Dislessia

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Bruna Grasselli

LEGGERE LA DISLESSIA Resilienza, Riconoscimento, Competenze

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione

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Capitolo 1: Conoscere per comprendere la dislessia 1.1. L’apprendimento della lettura 1.2. La dislessia evolutiva

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Capitolo 2: La capacità di resistere 2.1. Gli studenti dislessici raccontano 2.2. La famiglia di fronte alla dislessia

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Capitolo 3: Costruire risposte all’università 3.1. Un’accoglienza competente 3.2. Una bella storia: l’esperienza di Nicola

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Conclusione

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Appendice: Le iniziative della facoltà di Scienze della Formazione di Roma TRE

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Riferimenti bibliografici

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Introduzione

Non si sottolineerà mai abbastanza la rilevanza sociale e culturale della ricerca e delle iniziative volte alla prevenzione e ad interventi riabilitativi, didattici ed educativi precoci relativi ai disturbi specifici dell’apprendimento. La percentuale di incidenza di questi ultimi sulla popolazione italiana è infatti stimata tra il 3 ed il 5 per cento della popolazione. Questo vuol dire che tre/cinque italiani su cento soffrono di un DSA più o meno severo, che si presenta da solo o più spesso si sovrappone ad un altro. La scoperta di queste particolari forme di disturbo, prima di tutte la dislessia, avvenne all’inizio del XX secolo quando ad opera di tre studiosi, Morgan, Hinshelwood ed Orton che la definivano come una cecità visiva per le parole senza, tuttavia, dare una grande importanza a questa patologia e lungi da metterne in evidenza la rilevanza sociale derivata innanzitutto dalla, allora ignorata, diffusione. È quando si iniziò a mettere il bambino al centro dell’azione educativa, a renderlo soggetto e non più solo oggetto del processo di insegnamento/apprendimento, quando insomma il focus dell’attenzione si spostò sempre più da un bambino astratto all’osservazione attenta del bambino reale che il riconoscimento del disturbo ha avuto modo di emergere e di essere individuato in modo sempre più chiaro. La strada verso una definizione più chiara, condivisa e scientificamente fondata di cosa sia un DSA è stata una strada lunga, in parte ancora da percorrere, ma è approdata oggi ad una conoscenza affidabile su cui basare adeguati criteri di intervento riabilitativo, didattico ed educativo coerenti alle conoscenze raggiunte. 7


Occorre però rilevare che la diffusione di queste conoscenze non è ancora adeguatamente diffusa, rispetto a quanto sarebbe necessario, anche fra chi è preposto all’insegnamento della letto scrittura e dunque dovrebbe essere in grado di rilevarne le difficoltà. Una grande operazione culturale per la diffusione della conoscenza in questo ambito ed in particolare per la formazione degli insegnanti, operata per anni attraverso le iniziative della Associazione Italiana Dislessia (AID), si è messa in moto con più forza dopo la promulgazione della legge 170/2010 che per la prima volta sancisce i diritti delle persone dislessiche ad un percorso educativo che tenga conto delle loro esigenze particolari. Possiamo purtroppo solo immaginare come nel lontano passato gli alunni dislessici fossero addirittura espulsi dai percorsi formativi perché ritenuti incapaci di apprendere e come, dopo l’introduzione dell’obbligo scolare siano andati ad ingrossare le fila delle classi speciali, insieme ai bambini che provenivano da strati socioeconomici svantaggiati, bambini con problemi comportamentali, bambini “difficili”, bambini che non si ritenevano in grado di adeguarsi ad un insegnamento uguale per tutti. Negli ultimi decenni, dopo l’abolizione delle classi speciali, possiamo immaginare ed anche rilevare dalle testimonianze di ex studenti ormai adulti, che gli alunni e gli studenti che presentavano un DSA abbiano aumentato i numeri, in Italia come sappiamo particolarmente elevati, della dispersione scolastica. Per dispersione scolastica consideriamo quel fenomeno multiforme che non concerne esclusivamente l’abbandono di un determinato corso di studi, ma include anche percorsi difficili e poco significativi che si declinano in ripetenze, frequenti bocciature, disinteresse e distacco cognitivo ed emotivo nei confronti della scuola, rendimento basso, disadattamento scolastico, sfiducia e ostilità nei confronti della istituzione. Sulla base di tale definizione possiamo affermare che il destino dei bambini e degli studenti dislessici si è spesso configurato in questi termini e soprattutto nella mancata realizzazione delle proprie potenzialità. 8


