Rinzivillo

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Guglielmo Rinzivillo

SCIENZA E VALORI IN KARL MANNHEIM

ARMANDO EDITORE


Sommario

Capitolo primo Historismus am ende I.1 Genesi della dialettica scienza/valori I.2 Max Weber e Karl Mannheim I.3 Cultura e Wertbeziehung I.4 Valori e Weltanschauung

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Capitolo secondo Natura e valore della conoscenza II.1 L’unità complessa del problema II.2 Max Scheler e i “valori eterni” II.3 Metodologia e logica del pensiero II.4 Stili di pensiero

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Capitolo terzo Paradigmi interpretativi III.1 I legami consapevoli III.2 Valori egemonici e innovativi III.3 Valori conservatori e mentalità utopica III.4 Valore e finitezza della/nella scienza

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Capitolo quarto Valori e crisi della libertà IV.1 Libertà e razionalizzazione IV.2 Libertà, pensiero e pianificazione IV.3 Libertà e anti-intellettualismo

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Bibliografia

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Capitolo primo Historismus am ende

I.1 Genesi della dialettica scienza/valori La dialettica scienza/valori assume la sua massima rappresentazione nel compimento storico del pensiero occidentale e, in gran parte, nel completamento di istanze lasciate irrisolte dallo storicismo tedesco e dai suoi maggiori artefici nel corso del XIX secolo-inizi XX. Il passaggio strategico della/nella filosofia borghese della storia alla scienza della/nella società ne costituisce il traguardo assoluto, soprattutto laddove può essere ribadita l’esistenza di una scienza materialistica della società operante anche a livello intellettuale. Accanto alla comparsa di una teoria della società come dialettica del particolare la riflessione storico sociologica esige lo sviluppo di una nuova versione scientifica e culturale di credenze e valori che sia in grado di proporsi come una riflessione generale condotta sulla stessa genesi dell’agire dell’uomo. In questo senso andrebbe veramente specificata la vera nascita di una “sociologia del sapere”, la quale possa riflettere l’analisi di credenze e valori, essendo capace di proporre se stessa di fronte alla comparsa di elaborazioni intellettuali e dinanzi a principi in grado di guidare l’agire umano. E, va detto, che il problema della comparsa di una nuova disciplina dell’agire implica la risoluzione di tutta una serie di aporie del pensiero moderno, le quali non solo giustificano un lavoro come questo ma, nello stesso tempo, legittimano studi precedenti che hanno come tematica la nascita e lo sviluppo di una riflessione scientifica sul modo di prodursi della cultura in contesti di riferimento particolari. 7


Di fatto, la storia del pensiero sociologico tende a manifestarsi soprattutto dove si accetta l’analisi di questi temi-problemi e laddove si compie un passo in avanti nella considerazione della storicità di eventi riflessivi. Il mondo della cultura esige allora che ci si occupi a un certo momento delle strutture del pensiero in stretto rapporto con la destinazione sociale dello stesso, cioè in stretta connessione con tutte le forme di trasfigurazione sociale del pensiero. Ciò è riscontrabile in un autore come il tedesco di origine ungherese Karl Mannheim (Budapest, 27 marzo 1893-Londra, 9 gennaio 1947), un autore complesso ma per certi versi risoluto. Nei suoi contributi alle scienze sociali è presente infatti lo studio dello storicismo tedesco condotto alla luce di una particolare crisi del pensiero moderno, evidente tra i suoi contemporanei, riscontrabile a partire dall’esame della presenza intellettuale rispetto ai valori che tendono a guidare l’individuo senza distoglierlo dalla vita comunitaria e associata. In Karl Mannheim la conoscenza si lega all’interesse teorico e concettuale e la riflessione corre lungo l’asse che lega lo svolgersi delle idee ai “fatti” della vita individuale e associata, come tendesse alla ricerca di una realtà immanente, non più prodotta da formulazioni idealistiche, ma bensì radicata, appunto, nel rapporto scienza/valori1. Il lavoro monografico sul sociologo e filosofo Karl Mannheim che segue, parte proprio dal presupposto per cui i tipi di conoscenza prodotti dalla scienza possano essere in grado di costituirsi come valori in sé, stante la possibilità di concepire questi stessi valori in conflitto con altri valori forniti dalla realtà storico-concreta. Questo è il primo punto della questione da sottolineare. In secondo luogo è possibile affermare che proprio in tale rapporto si ritrova tutto l’interesse che un autore come Mannheim mostra per il condizionamento storico e sociale del pensiero, occupandosi dell’azione in contesti di libertà e frattura ideologica, politica e culturale2 nonché di emancipazione epocale dei gruppi sociali in una età di crisi. Riferiti al primo punto, è possibile affermare, inoltre, 1 Cfr. Reinhard Laube, Karl Mannheim und die Krise des Historismus, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 2004. 2 Cfr. David Kettler, Volker Meja, Karl Mannheim and the Crisis of Liberalism, New Jersey, Transaction Publishers, USA, 1995.

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che soltanto in questo modo è possibile trattare la produzione intellettuale di un autore del passato come materia auto-fondante del/nel presente storico e intellettuale. Peraltro, il nostro intento nota quasi subito l’esistenza, almeno nel contesto della lingua italiana e/o di traduzioni italiane di opere di Karl Mannheim, di vari contributi sull’autore i quali solitamente si presentano al lettore estraendo soltanto passi dei/nei vari saggi prodotti in un certo momento della vicenda umana e intellettuale, divisa comunemente in due periodi, quello “tedesco” e quello “inglese”; questi studi, raramente si inoltrano in modo analitico sul particolare sviluppo conoscitivo del suo pensiero sociologico, così da potere fornire, invece, una certa ricostruzione della/nella produzione ‘di periodo’ e al fine di determinare l’esistenza di nessi utili alla definizione di rigorosi e ripetibili percorsi razionali condotti sulla prima formazione dell’autore (ricezione dello storicismo) nonché sui temi-problemi di ordine logico e generale. Uno di questi argomenti è proprio il rapporto tra la scienza e i valori nell’elaborazione di un’epoca e nella interpretazione datane da Mannheim; un rapporto poco studiato per la verità a livello monografico e anche dagli stessi storici del pensiero sociologico europei nonché da quelli di lingua tedesca dell’età contemporanea, tranne in alcune eccezioni che confermano la regola. Non è un caso, come già detto, che i saggi e gli studi di Karl Mannheim appaiano sempre sin dagli anni ’60 del XX secolo in molti libri, raccolte e antologie di altri sociologi non europei3 e anche all’interno di manuali sinottici, illustrativi ma poco indicativi, che trattano sommariamente del rapporto scienza/valori. Di fatto, questo tema sembra meritare una continua rivisitazione scientifica, filosofica ed epistemologica, più di quanta, in realtà, è stata fornita negli ultimi anni dalla letteratura sociologica, appagata – almeno in apparenza – da quel continuo confronto con i classici che costituisce l’unico vero ancoraggio con il passato glorioso di questa disciplina; e, lo stesso dicasi per la più nota “sociologia del sapere” o “sociologia Cfr. ad esempio in Robert King Merton, Social Theory and Social Structure, New York, The Free Press, 1968; trad. it. Teoria e struttura sociale, Bologna, Il Mulino, 1971, vol. III, pp. 873-903; si v. edizione 2000, p. 893 e sg.; v. anche in Charles Wright Mills, Images of Man, New York, George Braziller, 1960; trad. it. Immagini dell’uomo, La tradizione classica della sociologia, Milano, Edizioni di Comunità, 1982, I e III. 3

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della conoscenza”, ormai accreditata nella manualistica “ufficiale” e accademica ma senza particolari tentativi di rilettura critica e teoretica. Infatti, occuparsi generalmente della ricerca di questi valori, vuole dire innanzitutto occuparsi della ricerca dei valori conoscitivi con i quali si incontra la realtà storico-concreta degli/negli intellettuali e con i quali si tende a connettersi al mondo dei valori sociali (ideologia, politica, religione, etica, estetica). In tale ricerca prevale il fatto per cui proprio un autore come Karl Mannheim proponga il rischio di perseguire, infine, quella volontà di abbandonare ogni posizione derivata dal fondazionalismo, e cioè, quei tentativi di affermare in un colpo solo l’oggettività e il valore conoscitivo della scienza4. Ma veniamo al testo e alle sue questioni principali. Questi altri temi-problemi trovano, infatti, la loro piena realizzazione nell’esame che ne fa Max Weber, il quale intende occuparsi del corso della razionalizzazione del/nel mondo moderno che ingloba il riferimento ai valori da parte dei soggetti coinvolti. Weber confronta i suoi desideri con quelli di una generazione disincantata nell’etica calcolatrice, mentre considera la scienza come priva di valori in senso giudicante e normativo. La problematica weberiana sfocia, come è più o meno noto tra gli studiosi, nell’interesse verso l’“oggettività” conoscitiva delle/nelle scienze sociali, che: «dipende piuttosto dal fatto che il dato empirico è si orientato continuamente verso quelle idee di valore che sole gli forniscono un valore di conoscenza, ed è compreso nel suo significato in base a esse, ma tuttavia non diventa mai piedistallo per una dimostrazione, empiricamente impossibile, della loro validità. E la fede, che sempre è in qualche forma presente in tutti noi, nella validità sovra-empirica delle ultime e supreme idee di valore a cui ancoriamo il senso della nostra esistenza, non esclude ma comporta l’incessante mutevolezza dei punti di vista concreti da cui la realtà empirica trae significato: la vita nella sua realtà irrazionale e il suo contenuto di possibili significati sono inesauribili, perciò la configurazione concreta Si veda il riferimento in Max Weber, Politik als Beruf, Wissenschaft als Beruf, Berlin, Dunker&Humblot, 1918; trad. it. Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1987, pp. 29-31. 4

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della relazione di valore rimane fluida, sottoposta com’è al mutamento nell’oscuro avvenire della cultura umana. La luce che ci dispensano quelle supreme idee di valore cade sempre su una parte finita, e continuamente mutevole, dell’immensa e caotica corrente degli avvenimenti che fluisce nel tempo»5. In tal modo Max Weber ammette un indirizzo per le scienze della cultura, le quali ricercano connessioni storiche concrete, intese come fine ultimo: «Ogni lavoro delle scienze della cultura in un’epoca di specializzazione, dopo essersi indirizzato sulla base di determinate impostazioni problematiche verso un determinato materiale, e dopo essersi creato i suoi principi metodici, considererà l’analisi di questo materiale come uno scopo a sé, senza controllare di continuo in maniera consapevole il valore conoscitivo dei fatti particolari in base alle idee di valore ultime, perfino senza essere consapevole del suo legame con queste»6. Egli sostiene pertanto: «Noi abbiamo designato come “scienze della cultura” quelle discipline che aspirano a conoscere i fenomeni della vita nel loro significato culturale. Il significato della configurazione di un fenomeno culturale, nonché il suo fondamento, non può però essere derivato, motivato e reso comprensibile in base a nessun sistema di concetti di leggi, per quanto completo esso sia, poiché presuppone la relazione dei fenomeni culturali con idee di valore. Il concetto di cultura è un concetto di valore»7. Ciò concerne anche l’ammissione di una realtà empiricamente operante e circoscritta, laddove quest’ultima va considerata nello stesso modo in cui si espone la realtà fenomenica. Infatti: «La realtà empirica è per noi “cultura” in quanto, e nella misura in cui, la poniamo in relazione con idee di valore, essa abbraccia quegli elementi della realtà che diventano per noi significativi in base a quella relazione, e soltanto, questi elementi. Una minima parte della realtà individuale di volta in volta considerata è investita dal nostro interes5 Max Weber, Die “Objektivität” sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 1904; trad. it. L’“oggettività” conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, a cura di Pietro Rossi, Torino, Edizioni di Comunità, 2001, cit. p. 207. 6 Ivi, p. 208. 7 Ivi, p. 174.

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se condizionato da quelle idee di valore; essa soltanto ha significato per noi, e lo ha in quanto mostra relazioni che sono per noi importanti in virtù della loro connessione con idee di valore. Esclusivamente in questo caso, infatti, essa è per noi degna di venir conosciuta nella sua specificità»8. La nota distinzione di Wilhelm Windelband9 e di Heinrich Rickert10 viene ripresa da Max Weber nel momento stesso in cui proprio lo storicismo tedesco diviene operante a livello di chiarificazione metodologica dei concetti utili a formare il concetto di “cultura”11. Ciò sarà sempre visibile, almeno inizialmente, anche in Karl Mannheim, soprattutto nel momento in cui determinati concetti di valore si manifestano al cospetto della realtà storico-sociale nonché si rendono plausibili dinanzi alle relazioni possibili che l’individuo sceglie di compiere di fronte alla propria realtà storico-sociale, laddove, cioè, egli si identifica come individuo ma anche come gruppo sociale, etc. La conoscenza storica diviene un esempio “forte” di come altre esemplificazioni pratiche si spiegano secondo semplici relazioni teoretiche, così che si possa compiere una selezione di possibili parti della realtà empirica, le quali possono manifestarsi dinanzi all’analisi che è comunque priva di aspetti valutativi12. In questi ambiti, va detto, che matura anche la diffusione di aspetti fondazionali, gli stessi che opporranno sempre la sociologia della conoscenza mannhemiana al desiderio dello storicismo di praticare la ricerca attorno alla realtà storico-sociale intendendo quest’ultima alla stregua della nascita della scienza moderna in Europa. Di fatto, non Ibidem. Cfr. Wilhelm Windelband, Geshichite und Naturwissenschaft, in Praludien, Tübingen, Mohr, III ediz. 1907, trad. it. di Sandro Barbera e Pietro Rossi, Storia e scienza della natura, in Pietro Rossi, a cura di, Lo storicismo tedesco, Torino, Utet, 1977. 10 Cfr. Heinrich Rickert, Geschichtphilosophie, in Die Philosophie im Beginn des Zwangisten Jahrunderits: Festschrift fur Kuno Fischer, a cura di Wilhelm Windelband, Heidelberg, Winter, 1907, vol. II; trad. it. di Sandro Barbera e Pietro Rossi, Storia e scienza della natura, cit.; v. anche Pietro Rossi, a cura di, Lo storicismo tedesco, cit. 11 Cfr. Maurizio Pancaldi, Dilthey, Windelband, Rickert, Weber: I metodi delle scienze storico-sociali nella riflessione storicistica, Milano, Signorelli, 1987. 12 Cfr. Pietro Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Milano, Edizioni di Comunità, 1994, p. 145 e sg. 8 9

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si ha il quadro sulle cosiddette “scienze dello spirito” o Geisteswissenschaften se non si coglie questa relazione implicita. Inoltre, soprattutto in riferimento al contesto tedesco dei primi dell’800, va notato nello storicismo un parziale quanto insoluto assorbimento delle tematiche suscitate in precedenza dall’Aufklärung (o rischiaramento)13, laddove filosofi come Immanuel Kant si erano già espressi sul contrasto esistente tra “civiltà” e “cultura”, tra Zivilisiertheit e Kultur, essendo l’Aufklärung tedesca una espressione che si ritrova soprattutto nella intelligencija pura. In tal modo, la visione storicistica non può che rafforzarsi nel suo modo di pensare una vera e propria Weltanschauung con caratteri suoi tipici. Ciò è vero soprattutto nella considerazione di un processo immanente che sorge dall’individuo e che realizza la propria totalità nei processi della storia, così e come si esprime, ad esempio, lo storico e filosofo Ernst Troeltsch in Der Historismus und seine Probleme. In Troeltsch, peraltro, troveremo l’affermazione della relatività dei valori, rispetto al concetto dell’individuale, ma così da ammettere un assoluto come riferimento nonché un senso immanente del/nel processo storico. Vale allora la pena seguire la sua esposizione, che è qui utile per chiarire ex ante degli aspetti della questione che si esamineranno in seguito soprattutto a riguardo del pensiero di Karl Mannheim. «L’oggetto storico è costituito in virtù del concetto di totalità individuale, e questa totalità dev’essere determinata solamente mediante il concetto di un valore o senso immanente. Quando popoli, stati, ambiti culturali si rappresentano principalmente come totalità di questo genere, la loro unità consiste nel senso o nel valore relativamente unitario che essi hanno per la propria coscienza di se stessi e che cercano di rappresentare, istintivamente o consapevolmente, in tentativi e in connessioni sempre nuove (...) Se già lo sviluppo di una singola totalità è uno sviluppo fornito di senso, allora anche lo sviluppo complessivo e inseparabile di tutte le totalità nell’ambito dell’umanità dev’essere uno sviluppo fornito di senso. I significati particolari possono, immergen13 Cfr. ad esempio Nicolao Merker, L’illuminismo tedesco: età di Lessing, Bari, Laterza, 1974.

