms and Profiles, University of Vermont, Department of Psychiatry, Burlington VT. Becker A., Hagenberg N., Roessner V., Woerner W., Rothenberger, A. (2004), Evaluation of the self-reported SDQ in a clinical setting: Do self-reports tell us more than ratings byadult informants?, European Child and Adolescent Psychiatry, 13: 17-24. Benassayag M., Schmit G. (2005), L’epoca delle passioni tristi, Milano, Feltrinelli. Berg-Nielsen T.S., Vika A., Dahl A.A. (2003), When adolescents disagree with their mothers: CBCL–YSR discrepancies related to maternal depression and adolescent self-esteem, Child: Care, Health and Development, 29: 207-213. Blos P. (1979), The adolescent passage. Developmental issues, New York, International Universities Press [tr. it. L’adolescenza come fase di transizione. Aspetti e problemi del suo sviluppo, 1988, Roma, Armando]. Bocci F. (2009), In memoria di Marco Lombardo Radice, psichiatra ed educatore, Ricerche Pedagogiche, 171: 37-40. Boot T., Ainscow M. (2008), L’Index per l’inclusione. Promuovere l’apprendimento e la partecipazione nella scuola, Trento, Erickson. Bosi R., Zavattini G.C. (1982), La preadolescenza nella letteratura psicoanalitica, Neuropsichiatria infantile, 256: 901-916. Calvani A. (2012), Per un’istruzione evidence based. Analisi teorico-metodologica internazionale sulle didattiche efficaci e inclusive, Trento, Erickson. Camuffo M., Costantino M.A. (2009), Fattori protettivi e promozione della re-


FATTORI DI RISCHIO PSICOPATOLOGICO IN PREADOLESCENZA

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Continuità delle problematiche psicopatologiche attraverso l’adolescenza: il ruolo degli eventi di vita avversi Continuity of psychopathology through adolescence: the role of stressful life events Maria Nobile*, Paola Colombo*, Monica Bellina*, Valentina Bianchi*, Ombretta Carlet**, Massimo Molteni*

Summary Adolescence is a critical transition phase between childhood and adulthood, when the burden of mental disorder may still be prevented. The aim of this study was to evaluate the continuity and discontinuity of behavioural problems in adolescence while taking into account the multiple co-variation of psychopathological traits and the complex role of recent stressful life events (SLEs). Longitudinal data showed good stability of psychopathology diagnosis during transition from early adolescence to adolescence in our epidemiological sample, even when multiple co-variation was taken into account. Oppositional Defiant Problems emerged to be a polyvalent predictor of both internalizing and externalizing problems. Furthermore, Oppositional Defiant Problems predicted more SLEs, which in turn predicted more Depression, Anxiety and Oppositional Defiant Problems. Mediational analyses confirmed the role of SLEs in partially accounting for the continuity of Oppositional Defiant Problems and for the heterotypic progression towards Affective Problems. These data underscore early adolescence behavioral problems as an important focus for primary and secondary intervention. Key words Adolescence Behavior problems – Stressful life events.

Introduzione Le problematiche emotivo/comportamentali che si manifestano durante l’infanzia sono state spesso considerate predittive della comparsa di disturbi psichiatrici nell’età adulta e collegate al mancato raggiungimento di un adeguato funzionamento psicosociale in base alle reali capacità del soggetto (Caspi et al., 1996; Hofstra et al., 2002; Hatch et al., 2010), tuttavia solo un numero ristretto di studi si è focalizzato sul rapporto tra pre-adolescenza, sviluppo e psicopatologia, perché spesso l’intera “fase di latenza” è stata considerata come momento “silente di transizione”. Nonostante ci sia un accordo sostanziale tra gli epidemiologi nel riconoscere l’a* Unità Operativa Neuroriabilitazione 2 – Psicopatologia dello sviluppo, IRCSS “Eugenio Medea”, Bosizio Parini, Lecco. ** Associazione La Nostra Famiglia – Ponte Lambro, Como.


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dolescenza come un punto di svolta critico e particolarmente importante nell’evoluzione del bambino verso l’adulto, ad oggi le informazioni sulla continuità della psicopatologia nel periodo di transizione dalla preadolescenza all’adolescenza – giovane età adulta, rimangono limitate (Hofstra et al., 2002), anche per la variabilità dei limiti di età presi di volta in volta in considerazione. L’intero periodo che va dallo “scatto biologico” puberale, inteso come periodo all’interno del quale avvengono le modifiche biologiche tipiche della specie umana, fino al termine di un momento socioculturale come la frequenza della scuola superiore, si presenta come un periodo di vita di transizione ancora sufficientemente plastico per essere l’obiettivo di interventi di prevenzione primaria, la cui costruzione sia basata sui risultati della ricerca empirica, tali da prevenire l’aggravarsi o la comparsa di Disturbi Psichiatrici Maggiori (De Girolamo et al., 2012). Nell’ambito di questa delicata fase evolutiva è inoltre noto il potenziale ruolo degli eventi di vita avversi nel far emergere e mantenere i disturbi internalizzanti ed esternalizzanti (Haggerty et al., 1994; Bot et al., 2011). Più recentemente, gli “eventi avversi” sono stati concettualizzati all’interno di una prospettiva di studio di tipo interazione gene-ambiente la quale suggerisce che gli “eventi avversi” non solo favoriscano il mantenimento di disturbi esistenti, ma possano anche esserne la naturale e “diretta” conseguenza (Mash e Barkley, 1996). Gli studi che si occupano longitudinalmente della continuità della psicopatologia nel corso dell’adolescenza devono perciò prendere in considerazione alcune importanti questioni teorico e pratiche, ovvero la relazione complessa e reciproca che lega tra di loro eventi avversi e psicopatologia e la covariazione di differenti forme di psicopatologia, particolarmente frequente nell’ambito dell’età evolutiva: è noto che la psicopatologia fenomenico-descrittiva in età infantile può dar luogo a aree di sovrapposizione tra diversi quadri nosografici, sia per una ancora “fluida” modalità espressiva comportamentale tipica del bambino, sia per una non ancora stabilizzata caratterizzazione neuro-biologica. La moderata/alta covariazione reciproca presente tra le differenti forme di psicopatologia negli adolescenti dovrebbe essere sempre presa in considerazione qualora vi sia l’obiettivo di fare predizioni attendibili sulla continuità dei tratti psicopatologici o dei disturbi nel tempo, sia essa omotipica, cioè riferita a tratti psicopatologici che predicono sé stessi nel corso del tempo, o eterotipica, cioè riferita a un tratto psicopatologico che ne predice uno differente nel corso del tempo (Copeland et al., 2009). La mancata considerazione della covariazione multipla tra le diagnosi (Angold et al., 1999) può infatti limitare il valore delle associazioni rilevate tra disturbi in infanzia e in adolescenza: ciò che appare essere una continuità omotipica o eterotipica tra due diagnosi potrebbe in realtà essere spiegata da un tratto temperamentale/comportamentale “soggiacente”, non adeguatamente controllato e che potrebbe essere alla base delle manifestazioni più evidenti. In modo analogo, quando guardiamo all’influenza degli eventi di vita stressanti (SLE) su specifiche diagnosi (e.g. depressione/ansia), la mancata considerazione dell’effetto esercitato dagli stessi SLE su altre e covarianti forme di psicopatologia potrebbe limitare il valore delle associazioni stimate tra gli eventi avversi e la dimensione psicopatologica in esame. Di fatto solo pochi studi


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hanno analizzato gli effetti degli eventi di vita avversi su un range di tratti psicopatologici prendendoli simultaneamente in considerazione (Copeland et al., 2009b). Gli studi disponibili si sono tipicamente focalizzati su uno o due domini adiacenti (per esempio, ansia e depressione), o su macro-aree di problematicità (per esempio problematiche di tipo internalizzante e/o esternalizzanti o problematiche generali) (Essex et al., 2006; Amone-P’Olak et al., 2009). La seconda questione fa riferimento al possibile legame complesso e spesso reciproco che intercorre tra gli eventi di vita avversi e la psicopatologia. A questo va aggiunto il fatto che lo stesso evento di vita stressante può di per sé presentare una struttura causale complessa dove si intrecciano fattori ambientali e genetici (per esempio la malattia mentale di uno dei due genitori agisce come fattore ambientale avverso per la vita del figlio, ma al suo interno contiene un fattore genetico che può essere stato trasmesso al figlio che reagirà a suo volta al fattore ambientale sulla base del determinante genetico insito nello stesso). Tutto ciò è alla base della complessa questione dell’interazione e della correlazione gene-ambiente, e supporta ulteriormente l’idea che la psicopatologia possa “essere causata da”, ma anche “causare” gli SLE (Plomin et al., 1977). Anche se questa catena causale potrebbe risultare molto complessa e difficile da dimostrare, persino all’interno di studi genetico-comportamentali accuratamente disegnati (Rutter et al., 2006), gli attuali studi epidemiologici longitudinali non possono tuttavia ignorare la doppia natura che può essere assunta dai SLE nella psicopatologia dell’età evolutiva. Di conseguenza, gli studi epidemiologici dovrebbero considerare gli eventi avversi e la psicopatologia nella loro reciproca influenza nel tempo piuttosto che esclusivamente nel contesto di catene causali unidirezionali (dal fattore stressante alla psicopatologia). Più nel dettaglio, se da una parte gli studi di associazione tra fattori stressanti e psicopatologia sono disponibili (Grant et al., 2006), dall’altra sono necessari dati sul ruolo di mediatore degli eventi di vita stressanti in quanto fattori che contribuiscono alla continuità nel tempo di un ampio spettro di problematiche emotive e comportamentali adolescenziali. Solo recentemente alcuni studi di follow-up a due anni hanno dimostrato come vi fosse presente un ‘ciclo reciproco’ ed automantenentesi tra lo stress interpersonale e la depressione tra le ragazze di età compresa fra i 10 e i 14 anni: le ragazze che presentavano sintomi di ansia e depressione avevano un comportamento tale nei rapporti interpersonali da indurre un maggiore numero di interruzioni del rapporto con amici e/o eventuali partner, a cui conseguiva poi un ulteriore aumento della sintomatologia depressiva a causa dell’evento di vita negativo, quale l’interruzione di una relazione importante (Hammen, 2006; Rudolph et al., 2009) In questo lavoro presentiamo i risultati di uno studio epidemiologico di followup della durata di 5 anni focalizzato su un ampio spettro di problematiche emotive e comportamentali misurate con le scale della CBCL orientate alle diagnosi DSM IV in un campione di popolazione generale raccolto nel corso del progetto PrISMA (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti) (Frigerio et al., 2006, 2009). Le sei scale CBCL DSM-Oriented (DOS) utilizzate per la valutazione delle problematiche emotivo comportamentali includono Problemi Affettivi, Problemi d’Ansia, Problemi Somatici, Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività, Problemi OppositivoProvocatori e Problemi della Condotta.


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Il nostro primo obiettivo era quello di indagare la continuità e la discontinuità dei comportamenti sopradescritti dai 10-14 anni ai 15-19 anni, tenendo contemporaneamente in considerazione la reciproca covariazione dei tratti considerati. Il secondo obiettivo era quello di indagare le differenti e complesse associazioni tra SLE e i tratti psicopatologici di interesse, sempre considerando contemporaneamente la covariazione tra le diagnosi, e quindi di valutare il possibile ruolo di mediatori dei SLE nel mantenimento della continuità della psicopatologia durante questo intervallo di tempo. Abbiamo inoltre valutato quale fosse stata l’effettiva richiesta di aiuto dei ragazzi coinvolti nello studio quando presentavano queste problematiche sia di tipo internalizzante che esternalizzante, così da poter avere qualche primo indicatore sulla capacità dei servizi di far fronte a queste problematiche. Materiali e Metodi Campione Il campione iniziale era costituito da 3418 preadolescenti italiani di età compresa tra i 10 e i 14 anni selezionati all’interno di scuole pubbliche e private, studiati all’interno del progetto PrISMA che ha indagato la prevalenza dei disturbi mentali in preadolescenti (10-14 anni) che vivevano in aree urbane italiane, e che ha analizzato i correlati demografici e biologici delle problematiche emotive e comportamentali (Frigerio et al., 2006, 2009; Nobile et al., 2007, 2009, 2010). Al momento della prima valutazione del progetto PrISMA (T1) i partecipanti frequentavano la scuola media inferiore (dal primo al terzo anno) e vivevano in sette aree urbane che comprendevano cinque aree urbane di piccole/medie dimensioni e due aree metropolitane (le città di Roma e di Milano). Dei sette gruppi di ricerca originariamente coinvolti nel progetto PrISMA, tre gruppi, i cui partecipanti provenivano dalle aree di Lecco (n = 435), Conegliano (n = 426) e Rimini (n = 344), hanno continuato lo studio nella fase di follow-up (T2). Dopo 5 anni dalla prima valutazione, i soggetti che avevano aderito al T1 sono stati invitati via mail e/o telefono a partecipare alla seconda fase del progetto. Dei 1205 adolescenti candidati a partecipare al T2 il 32.9% (n =398) non era più reperibile a causa di cambiamenti nell’indirizzo, indirizzi mail/numeri di telefono incompleti o trasferimento. I questionari sono stati quindi inviati alle famiglie degli 808 adolescenti rimanenti e di questi, 420 soggetti di età tra i 15 e i 19 anni (pari al 52%, di cui 49.3% maschi, 50.7% femmine) hanno accettato di partecipare allo studio. Dato che solo circa la metà delle potenziali famiglie ha partecipato alla fase di follow-up, sono state condotte delle analisi preliminari per valutare se il gruppo dei partecipanti fosse rappresentativo del gruppo iniziale. Procedure Il protocollo dello studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Istituto Scientifico ‘Eugenio Medea’. È stato ottenuto un consenso informato scritto da parte dei genitori e dei ragazzi (ove richiesto).


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Scala di valutazione emotiva e comportamentale La CBCL/6-18 è un questionario autosomministrato riguardante le competenze sociali e le problematiche emotivo-comportamentali che possono essere presenti durante l’età evolutiva compilato dai genitori di bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e i 18 anni (Achenbach e Rescorla, 2001). In accordo con l’Achenbach System of Empirically Based Assessment (ASEBA), gli ‘item’ della CBCL/6-18 possono essere utilizzati per calcolare le seguenti Scale DSM-Oriented (DOSs): Problemi Affettivi, Problemi d’Ansia, Problemi Somatici, Problemi da Deficit dell’Attenzione/ Iperattività, Problemi Oppositivo-Provocatori e Problemi della Condotta. Sebbene le scale DOS non siano perfettamente equivalenti a nessuna diagnosi clinica, esse predicono in modo soddisfacente le diagnosi DSM-IV (Lengua et al., 2001; Krol et al., 2006; Spatola et al., 2007; Ferdinand, 2008). Nel nostro campione le scale DOS mostrano valori accettabili di consistenza interna sia a T1 che a T2 (Problemi Affettivi: T1-α=0.65, T2-α=0.71; Problemi d’Ansia: T1-α=0.64, T2-α=0.68; Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività: T1-α=0.80, T2-α=0.77; Problemi Oppositivo-Provocatori: T1-α=0.67, T2-α=0.76; Problemi della Condotta: T1-α=0.68, T2α=0.83) con l’eccezione della scala Problemi Somatici (T1-α=0.46, T2-α=0.50). Scheda socio-demografica Le caratteristiche individuali e familiari del campione sono state raccolte attraverso una scheda formulata ‘ad hoc’ e compilata dai genitori. Questa consisteva in una versione estesa del questionario originariamente utilizzato nella prima fase del progetto PrISMA e includeva domande su: dati socio-demografici, scolarità del bambino, possibili contatti con i servizi di salute mentale e status socio-economico della famiglia (SES) (Frigerio et al., 2006). Il questionario iniziale era stato integrato per la seconda valutazione con una sezione contenente l’elenco di 14 SLE prevalentemente basata su una lista di 11 eventi potenzialmente dannosi per il bambino dal punto di vista psicologico, così come sviluppata e adottata da Meltzer (Meltzer et al., 2003), nel più importante studio condotto in Inghilterra nell’ambito dell’età evolutiva, a cui sono stati aggiunti ulteriori tre eventi (il bambino è stato vittima di bullismo, il bambino è stato vittima di violenza e il bambino ha subito molestie sessuali) sulla base dei risultati di precedenti lavori sull’emotività in adolescenza (Brown et al., 1987; Grant et al., 2006). Ai genitori è stato chiesto se i loro figli avessero mai sperimentato uno o più di questi eventi avversi; le categorie di risposta erano ‘si’ o ‘no’; qualora uno qualsiasi degli eventi si fosse verificato, ai genitori veniva richiesto di riportare l’età in cui il bambino l’aveva sperimentato per la prima volta. Abbiamo considerato il numero di eventi di vita stressanti senza tenere conto della percezione che i soggetti avevano della loro gravità. Per questo studio, abbiamo definito “SLE recenti” tutte quelle esperienze occorse dopo la prima valutazione a T1, mentre gli eventi cronici (come la malattia cronica di un parente), iniziati prima della prima valutazione, non sono stati considerati. Allo stesso modo, sono stati esclusi dalle analisi quegli eventi per i quali i genitori non avevano riportato l’età del bambino al momento della prima sperimentazione.