La situazione degli studenti dislessici nella scuola sta ora cambiando, anche se questo cambiamento implica l’impegno degli insegnanti perché il dettato legislativo si trasformi in quotidiana pratica didattica. Innanzitutto è necessario un impegno a conoscere meglio i meccanismi dell’apprendimento della letto-scrittura che, come verrà messo in rilievo nel primo capitolo, lungi dall’essere semplici e scontati, sono complessi e faticosi. Questo tipo di apprendimento prevede, infatti, una connessione che il cervello del bambino deve operare tra aree cerebrali deputate a funzioni diverse. Si tratta di un apprendimento non semplice poiché, mentre per l’apprendimento del linguaggio orale il nostro cervello è predisposto geneticamente a elaborare le informazioni uditive, per quanto riguarda l’apprendimento della scrittura e della lettura, ogni bambino deve ripercorrere il faticoso processo che gli uomini hanno compiuto per passare dall’oralità primaria alla lingua scritta. La dislessia si presenta poi come una realtà complessa, non omogenea, sia a livello sintomatico che, probabilmente, a livello delle cause che la producono. Ciò fa sì che occorre conoscere le particolarità di ogni alunno e che non si possono operare facili generalizzazioni sia dal punto di vista di una diagnosi funzionale, sia da quello dell’intervento riabilitativo, didattico e educativo. Particolarmente significativo è cercare di ricostruire quali siano quegli elementi di competenza e resilienza che fanno sì che non tutte le “storie di dislessia” seguano quel copione che appare quasi ineluttabile; un copione di difficoltà, insuccessi continui, incomprensioni da parte degli insegnanti e, prima della diagnosi, anche da parte dei genitori, demotivazione, disagio e distacco dalla scuola e infine abbandono degli studi o scelte di basso profilo che non permettono il dispiegarsi di tutte le potenzialità della persona. Attraverso le storie di vita che ci sono state raccontate e che, nel capitolo 2 di questo testo, riportiamo integralmente, abbiamo messo in rilievo come alcuni fattori personali e contestuali possano invece costruire competenze di resilienza che interrompono questo circolo vizioso e che costituiscono addirittura un motore del successo formativo. Fra questi è emerso fondamentale il ruolo della famiglia nel soste9


nere il percorso scolastico e psicologico di figli che presentano bisogni educativi speciali. La famiglia, infatti, messa di fronte ad eventi critici che richiedono una trasformazione dell’assetto personale e relazionale dei suoi membri, attiva risorse emotive e cognitive per affrontare il nuovo compito educativo. Ma affinché i diritti di tutte le persone dislessiche, possano trovare un giusto ascolto occorrono servizi che sostengano la famiglia o lo studente nella ricerca di risposte adeguate ed efficaci. Nel capitolo 3 affrontiamo il problema degli studenti dislessici all’università. Come è stato messo in evidenza in esperienze oramai consolidate di interventi di aiuto per studenti universitari dislessici e attraverso le riflessioni degli stessi studenti, il contesto universitario può essere ansiogeno, disorientante e dispersivo. È dunque prioritario perseguire quella “riduzione dei disagi relazionali ed emozionali” che la legge 170 annovera fra le sue finalità. A questo scopo il ruolo dei Tutorati Universitari appare particolarmente significativo nelle loro funzioni di accoglienza, di counseling educativo, di sostegno emotivo e di affiancamento allo studio attraverso strumenti tecnologici, strumenti compensativi e peer tutoring. L’accoglienza competente, gli aiuti congruenti, gli strumenti aggiornati, il clima positivo del contesto universitario e sociale consentiranno agli studenti di vivere la loro esperienza di studio con soddisfazione e benessere personale e di progettare e indirizzare il proprio futuro secondo aspirazioni e interessi non lasciando che la dislessia ne freni la realizzazione.

