Intro Guerreschi

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TESTIMONIANZE

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Bo Guerreschi

BO(H) Non si deve sempre morire per essere ascoltate

ARMANDO EDITORE

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SOMMARIO

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Vita e Morte… quello che conta è ciò che ci sta in mezzo!

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Il primo sbaglio

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Ancora Roma

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Un nuovo inizio?

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La pasta e la legge

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Il potere contro la salsa

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Tu e lo specchio: che tipo di pasta sei?

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Le donne

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Amore e rinascita

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La paura e l’impedimento

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Tu sei parte di me (ad Asja e per Asja)

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Cambiare

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Sei solo una sembianza di uomo

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Ricette e identità

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Gli amici e gli spaghetti

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Ringrazimenti

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‌Per tutte le donne che hanno combattuto, lottato, che sono morte. E per quelle che moriranno. Per le donne stuprate e sottomesse. Per le donne di oggi e di domani. Per il diritto delle donne alla libertà ‌ Bo Guerreschi

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A mia figlia Asja, solo per essere quello che è… la mia vita, la mia forza, la mia Gioia e una donna GRANDE! Ai miei genitori, Mario e Teresa che, nella loro vita, hanno imparato che essere non significa avere un nome e che amo follemente per tanto datomi. A mio fratello Giorgio, che nel suo essere “unico” non si è mai accorto di quanto fosse più di altri, che non mi conosce e che continuerà a non conoscermi, e che amo tanto. Ai miei nonni Guido, Eufelia, Ersilia che con la loro grande stima e amore, mi hanno insegnato tanto. A Jean, che con tanta forza, tanto amore e tanta stima mi ha difesa e protetta spronandomi sempre ad essere ME STESSA. A tutti loro GRAZIE, per essere come non avrei mai potuto essere se non fossero stati così tanto diversi tra loro.

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Questo scritto è dedicato anche ad una specie particolare di uomini, quella che dovrebbe essere scomparsa da tantissimi anni ma che c’è sempre… È dedicato a quegli uomini che, incapaci di essere veri uomini, vivono in un mondo fatto di muscoli e viagra. Sono la feccia della società e la sua vergogna. Il loro mondo è infarcito di violenza, la loro. A queste vergogne dell’umanità auguro solo di incontrare la legge, quella della galera.

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VITA E MORTE… QUELLO CHE CONTA È CIÒ CHE CI STA IN MEZZO!

Si nasce e si muore: sono tappe che dobbiamo percorrere tutti. Ma è il tragitto tra l’inizio e la fine che fa la differenza per ciascuna persona. Questo percorso che dobbiamo compiere assume intensità e colori diversi per ciascuno. Un solo momento tuttavia accomuna tutti: il pianto d’ingresso. Quel pianto segna l’entrata in scena su di un palcoscenico dove tutti sono insieme attori e spettatori che si affiancano inconsapevoli di essere, a volte, solo comparse. Il palcoscenico è un modo per rappresentare la vita di ciascuno, un modo di stare sotto i riflettori spenti… ogni passo accende una luce, ogni luce ha un tempo di vita lunga o breve. Questo primo pianto dà il via ad una lunga serie di contraddizioni che torneranno per tutto il tempo della vita. Intanto ti mettono in una culla con tanti altri bambini e bambine, poi crescendo ti verrà spiegato che non si dorme nella stessa stanza con un bambino di sesso diverso e ti diranno tante altre cose che ti trasformeranno e non sempre questa trasformazione sarà positiva. Dentro le culle, appena nati, i bambini sono tutti uguali ma si stanno già preparando a diventare ciascuno diversi l’uno dall’altro e non saranno certo loro a decidere cosa vogliono diventare. Gli abiti che indosseranno, le scuole che frequenteranno, l’ambiente di cui faranno parte deciderà del destino o almeno lo influenzerà molto. Verrà insegnato ai bambini che siamo tutti uguali ma è una grossa vergognosa menzogna. Sei sul podio o sei l’ultimo. Appartieni ad una classe o ad una “sottoclasse”. Dalle scuole infantili in poi, ogni bambino perfeziona il suo percorso di diversificazione. 11