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Analisi dei dati Le analisi preliminari di rappresentatività del campione sono state svolte con lo scopo di identificare possibili differenze nelle variabili socio-demografiche e cliniche tra i soggetti che hanno aderito alla seconda fase del progetto e coloro che hanno rifiutato. Più nel dettaglio, abbiamo paragonato i punteggi a tutte le scale DOS e l’età a T1 dei partecipanti con quello dei non partecipanti a T2 attraverso un’ANOVA; abbiamo paragonato il genere, il livello educativo del padre e della madre e la struttura familiare a T1 dei partecipanti vs quelle dei non partecipanti a T2 attraverso il test χ2. Per studiare la continuità e discontinuità della psicopatologia dalla preadolescenza (T1) alla tarda adolescenza (T2), abbiamo utilizzato i seguenti indicatori: – Cambiamenti nei punteggi medi delle scale DOS: i cambiamenti nei punteggi medi sono stati calcolati sulla base di medie e deviazioni standard (S.D.) dei punteggi grezzi delle sei scale DOS misurate a T1 e T2. È stata condotta una ANOVA a misure ripetute per rilevare le differenze significative tra T1 e T2, con il genere come fattore tra i soggetti. In base ai criteri di Cohen, la grandezza dell’effetto è considerata: η2<0.06=piccola; 0.06-0.14=media, >0.14=grande (Cohen, 1988). – Stabilità: è stato calcolato il coefficiente di correlazione di Pearson tra i punteggi grezzi delle scale DOS a T1 e T2 quale indice del grado di stabilità dei problemi emotivo/comportamentali. Abbiamo utilizzato i criteri di Cohen per valutare l’ampiezza dei coefficienti di correlazione: piccolo (r=0.10-0.29), medio (r=0.30-0.49) o grande (r≥0.50) (Cohen, 1988). – Predittori: per determinare se i punteggi delle scale DOS a T1 predicono i punteggi a T2, tutti i predittori sono stati inseriti simultaneamente in una analisi di regressione e successivamente è stata condotta una selezione backwards stepwise per rimuovere i predittori non significativi dal modello (criterio di ingresso: p<0.05; criterio di esclusione p≥0.1; test del rapporto di verosimiglianza). Il genere è stato incluso nelle analisi come predittore addizionale. La statistica di Wald è stata utilizzata per testare la significatività (p<0.05) delle variabili indipendenti mentre il test f ci ha permesso di testare la significatività (p<0.05) di ogni modello di regressione completo. Il numero di test condotti in questo studio ha suggerito la necessità di correggere i livelli di significatività sulla base del fatto che si stavano effettuando dei confronti multipli, ad esempio tramite la procedura di Bonferroni. Tuttavia, la probabilità di risultati casuali nella regressione logistica era minimizzata dall’applicazione di test di significatività per i modelli di regressione completi, rendendo quindi non necessaria la correzione del livello di significatività che è stato impostato a p<0.05. – Il ruolo di mediatore dei SLE verificatisi dopo la prima valutazione: per testare il possibile ruolo di mediatore dei SLE abbiamo seguito i passaggi tradizionali indicati da Baron e Kenny (Baron e Kenny, 1986) per stabilire la presenza di mediazione. Un mediatore è una variabile che, dal punto di vista concettuale e statistico, spiega la relazione tra un predittore e una variabile criterio, così che: (a) il predittore è significativamente correlato al criterio, (b) il predittore è significativamente correlato al mediatore, (c) il mediatore è correlato al criterio e (d) la varianza del criterio spiegata


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dal predittore diminuisce quando si considera l’effetto del mediatore (Baron e Kenny, 1986). In base a questa definizione, lo step (a) è stato valutato con la regressione lineare multipla backward stepwise descritta alla fine del precedente paragrafo (predittori). Lo step (b) è stato appurato attraverso una serie di regressioni lineari tra le singole scale DOS a T1 e il numero di SLE recenti. La relazione tra SLE (mediatore) e psicopatologia (criterio) è stata testata tramite una regressione tra le sei scale DOS a T2 e il numero di SLE recenti (step c). Al fine di ottenere risultati che fossero informativi in modo specifico per ciascuna scala DOS in ogni regressione condotta, sono state inserite come covariate nell’analisi le altre scale DOS a T1 e il genere. Abbiamo verificato la presenza di una mediazione (step d) determinando il grado di attenuazione della relazione tra DOS a T1 e DOS a T2 determinati dall’inserimento dei SLE nel modello di regressione nel ruolo di covariata. La riduzione della relazione tra DOS a T1 e DOS a T2 è stata quantificata come percentuale di riduzione del coefficiente di regressione per il disturbo a T1. Per testare la significatività statistica di ogni effetto indiretto condizionale siamo successivamente ricorsi al metodo del bootstrapping per stimare gli intervalli di confidenza (CI) al 95% per l’effetto indiretto osservato (Preacher e Hayes, 2008). Gli intervalli di confidenza così ottenuti risultano essere il metodo più accurato per testare l’effetto di mediazione. Per attribuire lo stesso peso ad informazioni ottenute in tempi diversi e per assicurarci che tutte le variabili nei modelli di regressione e mediazione fossero comparabili, abbiamo standardizzato i punteggi delle scale DOS ed il numero di SLE attribuendo media pari a 0 e deviazione standard uguale a 1 (punteggi z) (Kraemer e Blasey, 2004). In tutte le analisi di regressione sono stati calcolati l’Indice di Tolleranza e il Fattore di Inflazione della Varianza (Variance Inflation Factor - VIF) per la verifica della assenza di collinearità tra varibili. Tutte le analisi sono state condotte con il software PASW Statistics, versione 18.0, con un valore di alpha p< 0.05. Ricorso ai Servizi A titolo puramente descrittivo è stata calcolata la percentuale di “casi” che ha fatto ricorso a qualche tipo di servizio di salute mentale. Questa informazione è stata ricavata attraverso domande presenti nel questionario socio-demografico, in cui si chiedeva di indicare l’eventuale ricorso ai servizi sociali, a uno specialista privato o a servizi di neuropsichiatria infantile. Sono stati considerati ‘casi’ di rilevanza clinica i soggetti con punteggi al di sopra del 90° percentile per le scale oggetto di interesse, sono invece considerati “nella norma” coloro che hanno ottenuto punteggi al di sotto di tale soglia. Risultati Analisi di rappresentatività del campione Le caratteristiche demografiche del campione sono mostrate in Tabella 1. Non abbiamo riscontrato differenze significative tra adesioni e rifiuti nei punteggi alle scale psicopatologiche DOS, nell’età, nel genere e nel livello educativo del padre valutati a T1. Sono state invece riscontrate differenze significative per il livello educativo


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della madre (χ2=8.55; p=0.003), il SES (χ2=5.71; p=0.017) e la struttura familiare (χ2=7.51; p=0.006), con livelli educativi della madre più bassi, SES più basso e un numero maggiore di famiglie monoparentali tra coloro che hanno rifiutato di aderire alla seconda fase del progetto.

Tabella 1. Caratteristiche sociodemografiche del campione a T2 (N = 420). Caratteristiche Genere, Femmine (n, %) Età (media ± SD)

213 (50.7) 17.71 ± 0.93

Caratteristiche familiari Un genitore (n, %)

44 (10.7)

Livello educativo della madre <10 anni (n, %)

160 (38.5)

Livello educativo del padre <10 anni (n, %)

171 (41.1)

Basso SES (n, %)

46 (11.3)

Eventi di vita stressanti (media ± SD)

0.70 ±0.97

Cambiamenti nei punteggi medi delle scale DOS Per 382 soggetti (196 maschi e 186 femmine) erano disponibili dati emotivi, comportamentali e socio-demografici completi a T1 e a T2. La Tabella 2 mostra i punteggi grezzi medi alle scale DOS dei partecipanti, maschi e femmine, a T1 e T2. Sia i Problemi d’Ansia che i Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività mostravano una riduzione significativa dei punteggi (η2=0.04 e η2=0.08; p<0.001). I Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività mostravano inoltre un effetto lineare del genere (maschi, η2=0.03, p=0.001); per i Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività e per i Problemi d’Ansia era presente un’interazione significativa tempo x genere (η2=0.01, p=0.001 e η2=0.03, p=0.03, rispettivamente), sostenuta da una più marcata riduzione dei punteggi nel tempo per i maschi. All’opposto, i risultati mostravano un significativo incremento nel tempo dei punteggi medi delle scale Problemi Affettivi (η2=0.03, p=0.001) e Problemi Somatici (η2=0.03, p<0.001), con una interazione tempo x genere significativa (η2=0.02, p=0.016 e η2=0.02, p=0.004, rispettivamente) per le femmine sostenuta da un incremento più marcato dei punteggi nel corso del tempo. Era inoltre presente un significativo aumento nel tempo dei punteggi medi alla scala Problemi di Condotta (η2=0.02, p=0.006), ma senza un effetto significativo dell’interazione tra tempo e genere. Infine, abbiamo rilevato un effetto significativo del genere sui Problemi Somatici (η2=0.02, p=0.01) con punteggi più alti per le ragazze, e sui Problemi dell’Attenzione/Iperattività (η2=0.03, p=0.001) e di Condotta (η2=0.02, p=0.012) con punteggi più alti per i maschi. Non erano presenti effetti significativi di tempo, genere o interazione tra tempo e genere sul punteggio alla scala dei Problemi Oppositivo-Provocatori. La grandezza dell’effetto stimato era media


2.38 (1.83)

0.89 (1.06)

3.82 (2.92)

2.28 (1.53)

1.35 (2.08)

Problemi d’Ansia

Problemi Somatici

Problemi da Deficit dell’Attenzione/ Iperattività

Problemi OppositivoProvocatori

Problemi di Condotta

0.91 (1.60)

1.98 (1.70)

2.72 (2.61)

0.94 (1.21)

2.35 (1.97)

1.79 (2.13)

Femmine (N=186)

T1

1.14 (1.87)

2.14 (1.62)

3.28 (2.82)

0.91 (1.13)

2.36 (1.90)

1.92 (2.18)

Totale (N=382)

1.78 (3.03)

2.19 (2.07)

2.78 (2.69)

0.94 (1.12)

1.62 (1.70)

2.24 (2.61)

Maschi (N=196)

1.21 (2.34)

2.18 (2.01)

2.26 (2.34)

1.44 (1.62)

2.26 (2.08)

2.49 (2.84)

Femmine (N=186)

T2

1.50 (2.73)

2.19 (2.04)

2.53 (2.54)

1.18 (1.40)

1.93 (1.92)

2.36 (2.72)

Totale (N=382)

7.671

0.304

32.620

12.938

16.665

10.460

F

0.006

0.582

< 0.001

< 0.001

< 0.001

0.001

p

Tempo

0.020

0.001

0.079

0.033

0.042

0.027

Eta quadrato

6.376

0.936

11.469

6.647

3.418

0.203

F

0.012

0.334

0.001

0.010

0.065

0.653

p

Genere

0.017

0.002

0.029

0.017

0.009

0.001

Eta quadrato

Nota. Tutte le variabili sono state analizzate attraverso una analisi della varianza (ANOVA) a misure ripetute, con ‘genere’ come fattore tra i soggetti.

2.13 (2.22)

Maschi (N=196)

Problemi Affettivi

CBCL DOS Media (sd)

Tabella 2. Punteggi grezzi delle scale CBCL DOS nei partecipanti maschi e femmine a T1 e T2.

.275

2.238

4.726

8.515

10.577

5.904

F

0.601

0.135

0.030

0.004

0.001

0.016

p

0.001

0.006

0.012

0.022

0.027

0.015

Eta quadrato

Tempo * Genere

CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

661


662

M. NOBILE - P. COLOMBO - M. BELLINA ET AL.

per l’effetto del tempo sui Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività e piccola per tutti gli altri effetti significativi. Stabilità Tra le scale psicopatologiche DOS, i coefficienti di correlazione di ordine zero erano medi e significativi (per tutti: p<0.001) per Problemi Affettivi (r=0.39), di Ansia (r=0.42), Somatici (r=0.32), Oppositivo-Provocatori (r=0.48) e di Condotta (r=0.43), e più grandi e significativi per Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (r=0.55). Predittori di psicopatologia La Tabella 3 mostra i risultati (riportati come coefficienti beta standardizzati) del modello di regressione lineare backward stepwise per la predizione della psicopatologia in adolescenza. Per tutte le scale DOS, il punteggio della scala a T1 era il predittore più consistente e significativo del punteggio sulla stessa scala a T2 con valori β che variavano da 0.26 nei Problemi di Condotta a 0.47 nei Problemi Oppositivo-Provocatori (p<0.001), chiara indicazione a favore dell’ipotesi di una continuità omotipica per tutte le scale CBCL basate sui criteri del DSM-IV. Inoltre, i Problemi Affettivi a T2 erano significativamente predetti dai Problemi Somatici (β=0.13; p=0.014) e dai Problemi Oppositivo-Provocatori (β=0.16; p=0.002) a T1; i Problemi d’Ansia a T2 erano predetti dai Problemi Affettivi (β=0.12; p=0.029) a T1; i Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività a T2 erano significativamente predetti dai Problemi Affettivi (β=0.10; p=0.033) e dai Problemi Oppositivo-Provocatori (β=0.12; p=0.028) a T1; i Problemi di Condotta a T2 erano significativamente predetti dai Problemi Oppositivo-Provocatori (β=0.25; p<0.001) a T1. Il genere prediceva significativamente i Problemi d’Ansia (β=0.19; p<0.001) e i Problemi Somatici (β=0.17; p<0.001). Nessuna delle variabili indipendenti esibiva importanti problemi di collinearità: l’Indice di Tolleranza variava tra 0.590 e 1 e il punteggio VIF tra 1 e 1.694. Tutti i modelli di regressione completi erano significativi (F variava da 23.08, df=7.379, p<0.001 - per i Problemi Affettivi - a 62.42, df=7.379, p<0.001 - per i Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività). La proporzione di varianza spiegata dai modelli variava da R2=0.13 (per i Problemi Somatici) a R2=0.33 (per i Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività). Analisi di mediazione Attraverso le analisi di regressione abbiamo trovato che il numero di SLE intercorsi tra T1 e T2 era predetto dai Problemi Affettivi (β=0.15; p=0.002), dai Problemi d’Ansia (β=0.13; p=0.007), dai Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività (β=0.17; p=0.001), dai Problemi Oppositivo-Provocatori (β=0.21; p<0.001) e dai Problemi di Condotta (β=0.12; p=0.015). Questo significa che tutte le scale DOS, ad eccezione dei Problemi Somatici, predicevano la comparsa dei SLE nel periodo di tempo intercorso tra T1 e T2. Tuttavia, quando abbiamo condotto le analisi di regressione multipla backward stepwise per valutare i possibili predittori significativi dei SLE recenti (step b), con tutte le scale DOS a T1 che entravano simultaneamen-


0.13*

Problemi Affettivi

Problemi d’Ansia

Problemi Somatici

0.189***

-

0.16**

0.218***

0.19***

-

-

-

-

0.36***

0.12*

Problemi d’Ansia

0.125***

0.17***

-

-

-

0.31***

-

-

Problemi Somatici

0.327***

-

-

0.12*

0.45***

-

-

0.10*

Problemi da Deficit dell’Attenzione/ Iperattività

0.235***

-

-

0.47***

-

-

-

-

Problemi OppositivoProvocatori

0.214***

-

0.26***

0.25***

-

-

-

-

Problemi di Condotta

Nota. I dati sono espressi come coefficienti di regressione standardizzati β, originati dalle analisi di regressione multipla (backward stepwise); livello di significatività α=.05; vengono presentati solo i risultati significativi. *** p <.001; ** p <.010; * p <.050. I coefficienti β delle correlazioni omotipiche sono riportati in grassetto.

R2 corretto

Genere

Problemi di Condotta

Problemi Oppositivo-Provocatori

-

0.29***

CBCL DOS a T1

Problemi da Deficit dell’Attenzione/Iperattività

Problemi Affettivi

CBCL DOS a T2

Tabella 3. Predittori di psicopatologia a T2.

CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

663


664

M. NOBILE - P. COLOMBO - M. BELLINA ET AL.

te nell’analisi di regressione, con il genere come covariata e l’utilizzo della selezione backward stepwise per rimuovere i predittori non significativi dal modello, l’unico predittore che rimaneva significativo era la scala dei Problemi Oppositivo-Provocatori (β=0.20; p<0.001; modello completo F=2.873, df=6,209, p=0.01). Ciò significa che la capacità dei diversi comportamenti problematici a T1 di incrementare la probabilità che si verifichino SLE recenti dovrebbe essere più parsimoniosamente ricondotta al solo effetto dei Problemi Oppositivo-Provocatori, spesso presenti in co-morbidità con gli altri tratti psicopatologici. Abbiamo condotto una seconda analisi di regressione multipla per verificare lo step (c) dell’approccio alla mediazione di Baron e Kenny (Baron e Kenny, 1986) facendo regredire tutte le scale DOS a T2 sul numero di SLE recenti, tenendo sotto controllo gli effetti di tutte le scale a T1 e del genere. Queste analisi hanno mostrato che il numero di SLE recenti predice punteggi più elevati alle scale Problemi Affettivi (β=0.23; p<0.001), Problemi d’Ansia (β=0.14; p=0.002) e Problemi OppositivoProvocatori (β=0.15; p=0.001). Le uniche relazioni che soddisfacevano i criteri (a), (b) e (c) di Baron e Kenny (Baron e Kenny, 1986) per la mediazione erano la relazione tra Problemi OppositivoProvocatori a T1 e Problemi Affettivi a T2, e la relazione tra Problemi OppositivoProvocatori a T1 e Problemi Oppositivo-Provocatori a T2. Quindi, l’ultimo passaggio (step d) per le analisi di mediazione dei SLE recenti ha incluso solo queste due relazioni. L’inclusione dei SLE recenti quali mediatori significativi riduceva la forza dell’associazione tra Problemi Oppositivo-Provocatori a T1 e Problemi Affettivi (Figura 1a) e Oppositivo-Provocatori (Figura 1b) a T2: i coefficienti di regressione si riducevano del 26% per i Problemi Affettivi e del 6% per i Problemi OppositivoProvocatori. I risultati del bootstrap mostravano in entrambi i casi un effetto di mediazione significativo, con CI-95%: 9-53% per i Problemi Affettivi e CI-95%: 1-15% per i Problemi Oppositivo-Provocatori. La proporzione di varianza spiegata per il modello che includeva i SLE aumentava rispettivamente da R2=0.189 a R2=0.223 e da R2=0.235 a R2=0.246. Ricorso ai servizi Globalmente l’8,9% del nostro campione ha avuto qualche tipo di contatto con i servizi di salute mentale, di questi il 3,6 % ha fatto ricorso ai servizi sociali, il 7,3 % ad uno specialista privato e solo l’1,2% ad un servizio di neuropsichiatria infantile. Per quanto riguarda i soggetti che presentavano problematiche internalizzanti (problematiche Affettive ed Ansia) il ricorso ai servizi è stato compreso tra il 26% e il 28%, mentre per le problematiche nell’ambito esternalizzante (problematiche oppositivo provocatorie e della Condotta) e dei problemi dell’Attenzione, si sono rivolti a un servizio di NPIA una percentuale di ‘casi’ compresa tra il 30% e il 38%. Per valutare l’appropriatezza o meno del ricorso ai servizi, abbiamo indagato anche la percentuale dei soggetti con punteggi nella norma a T2 su tutte le scale indagate che hanno comunque fatto ricorso ad un qualche tipo di servizio di salute mentale: la percentuale dei ragazzi senza problematiche psicopatologiche di rilievo che ha fatto ricorso a qualche forma di aiuto è il 5,5%


CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

665

Fig. 1a

Fig. 1b Figura. 1 Analisi di Mediazione. Lo step (a) mostra l’effetto diretto del punteggio z della scala CBCL DOS a T1 sul punteggio z della scala CBCL DOS a T2; lo step (b) mostra l’effetto diretto del punteggio z della scala CBCL DOS a T1 sul numero di SLE recenti; lo step (c) mostra l’associazione dei SLE con i punteggi DOS a T2. Lo step (d) e il punteggio ß’ rappresentano l’effetto dei punteggi delle scale CBCL DOS a T1 dopo che i SLE sono stati aggiunti al modello. Le analisi di ogni step sono state svolte includendo le altre manifestazioni psicopatologiche a T1 ed il genere come variabili di controllo. Per ogni analisi di regressione sono riportati i valori β e i livelli di significatività (*p< 0.05; **p < 0.01; ***p < 0.001).