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dosi completamente nella totalità, mantenere il loro carattere di senso soltanto se c’è anche un senso della totalità, un’unità di sviluppo dell’umanità che sia fornita di senso. Il concetto di uno sviluppo complessivo continuo nel tempo storico dell’umanità si costituisce come totalità percorrendo le formazioni storiche particolari (...) Interpretare questa complicata unità di senso del divenire dell’umanità diventa un compito inevitabile; senza di ciò non vi sarebbe neppure un’unità di senso del divenire particolare. La continuità del divenire particolare è una sezione della continuità del divenire complessivo, e l’un termine non è comprensibile senza l’altro. In tale maniera ogni epoca capace di pensiero storico deve interpretare dalla propria posizione l’unità di senso della totalità come un’unità che comprende questa sua posizione o che conduce ad essa (...) In ogni caso mediante una costruzione di questo genere il pensatore storico inserisce il proprio presente e il proprio futuro nella totalità di un’unità di senso dell’umanità, ottenendo con ciò dalla totalità anche la direzione di sviluppo in base alla quale egli deve perseguirla idealmente a partire dalla sua posizione»14. Ciò è tanto più vero quanto più ci si avvicina, ad esempio, ad autori come Wilhelm Dilthey15, sul quale vale la pena soffermarsi più a lungo, anche perché non potremmo affatto trattare del pensiero di Karl Mannheim senza soffermarci su quello di Dilthey; e lo stesso sembra valere per Max Weber. L’avversione, infatti, di Karl Mannheim verso gli aspetti “fondativi” di un mero dibattito sulle scienze della cultura, specifica meglio l’origine della ricerca di importanti nessi e di implicazioni epistemologiche nonché ermeneutiche. Peraltro, non sfuggono alla riflessione nemmeno le più intime influenze del pensiero diltheyano su Max Weber, su autori come Max Dessoir, fondatore della “Zeitschift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft”, Oswald Spengler e Friedrich Meinecke, pubblicista della «Historischer Zeitschrift», Ernst Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme in Pietro Rossi, a cura di, Lo storicismo contemporaneo, Torino, Loescher, 1981, pp. 171-172. 15 Cfr. Wilhelm Dilthey, Critica della ragione storica, trad. it. a cura di Pietro Rossi, Torino, Einaudi, 1982. Sulla prima formazione di Dilthey si v. in Franco Bianco, Dilthey e la genesi della critica storica della ragione, Milano, Marzorati, 1971. 14

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Eduard Franz Ernst Spranger, autore di Lebensformen e Karl Jaspers nonché György Lukács ed Ernst Bloch (i “marxisti” del gruppo). Rispetto alla sua prima formazione, va detto inoltre che il pensiero diltheyano sorge dal rapporto che l’autore intrattiene con Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, nel senso di una rivisitazione della/nella scienza filosofica. L’importanza di Dilthey per il pensiero di Karl Mannheim risiede nel fatto che questo tratti all’origine del carattere storico, spirituale e umano della/nella realtà, laddove si viene affermando che la base di ogni sapere è costituita dalla coscienza immediata (Erleben), che rappresenta il divenire stesso della vita. Tale elaborazione precede, in un certo senso, quella del pensiero filosofico. La formulazione di tali assunti conduce senz’altro all’affermazione del mondo storico-sociale, il quale diverrà in ogni sua immediata concretezza nel pensiero di Karl Mannheim. Va detto che egli vive da vicino questo clima, e così sarà per la sua espressione del/nel pensiero più compiuta, cioè per la sua sociologia del sapere. Innanzitutto è il mondo storico a sussistere, a presenziare il soggetto pensante e a delinearne le forme e a delimitarne l’intera esperienza conoscitiva. Il mondo storico, quindi, sussiste sempre e l’individuo ne rimane intrecciato senza possibilità di scindere questa relazione. Tale è il punto di partenza. Scrive infatti Dilthey: «Resterebbe soltanto la condizione inafferrabile dalla quale insieme al dato deriverebbero, astrattamente dal corso storico, le condizioni necessarie di questo corso in ogni tempo; problema insolubile al pari di quello della possibilità della conoscenza, prima o indipendentemente dal conoscere stesso. Noi siamo esseri storici prima di considerare la storia, e soltanto perché siamo quelli diventiamo questi. Tutte le scienze dello spirito poggiano sullo studio della storia trascorsa fino al presente, in quanto questo è il limite di ciò che rientra nella nostra esperienza sull’oggetto che l’umanità costituisce. Quello che può venir immediatamente vissuto, inteso e tratto fuori dal passato nella coscienza, viene qui penetrato: in tutto questo noi cerchiamo l’uomo, e anche la psicologia è soltanto una ricerca dell’uomo in ciò che viene immediatamente vissuto e inteso, nelle espressioni e nelle azioni che da lui derivano. 15


Perciò ho designato il compito fondamentale di ogni riflessione sulle scienze dello spirito come una critica della ragione storica: occorre che la ragione storica risolva il compito rimasto fuori dell’ambito visuale della critica della ragione di Kant, il cui problema è stato determinato in base alla conclusione aristotelica, secondo cui la conoscenza avviene nel giudizio»16. Gli oggetti storici si presentano nella loro immediata realtà, e superano la pura critica della ragione kantiana. Di fatto, però, Kant è ricordato quale oppositore della metafisica, al più dello stesso David Hume17. «Qui si presentano le questioni seguenti: io ho esperienza immediata delle mie situazioni e sono intrecciato nelle azioni reciproche della società come il punto di incrocio dei suoi diversi sistemi, i quali procedono dalla stessa natura che io vivo immediatamente in me e intendo negli altri. La lingua in cui penso è sorta nel tempo, i miei concetti sono sorti in esso; io sono, fino alla profondità non più penetrabile del mio io, un essere storico. In tal modo si presenta il primo importante momento per la soluzione del problema conoscitivo della storia: la prima condizione per la possibilità della conoscenza storica sta nel fatto che io stesso sono un essere storico, e che colui che indaga la storia è il medesimo che fa la storia. Così sono possibili giudizi storici sintetici e universalmente validi. Ma i principi della conoscenza storica non si lasciano elevare a principi astratti, che esprimano delle equivalenze, poiché, in conformità alla natura del loro oggetto, debbono riposare su rapporti fondati nell’Erleben. Nell’Erleben vi è la totalità del nostro essere, che riproduciamo poi nell’intendere: e qui è dato il principio della reciproca affinità tra gli individui»18. Prosegue Dilthey a illustrare per esteso la sua visione della storia in rapporto alla capacità conoscitiva dell’uomo. Egli sostiene ancora: «L’uomo si conosce soltanto nella storia, non mediante l’introspezioWilhelm Dilthey, Nuovi studi sulle scienze dello spirito; trad. it. in Critica della ragione storica, cit. p. 372 e sg. 17 Cfr. Manfred Kuehn, Kant. A Biography, Cambridge, Cambridge University Press, 2001; trad. it. Kant. Una biografia, Bologna, Il Mulino, 2011, VI, p. 357 e sg. 18 Ibidem. 16

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ne. In fondo noi lo cerchiamo tutto nella storia, anzi noi vi cerchiamo anche l’elemento umano quale si manifesta nella religione, etc.: noi vogliamo sapere che cosa esso sia. Se vi fosse una scienza dell’uomo, questa sarebbe un’antropologia capace di intendere la totalità degli Erlebnisse secondo la loro connessione strutturale. L’uomo singolo realizza sempre una sola possibilità del suo sviluppo, che potrebbe sempre assumere un’altra direzione in base all’orientamento del suo volere. L’uomo in genere esiste per noi solo sotto la condizione di certe possibilità che egli ha realizzato. Anche nei sistemi di cultura noi cerchiamo una struttura antropologicamente determinata, nella quale si attua un x: e noi lo diciamo essenza, ma questa è soltanto una parola per designare un procedimento spirituale che costituisce una connessione concettuale in questo campo. Anche qui le possibilità di tale campo non vengono esaurite. L’orizzonte si allarga»19. Infatti, il riferimento è allo storico che ha di fronte a lui medesimo del materiale segnato da limitatezza, laddove il suo essere uomo segna invece l’esistenza di un orizzonte praticamente illimitato. Così ha inizio la riflessione storica, espressa in maniera densa e sostanziale da Wilhelm Dilthey. «La storiografia comincia quando si procede alla rappresentazione partendo dal presente e dalla situazione del proprio stato, che vive ancora saldamente nella memoria dell’umanità presente; ciò costituisce un ricordo ancora in senso proprio. Oppure vengono stesi degli annali in cui si registra, procedendo negli altri, ciò che è accaduto. Col procedere della storia, lo sguardo si allarga al di là del proprio stato, e una sezione sempre più vasta del passato entra nell’ambito della memoria: di tutto ciò è rimasta l’espressione dopo che la vita stessa è trascorsa, sia sotto forma di espressione diretta, con la quale degli uomini hanno manifestato ciò che sono stati, sia sotto forma di narrazioni relative ad azioni e a situazioni di individui, di comunità e di stati. E lo storico sta in mezzo a tutti questi resti di cose passate, e di manifestazioni racchiuse in fatti, parole, suoni, immagini, da parte di uomini che non sono più. Come deve egli evocarli?»20. 19 20

Ibidem. Ibidem.

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Il lavoro dello storico poggia dunque sulla interpretazione dei resti del/nel mondo, quei residui che è stato possibile conservare. «Si pensi a un uomo che non abbia alcun ricordo del suo passato, ma che pensi o agisca soltanto in base a ciò che questo passato ha provocato in lui, senza esser cosciente di alcuna sua parte: tale sarebbe anche la situazione delle nazioni, delle comunità, dell’umanità medesima, se essa non riuscisse a completare i resti, a interpretare le espressioni, a ricondurre i fatti dal loro isolamento alla connessione in cui sono sorti. Ogni interpretazione implica quindi un’arte ermeneutica. Il problema è ora di vedere quale forma questa assuma, quando essa si separa dall’esistenza individuale, e si debbono fare delle asserzioni su oggetti che costituiscono in qualche senso delle connessioni di persone, cioè su sistemi di cultura, nazioni o stati. Anzitutto occorre qui un metodo per ritrovare, in questa illimitata azione reciproca tra individui diversi, delle rigorose delimitazioni, quando queste mancano nell’unità vivente della persona; cioè di un metodo per tirare delle linee e indicare delle figure capaci di contenere la corrente continua del divenire. Tra questa realtà e l’intelletto non sembra possibile alcun rapporto conoscitivo, poiché il concetto separa ciò che è legato nel fluire della vita, e rappresenta qualcosa di valido universalmente e per sempre, indipendentemente dalla mente che lo ha formulato, mentre il fluire della vita è ovunque soltanto singolare, e ogni onda va e viene entro di essa. Questa difficoltà, dopo che Hegel contrappose per primo la conoscenza intellettuale caratteristica dell’Illuminismo all’assenza del mondo storico. Ma questo problema può venir risolto, senza bisogno di rifugiarsi nell’intuizione e di ricorrere ai concetti, elaborando i concetti storici e psicologici»21. La trattazione diltheyana sulla scienza storica va intesa come una fase non proprio preparatoria della riflessione sulle scienze dello spirito, laddove l’autore, come si è visto sopra, ricercherebbe una sorta di espressione metodologica del suo ragionamento. Wilhelm Dilthey tenta quindi prima di tutto la fondazione di una metodica delle scienze dello spirito, partendo dall’uso di concetti che hanno un significato 21 Wilhelm Dilthey, Nuovi studi sulle scienze dello spirito; trad. it. in Critica della ragione storica, cit., pp. 383-384.