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Le scuole non sono tutte uguali, ogni scuola incarna una certa classe sociale, ogni passo che il bambino compie nel cammino della vita avrà questo segno. È vero, c’è la Costituzione la quale ci racconta che tutti gli uomini sono uguali con pari diritti e pari doveri, che dev’essere garantita a tutti la libertà di pensiero e di parola, di religione e di sesso… Ma la vita vera e la società ci raccontano un’altra storia! La storia insegna ma si ripete. Cambiano le motivazioni, cambiano i protagonisti, ma continuano a prodursi e a riprodursi le stesse illusioni, le stesse reazioni, le voglie di arrivare con ogni mezzo ad abbrancare quel potere che logora ma affascina le… marionette del potere

Giuseppe Mazzini scrisse: “Amate, rispettate la donna. Non cercate in essa solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Un lungo pregiudizio ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, quell’apparente inferiorità intellettuale, dalla quale oggi argomentano per mantenere l’oppressione”. “…mantenere l’oppressione” parole che ancora oggi, malgrado i cambiamenti subiti dalla società ci gravano addosso; oppressione che esiste e perdura perché se una modificazione vi è stata, è solamente estetica, di forma e non di sostanza. La Costituzione proclama la parità degli uomini e delle donne… Ma nel 2014 abbiamo avuto la necessità di emanare la famosa legge detta delle “quote rosa” per ottenere una maggiore partecipazione delle donne al Governo. C’è da chiedersi allora dove sia questa parità se le donne hanno bisogno che venga stabilito per legge qualcosa che dovrebbe appartenere solo alla libera decisione delle parti. La parità è ancora una illusione. Sono nata negli anni ’60, sono stata toccata dai grandi cambiamenti che hanno coinvolto tutta la società, dalle lotte per la parità, dai problemi della industrializzazione, dalla negazione di alcuni stereotipi che ne hanno prodotto subito altri di analoghi. Gli stereotipi sono duri a morire. 12

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Come tutti ho ascoltato le nonne, mia madre e come tutti ho visto i colori del percorso vitale trasformarsi. Poi ho cominciato a rendermi conto del mio essere una persona capace di pensare e ragionare, di scegliere e di decidere. Ho capito che avrei trovato e coltivato il mio modo di vedere e di pensare a prescindere da quello che gli altri attorno a me vedevano e pensavano. Le battaglie femministe le ho sentite come il vero segno del progresso, perché se oggi le donne hanno diritto di voto è perché ci sono state tante donne prima di loro che hanno sofferto e lottato. Le donne volevano poter parlare e partecipare alla vita in pienezza di diritto e niente le ha fermate. Noi votiamo perché qualcuno prima di noi ha combattuto tenacemente per darci forza e coraggio. La stessa cosa è accaduta per i diritti delle persone di colore, per l’abolizione della schiavitù. Ci sono state battaglie durissime e sanguinose: ogni cammino verso la democrazia, la libertà e l’eguaglianza dei diritti è lastricato di sofferenza e di sangue. Proprio per tutte queste vicende, si potrebbe pensare che l’ignoranza e l’arretratezza siano state definitivamente sconfitte. Non è così. Mazzini parla di un pregiudizio che negli anni non è mai cambiato nel subconscio collettivo. La sapeva lunga perché ancora oggi ci sono molti, moltissimi uomini che vedono la donna in solo modo, una donna ad una dimensione, come una figurina incollata a piacere nell’album della vita. E forse per questo, per modelli radicati nei millenni, gli uomini hanno una naturale avversione per le donne che dimostrano di avere un cervello: in parole povere ne hanno paura. Per tanto tempo non riuscivo a capacitarmi di questa verità: gli stereotipi non mi sono mai piaciuti, li ho sempre combattuti. Ma mi sono resa conto che per le donne tutto rimaneva chiuso tra le mura domestiche, tutto rimaneva nascosto, tutto doveva essere coperto… e la donna è stata educata molto bene alla menzogna sociale. L’alfabeto della vita posto in tanti articoli senza tempo, trova oggi nel 2014 maggiore risalto perché non c’è la necessità di lottare, è già diritto. 13

