Education Sciences & Society luglio dicembre 2012

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ANNO 3 N. 2 Luglio - Dicembre 2012

Education Sciences & Society Ri-pensare la pedagogia Ri-pensare l’educazione

ARMANDO EDITORE



SOMMARIO

Editoriale MICHELE CORSI - JUAN DE PABLOS PONS

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ARTICOLI/SAGGI 9 Des rapports entre pédagogie,psychopédagogie et recherchesde sciences de l’éducation en France MARGUERITE ALTET 11 Ripensare la pedagogia: passione,illusione, progetto MARIA TERESA MOSCATO 29 La pedagogia del lavoro GIUDITTA ALESSANDRINI 55 For an Hermeneutics of Pedagogical Thought FLAVIA STARA 73 Algunas consideraciones sobre la tecnología, la innovación y la educación en un escenariode crisis JUAN DE PABLOS PONS 87 Pedagogical Sciences, Economics of Education and Economic Pedagogy LUCA REFRIGERI 101 Quality of life of disabled people: prospects for lifelong learning pedagogy GABRIELLA ALEANDRI, GIACONI CATIA 119 The disappearance of childhood and the lack of desire. Rethinking intergenerational education between pedagogy and psychoanalysis STEFANIA ULIVIERI STIOZZI 145 Interdisciplinary perspectives for pedagogical research: from selection to education of new teacher GABRIELLA ALEANDRI, LUCA GIROTTI, GIUSEPPE LANEVE 159 LESSICO PEDAGOGICO Pedagogia e Scienze dell’educazione A CURA DI FLAVIA STARA

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APPROFONDIMENTO BIBLIOGRAFICO Pedagogia e Scienze dell’educazione A CURA DI FLAVIA STARA

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RECENSIONI M. Baldacci, Trattato di pedagogia generale MICHELE CORSI

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ARTICOLI/SAGGI ONLINE La realtà aumentata e nuove prospettive educative GIOVANNI ARDUINI Per una Scienza dell’educazione apertaal dialogo interdisciplinare: il caso emblematico del rapporto con l’Ecologia ELENA MARESCOTTI La riflessione pedagogica tra educazione formale e informale ALESSANDRO FERRANTE, DANIELE SARTORI La ricerca pedagogica: conoscere, intervenire, comunicare KATIA MONTALBETTI Former a la pedagogie: oui, mais comment? JEAN HOUSSAYE ALIA ONLINE Actual trend in education: teaching with powerpoint. A romanian case study LAURENţIU ANDREEA RAMONA, NOREL MARIANA, POPA DANIELA, LUPU DACIANA RECENSIONI ONLINE M. Gallerani, L’abitare etico. Per un’etica problematicista dell’abitare FRANCO FRABBONI B. Martini, Pedagogia dei saperi. Problemi, luoghi e pratiche per l’educazione FLAVIA STARA C. Giaconi, Nella comunità di Capodarco di Fermo. Dalle pratiche all’assetto pedagogico condiviso. Report di ricerca ROBERTA CALDIN R. Deluigi, Tracce migranti e luoghi accoglienti. Sentieri pedagogici e spazi educativi LORENA MILANI D. Zoletto, Dall’intercultura ai contesti eterogenei. Presupposti teorici e ambiti di ricerca pedagogica ROSITA DELUIGI D. Maccario, A scuola di competenze PATRIZIA MAGNOLER G. Galli, Virtù sociali ANNAMARIA PASTORE PERONE

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Editoriale MICHELE CORSI - JUAN DE PABLOS PONS

Abbiamo riflettuto a lungo sul titolo da dare a questo sesto numero di Education Sciences & Society. Che è anche il frutto della prima “call” che abbiamo lanciato come direzione della rivista, in accordo col suo Comitato editoriale. Laddove altre “call” seguiranno, in forma però non costante, ma in base a una decisione che sarà motivata, di volta in volta, da ragioni di opportunità connesse allo specifico tema in argomento. Così come, sempre a partire da questo fascicolo, abbiamo dato avvio a una duplice tipologia di pubblicazione. Infatti, alcuni contributi figureranno riportati “a stampa” anche nel cartaceo della rivista, e altri “online”. Si diceva comunque, prima, del titolo di questo numero. Ne potevamo scegliere altri e diversi. Se avessimo voluto adottare una dizione per così dire “classica”, opzioni quali, ad esempio, “Pedagogia e scienze dell’educazione” o anche “Riflessioni pedagogico-educative” oppure “Pedagogia ed educazione oggi” o nondimeno “Nuove frontiere pedagogico-educative” avrebbero coperto sufficientemente l’intero spettro degli articoli ospitati, le loro articolazioni e le loro differenti sfaccettature. A imboccare, invece, la via della “provocazione”, si sarebbe potuto decidere per “È ancora possibile educare?” o “C’è necessità della pedagogia, oggi?”. Per approdare, infine, a ulteriori denominazioni quali “Rifondare l’educazione” o “L’utilità della pedagogia”. Un ventaglio di scelte terminologiche peraltro presente, in forma manifesta o latente, nell’articolato di questo numero. Che risponde fondamentalmente a due precise scelte di campo. La prima è che tanto la pedagogia quanto l’educazione oggi vanno ripensate. Non è più possibile, infatti, continuare a percorrere antiche strade epistemiche e contenutistiche, ignorando il “cambiamento” che ci sovrasta, e