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ermeneutico e che rapportano l’esistenza degli stessi valori alla conoscenza storica. Fine ultimo delle scienze dello spirito sarà dunque l’interpretazione, laddove il valore di essere e storia del sapere verrà a coincidere con la stessa comprensione umana. Da questo versante, la filosofia potrà affermarsi come unico strumento per la conoscenza della vita e dell’attività umana intesa come realtà dell’uomo storicamente operante. Quest’ultimo si trova così nel mondo a contatto con il suo vissuto esistenziale (Erlebnis) che, come scriverà Hans-Georg Gadamer22, fornisce l’immediatezza del vissuto; ciò che non coincide ancora con la stessa vita psichica. In questo senso Dilthey potrà seguire le ricerche logiche di Edmund Gustav Albrecht Husserl, che per lui hanno valore storico decisivo, come sosterrà ancora Gadamer nel corso del XX secolo, in quanto queste ultime giungono alla definizione di “dati elementari” che possono rapportarsi, in Dilthey appunto, ai dati dell’esperienza vissuta e/o della vita medesima. Comprendere la situazione vitale diviene allora il compito dell’analisi filosofica. In tutto ciò, l’Erlebnis può essere considerato come l’unità del riferimento ai valori da parte dell’individuo. L’opera di Wilhelm Dilthey costituisce la prima espressione compiuta dello storicismo tedesco contemporaneo23 e del suo tentativo di affrontare il problema critico della storia nonché di ricondurre la storia stessa ai suoi termini più umanizzanti, di vedere cioè nell’intreccio dei Cfr. Hans-Georg Gadamer, Hermeneutik, in Historisches Wortebuch Philosophie, a cura di Joachim Ritter, Basel-Stuttgart, Schwab e Co., 1974, vol. III, pp. 1061-1073; idem v. Warheit und Methode, Tübingen, Mohr, 1960; trad. it. di Gianni Vattimo, Verità e metodo, Milano, Bompiani, 1983. 23 Per approfondimenti “di periodo” si v. di Wilhelm Dilthey, Gesammelte Schriften, Stoccarda-Gottinga, 1957-71, II ediz., vari voll. e Das Erlebnis und die Dichtung, Stoccarda, 1957, XXXIII ediz. Si v. Gesammelte Schriften, Volumi I - XXVI. Dal XV volume a cura di Karlfried Gründer, dal XVIII in collaborazione con Frithjof Rodi, edito da Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen, 2006. Si v. inoltre Dietrich Bischoff, Wilhelm Diltheys geschichtliche Lebensphilosophie, Lipsia-Berlino, B.G. Teubner, 1935; Otto Friedrich Bollnow, Dilthey, Lipsia-Berlino, B.G. Teubner 1936; Lorenzo Giusso, Wilhelm Dilthey e la filosofia come visione della vita, Napoli, Ricciardi, 1940; Herbert Arthur Hodges, Wilhelm Dilthey, an Introduction, Londra, Kegan Paul, Trench and Co., 1944; Giuliano Marini, Dilthey e la comprensione del mondo umano, Milano, Giuffré, 1965; Alfredo Marini, Alle origini della filosofia contemporanea: Wilhelm Dilthey, Firenze, La Nuova Italia, 1984. 22

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fenomeni storici il risultato dell’attività degli uomini; la storia è opera di questi ultimi, cioè va riferita ai loro rapporti reciproci, condizionati dall’appartenenza ad un processo temporale. L’intento filosofico di Dilthey è quello di costruire una critica della ragione storica, che come tale sappia percorrere l’intero spazio della storia dello spirito tedesco24, e il cui metodo era quello di ricongiungere «ogni componente dell’odierno pensiero scientifico astratto al tutto della natura umana quale ci è mostrato dall’esperienza, dallo studio della lingua e della storia» e nel cercarne la connessione: un compito che investiva l’insieme dell’attività conoscitiva umana e non soltanto la conoscenza storica stessa25. L’autore si richiama all’opera della scuola storica tedesca, riconoscendo a questa il merito di avere dato una fondazione sistematica delle scienze storico-sociali e di averle organizzate in un edificio scientifico unitario che ha per oggetto la vita storica dell’uomo, cercando di dare una giustificazione in termini filosofici di questo tentativo attraverso il riconoscimento della autonomia delle scienze dello spirito distinte dalle scienze della natura. Diversi saranno i termini di riferimento dello storicismo tedesco: da una parte il rapporto con il positivismo e dall’altra l’incontro con il movimento neocriticistico. A riguardo, potremo ricordare anche le influenze posteriori della cosiddetta scuola di Marpurgo, con autori che vanno da Hermann Cohen e Paul Natorp a Ernst Cassirer, e la cosiddetta scuola di Baden, di cui facevano parte Wilhelm Windelband, Heinrich Rickert e l’allievo di quest’ultimo Emil Lask26. Nonché poCfr. ad esempio l’opera di Dilthey Esperienza vissuta e poesia, Milano, IEI, 1947. Si v. inoltre Introduzione a Ernst Troeltsch, Giuseppe Cantillo, a cura di, Bari, Laterza, 2004. 25 Cfr. Pietro Rossi, a cura di, Lo storicismo contemporaneo, cit., p. 10 e sg. 26 Sullo sviluppo del neokantismo e in relazione alle due impostazioni menzionate scrive Ernst Cassirer: “Ognuna delle questioni che si connettono con una certa disciplina particolare, racchiude in sé problemi importanti e fecondi. Ma ognuna ha la pretesa di parlare non solo in nome di un campo particolare del sapere, ma in nome di tutta la scienza, che crede di rappresentare e di sintetizzare in modo esemplare. Da ciò risultano continuamente nuove tensioni, conflitti sempre più aspri; manca un tribunale che decida di tali contese ed assegni ad ognuna delle parti ciò che le spetta di diritto” (Ernst Cassirer, trad. it. Storia della filosofia moderna, Torino, Einaudi, 1964, vol. IV, p. 28). Sulle differenze tra le due concezioni di cui sopra si v. il recente contributo di Michael Friedman, La filosofia al bivio. Carnap, Cassirer, Heidegger, Milano, Raffaello Cortina, 2004. 24

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tremo riferirci in chiave storico-progressiva ad una sintesi di tendenze della scuola neokantiana di Baden presenti, quindi, nella concezione sociologica di Max Weber, soprattutto ripercorrendo i lavori di Ernst Troeltsch, che esamina nel dettaglio i rapporti tra lo storicismo e la religione. Antecedenti più antichi si trovano negli studi “di periodo” di Friedrich Meinecke, che fa risalire l’inizio del pensiero storico al XVIII secolo sino alla concretizzazione di nuovi indirizzi nel secolo successivo (per esempio in Johann Gottfried Herder)27. Di fatto, entrambe le prospettive citate sopra si schierano contro il positivismo di fine ’800 e soprattutto in funzione di una riconsiderazione dei compiti della filosofia in rapporto alle scienze. Ciò sarà determinante anche nella concezione della “filosofia dei valori” da parte di Karl Mannheim che interpreta, ad esempio, Windelband. Wilhelm Windelband, infatti, si oppose alla considerazione della filosofia intesa come centro di rielaborazione dei risultati propri delle/nelle scienze. La filosofia deve occuparsi dei “valori di verità” delle scienze, laddove la scienza può essere diretta ad una sistemazione di risultanze “interne” allo stesso sapere scientifico, considerato come esperienza da compiersi nell’ordine logico degli eventi. La riflessione filosofica si pone allora come una scienza critica dei valori universali, cioè come scienza del vero, del bene e del bello. La scienza segue così l’approssimarsi ai valori, laddove i giudizi di valore rappresentano il compiersi dell’attività conoscitiva. L’impostazione di Windelband ricalca l’affermazione di una coscienza normativa, la quale esiste sempre e in funzione degli autentici giudizi di valore. Il compito della riflessione è quello di fare emergere l’adeguamento di una coscienza empiricamente operante alla coscienza normativa, la quale rappresenta la caratteristica universale del giudizio degli uomini. Di fronte al sapere, la filosofia si correla quindi ai risultati della scienza, per trovarvi il valore di verità nascoste, nell’intimo della riflessione. In tal senso, la filosofia ha per compito quello di esprimere i modi possibili in cui si giunge ad Cfr. Friedrich Meinecke, Die Entstehung des Historismus, München und Berlin, R. Oldenbourg, 1936, vol. I. Si v. anche in Ernst Cassirer, op. cit., vol. IV, Libro III, p. 339 e sg. 27

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affermare dei giudizi di valore nel campo della conoscenza, nel momento in cui si afferma l’esistenza di un mondo ideale contrapposto al mondo della conoscenza empirica. Questo dualismo sarà presente anche in Heinrich Rickert, che indica a inizio di secolo XX la strada da dover percorrere28 nonché propone ancora prima, tra il 1892 e il 1902, una teoria della conoscenza scientifica depurata dai pregiudizi positivistici e rivolta ad una analisi rigorosamente logica del mondo dei valori29. I giudizi di valore aspirano così gradualmente ad una sorta di riconoscimento di validità assoluto, anche se la conoscenza dell’uomo prosegue per “punti di vista” relativi all’oggetto. Ancora il movimento accoglie, del positivismo, l’esigenza di ricerca, concreta su basi empiriche e di compenetrazione tra la scienza e la filosofia, e la considerazione della scienza come unica strada di accesso conoscitivo alla realtà; respinge però l’interpretazione del mondo umano e del processo della storia in termini naturalistici, e quindi anche la riduzione delle scienze storico-sociali al modello della scienza naturale tout court. Da ciò lo sforzo di determinare le caratteristiche metodologiche che rendano possibile la differenziazione delle scienze storico-sociali rispetto alle scienze della natura. Con il neocriticismo, Dilthey ha in comune la concezione del compito critico della filosofia, la quale non è una forma di conoscenza del reale diversa da quella scientifica, ma che deve determinare le condizioni di possibilità del conoscere e, più in generale, dell’intera attività umana. Questi concetti, depurati della loro versione trascendente, costituiranno il punto di partenza di espressioni metodologiche in Max Weber e soprattutto in Karl Mannheim, come vedremo di seguito. Il problema sarà quello dell’appartenenza o meno allo storicismo post-kantiano. È comunque Wilhelm Dilthey che intende estendere l’ambito della critica kantiana dalle scienze fisico-matematiche a cui Kant si era limitato, alle scienze storico-sociali, 28 Cfr. Heinrich Rickert, Zwei Wege der Erkenntristheorie, in «Kant-Studien», 14, 1909, pp. 169-228. 29 Cfr. di Heinrich Rickert, I limiti dell’elaborazione concettuale scientifico-naturale. Un’introduzione logica alle scienze storiche, Napoli, Liguori, 2002. Per il percorso rickertiano v. Federico Federici, La filosofia dei valori in Heinrich Rickert, Firenze, La Nuova Italia, 1933.

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le quali avevano trovato una loro sistemazione organica ad opera della scuola storica tedesca. Ciò poteva comportare una diversa impostazione dell’indagine critica, la quale non doveva più riferirsi alle funzioni a priori del soggetto trascendente, ma all’uomo come essere storico concreto, i cui poteri conoscitivi possono risultare condizionati dall’orizzonte storico nel quale egli è inserito. Di fatto, nel mondo storico, non è soltanto l’uomo in quanto essere pensante a trovare espressione, ma la vita stessa, che include oltre alla attività conoscitiva, anche il sentimento e la volontà; ciò ha senso, se ci si riferisce all’uomo, che non è soltanto ragione, ma emozione e volontà. La critica, dunque, dovrà farsi carico non solo della dimensione intellettuale, ma anche della rete di interazioni che l’uomo riesce a intrattenere con il mondo storico, fatto di rapporti vissuti entro un contesto. Ed è proprio il non avere fatto riferimento al complesso della vita, ciò che Dilthey rimprovera ai neo-criticisti e prima ancora al positivista Auguste Comte, il quale è partito da una considerazione esclusiva delle/nelle facoltà razionali dell’uomo, considerandolo come un animale razionale e trascurando componenti fondamentali dell’essere dell’uomo nel mondo, ossia il suo agire, sentire emozioni e volontà. Wilhelm Dilthey imposta, dunque, per la prima volta in termini espliciti il problema della fondazione critica delle scienze dello spirito e procede individuando le sue caratteristiche specifiche, per determinare quindi le condizioni che ne garantiscono la validità. In un certo senso, e anche questo sarà ripreso da Weber, egli vuole garantire l’oggettività del conoscere, che è condizione fondamentale perché si possa parlare di scienza e quindi di scienze dello spirito distinte dalle scienze naturali. Questa distinzione avrà la sua base, in primo luogo, nella diversità dell’oggetto, in quanto le prime studiano un complesso di fenomeni esterni all’individuo, mentre le seconde studiano invece un dominio in cui l’uomo è parte integrante e di cui possiede una coscienza pressoché immediata. Tutto ciò ha valenze di approccio filosofico, soprattutto nella considerazione della filosofia in rapporto alle scienze della cultura. Questo approccio sarà distinto in autori come Max Weber e soprattutto in Karl Mannheim, che considererà 23


l’approccio filosofico come qualcosa di concomitante al manifestarsi delle scienze della cultura in un contesto ben definito. Peraltro, un’ altra caratteristica del pensiero di Mannheim sarà la continua separazione tra le scienze della natura e quelle della cultura, così e come l’indirizzo diltheyano aveva previsto. Vale la pena ripercorrere il discorso di Dilthey riguardo alla pertinenza dell’impostazione filosofica, la quale non è del tutto estranea al permanere dell’uomo e della sua vicenda storica più concreta. In lui è molto più visibile, che in altri, il corso della genesi primigenia dello storicismo tedesco rivolto all’affermazione futura di un mondo storico mosso dallo spirito in divenire nonché di tutte le rappresentazioni utili del mondo delle scienze della cultura. La risoluzione di molti problemi dello storicismo tedesco attengono a questa rappresentazione dei termini in cui si realizza l’analisi. In Wilhelm Dilthey la filosofia poteva sperimentare il contatto con la vita, intesa nei suoi fatti più concreti e stante l’immediatezza; essa predilige l’esperienza interiore che conduce alla conoscenza di oggetti e/o di eventi storicamente dati, secondo espliciti riferimenti ai valori circostanti. Il riferimento “sperimentale” e/o “sperimentabile” nei confronti di questi valori non è quindi un avvenimento isolato dal resto, bensì esiste in rapporto a determinate condizioni sviluppatesi dalla/nella vita psichica individuale. L’intero processo rimanda poi all’esistenza di una certa totalità di intenti che rimandano, a loro volta, ad una certa pluralità di eventi in altri vissuti, etc. Tutto ciò vuol poter dire che il riferimento di Dilthey all’uomo, si compie nel riferimento che egli sa operare di fronte alla sua storicità e interiorità, nel senso che l’individuo esperisce la realtà circostante tramite la propria esistenza e dinanzi ai valori. Come già accennato, l’azione di Dilthey è tutta rivolta alla fondazione rigorosa delle “scienze dello spirito” nonché di tutti quei riferimenti che rimandano all’esistenza umana come che ad una condizione individuale e irripetibile, laddove lo stesso riferimento alla esclusività dei fatti dell’uomo, si viene affermando al cospetto alle cosiddette “scienze della natura”. La critica al positivismo è connaturata con l’essenza delle scienze rintraccia24


te dallo stesso Wilhelm Dilthey e non fornita esclusivamente da una contrapposizione frontale30. Nei suoi scritti filosofici, Wilhelm Dilthey elaborò quindi una critica della ragione storica che stabilisce le possibilità, i limiti e i modi della conoscenza del mondo spirituale, in contrapposizione alla critica della ragione pura in Kant. In questa direzione il primo ampio svolgimento teorico si trova nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften (1883), un’introduzione alle scienze morali, dove viene distinto il mondo storico-sociale, costruito sul fondamento dell’unità personale degli individui psico-fisici in relazione fra loro, dal mondo naturale. Il primo potrà essere compreso dall’interno e la sua unità è colta immediatamente dal soggetto umano; il secondo è conosciuto dall’esterno e la sua unità è costruita seguendo un processo ipotetico. La fondazione gnoseologica necessaria per conferire rigore e piena certezza ai procedimenti della conoscenza spirituale, non può essere fornita né dalla filosofia della storia, né dalla sociologia: l’una e l’altra finiscono col determinare aprioristicamente i modi e la realtà del mondo spirituale sostituendo all’esperienza concreta ingiustificate affermazioni metafisiche. La fondazione deve essere invece cercata nella psicologia, che ha per oggetto proprio l’unità fondamentale del mondo spirituale e può svolgere il proprio compito muovendo dall’unità immediata dell’individuo concreto e svolgendola nei vari sistemi reciprocamente interagenti del pensiero, della volontà e del sentimento. In questo studio è possibile, secondo Dilthey, scoprire i principi che nella connessione di teoria e prassi, conoscenza e storia, regolano la costruzione e la comprensione del mondo spirituale. Il compito della filosofia è anche quello di comprendere i vari momenti nei quali l’essenza dell’uomo si viene svolgendo, così da fornire una certa realizzazione del suo concreto farsi, al cospetto dei valori che esistono dentro e fuori di lui, nella società e nella storia. Il pensiero si radicalizza dinanzi ai valori nonché di fronte alle condizioni in cui Critiche all’impostazione finalistica diltheyana delle “scienze della natura” sono state espresse da Jürgen Habermas in Conoscenza e interesse, trad. it. di Gian Enrico Rusconi, Bari, Laterza, 1973, p. 140 e sg. 30