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Discussione Questo è il primo studio italiano che si è proposto di indagare in un campione epidemiologico la stabilità delle problematiche psicopatologiche attraverso la fase evolutiva adolescenziale, tenendo conto della co-variazione dei diversi tratti psicopatologici oggetto di indagine tra di loro e dell’impatto che su questi comportamenti esercitano gli eventi di vita stressanti. I dati emersi da questa indagine hanno evidenziato come i comportamenti indagati tendano a mantenersi stabili nel tempo, attraverso questa fase di vita: pertanto il periodo pre-adolescenziale/adolescenziale che rappresenta sicuramente un momento di grandi mutamenti nella vita dei ragazzi, non appare altrettanto “fluido” sul piano psicopatologico. La stabilità psicopatologica riscontrata si declina però con modalità differenti, nei differenti comportamenti. Per esempio, le problematiche connesse al Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività e al Disturbo Oppositivo-Provocatorio (r=0.55 and r=0.48, rispettivamente) si presentano come molto più stabili/ continue nel tempo rispetto alle problematiche di tipo internalizzante, confermando così un quadro già descritto in altri studi internazionali (Stanger et al., 1992; Verhulst e Van der Ende, 1995; Hofstra, 2000). Allo stesso tempo questi dati hanno evidenziato una tendenza moderata alla riduzione della gravità dei comportamenti legati al Deficit di Attenzione e Iperattività soprattutto nei ragazzi, con una riduzione soprattutto alla sfera dell’iperattività (Spencer et al., 2007). Le problematiche legate al Disturbo della Condotta, disturbo di per sé abbastanza stabile, hanno mostrato un lieve aumento sia nei ragazzi che nelle ragazze. I disturbi della sfera affettiva, nel periodo evolutivo preso in esame, sono in generale meno stabili, in quanto si assiste ad un aumento delle problematiche legate alla sfera Affettiva e Somatica, soprattutto nelle ragazze. Pur tenendo in considerazione la possibile co-morbidità anche in diverse sfere del comportamento, nel campione studiato l’evoluzione della psicopatologia in adolescenza ha presentato prevalentemente una modalità di tipo ‘omotipico’, cioè lo stesso disturbo tende ad auto-mantenersi nel tempo. L’utilizzo di analisi multivariate ha però permesso di evidenziare la presenza anche di altre modalità di evoluzione di tipo ‘eterotipico’, per diversi tratti comportamentali studiati, sia basati sul costrutto di ‘multifinalità’, cioè di un evoluzione a partire dalle stesse problematiche verso esiti diversi, che sul costrutto di ‘equifinalità’, cioè la possibilità che diverse costellazioni sintomatologiche attraverso diversi percorsi portino ad un esito finale comune (Cicchetti, 1990). Un chiaro esempio di ‘multifinalità’ nell’evoluzione delle problematiche comportamentali è dato dal Disturbo Oppositivo-Provocatorio: i ragazzi con elevate problematiche in questo ambito in pre-adolescenza potranno presentare alla fine dell’adolescenza non solo problemi oppositivo-provocatori ma anche difficoltà nella sfera dell’umore e dell’affettività e comportamenti di tipo asociale. Questa modalità di evoluzione appare essere specifica del Disturbo Oppositivo-Provocatorio ed essere una caratteristica trans-culturale propria di questo disturbo. Questa modalità di


CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

667

evoluzione non è invece valida per il Disturbo della Condotta in pre-adolescenza: quando il Disturbo della Condotta si presenta infatti all’inizio dell’adolescenza senza nessuna co-morbidità con altri disturbi tende ad essere molto stabile e ad auto-mantenersi senza coinvolgere altre sfere di funzionamento emotivo o comportamentale. Queste modalità di evoluzione così diversa per i due principali disturbi della sfera dei comportamenti esternalizzanti, conferma i dati emersi dai due più importanti studi epidemiologici in questa fascia di età, condotti in Canada (Canadian National Longitudinal Study of Youth, Boylan et al., 2010) e negli USA (Great Smoky Mountains Study, Copeland et al.,2009a), suggerendo che anche in contesti sociali differenti esisterebbe una modalità di evoluzione specifica del Disturbo Oppositivo-Provocatorio verso diversi disturbi comportamentali della sfera internalizzante ed esternalizzante indipendentemente dalla sua comorbidità con il Disturbo della Condotta e che il Disturbo della Condotta sembra avere caratteristiche specifiche proprie, specie nelle forme che insorgono molto precocemente, e permangono stabili nel tempo. Per le problematiche affettive la modalità di evoluzione si presenta invece differente: la presenza di disturbi dell’umore alla fine dell’adolescenza è significativamente predetta non solo da queste stesse problematiche in pre-adolescenza, ma anche dalla presenza di problemi somatici (quali per esempio frequenti mal di pancia o frequenti mal di testa) e da comportamenti di tipo oppositivo-provocatorio, suggerendo quindi un costrutto di tipo ‘equifinalita’. Contemporaneamente la presenza di problemi legati alla sfera dell’umore all’inizio dell’adolescenza può evolvere verso la comparsa di un Disturbo d’Ansia, ma mai verso problematiche di tipo esternalizzante (quindi un esempio di ‘multifinalità ma confinata nella sfera dei disturbi internalizzanti). Il secondo obiettivo che si proponeva questo studio era indagare in che modo gli eventi di vita avversi potessero giocare un ruolo rispetto alla continuità o alla discontinuità di questi tratti psicopatologici. Le analisi svolte hanno permesso di evidenziare come i SLE questi giochino un ruolo particolarmente complesso. Come ci aspettavamo un elevato numero di eventi di vita avversi recenti prediceva un aumento dei comportamenti problematici in quasi tutti gli ambiti indagati ed in particolare delle problematiche affettive, di ansia ed oppositivo-provocatorie, ma non nel caso dei Disturbi della Condotta, confermando così l’importanza del ruolo giocato dagli eventi di vita avversi nello sviluppo di disturbi di tipo internalizzanti, ma rendendo più complessa l’analisi del loro ruolo nei confronti dei problemi esternalizzanti negli adolescenti. I dati di questo studio hanno evidenziato come un elevato numero di problematiche Affettive, d’Ansia, Oppostivo-Provocatorie e di Condotta predicano significativamente un aumento della numerosità degli eventi di vita avversi durante l’adolescenza, quando si utilizza un approccio univariato. Quando è stato utilizzato un approccio multivariato, cioè nelle analisi è stata considerata la co-variazione/co-morbidità tra di loro di tutti i diversi tratti psicopatologici analizzati, l’unica dimensione psicopatologica che prediceva ancora un aumento degli eventi di vita avversi era il disturbo oppositivo-provocatorio; questo suggerisce che questo tratto psicopatologico esternalizzante è probabilmente il più un robusto predittore di un aumento del numero di eventi di vita avversi al di là della co-morbidità con tutti gli altri tratti psicopatologici.


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Le successive analisi di mediazione hanno permesso di evidenziare come gli eventi di vita avversi fossero coinvolti, in qualità di mediatori significativi, nell’auto-mantenimento dei problemi oppositivo-provocatori attraverso l’adolescenza, ma anche nella evoluzione eterotipica dei problemi oppositivo-provocatori verso i disturbi dell’umore. Questi dati confermano quindi in una prospettiva longitudinale e di sviluppo i dati emersi in studi trasversali che suggerivano come l’associazione tra disturbi dell’umore e comportamento oppositivo nei giovani potessero essere mediati dalla presenza di eventi di vita avversi. Questi dati gettano luce sui meccanismi sottostanti l’esordio/mantenimento dei Disturbi dell’Umore e dei Disturbi Oppositivo-Provocatori attraverso l’adolescenza e sul ruolo complesso dell’ambiente: infatti gli eventi di vita avversi possono essere degli antecedenti di psicopatologia, ma possono anche essere il risultato della presenza di tratti psicopatologici già presenti, ed infine, in accordo alle analisi di mediazione qui presentate, possono essi stessi mediare (e quindi essere dei fattori di rischio) per la perpetuazione nel tempo del Disturbo Oppositivo-Provocatorio e per la sua evoluzione verso un Disturbo dell’Umore. Infine dai dati, anche se solo descrittivi del ricorso ai servizi, emerge come la percentuale dei ragazzi che chiede e riceve un qualunque tipo di aiuto appare ancora ben lontana da una situazione ottimale e come la “percentuale” sia sbilanciata a favore dei comportamenti “esternalizzanti”. Questo dato deve indurre qualche riflessione perché lo sviluppo di risposte organizzative basato solo sui dati di afferenza ai servizi, come normalmente viene fatto, rischia non solo di rappresentare un bisogno complessivo grandemente sottostimato, ma anche di “sovrastimare” il peso dei problemi “esternalizzanti”, di per sé emotivamente già prevalente, portando a individuare modelli e modalità di intervento non sempre adeguati rispetto ai bisogni di salute mentale presenti. Nel leggere ed interpretare questi dati devono essere tenute presenti alcune limitazioni insite nella struttura dello studio. Mentre le variabili psicometriche non hanno influenzato la partecipazione allo studio, le analisi di rappresentatività hanno evidenziato che il gruppo dei non partecipanti tendeva a provenire da strati sociali svantaggiati, come suggerito da un eccesso di madri con un basso livello di istruzione, e da un eccesso di famiglie monoparentali e provenienti da un più basso stato socioeconomico. Il campione potrebbe quindi non essere pienamente rappresentativo di una popolazione generale. Comunque il fatto che gli adolescenti non-partecipanti non differivano dagli adolescenti partecipanti in termini di problematiche comportamentali depone per il fatto che la perdita di questi dalle analisi non abbia introdotto un bias significativo. Nelle seconda valutazione (T2) fatta in questo studio l’unica fonte di informazione sui problemi emotivo - comportamentali degli adolescenti è stato il questionario autosomministrato CBCL compilato dai genitori: sarebbe stato utile poter includere anche altre fonti di informazione. Comunque, in base ai dati suggeriti dalla letteratura internazionale, tutte le scale utilizzate in questo studio, nella versione genitori, predicono in maniera soddisfacente le corrispondenti diagnosi del DSM-IV (Lengua et al., 2001; Krol et al., 2006; Ferdinand, 2008), e quindi la attendibilità complessiva


CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

669

rimane elevata. L’utilizzo di misure ‘ripetute’ nel tempo fornite dallo stesso informatore (cioè il genitore) potrebbe portare ad una condivisione della varianza e quindi portare ad un aumento fittizio della stabilità misurata per queste scale, anche se l’elevato lasso di tempo intercorso dovrebbe aver ridotto questo ipotetico rischio. Infine, l’utilizzo in uno spettro più ampio di eventi di vita avversi così come l’utilizzo di indicatori di fattori di protezione sarebbe stato auspicabile per costruire un modello più completo di rischio e adattamento: al momento gli strumenti self-report disponibili e attendibili sono assai limitati. Allo stesso tempo l’utilizzo di informazioni standardizzate su eventuali trattamenti avrebbe potuto aumentare la comprensione del loro effetto sui problemi comportamentali misurati al follow-up: ma questa possibilità al momento non appare praticabile, se non per le sole psico-farmacoterapie, non prese in considerazione nel nostro studio. Conclusione In questo studio è emersa una significativa stabilità nel tempo di tutti i tratti psicopatologici considerati, e come, nella maggior parte dei casi, l’evoluzione di queste problematiche presenti una modalità ‘omotipica’, ad eccezione del disturbo Oppositivo-Provocatorio che si è rivelato predittore polivalente di difficoltà sia nell’ambito dei comportamenti esternalizzanti che dei comportamenti internalizzanti. Questi dati suggeriscono quindi che i comportamenti oppositivo-provocatori potrebbero costituire uno specifico ‘pattern’ di evoluzione comportamentale verso differenti costellazioni sintomatologiche nella prima età adulta, indipendentemente dalla sua comorbidità con altri disturbi del comportamento dirompente quali il Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività e il Disturbo della Condotta e che questo “pattern” predice significativamente un aumento della numerosità degli eventi di vita avversi che, a loro volta, sono il maggior indicatore di rischio per la stabilità del disturbo o per una sua evoluzione verso i Disturbi dell’Umore. Questa catena di rischio merita, a nostro parere, una particolare attenzione, anche se non deve essere pensata come deterministica ed immutabile. Al contrario, se il “rinforzo ambientale esterno” all’interno di questo ciclo venisse interrotto, la risoluzione dei sintomi e la comparsa di un comportamento più adattativo diventerebbero molto più probabili. In un ottica di più ampio respiro, i nostri dati sottolineano come vada rivista la strategia da adottare per una corretta prevenzione primaria che dovrebbe essere significativamente spostata all’inizio della pre-adolescenza: questa età potrebbe essere più responsiva ad interventi esterni di tipo socio-educativo, volti, per esempio, a promuovere la comparsa di comportamenti di ‘coping’ proattivo e adattativo che potrebbero essere utili nel regolare e mitigare la risposta a situazioni di vita stressanti, così come potrebbero giocare un ruolo importante nel ridurre, alla luce di quanto discusso fin qui, la probabilità di persistenza di comportamenti problematici attraverso tutta l’adolescenza e probabilmente, anche nella prima età adulta. Ugualmente andrebbe maggiormente indagato il peso dei fattori di rischio neu-


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M. NOBILE - P. COLOMBO - M. BELLINA ET AL.

ropsicologici sia come induttore di SLE (durante il percorso scolastico) sia come possibile cofattore che entra in gioco nella individuazione delle strategie di coping di fronte agli eventi avversi: e in questo ambito si gioca il ruolo insostituibile della Neuropsichiatria Infantile italiana, purché assuma responsabilmente e attivamente su di sé questa fondamentale funzione di attore consapevole di promozione della salute mentale in età evolutiva. Ringraziamenti Questo studio fa parte del Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti (PrISMA) ed è stato supportato da fondi di ricerca del Ministero della Salute e dal ‘Centro per il Controllo e la prevenzione delle Malattie’ (CCM). Gli Autori ringraziano la dr.ssa Teresa Di Fiandra per il suo supporto e tutte le famiglie e i ragazzi/e che hanno partecipato a questo studio. Riassunto L’adolescenza è un punto di svolta critico e particolarmente importante nell’evoluzione del bambino verso l’adulto, ed è da sempre considerata un periodo durante il quale la comparsa del disturbo mentale può ancora essere prevenuta attraverso specifici interventi di prevenzione primaria. Nonostante questo, le informazioni riguardanti la continuità della psicopatologia in questo periodo di transizione e l’influenza dei fattori ambientali coinvolti rimangono ad oggi molto limitate. L’obiettivo principale di questo studio di follow-up longitudinale a 5 anni su un campione di adolescenti italiani di età compresa fra i 15 e i 19 anni, provenienti da un campione epidemiologico, è stato quello di valutare la stabilità di diversi tratti comportamentali psicopatologici attraverso l’adolescenza, tenendo contemporaneamente in considerazione la reciproca covariazione. Il secondo obiettivo è stato quello di indagare le differenti e complesse associazioni tra Stressfull Life Events (SLE) e i tratti psicopatologici di interesse, sempre considerando contemporaneamente la covariazione tra le diagnosi, e quindi di valutare il possibile ruolo di mediatori da parte dei SLE nel mantenimento della continuità della psicopatologia durante questo intervallo di tempo. La conoscenza di questi due fenomeni è la base per ogni riflessione inerente le modalità più appropriate di prevenzione primaria. È emersa una significativa stabilità nel tempo di tutti i tratti psicopatologici considerati, prevalentemente secondo una modalità “omotipica”. Alcuni disturbi psicopatologici, in particolare il Disturbo Oppositivo-Provocatorio, possono mostrare una evoluzione “eterotipica”. La presenza di problematiche oppositivo-provocatorie nella pre-adolescenza predice significativamente un aumento della numerosità degli eventi di vita avversi che a loro volta predicono un aumento delle problematiche connesse al Disturbo dell’Umore e allo stesso Disturbo Oppositivo-Provocatorio, secondo una catena reciprocamente interagente. Questa catena di rischio merita una particolare attenzione, perché può fornire utili elementi per la scelta degli interventi di prevenzione da attuare e della finestra temporale più idonea per attuarli, così da ridurre la probabilità di persistenza di comportamenti problematici attraverso tutta l’adolescenza e probabilmente, anche nella prima età adulta. Parole chiave Adolescenza – Eventi di vita stressanti – Disturbi psicopatologici.


CONTINUITÀ DELLE PROBLEMATICHE PSICOPATOLOGICHE

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 674-692

Studio retrospettivo su 293 casi di adolescenti borderline: antecedenti evolutivi Developmental antecedentes in a sample of adolescent borderline subjects: retrospective study on 293 cases Renata Nacinovich*, Stefania Gadda*, Monica Bomba*, Francesca Neri*

Summary Through the description of the natural history of the adolescence borderline disorder, the aim is to attempt a retrospective reconstruction of the elements of risk in pre-morbid period, in order to use them in preventive direction. The sample consists of 293 adolescent subjects, afferent to the Infantile Neuropsychiatry ward of the Monza S. Gerardo Hospital, in the years between 1988 and 2003. All the subjects have been diagnosed as suffering from borderline personality disorder. The analysis of the factors predisposing the pathology has taken place through a review of case histories, using a standardized scheme that has been suitably elaborated. The results of study has underlined the importance in first and second infancy is the significant presence of developmental antecedents, such as psychic and somatized anxieties, phobias and obsessions. Furthermore this study has confirmed as discriminant environmental factors predisposing the disorder the family ties, characterized by parental quarrels (26, 62%), separations (14, 33%), abandonments (24, 57%) and abuses (13, 99%). The family context is characterized by an elevated carelessness (72, 35%) and a lacking emotional and relational involvement (46, 08%). The borderline pathology represents in the adolescence the result of a combination of specific developmental antecedents that carry out a decisive role in the pathogenesis. Owing to the identification of these factors in infantile age, it would be possible to outline a hypothesis about the prevention of the borderline personality disorder. Key words Adolescence – Borderline personality disorder – Pre-morbid events – Risk factors.

I disturbi di personalità costituiscono secondo il DSM-IV “un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente dalle aspettative della cultura dell’individuo, … è pervasivo e stabile nel tempo”. Nonostante questa classificazione così chiara, è opinione condivisa che sia particolarmente complesso riconoscere e diagnosticare i disturbi di personalità in adolescenza. Anche se i follow up di diversi studi mostrino una non univoca stabilità della diagnosi di DP nel passaggio da adolescenza a giovane adulto, la pervasività e la stabilità nel tempo del disturbo ne fanno un quadro che ci interroga dal punto di vista della prognosi, soprattutto in presenza di una comorbilità depressiva o con disturbo della condotta. * Clinica

NPI, Università Milano Bicocca, Monza.


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In letteratura, coloro che si rapportano con questo disturbo sembrano concordi nell’affermare che il BPD (disturbo borderline di personalità) è, tra i disturbi di personalità, il più frequente in adolescenza e l’esito finale della combinazione di tre classi di fattori di rischio: individuali, familiari e socioculturali-ambientali. Su questi fattori agirebbero poi degli eventi scatenanti che innescano la sintomatologia vera e propria mantenuta nel tempo da fattori che rinforzano i sintomi. Sono definiti fattori di rischio individuali legati ad aspetti non adattivi quei tratti di personalità che ricorrono frequentemente: alterazione del ritmo sonno-veglia, sintomi psicosomatici, ansie generalizzate, comportamenti fobici e ossessivi (Gudzer et al., 1996; Zelkovitz et al., 2001; Kernberg, Weiner, Bardenstein, 2001). Oltre ai fattori di rischio individuali, la letteratura ha evidenziato da tempo l’eventuale ruolo patogenetico delle relazioni familiari nello sviluppo del disturbo borderline di personalità. Il campo d’indagine e d’osservazione si allarga dunque al contesto più prossimo all’individuo, coinvolgendo i membri della sua famiglia. Sono state riscontrate delle caratteristiche comuni alla maggior parte dei microcosmi familiari nei quali si sviluppano forme di comunicazione patologiche, che impediscono una chiara definizione dei ruoli e dove i sintomi sono interpretabili come risposta alle modalità d’interazione familiare (Liotti e Pasquini, 2000; Goldam, D’Angelo, DeMaso, 1993; Fairburn et al., 1997). Un legame fra il BPD e il contesto socio-culturale e ambientale nel quale si sviluppano è largamente ipotizzabile. Gli studi e le ricerche eseguiti fino ad ora mostrano come i fattori predisponenti socio-culturali possono costituire terreno fertile allo sviluppo. Data la complessità del fenomeno, ci siamo chiesti se fosse possibile individuare alcuni elementi antecedenti l’esordio del disturbo che, mantenendosi stabili attraverso i percorsi evolutivi, aumentano la vulnerabilità psicologica di ciascun individuo, e dunque potrebbero consentire un intervento preventivo che rimetta in gioco le potenzialità di sviluppo. Dunque lo scopo di questo lavoro retrospettivo di revisione catamnestica, effettuato su un campione molto esteso ed omogeneo di pazienti adolescenti, di età compresa tra i 12-18 anni, ha permesso sia di descrivere la storia naturale del disturbo borderline di personalità in pazienti adolescenti nosograficamente diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV TR che di tentare una ricostruzione retrospettiva delle alterazioni del carattere, degli eventi di vita personale e familiare ed il ruolo svolto dai fattori di rischio, in epoca premorbosa. La studio ha comportato una accurata e dettagliata analisi di 293 cartelle cliniche di soggetti ricoverati presso la Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’Ospedale S.Gerardo di Monza, negli anni compresi dal 1988 al 2003, effettuata indagando i sintomi e fattori predisponenti il disturbo, in tre fasi dello sviluppo psicologico: la prima infanzia, la seconda infanzia e l’adolescenza. L’attribuzione della diagnosi è stata fatta utilizzando i criteri diagnostici riportati nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV TR). La selezione del campione è avvenuta sulla base di definiti criteri di inclusione e di esclusione (Tabella 1 e 2).