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Capitolo 1

Conoscere per comprendere la dislessia

Riteniamo importante, per comprendere appieno la dislessia e come viene vissuta da chi ci convive ogni giorno, descrivere cosa accade nella mente del bambino e nell’adulto che legge. In questo modo potremo riflettere sulle storie di dislessia senza pregiudizi e luoghi comuni, ma partendo da conoscenze scientifiche sull’argomento.

1.1. L’apprendimento della lettura La lettura può essere definita come una delle invenzioni più straordinarie nella storia dell’evoluzione dell’uomo ed è stato possibile acquisire tale abilità grazie alla naturale plasticità della mente umana. «La lettura è l’esempio per eccellenza di invenzione culturale acquisita che avanza richieste alle strutture cerebrali preesistenti»1. Ciò significa che, grazie ai processi di apprendimento che si attivano nelle prime fasi di scolarizzazione, la mente dei bambini si predispone all’acquisizione del codice alfabetico. Fin dai primi tentativi di codificare il linguaggio in un codice scritto, l’uomo ha dovuto adattare la sua mente per conquistare questa meravigliosa invenzione culturale, quale è la lingua scritta. Il nostro sistema di scrittura si è costituito nei secoli grazie ad un progressivo e continuo affinamento dei sistemi di codifica del linguaggio. 1

M. Wolf, Proust e il Calamaro: storia e scienza del cervello che legge, Ed. V&P, Milano, 2009, p. 12. 11


Il bambino, nel corso dell’apprendimento della lingua scritta, ripercorre a livello ontogenetico e in un tempo limitato quello che a livello filogenetico hanno percorso le culture che sono approdate ad un sistema di scrittura di tipo fonetico. Comprendere che il linguaggio è costituito da una struttura combinatoria di suoni è stata l’importante conquista concettuale che ha determinato l’invenzione dei sistemi fonetici di scrittura alfabetica. L’intuizione umana di riflettere sia sulla dimensione semantica sia su quella fonetica della parola ha permesso di rappresentarla in un numero finito di simboli grafici. Quindi, «l’invenzione della scrittura, […] va classificata tra le più alte imprese intellettuali dell’umanità. Senza la scrittura, la cultura umana, come oggi la conosciamo, sarebbe inconcepibile»2. I processi che si mettono in atto nel corso dell’apprendimento della lettura sono molto complessi e richiedono l’attivazione di differenti abilità sia cognitive sia motivazionali: le prime sono collegate al funzionamento delle nostre aree cerebrali come le funzioni attentive, di memoria, di organizzazione spaziale e linguistica; le seconde più legate al piacere della lettura determinato da differenti contesti quali quelli educativi, sociali e culturali. Tutti questi processi sono possibili se è presente una “motivazione ad agire”, che si attiva sulla base del livello di comprensione del valore dell’obiettivo da raggiungere: in ambito scolastico, tale motivazione è fortemente collegata alla capacità che un insegnante ha di valorizzare tutti i potenziali presenti nei bambini, innescando un circolo virtuoso che spinge il bambino “alla necessità di apprendere”. Quindi, le azioni necessarie per poter effettuare un compito di letto-scrittura possono concretizzarsi grazie all’efficacia delle funzioni cognitive di base (abilità di coordinazione oculo-manuale, abilità di tipo spaziale e linguistiche); metacognitive, che ci permettono di pianificare inizialmente, monitorare nel corso dell’esecuzione e verificare la correttezza dell’obiettivo fi-