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l’uomo si rapporta al suo tempo, intrattenendo rapporti con il tutto che lo circonda. Così Dilthey intenderà fornire un quadro del mondo storico di fronte alle “scienze dello spirito”: «La coscienza storica della finitudine di ogni fenomeno storico, di ogni situazione umana e sociale, la coscienza della relatività di ogni forma di fede è l’ultimo passo verso la liberazione dell’uomo. Con esso l’uomo perviene alla sovranità di attribuire a ogni Erlebnis il suo contenuto e di darsi a esso completamente, con franchezza, senza il vincolo di nessun sistema filosofico o religioso. La vita si libera dalla conoscenza concettuale, e lo spirito diventa sovrano dinanzi alle ragnatele del pensiero dogmatico. Ogni bellezza, ogni santità, ogni sacrificio, rivissuti e interpretati, schiudono delle prospettive che rivelano una realtà. E così pure attribuiamo a tutto ciò che c’è di malvagio, di temibile e di brutto in noi, un posto nel mondo, una realtà sua propria, che deve essere giustificata nella connessione del mondo: qualcosa su cui non ci si può illudere. E di fronte alla relatività si fa valere la continuità della forza creatrice come l’elemento storico essenziale. Così l’Erleben, dall’intendere, dalla poesia e dalla storia deriva un’intuizione della vita, la quale esiste sempre in e con questa. La riflessione la eleva a distinzione e a chiarezza concettuale. La considerazione teleologica del mondo e della vita viene riconosciuta come una metafisica che poggia su una visione unilaterale, non arbitraria cioè ma parziale della vita, e la dottrina di un valore oggettivo della vita come una metafisica che va oltre ogni possibile esperienza. Ma noi abbiamo esperienza di una connessione della vita e della storia, in cui ogni parte ha un significato. Come le lettere di una parola, la vita e la storia hanno un senso, e come una particella o una coniugazione, nella vita e nella storia vi sono momenti sintattici che hanno un significato. Ogni uomo procede alla sua ricerca. Nel passato si è cercato di penetrare la vita in base al mondo; ma c’è solo la via che procede dall’interpretazione della vita al mondo, e la vita esiste solo nell’Erleben, nell’intendere e nella comprensione storica»31. L’uomo appare gradualmente come un essere storico di fronte al mondo della sua stessa esperienza vissuta, laddove la vita stessa ac31

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Wilhelm Dilthey, Critica della ragione storica, cit., pp. 383-384.


quista senso oltre questo, nel vissuto individuale e collettivo; il significato e il senso della vita si manifestano soltanto nell’uomo storico, in quanto l’uomo è primariamente un essere storico. La vita per Wilhelm Dilthey è rappresentabile dalla connessione della psiche con il mondo storico e con la cultura di ogni popolo; operare la conoscenza di fronte ai fatti, vorrebbe dire ricollocarli al di dentro della/nella totalità della vita stessa impiegando la descrizione e la comprensione. Il sapere si lega strettamente alla vita. In tal modo, anche l’individuo può essere valorizzato dalla filosofia diltheyana, soprattutto dove questa impone la sua natura, riconoscendo l’esperienza dinanzi all’astrazione metafisica; l’uomo può essere rapportato storicamente nel pensiero e contraddistinto dai suoi valori: egli è portatore di un mondo storico che fluisce e che conduce alla chiarificazione dell’intero mondo soggettivo della/ nella storia, in termini scientifici e “oggettivi”, in quanto si afferma come un intero sistema di scienze dello spirito. La comprensione e/o il principio del comprendere (Verstehen) si configura come un importante elemento del processo di conoscenza messo in campo dal soggetto in rapporto al mondo storico. Anche il Verstehen si riferisce ad un particolare modo di rapportarsi ai valori, che esistono e che producono il desiderio di confronto con la vita. Su di essa la comprensione opera, differentemente dall’Erklären (lo spiegare), in modo che non solo si possano svolgere determinati valori, ma che si realizzino nello spirito. Il comprendere è allora finalizzato all’utilizzo del mondo dei valori dell’individuo nonché al raggiungimento di fini che definiscono ulteriormente l’individuo storico. Dilthey si incarica di definire il mondo storico, riconoscendo l’uomo come suo artefice e intendendo compiere un sistema di filosofia dinanzi alla essenza della vita e del suo progredire. Questo sistema filosofico risponde alle domande dell’universo storico in rapporto al mondo dei valori soggettivi, laddove prevale il tentativo di fondare principi ultimi, che l’autore connette allo svolgersi del pensiero. La coscienza della storicità impone una riproposizione dell’essenza della filosofia, come si legge in Das Wesen der Philosophie (1907), un’opera nella quale l’autore si impegnava nella messa in discussione della condizione e della realtà della/nella filosofia, coinvolta 27


nella consapevolezza della propria storicità. Scrive infatti Wilhelm Dilthey: «Particolari funzioni di notevole importanza prendono rilievo dalle varie condizioni di vita: la formazione della Weltanschauung in modo universalmente valido, l’autoriflessione del sapere su di sé, la connessione delle teorie che si formano nei vari complessi finalisticamente ordinati, sino al complesso di tutto il sapere, uno spirito critico che pervade tutta la cultura, e conduce al collegamento universale ed alla sua fondazione. Queste si manifestano come funzioni particolari fondate nell’essenza unitaria della filosofia; essa si attanaglia infatti ad ogni posizione nello sviluppo della cultura e a tutte le condizioni delle sue tappe storiche. In tal modo si spiega la costante differenziazione delle utilizzazioni filosofiche, la flessibilità e mobilità con cui subito essa si esplica nella gamma dei sistemi, subito fa valere la sua intera forza su di un particolare problema e applica l’efficacia del suo lavoro a sempre nuovi compiti. Giungiamo così al limite in cui dalla rappresentazione dell’essenza della filosofia viene retrospettivamente chiarita la sua storia e anticipata la spiegazione della sua complessità sistematica. La sua storia verrebbe compresa, se fosse formulabile dall’insieme delle sue funzioni l’ordine in cui, secondo le condizioni della cultura, si presentano i problemi uno accanto all’altro e uno dopo l’altro, e vengono considerate le possibilità della loro soluzione; se si tratteggiasse la riflessione progressiva del sapere su di sé nelle sue tappe principali; se la storia seguisse il modo in cui le teorie nate nelle connessioni finalistiche della cultura vengono riferite al complesso totale del conoscere tramite lo spirito filosofico che le unisce, e così pure ampliate, il modo in cui la filosofia foggia nuove discipline nel campo delle scienze dello spirito e le assegna all’opera delle scienze particolari. E se essa mostrasse in qual modo dalle posizioni coscienziali di un’epoca e dal carattere delle nazioni si possa scorgere il particolare schema strutturale che assumono le Weltanschauungen filosofiche, ed insieme pure il costante progresso dei grandi tipi di esse. La storia della filosofia lascia al lavoro filosofico sistematico la soluzione dei tre problemi della fondazione, giustificazione e sistemazione unitaria delle scienze particolari ed il compito di soddisfare al bisogno, non riducibile al silenzio, di un’ultima riflessione circa essere, fondamento, valore, fine e circa il loro collegarsi 28


nella Weltanschauung, come pure di determinare in quale forma e direzione questo soddisfacimento possa aver luogo»32. Di fatto, le condizioni della vita storica sono sempre indicate al cospetto del mondo dei valori dell’uomo/nell’uomo da una trattazione della filosofia che tende ad affermare l’unità delle/nelle rappresentazioni del mondo della cultura, lungo un processo che si fa incessante. Vedremo come tali caratteri saranno bene rappresentati nell’opera diltheyana Einleitung in die Geisteswissenschaften nonché noteremo che la dipendenza critica di Karl Mannheim dalla affermazioni diltheyane sopra l’essenza dell’uomo saranno certamente evidenti, nel senso di ribadire ciò che egli intende quando afferma che l’uomo. «(...) si riconosce soltanto nella storia e mai attraverso l’introspezione (...) l’uomo singolo realizza sempre solo una possibilità del suo sviluppo, che secondo le decisioni della sua volontà avrebbe potuto prendere un’altra direzione. L’uomo in generale esiste per noi solo sotto la forma di possibilità realizzate»33. Per occuparsi della fondazione di una scienza generale che sappia praticare le scienze dello spirito, Wilhelm Dilthey ha bisogno di un immediato confronto con la metafisica, che ha dominato sulle scienze particolari fin dal secolo XV, subordinando tutte le scienze secondo i suoi concetti. L’azione di Dilthey cercherà di operare direttamente sulle scienze storiche, rendendo evidente l’inutilità delle astrazioni metafisiche che imbrigliano le scienze storiche nella speculazione filosofica, come è visibile, ad esempio, nella trattazione dello spirito assoluto operata da Georg Wilhelm Friedrich Hegel. Peraltro l’abitudine di sottolineare il confronto assai critico e oppositivo con i temi metafisici ricorre in altre opere di Wilhelm Dilthey, le quali formano un quadro complessivo degli interessi “di periodo” dell’autore, il quale sfocia, ad esempio, nella trattazione delle scienze psicologiche34. 32 Wilhelm Dilthey, L’essenza della filosofia, trad. it. a cura di Giancarlo Penati, Brescia, La Scuola, 1971, p. 154. 33 Wilhelm Dilthey, Gesammelte Schriften, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, (ristampa immutata) 2006, vol. VII, p. 278 e sg. 34 Cfr. Wilhelm Dilthey, Psicologia descrittiva, analitica e comparativa, trad. it. di Alfredo Marini, Milano, Unicopli Universitaria, 1979.

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«La metafisica infatti è appunto quel sistema naturale che deriva dal subordinare la realtà alla legge del conoscere. Metafisica è dunque in generale quella costituzione della scienza sotto la cui egemonia si sono sviluppati lo studio dell’uomo e quello della società, e nel cui raggio d’azione questi stanno ancor oggi, sia pure in estensione e grado minori»35. Il problema è quello di mostrare la insostenibilità della metafisica a vantaggio della fondazione delle scienze dello spirito. In fondo, anche la fondazione di Wilhelm Dilthey potrebbe appartenere storicamente al campo dell’impresa gnoseologica, come si nota soprattutto se si inseriscono le scienze particolari nel discorso dello sviluppo storico dello spirito dei/nei popoli europei. Chi si occupa di inserire le scienze nel suo quadro di sviluppo non può fare a meno di argomentare sull’esistenza o meno della metafisica. Anche lo studio del mondo storico presuppone questa occupazione della ragione, in funzione dell’esame dei nessi in cui entrano tutte le scienze. È questo il senso del ricomporre la nascita della scienza in rapporto alla contestazione della prima philosophia; questo è il senso che tiene insieme l’opera Einleitung in die Geisteswissenschaften e la rapporta sempre alla comparsa dell’uomo sulla scena più moderna. L’uomo, dunque, sin dalle origini dell’apparire delle scienze, rapporta se stesso a qualcosa che immediatamente lo trascende; e, ciò sarà indissolubilmente legato all’esame dei filosofi tedeschi del XIX secolo e, in particolare, potrà ravvivarsi nell’esame dell’uomo che scaturirà dalla sociologia del sapere, vincolandone i limiti e immettendo il discorso su di un piano di permanente ricostruzione storico sociale del pensiero moderno. È ciò che vedremo più in là. Per il momento, ci è utile soffermarci ancora sulla critica alla metafisica condotta da Dilthey, la quale si compie lungo un indirizzo di pensiero che origina dal V secolo a.C. e che, in un certo senso, domina lo spirito scientifico europeo sino alla sua graduale dissoluzione. Tutto Wilhelm Dilthey, Einleitung in die Geisteswissenschaften, trad. it. di Gian Antonio De Toni, Introduzione alle scienze dello spirito, Firenze, La Nuova Italia, 1974, Libro II, Sez. I, p. 165. Vedi anche la più recente edizione con testo tedesco a fronte, Milano, Bompiani, 2007. Per Introduzione alle scienze dello spirito si v. anche l’edizione edita da Beniamino Carucci, Assisi-Roma, 1972 con la presentazione di Alberto Izzo. 35