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attraversa generazioni e persone, società e istituzioni, sul versante sia della scienza, e delle scienze tutte: metodi, modelli, approcci ecc., come su quello delle drammatiche, e “novissime”, domande di senso e di significato per l’azione e l’impegno educativi contemporanei. Poi, la seconda scelta è stata a favore della dovuta, ma mai scontata interamente, “circolarità”, sistemica o catastrofale, tra pedagogia ed educazione, tra teoria e pratica, tra teorie e pratiche: “al plurale”, in una pedagogia da sempre plurale, anche ideologicamente, e particolarmente oggi, chiamata a “riflettere”, ciberneticamente, un’educazione di fatto pluralista e auspicabilmente democratica. Due decisioni, queste, che possiamo far risalire entrambe a Dewey, mai citato abbastanza e mai elogiato a sufficienza. Tanto da averlo come capostipite, vicino o lontano, pure di molte nuove frontiere pedagogiche ed educative (a sessant’anni dalla morte): dalla “Philosophy for Children”, attraverso l’elaborazione creativa e l’intermediazione successiva di Matthew Lipman, sino alle teorie contemporanee sulla “riflessività”. Infatti, “porsi domande, risolvere problemi, formulare ipotesi, inventare ed immaginare sono solo espressioni diverse di quella complessiva e significativa esperienza in sviluppo che Dewey identifica come pensiero. E il pensiero è inquiry, ricerca, tensione esplorativa e sperimentale, ma anche funzione creativa ed immaginativa, nonché procedura riflessiva, che attribuisce senso e significato alle esperienze e alla vita”. Queste espressioni di Maura Striano, dell’ormai lontano 1999 (lontano, perché viviamo in un’epoca che cammina, non sempre felicemente, con la “velocità della luce”) sono, per un verso, il paradigma, o la metafora complessiva, anche di tutti gli articoli presenti in questo numero (a stampa e on line) e, peraltro, coerentemente con quanto argomentato sinora, “spiegano” nondimeno la doppia firma congiunta di questo editoriale. Dalla “passione, illusione e progetto” in Maria Teresa Moscato, alle nuove frontiere pedagogiche in Giuditta Alessandrini, Elena Marescotti, Katia Montalbetti e Luca Refrigeri, alle sfide pedagogiche e educative del presente in Gabriella Aleandri e Catia Giaconi, Giovanni Arduini, Alessandro Ferrante e Daniele Sartori, Stefania Ulivieri Stiozzi, ancora Gabriella Aleandri, Luca Girotti e Giuseppe Laneve, sino alle “domande” di struttura scientifica e epistemologica, cui rispondono Jean Houssaye e Flavia Stara, e al quadro innovativo di ricerca, descritto da Marguerite Altet e Juan de Pablos Pons. Appunto Juan de Pablos Pons, autorevolissimo collega spagnoRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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lo dell’Università di Siviglia, attualmente Preside della locale Facoltà di “Scienze dell’educazione”, fondatore e direttore del gruppo di ricerca e valutazione sulle tecnologie educative, che è la disciplina che egli insegna e l’ambito di impegno, nazionale e internazionale, dei suoi studi e della sua copiosa e significativa produzione scientifica: dagli “ICT – Information and Communication Technologies – in Education” alla nuova professionalità docente, a molto altro ancora. E con lui, in particolare, vogliamo lanciare, in questo numero di Education Sciences & Society, un comune appello, nella considerazione dell’attuale crisi sistemica, economica e sociale, che si ripercuote pure nei processi di educazione e di istruzione, a favore del ruolo ineliminabile dell’educazione, assunta nella sua generalità, quale fattore, appunto, di uguaglianza sociale. L’educazione “pubblica” (e, con essa, la scuola, in tutte le sue dimensioni organizzative, ancorché private e legalmente riconosciute), rappresentano, infatti, un’opzione di valore, oltre che una ben precisa elaborazione filosofica e politica. Sono l’espressione di un “diritto” che richiede, contestualmente, il pieno esercizio di tutti i diritti civili e politici: senza “formazione”, del resto, è impossibile addivenire a una cittadinanza “totale” e a una partecipazione “autonoma”, nel quadro di principi comuni e condivisi. Lo sviluppo, pertanto, di un’educazione socialmente responsabile necessita di un corpo docente “competente” e ben selezionato, formato su basi scientifiche, che possa “crescere professionalmente”, avvalendosi, nondimeno, di un’adeguata, e imprescindibile, formazione “permanente e in servizio”. Nessuna riforma scolastica ed educativa, che si volesse perciò realizzare, può evitare di tenere in debito conto questo “aspetto” assolutamente “fondamentale”; e, cioè, che la qualità di un sistema educativo non può essere disgiunta dalla qualità del suo corpo docente, dei suoi educatori e formatori. Un’evidenza, questa, che viene, invece, facilmente “dimenticata” da molti dei “riformatori” attuali. E le basi scientifiche, cui si faceva prima riferimento, trovano il loro concreto sostegno, e appoggio, proprio in quella ricerca, e dimensione, pedagogiche, da diffondere ulteriormente, che costituiscono la proposta culturale e formativa di questo fascicolo. Una presenza, dunque, quella di Juan de Pablos Pons nella scrittura di questo editoriale, che testimonia, conclusivamente, l’ “utilità” di una pedagogia capace di ripensarsi e attualizzarsi costantemente, guardando avanti e non rimpiangendo il passato, così da ammodernarsi e quasi “anticipare il EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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futuro”, parlando “nuovi linguaggi” e proponendo nuove strade di ricerca pedagogica e di presenza educativa. E che, nemmeno casualmente, già adombra, o prefigura, il prossimo numero di Education Sciences & Society, che sarà dedicato ai temi delle neuroscienze, dell’enattivismo e della semplessità. Naturalmente “in Education”. E in prospettiva fisiologicamente internazionale.