2 W.J.

Ong, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, il Mulino, Bologna, 1986, p. 119. 12


nale che viene raggiunto. È per questo che l’apprendimento della lingua scritta rappresenta la sintesi tra sistemi e funzioni3. Sulla base dei concetti appena espressi si comprende che l’apprendimento della lettura sia determinato dalla congiunzione di azioni complesse che devono essere fra loro fortemente coordinate, in modo particolare nelle fasi iniziali che corrispondono ai primi due anni della scuola primaria. La motivazione iniziale a imparare a scrivere di un bambino viene indotta dalle sue esperienze in ambiti fra loro molto differenti (ad es., vedere i propri genitori scrivere o leggere; osservare le insegne dei negozi e iniziare a comprendere il significato delle parole; ecc.). Tutto ciò, in ambito scolastico, assume un valore più formale dove sarà proprio l’insegnante ad alimentare la curiosità e il desiderio di apprendimento. Ana Teberosky ed Emilia Ferrierio4 hanno sottolineato l’importanza delle fasi che precedono l’apprendimento formale della letto-scrittura ovvero tutti quei processi/scoperte che avvengono prima dell’entrata dei bambini nella scuola primaria. Il bambino inizia la sua “preparazione” all’apprendimento alla letto-scrittura molto tempo prima rispetto a quello che comunemente si pensa, mettendo in funzione tutte quelle abilità di base, in modo più o meno consapevole, preparatorie all’alfabetizzazione formale incorporando molte intuizioni rispetto alla scrittura. Le autrici hanno dimostrato che l’apprendimento del codice scritto non avviene in modo discontinuo, e che non si passa da “non sapere leggere e scrivere a saperlo fare”, ma che tale acquisizione è la meta di un processo evolutivo iniziato negli anni che precedono l’alfabetizzazione formale. Esse descrivono «un’immagine del bambino che non è quella di un vuoto da riempire, né di un essere che ha già tutto in sé e di cui bisogna attendere la naturale maturazione. Il bambino è piuttosto un soggetto attivo di conoscenza, che, anche nel campo della lingua scrit3 A. Martini, Le difficoltà di apprendimento della lingua scritta: criteri di diagnosi e indirizzi di trattamento, Ed. Del Cerro, Pisa, 1995. 4 E. Ferrierio, A. Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Ed. Giunti-Barbera, Firenze, 1985.

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ta, […] procede ponendosi problemi, elaborando ipotesi, individuando metodologie adeguate per la loro verifica […]»5. Gli autori che fanno riferimento a un approccio cognitivista descrivono l’apprendimento della lettura proponendo dei modelli che prevedono fasi progressive di sviluppo di abilità, che il bambino acquisisce sulla base della graduale automatizzazione delle fasi precedenti. Ad esempio il modello descritto da Uta Frith prevede quattro fasi di sviluppo: logografica, alfabetica, ortografica, lessicale. Nella prima fase, logografica, il bambino acquisisce la capacità di riconoscere visivamente un certo numero di parole (vocabolario visivo) non utilizzando il suono delle parole. Il bambino, grazie all’intermediazione dell’adulto, legge facendo riferimento agli aspetti visivi, riconoscendone il significato solo per associazione. In questa prima fase, che coinciderebbe con il periodo prescolare fino all’insegnamento formale, il bambino non è in grado di analizzare la parola rispetto alla sua struttura ortografica e tanto meno di comprendere che essa costituisce la mappatura di una struttura fonologica; quindi la sua analisi si limita alla forma globale o all’osservazione di indizi formali quali: la forma della parola, la lettera iniziale, la lunghezza, ecc. Questo primo “esercizio” basato su un approccio di analisi e memorizzazione visiva che caratterizza la fase logografica è propedeutico per il passaggio alla successiva fase alfabetica dove il bambino inizia ad utilizzare alcuni “indizi” visivi delle singole lettere e soprattutto li associa ai suoni corrispondenti. All’ingresso della scuola primaria il bambino viene sollecitato a osservare la natura alfabetica dell’ortografia della nostra lingua e comprende la stretta relazione che sussiste tra la forma verbale e la forma scritta della propria lingua. Caratteristica principale della fase alfabetica o sub-lessicale è l’abilità, che il bambino gradualmente acquisisce, di convertire la lettera nella sua forma fonetica utilizzando un numero ampio di parole. Questo continuo esercizio di segmentazione delle parole lo porterà al raggiungimento della phonological awareness, ossia a un pieno livello di consapevolezza che le pa5