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Tabella 1. Criteri di inclusione nello studio. CRITERI DI INCLUSIONE 1. 2. 3. 4.

Diagnosi di disturbo borderline di personalità secondo i criteri diagnostici del DSM-IV TR; Età compresa tra i 12 ed i 18 anni; Assenza di concomitanti disturbi in Asse I e Asse II; Anamnesi negativa per precedenti ricoveri o consultazioni in strutture psichiatriche.

Tabella 2. Criteri di esclusione dallo studio. CRITERI DI ESCLUSIONE 1. Presenza di deficit cognitivi (insufficienza mentale); 2. Malattie internistiche anche non correlate con il disturbo borderline di personalità; 3. Trattamento psicoterapeutico.

Per la raccolta dei dati si è provveduto, per ciascun soggetto esaminato, alla compilazione di una Scheda Anamnestica, da noi appositamente elaborata, creata con il preciso scopo di minimizzare i problemi associati agli studi retrospettivi e di ridurre la soggettività e le razionalizzazioni post-hoc, grazie a precise definizioni comportamentali fornite sia dal DSM IV-TR sia da un’intervista semi-strutturata, ORFIOxford Risk Factors Interview (Fairburn et al., 1997). La Scheda è strutturata secondo diverse sezioni, finalizzate ad ottenere un numero significativo di informazioni utili a chiarire gli antecedenti predisponenti l’insorgenza del disturbo borderline di personalità, nel soggetto in esame (si veda Allegato: Figura 1). La prima sezione raccoglie i dati relativi all’età, alla data di ricovero e di dimissione del soggetto e relativi alla situazione familiare in cui il paziente si trova inserito. Con particolare riferimento allo stato di salute, alla situazione occupazionale dei genitori, ad eventuali stati giuridici della coppia e al numero dei fratelli del paziente. Una seconda sezione comprende l’anamnesi patologica del paziente, orientata alla ricerca di sintomi psicosomatici (cefalee, enuresi, tics, patologie di natura allergica), disturbi del sonno e sintomi pregressi quali l’ansia generalizzata, l’ansia di separazione, le fobie e le ossessioni. Infine, nella terza ed ultima sezione si è indagato la vulnerabilità all’ambiente e l’influenza delle esposizioni ai fattori di rischio ambientali e sociali nello sviluppo della patologia borderline. Ciò è avvenuto attraverso l’ausilio ORFI-Oxford Risk Factors Interview (Fairburn et al., 1997). Questa è una scala standardizzata, creata per identificare i fattori di rischio biologici, psicologici e sociali per lo sviluppo dei disturbi alimentari. La scelta di utilizzarla, in questo studio, è avvenuta a fronte del fatto che Fairburn e coll. l’hanno impiegata anche su popolazioni con altri disturbi psichiatrici dell’infanzia e dell’adolescenza e in secondo luogo hanno identificato le condizioni ambientali maggiormente presenti in tali disturbi, focalizzate sul periodo precedente all’esordio della patologia. Questa sezione permette di identificare


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e descrivere i disturbi neuropsichici dei genitori e della fratria del paziente: ansia, disturbo del sonno, depressione, psicosi, fobie e rituali ossessivi, abuso di sostanze, alcolismo e altre patologie psichiatriche. Per quanto concerne i fattori di rischio si sono analizzate le difficoltà relazionali all’interno del sistema familiare, le scarse cure o l’elevata iperprottettività e gli eventi e le situazioni psicosociali stressanti che ricorrono nella storia del paziente. L’analisi descrittiva dei dati si struttura attraverso la suddivisione delle caratteristiche del campione, a seconda dei diversi fattori di rischio da quelli più propriamente psicologici a quelli più relazionali, legati a una specifica vulnerabilità dell’individuo. La presenza di elementi disturbanti, la formazione dell’identità, di famiglie disfunzionali, di eventi psicosociali stressanti apre una finestra sull’ambiente familiare e sulle esperienze traumatiche precoci. Grafico 1. Distribuzione del gruppo campione al ricovero.

Età (anni compiuti)

Il campione è costituito da 145 maschi (49%) e 148 femmine (51%). Di questi 293 soggetti, 32 hanno 12 anni (10,92%), 30 hanno 13 anni (10,24%), 55 ne hanno 14 (18,77%), 57 hanno 15 anni (19,45%), 50 ne hanno 16 (17,06%), 52 hanno 17 anni (17,75%) e infine 17 hanno 18 anni (5,80%). L’età media dei pazienti è di 14,98 (range 12-18) e la deviazione standard è 1,73% (Grafico 1). I risultati emersi vengono presentati suddivisi nelle tre aree di analisi della Scheda Anamnestica: individuale, familiare e ambientale-psicosociale. Nella prima area della Scheda, attraverso una rilettura della storia di questi pazienti si è potuto cogliere comportamenti e segnali di intensa sofferenza, quali i disturbi del sonno, l’ansia generalizzata di separazione, ansia somatizzata, i tratti fobici e ossessivi. La patologia borderline, infatti, permette più di altre di fornire un collegamento diretto con le vicende intrapsichiche e relazionali della prima e seconda infanzia. Questi sintomi possono essere manifestazioni di una disregolazione affettiva, in cui la capacità del paziente di controllare l’espressione degli affetti dipende dallo sviluppo di una rappresentazione interna delle espressioni dei genitori come reazioni all’espressione dei suoi stessi affetti. Nel nostro campione si osserva una drammatiz-


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zazione delle reazioni, dovuta a un processo di mentalizzazione e di internalizzazione alterato e maldattivo. Nella raccolta di notizie relative ai disturbi del sonno, nonostante la maggior parte del campione non presenti nell’attualità tali disturbi, si sono potute riscontrare alterazioni del ritmo sonno-veglia che risalgono ai primi anni di vita e che subiscono un diverso andamento nel corso dello sviluppo del soggetto. I dati del nostro campione riportano che, nella prima infanzia, l’8,87% dei casi mostra difficoltà di addormentamento; durante la seconda infanzia questo valore subisce un calo e aumenta fino a raggiungere una significativa frequenza (24,23%) tra i soggetti, durante l’adolescenza. Mentre, il 2,39% dei casi riferisce frequenti risvegli notturni caratterizzati da crisi di pianto e paura di addormentarsi nei primi anni di vita e 3,41% in adolescenza (Grafico 2). Grafico 2. Abitudini legate al sonno in relazione all’età.

La revisione dei colloqui clinici ha permesso di raccogliere dati che dimostrano una significativa presenza di sintomi connessi allo psiche-soma, rinvenendo nell’ambito prettamente neuro-psichiatrico ansie eccessive legate a vari tipi di eventi o attacchi di panico (20,48%), ansie dovute a separazioni da casa o da figure di riferimento (28,67%), comportamenti fobici di tipo situazionale, di tipo ambientale o ancora di tipo sangue-iniezioni-ferite (20,82%) e comportamenti ossessivi riguardanti la pulizia personale o dell’ambiente domestico o riferiti ad azioni più puramente mentali come il contare o il pregare (19,80%) e altri disturbi di natura apparentemente organica che nella loro genesi contemplano elementi predisponenti d’ordine psicologico, come i disturbi gastroenterici, l’enuresi, la cefalea e varie malattie allergiche (36,52%) (Grafico 3).


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Grafico 3. Antecedenti psichiatrici e psicosomatici.

Grafico 4. Antecedenti psichiatrici e psicosomatici rispetto all’età.

Entrando più in dettaglio, dei 60 soggetti con ansia generalizzata 15 la manifestano in prima infanzia e 45 in seconda, degli 84 con ansia di separazione 43 in prima


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infanzia e 41 in seconda, dei 107 soggetti con ansia somatizzata 39 la manifestano in prima infanzia e 68 in seconda, dei 61 con comportamenti fobici 10 li manifestano in prima infanzia e 51 in seconda ed infine dei 58 con rituali ossessivi 10 in prima infanzia e 48 in seconda. Inoltre questi dati rivelano la presenza di sintomi psichiatrici e psicosomatici nella seconda infanzia in crescita rispetto alla prima infanzia. Si noti che il valore dell’ansia generalizzata subisce un incremento passando dal 5,12% al 15,36%, le fobie passano dal 3,41% al 17,41%, i rituali ossessivi hanno un aumento dal 3,41% al 16,38% ed infine l’ansia somatizzata subisce un incremento del 50%. L’unico antecedente che mostra un calo è l’ansia di separazione (dal 14,68% al 13,99%) (Grafico 4). Successivamente, si è voluto approfondire tale significativo aumento indagando sia la prevalenza dell’ansia, il quale termine raggruppa tutte e tre le accezioni (ansia generalizzata, ansia di separazione e ansia somatizzata), sia la prevalenza dei tratti fobici-ossessivi, non solo nel periodo evolutivo precedente ma anche in quello concomitante alla patologia. I risultati mettono in evidenza che il 33,10% dei soggetti presenta almeno un sintomo ansioso nella prima infanzia, il 52,55% nella seconda infanzia e il 63,48% nell’adolescenza, mantenendo un andamento lineare, in relazione all’età (Grafico 5). I dati raccolti sottolineano che l’ansia del soggetto borderline è intensa e fluttuante, caratterizzata da una qualità di perdita totale e di annichilimento dovuto soprattutto ad angosce di separazione. Per quanto riguarda i tratti fobici-ossessivi, questi si sviluppano nella prima infanzia nel 6,82% dei casi, nella seconda raggiungono il 33, 78% e aumentano fino a coprire il 34,81% del gruppo campione, durante l’adolescenza (Grafico 6).

Grafico 5. Prevalenza dell’ansia in relazione all’età.

Adolescenza

II Infanzia

I Infanzia


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Grafico 6. Prevalenza dei tratti fobici-ossessivi in relazione all’età.

Adolescenza

II Infanzia

I Infanzia

Prevalenza tratti fobici-ossessivi

Infine, una più attenta analisi descrittiva ha permesso di individuare nel nostro campione che, dalla prima infanzia all’adolescenza, il 20,48% dei soggetti presenta una significativa evoluzione della sintomatologia ansiosa in un complesso di tratti fobici-ossessivi. Invece il 26,62% dei soggetti mantiene stati d’ansia concomitanti ai tratti e solo nel 9,90% i sintomi ansiosi scompaiono in adolescenza. Mentre tra coloro che presentano tratti fobici-ossessivi nella prima e seconda infanzia solo il 2,73% dei soggetti manifesta una trasformazione dei sintomi fobiciossessivi in segnali di tipo ansioso nell’adolescenza, il 5,80% mantiene sia i tratti che l’ansia e nel 2,05% scompaiono i sintomi fobici-ossessivi. Nella seconda area della Scheda, i contributi forniti hanno permesso di collocare la patogenesi del disturbo nel fallimento delle primitive relazioni precoci e nella possibile presenza di psicopatologie all’interno della famiglia d’origine. I fallimenti genitoriali si esplicano sia nell’impossibilità di costituire un attaccamento sicuro nel borderline, sia nella scarsa qualità di coinvolgimento familiare. In particolare, le distorsioni dei modelli di attaccamento si sono potuti riscontrare nei patterns comportamentali disadattivi, visti come adattamenti difensivi, che proteggono il bambino dall’angoscia per la non disponibilità del caregiver ad offrirsi come “base sicura”. Infine, tali fattori, assieme all’aggregazione familiare, ossia alla presenza di quadri psicopatologici nei parenti di primo grado degli adolescenti borderline, rappresentano criteri utili alla validazione diagnostica, in età adolescenziale. La raccolta dei dati intorno allo stato giuridico delle coppia genitoriale s’inserisce nell’analisi dell’ambiente familiare al fine di valutare come possibili indicatori di rischio situazioni di disagio all’interno del nucleo relazionale primitivo. La genesi del disturbo agisce all’interno di una matrice di relazionalità genitoriale danneggiata e vacillante che impedisce agli stessi genitori di distinguere tra i bisogni propri e quelli del paziente.


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I dati ottenuti mostrano che la maggior parte delle coppie genitoriali risulta coniugata e convivente (58, 02%), ma un terzo del campione (29, 01%) risulta essere separato e nel 12, 97% dei casi la famiglia appare composta da un solo genitore vedovo (Grafico 7).

Grafico 7. Stato giuridico della coppia genitoriale.

Al fine di comprendere l’influenza della modalità di attaccamento disorganizzato sulla genesi del disturbo, sono stati esaminati i dati relativi alla possibile individuazione, nel periodo precedente l’esordio, di una difficoltà nel corretto sviluppo della relazione oggettuale. Tali difficoltà si esplicano nel 40% dei casi presi in esame (Grafico 8), attraverso la valutazione dell’angoscia di separazione dalla figura di attaccamento che rende quasi impossibile l’inserimento alla scuola materna o elementare, dell’attaccamento disorganizzato e della fobia scolastica, come espressioni del fallimento del legame genitoriale. Pertanto, questa ipotesi etiopatogenica considera la patologia, in adolescenza, una conseguenza del fallimento della funzione genitoriale nel fornire un caretaking coerente e competente. L’incoerenza della figura di riferimento genera una confusione tra frustrazione e gratificazione ed interferisce con lo stabilirsi della costanza oggettuale. In un numero significativo di soggetti, questo rappresenta la premessa per l’instaurarsi di una relazione oggettuale caratterizzata da comportamenti ambivalenti con finalità di evitamento o di dipendenza, in accordo con il mancato processo di individuazione-separazione.


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Grafico 8. Elementi suggestivi di una relazione genitoriale inadeguata.

Indagando le difficoltà relazionali, i nostri dati mettono in rilievo un problema di mancato coinvolgimento emotivo genitoriale, in particolare nella discrepanza fra le richieste del paziente e la negazione delle stesse da parte dei genitori, incapaci di aiutare il figlio nel superamento di eventuali esperienze traumatiche. Si osserva che la maggior parte delle famiglie (46,08%) risultano scarsamente coinvolte e solo il 22,53% delle famiglie sono ipercoinvolte, invischiate e resistenti alla separazione. Nel 35,49% dei casi sono minime le dimostrazioni d’affetto durante lo sviluppo primario del soggetto, il 35,15% presenta una effettiva trascuratezza, l’11, 26% subisce forti critiche genitoriali e solo il 4,78% dei casi riferisce la presenza di elevate aspettative genitoriali (Grafico 9). Infine, i dati mostrano un pattern generale gravemente patologico, infatti la maggior parte delle famiglie (72,35%) sono caratterizzate da scarse cure, con madri che denotano qualità relazionali più intrusive e iperprotettive (21,16%) rispetto ai padri dai comportamenti più distanti e ostili (40,61%) (Grafico 10).


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Grafico 9. Difficoltà relazionali familiari.

Grafico 10. Scarse cure e iperprotettività materne e paterne.

L’influenza dei disturbi prettamente neuropsichiatrici all’interno del nucleo familiare è stata valutata attraverso la raccolta di dati rilevati dall’anamnesi dei pazienti. Per quanto riguarda i disturbi psichiatrici delle madri si sono riscontrati valori significativi per l’ansia di separazione presente nel 23,89% dei casi, l’ansia generalizzata nel 9,22% dei casi, i disturbi dell’umore nel 13,99%, i disturbi psicotici nel 5,46% e i disturbi di personalità, unitamente a condotte aggressive nel 6,48%. Nel gruppo dei padri le patologie più frequenti sono rappresentate dal disturbo


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antisociale di personalità e da condotte aggressive e delinquenziali (16,72%), dai disturbi dell’umore (5,12%) dall’alcolismo (4,78%) e dai disturbi psicotici (4,10%). Infine lo studio dei disturbi neuropsichiatrici nei fratelli ha ottenuto i seguenti risultati: nel 4,78% dei casi sono riscontrabili condotte aggressive e parafilie, nel 1,71% dei casi disturbi dell’umore e psicotici e nel 1, 02% ansia generalizzata e ipocondria (Grafico 11).

Grafico 11. Disturbi neuropsichiatrici familiari.

Infine, nella terza area della Scheda, si sono affrontati fattori di ordine ambientale e psicosociale, inseribili come elementi appartenenti al contesto familiare culturale e relazionale, che possano incidere sull’evoluzione della psicopatologia del disturbo. Si è approfondito l’influenza degli eventi psicostressanti e delle situazioni disturbanti croniche subite dai pazienti, come le precoci separazioni o la perdita di figure genitoriali o altri gravi problemi, quali i conflitti e gli abusi fisici e sessuali. Nella raccolta di informazioni sulla possibile predisposizione di tali pazienti a situazioni psicostressanti, si sono distinti episodi ad insorgenza improvvisa come i cambiamenti di figure genitoriali (24,57%) come nonni, conviventi e zii, dovuti a separazioni o lutti, i frequenti cambiamenti di casa (17,41%) a causa di rotture di equilibri interni o di richieste da parte dell’ambiente esterno, la separazione dei genitori (14,33%), la morte di uno o entrambi i genitori (11,26%) e gli abusi fisici o sessuali (8,53%). Questi episodi sono stati differenziati da quelle situazioni in cui il soggetto è invischiato cronicamente in una condizione o in un contesto stressante. Lo studio ha


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rilevato che nel 26,62% dei casi sono presenti discussioni intestine fra i genitori, il 16,04% dei soggetti subisce prese in giro e prepotenze costantemente, l’11,60% subisce abusi fisici o sessuali severi ripetuti, nel 5,46% dei casi sono presenti patologie organiche a carico del paziente e infine nel 5,12% si tratta di una malattia cronica di uno o entrambi i genitori (Grafico 12 e Tabella 3).

Grafico 12. Eventi psicosociali stressanti.


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NOSTRO STUDIO

POPOLAZIONE CLINICA (anoressia) Fairburn (1998)

POPOLAZIONE NORMALE Fairburn (1998), Gudzer (1999)

Canals (1996), Stonehill e Crisp (1997) Millon (1993), Mclelland (1991)

SINTOMI ANSIOSI

28, 67% I e II infanzia

18, 6% I e II Infanzia

11, 5% I e II Infanzia

FOBIE

20, 82% I e II infanzia

5% I e II Infanzia

1, 9% I e II Infanzia

OSSESSIONI

19, 80% I e II infanzia

25, 7% I e II Infanzia

3, 8% I e II infanzia

DIFFICOLTÀ RELAZIONALI

Scarso contatto

35, 15%

22, 40%

20, 20%

Critiche genitoriali

11, 26%

21, 20%

3, 80%

Minime dimostrazioni d’affetto

35, 39%

18, 50%

7, 70%

Elevate aspettative

4, 78%

38, 50%

15, 40%

Scarso coinvolg. genitoriale

46, 08%

37, 70%

10, 80%

Elevato coinvolg. genitoriali

22, 53%

27, 30%

5, 80%

Scarse cure parentali

72, 35%

40, 40%

24, 10%

Elevata iperprot. parentale

29, 69%

30, 80%

19, 20%

23, 89% ansia

11, 42% ansia

6, 4% ansia

DISTURBI NEUROPSICHIATRICI Madre Padre

13, 99% depress.

24, 28% depress.

5, 8 % depress.

16, 72% dist. pers.

3, 4% dist.pers.

1, 5% dist pers.

5, 12% depress.

8, 57% depress.

2, 4% depress.

3, 07% ansia

2, 8% ansia

1, 3% ansia

4, 78% alcolismo

2, 8% alcolismo

1, 8% alcolismo

EVENTI PSICOSOCIALI STRESSANTI

Separazioni dai gen.

14, 33%

3, 80%

1, 80%

Freq. cambiam. casa

17, 41%

19, 20%

13, 50%

Cambiam. genit.