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Articoli/Saggi

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Des rapports entre pédagogie, psychopédagogie et recherches de sciences de l’éducation en France

MARGUERITE ALTET

Résumé: Quel est le rapport entre la pédagogie,la psychopédagogie et la science de l’éducation? L’article a souligné que cette question épistémologique fondamentale a été élaboré dans le contexte de la science française. A partir de la dynamique historique complexe arrivant ainsi à la légitimité de ces disciplines dans le cursus universitaire, l’auteur arrive à la conception d’un nouveau et riche domaine de recherche des sciences de l’éducation: les pratiques pédagogiques. Dans ce sens sont adressées importantes réflexions épistémologiques: à partire de la nécessité d’établir une méthodologie pour une recherche de caractère explicatif et compréhensif plutôt que prescriptif; à la definition des pratiques et des activités éducatives. La perspective proposée afin de comprendre la complexité de la pratique des enseignants est d’une analyse pluriel et d’une approche multidisciplinare qui permettent d’atteindre nouvelles guides de lecture théoriques des pratiques observés. Abstract: What is the relationship among pedagogy, psychology and educational sciences? The article highlights how this fundamental epistemological question has been developed within French scientific context. Starting from the complex historical dynamics to legitimate these disciplines within the university curriculum, the author comes to designing a new and rich field of research in educational sciences: pedagogical practices. In this direction, important epistemological reflections are addressed: the need to set methodologically explanation and comprehension research rather than prescriptive research; the definition of practices and educational activities. The perspective proposed in order to understand the complexity of teachers’ practices is that of a plural analysis and of a multidisciplinary approach that allow to reach new theoretical guides about observed practices. Mots-clés: pédagogie, psychopédagogie, sciences de l’éducation, pratiques enseignantes, pédagogie du praticien.