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questo interesse vuol poter dire che gli interessi e determinati valori praticabili nella storia delle scienze permangono in rapporto all’esistenza di questi temi-problemi; che cioè, ancora, la metafisica assiste allo svelamento del mondo dei valori dell’uomo in misura pari allo sviluppo delle scienze dello spirito lungo la sua storia. La storia delle scienze si viene qualificando al cospetto della metafisica, la quale si incarica di fornire il rapporto scienza/valori dinanzi alla risoluzione dello stesso pensiero storico. Ciò, peraltro, autorizza a pensare che formulazioni come quelle di Karl Mannheim possono realizzarsi in un clima depurato dalle nebbie della prima philosophia e in un contesto storico-concreto nel quale ogni perplessità invincibile risulti a portata della nostra ragione. Insiste Wilhelm Dilthey sul nesso tra la metafisica e l’evoluzione intellettuale: «Comte ha cercato d’enunciare questi rapporti in una legge semplice secondo cui un primo stadio teologico sarebbe stato sostituito nell’evoluzione intellettuale del genere umano da uno stadio metafisico e questo da un terzo stadio caratterizzato dalle scienze positive. Anche per Comte e per la sua scuola, oggi tanto largamente diffusa, la metafisica è dunque un fenomeno transitorio nella storia del progredire dello spirito scientifico, così come lo è per Kant e per la scuola in Germania, e per John Stuart Mill in Inghilterra. Infine anche Kant è venuto a una resa di conti con la metafisica (...)»36. Di fatto, la trattazione kantiana, a differenza di quella positivistica comtiana, si viene compiendo attraverso l’analisi della situazione storica, lungo la quale si affermano anche le relazioni della metafisica con la religione, così da mostrare tutto un periodo di una pressante rappresentazione mitica, in cui la stessa scienza e la metafisica non esistevano ancora37; Kant specifica inoltre tutta una serie di interessi che matureranno altrove38. A questo periodo segue quello della nascita della scienza in Europa. Wilhelm Dilthey delinea il corso del pensiero mitico, in modo che Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., p. 175. Cfr. ivi, p. 177 e sg. Per una utile ricostruzione “di periodo” si v. in Franz Mehring, Storia della Germania moderna, trad. it., Milano, Feltrinelli, 1957, 1. 38 Cfr. Wilhelm Dilthey, Erfahren und Dunken, Eine Studie zur erkenntnis-theoretischen Logik des Jahrhunderts, 1892, Gesammelte Schriften, I, V, cit., p. 74 e sg. 36 37

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questo possa apparire come una risoluzione del mondo dei valori possibili e/o eventi del mondo umano. Questi ultimi non pretendono di realizzare il “senso della storia”, ma disegnano delle configurazioni che sono create dagli uomini e che portano gli individui al condizionamento sociale. Ciò vuol dire che per Dilthey non c’è nessuna legge che è in grado di specificare i rapporti esistenti dello/nello sviluppo storico. Una certa forma di integrazione sarebbe resa possibile in rapporto a ogni età e, in funzione della relazione di questa con lo sviluppo del pensiero, con l’approssimarsi ai valori del tempo, etc. La realtà storico-sociale potrebbe essere conosciuta soltanto tramite la lettura di quei significati vissuti e/o di quei valori che esistono nell’agire umano, i quali formano lo spirito di un’epoca. Questo è il senso in cui l’autore percorre il succedersi di età, dall’antica alla realtà più moderna. Nel libro II dell’Einleitung in die Geisteswissenschaften egli elabora una sorta di genealogia del problema delle scienze dello spirito che sfocia nell’assunzione di un prospetto di fondazione. Affrontando il pensiero mitico si legge: «Questi miti servono, in relativa autonomia, a un bisogno che va oltre la coscienza religiosa, rispondono al bisogno di connettere in qualche modo i fenomeni sia della natura sia della società, e di dar loro un primo tipo di spiegazione. Qui incontriamo la forma più antica del rapporto generale in cui il sostrato religioso dell’evoluzione intellettuale dell’Europa si colloca con la tendenza, che vi agisce, a un’ordinata concatenazione e spiegazione dei fenomeni. Questo primo tipo di spiegazione è estremamente imperfetto; la connessione dei fenomeni vi viene vissuta e intuita come un nesso di volontà, un ingranaggio di impulsi e azioni viventi. Pertanto esso poteva contenere in sé l’evoluzione intellettuale di queste genti nel fiore della giovinezza solo per un tempo limitato: poi la tendenza a spiegare spezzò l’involucro perfetto»39. Dal punto di vista del complesso dei valori cumulati, Dilthey attende a definire il periodo in cui si registra la regressione del mondo mitico ai fini di una ricomposizione della spiegazione scientifica. Va detto 39

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Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., p. 186.


che per Dilthey questi valori sono inequivocabilmente storici. Egli si accerta che possa esistere una possibilità di “intendere” dall’interno i fatti dello spirito, soprattutto in rapporto con la realtà storica e sociale, perdurando in tal modo una certa critica ai grossi limiti della scuola storica tedesca riscontrati qua e là nelle sue opere. Lo stesso potremmo dire della sua teoria della conoscenza, sviluppata soprattutto negli anni che vanno dal 1874 al 187940. Nello specifico, Wilhelm Dilthey affronta il tema della scienza greca, che ha caratteri particolari e si rapporta ad una più moderna definizione dello spirito del tempo e in funzione di una rappresentazione del mondo particolare. Lo stadio metafisico si arricchì della tradizione dei popoli più antichi raggiungendo un nuovo stadio; lo stesso che portava al culmine le scoperte della generazione di Eraclito e Parmenide, laddove «lo spirito progressivo cerca di definire la natura generale e della connessione cosmica e d’un principio di questa connessione. Sviluppa le proprietà d’un principio che lo rendano utilizzabile per spiegare fenomeni naturali. E ciò presuppone che a questo punto lo spirito s’è fatto suo oggetto i tentativi che ha compiuto fin qui di dedurre i fenomeni del cosmo»41. E prosegue Dilthey: «La scienza neonata aveva cercato per un secolo di unire e spiegare i fenomeni del mondo esterno mediante le nozioni di trasformazione e movimento. Inoltre aveva elaborato il concetto di principio, ossia di un primum che fosse lo stato iniziale del tempo e la causa prima dei fenomeni, e dal quale questi si potessero dedurre. Tale concetto era l’espressione della stessa volontà di conoscere (...)»42. La riflessione sui principi più generali dello stadio metafisico ci conduce ad una grande rappresentazione dei valori del mondo antico, sino al punto di affermare la nascita della metafisica monoteistica nonché la fondazione di una metafisica separata sotto l’impulso di Aristotele. La scuola aristotelica assiste allo sviluppo della scienza nel contesto dello studio della società umana in un arco temporale preciso, dove certi 40 Cfr. Wilhelm Dilthey, a cura di Alfredo Marini, Per la fondazione delle scienze dello spirito. Scritti editi e inediti 1860-1896, Milano, Franco Angeli, 2003. 41 Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit. p. 197. 42 Ibidem.

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valori si sviluppano. Si viene affermando gradualmente l’autonomia delle scienze particolari, riscontrata nel cammino dei popoli. Di fatto il mutamento di prospettiva conduce all’affermazione di un cambiamento che avviene in profondità nel mondo dei valori, mentre la scienza stabilisce i suoi obiettivi nel corso dello sviluppo dei tempi. Scrive Dilthey, riferendosi alle scienze particolari, «Di solito mutamenti intellettuali così profondi sono legati a cambiamenti sia dell’atteggiamento degli individui che ne sono i portatori, sia dell’impianto degli istituti scientifici. Ora accanto alle scuole filosofiche sorsero le istituzioni scientifiche fondate da prìncipi e stati (...) Tuttavia la base delle realizzazioni di quest’epoca successiva in cui il baricentro del progresso intellettuale stava ormai nelle scienze particolari, fu il patrimonio dello stadio metafisico dei popoli antichi. – La prima condizione di tale progresso sono i concetti acquisiti»43. Il saggio contenuto nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften contribuisce all’analisi del mondo storico, che è poi quello al quale l’autore si affida per ricomporre lo spirito del tempo. Il processo è incessante e presuppone delle modificazioni di forme e di riferimenti alla volontà e soprattutto ai valori di un epoca. «Tale profondo mutamento della vita interiore ha in sé le condizioni per spezzare, come di fatto a poco a poco si sono spezzate, le barriere della scienza antica. Per lo spirito greco sapere era riprodurre nell’intelletto un essere oggettivo. Ora il centro di tutti gli interessi delle nuove comunità diviene esperienza vissuta; ma questa è una semplice presa-di-coscienza di quanto si dà nella persona, nell’autocoscienza; tale presa-di-coscienza è colma d’una sicurezza che esclude ogni dubbio; col loro enorme interesse le esperienze del volere e del cuore divorano ogni altro oggetto del sapere, nella loro auto certezza si dimostrano onnipotenti di fronte a ogni risultato della considerazione del cosmo come di fronte a ogni dubbio che la riflessione sul rapporto fra l’intelletto e gli oggetti da riprodurre potesse suggerire. Se questa fede delle nuove comunità avesse sviluppato subito già allora una scienza ad essa del tutto corrispondente, questa sarebbe dovuta consistere in una fondazione che risalisse all’esperienza 43

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Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., pp. 317-318.


interiore. Ma nel Medioevo questo nesso interno, intercorrente – quanto alla fondazione del sapere – fra il Cristianesimo e una conoscenza che parte dall’esperienza interiore, non produsse una fondazione corrispondente dalla scienza. L’omissione dipese dalla superiorità della cultura classica entro la quale il Cristianesimo cominciò a farsi valere solo lentamente. E poi agì dall’interno nella stessa direzione il rapporto fra l’esperienza religiosa e il rappresentare in nozioni. Anche la più intima vita religiosa trova modo di esprimersi solo in un contesto di nozioni. Schleiermacher dice che nell’Occidente l’evoluzione del Cristianesimo ha a suo sostegno una grande misura di coscienza oggettiva; ma propriamente parlando noi possiamo intendere questa misura di coscienza oggettiva solo come un mezzo di comunicazione. Ora, l’autocertezza delle esperienze interne del volere e del cuore, e poi il contenuto di queste esperienze, quindi il mutare della vita interiore più profonda – tutto ciò, dico, non si limitava per altro a comportare in sé l’esigenza d’una fondazione che risalisse all’esperienza interna: agì sull’ulteriore evoluzione intellettuale anche sotto altri riguardi, sia quanto alla conoscenza della natura sia quanto alle scienze dello spirito»44. I presupposti di una metafisica nuova si affacciano sulla scena della genesi del rapporto scienza/valori in Occidente, laddove la scienza greca aveva saputo ricorrere allo Scetticismo, nel senso che questo ultimo poteva affermare ogni impossibilità del/nel sapere. Il pensiero medioevale si afferma lungo i tratti di una affermazione più ampia della religione, sia quella ebraica, nel Cristianesimo e nella religione islamica. Ancora nuove metafisiche sorgono, al cospetto delle controversie che si dibattono nel Medioevo. «La metafisica del decorso della storia e dell’organizzazione della società ha durante il Medioevo le sue ragioni ultime nella coscienza che il contenuto ideale di questo decorso e di questa organizzazione è insito in dio, è annunziato nella sua Rivelazione e si realizza e continuerà a realizzarsi nella storia dell’umanità secondo il piano divino. Con ciò rispetto all’antichità classica qui si compiva un passo avanti di estrema importanza. Il vivere finalistico dell’umanità 44 Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., pp. 324-325. Si v. in Wilhelm Dilthey, L’etica di Schleiermacher, a cura di Franco Bianco, Napoli, Guida, 1974.

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quale si dispiega nei sistemi della cultura e agisce mediante l’organizzazione esterna della società, ora era riconosciuto come un sistema unitario e ricondotto a un principio esplicativo. Così la conoscenza del nesso intrinseco degli avvenimenti della società umana otteneva un interesse del tutto indipendente dall’intento di dare indirizzi tecnici alla vita professionale. Questa conoscenza ora la cercava, nella sua cella, il monaco immergendosi profondamente nell’idea della divina Provvidenza, ora la utilizzavano al servizio dei partiti i pubblicisti vuoi della curia vuoi della corte imperiale»45. La maturazione della coscienza scientifica moderna passa dunque per queste epoche, nelle quali si vengono formando sia l’uomo che il suo contesto storico e sociale. Il processo mediante il quale si concentrano le forze per una fondazione moderna dell’uomo è illustrato da Dilthey in una serie di saggi che vennero pubblicati negli anni 1891-94 e raccolti sotto il titolo di Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation46. Ma è nell’Einleitung in die Geisteswissenschaften che egli specifica meglio quella ricerca, la quale attiene al mondo storico, e che, infine, riguarda una ricomposizione di valori ex novo. Quest’ultima si viene compiendo dinanzi a fenomeni come il Cristianesimo, nel quale dio si compie storicamente; essa si completa al lascito del mondo classico, laddove le verità eterne si realizzano nel mondo umano come che nel mondo della natura, etc. La sopraggiunta maturità dell’uomo si realizza dunque dinanzi ad una cultura spirituale che è completamente rinnovata. La funzione transitoria dei sistemi metafisici nell’età moderna viene riaffermata anche quando si riconosce il mondo storico degli individui. Di seguito Dilthey si occupa di definire il valore di verità di un sistema di proposizioni e, in riferimento alla situazione in cui versano le scienze. Egli distingue, come è noto agli storici del pensiero sociologico, le “scienze della natura” dalle “scienze dello spirito”. Nella definizione Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., p. 425. Cfr. la traduzione italiana L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura nel Rinascimento e nella Riforma, a cura di Giovanni Sanna, Firenze, La Nuova Italia, 1974. Si v. anche di Wilhelm Dilthey, Il secolo XVIII e il mondo storico, Milano, Edizioni di Comunità, 1967. 45 46

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delle prime e anche delle seconde egli intende comprendere la dissoluzione dell’argomentazione metafisica, laddove certi eventi mirano a mostrare il distacco di gruppi di scienze dalle formulazioni metafisiche, appunto. È di una certa importanza, e questo per autori come Dilthey ma anche come Max Scheler e Karl Mannheim, che si riferiscono al mondo delle totalità, occuparsi di questa operazione, proprio nel momento in cui un sistema di valori declina, rapportandosi ad un sistema di riferimento più moderno e attuale. Questo, è ciò che accade nel passaggio dell’età primordiale all’età della ragione, e da questa al mondo moderno. «Il nesso logicamente necessario che la moderna scienza della natura cerca come principio esplicativo della realtà data, secondo l’ideale di conoscenza sviluppato nella metafisica e da questa prescrittole, ha come suo materiale i concetti di sostanza e causalità (causa efficiente) che già nella metafisica eran stati parimenti astratti dall’esperienza diretta (Erlebnis) della piena natura umana e sviluppati scientificamente. Quando comparvero nell’evoluzione della metafisica i concetti di fondamento-del-conoscere (Erkenntnisgrund) o di necessità logica, essi trovarono già precostituite queste due nozioni di fondo come quelle che guidano il pensiero umano a ritroso dal dato ai principi (Gründe)»47. Le scienze della natura si occupano di definire dall’esterno ciò che si presenta allo spirito: «Nella totalità della nostra autocoscienza la realtà esterna non si dà affatto come semplice fenomeno ma come realtà effettuale (Wirklichkeit) in quanto agisce, effettua (wirkt), si oppone al volere, ed esiste altresì per il sentimento nel piacere e dolore (...) Ora, per questo fenomeno della realtà esterna la spiegazione meccanicistica della natura cerca condizioni logicamente necessarie. Più precisamente, la realtà esterna, mentre per noi si dava come un agente, da parte dell’uomo è sempre stata oggetto di ricerca quanto alla sua sostanza (Substanz) e alla causalità sottostante. Il pensiero stesso, mediante il giudizio quale sua funzione, resta legato alla distinzione fra sostanza da un lato, e agire patire proprietà causalità e infine legge dall’altro (...) Le condizioni cercate dalla spiegazione 47

Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., pp. 460-461.