24, 57%

19, 60%

17, 30%

Abuso fisico o sess.

20, 13%

11, 20%

7, 50%

Morte di uno o entrambi i genitori

11, 26%

7, 70%

3, 80%


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SITUAZIONI PSICOSOCIALI STRESSANTI

Discussioni genit.

26, 62%

30, 78%

13, 70%

Prese in giro/prepot.

16, 04%

11, 40%

3, 80%

Severi probl. di salute

5, 46%

15, 40%

3, 60%

Malattia cronica di uno o entrambi i genitori

5, 12%

32, 00%

1, 50%

Tabella 3. Confronto casistica letteratura.

Se confrontiamo i dati emersi dal nostro campione con i dati che Fairburn raccolse per la NICE nel confronto tra disturbo alimentare e popolazione asintomatica, emerge con evidenza nella Tabella 3 la presenza di una sintomatologia ansiosa in prima e seconda infanzia importante ed ancor più una sintomatologia fobica strutturata 4 volte più frequente che nella popolazione anoressica. La presenza di stati d’ansia in seconda infanzia o età di latenza (52,55%), in crescita rispetto alla prima infanzia (33,10%), mostra come il progredire dello sviluppo non integri aspetti traumatici che invece tendono a rimanere e ad estrinsecarsi nella considerevole quota di sintomi ansiosi. Lo studio conferma che l’ansia unitamente alla presenza, in epoca premorbosa, di fobie e rituali ossessivi sintomatici sono testimonianza di fattori traumatici che si organizzano in sintomi. In particolare, si osserva che in seconda infanzia l’ansia generalizzata (15,36%), l’ansia somatizzata (23,21%), i sintomi ossessivi (16,38%) e fobici (17,41%) subiscono un notevole incremento rispetto alla prima infanzia. Questo potrebbe essere spiegabile col fatto che la latenza, periodo fisiologico in cui il bambino è in grado di riconoscere i propri stati affettivi e di utilizzarli come segnali, rispondendo con attività proprie regolatorie, in questi pazienti non compare nel suo significato progressivo e regolatorio. Quindi una presenza di sintomi in età di latenza evidenzia un possibile destino di fallimento nel compito di affrontare l’angoscia (Tyson e Tyson, 1995). Ma pure in prima e seconda infanzia sono presenti sintomi psiche-soma: in particolare i sintomi somatici (36,52%), rappresentati da disturbi del sonno, asma, enuresi, encopresi, coliti e ipercinesia, ci segnalano l’incapacità di accedere al registro mentale dell’esperienza e il permanere difensivo in aree di funzionamento primario somatico. Accanto a questi, un altro esempio di funzionamento arcaico è la presenza nel nostro campione di meccanismi di difesa primitivi, quale il frequente ricorso all’actingout come “urgenza di scaricare” gli impulsi e gli affetti sulla realtà esterna, dovuto all’incapacità di tollerare l’angoscia, che minaccia l’integrità di un Io già gravemente compromesso (Giannakoulas, 1990). Il crollo di difese organizzate e lo sviluppo di un Io caratterizzato da fragilità e vulnerabilità promuove l’incapacità di sopportare l’angoscia generata da stati tensivi


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al suo interno, confermando la significativa prevalenza dei sintomi ansiosi riscontrata nel nostro campione. Dunque gli antecedenti psichiatrici e psicosomatici possono rappresentare segnali di difficoltà ad accedere al processo di mentalizzazione e segnali di rischio di una distorsione precoce della relazione primaria. Questa alterazione relazionale, che si riscontra nel 40% dei casi presi in esame, potrebbe essere legata all’incapacità dell’ambiente primitivo di fornire ciò che Winnicott (1958) definisce “holding” materno, ossia alla difficoltà della madre di adattarsi ai bisogni del bambino, non dimostrandosi “sufficientemente buona”. In linea con quanto discusso in letteratura (Liotti et al., 2000) attraverso la nostra casistica, è possibile collocare i primi segnali di patologia in fasi molto precoci dello sviluppo, in cui la presenza di elementi suggestivi di una modalità di attaccamento disorganizzato definisce il fallimento della “preoccupazione materna primaria” (Winnicott, 1958). Un esempio di questo concetto si ritrova nella significativa percentuale di ansia di separazione (23,89%) che va a costituire il disturbo più ricorrente tra le madri dei soggetti presi in esame. Come già segnalato da alcuni studi empirici (Soloff e Millward, 1983; ZweigFrank e Paris, 1991), i nostri dati confermano forme di comunicazione patologiche proprie di un sistema familiare altamente trascurante (46,08%) e deficitario sul piano degli scambi affettivi (35,49%). Difficoltà relazionali rimandano all’analisi dei legami genitoriali, più intrusivi e controllanti da parte delle madri (21,16%), più distanti e ostili da parte dei padri (40,61%). Come confermato da ricerche fatte da Goldman e coll. (1993), le famiglie del nostro campione presentano in misura statisticamente significativa (57,68%) abuso di sostanze, disturbi dell’umore e disturbo antisociale di personalità, dimostrando la presenza di un quadro familiare problematico e disturbato. Un dato interessante ha dimostrato, in accordo con quanto sostenuto da lavori empirici di Gislon e Villa (2001), la presenza di gravi disarmonie all’interno della coppia genitoriale, che spesso è invischiata in interminabili conflitti (26,62%) ed è separata in circa un terzo dei casi (29%). Di particolare interesse nella nostra casistica sono i dati riguardanti la vulnerabilità all’ambiente. In particolare, tra gli eventi connotati come potenzialmente distruttivi, le situazioni psicosociali stressanti più frequentemente determinanti sono gli abbandoni da parte del caregiver prima dei 18 anni, unitamente ai cambiamenti di figure genitoriali e infine a frequenti cambiamenti di casa. Questi sono fattori che rappresentano la possibile rottura di equilibri interni o lo scompenso di difficoltà croniche all’interno del nucleo familiare o ancora la comparsa di nuove esigenze e richieste da parte dell’ambiente. Ed ancora circa nel 20% dei soggetti analizzati che riferisce di aver subito abusi sessuali durante l’infanzia, si evidenzia come tale esperienza svolga un ruolo importante nella patologia. È opportuno che interagiscano oltre all’abuso, altri fattori ambientali o familiari, quali le discussioni genitoriali (26,62%), le prese in giro e


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Allegato: Figura 1. Scheda Anamnestica


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prepotenze e i severi problemi di salute del soggetto e dei genitori, per dimostrare la significativa presenza di eventi traumatici non elaborati nella vita dei nostri pazienti. In particolare, dai nostri risultati, è emersa una fragilità nell’organizzazione del Sé, che si esplicita in una personalità di tipo dipendente, caratterizzata da difficoltà di separazione e da incapacità di tollerare l’angoscia e le frustrazioni, a causa di legami familiari altamente trascuranti (72,35%) e scarsamente coinvolti (46,08%). In conclusione è opportuno sottolineare come la diagnosi della patologia borderline in adolescenza sia un sfida ardua e complessa, che deve tener conto dell’intensità delle emozioni, del fluttuare degli investimenti e della rigidità dei sistemi difensivi. Vari sono i fattori che concorrono alla patogenesi del disturbo, pertanto per una corretta diagnosi occorre collocare la patologia all’interno di un continuum vulnerabilità-disturbo di personalità. Infine, il nostro lavoro descrittivo su una popolazione ampia ci spinge, a partire dal rilievo della molteplicità di segni di sofferenza nella prima infanzia e in età di latenza, a pensare che interventi preventivi individuali e sulla coppia di genitori potrebbero forse ridurre l’impatto traumatico dell’adolescenza su una struttura fragile e impedire la trasformazione di segnali di disagio variabili in quadri clinici fissi. Questo ci sembra il dato più interessante del lavoro in catamnesi: permetterci di riflettere sull’intersecarsi di circuiti di rischio tra l’individuale e l’ambientale per poter “pianificare ponderate scommesse terapeutiche” come ci suggerisce Levi (1996), che permettano potenzialità di sviluppo. Riassunto Attraverso la descrizione della storia naturale del disturbo di personalità borderline in adolescenza, gli Autori mirano ad identificare la presenza di elementi di rischio a sviluppare il disturbo, come riflessione per un intervento preventivo. La casistica consta di 293 soggetti adolescenti ricoverati dal 1988 al 2003 presso la Clinica di Neuropsichiatria Infantile dell’ Università Milano Bicocca - Ospedale S. Gerardo di Monza, diagnosticati secondo i criteri DSM-IV. I risultati mostrano come tra i fattori premorbosi siano rilevanti soprattutto quadri ansiosi, fobie strutturate e quadri ossessivo-compulsivi. Lo studio evidenzia altresì l’importanza quali fattori predisponenti al disturbo contesti familiari che determinino carenza di cure (72, 35%). La patologia borderline come descritto in letteratura in adolescenza sembra essere il risultato di fattori di rischio ambientali e di caratteristiche di fragilità temperamentali personali. Il lavoro consente di ipotizzare l’utilità d’interventi preventivi in prima e seconda infanzia. Parole chiave Adolescenza – Disturbo borderline di personalità – Eventi pre-morbosi – Fattori di rischio.

Bibliografia Adler A. (1979), The myth of alliance with borderline patients, Am. J. Psychiatry, 1136: 642-645. Fairburn C.G., Welch S.L., Doll H.A., Davies B.A., O’Connor M.E. (1997),


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Risk Factors of Bulimia Nervosa: A Community-Based Case-Control Study, Arch. Gen. Psychiatry, 54: 509-517. Giannakoulas A. (1990), Il paziente difficile - Considerazioni teorico-cliniche sullo sviluppo borderline in adolescenza, Intervento al Centro Psicoanalitico di Roma. Gislon M.C., Villa M. (2001), L’adolescente borderline e il ruolo del padre, in A. Novelletto e E. Masina, I disturbi di personalità in adolescenza, Milano, Franco Angeli. Goldman S.J., D’Angelo E. J., DeMaso D.R. (1993), Psychopathology in the Families of Children and Adolescents with Borderline Personality Disorder, Am. J. Psychiatry, 150: 1832-1835. Gudzer J., Paris J., Zelkowitz P., Marchessault K. (1996), Risk Factors for Borderline Pathology in Children, J. Am. Acad. Child Adolesc. Psychiatry, 35(1): 26-33. Kernberg P.F., Weiner A.S., Bardenstein K. K. (2001), I disturbi di personalità nei bambini e negli adolescenti, Roma, Giovanni Fioriti. Levi G., Romani M., Venuti B. (2006), Percorsi evolutivi e Psicopatologia dello Sviluppo: il modello dell’Inibizione Comportamentale, Gior. Neuropsich. Età Evol., 26: 409-426. Liotti G., Pasquini P., The Italian Group for the Study of Dissociation (2000), Predictive factors for borderline personality disorder: patients’ early traumatic experiences and losses suffered by the attachament figure, Acta Psychiatr. Scand., 102: 282-289. Soloff P.H., Millward J.W. (1983), Psychiatric disorders in the families of borderline patients, Arch.Gen. Psychiatry, 40: 37-44. Tyson D., Tyson G. (1995), Teorie psicoanalitiche dello sviluppo: una revisione integrata, Roma, Borla. Winnicott D.W. (1958), Through paediatrics to psycho-analysis, London, Tavistock Publications [tr.it. Dalla pediatria alla psicoanalisi, Firenze, Martinelli, 1975]. Zelkowitz P., Paris J., Gudzer J., Feldman R. (2001), Diatheses and Stressor Pathology of Childhood: The Role of Neuropsychological Risk and trauma, J. Am. Acad. Child Adolescen. Psychiatry, 40(1): 100-105. Zweig-Frank H., Paris J. (1991), Parents’ emotional neglect and overprotection according to the recollection of patients with borderline personality disorder, Amer. J. Psychiat., 148: 648-51.


Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 693-706

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La valutazione del rischio psicopatologico e dell’autostima in bambini epatotrapiantati ed epatopatici cronici Assessment of the psychopathological risk and self-esteem in liver transplanted children and pediatric patients with chronic liver disease Antonella Gritti1, Maria Paone2, Simone Pisano3, Tiziana Salvati3, Raffaele Iorio4, Pietro Vajro5

Summary The objective of this study is to investigate the type of emotional and behavioral disturbances and the self-esteem in children after liver transplantation, compared with a control group of children the same age, suffering from chronic liver disease. 34 liver transplant recipients (aged 6,1-18 yr) and 29 age-matched controls with stable chronic liver disease were assessed through the parent report form of Child Behavior Checklist and TMA, the Italian version of the Multidimensional Self-Concept Scale. The results of the CBCL show that transplanted patients do not show a risk psychopathological higher compared to their peers suffering from chronic liver disease, and that there are no significant differences for “global competence”, although very complex in both groups. About the results of the TMA, there are no differences in the two groups with regard to the overall self-esteem. An analysis of individual domains, however, showed a lower score in the OLT group for the School, revealing that transplanted children are perceived less good than the others. Key words OLT (Orthotopic Liver Transplantation) – Child behavior checklist – Liaison psychiatry – Psychological problems – Self-esteem.

Introduzione Ogni anno nascono nel nostro Paese circa 500.000 bambini. È calcolato che 2 bambini ogni 10.000 nati presentano epatopatie che richiederanno un trapianto di

1

Facoltà di Scienze dell’Educazione, Università Suor Orsola Benincasa, Napoli. Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, Sapienza Università di Roma. 3 Cattedra di Neuropsichiatria Infantile, Seconda Università degli Studi di Napoli. 4 Dipartimento di Pediatria Università Federico II, Napoli. 5 Facoltà di Medicina, Università di Salerno. 2


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fegato; questo significa che, in Italia, la necessità di trapianto in età pediatrica è di circa 100 casi l’anno. Come per gli adulti, anche per i bambini, il trapianto di fegato è la terapia di scelta per le numerose epatopatie dell’età pediatrica che evolvono verso l’insufficienza epatica terminale. Le malattie colestatiche e i difetti congeniti del metabolismo sono i due gruppi di malattie che, insieme, costituiscono l’indicazione al trapianto in oltre il 90% dei bambini. Altre patologie, che non causano insufficienza epatica terminale, possono tuttavia essere indicazione al trapianto. Queste sono: • le patologie epatiche non progressive con morbilità maggiore rispetto al trapianto di fegato; • le malattie epatiche metaboliche; • la fibrosi cistica; • le neoplasie epatiche. Nel corso degli ultimi anni, lo sviluppo di innovazioni tecnologiche, i progressi nella gestione pre- e post-operatoria e una più accurata selezione dei candidati, hanno migliorato la sopravvivenza dopo il trapianto. L’incremento del numero di soggetti trapiantati, le migliori aspettative di sopravvivenza e la crescente sensibilità di pediatri e chirurghi verso le problematiche psicologiche dell’infanzia, hanno favorito lo sviluppo di studi sui riflessi psichici anche di questo tipo di trapianto infantile. Molti studi (Burdelski et al., 1999; Manificat et al., 2003; Qvist et al., 2003; Whitington et al., 2002) hanno dimostrato che, dopo il trapianto di fegato, la qualità della vita e il benessere sociale e fisico del bambino migliorano; la letteratura relativa alla comorbilità psichiatrica del trapianto epatico in età evolutiva indica l’insorgenza di disturbi psicopatologici quali: ansia, depressione (Mastroyannopulou et al., 1998; Windsorowa et al., 1991), aggressività (Chin et al., 1991; Zitelli et al., 1988), deficit cognitivo lieve e disturbi scolastici (Adeback et al., 2003; Apajasalo et al., 1997; Stewart et al., 1989). Sono stati descritti anche problemi emotivi, comportamentali e l’insorgenza di Disturbo post-traumatico da stress (Fine et al., 2004; Schwering et al., 1997; Tornqvist et al., 1999; Walker et al., 1999). Uno studio condotto da Alonso (2008) sullo sviluppo fisico e psicologico di bambini sottoposti a trapianto di fegato, attraverso una revisione della letteratura, ha evidenziato che ripristinare la normale crescita e lo sviluppo nei bambini che sono sopravvissuti a una malattia epatica cronica e al trapianto di fegato è una sfida complessa. I deficit di crescita, prima del trapianto, possono avere un impatto negativo sulla sopravvivenza post-trapianto, sul potenziale di crescita e sullo sviluppo cognitivo. Nonostante, infatti, il cosiddetto “catch up” fisico (ovvero la ripresa della crescita) sia stato osservato in molti bambini, alcuni non riescono a superare completamente i deficit pre-trapianto. Per quanto riguarda lo sviluppo mentale, in questo studio si afferma che le funzioni cognitive, nella maggior parte dei pazienti osservati, sono all’interno del range di normalità, anche se una percentuale relativamente alta di pazienti presenta livelli cognitivi che non corrispondono al loro QI. Inoltre, la qualità della vita e i risultati funzionali possono essere paragonati con quelli di un gruppo di pazienti affetti da malattia epatica cronica, ma non con quelli della popolazione normale, rispetto alla quale risultano più bassi. Infine, si è visto che i genitori dei bambini


LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO PSICOPATOLOGICO

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epatotrapiantati riportano più stress e tendono a riferire esiti funzionali che sono inferiori a quelli riportati dai bambini stessi. Secondo Alonso, dunque, la crescita e lo sviluppo mentale condividono fattori di rischio, che possono essere influenzati, non solo dalla malattia cronica e/o dal trapianto, ma anche dalla complessa interazione tra l’andamento psicosociale del ricevente il trapianto e i suoi genitori. Il rapporto tra i bambini trapiantati e i loro genitori è stato valutato anche in un altro studio (Wu Y.P. et al., 2008), in cui sono stati esaminati pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di fegato e a quello di rene. In particolare, 64 bambini trapiantati e i loro genitori sono stati valutati utilizzando un test standardizzato, il Behavioural Assessment System for Children-BASC. Sorprendentemente, i bambini hanno riportato meno problemi psicosociali di quelli attesi, rispetto alla popolazione normale. Tuttavia, i genitori hanno osservato che i problemi di internalizzazione sono più frequenti rispetto ai problemi psicosociali. Inoltre, va sottolineato che dall’analisi dei potenziali fattori di rischio, che compromettono il funzionamento psicosociale, è emerso che i bambini epatotrapiantati sono classificati come “a rischio”, se confrontati con quelli riceventi trapianto di rene. Nella valutazione del rapporto fra trapianto in età pediatrica e rischio psicopatologico, molti studi hanno esaminato anche la qualità della vita connessa alla salute (HRQOL), che può essere definita come il grado di soddisfazione o di benessere per la propria vita, in rapporto allo stato di salute e allo stato funzionale. A tal proposito, uno studio (Olausson et al., 2006), condotto in Svezia tra novembre 2002 e febbraio 2003, ha valutato la qualità della vita dei bambini trapiantati, analizzando la loro descrizione di esperienza di vita quotidiana. Sono stati esaminati i resoconti di 18 bambini trapiantati (età media 11 anni), di cui 6 hanno ricevuto epatotrapianto. I racconti sono stati valutati attraverso un approccio fenomenologico-ermeneutico, proposto da Ricoeur, che combina due metodi di ricerca qualitativi, considerando ciò che è stato rivelato in modo cosciente (il fenomeno) e interpretando il testo, per comprendere ciò che è stato comunicato inconsciamente (il significato). I bambini hanno raccontato di aver vissuto esperienze sia positive sia negative; solo alcuni, privi di supporto sociale e psicologico, hanno espresso più esperienze negative. Tuttavia, sono emersi due risultati principali: la maggior parte dei bambini e degli adolescenti è ritornata o è determinata a ottenere una vita normale; una minoranza di soggetti, invece, ha capito di non aver raggiunto le proprie aspettative di vita e ha serie difficoltà a ritornare alla vita abituale. Questo studio, pertanto, suggerisce, come quello precedente, l’importanza di un supporto sociale e psicologico, perché la mancanza di sostegno è associata a un peggioramento della qualità della vita. In altri studi è stata documentata l’insorgenza di disturbi come ansia e/o aggressività, disturbi comportamentali, emotivi e l’insorgenza del disturbo post-traumatico da stress (Schemesh et al., 2000; Fredericks et al., 2007; Sundaram et al., 2007). Alcuni autori, infatti, sulla base di osservazioni cliniche, hanno ipotizzato che un significativo numero di bambini riceventi trapianto possa essere affetto da disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e, in particolare, che la “non-compliance” al trattamento medico, in alcuni casi, sia associata con l’insorgenza di tale patologia. È stato osservato che i bambini traumatizzati evitano di assumere le loro medicine, perché