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Marguerite Altet

1. Bref historique de la genèse des relations entre pédagogie et sciences de l’éducation La discipline universitaire «sciences de l’éducation» fut créée institutionnellement en France en 1967, notre propos sera de montrer son évolution à partir de l’importante question des rapports complexes entre la pédagogie, la psychopédagogie et la, les sciences de l’éducation, l’éducation recouvrant à la fois un champ de pratiques et un champ de savoirs. Nous rendrons compte de l’évolution des relations entre la pédagogie et les sciences de l’éducation, discipline sous la forme scientifique et plurielle telle qu’elle existe aujourd’hui, à partir de l’examen des travaux de recherche sur les pratiques pédagogiques, sur les pratiques enseignantes, tout en montrant la place nécessaire de la pédagogie comme théorie-pratique. Des historiens ont dégagé l’origine à la fois philosophique et pédagogique des sciences de l’éducation et rappelé qu’il y eut bien avant, dès le début du XIX siècle, des tentatives de pédagogie scientifique ou de science de l’éducation. Ce fut d’abord le projet de science positive de Marc-Antoine Jullien de Paris, en 1812 qui tenta de soumettre les pratiques éducatives à une rationalité scientifique et technique en créant une taxonomie «afin que l’éducation devienne une science à peu près positive». Puis, fut mis en place, comme l’a montré J. Gautherin (1991), dans le souci politique d’édifier la nation, de légitimer l’œuvre scolaire de la 3e République et de former ses maîtres,un cours de Science de l’éducation institué par le Ministère de l’Instruction publique dès 1883. Ce cours fut assuré successivement par Buisson, Marion puis Durkheim et au tournant du siècle, 15 des 17 Facultés françaises disposaient d’un enseignement de Science de l’éducation. Mais cette institutionnalisation, d’après J.Gautherin, ne s’explique ni par une volonté d’édifier la science susceptible d’éclairer les faits éducatifs, ni par une volonté d’outiller les pratiques pédagogiques, elle vient seulement de la volonté politique d’élever le niveau de formation des maîtres et les cours sont assurés par des professeurs de philosophie, spiritualistes pour la plupart, tous républicains, la Science de l’éducation du XIX, fut souvent, comme le décrit G. Compayré en 1879, un enseignement général, spéculatif et formel sur les fondements et les fins de l’éducation, de la morale et de la société. En France, la science de l’éducation fut donc à ses débuts une science spéculative. Au XX siècle, après la guerre, la création, en 1967des sciences de l’éducation comme discipline universitaire par Gaston Mialaret, Jacques Wittwer, RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Jean Chateau, Maurice Debesse répond aussi à une demande politique du Ministère de l’Education, en novembre 1966, de créer un cursus en pédagogie au sein des universités françaises. Mais la mise en place d’une licence puis une maîtrise en 1968, se situe dans le courant de développement des sciences humaines et sociales et reflète une demande de rapprochement entre la pédagogie et une approche par les sciences humaines de l’éducation, en particulier avec les apports de la psychologie. Cette évolution s’inscrit alors dans un nouveau paradigme scientifique. Les rapports complexes entre pédagogie et sciences de l’éducation Au moment de l’institutionnalisation de la discipline universitaire «les sciences de l’éducation», la pédagogie était encore l’affaire des «Ecoles normales» qui formaient les enseignants de l’enseignement primaire et se limitait à un ensemble de recettes pour «bien faire la classe». Quelques universités, pourtant, assuraient déjà un autre enseignement qui était pour les uns, de la pédagogie générale, pour les autres de la psychopédagogie ou de la philosophie et de l’histoire de l’éducation. L’enseignement donné dépassait ainsi déjà largement le «comment faire» pour aborder, soit sous l’angle philosophique, soit sous l’angle historique, soit sous l’angle scientifique en s’appuyant sur les apports des sciences humaines et sociales, les problèmes éducatifs. On voit les définitions différentes données à la pédagogie entre pratique et théorie; l’approche de Durkheim, avec l’idée de théorie-pratique, semble pouvoir rendre compte des tensions entre les deux disciplines. Durkheim distingue différents niveaux de sensdu terme «pédagogie»: – la pédagogie comme action et art de l’éducateur, du «bon pédagogue», – la pédagogie comme réflexion sur l’action éducative, – la pédagogie comme systématisation de cette réflexion en une doctrine (la pédagogie Freinet, Montessori…). La pédagogie comme théorie-pratique selon Emile Durkheim est donc une théorie non scientifique qui vise à améliorer l’action, une discipline normative, un projet d’action construit en vue d’améliorer celle-ci. Alors que les prétentions de «la» science de l’éducation sont de l’ordre de la compréhension ou de l’explication des phénomènes éducatifs, la pédagogie vise à juger ou à transformer l’action éducative: c’est une discipline praxéologique. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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La pédagogie est donc une théorie, est-elle une science? Se confond-elle avec la science de l’éducation? L’éducation est susceptible d’une approche scientifique. Son objet, c’est l’ensemble des pratiques mises en œuvre par une génération sur la génération suivante en vue de son adaptation au milieu social. Une science de l’éducation (l’histoire comparée, la sociologie des institutions) vise donc la connaissance des faits éducatifs sans préoccupation d’applications pratiques immédiates ou d’évaluation. Science de l’éducation et pédagogie ont bien le même objet mais pas le même intérêt théorique: les sciences de l’éducation visent la connaissance des faits éducatifs,la pédagogie recherche leur amélioration. Gaston Mialaret (2006) rappelle que tous les universitaires, membres de la Commission réunie par le Ministère en novembre 1966 se mirent d’accord sur le titre de cette licence et de cette maîtrise et refusèrent d’emblée le terme proposé par le Ministère, de licence de pédagogie, pour adopter celui de «Licence de Sciences de l’Education» en s’inspirant de l’exemple «des sciences de l’éducation» au pluriel, de l’Institut J-J.Rousseau de Genève. Ils ont voulu ainsi marquer la rupture entre ce qui aurait pu être considéré comme un enseignement uniquement tourné vers une pratique scolaire et un enseignement basé sur l’ensemble des réflexions et des recherches scientifiques qui pouvaient définir un champ universitaire: celui des sciences de l’éducation. Ainsi, «les sciences de l’Education» se situaient alors dès leur création institutionnelle, dans un projet de connaissance et se construisaient à partir de disciplines scientifiques descriptives et explicatives pour étudier «les conditions d’existence de fonctionnement et d’évolution des situations et des faits d’éducation» (G. Mialaret, 1976), à partir de disciplines mères psychologie(s), mais aussi, sociologie(s) (Isambert-Jamati), histoire de l’éducation (Beillerot), économie (Eicher), philosophie (Reboul, Best)… Progressivement, elles se sont constituées un territoire propre autour d’objets complexes contextualisés, qu’elles traitent par des approches plurielles avec la pluridisciplinarité, l’inter, la co-disciplinarité nécessaires. Les fondateurs de la discipline universitaire «sciences de l’éducation», ceux de la «première génération», Maurice Debesse, Jean Chateau et Gaston Mialaret, avaient pensé créer une licence de «pédagogie» en 1962, puis une licence de «psychopédagogie». L’important traité que Maurice Debesse et Gaston Mialaret ont publié aux Presses Universitaires de France, après la création des Sciences de l’éducation, entre 1969 et 1978, s’appelait «Traité des sciences pédagogiques». On peut dire que les fondateurs institutionnels de RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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la discipline n’avaient pas vraiment fait le deuil de l’idée d’une «science de l’éducation» qu’ils concevaient comme une science pédagogique ou bien comme une psychopédagogie scientifique, «une pédagogie expérimentale», non plus comme une «théorie-pratique».