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Il diritto c’è, ma la società è falsamente aperta: il diritto c’è ma la realtà delle cose è diversa. Un esempio? Le persone hanno paura di esprimere quello che la stessa costituzione dovrebbe garantire. A volte la reazione si serve dell’equivoco dei termini. Il matrimonio è un sacramento che unisce un uomo e una donna e riguarda la sfera religiosa. Ma nella loro libertà, due gay dovrebbero avere la possibilità di veder riconosciuta la loro unione civile dallo Stato che dovrebbe essere laico e garantire anche chi non è religioso. Ma tutto viene rimescolato e confuso solo perché si usa un termine errato. Papa Francesco ha aperto con coraggio a queste problematiche, perché ha compreso che la società richiede dei cambiamenti e che nessuna religione può negare le libertà dell’individuo, se le sue richieste sono oneste. Non è negando il problema che questo si risolve. La Costituzione parla di “libertà di religione e di sesso”… non specifica né quale religione né quale sesso. Anche se è ancora una utopia, credo fermamente che ciascuno debba essere libero di scegliere come orientare la propria vita. Eppure, se guardiamo i notiziari vediamo dovunque nel mondo lotte di religione e di potere. Non sarebbe meglio accettare di vivere nel rispetto degli altri senza condanne preconcettuali? Negli ultimi 30 anni le donne hanno occupato posizioni di rilievo e si sono distinte in ogni campo e allora perché emanare una legge per le “quote rosa”? Io non sono una quota, non sono parte di una società di capitali, sono una PERSONA e come tale voglio il rispetto e la considerazione che mi spetta. Come cittadino sono azionista di una società civile, ma il potere che per legge mi spetta, mi viene sottratto con mille espedienti che di fatto lo annullano. Ai posti di comando ci sono ben poche donne, in tutto il mondo. Eppure, negli ultimi anni in UK e soprattutto negli USA, si è riscontrato che nelle grandi aziende dove al vertice vi sono donne, si è prodotta una crescita più consistente e che, grazie all’internazionalizzazione, le possibilità e le competenze si sono accresciute. 14

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Il femminismo non si può tradurre come libertà di fare sesso o di abortire, le battaglie vere sono state quelle per ottenere rispetto e soprattutto il riconoscimento delle capacità che le donne dimostrano e hanno sempre dimostrato in ogni settore della vita. Il che non significa che l’uomo sia inferiore: questo concetto di superiore e inferiore è quanto di più tragico ci possa essere nella storia delle relazioni sociali. Vi sono donne che senza armi e mezzi hanno compiuto “miracoli” perché ne avevano l’intelligenza e le capacità. Intelligenza e capacità che hanno contraddistinto anche tantissimi uomini. Non è il sesso che conta, contano lo studio, l’intelligenza, la creatività, la volontà, la tenacia… Alcuni anni fa in un processo, per me giuridicamente senza senso, le donne erano indicate come tante troie. Ascoltando quelle parole mi sono sentita offesa. Avrei voluto dire che se al mondo vi sono tante troie, vi sono altrettanti viagrani che pagano molti soldi per certi servizi. Chi è più troia tra i due: la donna che si vende o l’uomo che compra? Se c’è la domanda, c’è l’offerta è una regola di mercato, ma da questo ad asserire che tutte le donne sono delle poco di buono, ne passa!. Io sono nata e cresciuta in una famiglia agiata. Sono sempre vissuta disponendo di un benessere che nel mio mondo era normale. Ho avuto molte possibilità e all’inizio non notavo le differenze. Ho avuto la fortuna di poter viaggiare molto per studio, per imparare le lingue, per vedere il mondo. Ho sempre frequentato, fino dall’asilo, delle scuole prestigiose. Viaggiando attraverso l’Europa, le differenze che notavo erano poco sensibili, ma quando sono arrivata negli USA, ho capito che fuori, al di là dell’oceano c’è un mondo diverso che ha costruito con fondamenti particolari la sua realtà e che ha sviluppato un complesso diverso di codici sociali. Sono vissuta al Nord di NYC in una famiglia che ancora oggi ricordo con affetto e che mi ha dato molto: Mary, Run, Emily e Kelly. È stato per me un periodo meraviglioso durante il quale mi sono confrontata con canoni sociali diversi da quelli nei quali ero cresciuta e ho imparato molto da loro, dal loro modo di vivere e di comportarsi. 15