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esse rappresentano un ricordo doloroso del trauma stesso. Nel PTSD, infatti, si ha una risposta estrema a un fattore fortemente stressogeno, risposta che comprende un aumento notevole del livello di ansia, l’evitamento degli stimoli associati al trauma e un indebolimento della reattività emozionale. Il trapianto di fegato comporta un intervento chirurgico, diversi giorni di terapia intensiva e una deturpante cicatrice addominale; uno qualsiasi di questi fattori può essere considerato un trauma. L’aspetto essenziale di un evento scatenante il disturbo post-traumatico da stress, secondo gli attuali criteri diagnostici, è che esso conduce a una risposta di paura intensa, d’impotenza o di terrore. Pertanto, anche se un trapianto di fegato ha lo scopo di salvare la vita, la malattia e l’operazione possono ancora costituire un evento traumatico, perché possono generare una risposta di forte paura nel bambino e, dunque, l’insorgenza di un PTSD. La nostra ricerca è parte di un progetto più ampio, condotto dal Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile della Seconda Università degli Studi di Napoli e dal Dipartimento di Pediatria dell’Università Federico II di Napoli. Di questo progetto sono stati pubblicati due studi che si riferiscono alla valutazione dell’impatto psicologico su bambini sottoposti a un trapianto epatico. In un primo studio (Gritti et al., 2001), basato su una valutazione qualitativa, è stato descritto il profilo psicologico dei bambini epatotrapiantati ed è stato suggerito che la personalità dei riceventi trapianto è il risultato di due fattori stressanti: la precoce insorgenza della malattia cronica e il trapianto stesso. I dati ottenuti da questa valutazione hanno anche indicato che i disturbi emotivi e del comportamento erano presenti già nel corso della malattia, molto tempo prima che si prospettasse l’ipotesi del trapianto. Nel secondo studio (Gritti et al., 2006), condotto usando metodi di valutazione quantitativi, è stata confermata l’ipotesi che bambini, sottoposti a epatotrapianto, possono presentare un rischio psicopatologico se confrontati con un gruppo di controllo, costituito da bambini, corrispondenti per età e genere, affetti da patologia epatica cronica. I risultati di tale studio suggeriscono che questo rischio esisteva per un lungo periodo dopo il trapianto e che era più elevato di quello presente nei bambini con patologia epatica cronica. La novità del nostro studio è di valutare, oltre al rischio psicopatologico, anche l’autostima dei bambini epatotrapiantati. L’autostima è una valutazione circa le informazioni contenute nel concetto di sé, e deriva dai sentimenti che il bambino ha nei confronti di se stesso inteso in senso globale. Se un bambino conferisce un alto valore al fatto di essere uno studente brillante ma è, invece, soltanto uno studente medio o sotto la media, la sua autostima ne soffrirà. Lo stesso bambino però potrebbe porre, nella sua scala di valori, le capacità atletiche e la popolarità più in alto della bravura scolastica, e di conseguenza avere un’alta autostima se riesce bene nelle prime due aree. L’autostima di un individuo è dunque basata sulla combinazione di: informazioni oggettive riguardo a se stesso; valutazione soggettiva di quelle informazioni.


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Ogni persona, infatti, dà valore in modo differente alle cose che la riguardano. Già William James (1890) espresse molto bene quest’idea: “Io, che ho puntato tutto me stesso sull’essere uno psicologo, mi sento mortificato se altri conoscono la psicologia più di me. Ma non mi crea problemi il fatto di convivere con la più crassa ignoranza del greco. Le mie deficienze in quell’ambito non mi danno alcun senso di umiliazione personale. Se avessi la pretesa d’essere un linguista, sarebbe stato esattamente il contrario”. I bambini, tuttavia, tendono a essere abbastanza simili gli uni agli altri riguardo alle caratteristiche personali cui danno valore. Ciò è dovuto, in parte, alla struttura della loro vita (tutti devono andare a scuola; la maggior parte di essi vive in famiglia, ecc.) e ai compiti cui si trovano di fronte crescendo (essi devono imparare a confrontarsi con gli altri, scoprire l’aspetto e i mutamenti che avvengono nel proprio corpo, ecc.). Perciò, in generale, è possibile (e spesso sufficiente) considerare l’autostima dei bambini, oltre all’autostima globale, in quattro ambiti specifici: • l’autostima sociale, • l’autostima scolastica, • l’autostima familiare, • l’autostima rispetto all’immagine corporea. 1. L’ambito sociale (o interpersonale) comprende i sentimenti del bambino riguardo a se stesso come amico di altri. Gli altri bambini lo trovano simpatico, apprezzano le sue idee, lo fanno partecipare alle proprie attività? Si sente soddisfatto delle sue interazioni e dai rapporti con i pari? Un bambino, che sia riuscito a soddisfare i suoi bisogni di socialità (non importa quanto in armonia con le concezioni tradizionali di «popolarità»), si sentirà a proprio agio con quest’aspetto di se stesso. 2. L’ambito scolastico riguarda il valore che il bambino attribuisce a se stesso come studente. Questa autostima non è semplicemente una valutazione delle capacità e dei successi scolastici: non tutti i bambini sono studenti «di serie A». È, invece, la misura in cui il bambino percepisce che è «bravo quanto basta». Se riesce a raggiungere i suoi standard di successo scolastico (e naturalmente questi standard sono modellati dalla famiglia, dai compagni e dagli insegnanti), allora la sua autostima scolastica sarà positiva. 3. L’autostima familiare riflette i vissuti che il bambino prova come membro della sua famiglia. Un bambino che sente di essere un membro apprezzato della sua famiglia, che dà il proprio contributo e che si sente certo dell’amore e del rispetto di genitori e fratelli, avrà un’autostima altamente positiva in quest’ambito. 4. L’autostima corporea è una combinazione di aspetto fisico e di capacità. Essa consiste nella soddisfazione che il bambino prova rispetto al modo in cui il suo corpo appare e alle prestazioni che riesce a eseguire. 5. L’autostima globale, infine, è un apprezzamento più generale del Sé e si basa su un’autovalutazione integrata di tutte le «componenti» della propria personalità. Un’autostima globale positiva si rifletterebbe in affermazioni del tipo: «Sono bravo» o «Mi piace la maggior parte di me stesso».


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Un’autostima sana è sempre stata considerata particolarmente importante nei bambini, perché è in età infantile che si gettano le basi delle percezioni che si avranno di sé nel corso della vita. La competenza socio-emozionale, che deriva da un’autovalutazione positiva, può essere una forza che aiuterà a evitare al bambino gravi problemi futuri. Questo punto di vista è supportato dal “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, che illustra i criteri usati più frequentemente negli Stati Uniti d’America per porre diagnosi psichiatriche. La «bassa autostima» è menzionata come una caratteristica associata a molti disturbi infantili. Due esempi molto differenti sono i disturbi dell’attenzione (Kirby e Grimley, 1989), caratterizzati da impulsività e disattenzione (questi bambini vengono generalmente definiti «iperattivi»), e i disturbi fobici connessi ai comportamenti di evitamento, una grave forma di ansia focale. Benché non sia chiaro se una bassa autostima sia sul serio la causa di un particolare disturbo, il fatto che spesso sia associata a seri problemi dell’infanzia costituisce un motivo sufficiente per intervenire. In ogni caso, sembra plausibile che un’autostima forte possa, entro certi limiti, controbilanciare alcuni problemi psicologici infantili, diminuendo con tale compensazione il grado di difficoltà vissuta dal bambino. Un bambino che si sente bene con se stesso può fronteggiare meglio i problemi che incontra (ad esempio, difficoltà nell’apprendimento o altro) e di solito riesce a limitarne gli effetti dannosi. Dunque, l’autostima è un aspetto importante del funzionamento generale di un bambino. Essa è probabilmente collegata ad altri ambiti, tra i quali possiamo includere la salute psicologica e la performance scolastica, in modo interattivo; vale a dire, l’autostima può essere sia causa sia effetto di un buono o cattivo funzionamento in aree specifiche della personalità. Ricerca Obiettivi Esistono ancora numerose incertezze riguardanti eventuali problemi psicologici in bambini sottoposti al trapianto di fegato, e alla necessità di differenziare questi disturbi da quelli legati a epatopatia cronica. L’obiettivo di questo studio è di valutare il rischio psicopatologico e l’autostima in bambini epatotrapiantati, confrontati con un gruppo di controllo di bambini coetanei, affetti da malattia epatica cronica. Pazienti e metodi Partecipanti Per questo studio sono stati arruolati 34 pazienti epatotrapiantati (20 maschi e 14 femmine) di età compresa tra 6,1 e 18 anni, con età media all’osservazione di 12,9 ± 3,7 anni. L’età media al momento del trapianto era di 3 anni e 7 mesi. Le principali indicazioni al trapianto erano rappresentate per il 90% dei casi dall’atresia delle vie biliari, mentre il restante 10% dall’epatite autoimmune, dall’epatoblastoma e dalla sindrome di Alagille. Tutti i bambini frequentavano regolarmente


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la scuola e nessun paziente o familiare ha ricevuto supporto psicologico durante le varie fasi del processo di trapianto. Gruppo di controllo Il gruppo di controllo era costituito da 29 bambini (15 maschi e 14 femmine) di età compresa tra 6,6 e 18 anni, con età media all’osservazione di 12 ± 3,4 anni. Tutti i soggetti erano affetti da epatopatia cronica di varia natura. Anche in questo gruppo, tutti i bambini frequentavano la scuola regolarmente e nessun paziente o suo familiare è stato coinvolto in un programma di sostegno psicologico. Misure Sono stati utilizzati la CBCL (Child Behavior Check List), redatta dai genitori, e il TMA (Test Multimediale dell’Autostima). 1. La CBCL (Achenbach, 1991) è un test standardizzato, ampiamente utilizzato negli studi clinici ed epidemiologici, per valutare le competenze sociali e i problemi emotivo-comportamentali di bambini di età compresa tra 4-18 anni. È strutturata sotto forma di questionario che può essere compilato anche dai genitori; nella prima parte contiene item che indagano la qualità della partecipazione del bambino ad attività varie (sportive, domestiche e scolastiche) e la qualità delle sue relazioni con fratelli, genitori e coetanei; la seconda parte contiene 118 item raggruppati in 8 scale sindromiche: ritiro, lamentele somatiche, ansia/depressione, problemi sociali, problemi del pensiero, problemi attentivi, comportamento delinquenziale e comportamento aggressivo. Indici globali sul comportamento del bambino derivano poi dai dati del punteggio totale, da quelli del punteggio di Internalizzazione e da quelli del punteggio di Esternalizzazione. I profili CBCL consentono di discriminare i bambini in normali, borderline e patologici. 2. Il TMA (Braken, 2003) è la versione italiana dell’MSCS (Multidimensional Self-Concept Scale). Ideato, creato e standardizzato negli Stati Uniti è stato validato e tarato anche su una popolazione italiana. Tale test consiste in 150 item tipo Likert ed è stato progettato per la somministrazione individuale o di gruppo. Il TMA riflette un modello di immagine del sé multidimensionale e contesto-dipendente. Valuta la percezione di sé in ognuno dei sei seguenti sottodomini: Sociale, Competenze, Affetti, Scuola, Familiare e Fisico. La validità del TMA e il suo modello multidimensionale e contesto-dipendente sono stati studiati tra gli adolescenti con riguardo all’età, alla razza e al genere, dato che il modello ed il test si correlano allo status sociale dei bambini sociometricamente determinato.


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Risultati La CBCL è stata somministrata a 34 pazienti epatotrapiantati (OLT) e a 28 pazienti del gruppo di controllo (CTRL). Tutti i soggetti hanno risposto in modo completo al questionario; un solo test è stato lasciato in bianco. Il TMA viene somministrato ai soggetti di età compresa tra 9 e 19 anni, pertanto in questo studio è stato somministrato a 31 trapiantati di fegato (3 erano più piccoli) e a 27 epatopatici cronici (2 erano più piccoli). La Tabella 1 contiene le informazioni riguardanti i pazienti OLT e CTRL con punteggio normale, borderline e patologico alla CBCL.

Tabella 1. Normale n (%)

Borderline n (%)

Patologico n (%)

OLT

CTRL

OLT

CTRL

OLT

CTRL

Internalizing

17 (50)

16 (59)

5 (14)

4 (14)

12 (35)

7 (25)

Externalizing

25 (73)

22 (81)

6 (17)

2 (7)

3 (8)

3 (11)

Total Problems

19 (55)

17 (62)

6 (17)

5 (18)

9 (26)

5 (18)

2 (5)

2 (7)

2 (5)

3 (11)

29 (85)

22 (81)

Total Competence

Le seguenti Tabelle 2 e 3 mostrano i punteggi medi dei due gruppi per quanto riguarda, rispettivamente, i Problemi Totali, Internalizzazione, Esternalizzazione da un lato, e le Competenze Totali dall’altro. Come si può osservare entrambi i gruppi hanno ottenuto punteggi normali, senza differenze statisticamente significative (p=0,45)

Tabella 2. Punteggi medi della CBCL per Problemi Totali, Internalizzazione ed Esternalizzazione. PROBLEMA

OLT

CTRL Media

s.d.¹

Media

s.d.

p

Problemi totali

58,41

7,28

56,85

9,09

0,45

Internalizzazione

54,24

7,22

52,93

8,08

0,51

Esternalizzazione

58,79

8,89

56,67

11,8

0,43

T-score (range): normale ≥ 60, borderline 60-63, patologico ≤ 63. ¹ s.d=deviazione standard


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LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO PSICOPATOLOGICO

Analogamente, la scala delle competenze ha mostrato punteggi patologici in entrambi i gruppi, senza alcuna differenza significativa.

Tabella 3. Punteggi medi della CBCL alla Scala delle Competenze. COMPETENZE

OLT

CTRL

Competenze Totali

Media

s.d

Media

s.d

p

32,24

5,27

33,96

4

n.s

T-score (range): normale ≥ 40, borderline 37-40, patologico ≤ 37. n.s.: non significativo

La Tabella 4 mostra i punteggi medi ottenuti alle singole sottoscale rispettivamente dal gruppo clinico e da quello di controllo al TMA.

Tabella 4. Punteggi medi del TMA alle singole sottoscale nei due gruppi. DOMINI

OLT

CTRL Media

s.d.

Media

s.d.

P

Interpersonale

91,8

14,62

95,8

9,23

0,22

Competenze

95,6

14,79

94,5

9,29

0,37

Emozionale

95,4

15,06

98,5

10,99

0,41

Scolastica

85,9

15,79

97,3

10,60

0,05

Familiare

95,2

12,32

95

9,28

0,17

Corporea

97,5

12,14

95,2

7,84

0,08

TOTALE

96,6

13,56

96,4

10,11

0,43

Tenendo conto che la fascia di punteggio standard corrispondente ad una “Autostima media” è compresa tra 86 e 115, è possibile notare che, in generale, i soggetti intervistati hanno ottenuto punteggi che rientrano nella media per ciò che concerne i domini Interpersonale, Competenze, Emozionale, Familiare e Corporeo. L’unica eccezione si riscontra per l’ambito “Scolastico” dei soggetti trapiantati, i quali mostrano un’autostima lievemente negativa, rispetto al gruppo CTRL, come dimostrano anche i Grafici 1 e 2.


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Grafico 1

Grafico 2

Discussione I risultati della CBCL rivelano che i pazienti OLT non mostrano un rischio psicopatologico pi첫 elevato rispetto ai coetanei affetti da epatopatia cronica, e che non vi sono differenze significative per quel che riguarda la scala delle competenze, pur molto complesse in entrambi i gruppi.


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Pertanto, il nostro studio non conferma l’ipotesi che il trapianto di fegato possa predisporre all’insorgenza di una successiva psicopatologia rispetto a epatopatici cronici, come riportato da altri. Questo risultato è, probabilmente, dovuto al fatto che entrambi i gruppi di bambini sono esposti a fattori stressanti, come la malattia cronica; infatti, tutti i bambini, campione del nostro studio, hanno sofferto di malattia epatica cronica. Quindi, come gli epatotrapiantati, anche i pazienti affetti da epatopatia cronica sono esposti a una serie di esperienze potenzialmente traumatiche, quali: sofferenza fisica, cure mediche, ricoveri. Pertanto, anche negli epatopatici cronici, uno qualsiasi di questi fattori potrebbe essere vissuto come un elemento fortemente stressogeno. Di conseguenza, secondo i nostri risultati, il rischio psicopatologico non è maggiore nei bambini OLT, bensì è sovrapponibile in entrambi i gruppi di pazienti. Per quanto riguarda la Scala delle Competenze, pur non essendoci differenze statisticamente significative, entrambi i gruppi hanno mostrato punteggi patologici molto elevati. Tali dati corrispondono a quelli ottenuti in un altro studio, da noi effettuato, sulla popolazione generale campana, e i risultati nella Scala delle Competenze risultano sovrapponibili. Circa i risultati del TMA, non ci sono differenze nei due gruppi per quanto riguarda l’autostima globale. Dall’analisi dei singoli domini, tuttavia, è emerso un punteggio più basso nel gruppo OLT per la dimensione Scolastica, rivelando che i bambini epatotrapiantati si percepiscono meno bravi rispetto agli altri. Questo dato può trovare la sua spiegazione nell’osservazione che il trapianto comporta numerose assenze da scuola, l’allontanamento dai compagni e l’essere in ritardo con i programmi scolastici. Tutti questi fattori possono portare il bambino a percepirsi in modo inferiore rispetto agli altri, ad accostarsi alle esperienze di apprendimento con esitazione e a sviluppare, quindi, una bassa autostima scolastica. Tale dato, inoltre, potrebbe essere relativo ai disturbi neuropsicologici che i bambini OLT presentano, come descritto in altri studi. Da qui, l’importanza di garantire ai bambini epatotrapiantati una precoce valutazione dello sviluppo cognitivo e neuropsicologico, e la necessità di approfondire, attraverso ulteriori studi, le difficoltà cui questi pazienti possono andare incontro nell’ambito dello sviluppo intellettivo. Conclusioni Da questo studio emerge che non ci sono controindicazioni all’esecuzione del trapianto di fegato in età evolutiva per quel che riguarda il rischio psicopatologico, perché sostanzialmente disturbi emotivi e comportamentali dipendono più strettamente dall’intera storia clinica del paziente che dall’epatotrapianto in sé. Le implicazioni psicologiche e comportamentali, favorite dalla progressione della malattia cronica, di fatto, incidono sull’autostima e sull’identità personale, in quanto il paziente è obbligato ad adattare costantemente lo stile di vita e la progettualità al proprio stato di salute. È chiaro che l’atteggiamento del paziente nei confronti della malattia cambia in base all’età, e che il periodo tra l’infanzia e l’adolescenza è certamente il


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più difficile. Durante l’età scolare la malattia cronica è vissuta come colpa e le terapie come maltrattamenti, mentre, nell’età adolescenziale, spesso si attivano meccanismi di difesa, quali la negazione della malattia, vissuta come una minaccia e, quindi, un impedimento alla propria autonomia. Per quanto esposto, è essenziale un approccio interdisciplinare, come metodo di lavoro clinico e di ricerca. Nella gestione di questi bambini è fondamentale il ruolo della famiglia e del “caregiver”, ossia di chi offre cure e assistenza alla persona malata; pertanto riteniamo che sia indispensabile che pediatri e neuropsichiatri infantili collaborino tra di loro e con la famiglia per promuovere lo stato di salute del bambino, per favorirne una migliore compliance, un buon adattamento e, globalmente, per tenderne al miglioramento della qualità della vita. Riassunto Obiettivo: valutare i disturbi emozionali e comportamentali e l’autostima di pazienti sottoposti a trapianto epatico pediatrico. Materiali e metodi: un campione di 34 SS epatotrapiantati di età compresa tra 6,1-18aa, è stato confrontato con un gruppo di controllo composto di 29 SS di eguale età, affetti da epatopatia cronica. È stata somministrata la Child Behavior Checklist PRF, per valutare la presenza di disturbi comportamentali o emozionali, ed il TMA, Test di valutazione Multidimensionale dell’Autostima, per valutare l’autostima. Risultati: il gruppo di SS epatotrapiantati non ha un maggior rischio per disturbi comportamentali o emozionali dei SS con patologia epatica cronica. Non si osserva una significativa differenza nei punteggi globali all’autostima tra i due gruppi. Nondimeno, i soggetti epatotrapiantati ottengono punteggi inferiori nella sottoscala dell’autostima riguardante la scuola. Parole chiave Trapianto epatico – Child Behavior Checklist – Psichiatria di Consultazione e Collegamento – Psicopatologia – Autostima.

