Educazione controcorrente

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Alessio Migneco

EDUCAZIONE CONTROCORRENTE

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione

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Principio di autorità Cos’è l’autorità? Perché l’autorità? Acquisire autorità Solo autorità? Messa in discussione dell’autorità

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Padre e madre: ruoli intercambiabili?

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Tempo, dedizione, tenerezza Il grande dimenticato: il tempo da passare assieme Slogans ipocriti: poco tempo, ma di qualità Dedizione Tenerezza

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L’immaginario Come si forma l’immaginario?

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A. Giochi e giocattoli: la semplicità vince B. Fiabe e racconti

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C. Musica D. Arti figurative E. Natura Gli strumenti A. Televisione: cattiva maestra, ladra di tempo, serva infedele B. Computer e internet C. Libri D. Musica: cantarla, suonarla, ascoltarla? E. Arte figurativa: quale approccio?

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Socialità e interiorità, estroversione e introversione Importanza della socialità Importanza dell’interiorità Dall’interiorità alla socialità Estroversione ed introversione

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Attività extrascolastiche: ancora questioni di tempo

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Spiritualità

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Una brevissima chiosa conclusiva sulla forma

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Letture consigliate

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A mia moglie Veronica, che con la sua comprensione, il suo silenzioso ma costante e amorevole aiuto ha reso la mia famiglia felice. A mia figlia Cecilia che una volta, dolendosi del fatto che mi vide tagliare l’erba con una rumorosa mietitrice meccanica, disse “peccato, papà, se avessi usato una falce avremmo potuto vedere i grilli e le farfalle”. A mio figlio Gabriele che, quando gli chiesi perché amava sporgere la testa dal finestrino della macchina in corsa, rispose “perché sento il vento nei capelli…”. E poi chiese “papà, il vento è la carezza di Dio?”. A mio figlio Lorenzo che, troppo piccolo per capire qualsiasi cosa, sa già tutto questo.


Introduzione

Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti. L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; Poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell’arco. K. Gibran, Il Profeta

Questo frammento di poesia di Khalil Gibran viene spesso citato da chi interpreta in modo minimale il proprio ruolo di genitore, da chi rispolvera in quest’ambito un fatalismo d’altri tempi, poiché secondo questa visione il genitore si limita ad essere uno strumento nelle mani della vita, ovvero del destino: il percorso della freccia verrà deciso quasi esclusivamente dall’arciere-vita, non certo dall’arco-genitore. Unico compito del genitore sarebbe quello di affidarsi, fatalisticamente appunto, alla vita. 9


È singolare come questa tendenza al fatalismo venga poi di solito smentita appena ci si rivolga ad ambiti diversi, ad esempio a quello lavorativo, ove l’educatore “fatalista” si impegna a fondo per cambiare il proprio destino, rivelandosi, per tutto il resto, un volitivo e determinato antifatalista. In altri termini, questa poesia, pur splendida in sé, quando citata a sproposito si trasforma in un tentativo di deresponsabilizzarsi circa gli effetti della propria educazione: “le cose non andranno bene, o sono andate male? Beh, è la vita con i suoi imprevisti… io cosa ci posso fare?”. Invece credo che proprio in questo campo un impegno totale, costante, il classico “dare il meglio di sé” (tanto spesso citato in altri settori ma curiosamente dimenticato nell’educazione) sia non solo necessario, ma costituisca un dovere morale. Trasmettere il meglio del passato non può che rendere migliore la generazione che dovrà costruire il futuro. Sarà pur vero che i genitori sono soltanto l’arco, soltanto lo strumento di cui si serve la vita per proiettare i figli in questo mondo, ma certamente un arco costruito bene, ben preparato, teso al punto giusto lancerà la freccia meglio di un arco mediocre, costruito con legno di scarsa qualità, bilanciato male e poco teso. Mettiamocela tutta per diventare il miglior arco possibile: costruiamoci bene, calibriamoci continuamente, facciamo una continua “automanutenzione”, mettiamoci continuamente alla prova: cerchiamo di dare il meglio di noi stessi ai nostri figli. 10


I versi di K. Gibran inoltre non tengono conto del fatto che educare è come lavorare per un raccolto, ovvero dissodare un terreno, seminarlo e annaffiarlo. Un lavoro lungo, che dunque permette continue correzioni di tiro, continui controlli e riassestamenti, soprattutto qualora ci si renda conto che si sono fatti o si stanno facendo errori, che si stanno percorrendo strade sbagliate. Riaggiustamenti in corsa che il lancio della freccia con l’arco, al contrario, non permette. Infine, nell’educazione i frutti spesso emergono a distanza non di una stagione, come nella semina, ma a distanza di anni o addirittura decenni: per tanto tempo la semina sembra caduta nel vuoto, sembra lettera morta, quando non addirittura rifiutata violentemente da figli adolescenti. Ma non si educa per l’oggi o l’immediato domani: si educa per la vita. E se si è seminato bene, se si è lavorato con pazienza, intelligenza, dedizione e costanza i frutti – dopo la tempesta, dopo il silenzio – verranno. E quando vengono, è come se i figli tornassero a casa.