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meccanicistica della natura spiegano solo un contenuto parziale della realtà esterna»48. I limiti della spiegazione causale, rilevati da Wilhelm Dilthey, e validi per le scienze della natura, accompagnano la riflessione del filosofo, così e come si uniscono alle preoccupazioni dello scienziato e/o dello scienziato sociale. Il mondo dei valori va comunque scomposto, allo stesso modo in cui la scomposizione è valida per il mondo naturale. Anche la ricerca della immutabilità del mondo della natura invita lo studioso alla scomposizione di un mondo che assume forma sostanziale soltanto se riflesso nella natura dello spirito. Riferito a questo, l’autore segue l’approccio alle scienze dello spirito, soprattutto nel momento in cui l’uomo si definisce nella società degli uomini come un’“unità vivente”. Anzi, il problema fondamentale per tutta l’analisi compiuta, sarà quello di operare una scomposizione dell’unità-di-vita, soprattutto laddove il riferimento alla metafisica scompare in quanto è posto dinanzi a leggi esplicative. A livello esplicativo, va detto che questo tipo di scomposizione trova riscontro proprio nell’opera del sociologo della conoscenza, soprattutto nell’ambito della considerazione delle influenze sociali, le quali diventano operative rispetto ai modi di pensare dei singoli, laddove si afferma che le idee risultano parzialmente condizionate da elementi sociali. Dilthey definisce in questo i propri intenti, quando definisce i sistemi culturali. Infatti, sostiene, «Il problema immediatamente successivo delle scienze dello spirito sono i sistemi di cultura, intrecciati gli uni negli altri nella società, e l’organizzazione esterna di questa, quindi la spiegazione e la direzione della società stessa. Le scienze che trattano questo problema comprendono in sé classi affatto diverse d’enunciati: da una parte giudizi che dicono la realtà fattuale, dall’altra imperativi e ideali che vogliono guidare la società. Nell’allacciamento dell’una classe di enunciati all’altra il pensiero sulla società ha il suo problema più profondo. I principi metafisici e teologici del Medioevo avevano reso possibile un allacciamento siffatto mediante il vincolo che legava l’organismo dello Stato, il corpo mistico della Cristianità, a dio e alla 48

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Ivi, pp. 471-473.


legge insita nella divinità. In tale metafisica la condizione ancora giovanile della società, la somma delle tradizioni che v’erano accumulate, e il senso, che la compenetrava, di una autorità d’origine superiore si combinavano perfettamente con l’idea di dio. Ora questo legamento prese gradatamente ad allentarsi. E anche qui avvenne perché ora l’analisi risalì dietro il nesso teleologico esteriore secondo concetti formali, e cercò invece un nesso secondo leggi. Ciò fu reso possibile dall’impiego della psicologia esplicativa e dal perfezionamento delle scienze astratte che sviluppano le proprietà di fondo dei contenuti parziali congeneri all’interno delle singole sfere di vita (Diritto, Religione, Arte, etc.). Le nozioni teleologiche di Aristotele e degli Scolastici furono sostituite da adeguati concetti causali, le forme universali da leggi, la fondazione trascendente da una immanente acquisita nello studio della natura umana. In tal modo fu superato l’atteggiamento della metafisica precedente di fronte ai fatti della società e della storia»49. Il senso di questa intera costruzione è il seguente: «Questo sistema naturale infatti significa che d’ora innanzi la società sarà intesa a partire da quella natura umana da cui ha avuto origine. In tale sistema le scienze dello spirito trovarono per la prima volta il loro proprio centro – la natura umana»50. Per le scienze dello spirito, prosegue Dilthey, la rivalutazione del sistema naturale tornò utile, in quanto pose in campo il problema della storia. In tal caso, le analisi risultanti dal sistema naturale poterono essere applicate al decorso storico: «Dalla metafisica medievale della storia attraverso il lavoro delle scienze dello spirito nel secolo diciottesimo si liberò una prospettiva storico-universale il cui nocciolo è l’idea di sviluppo o evoluzione»51. Lo sviluppo della coscienza storica rappresenta il momento clou di una ricostruzione che origina nella fondazione delle scienze dello spirito e che stabilisce una conoscenza gradualmente crescente del rapporto tra individuo e individuo. L’idea del progresso del genere umano dominava il secolo diciottesimo, in modo tale che si potesse operare il mondo del pensiero: Ivi, pp. 484-485. Ibidem. 51 Ivi, p. 487. 49 50

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«Di tale coscienza è colmo Bacone quando rileva che il genere umano è ormai entrato in un’epoca di maturità e d’esperienza, e pertanto la scienza dei moderni è superiore a quella degli antichi (...)»52. Attraverso il sistema naturale, le scienze dello spirito giustificano il loro progresso, dal quale scaturisce una prospettiva storica-evolutiva che scatena una realtà susseguente al momento della fondazione. Ma seguiamo il ragionamento di Wilhelm Dilthey attorno all’uomo. «Una volta lacerato il grigio tessuto di astratte entità sostanziali, quanto resta indietro di esso è l’uomo, in situazioni diverse l’una dall’altra, nel bel mezzo della natura. Ogni scritto, ogni serie d’azioni per noi si colloca nella periferia d’un uomo, e noi cerchiamo di arrivare al centro. Poniamo che quest’uomo sia Schleiermacher e mi stia dinanzi la sua Dialettica – opera postuma, n.d.a. –. Quali che siano i pensieri contenuti nella fattispecie in questo libro, io trovo in esso il principio della presenza del senso-di-dio in tutti gli atti psichici, e in questo punto estremamente significativo la Dialettica coincide coi Discorsi sulla religione. Vado dunque da opera a opera: non posso conoscere il centro a cui rinviano tutte queste manifestazioni periferiche, ma lo posso comprendere (verstehen). – Ora trovo che Schleiermacher appartiene a un gruppo in cui figurano Schelling, Federico Schlegel, Novalis e altri. Un tale gruppo si comporta analogamente a una classe di organismi; se in una classe siffatta muta un organo, allora mutano anche gli organi corrispondenti, se uno s’accresce, altri si riducono. Passo da gruppo a gruppo, a cerchie sempre più ampie. – La vita psichica s’è differenziata in Arte, Religione, etc., e ora sorge il compito di trovare il fondamento psicologico di questo fatto, e poi di penetrare il processo in cui si compie questa differenziazione, tanto nella psiche quanto nella società (...)»53. Al cospetto di tale riflessione viene pronunciata l’ammissione per cui il fondamento del discorso va rintracciato nel fatto che le scienze dello spirito possano soppiantare la metafisica, la quale come scienza, “è divenuta impossibile”. «Infatti il decorso dell’evoluzione intellet52 53

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Ivi. p. 488. Ivi. pp. 490-491.


tuale ha mostrato che i concetti di sostanza e causalità si sono sviluppati gradualmente a partire dalle esperienze vive sotto le istanze d’una conoscenza del mondo esterno. Pertanto, a chi sta già di casa nel mondo dell’esperienza interna, questi concetti non possono dire su tale mondo più di quanto è attinto proprio da esso: quello che essi dicono di più, è una costruzione ausiliare per la conoscenza del mondo esterno, e perciò non applicabile allo psichico. Non si può provare né confutare nemmeno la tesi della psicologia metafisica che afferma l’esistenza indipendente, sostanziale e indistruttibile dell’anima: la dimostrazione movente dall’unità della coscienza ha solo una portata negativa (...)»54. Ancora un giudizio sulla metafisica. Il rapporto con il trascendente può essere svelato anche alla luce della considerazione della esperienza personale, considerata in modo da mostrare tutta la sua lontananza dal mondo astorico e astratto, riscontrabile per esempio in filosofie come quelle di Immanuel Kant. È a ridosso della critica alla metafisica che può affermarsi che: «(...) la scienza metafisica è un fenomeno storico delimitato, ma la coscienza metafisica della persona è eterna»55. L’impossibilità dell’atteggiamento metafisico del conoscere viene affermata da Dilthey in concomitanza alla ricerca di una fondazione delle scienze dello spirito, separata, appunto, dall’ordine trascendente nonché rivolta all’affermazione di ciò che può essere considerato un fenomeno del/nel mondo della cultura e dei/nei valori di una generazione. La tematica dei valori trascendenti il soggetto pensante e vivente risalta come un mezzo di passaggio verso l’affermazione delle scienze storiche e culturali. Questa realtà sarà ripresa e svincolata dal suo percorso accidentato sul terreno della metafisica, divenuta insostenibile. Molto è spiegabile ricorrendo alla logica56. Scrive ancora Dilthey. «Ora, è possibile mostrare che noi siamo in grado di concepire e rappresentare la natura solo col cercarvi dentro questa connessione della necessità logica. Non possiamo mai pensare il mondo esterno, nonché conoscerlo, senza cercarvi dentro Ivi, pp. 491-492. Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, Op. cit., cit. p. 494. 56 Nel Primato e declino della metafisica si verrà affermando: «Il pensiero non può trovare nella realtà un nesso diverso da quello logico» (Ivi. p. 508). 54 55

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per via d’inferenze un nesso logicamente necessario. Infatti non possiamo ammettere per sé come realtà oggettiva le singole impressioni, le singole immagini che costituiscono il dato. Esse sono relative al nesso effettivo in cui stanno nella coscienza in forza dell’unità di questa, e quindi si possono usare per stabilire uno stato-di-fatto esterno o una causa naturale, solo in questo nesso (...) Noi non siamo in grado di valutare direttamente le intensità della sensazione e tanto meno di esprimerle in valori numerici, ma notiamo solo il rapporto fra un’intensità sensoriale e un’altra. Quindi istituire una connessione non è un fatto che segua l’aver colto la realtà: nessuno coglie isolatamente come realtà un’immagine momentanea, viceversa noi possediamo l’immagine in una connessione con cui cerchiamo di stabilire una realtà (effettuale) ancor prima di ogni interesse e attività scientifici, L’attività scientifica introduce un metodo in questo procedimento preesistente»57. Il ragionamento di Wilhelm Dilhey conduce all’affermazione della relatività del mondo esterno, la quale viene esposta e rappresentata nella “coscienza delle relazioni” che si comportano in modo coercitivo rispetto al dato che è presente nelle percezioni del soggetto. Come è più o meno noto, Dilthey afferma: «Le scienze dello spirito si distinguono dalle scienze della natura in quanto queste hanno come loro oggetto dei fatti che si presentano nella coscienza dall’esterno, cioè come fenomeni singolarmente dati, mentre in quelle i fatti si presentano originariamente dall’interno, come una realtà e come una connessione vivente. Da ciò deriva che nelle scienze naturali la connessione della natura è data soltanto in virtù di ragionamenti che integrano i fatti, cioè mediante un collegamento di ipotesi. Per le scienze dello spirito ne consegue invece che a loro fondamento c’è sempre la connessione originaria della vita psichica»58. E continua analizzando gli elementi costituitivi dei due settori d’indagine: «I fatti della società ci sono comprensibili dall’interno, possiamo riprodurli fino ad un certo punto in noi, sulla base dell’os57 58

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Ivi, pp. 502-503. In Pietro Rossi, a cura di, Lo storicismo contemporaneo, cit., p. 20.


servazione dei nostri stati (...) invece la natura è per noi muta. Soltanto la forza della nostra immaginazione diffonde su di essa un barlume di vita e di interiorità (...) La natura ci è straniera. Infatti essa è per noi soltanto qualcosa di esterno, non di interno. La società è il nostro mondo. Noi viviamo in essa il gioco delle azioni reciproche, con tutta la forza del nostro intero essere, poiché percepiamo in noi stessi dall’interno, gli stati e le forze su cui si costruisce il suo sistema»59. I soggetti propri delle scienze della natura sono elementi ottenuti ipoteticamente mediante una separazione della/nella realtà esterna, cioè ancora mediante un processo di scomposizione e scissione delle/nelle cose; essa costruisce la materia sulla base di particelle elementari, che non sono capaci di nessuna esistenza autonoma e che possono essere concepite soltanto come degli elementi, e come molecole. Nelle scienze dello spirito, invece, i soggetti implicati sono unità reali, date nell’esperienza interna come fatti, che agiscono l’una sull’altra nel complesso intrecciato della società e della storia; tali unità sono individui, totalità psico-fisiche, ognuna delle quali si distingue dalle altre, costituendo un mondo a sé. Dunque, agli occhi di Dilthey, la realtà risulterebbe accessibile attraverso un duplice itinerario, a seconda che lo sforzo conoscitivo si rivolga all’esperienza interna o esterna. Tale duplicità non è vista come dicotomia o separazione, ma bensì come complementarietà, dal momento che le scienze dello spirito riguardano l’esperienza interna, ma l’esperienza interna di un essere che è un’unità psico-fisica la quale presuppone anche una conoscenza della componente naturale. Quindi Wilhelm Dilthey combatte ogni punto di vista che si proponga di teorizzare una separazione tra i due mondi presenti delle/nelle scienze, che hanno la propria unità nella totalità psicofisica dell’uomo. Ciò è fondamentale per capire il confronto di mondi diversi. E non solo. Il riferimento alla totalità dei processi riguarda, infatti, la peculiarità dell’approccio diltheyano e concerne anche la ricaduta sulle impostazioni posteriori, come ad esempio quelle di Karl Mannheim nei confronti dell’universo dei valori rilevabili nella cultura. Del resto, anche in Mannheim, come 59

Ibidem.