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Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza (2012), vol. 79: 707-716

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Il problema: la giustizia costa troppo, la giustizia per i bambini costa ancora di più. Come ridurre le spese e migliorare i risultati The issue: Justice costs too much, justice for children costs even more. How to reduce expenses and improve results Ugo Sabatello*

Summary From a current news item, one of the most distressing and expensive trials about a case of collective complaint, after a historical examination of the concept of “Latticed complaints”, the Author highlights some issues related to technical evaluations and surveys in childhood and adolescence. Therefore, a different organization of public services is suggested, in which a public institution, such as the university, may respond to the needs of forensic psychiatric and psychological evaluation, with a greater respect of the working practices and significant savings, not only economically, but also in the emotional cost for children and adults. Key words Juvenile Justice – Expenses of Justice – Latticed Allegations.

Introduzione Siamo usciti da pochi mesi dal “Primo Grado” di uno dei nostri processi più costosi, quello di Rignano Flaminio. Costoso in tutti i sensi, affettivo, di sofferenza delle famiglie e dei bambini, di vite “distrutte” come quelle degli accusati ora assolti perché “…il fatto non sussiste”. Per sei anni, nonostante un parere del Tribunale del riesame e, sei mesi dopo, della Cassazione, sono proseguite udienze, ascolto dei bambini, sopraluoghi in varie parti del territorio, nuove indagini. Da un lato, meglio così, in ambito penale la colpevolezza deve essere stabilita “…oltre ogni ragionevole dubbio” e in situazioni così delicate è giusto che si chiarisca il possibile. Altre cose, forse, sono meno giuste. I tempi della giustizia sono, spesso, poco compatibili con le aspettative e la vita stessa delle persone ed anche gli oneri della difesa. Il costo di un dischetto con la registrazione delle sedute diagnostiche con ogni bambino, per una poco comprensibile necessità burocratica, è costato agli indagati 250,00 euro. Abbiamo idea del costo di ogni singola udienza, dei periti, degli avvocati? Non parliamo qui del costo umano, incalcolabile per tutti, ma di quello economico, della spesa viva. Nessuno, a quanto ci risulta lo ha calcolato ma se il processo per la scuola McMartin * Neuropsichiatra

Infantile. Ricercatore Sapienza Università di Roma. Direttore Master II livello in Psichiatria forense dell’Età Evolutiva. Psicoanalista AIPsI-IPA.


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U. SABATELLO

è costato negli USA quindici milioni di dollari, ed è ricordato come uno dei processi più onerosi della storia, sarebbe bene che anche noi ci ponessimo il problema dei costi della Giustizia e delle possibilità di ridurre e razionalizzare la spesa. Le denunce a reticolo Sicuramente, a Rignano Flaminio e in numerosi altri processi in cui sono stati coinvolti dei bambini, un elemento critico è stato rappresentato dai primi accertamenti, condotti da una professionista non esperta in casi di “denunce a reticolo” ma che ha fornito comunque agli inquirenti ed all’opinione pubblica dati ad un tempo preoccupanti e non verificabili, raccolti con metodiche non idonee, non condivisibili, non adeguate alle linee guida attuali (SINPIA, 2007; Consensus Conference, 2010). Da un accertamento non adeguato iniziale è nato il rumore mediatico, ma anche la difficoltà a districarsi tra le motivate angosce delle persone e la fragilità dei dati obbiettivi raccolti. E non era la prima volta. Le denunce collettive sono un “fatto” che, negli Stati Uniti ha già una storia piuttosto lunga. Senza voler risalire sino al processo alle streghe di Salem (1692) divenuto oramai paradigmatico, dobbiamo osservare come, negli ultimi trenta anni, il crescente allarme sociale abbia generato casi di presunti abusi, divenuti oramai celebri (Bruck, Ceci, 1995) e uno stato di allarme diffuso, soprattutto tra gli operatori che si occupano di bambini (Anderson, Levine, 1999). Introvigne (1998) ci ricorda che “negli anni ’70 fu sviluppato il concetto di ‘panico morale’ per spiegare come alcuni problemi sociali – caratterizzati sia nella rappresentazione mediatica sia nelle istituzioni politiche da una reazione sproporzionata rispetto all’effettiva minaccia – siano ipercostruiti e generino paure esagerate. La letteratura internazionale riporta i casi definiti “Sexual Ritual Abuse” (SRA), fenomeno ben noto agli americani a partire dagli anni ’80. Ad alimentare l’allarme e, nel contempo, la diffusione di tali fenomeni, furono eventi diversi quali, ad es. la pubblicazione del libro “Michelle Remembers” (1980), nel quale lo psicologo canadese Lawrence Pazder racconta di una sua paziente (Michelle Smith) che, durante la psicoterapia, rivelò di essere stata, all’età di cinque anni, vittima di abusi rituali satanici e testimone di bambini uccisi e offerti in sacrificio a Satana il caso dei presunti abusi sessuali dell’asilo di McMartin in cui sette insegnanti furono accusati di abusi sessuali e rituali satanici su 40 bambini (Lamb, 2008). L’effetto delle pressioni sociali ebbe una grande influenza sulle deposizioni dei bambini, rivelatesi poi inconsistenti; il processo si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati1; infine, la divulgazione di instant book, cioè documentari, libri e altro su alcuni serial Killer che facevano riferimento, seppur vago, a Satana, contribuirono a far sospettare l’esistenza di sette sataniche perverse e assassine. 1 Il

processo alla McMartin Preschool, conclusosi con la piena assoluzione degli imputati e la demolizione della scuola, risulta il più lungo processo penale della storia statunitense (6 anni, dal 1984 al 1990), oltre che il più costoso ($15.000.000 spesi dallo Stato di California) mai intentato.


IL PROBLEMA: LA GIUSTIZIA COSTA TROPPO

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Dalle dichiarazioni delle violenze subite dai “survivors” nell’infanzia, ossia adulti che ricordano sotto ipnosi l’evento traumatico subito da bambini, alle testimonianze dirette dei minori, l’idea del complotto satanista si diffuse e suscitò grande impatto sull’opinione pubblica. Tra il 1983 e il 1985, infatti, vennero denunciati diversi casi di “ritual child abuse” negli Stati Uniti e in Canada. Casi simili alla vicenda della scuola McMartin furono riscontrati in Texas, nel New Jersey, nell’Oregon, a Richmond in Virginia, a Port Angeles nello stato di Washington, a West Point, a New York e a Reno (Lyon, 1998). Anche in Italia si sono succeduti casi che rientrano in quel fenomeno particolare che, in altri paesi del mondo, viene definito delle “latticed allegations” (Yuille et al., 1995) o “denunce a reticolo”, ovvero denunce che si alimentano con un effetto a valanga, si caratterizza per la presenza di diverse presunte vittime e vari sospetti abusatori: ogni minore denuncia solo una parte dei presunti abusatori e le dichiarazioni si sovrappongono solo parzialmente fra loro. I casi italiani, sembrano avere delle somiglianze con i casi statunitensi, rispetto ai racconti, spesso a sfondo satanico e rispetto alla modalità della rivelazione (tutto inizia con le rivelazioni di un bambino che coinvolge adulti e altri bambini). Le denunce generalmente emergono in un contesto comune (piccolo agglomerato urbano, comunità religiosa, scuola, squadra sportiva ecc.) e presentano il rischio di “contaminazioni incrociate”. Un dato caratteristico delle denunce a reticolo è rappresentato dal fatto che i bambini vengono intervistati più volte, sia dai genitori sia dagli operatori, creando un clima particolarmente suggestivo, al quale spesso contribuiscono anche i mass media; si assiste, in tal modo, con il passare del tempo, ad un crescendo di denunce, in quantità e in gravità, che coinvolgono sempre più persone, fino a raggiungere limiti quasi fantastici (mostri, omicidi di massa, cannibalismo, riti satanici, abuso rituale). Dal punto di vista della ricerca un risultato interessante è stato ottenuto da uno studio condotto in un asilo in Texas; gli autori (Billings et al., 2007) hanno rilevato che attraverso il rinforzo verbale, i bambini possono essere indotti addirittura ad incolpare loro stessi per un crimine non commesso; dai risultati della ricerca emerge che circa la metà dei bambini interrogati, a seguito del rinforzo, hanno dichiarato di essere colpevoli del furto di un giocattolo, dimostrando in tal modo il loro elevato grado di suggestionabilità. Questi sono solo alcuni risultati che evidenziano come i bambini siano particolarmente suggestionabili; alcuni autori (Ceci e Bruck, 1993, 1995, et al., 2002), hanno concluso che data l’elevata suggestionabilità, i bambini sono disposti ad accogliere quanto suggerito, soprattutto da intervistatori adulti, assecondando le aspettative dell’adulto. La costruzione dei falsi ricordi, dunque, dipende molto dall’intervento esterno, e in particolare dall’informazione che viene fornita ai bambini da figure adulte e autorevoli attraverso le innumerevoli domande a cui vengono sottoposti (genitori, forze dell’ordine ecc.). Queste informazioni, di fatto, possono entrare a far parte del bagaglio di memoria dei bambini che, ricorderanno ciò che è stato implicitamente o esplicitamente suggerito nel corso dei colloqui e delle interviste come se fosse parte


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dell’evento originale (Mazzoni, 2003, op. cit.). Ciò può da un lato, fare cancellare elementi preziosi dal ricordo di un bambino (Mazzoni e Vannucci, 2007, Mazzoni e Rotriquenz, 2012) per cui se l’abuso c’è stato il colpevole vero potrebbe non essere mai identificato e portare, dall’altro lato, a situazioni in cui l’abuso viene “creato” là dove invece il disagio del bambino doveva essere spiegato in altro modo, come segno ad esempio di difficoltà nell’inserimento nella scuola o nel rapporto con i genitori o nelle relazioni con i bambini della stessa età, o ancora dai reiterati interventi istituzionali subiti. “Il problema è riuscire ad assumere una prova dal minore nel modo più corretto e lineare possibile, senza che ci siano naturalmente delle mediazioni da parte di altri soggetti. Naturalmente, le vicende ci segnalano casi molto particolari, perchè vedete intorno al problema del bambino abusato si celebrano scontri familiari, si celebrano situazioni di conflittualità interpersonali di cui il bambino finisce di essere nuovamente vittima, due volte vittima. Queste sono ulteriori situazioni, che dovrebbero essere dalla giurisprudenza depurificate attraverso situazioni di incompatibilità; la mamma che porta il bambino subito la separazione dal consulente perché lo assista e riconosca che il bambino è vittima di abusi o cose di questo genere si dovrebbero trovare dei filtri affinchè la prova nel processo sia valutata e giudicata nel modo più corretto possibile” (Spangher, 2 luglio 2012)2. La storia delle denunce collettive, o a reticolo, italiane non è stata ancora scritta per esteso, anche se nei lavori di Giuliana Mazzoni (2011) e di Lino Rossi (2009) vi si fa sovente riferimento: Brescia, Vallo della Lucania, Bassa Modenese, Rignano Flaminio sono state situazione di denunce a reticolo in cui si ritrovano modalità molto simili di diffusione dell’allarme e di alterazione dell’informazione anche se, nei diversi casi, la modalità di raccolta dati è stata molto diversa. Persecutori e Vittime Per gli autori di reato si propone il medesimo problema in quanto, situazioni in cui la psicopatologia si associa al comportamento antisociale, o addirittura è alla base di esso, una superficialità diagnostica mette a repentaglio la possibilità di utilizzare al meglio le misure alternative alla detenzione con un ulteriore spreco di risorse mentre, per i ristretti, si annulla la possibilità di recupero, si rinforza una affiliazione antisociale e si rischia, come spesso accade, la ripetizione di atti autolesivi e suicidari. La popolazione delle vittime e dei “persecutori” sono spesso più vicine di quanto si creda e, nella situazione attuale, sono unite anche dalla scarsità di opportunità e possibilità terapeutiche per loro disponibili. Se il mancato intervento terapeutico costringe l’antisociale nella reiterazione della condotta deviante, per la vittima d’abuso l’impossibilità di accedere ad un ausilio terapeutico si trasformerà in seguito in psico-

2 G. Spangher, Comunicazione

presso la Corte d’Appello di Roma il 2 luglio 2012.


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patologia, in devianza o nella perpetuazione del ciclo dell’abuso. Per ognuno di loro è quindi necessario affrontare anche il problema dell’intervento terapeutico. I bambini con disturbi dell’apprendimento quali “minimal brain dysfunction”, dislessia, afasia di sviluppo, ADHD sono a rischio di diventare degli “offenders” durante l’adolescenza a qualsiasi razza o ceto sociale appartengano. Le problematiche e i difetti fisici sono più frequenti tra i “delinquenti” che sono, anche, più frequentemente ricoverati in ospedale e più soggetti ad incidenti e ferite, (cosa particolarmente evidente tra i figli di padri criminali) rispetto ai “non delinquenti”. Una ricerca svolta su trentatré carcerati di cui nove, in seguito, commisero omicidio mostra, per questi ultimi, un’anamnesi positiva rispetto a manifestazioni di estrema violenza sia da bambini sia da adolescenti, tutti avevano parenti con patologia psichiatrica grave e con ospedalizzazioni, pressoché tutti erano stati abusati durante l’infanzia, avevano assistito a violenze e avevano problemi neurologici più o meno gravi, sottolineando così i fattori di rischio relativi alla patologia psichiatrica e neurologica. Molto spesso, i giovani delinquenti, sono portatori di patologie somatiche croniche quali: asma, allergie, infezioni trasmesse sessualmente e patologie dermatologiche, in alcune ricerche viene segnalata anche una pubertà tardiva, problematiche di sviluppo, tabagismo e uso di sostanze. Una disamina dei fattori di rischio sociali e familiari ci mostra un quadro tanto prevedibile e noto che è piuttosto inutile e ridondante ripeterlo, per cui gli autori di reato, tranne alcune pur importanti eccezioni, ci appaiono come appartenenti a categorie svantaggiate sia per la salute fisica e mentale, sia per lo status socio economico e le condizioni culturali ed affettive legate alla famiglia e agli ambiti sociali. Le eccezioni sono dovute al fatto che la disamina fin qui condotta riguarda i giovani ristretti mentre, è prevedibile, che giovani appartenenti a ceti sociali più abbienti e a famiglie più coese, pur esprimendo dei comportamenti antisociali trovino con più difficoltà la strada del carcere sostituita da interventi della famiglia e da un atteggiamento più possibilista ed aperto a misure alternative da parte tanto della polizia che della magistratura. Non risulta, invece, che le separazioni genitoriali o le famiglie monoparentali siano un effettivo fattore di rischio per l’antisocialità. Maggiormente determinanti sembrano essere, piuttosto, la scarsa comunicazione tra i familiari, l’abuso in ogni sua forma anche nell’incuria o discuria, l’esposizione alla violenza, le disarmonie matrimoniali e il mancato monitoraggio dei comportamenti dei figli. La garanzia del metodo È comunque evidente che, per muoversi all’interno di una materia così complessa ed articolata in cui si articolano psicologia di massa, infantile e forense, vi sia bisogno di una specifica competenza ed esperienza. Possiamo agire, a nostro avviso, solo sul metodo e le prassi operative, le persone hanno i loro motivi per angosciarsi e le istituzioni fanno quanto ritengono necessario ma, sui metodi e le procedure dobbiamo non solo avere voce in capitolo, ma anche proporre modificazioni perché su queste si basa la possibilità o meno di acquisire dati utili e non solo di risparmiare su spese a


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volte poco comprensibili ma anche di proteggere il bambino durante il corso dell’iter giudiziario; proteggere lui e la sua famiglia. La Giustizia si trova sempre più spesso a confrontarsi con situazioni in cui i bambini sono vittime o autori di reato. Il primo caso comprende, soprattutto, l’ampio insieme dei minori vittime o presunte tali di abuso e maltrattamento di cui si interessano le Procure e i Tribunali ordinari e minorili; il secondo, definisce il gruppo eterogeneo e complesso dei minori autori di reati contro la proprietà, la persona o di tipo sessuale. In ciascuna di queste situazioni la Polizia Giudiziaria ed il Magistrato possono avvalersi di un ausilio specialistico, in quanto, l’ascolto del minore, la valutazione della sua capacità testimoniale e la valutazione della sua capacità di intendere e volere (responsabilità e pericolosità sociale) come autore di reato richiedono, sempre, un accurato “assessment” neuropsichiatrico. Inoltre, nei minori riconosciuti colpevoli di reati gravi e ristretti in IPM, la valutazione delle condizioni psichiche e la prevenzione di azioni autolesive e suicidarie è divenuta, oltre ad un imperativo morale, anche una disposizione della Conferenza Stato Regioni (G.U.19-02-12) a seguito di un pronunciamento dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (2007)3. Le disposizioni attuali fanno si che i Magistrati si avvalgano di esperti da loro nominati per la valutazione peritale dei minori vittime o autori di reato mentre, per i ristretti in IPM, la competenza appartiene agli operatori dei Servizi ASL territoriali (G.U n. 126 del 30 maggio 2008, Dpcm. 01 aprile 2008). D’altro canto, sia per gli autori sia per le vittime di reato, la competenza tecnica richiesta per la valutazione è divenuta sempre più sofisticata e si avvale di uno strumentario diagnostico e di misurazione che non è alla portata di tutti (Grigorenko, 2012). È ormai considerazione comune che, in ambito forense, il livello di oggettività della valutazione debba essere significativamente maggiore rispetto alla clinica e che il perito non possa esimersi di utilizzare, accanto ai classici e fondamentali strumenti della valutazione clinica anche mezzi attuariali specifici e, possibilmente, validati per la specifica popolazione esaminata4. Nel suo procedere l’esperto, oltre che nel rispetto delle norme che sanciscono la propria attività, è chiamato ad agire nella consapevolezza della distinzione esistente tra il proprio referente scientifico (dal quale trae paradigmi, metodi di ricerca e strumenti operativi) e quello di contesto ovvero il diritto e la giustizia (al quale rimanda il proprio sapere). La formazione richiesta, da intendere come interazione discorsiva tra competenze medico-psichiatriche, psicologiche e giuridiche, non presuppone l’acquisizione di una specializzazione in campo giuridico, quanto piuttosto la capacità di applicare il proprio sapere professionale conformemente alle esigenze proprie dei contesti legali (“competenza contestuale”). Nel suo operare, l’esperto deve sempre tenere a mente la categoria giuridica che 3 Gazzetta Ufficiale n. 34 del 10.02.2012; Accordo sancito dalla Conferenza Unificata sul documento, proposto dal Tavolo di consultazione permanente sulla sanità penitenziaria, recante “Linee di indirizzo per la riduzione del rischio auto lesivo e sucidario dei detenuti, degli internati e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale”. 4 Spesso e volentieri si utilizzano scale e strumenti valutativi che non sono stati validati per la popolazione itasliana e il cui valore normativo è, pertanto, discutibile.