2. La psychopédagogie comme discipline de transition La psychopédagogie ou la psychologie pédagogique apparue avec Claparède, (1906), médecin, psychologue et éducateur et créateur de cette notion, a joué un rôle intermédiaire entre la pédagogie et les sciences de l’éducation». Pour lui, elle correspond à une pédagogie qui prend en considération des facteurs psychologiques dans l’acte éducatif; c’est ainsi qu’il la définit dans «Psychologie de l’enfant et pédagogie expérimentale». Dans la même optique, a suivi le courant de la «pédagogie expérimentale», de la recherche expérimentale en pédagogie avec Alfred Binet, Henry, Simon, Buyse, Gilbert de Landsheere et Gaston Mialaret qui tous insistent sur la nécessité de «faire profiter la pédagogie des progrès récents de la psychologie expérimentale». Il s’agit de la conception d’une pédagogie nouvelle fondée sur l’observation et sur l’expérimentation, sur une «recherche scientifique» du type de celle des sciences humaines. Le terme de psychopédagogie est repris par G.Mialaret, assistant de psychopédagogie à l’ENS de Saint Cloud en 1946, Directeur du premier laboratoire de psychopédagogie, puis, fondateur à Caen du laboratoire de psycho-pédagogie en 1957, où il s’est efforcé de prendre en compte les apports de la psychologie de Piaget et de Wallon. La psychopédagogie désigne alors, à la fois «une théorie, une méthode et un ensemble de pratiques pédagogiques qui se réfèrent aux données de la psychologie de l’Education», à la fois un projet double de connaissance et d’action ou une «étude des composants psychologiques de l’action éducative» qui permet de mener une analyse psychopédagogique de la communication en classe ou de l’évaluation, Mais G.Mialaret utilise aussi la notion d’«attitude «psychopédagogique», comme prise de conscience des facteurs d’ordre psychologique pour enseigner.

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La création de la discipline universitaire des «sciences de l’éducation» Avec la création et le développement des départements de sciences de l’éducation à Caen en 1967 par Gaston Mialaret, à Bordeaux, à Paris V, à Lyon, à Paris 10, Paris 8, Toulouse, depuis quarante ans, 30 départements fonctionnent adossés à des équipes de recherche; on assiste ainsi à un tournant épistemologique qui donne naissance à un nouveau champ scientifique: les sciences de l’education, définies comme des sciences plurielles descriptives et explicatives pensées à partir des sciences humaines et sociales «mères» va se développer comme en atteste en 1973 le premier congrès «apports des sciences fondamentales aux sciences de l’éducation» Avec G.Mialaret et avec la génération universitaire qui a suivi, les responsables de la discipline (ceux de la deuxième génération) ont confirmé un nouveau choix: ils ont pensé les Sciences de l’éducation à partir des sciences humaines et sociales «mères»en les séparant de la pédagogie, restée liée à l’action et prescriptive: on est psychologue, sociologue, anthropologue dans la discipline universitaire des Sciences de l’éducation. Dans cette logique, il est normal de tenir les Sciences de l’éducation pour une discipline universitaire au sens institutionnel même s’il elle demeure en construction sur le plan épistémologique. Ces dernières décennies ont montré qu’il existe, d’une part des objets qui nécessite la spécificité de l’approche plurielle, pluridisciplinaire propre des sciences de l’éducation, que d’autre part, il existe des noyaux de recherche en éducation irréductibles aux recherches des autres sciences humaines, comme les pratiques enseignantes, l’évaluation, les didactiques disciplinaires et qu’enfin il y a une façon de mener des travaux de sociologie ou de psychologie au sein des Sciences de l’éducation qui se caractérise par une ouverture aux apports des autres sciences humaines dans le champ de la recherche, mais aussi par la construction d’objets spécifiques, ainsi que par un intérêt pour les formes de praxis éducative. Les Sciences de l’éducation revêtent, en France, l’ensemble des caractéristiques d’une discipline scientifique. Dans un texte de 1994, Georges Vigarello faisait le constat – «définitif» pour ce qui concerne la France– de l’irréductibilité des sous-disciplines qui les constituent, entre elles: «Les faits ici s’imposent et ils sont têtus: impossible, pour l’instant, d’y reconnaître quelque méthode ou quelque concept spécifique, impossible de définir une unité épistémologique. Il est inutile de refaire l’histoire des disciplines de sciences humaines pour montrer à quel point sont rares, sinon RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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exceptionnels, les concepts transdisciplinaires. La quête mythique «d’une» science de l’éducation s’est effacée devant la réalité du multiple: la diversité est aujourd’hui reconnue, soulignée, travaillée». Aujourd’hui, les Sciences de l’éducation sont institutionnellement une discipline; épistémologiquement elles demeurent encore plutôt comme la fédération d’un noyau singulier de Sciences de l’éducation d’une part et de segments de sciences humaines voisines, ancrés – en particulier– dans des postures marquées par le souci de confronter leurs approches singulières à d’autres approches disciplinaires, mais aussi par la construction d’objets spécifiques, ainsi que par un intérêt pour les formes de praxis éducative abordées de façon plurielle par diverses approches disciplinaires pour constituer «les sciences de l’éducation».