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Principio di autorità

Cos’è l’autorità? L’autorità è il padre. Non trovo definizione migliore, suggestiva ed allo stesso tempo precisa, del termine autorità. Il padre – il vero padre – è colui che guida, è colui che prende per mano, è colui che insegna a camminare e contemporaneamente indica la via. Il padre è colui che insegna la legge, e dunque, agli occhi del bambino, la incarna e, di conseguenza, il padre è colui al quale non pesa obbedire. Il padre è colui che si ama e, contemporaneamente, si rispetta. Il padre è colui del cui amore si è sicuri: è colui del quale ci si fida e al quale ci si affida. Ciecamente. Non è casuale che in moltissime culture, e segnatamente in quelle di derivazione indoeuropea, il Dio supremo venga sempre assimilato al padre.

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Perché l’autorità? Decenni di contestazioni nei confronti di qualsiasi autorità, decenni di critiche serrate all’idea stessa di autorità hanno cambiato, lentamente, insensibilmente eppure radicalmente idee correnti, opinioni e mentalità: senza rendercene conto quando si parla di autorità nell’educazione pensiamo subito ad un modello di paternità autoritaria, fatta di punizioni, repressioni e severità, nella quale non c’è spazio per l’amore, la tenerezza e la comprensione. Modello che ovviamente rifiutiamo, rifiutando al contempo qualsiasi cosa abbia a che vedere con il concetto di autorità. Questa visione distorta è semplicemente frutto di un condizionamento sottile, operato in questi ultimi decenni surrettiziamente dai mass-media, dalle politiche sociali, dalla letteratura cosiddetta scientifica, che ha portato a sopprimere il concetto di autorevolezza o a farlo confluire in quello, oggettivamente esecrabile e universalmente odiato, di autoritarismo. Conviene invece ripristinare la differenza concettuale fra autoritarismo e autorevolezza, ed è proprio sulla figura di padre autorevole che bisogna riflettere, per poterla recuperare. Padre autorevole è colui che, in virtù della propria persona, del proprio modo di essere, si pone automaticamente, senza imposizione o coercizione alcuna, nella posizione dominante di chi guida, di chi insegna e indica. È colui, insomma, che viene investito spontaneamente, da parte dei figli, di autorità e podestà. Il padre autoritario è invece colui 14


che sfrutta le prerogative del proprio ruolo dominante perché insicuro, perché deficitario sul piano caratteriale, perché insufficiente come persona, perché privo, in una parola, di autorevolezza. Questa situazione psicologica e relazionale sfocia invariabilmente, proprio per mancanza di quel prestigio, di quell’aura che solo l’autorevolezza conferisce, nel ricorso continuo a metodi educativi punitivi e repressivi. Il padre autorevole incarna realmente l’autorità, il padre autoritario incarna solo la severità, la punizione, la repressione, la coercizione. Coercizione che diventa, spesso, fine a se stessa. Ma visto che il ’68 ha lasciato tracce profonde e durature, è logico che a noi, figli e nipoti spesso inconsapevoli dell’ideologia contestataria, anche l’immagine del padre autorevole risulti un po’ desueta, sicuramente fuori moda, e, sotto molti aspetti, criticabile. Ma a ben guardare, la maggior parte delle critiche nei confronti della figura di padre autorevole riguarda in realtà solo chi, in un modo o nell’altro, usurpa tale ruolo, ne sfrutta le prerogative per propria soddisfazione, per proprio narcisismo o per semplice piacere nell’esercizio del potere. Si tratta cioè di critiche che investono i padri che, per carenze caratteriali sono, appunto, scivolati nell’autoritarismo. In altri termini, tali rimproveri vengono in realtà mossi a chi indegnamente ricopre quel ruolo, non alla figura in sé. O, se si vuole, si tratta di critiche attente alle possibili degenerazioni di tale modello di paternità autorevole, degenerazioni che rischiano di trasformarlo in una forma di paternità autoritaria. Ovviamente non mancano anche i giudizi 15