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in Max Weber, si assiste alla prevalenza dell’essere razionale, rispetto al resto. Questa visione è parzialmente condivisa ed evidente in molti autori come, ad esempio, Ernst Cassirer60. Ogni interpretazione degli oggetti del cosiddetto mondo esterno può considerarsi soggetta al principio della ragione61. Di fatto, l’uso di quest’ultimo dovrà rinunciare ad ogni tipo di conoscenza metafisica per sondare il mondo esterno e i rapporti di dipendenza rilevabili dentro di esso. In questo processo si affermano le scienze dello spirito, le quali dovrebbero comprendere dall’interno il mondo umano, quasi immedesimandosi in esso. Nel punto terminale del proprio cammino, la metafisica incontra la gnoseologia, che ha per oggetto il soggetto stesso del conoscere e del concepire; questa può essere dotata di storicità soltanto se ha assimilato l’essenza e i limiti del nostro conoscere. Al cospetto dell’interpretazione storiografica si compie il processo per cui si potrà mostrare come: «i residui della epoca metafisica siano stati superati solo lentamente, e quindi le conseguenze dell’atteggiamento gnoseologico si siano tirate solo un poco per volta. Essa farà vedere come anche all’interno della fondazione gnoseologica le astrazioni che la storia da noi esposta della metafisica si è lasciate dietro, siano state eliminate solo tardi e, fino a oggi, ancora molto imperfettamente. Così essa introdurrà a quella prospettiva psicologica che prende a risolvere il problema della conoscenza non partendo dall’astrazione di un intelletto isolato ma dal tutto dei fatti della coscienza. In Kant infatti si è compiuto solo l’autodisgregarsi delle astrazioni che crearono la storia da noi tracciata della metafisica: ora si tratta di osservare senza pregiudizi la realtà effettuale della vita interiore e, movendo da tale realtà, accertare che cosa siano la natura e la storia per questa vita interiore»62. I riferimenti ai fenomeni di astrazione rimandano più tardi alle esemplificazioni weberiane valide per le scienze sociali, soprattutto laddove Max Weber si rivolge all’analisi tramite i processi di imputazione, che lo avvicinano alla spiegazione nel senso tradizionale e deduttivo del 60 Cfr. Ernst Cassirer, Saggio sull’uomo: introduzione ad una filosofia della cultura, Roma, Armando, 2004. 61 Cfr. Wilhelm Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito, cit., p. 503. 62 Ivi. p. 522.

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termine. Infatti per Weber: «(...) quando si tratta dell’individualità di un fenomeno la questione causale non è una questione di leggi bensì una questione di connessioni causali concrete; non è una questione relativa alla formula alla quale tale fenomeno dev’essere ricondotto come esempio, ma è una questione relativa alla costellazione individuale a cui esso deve venir imputato come suo risultato – e cioè una questione di imputazione»63. Weber si riferisce al fatto per cui l’imputazione si viene svolgendo nella forma di un «procedimento concettuale che implica una serie di astrazioni»64 per giungere infine alla formulazione di giudizi di possibilità, i quali concernono processi di isolamento e di generalizzazione. Il processo di astrazione sarà implicito nella formulazione della costruzione di concetti dotati di portata euristica.

I.2 Max Weber e Karl Mannheim Max Weber e Karl Mannheim ereditano nel mondo moderno la tematica del riferimento al mondo dei valori in modo che lo storicismo tedesco possa realmente operare sulle rispettive formulazioni teoriche, politiche e intellettuali una sua influenza particolare. Si è visto come il tramite per questa operazione congiunta sia stata la stessa destinazione che Wilhelm Dilthey aveva riservato nei suoi scritti alle scienze dello spirito65. Ciò giustifica a questo punto anche una nuova serie di considerazioni. La prima delle quali concerne l’origine la posizione di Mannheim nei confronti dello storicismo, visto che «Lo storicismo è diventato una potenza spirituale di portata incalcolabile»66 nonché la sua posizione rilevabile rispetto a quella intrattenuta sullo stesso argoMax Weber, Die “Objektivität” sozialwissenschaftlicher und sozialpolitischer Erkenntnis in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 1904, cit., p. 177. 64 Max Weber, Kritische Studien auf dem Gebeit der kulturwissenschaflichen Logik, 1906 in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», trad. it., Studi critici intorno alla logica delle scienze della cultura, in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, cit., p. 263. 65 Cfr. Wilhelm Dilthey, Selected Works, Princeton, Princeton University Press, 1989. 66 Karl Mannheim, Historismus, in Wissenssoziologie, a cura di Kurt Heinrich Wolff, Berlin und Neuwied, Luchterhand Verlag, 1964, pp. 246-250. Il saggio è pubblicato originariamente nell’«Archiv für Sozialwissenschaft uns Sozialpolitik», LII, 1924, pp. 1-60; rip. anche in Lo storicismo contemporaneo, a cura di Pietro Rossi, cit., p. 213. 63

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mento da Max Weber. Nel 1924 Mannheim si ricollega ad un lavoro di Ernst Troeltsch (già citato in questa sede) di due anni prima intitolato Der Historismus und seine Probleme e cita anche criticamente Teoria e storia della storiografia del filosofo italiano Benedetto Croce. Va ripresa, a riguardo, la trattazione in Karl Mannheim della considerazione di eventi di natura sociologica, nel riferimento alla sociologia, che si pone dinanzi al mondo moderno come gli altri campi del sapere, dominati dal principio dello storicismo. Per Karl Mannheim: «Lo storicismo è infatti un’intuizione del mondo, e ciò implica – nel nostro stadio di coscienza – non soltanto che la nostra vita extra-mondana dev’essere penetrata partendo da quest’unico centro, ma che questo centro domina anche il nostro pensiero, facendosi valere pure nella scienza e nella teoria della scienza, nella logica, nella teoria della conoscenza e nell’ontologia. C’è storicismo solamente quando i problemi che hanno accompagnato la nuova condotta di vita, e che forse si sono manifestati nella storiografia solo nel modo più tangibile, sono pervenuti a livello di autocoscienza (...) Lo storicismo è qualcosa di più di un’indicazione del fatto che in una certa epoca si sia pensato, sentito, poetato, dipinto, agito economicamente in una data maniera e che in un’altra epoca gli uomini si siano comportati diversamente. Questa dottrina – prosegue Mannheim, n.d.a. – giunge al suo compimento solo in quanto riesce a ricavare da questi molteplici mutamenti un principio di ordine, cioè in quanto è in grado di penetrare nella struttura intima di questa trasformazione universale»67. Questo principio di ordine, può trovare collocazione lungo una interpretazione storica che rende conto di vari livelli di evoluzione. In tutti i casi anche una indagine filosofica sulla nuova forma di Weltanschauung può risultare utile. Infatti, «Se si tratta ora di portare a fondo un’analisi filosofica dello storicismo nel suo stadio attuale, di ricavarne quelle premesse ontiche, gnoseologiche, logiche già contenute nel suo uso vivente, cioè di sistematizzare lo storicismo stesso già divenuto, allora nel caso dello storicismo si realizza solo un destino che egli stesso doveva scoprire per tutte le forme passate del processo del mondo: cioè 67

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Karl Mannheim, Historismus in Wissenssziologie, cit., pp. 214-215.


che la vita ha la tendenza costante di realizzarsi essa stessa come sistema. In questo stadio di sistematizzazione di una nuova forma di Weltanschsauung si creano però tensioni di cui bisogna prendere coscienza prima di procedere; si creano quelle tensioni che esistono da quando esiste una Weltanschauung filosofica, sistematizzata. Si crea una tensione, un conflitto tra i postulati ultimi che la filosofia precedente aveva conquistato elaborando e analizzando, le premesse di uno stadio di coscienza precedente, da una parte, e le premesse che provengono da un analogo approfondimento del nuovo substrato della vita, dall’altra. Se quindi si vuole portare alle sue ultime conseguenze la filosofia dello storicismo sorge il curioso compito particolare di vedere storicamente la filosofia stessa, di integrare nel sistema della filosofia il fatto della storicità di tutta la filosofia. Si tratta quindi in effetti di trovare il significato sistematico della tesi che anche la filosofia è sottomessa a un mutamento organico della forma»68. La storicità della filosofia appare quindi in Karl Mannheim, prima di ogni altra analisi, come un mondo di valori condivisi e riconoscibili nel tempo. L’indagine si svolge nel campo della cultura e soprattutto in campo teoretico, come sostenuto da Mannheim nell’interpretazione del concetto di Weltanschauung69. Di fatto, “lo storicismo stesso è Weltanschauung”. Il riferimento al mondo dei valori giustifica il ricorso ad una filosofia storico-dinamica della vita e, a partire da una “filosofia statica della Ragione”, affermatasi durante il corso dell’analisi. Alcuni principi dello storicismo sembrano quindi penetrare nell’analisi sociologica del divenire umano e di fronte alla compenetrazione degli eventi, rappresentabili nelle identiche forme volute dal pensiero. La ricerca di un ordine della/nella vita spirituale degli individui legittima il fatto per cui una ricerca possa essere condotta lungo il manifestarsi del mondo dei valori. «Si può cercare di determinare quest’ordine in due direzioni: da una parte in direzione longitudinale e dall’altra in direzione trasversale. Nel primo caso si coglie 68 Karl Mannheim, Historismus, in Sociologia della conoscenza, a cura di Paul Kecskemeti, Bari, Dedalo, 1974, p. 107. Titolo originale: Essays on the Sociology of Knowledge, London, Routledge & Kegan Paul, 1964. 69 Cfr. Karl Mannheim, Historismus, in Sociologia della conoscenza, cit., p. 45 e sg.

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qualche fattore della vita spirituale-culturale – un genere artistico, un’idea politica, una determinata condotta di vita, etc. – risalendo nel passato e cercando di porre in luce il modo in cui ogni forma successiva è sorta con continuità organica da una forma più primitiva. Se si estende gradualmente questa considerazione a tutti i campi della vita culturale, si ottiene allora un fascio di serie di sviluppo nel quale il carattere accidentale del mutamento della forma è già superato all’interno delle singole serie, ma le linee di sviluppo stanno l’una a fianco dell’altra come elementi tenuti insieme da un rapporto estrinseco. Questa specie di storicismo trova un’integrazione solamente mediante la seconda considerazione di tipo trasversale, la quale si propone di mostrare che in ogni stadio contemporaneo i fattori prima considerati isolatamente si congiungono tra loro anche in maniera organica, vale a dire che la corrente spirituale non procede e cresce nei canali isolati dei singoli settori della vita e della cultura, ma che a ogni suo stadio i diversi “fattori” si condizionano reciprocamente, essendo parte e funzione di una totalità che costituisce il substrato ultimo, il soggetto reale di questa trasformazione universale. Porre in luce la struttura o la forma di questa totalità mediante l’indagine accurata dei suoi momenti particolari è il fine ultimo dello storicismo, che si fa valere in tutte le scienze dello spirito come principio universale – metafisico e metodico – e che domina la scienza dell’arte come quella della religione, la sociologia come la storia delle idee. Porre in luce, a partire dalla molteplicità, questa totalità che rivela una forma in graduale mutamento e una struttura mutevole del proprio contenuto – questo è il fine dello storicismo, ma anche una visione anticipata della sua forma compiuta. Sotto il segno di questa visione per adesso anticipatrice si compie già ora ogni indagine storica particolare, e si afferma in larga misura l’aspirazione a comprendere anche il presente sotto quei punti di vista»70. L’analisi delle forme del movimento storico rientra nel caso dello sviluppo di una dialettica scienza/valori la quale si concretizza nell’esa70 Karl Mannheim, Historismus, in Lo storicismo contemporaneo, a cura di Pietro Rossi, cit., pp. 215-216; anche in Sociologia della conoscenza, cit., pp. 104-105.

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me del rapporto tra lo storicismo e la sociologia. La dialettica razionale rimanda alle forme di dipendenza «dalla posizione sia della conoscenza che dell’intera creazione della cultura e formazione della vita: un legame e una connessione con determinati strati sociali e con le loro tendenze di movimento. La filosofia della storia, – aggiunge Mannheim, n.d.a. – che pensa di solito solo in termini di periodi storici e tende a ignorarne la differenziazione interna, deve essere completata con una visione differenziata in termini sociologici del movimento complessivo, che prende in considerazione la distribuzione sociale dei ruoli e il suo significato per la dinamica complessiva. Non è uno strato sociale, non è una classe che realizza il movimento complessivo e in nessun modo si deve interpretare questo movimento complessivo in base alle realizzazioni di uno strato solo (...) L’arricchimento dell’immagine complessiva storico-filosofica con l’analisi della differenziazione sociale di questa totalità e del condizionamento sociale delle tendenze rappresenta un punto di vista ulteriore che qui può essere solo accennato. Per la sociologia l’emergere del problema della dinamica, che lo storicismo impone in tutte le scienze storiche della cultura, comporta un importante mutamento di forma. La sociologia, che è nata nel segno delle scienze naturali generalizzanti, che operava solo con un metodo generalizzante e che, per così dire, eliminava dal suo oggetto l’elemento storico reale mettendo allo stesso livello, con una tipologia generalizzante e superficiale, l’una dopo l’altra, le più diverse relazioni sociali e spirituali di tutte le epoche e tutte le nazioni, ha dovuto rendersi conto che in questo modo poteva cogliere solo i fenomeni superficiali dei condizionamenti sociali (...)»71. La dinamica del movimento storico impone dunque che l’impostazione sociologica di fondo possa mutare, alla luce dello sviluppo di movimenti spirituali: il problema è il mutamento di forma delle scienze umane, il quale porta in seno il rapporto scienza/valori e lo rapporta di fatto all’esistenza delle scienze. «Facendo così, osservando la forma positiva delle scienze storiche nella loro struttura e il loro divenire (nello stesso modo in cui una volta la metodologia 71

Karl Mannheim, Historismus, in Sociologia della conoscenza, cit., p.143-144.