3. La pédagogie, les pratiques pédagogiques: objet de recherche des sciences de l’éducation La pédagogie, théorie-pratique, ne s’inscrit pas dans ce champ scientifique, nos travaux sont l’illustration d’un point de vue qui consiste à considérer la pédagogie comme objet de recherche et à identifier ce que les recherches en sciences de l’éducation ont apporté sur la description et la compréhension des processus à l’œuvre dans les pratiques pédagogiques. Les pédagogues ont longtemps dit aux enseignants de façon normative ce qu’ils devaient faire, ce qu’ils pourraient mieux faire en élaborant diverses théories (Pédagogie Freinet, Pestalozzi, Montessori…). Et en tant que praticiens de la pédagogie, les enseignants témoignent beaucoup de leurs activités en classe et de leurs difficultés, mais celles-ci sont peu étudiées objectivement à partir d’une analyse du fonctionnement des pratiques effectives. Des chercheurs en sciences de l’éducation ont pris pour objet les pratiques enseignantes, le processus interactif enseignementapprentissage, tel qu’il se déroule en situation de classe. Les pratiques pédagogiques sont un de ces objets de recherche complexe, un objet carrefour spécifique aux sciences de l’éducation, qui relève d’une pluralité d’approches disciplinaires: psychologique, sociologique, pédagogique, didactique, épistémologique. Pour pouvoir connaître, délimiter, problématiser et rendre comptede ce processus complexe, les chercheurs ont croisé des approches disciplinaires, afin de pouvoir mieux restituer les différentes composantes du processus et d’en comprendre le fonctionnement. L’étude des pratiques EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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enseignantes recouvre les pratiques pédagogiques à l‘école; il existe aussi des travaux sur les pratiques pédagogiques en formation d’adultes, en éducation familiale. Des travaux prescriptifs aux recherches explicatives et compréhensives Historiquement, en Amérique du Nord, les premiers travaux sur l’enseignement dans les années cinquante, se sont inscrits dans un paradigme behavioriste «processus-produit» à visée prescriptive forte. Ils réduisaient l’étude de l’enseignement aux seuls comportements observables de l’enseignant. Ces travaux visaient à déterminer l’efficacité de l’enseignement et les manières d’enseigner étaient analysées à partir des qualités personnelles intrinsèques de l’enseignant censées produire des effets sur les performances scolaires des élèves (Walberg, 1991). Les recherches qui ont suivi, relevant d’un paradigme cognitiviste, portaient sur «la pensée des enseignants». Elles concevaient la cognition en tant qu’instance essentielle de contrôle de la pratique enseignante, l’enseignant étant vu comme un décideur qui, à partir de ses pensées, théories et choix personnels, planifie ses actions et les met en oeuvre (Shavelson, 1981, Tochon, 1993). Puis l’émergence du paradigme «écologique» a permis de prendre en compte l’importance de la «situation» (Bronfenbrenner, 1986) au sein de laquelle se déroule l’enseignement. Aujourd’hui, le paradigme interactionniste s’est développé en France comme au Québec. Ces quinze dernières années, des chercheurs (Altet, Bru, Clanet, Gauthier, Lenoir, Tupin, Vinatier) proposent un modèle intégrateur qui vise l’articulation de plusieurs types de variables personnelles, processuelles et contextuelles en interaction. Les variables étudiées concernent l’enseignant, mais portent aussi sur l’élève et la situation pour mieux comprendre et expliquer le fonctionnement de la pratique enseignante dans sa complexité à partir de l’étude des processus en jeu, de leurs interactions et des différentes dynamiques internes et externes. Un réseau international d’une trentaine d’équipes pluridisciplinaires de chercheurs travaillant sur l’Observation des Pratiques Enseignantes, dit réseau OPEN (2001-2011), piloté par Altet, M. Bru, M. Blanchard-Laville, C., décrit l’enseignement à partir des processus interactifs enseignement-apprentissage en classe en analysant l’activité d’enseignement en contexte. Il s’efforce de regrouper et de confronter les résultats des travaux existants à partir d’approches disciplinaires diverses pour rendre intelligibles les pratiques enseignantes telles RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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qu’elles existent dans leur diversité et comprendre leurs relations avec les apprentissages des élèves dans des contextes variés. Avant le développement de cette approche scientifique, l’enseignement a été longtemps appréhendé par les théoriciens ou les praticiens de la pédagogie à travers une approche prescriptive des «méthodes pédagogiques», de typologies de méthodes fondées sur des oppositions ou dualismes utilisés par les enseignants pour rendre compte de leurs pratiques: méthodes directives/non directives, traditionnelles/innovantes, expositives/ interactives ou, dans l’enseignement de la lecture, méthodes globales, analytiques, synthétiques. Ces oppositions de méthodes présupposent que la pratique d’un enseignant est réductible à la mise en œuvre méthodique d’une procédure préalablement établie. Les travaux scientifiques d’OPEN, à l’inverse, montrent «l’impossible approche parles méthodes». Les chercheurs ont des approches plus fines, car, pour eux, la pratique ne se résume pas à une mise en œuvre qui serait toujours méthodique. Une pratique professionnelle recouvre des procédures, des produits mais aussi des processus interactifs, cognitifs, relationnels, psychologiques, contextuels. Le fait d’analyser les processus en rendant compte des dynamiques en