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Appena arrivata ho fatto amicizia subito con ragazzi e ragazze di colore. Per me non ha alcun significato il colore della pelle, ma per i “bianchi” era motivo di allontanamento. Essendo proveniente da una famiglia agiata io ero considerata un po’ più “su”. Non è stato facile farmi accettare all’inizio. Non bisogna pensare agli Stati Uniti delle grandi città. All’epoca, la realtà di provincia era molto diversa da quella di adesso. Negli anni durante i quali ho studiato negli USA, ho vissuto la parte più bella della mia vita. I professori erano persone con cui si poteva andare a parlare, a discutere perché erano una parte importante nella vita dei loro studenti… non erano cattedratici irraggiungibili. Naturalmente come ogni paese, ha dei lati positivi e dei lati negativi. È certo però che esiste, e la si percepisce molto chiaramente, una grande spinta a progredire nel senso dei diritti. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato un Presidente degli Stati Uniti di colore, eppure è stato eletto ed è bravo. Non è il colore della pelle che rende le persone migliori o peggiori, come non lo è il sesso, ma è piuttosto la loro intelligenza la loro creatività, la loro capacità di leggere correttamente e comprendere le trasformazioni che ogni società continuamente subisce. Il mondo cammina spedito, ma l’Italia è rimasta ancorata a stereotipi assurdi! Eppure esistono grandi aziende, imprenditori capaci, mercati che chiedono solo di essere conquistati, ma noi accettiamo, e non facciamo niente per impedirlo, che una coltre di ipocrisia ottenebri ogni altra facoltà. Penso ad esempio alle elezioni dei senatori dirette dalla regione, è come dire mettiamo chi vogliamo e chi ci serve, tu cittadino non hai più diritto di voto. Dove sarebbe il vantaggio? Si potrebbe dire “noi diciamo e noi decidiamo”. Duro ma onesto. E invece c’è tutta questa ipocrisia che usa le parole per non dire niente e non far capire. Io sono sempre stata considerata “folle” solo perché ho sempre avuto un carattere aperto, allegro e vivace, ho sempre coltivato molti interessi. 16