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Ibidem, p. 7.


role che pronuncia sono tutte scomponibili in sillabe o fonemi. Questa “scoperta” che a un lettore esperto può apparire scontata e banale non lo è affatto per un bambino nelle prime fasi dell’apprendimento della lettura; difatti, il pieno raggiungimento della fase alfabetica si conclude per molti bambini alla fine del secondo anno della scuola primaria. Nella terza fase, ortografica, il bambino riflette sulle parole segmentandole con l’obiettivo di estrarre le caratteristiche ortografiche più appropriate (es. digrammi), quindi comprende che la parola è costituita da una struttura ricorsiva composta da consonanti e vocali, e che alcuni fonemi variano in funzione al contesto, ossia in rapporto alla lettera che li precede o segue. In questa fase il bambino inizia ad utilizzare la via di lettura visivo-lessicale, quindi analizza le parole nella loro forma ortografica e ciò può avvenire con più “indizi di ricerca” (unità morfemiche, segmenti ortografici, ecc.); si crea, inoltre, un lessico ortografico che aumenta gradualmente in rapporto all’esercizio di lettura. Nell’ultima fase, quella lessicale, il bambino si avvale della strategia di lettura globale e riserva l’utilizzo della via di conversione grafemafonema solo per le parole ancora non conosciute; quindi le parole che ha acquisito e che fanno parte del suo lessico vengono riconosciute come unità di significato. Analizzando il modello proposto dalla Frith, si potrebbe ipotizzare che le iniziali difficoltà di apprendimento della lingua scritta siano legate a difficoltà di elaborazione fonologica della parola, indispensabile per la trasformazione del codice scritto6 e che la constatazione del livello di accesso alla fase alfabetica sarebbe sinonimo della predizione di successi o insuccessi nell’apprendimento. Uta Frith, quindi, rappresenta l’apprendimento del codice scritto seguendo un modello evolutivo. La tendenza attuale è quella di studiare i processi di acquisizione della letto-scrittura sia da un punto di vista evolutivo sia rispetto all’osservazione delle sotto-funzioni che si attivano in un lettore adulto come 6

G. Stella, A. Apolito, Lo screening precoce nella scuola elementare, Erickson, Trento, 2004. 15


nel modello elaborato da Coltheart e coll.7 nel 1986. L’autore ha descritto un modello definito a due vie con il quale analizza i processi di lettura e di scrittura rispetto a tutte le componenti: percettive, linguistiche, motorie e cognitive, che entrano in azione (fig. 1) nel momento in cui leggiamo e scriviamo.

Figura 1. Il modello di Coltheart e coll. (1988)

È importante sottolineare, che l’assunzione di un modello che analizza un processo complesso come quello di letto-scrittura solo nella sua parte strumentale utilizzando una modalità schematica che tralascia aspetti motivazionali e abilità cognitive superiori8, è utile per comprendere con maggiore specificità le difficoltà di apprendimento, quindi tutti 7

Ibidem. Inferenze lessicali o semantiche, correggere incongruenze all’interno di un testo ecc. 8