negativi proprio sulla figura di padre autorevole in quanto tale (indipendentemente da chi e da come questa venga incarnata), ma queste critiche portano a mettere in discussione la necessità stessa dell’autorità nell’educazione, e finiscono automaticamente per declassare il ruolo di educatore a quello di consigliere, confidente o al massimo di amico. Ruoli sicuramente importanti, ma sussidiari, e comunque utili solo una volta che l’educazione sia già stata avviata, una volta che l’ex bambino, diventato giovane o adulto, cerchi ancora sostegno e consiglio in famiglia. Il bambino ha invece bisogno di qualcuno che lo guidi, di qualcuno che gli indichi, con amore ma, appunto, con autorità la via da seguire. Forse l’esempio più calzante è quello di un viaggiatore che si trovi in un paese sconosciuto: per un bimbo piccolo ogni cosa è novità, la vita stessa è novità, e il suo accidentato percorso non è altro che una serie di incognite, un po’ come, appunto, per il viaggiatore sperduto. Ecco: di chi ha bisogno questo viaggiatore? Di chi gli sa indicare con sicurezza la via o di chi gli da qualche generico consiglio? Di chi gli dice dove andare, e cosa troverà una volta percorsa la strada o di chi raccoglie le sue confidenze? Consigliare il bambino ove egli chiede sicurezza, rispondere con dubbi ai suoi dubbi, convincere piuttosto che vietare – in breve: rinunciare all’idea di autorità nell’educazione – significa disorientarlo, probabilmente per sempre, in questa vita. Molto più criticabile del modello, da molti avvertito come arcaico, di padre che incarni l’autorità, mi pare, al contrario, la pallida ed evanescente figura di padre moderno, spesso 16


mammo succedaneo di madri troppo indaffarate, solerte cambiatore di pannolini, subalterno ed eterno compagno di giochi e talora dispensatore di qualche distratta risposta alle continue, incessanti domande dei bambini, il padre-amico, il padre-compagno, il padre-consigliere. Il padre che ha rinunciato, in una parola, al suo ruolo, e dunque a qualsiasi forma di autorità. Per non parlare poi del padre assente, ovvero del padre egoista, troppo preso dai propri impegni o divertimenti, o del padre “gran lavoratore”, che immola alla propria carriera l’educazione dei figli, illudendosi di poterla poi ricomprare pagando lezioni di tennis, di pianoforte o facendo frequentare al bambino costosi istituti privati. Il padre assente spesso si illude che passare poco tempo, ma “di qualità” con i figli gli permetta di eludere i grandi sacrifici, il grande impegno ed il grande dispendio di tempo che l’educazione di ogni bambino invariabilmente richiede. Come diceva Giovanni Paolo II, ci sono troppi orfani di genitori viventi, alludendo proprio a questi bambini abbandonati, sacrificati all’egoismo o alla voglia di carriera dei genitori. E sono questi i bambini che ricevono scarse attenzioni e una pessima educazione. Perché se i genitori sono assenti, saranno unicamente la scuola o l’asilo a tempo pieno, la televisione e gli amici ad occuparsi della loro educazione. E tutto questo fornirà sicuramente stimoli, suggestioni, indicazioni, modelli a volte giusti, a volte sbagliati, ma invariabilmente mancherà chi indicherà con coerenza una via, chi interpreterà questi stimoli, queste suggestioni, chi ne darà un giudizio. Mancherà chi spiegherà la 17


differenza fra dannoso e benefico, fra utile e inutile, fra bello e brutto. Fra bene e male. Il risultato non potrà che essere la mancata differenziazione in senso morale, culturale ed estetico dell’animo bambino, e tutto questo, a sua volta, non potrà che sfociare nell’indifferenza morale, estetica e culturale del futuro adulto. Il bimbo senza guida assomiglia all’ignorante in un museo o al semianalfabeta in biblioteca, disorientato da quella miriade di stimoli, da quel caleidoscopio policromo che colpisce i sensi e l’intelletto. Cosa ne trarrà questo illetterato, questo ignorante, data la sua incapacità di gerarchizzare, capire, valutare, collegare e ordinare le mille informazioni, i mille stimoli, le mille comunicazioni? Solo confusione e, alla fine, noia! Ebbene, trovo oggi molti giovani confusi e annoiati vagabondare nel “museo-biblioteca” della vita, svuotati di senso e senza nessun riferimento. Che nella loro educazione sia mancata una guida? Che siano stati educati, in altre parole, secondo un modello antiautoritario? Il dubbio è lecito… Ai figli di padri evanescenti, privi di autorità, o di padri assenti, mancherà insomma la possibilità di identificarsi con un modello. Un modello magari insufficiente, magari da criticare o da superare più tardi nella vita, ma essenziale in tenera età per orientarsi, per dare ordine alla realtà e iniziare a capirla. In assenza di genitori, o in presenza di genitori privi di autorità, mancherà la voce che guida nel buio. E di conseguenza mancherà, se vogliamo adottare una terminologia psicanalitica, una equilibrata formazione del proprio io. 18


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