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Dato che ho trascorso la maggior parte della mia vita all’estero, ho sviluppato una mentalità più aperta di quelle persone che sperimentano solo la loro realtà più prossima. Ho accettato per disposizione e per esperienza vissuta che al mio fianco ci fossero persone che la pensavano diversamente da me, ma ho anche ritenuto fondamentale che in ogni circostanza fossi io a decidere dei miei comportamenti. Se gli altri si comportano disonestamente, dovrei comportarmi disonestamente anch’io? Nessuno ti può dire cosa devi fare e come devi essere. Studiare non è mai stato un grande problema, l’ho fatto con passione e anche con buoni risultati perché imparavo con facilità. Ma ho sempre avuto una grande autonomia di pensiero, “voglio decidere con la mia testa” è qualcosa di cui mi si accusa ancora oggi a 50 anni. Ragiono troppo, cerco di trovare collegamenti tra le varie conoscenze, e questa caratteristica negli anni non è stata sempre apprezzata, anzi, mi ha procurato molti guai. Mia nonna mi aveva soprannominato “Perry”. Quando ho cercato di indagare sui fatti nei quali sono stata coinvolta mio malgrado, ho continuato a cercare di capire anche se mi sono resa conto che devo aver pestato i piedi a più di qualcuno. Un’idea ce l’avevo e sapevo che avevano paura che provassi in qualche modo l’esistenza di certi collegamenti. Non mi hanno lasciato in pace e io ho reagito denunciando senza mollare mai. Il punto di riferimento di tutta la mia azione è stata la LEGGE, ho sempre creduto in essa e nella sua forza come pure nella forza dei miei diritti. Sono nata in una famiglia dove ogni membro ha svolto le professioni più diverse: ci sono medici chirurghi, medici veterinari, politici, ministri, giudici, professori, farmacisti, rappresentanti della legge equamente ripartiti tra Carabinieri, Polizia ed Esercito. Non dimentico gli appartenenti al mondo del Vaticano anch’essi molto presenti nella mia vita e dunque, come sarei potuta crescere senza alcuna fede nella giustizia? Anche se a volte le regole mi sono state un po’ strette, ci ho sempre tenuto ad essere rispettosa delle leggi. Essere rispettosi della legge non significa camminare con il codice in mano ma semplicemente agire cercando sempre di mantenere vivo il rispetto per sé e per gli altri, significa avere il senso della responsabilità ed essere in armonia con le regole nelle quali si è cresciuti. 17

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Come non devi essere brava a scuola per avere dei buoni voti ma solo per imparare, così non devi comportarti bene per l’approvazione degli altri, ma solo per vivere una vita degna di essere tale. Rispettare la legge poi, non significa servirsene in una sorta di gioco azione-reazione ma soprattutto avere la coscienza di agire bene e sempre alla luce del sole. I vigliacchi si nascondono dietro dicerie, falsità, offese e calunnie sussurrate io, no. Non ho bisogno di nascondermi, ho imparato ad usare la penna per reagire. Fin da ragazza e poi anche quando ho cominciato a seguire gli studi di legge avevo in mente di diventare avvocato penalista. Mentre i miei studi proseguivano ho anche ipotizzato ad un certo punto di orientarmi alla carriera della magistratura. Poi mi sono lasciata affascinare dal compito immane e di grande responsabilità delle forze dell’ordine. Tra l’altro avevo uno zio che lavorava proprio in polizia e per un certo periodo ho accarezzato l’idea di entrare a far parte di questo corpo speciale. Mio zio Angelo mi voleva molto bene, mi considerava come la figlia femmina che non aveva avuto e mi chiamava “Peperonocchia” perché non stavo mai ferma, perché ero curiosa e facevo mille domande e perché il suo lavoro mi affascinava. Una volta mi era capitato di accompagnarlo in ufficio. Avrò avuto forse 6 anni e ricordo ancora oggi gli uffici di polizia di Rovigo, dove stava prestando servizio all’epoca. Eravamo andati a trovarlo con la mia famiglia. Mio zio mi aveva preso per mano e mi stava accompagnando a visitare il suo ufficio, quando venne chiamato da qualcuno. Allora lui lasciò la mia mano e mi affidò ad un collega con la raccomandazione che mi facesse visitare il commissariato. Il suo collega mi spiegò con molta gentilezza il lavoro che svolgevano e io ricordo bene che, benché piccola, gli facevo molte domande alle quale lui rispose sempre con tanta pazienza fino al ritorno di mio zio. Non ho mai dimenticato l’ufficio con la grande scrivania di legno e una poltrona marrone scuro. Ricordo le pareti tappezzate di stemmi appesi e tanti quadri con il suo nome. Quando tornai la prima volta in Italia dagli Stati Uniti, avevo circa diciannove anni e il mio primo pensiero fu quello di andare a parlargli 18