jeu dans la pratique enseignante éloigne les chercheurs des modélisations de type entrée-sortie ou méthode. La pratique ne peut être considérée comme l’application d’une méthode, car chaque enseignant adapte à sa manière les caractéristiques de la méthode choisie. Une comparaison des pratiques observées de plusieurs enseignants censés mettre en œuvre la même méthode fait apparaître des écarts interindividuels importants et une grande variabilité. Le même enseignant met aussi en œuvre des procédures qui peuvent varier dans le temps en fonction des circonstances et des situations. Dans une recherche conduite sur deux années scolaires avec les mêmes enseignants du primaire, Altet, Bru, Bressoux, Leconte-Lambert (1994-1996) établissent même que la variabilité intra-maître, à conditions de travail différentes, est plus élevée que la variabilité inter-maîtres à conditions égales. De même, plusieurs chercheurs montrent la difficulté à repérer une organisation méthodique de la pratique, car dans les faits, un enseignant ne règle pas méthodiquement son action dans toutes les circonstances mais est un bricoleur en situation. Enfin, si la pratique enseignante revient à réaliser des activités finalisées, ces finalités sont multiples et la notion de méthode qui renvoie à la mise en œuvre de moyens organisés, tend à ignorer le caractère multifinalisé de la pratique enseignante. C’est le constat des limites de la notion de «méthode» EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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qui a amené les chercheurs à construire de nouveaux modèles d’intelligibilité de la pratique enseignante et de son fonctionnement. Des définitions de la pratique et de l’activité enseignante La notion de «pratique enseignante» s’avère polysémique et revoie à plusieurs définitions. L’utilisation des notions de pratique et d’activité varient selon les champs théoriques de référence utilisés, même si un consensus se dégage sur les caractéristiques suivantes: – les pratiques enseignantes recouvrent d’abord ce que font les enseignants dans la classe lorsqu’ils sont en présence des élèves. Les pratiques professionnelles correspondent à l’accomplissement de l’activité d’enseignement dans une institution, en classe dans le face à face pédagogique, ce qu’on a longtemps appelé «les pratiques pédagogiques», mais elles recouvrent aussi ce que fait l’enseignant hors de la classe pour la préparation didactique des séances ou encore dans les actions en lien avec des collègues, des personnels non enseignants, des «partenaires extérieurs» et des parents. La pratique enseignante est en général définie comme la manière de faire singulière d’une personne, sa façon réelle, propre, d’exécuter une activité professionnelle dans une institution d’enseignement. La pratique, ce n’est pas seulement l’ensemble des actes observables, actions et interactions liées aux multiples tâches de l’activité professionnelle visible; elle inclue les procédés de mise en œuvre de l’activité dans une situation donnée par une personne en interaction avec d’autres avec les réactions, les interactions, les choix, les prises de décision. La pratique professionnelle recouvre donc à la fois la manière de faire singulière, «le faire propre à cette personne», son style personnel, relationnel, pédagogique et didactique mais aussi les procédés pour faire» qui correspondent à une fonction professionnelle (par exemple le «savoir-enseigner»), à une activité telle qu’elle est définie par un groupe professionnel particulier en fonction de finalités, de buts, d’objectifs et de choix autonomes. Cette dernière dimension correspond à ce qu’Y. Clot (1999) appelle le «genre professionnel» par opposition au «style personnel». L’enseignement peut être alors défini comme «un processus interactif, interpersonnel, intentionnel, finalisé par l’apprentissage des élèves» (Altet, 1994), sachant que le contenu du savoir, l’objet de l’apprentissage en tant qu’instrument du développeRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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ment de l’enfant, est la condition sine qua non du fonctionnement de toute pratique enseignante, si enseigner vise à «faire apprendre». Un grand nombre de chercheurs s’entendent aussi pour définir la pratique professionnelle de l’enseignant comme le fait P. Bourdieu dans Le Sens pratique (1997) à partir de dimensions multiples. La pratique enseignante est multidimensionnelle, pédagogique certes mais aussi didactique, affective, temporelle, psychosociale. Ces dimensions constitutives interagissent, ce qui permet l’adaptation de l’enseignant à la situation professionnelle vécue A cette multidimensionnalité s’ajoutent d’autres traits constitutifs de la pratique enseignante: – une articulation intention/manières de faire observables: les recherches portent sur des observables et sur le sens que donne l’acteur à sa pratique, et essayent de prendre en compte le rapport entre intention et pratique effective; la pratique enseignante est multifinalisée. – une articulation singularité / groupe social. La pratique renvoie à la fois à l’enracinement dans un sujet singulier et dans une tradition (pédagogique, didactique), celle d’un groupe professionnel d’appartenance; – un aspect paradoxal: stabilité/variabilité, répétition/innovation. Ainsi, selon les approches théoriques, la notion de pratique enseignante est plus ou moins intégratrice mais reste une construction théorique du chercheur et non un observable. La notion peut englober l’activité, l’action: l’activité enseignante s’actualise par des pratiques: les pratiques sont l’accomplissement de l’activité.