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quei problemi che un bambino può incontrare nelle prime fasi dell’acquisizione del codice scritto. Se si osserva il modello (fig. 1) di Coltheart si riesce subito ad individuare la presenza di due vie principali la via fonologica e quella lessicale. La prima (fonologica), presente in tutte le lingue alfabetiche e assente in quelle poche lingue a base ideografica (es. cinese), permette, grazie all’acquisizione di regole di conversione grafema-fonema, di analizzare in modo particolareggiato le parole e di compiere un assemblaggio delle strutture minime per accedere alla lettura. Tuttavia, la maggiore difficoltà che il bambino deve affrontare nell’acquisizione del codice scritto è dovuta all’apprendimento di unità che hanno, su un piano percettivo, una natura astratta. Molte volte, alcune difficoltà specifiche di apprendimento risiedono proprio in questa fase evolutiva e possono determinare un accesso ritardato o, comunque, problematico alla letto-scrittura. La via lessicale, viene utilizzata dal lettore esperto, che ha acquisito un proprio lessico ortografico o “immagine ortografica” delle parole; il bambino la utilizza gradualmente, a seguito della ripetuta esposizione al codice scritto per mezzo del processo più strumentale di conversione grafema-fonema (via fonologica). L’intuizione di Coltheart di ipotizzare due vie di accesso al codice scritto si è basata su deduzioni che partono dall’osservazione sia delle fasi evolutive dell’apprendimento della letto-scrittura, sia dei processi di lettura di lettori adulti. In altri termini, se non fosse presente una via fonologica di decodifica del linguaggio scritto non avremmo la possibilità di decifrare le cosiddette “non-parole” (ad es., alcuni cognomi o le parole straniere non conosciute), che per loro definizione non hanno significato e quindi non possono essere immagazzinate nel nostro lessico. Viceversa, la presenza della sola via fonologia (conversione grafema-fonema), non ci permetterebbe di risolvere le cosiddette “ambiguità ortografiche” di una lingua9. Inoltre, la struttura del modello di 9

Ad esempio, in presenza di una parola come “cuore”, se seguissimo solo la via fonologica di conversione avremmo il 50% di possibilità di individuare l’ortografia corretta – cuore vs quore; viceversa, l’uso della via lessicale ci permette 17


Coltheart appare molto congruente con le tappe evolutive descritte dalla Frith: i bambini in una prima fase di apprendimento della letto-scrittura utilizzerebbero in modo preponderante la via fonologica, che corrisponderebbe al passaggio dallo stadio logografico e alfabetico al successivo stadio ortografico, che vede la corrispondenza con l’attivazione della via lessicale, in grado di permettere al bambino di potere gestire anche quelle parole ad ortografia complessa. Tuttavia, la via di conversione fonema-grafema continuerà ad essere utilizzata per tutte le parole che non hanno significato nella nostra mente e quindi anche nelle fasi iniziali di acquisizione di nuove parole. In sintesi, un modello che potrebbe apparire molto riduttivo rispetto al processo complesso della letto-scrittura a cui si riferisce, ha invece un alto valore sul piano educativo, perché permette di comprendere cosa accade in presenza di un ritardo nell’acquisizione del codice alfabetico e quindi di poter tempestivamente mettere in atto prassi educative che siano più rispondenti alle modalità diverse di apprendimento di questi studenti. Inoltre, l’analisi delle funzioni che sottostanno all’apprendimento della letto-scrittura ci fa comprendere quanto l’acquisizione della lingua scritta non sia regolata da meccanismi di tipo genetico, così come accade per il linguaggio orale, ma da meccanismi complessi e volontari che richiedono l’attivazione di strutture che originariamente sono deputate per altre funzioni come: la vista, l’udito o il linguaggio. Tutto ciò deve far comprendere che in presenza di un disturbo specifico dell’apprendimento come quello che si riferisce alla lettura (dislessia) l’origine risiede in uno o più meccanismi che non hanno interagito in modo adeguato con le altre funzioni che permettono di elaborare informazioni di tipo ortografico e che quindi tutto questo non implica un ritardo intellettivo. Purtroppo, l’associazione disturbo specifico dell’apprendimento e scarsa intelligenza è ancora un binomio, se pur errato, presente, dovuto alla scarsa o distorta conoscenza su tale argomento. di recuperare nel nostro lessico ortografico la corretta codifica grafica per quella parola. 18


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