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perché avevo pensato di entrare nell’accademia di polizia a Roma per diventare ufficiale. Alla mia domanda mi guardò bene e dopo qualche minuto in cui rimase sovrappensiero, mi rispose semplicemente: “Con il carattere che hai, che non ti fermi davanti a nulla per far rispettare la legge, ti gambizzano subito”. Poi aggiunse: “Ma dove vorresti fare servizio?”. Io che avevo tanta passione nel sangue, gli risposi tranquillamente che avrei voluto lavorare nei settori più caldi dove a mio parere ha più significato impegnarsi. A quel punto mi prese la mano e guardandomi mi disse: “Peperonocchia perché vuoi morire giovane? Tu non ti fermi, ma ti fermerebbero loro. La prima lotta la devi sostenere all’interno delle mura… solo dopo, fuori… se vuoi io ti aiuto, ma pensaci bene”. In quel periodo andava di “moda” ammazzare magistrati e appartenenti alle forze dell’ordine. Era l’epoca degli omicidi di Stato perpetrati da organizzazioni criminali di primo livello. Dopo aver terminato gli studi, iniziai a fare pratica presso un avvocato civilista ma lo lasciai quasi subito perché mi annoiavo. Ormai avevo capito che il mio vero amore era il diritto penale e andai a far pratica presso un grande avvocato che mi prese molto a benvolere. Furono anni fantastici perché questo avvocato ebbe la genialità di lasciarmi le redini libere e si divertiva anche a guardarmi lavorare. La mattina del mio primo giorno di lavoro nel suo studio, mi consegnò un mucchio di fascicoli e mi disse, indicando con un dito: “Il tribunale è lì, vai”. Per qualche istante io mi domandai: “Vai dove? A fare cosa?”. Aprii i fascicoli e cercando di richiamare alla mente tutto quello che avevo studiato, mi incamminai titubante verso la cancelleria della procura. Mi ricevette un cancellerie claudicante a cui io chiesi: “Secondo lei cosa dovrei fare con questi fascicoli?”. Mi aspettavo qualche rispostaccia, invece lui aprì tranquillamente il primo e dopo un paio di indicazioni, mi fu tutto chiaro. Imparai a lasciarmi andare seguendo il mio istinto, facendo semplicemente ricorso a tutto quello che avevo imparato. Iniziai a seguire l’avvocato dappertutto e mi esercitai a fare quello che sapevo fare meglio… ragionare. 19

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I pomeriggi durante la pausa caffè, l’avvocato Vittorio ed io parlavamo molto dei casi e mi piaceva perché mi ascoltava con attenzione e mi spiegava con competenza. Mi rendeva partecipe del suo lavoro in un modo generoso e sollecito. Lui svolgeva con molta intelligenza la sua professione e io adoravo quell’uomo che mi è sempre rimasto nel cuore. Furono anni bellissimi e di grande interesse che abbandonai ad un certo momento perché volevo provarmi anche in un altro mondo, diverso, certamente, ma non meno impegnativo: quello della finanza, delle società, della strategia finanziaria, insomma dell’economia. Era il mio secondo amore. Ma mi ero già resa conto di quanto fossero vere le parole che mi aveva detto mio zio Angelo: “Prima si deve lottare all’interno…” perché nel mondo della legge, avvocati, magistrati e appartenenti ai diversi ordini in questo settore, non svolgevano la propria attività come uno romanticamente immagina. Non c’era affatto una piena libertà d’azione, che è poco più di una dichiarazione d’intenti, ma sui tanti impedimenti che la contraddistinguono e la viziano, ho avuto modo, mio malgrado, di riflettere e rimuginare a lungo.

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