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orienta il quesito, onde evitare di incorrere nel rischio di effettuare un’indagine autoreferenziale, significativa per il proprio ambito disciplinare e tuttavia estranea alle funzionalità per il contesto richiedente. Non bisogna, infatti, dimenticare che sono i criteri normativi, che fanno da cornice all’intervento, a delimitare i confini e gli spazi di possibile realizzazione dello stesso, orientandone di volta in volta gli obiettivi e i risultati perseguibili. L’indagine psicologica potrà avvalersi di test (di personalità, neuropsicologici e proiettivi) basati su performance del soggetto (performance based) o sulla capacità di auto descriversi (self report); i test prescelti dovranno essere caratterizzati da elevata e comprovata affidabilità scientifica, rispondendo ai requisiti di scoring system validato con dati normativi di riferimento. La scelta dei test è affidata alla competenza dell’esperto che dovrà tener conto del grado di validità ed accuratezza globale dello strumento prescelto. La scelta degli strumenti diagnostici deve essere non generica ma specifica, ovvero valida e affidabile nel fornire un apporto concreto alla soluzione di quel determinato caso. Per quanto riguarda i test proiettivi (performance based), essi possono fornire utili indicazioni in merito alla struttura di personalità del bambino, l’assetto relazionale ed eventuali disturbi psicopatologici. Occorre però assumere alcune precauzioni preliminari: – scegliere test e strumenti di valutazione che dispongano di un sistema di codifica riconosciuto e condiviso; – l’esperto dovrà sempre esplicitare quali parti della valutazione del test sono il frutto di codifiche riconosciute e standardizzate e quali invece il frutto di ipotesi interpretative; – in ogni caso, occorre adottare la massima cautela prima di produrre valutazioni rivolte al funzionamento psicologico del bambino sulla base di interpretazioni soggettive del materiale simbolico che emerge da materiale non strutturato come i disegni o altri strumenti proiettivi, onde non cadere nell’ “interpretazionismo clinico” che può spesso risultare eccessivamente arbitrario, fuorviante ed innescare falsi giudizi specie in ambito penale. In ogni caso, il contesto forense e la necessità di evitare valutazioni “pseudoscientifiche” richiedono l’adozione di strumenti di assessment sufficientemente affidabili e tali da fornire risultati replicabili anche da diversi esaminatori. La nostra insistita sottolineatura della necessità di un metodo corretto e condivisibile nello svolgimento delle valutazioni, parte necessariamente dalla consapevolezza che i movimenti emotivi del perito possano tradursi non solo negli “scotomi” di cui parlava Freud quali aree oscure nel paziente legate ad aspetti non analizzati del terapeuta, ma anche in agiti, prese di posizione messianiche e aprioristiche le cui conseguenze, in termini giuridici e di sofferenza personale si sommano all’esercizio di un arbitrio che riteniamo essere una forma di violenza istituzionale. L’oggettività è solamente un obiettivo al quale tendere ma continuamente irraggiungibile, tenere conto della nostra soggettività e della “equazione personale” di ognuno di noi riteniamo sia un obbligo oltre che una necessità metodologica.


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Tutto questo dà ragione delle opinioni spesso divergenti e contraddittorie che il Magistrato ascolta nelle valutazioni dei diversi esperti in casi di particolare delicatezza e difficoltà. Il problema è che, in una materia senz’altro difficile ed in continua evoluzione (evolvono gli strumenti utilizzati, ma anche la tutela delle garanzie e la comprensione di ciò che possiamo aspettarci o meno da un soggetto in età evolutiva), non sempre si ha la necessaria competenza clinica né é possibile mantenersi aggiornati per offrire delle valutazioni effettivamente adeguate. Per tali motivi, oltre a divergenze di opinioni sconcertanti, i costi della Giustizia lievitano per la necessità di ripetere e replicare accertamenti, a volte oltre ogni tempo massimo, svolti in modo inadeguato. Le conseguenze e i costi della “malpractice” peritale per il sistema Giustizia e per la società civile sono incalcolabili e difficilmente quantificabili. La valutazione peritale nei casi di abuso sessuale (valutazione della capacità testimoniale del minore) non è stata sottoposta, forse non a caso, a studi di verifica dal punto di vista tecnico e giudiziario se non in rari casi. Uno dei rari lavori italiani (Ferracuti, Roma, 2004) disegna uno scenario non tranquillizzante. Altri dati, relativi ai costi globali delle consulenze e del numero di consulenze che il Sistema Giustizia ogni anno affida a esperti privati per valutazioni in ambito psicologico-psichiatrico, non sono facilmente reperibili o forse non sono disponibili. Una proposta di cambiamento La possibile soluzione di queste diverse difficoltà è in un costante adeguamento e sviluppo sia delle prassi di articolazione tra le Istituzioni sia, per quanto riguarda la Psichiatria Forense dell’età evolutiva, la comprensione che un ambito così particolare, specialistico e multidisciplinare richiede procedure e competenze specifiche adeguate alla crescita delle conoscenze scientifiche. Un risultato di tale genere potrebbe ottenersi qualora la Magistratura potesse richiedere le prime valutazioni sui minori autori di reato, i primi accertamenti sulla capacità testimoniale e la conduzione dell’ascolto non necessariamente nel solo ambito dell’incidente probatorio ad una struttura pubblica che, per vocazione e cultura, sia parte terza, portatrice di buone prassi e della necessità continua di aggiornamento. Tale struttura non può che essere l’Università e questo non perché sul territorio o negli ospedali non si faccia a volte ricerca di alto livello, ma la caratteristica interdisciplinare della materia e le necessità dell’insegnamento e aggiornamento trovano un loro luogo adeguato di espressione negli Atenei (che potrebbero essere ulteriormente motivati all’aggiornamento dal confronto ulteriore con realtà complesse). Se definiamo l’Università come organismo di terzo livello o Hub, i Servizi territoriali, le diverse ASL verranno a configurarsi come strutture di secondo livello o spoken. A tali organismi l’Università, rispondendo al proprio mandato istituzionale, potrà fornire formazione e aggiornamento che, perseguito come ripetuto nel tempo in una prospettiva di reciproco arricchimento, porterà ad una verifica delle compe-


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tenze, una condivisione di dati utili alla ricerca e ad un accreditamento5 di specifiche strutture entrate nei progetti di formazione e supervisione e dunque ad un ampliamento delle possibilità di fornire una risposta adeguata alle richieste del mondo della Giustizia6. Un simile sistema è quanto viene attualmente attuato in Francia, in Canada e in molti altri paesi. Non limita la libera scelta del magistrato, ma tende a creare una collaborazione virtuosa tra istituzioni in cui le regole e le procedure possano essere pubbliche e definite a priori cosa che, con una certa enfasi, abbiamo definito come una “Daubert” italiana7, nel rispetto dei principi e regole del “Giusto Processo” e del contraddittorio nei modi e nei limiti definiti dalla legge. La riduzione dei costi sarebbe diretta e notevole, nel momento che l’erario non dovrebbe pagare l’onorario di un professionista, ma erogare alla struttura che ha la competenza per svolgere all’interno del Servizio pubblico una prestazione di elevata complessità una cifra forfettaria adeguata ma definita in anticipo. La riduzione dei costi indiretta sarebbe però molto maggiore e incalcolabile in quanto, se a Rignano Flaminio i primi accertamenti fossero stati compiuti secondo le attuali metodologie e nel rispetto della particolarità del testimone bambino il processo, probabilmente, si sarebbe comunque celebrato ma non sarebbe mai durato sei lunghi anni, interminabili, dolorosi e costosi per tutti. Riassunto Da un fatto di cronaca attuale, uno dei processi più dolorosi e costosi su un caso di denuncia collettiva l’Autore, dopo una disamina storica del concetto di “Denuncia a reticolo” sottolinea alcuni problemi propri delle perizie e delle Consulenze tecniche in età evolutiva. Si propone, quindi, una diversa organizzazione dei Servizi per cui alle esigenze di valutazione forense psichiatrica e psicologica, risponda una struttura pubblica, come l’università, con un maggior rispetto delle prassi operative ed un significativo risparmio sia in termini economici sia per il costo emotivo dei bambini e degli adulti. Parole chiave Giustizia Minorile – Spese di Giustizia – Denunce a reticolo. 5

I sistemi di accreditamento sono procedure di valutazione orientate a favorire il miglioramento delle prestazioni da parte delle strutture aziendali. 6 Ricordiamo che Il Protocollo della Convenzione dei diritti del fanciullo New York, 6 settembre 2000 (L. 11 marzo 2002 n. 46) all’art. 8 recita: 1) Coesistenza, ad ogni stato della procedura penale, delle necessarie misure di protezione dei diritti e degli interessi dei minori vittime con le misure dirette all’accertamento dei reati; 2) Riconoscimento dei particolari bisogni dei minori vittime dei reati e prevalenza, nel modo di trattarli, del loro interesse; 3) Diritto dell’accusato ad un processo equo o imparziale; 4) Adozione di misure per una formazione appropriata degli operatori. 7 Nella sentenza Daubert (1993) venivano stabiliti i criteri per l’ammissibilità della prova scientifica all’interno del Tribunale: • possibilità di testare (verificare) e confutare (falsificare) l’ipotesi; • essere stata oggetto di revisione paritaria; • essere a conoscenza della percentuale di errore conosciuto della teoria; • essere accettata dalla comunità scientifica.


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La rivista pubblica ricerche originali, casi clinici di particolare interesse da un punto di vista diagnostico o terapeutico, contributi teorici nel campo della Psicopatologia e della Neuropsicologia dello Sviluppo. La rivista è anche interessata a ricerche di epidemiologia e di prevenzione nell’ambito della Salute Mentale dell’età evolutiva e della Riabilitazione, dalla prima infanzia all’adolescenza. Ogni articolo sarà rivisto da almeno due revisori anonimi. La rivista si impegna a rispondere agli autori entro 90 giorni dal ricevimento del manoscritto. I manoscritti vanno inviati al direttore della rivista Prof. Gabriel Levi, Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Redazione, Via dei Sabelli, 108, 00185 Roma. Gli articoli devono essere inviati in tre copie (un originale e due fotocopie) allegando anche la versione dell’articolo (in Word per Windows o Word per Macintosh) in CD-Rom o dischetto. Una copia dell’articolo deve essere inviata via email alla redazione: psichiatra.infanziadole@email.it. L’autore è responsabile che la versione su carta e la versione su supporto elettronico siano uguali. La lunghezza degli articoli inviati dovrebbe essere contenuta in 20 pagine dattiloscritte e, in ogni caso, non deve superare le 24 pagine dattiloscritte. Il formato della pagina del testo deve essere di 30 righe, 60 battute per riga (1800 caratteri, inclusi gli spazi bianchi), con interlinea doppia su foglio A4. Gli articoli dovranno essere così presentati: due pagine di titolo, la prima contenente i nomi per esteso degli autori, la loro affiliazione, l’indirizzo completo con numero di telefono, di fax, email, dell’autore a cui va inviata la corrispondenza; la seconda contenente solo il titolo dell’articolo, in italiano e in inglese. Le pagine devono essere numerate, eccetto la prima di titolo, nel seguente ordine: a) riassunto in italiano e in inglese (250 - 300 parole), b) parole chiave (in italiano e in inglese, fino ad un massimo di cinque), c) testo, d) tavole, e) figure, f ) descrizione delle tavole/figure, g) note, h) bibliografia, i) appendice. Ognuna di queste sezioni deve iniziare su una pagina nuova. Il testo deve essere suddiviso in sezioni: introduzione, obiettivo del lavoro, soggetti e metodi, discussione dei dati e conclusioni. Le tavole, le figure devono avere titoli brevi e descrittivi e devono essere numerate consecutivamente in numeri arabi e richiamate nel testo. La relativa legenda deve essere scritta su un foglio a parte contenente le legende di tutte le tavole/figure. Le figure devono essere pronte per la riproduzione fotografica con i dettagli leggibili chiaramente. In particolare i disegni dovranno essere allegati in originale oppure in file con formato .jpeg o .tiff. La loro collocazione nel testo deve essere indicata dalla frase inserisci qui tavola/figura. Abbreviazioni: devono essere evitate il più possibile; quando necessaria l’abbreviazione deve essere preceduta dalla formulazione per intero la prima volta che la denominazione viene citata nel testo, le volte seguenti può essere sostituita dall’abbreviazione. Ad esempio: Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS). I riferimenti bibliografici nel testo devono indicare soltanto il cognome degli autori e l’anno di pubblicazione posto tra parentesi,ad esempio: Rutter (2006); Leslie e Frith (1993); oppure il cognome degli autori tra parentesi seguito da una virgola e dall’anno di pubblicazione, ad esempio: (Goodyer, 2001; Main, Kaplan, Kassidy, 1989). Se gli autori sono più di tre si riporta il cognome del primo autore


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ISTRUZIONI PER GLI AUTORI

seguito dall’abbreviazione et al., ad esempio: Wolkmar et al. ( 2004). Nel caso che vi siano due articoli dello stesso autore con lo stesso anno di pubblicazione questi vanno indicati con le lettere dell’alfabeto in minuscolo a seguire: (Achenbach, 1994a, 1994b). Le citazioni testuali vanno poste tra “virgolette inglesi” e va indicato sempre il numero di pagina (in forma abbreviata: p./pp.). Bibliografia: comprende esclusivamente le voci bibliografiche citate nel testo. Le voci bibliografiche devono essere elencate secondo l’ordine alfabetico degli autori e debbono contenere cognome e iniziale del nome dell’autore (in Maiuscoletto); anno di pubblicazione dell’articolo o del libro, posto tra parentesi. Quando comprende un articolo si riporterà: titolo del lavoro; nome, o abbreviazione internazionale, in corsivo della rivista in cui l’articolo è stato pubblicato; il numero del volume (o fascicolo) della rivista, seguito dopo il segno di due punti dalla pagina iniziale e terminale dell’articolo. Esempi: Bollea G. (1967), Strutturazione oligofrenica e strutturazione psicotica, Infanzia anormale, 52: 601613. Fonagy P., Target M. (1997), Attachment and reflective function: their role in self-organization, Development and Psychopathology, 9, 4:601-613. Osofsky J.D., Kronenberg M., Hammer J.H, Lederman J.C., Katz L., Adams S., Et Al. (2007), The development and evaluation of the intervention model for the Florida Infant Mental Health Pilot Program, Infant Mental Health Journal, 28, 3:259-280. Quando comprende un libro si riporterà: titolo del libro in corsivo, città, casa editrice, anno dell’edizione italiana per i libri tradotti. Esempi: Cicchetti D., Cohen J. (2006), Developmental Psychopathology, Vol. 1, Theory and Methods, 2nd Ed., New York, Wiley. Gabbard G.O. (2000), Psichiatria psicodinamica, Milano, Raffaello Cortina Editore. Quando comprende un capitolo di un libro gli esempi sono i seguenti: Costello E.J., Angold A. (2000), Developmental epidemiology: a framework for developmental psychopathology, in A. Samerof, M. Lewis, S. Miller (Eds), Handbook of Developmental Psychopathology, New York, Plenum Press. Emde R.N., Bingham R.D., Harmon R.J. (1993), Classificazione e processi diagnostici nell’infanzia, in C.H. Zeanah, Manuale di salute mentale infantile, Milano, Masson, 1996. Gli autori dell’articolo riceveranno le prime bozze per la correzione degli errori. In questa fase non sono ammessi cambiamenti dell’articolo che non siano correzioni di errori tipografici. Le bozze corrette dovranno essere restituite alla redazione della rivista dagli autori entro dieci giorni dal loro invio. L’editore si riserva il diritto di modificare il manoscritto per renderlo conforme allo stile della rivista. Le tavole e le figure pubblicate, eccetto le prime cinque, sono a carico degli autori e saranno addebitate al costo. Gli autori che desiderano estratti dei loro articoli possono richiederli all’editore, che invierà loro il prospetto dei costi. Gli autori degli articoli sono responsabili in proprio del rispetto della legge sulla privacy. I manoscritti non corrispondenti alle regole indicate saranno restituiti al mittente. © Copyright Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza.


Gabriel Levi, Lavorare con gli autismi Il volume raccoglie i contributi del gruppo di ricerca clinica che lavora nell’Istituto di Neuropsichiatria Infantile di Via dei Sabelli a Roma. Vengono inoltre presentate ricerche cliniche attuali condotte in sei regioni italiane, con lo scopo di offrire una panoramica concreta ed aggiornata di esperienze esplicative sul caso. pp. 240 €19,00 Gabriel Levi, Lavorare per la salute mentale in età evolutiva Le riflessioni di questo libro nascono da anni di ricerche sulle popolazioni che affrontano le prime difficoltà in merito alla malattia mentale. Mettere insieme queste difficoltà significa imparare un importante paradosso: i bambini che non hanno problemi ci indicano le loro aree di vulnerabilità; i bambini con problemi ci insegnano come si lotta contro le disabilità. pp. 96 €10,00 Sergio Sergi-Silvana Bonetti Sergi, Temperamento e stili emotivi nel Rorschach Attraverso l’analisi delle risposte a circa duemila protocolli Rorschach sottoposti a bambini e adolescenti, questo studio illustra il temperamento e lo stile emotivo propri di ciascuno di noi fin dal primo sviluppo e cerca di prefigurare la personalità che avremo in età adulta. pp. 684 €49,00

Giovanna Lo Sapio, Giovanni Bollea In questo volume si è tentato di tracciare il percorso professionale di Giovanni Bollea, la cui figura è ancora viva nella memoria di tutti. L’intento dell’Autrice è quello di consentire ad un vasto pubblico di conoscere le fondamentali tesi del Professore. pp. 340 €30,00


Bruna Grasselli, Leggere la dislessia Dall’analisi delle storie di vita raccolte in questo testo emerge come, affinché i diritti di tutte le persone dislessiche possano trovare un giusto ascolto, occorrono servizi che sostengano la famiglia e lo studente. A questo scopo il ruolo dei Tutorati Universitari appare significativo nella sua funzione di accoglienza, di counseling educativo, di sostegno emotivo. pp. 96 €9,00 Guido Crocetti-Rebecca F. Gerbi-Sofia Tavella, Psicologia dell’accudimento nelle relazioni di aiuto L’accudimento psicologico in ambito sanitario è il tema centrale del volume. La parola chiave “accudimento” denota aspetti di un linguaggio che aiuta a cogliere lo specifico di ogni operatore di salute chiamato a intervenire in situazioni di limite, quando il corpo della persona deve fare i conti con una situazione traumatica. pp. 478 €33,00

Maria Luisa Orlic, Educazione gestuale Il volume, pubblicato per la prima volta negli anni ’70, viene riproposto in questa nuova edizione curata da Maria Rosa Madera che ne conferma la validità rieducativa e terapeutica anche in epoca attuale. pp. 128 €10,00 Gabriella Costanzo, Madre e bambino nel contesto carcerario italiano Il testo affronta il delicato problema della presenza in carcere dei bambini che vivono con la madre detenuta. L’Autrice suggerisce di inserire i bambini in centri di accoglienza specializzati esterni che consentano alle madri di poter crescere i propri figli in un clima più sereno e familiare. pp. 112 €10,00


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