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delle scienze naturali stessa andava a imparare da queste scienze e non dava istruzioni), si arriverà non solo a vedere, ma anche a trovare una ragione più profonda del perché, che la sociologia e tutte le altre scienze umane devono necessariamente essere sempre scritte di nuovo»72. Anche l’analisi delle varie prospettive moderne, rimanda allo studio della constatazione storico-filosofica per cui le dottrine sui valori si vengono sviluppando in epoca più recente e in un momento fondamentale che è contrassegnato dalla distinzione, introdotta da Immanuel Kant, tra essere e dover essere. È tale antinomia che consegna a tutto il pensiero successivo la separazione tra valori e realtà, intesa come problema fondamentale per la stessa filosofia. La ricezione di questa distinzione rappresenta uno stimolo per l’intero storicismo tedesco, mentre una dottrina del valore si consolida proprio quando si configura l’autonomia del valore come categoria irriducibile al mondo della realtà. Ancora, per Kant il dover essere non è necessità di esistere di fatto, ma l’oggettività di una norma che ha solamente consistenza formale. Ma è con Kant che comincia a profilarsi la dimensione normativa del valore; per questo, l’uso che lo stesso Kant fa del termine risulta essere generico e rientra nel concetto di fine. Di fatto, nel pensiero dei più contemporanei il valore verrà teorizzato sempre come una sorta di contenuto oggettivo, ma apparirà come qualcosa di indipendente dal mondo degli oggetti reali. Un’interpretazione invece psicologistica, sarà compresa, ad esempio, nella teoria di Alexius Meinong e da Christian von Ehrenfels, laddove esso appare come desiderio, ovvero, come sentimento valutativo connesso con l’esistenza di un oggetto. Piuttosto con Rudolf Hermann Lotze l’ispirazione kantiana si trasmette a quella che si verrà denominando “filosofia dei valori”, che Windelband e Rickert elaboreranno come assolutezza e come struttura del soggetto; i valori non sono cose o super-cose, non hanno realtà o essere, perché il loro modo è il dover essere, cioè ancora, pura normatività, che appare proprio come relativa a ogni oggetto, poiché ogni giudizio pretende una validità assoluta. Nella coscienza, allora, c’è l’ideale misura del valore 72

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Karl Mannheim, Historismus, in Sociologia della conoscenza, cit., p. 145.


di ogni realtà empirica. Il regno dei valori, che valgono ma non esistono, riguarda appunto ogni aspetto della realtà: logica, estetica, mistica, etica, eroica, religione, a cui corrispondono i valori della verità, bellezza, santità impersonale. Il valore, dunque, si assume come universale, non soggetto a divenire storico, e quindi incondizionato. Il soggetto è così strutturato da porsi orientato secondo i valori, è costituito da una coscienza normale. La filosofia dei valori ha un suo prolungamento in chiave fenomenologica presso Max Scheler e Heinz Hartmann. Per il primo, valore e bene si distinguono; i beni sono cose che hanno valore; i valori non sono empirici, ma hanno un contenuto loro proprio, e non sono formali. Perciò, i valori non sono a priori indipendenti, o norme, ma oggetti che si sentono. Il valore è colto essenzialmente per via emozionale; ma la sensibilità emozionale non ha nulla a che fare con quella empirica e nemmeno è sentimento psicologico, bensì intenzionale, riferendosi a qualcosa di oggettivo. Il valore è allora proprio un cogliere emozionalmente qualcosa e non sussiste fuori dell’atto intenzionale della/nella coscienza. Di fatto, il pensiero tra i contemporanei combatte l’idea dell’universalità dei valori in nome del relativismo e questo opera la sua influenza su Karl Mannheim; così in Max Weber con il relativismo culturale e in Georg Simmel, per il quale il valore non è che l’urto del desiderio contro un ostacolo. Ma, anzitutto in Dilthey, che riduce i valori alla storia, affermando che in essa questi stessi valori nascono e muoiono. Lo stesso non potrà dirsi, ad esempio, in Friedrich Wilhelm Nietzsche, il cui principio fondamentale fu quello dell’inversione di tutti i valori tradizionali nonché dell’abolizione di tutti i criteri validi di razionalità. Per questo filosofo una visione del mondo, una civiltà è espressa infatti da un universo di valore (dove il termine ha raggiunto la sua più alta applicazione). Dottrine più recenti nel corso del XX secolo, come quella di John Dewey, si muoveranno nell’ambito di una concezione pluralistica dei valori; i valori sono così molteplici e la loro contraddizione non escluderebbe la loro validità, nella misura in cui valgono in rapporto ai determinati fini per i quali si vengono profilando. Ma restiamo, per il momento, a Weber e Karl Mannheim. In questi autori 51


si anticipano infatti temi-problemi che la moderna sociologia tende ad affrontare; e cioè, ad esempio, la definizione dei valori attraverso criteri sulla base dei quali un individuo o una collettività, stabiliscono quali idee, comportamenti, fini o mezzi sono giudicati giusti e perseguibili e quali sono, invece, giudicati ingiusti. Per la sociologia, in genere, il riferimento al significato di valore, viene riferito esclusivamente a quei giudizi e a quelle regole di condotta che sono consapevolmente interiorizzati dai loro portatori; alcuni sociologi, proprio sulla scia di John Dewey, definiscono più estensivamente valore ogni fine che, intenzionalmente o meno, risulta di fatto il criterio ispiratore di un comportamento compiuto. Come è noto, secondo la scuola struttural-funzionalistica, la coesione e la stabilità di un sistema sociale sono riconducibili al fatto che i suoi membri sono accomunati da una serie di giudizi di valore generalmente condivisi. In Max Weber il riferimento al mondo dei valori già compenetra quello che stabilisce una relazione tra individui orientati al raggiungimento di un fine (agire teleologico). E anche Karl Mannheim recepisce a pieno l’indicazione weberiana che punta a definire il corso dell’agire sociale, sollevando le scienze sociali dal compito di indicare dei fini nell’azione stessa; nel momento in cui la scienza si commisura al mondo dei valori, il suo potenziale si spegne verso il mondo dell’irrazionale. In tal senso anche le operazioni di compimento dell’astrazione si trovano dinnanzi il problema di connettere la realtà storico-sociale ai valori circostanti e, da questi, alla formulazione – o meno – di un corso dell’azione valutabile scientificamente. Ancora, l’impostazione weberiana, tende a fornire non poche indicazioni circa il collegamento tra azione sociale e mondo delle scelte possibili. L’azione razionale è la scelta migliore per Weber, mentre in Mannheim il contesto razionale spiega il ricorso alla scienza, nel rapporto di questa con il mondo storico-sociale. Infatti, la razionalizzazione di modi e di opzioni di senso caratterizza la società contemporanea agli autori e ne specifica un riferimento “di periodo”. In particolare, Weber farà notare che il mondo occidentale ha sviluppato comunque la tendenza a fornire delle forme razionalizzate del mondo delle credenze, in modo da potere fare osser52


vare la realtà oggettiva della condizione umana e, in modo da dovere fornire significati diversi all’agire. Max Weber sceglie di caratterizzare l’agire sociale con la opzione “agire razionale rispetto al valore”, intendendo l’azione secondo un esercizio del dovere, della varia dignità e secondo precetti religiosi, secondo cause reputate giuste73. Lungo questa indicazione strumentale Max Weber profetizza l’avalutatività come relazione storico-sociale in un mondo di cause e concause, mentre il mondo dei valori può specificarsi in Karl Mannheim laddove il condizionamento storico sul pensiero ha la meglio, rispetto alle basi della stessa spiegazione. Come è stato scritto, e ciò vale in tutti i contesti di sviluppo: «Il pensiero è sempre condizionato socialmente e storicamente. Le condizioni sociali in cui i gruppi umani vivono influenzano il loro pensare: gli uomini pensano inevitabilmente in termini condizionati dalla loro posizione nella società. Vi è sempre nel pensiero la presenza di fattori extrateorici, extra razionali, esistenziali. Il pensiero degli uomini è sempre in rapporto con la loro esistenza»74. I valori in Max Weber non rappresentano un modo di procedere che attinge dall’universale, laddove le leggi scientifiche vanno incontro a un fallimento; i valori si presentano nel mondo empirico relativamente al mondo indagato, e non hanno valenza generalizzante. Nel rapporto con il mondo dei valori, Weber ricerca delle connessioni causali in forma di regole, soprattutto quando le leggi generali possono perdere valore. In tal senso e, rispetto alle posizioni di Wilhelm Windelband, le scienze nomotetiche si presentano in seno alle scienze storico-sociali come manifestazione del punto di vista generale. Studiare il manifestarsi di una legge ipotetica può specificare meglio la ricerca della comprensione del fenomeno oggetto di analisi. In particolare, nella nozione di tipo ideale, da intendersi appunto come “ipotesi di ricerca”, Weber si riallaccia polemicamente al punto di vista psicologistico e all’introspezione di matrice diltheyana, laddove lo stesso Dilthey aveva concepito il Vestehen e l’Erklaren come 73 Cfr. Max Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Tübingen, Mohr, 1922; edizione critica di Johannes Winckelmann, 1956, trad. it. Economia e società, Torino, Edizioni di Comunità, 1999, vol. I. 74 Alberto Izzo, Karl Mannheim. Un’introduzione, Roma, Armando, 1988, cit. p. 241.

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due forme metodologicamente e ontologicamente contrapposte del conoscere, rispettivamente nelle Geisteswissenschaften e nelle Naturwissenschaften: «Nelle scienze naturali la connessione della natura è data soltanto in virtù di ragionamenti che integrano i fatti, cioè mediante un collegamento di ipotesi. Per le scienze dello spirito ne consegue invece che a loro fondamento c’è sempre la connessione originaria della vita psichica. Noi spieghiamo la natura, mentre intendiamo la vita psichica»75. Il tipo ideale si mostra come una sorta di ipotesi causale a base interpretativa dell’agire sociale; un insieme di processi ipotetici che rendono possibile la comparazione nel processo storico reale, da confermare e/o da smentire sulla base di regole dell’esperienza o del sapere nomologico. Di fatto, è questa sorta di ipotesi che verrà a mancare nell’impostazione mannhemiana del processo storico-concreto. Karl Mannheim sembra non fare ricorso a strumenti di imputazione particolari, soprattutto nella considerazione generale di ciò che risultasse utile all’indagine storica e culturale, cioè tutto quello che potesse risultare rilevabile ad una precisa condotta di sociologia del sapere. Mannheim, quindi, non tenderà ad applicare il procedimento di imputazione storico-causale in ambiti motivazionali. In tal senso, l’interpretazione dell’agire non ricalca necessariamente l’esistenza di un punto di vista razionale, il quale funge da prospettiva per l’intero svolgimento del processo conoscitivo. In Mannheim la considerazione, ad esempio, di aspetti privi di significato, non sfuggirebbe all’analisi, compiuta da una parte o dall’altra di uno schieramento ipotetico di agenti razionali. Mentre Max Weber sembra scartare ciò che “deve essere”, Mannheim ne coglie l’essenzialità, soprattutto se riferito all’agire dotato di significato; mentre in Weber esistono processi che giustificano operazioni di fantasia, in Mannheim i processi del mondo storico-sociale plasmano i modi possibili di riferirsi alla realtà concreta, scartando la possibilità di cercare sempre e ovunque spiegazioni causali. Tale formula di relativismo ricade in Karl Mannheim laddove altri 75 Wilhelm Dilthey, Ideen über eine beschreibende und zergliedernde Psychologie, in Gesammelte Schriften, Leipzig, G.B. Teubner, 1924, vol. V, p. 143, cit. in Franco Bianco, Comprensione, spiegazione, interpretazione; rip. in Pietro Rossi, Max Weber e l’analisi del mondo moderno, Torino, Einaudi, 1981, p. 56.

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sottolineano l’istanza irrazionalistica, presente, ad esempio, in Wilhelm Dilthey, come farà notare György Lukács di Die Zerstörung der Vernunft, quando afferma che Dilthey ha saputo, da un lato, seguire il relativismo storico e quello psicologico, avvicinandosi così a temi-problemi tipici della “distruzione della/nella ragione” del/nel secolo XX, e dall’altro, ha contribuito a orientare i filosofi verso l’intuizionismo e le versioni mitiche76. All’arricchimento del concetto di ragione operato da Wilhelm Dilthey, risponde la tentazione di cadere nell’irrazionalismo, laddove cioè anche Max Weber sembra condurre la propria analisi, a ridosso dei processi storico-sociali. Come è noto, Max Weber entra in polemica con certe posizioni irrazionalistiche di Johannes Von Kries77, le quali cercavano di affermare l’impossibilità per la scienza storico-economica di rintracciare un metodo oggettivo nonché di spiegazioni causali intelligibili dell’agire dell’uomo, estendendo la questione più critica al mondo della cultura “di periodo” e all’impostazione di autori come Wilhelm Wundt, Hugo Müstenberg, Theodor Lipps, Benedetto Croce e Friedrich Gottl78. Ma l’impostazione originaria di Max Weber è quella che parte dalla considerazione dell’agire empirico, valutato secondo la relazione di causazione adeguata tra mezzi e scopi perseguibili, e presuppone di fatto che l’agire empirico si accosti quanto più è possibile all’agire razionale rispetto allo scopo. Weber afferma che il massimo grado di evidenza è posseduto dalla interpretazione razionale rispetto allo scopo, e ciò significa che «la spiegazione teleologica in quanto interpretazione razionale costituisce quindi il modello a cui si riporta, in ultima analisi, anche la comprensione delle altre forme di atteggiamento, e l’atteggiamento razionale rispetto allo scopo serve come tipo ideale 76 Cfr. György Lukács, La distruzione della ragione (1954); trad. it. di Eraldo Arnaud, Torino, Einaudi, 1959, p. 445 e sg.; rist. con introduzione di Elio Matassi, Milano, Mimesis, 2011. 77 Cfr. Edoardo Massimilla, Max Weber zwischen Heinrich Rickert und Johannes von Kries, Köln-Weimar-Wien, Bölau-Verlag, 2012. L’edizione italiana è stampata a Napoli da Liguori, 2010. 78 Cfr. AAVV, Disincanto e ragione: filosofia, valori e metodo in Max Weber, Bari, Dedalo, 1987, p. 24 e sg.

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in base a cui queste possono venir comprese»79. Scrive inoltre Max Weber: «Non c’è alcun agire razionale senza una razionalizzazione causale della sezione di realtà presa in considerazione come oggetto e mezzo d’influenza, vale a dire senza il suo inserimento in un complesso di regole dell’esperienza che esprimano quale risultato c’è da aspettarsi da un determinato comportamento»80. Il concetto di tipo-ideale, come è noto, è qui da intendersi come uno strumento ipotetico e/o come una possibilità interpretativa della realtà, e dunque quale strumento euristico e imputativo razionale. La sua funzione esplicativa è illustrata da Weber: «A causa dell’importanza eminentemente fattuale dell’agire “consapevole allo scopo” nella realtà empirica, la razionalizzazione “teleologica” può venir impiegata come mezzo costruttivo per cerare formazioni concettuali che hanno il più straordinario valore euristico per l’analisi causale di connessioni storiche. E queste formazioni concettuali costruttive possono anzitutto avere un carattere puramente individuale, cioè essere ipotesi d’interpretazione di concrete connessioni particolari: così secondo un esempio già menzionato, quando “costruiamo” la politica di Federico Guglielmo IV, condizionata da una parte da certi scopi presunti e dall’altra dalla costellazione delle “grandi potenze”. Allora la formazione concettuale serve come strumento per commisurare la sua politica reale al grado di contenuto razionale e per riconoscere così da un lato gli elementi razionali e dall’altro gli elementi non razionali (in riferimento a quello scopo) del suo agire politico reale, cosicché diventa poi possibile l’interpretazione storicamente valida di quell’agire, la valutazione della portata causale di entrambi gli elementi e quindi l’inserimento valido della “personalità” di Federico Guglielmo IV come fattore causale nella connessione storica»81. Pietro Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, cit., p. 317. Max Weber, Roscher und Knies und die logiche Probleme der historischen Nationalőkonomie (1903-1906), in «Jahbruch für Gesetzgebung Verwaltung und Volkswirtschaft in Deutschen Reich», a cura di Gustav Schmoller; trad. it. Roscher e Knies e I problemi logici dell’economia politica di indirizzo storico, in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, cit., p. 120. 81 Max Weber, Roscher und Knies und die logiche Probleme der historischen Nationalökonomie, cit., p. 122. 79 80

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