4. L’exemple de l’approche plurielle des pratiques enseignantes en Sciences de l’éducation Pour comprendre la complexité des processus en jeudans les pratiques enseignantes, l’analyse plurielle (Altet, 2002) est une approche pluridisciplinaire qui se veut plus heuristique qu’une simple juxtaposition d’approches disciplinaires. Ce cadre d’analyse produit de nouvelles grilles de lecture théoriques de la complexité des pratiques enseignantes observées, en analysant une activité enseignante singulière pour rendre compte de l’articulation des multiples dimensions et tensions en jeu; la démarche est fondée sur la confrontation de cadres théoriques différents (didactique, soEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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ciologique, clinique, analyse des interactions enseignant/apprenant, interactions langagières intersubjectives) pour comprendre les processus interactifs en jeu. Elle montre qu’il n’y a pas de méta-langage donné a priori par une des disciplines, mais qu’un métalangage se construit à partir de la confrontation pluridisciplinaire avec ses propres concepts fédérateurs comme l’analyse des tensions et des régulations au cœur de la pratique. Les multiples dimensions, épistémique, pédagogique, didactique, psychologique et sociale, qui composent la pratique, interagissent entre elles au cours de l’adaptation de l’enseignant à la situation professionnelle et commandent la gestion conjointe de l’apprentissage des élèves et de la conduite de la classe. C’est l’articulation entre ces différentes dimensions que l’approche plurielle des pratiques enseignantes s’efforce de mettre au jour. Pour ce faire, les chercheurs privilégient l’observation et la description de pratiques effectives, puis l’entretien avec l’enseignant observé. Ce choix d’une approche multidimensionnelle de la pratique enseignante amène à reconsidérer une distinction entre, d’un côté, les travaux de didactiques disciplinaires, centrés sur la gestion des contenus, leur structuration et leur acquisition par les élèves, et d’un autre côté, les recherches sur l’enseignement, la pédagogie, qui se focalisent sur la dimension communicationnelle de l’enseignement, et les travaux psychologiques et sociologiques centrés sur les acteurs et leurs stratégies en classe. Ces travaux, longtemps présentés comme antagonistes et conduits séparément, apparaissent comme complémentaires si l’on veut rendre compte de la complexité de la pratique enseignante et de l’enchâssement dans l’action du didactique et du pédagogique. Tel est l’objet d’une analyse plurielle qui se propose de croiser les approches disciplinaires et de contribuer à les relier. Dans un métier de l’humain, dans une pratique relationnelle, communicationnelle comme l’enseignement, les trames d’interactions structurent l’action à travers plusieurs dimensions de la pratique; ce sont ces processus interactifs que l’analyse plurielle s’efforce de mettre au jour. À partir de l’obser vation de pratiques effectives, il s’agit de dégager les tensions organisatrices et d’identifier des processus interactifs stables (guidage, configuration de la tâche), de mettre en évidence la cohérence de la dimension communicationnelle de l’enseignement et son articulation avec le volet didactique, d’analyser les dynamiques interactives et leurs régulations, d’identifier l’interactivité fonctionnelle entre enseignant et apprenants, car ce sont les trames interactionnelles avec les élèves qui commandent la logique du travail enseignant. L’analyse RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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recouvre bien les dimensions pédagogique, didactique, intersubjective dont il s’agit de comprendre l’articulation fonctionnelle, la cohérence et l’équilibre de fonctionnement. Le modèle d’analyse de la pratique est celui de processus en tensions à maîtriser par des régulations, des transactions, des ajustements pour obtenir un équilibre entre les gestions du savoir, de l’élève et de la situation (Altet, 2008). Dans une autre théorisation M. Bru (1991), cherche à dégager des organisateurs de la pratique enseignante (et non des déterminants). Une pratique est organisée, s’organise et est organisatrice. Les organisateurs des pratiques ne sont pas des facteurs, c’est en termes de processus organisateurs (représentations, schèmes, couplages action-situation, configuration de la classe, type de tâches, de guidage) qu’il importe de penser la notion d’organisateurs de la pratique. Dans le souci de mieux connaître la façon dont sont organisées et s’organisent les pratiques enseignantes, un intérêt particulier est accordé à leur contextualisation, celle interne des composantes de la pratique: la contextualisation temporelle (séquentielle) des configurations de la pratique et la contextualisation «externe» de la pratique d’enseignement. Pour les didacticiens, l’objet d’étude est le fonctionnement du système didactique en tant que relation ternaire entre une instance enseignante, une instance élève(s) et un objet de savoir. La modélisation de l’action du professeur constitue l’objet de travail des didacticiens comparatistes et la distinction générique/spécifique l’un de leurs outils pour comprendre son activité. La question est abordée en termes de «milieu», le milieu de l’élève et le milieu du professeur. Le «milieu» a un rôle de médiation (medius/ mesos) dans «l’action conjointe»du professeur et de l’élève. Dans tous ces travaux, il ne s’agit pas d’expliquer la pratique professionnelle en la ramenant soit à un acte souverain et parfaitement délibéré de l’enseignant soit au seul résultat de déterminismes extérieurs; il s’agit de montrer qu’il existe plusieurs façons de rendre raison des pratiques et qu’un dialogue entre les équipes et leurs différentes façons de rendre raison des pratiques est possible et scientifiquement profitable à partir du moment où ces équipes arrivent à partager des hypothèses communes de recherche sur l’indispensable connaissance des processus en jeu. Une question centrale demeure: toutes les pratiques professionnelles des enseignants ne se valent pas. Les recherches ont jusqu’à présent quantifié «un effet-maître» général, il reste à comprendre en quoi consiste cet effet-maître, quels en sont les processus constitutifs en développant des travaux sur les effets des pratiques sur EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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les apprentissages des élèves dans la diversité des situations d’enseignementapprentissage. Nous avons avec d’autres chercheurs (comme Marc Bru) d’abord délimité, construit l’objet: pratique enseignante, activité de l’enseignant, action de l’enseignant, travail enseignant, acte pédagogique, intervention pédagogique: chaque dénomination définit différemment l’objet. Les recherches en sciences de l’éducation montrent que l’étude de l’objet «pratique enseignante» recouvre à la fois l’agir pédagogique et l’agir didactique. Dans son travail, l’enseignant remplit simultanément une fonction pédagogique de médiation entre le savoir et l’élève, de gestion de la classe et une fonction didactique de gestion des apprentissages, dans un contexte singulier, contraint et dynamique. Etudier le volet «pratique pédagogique» de l’enseignant, c’est se centrer sur les actes de médiation mis en œuvre entre le savoir et l’élève sur la communication. Etudier la médiation, c’est analyser la médiation du pédagogue, de la personne: la relation, les actions, les interactions pédagogiques, les processus interactifs, cognitifs, affectifs de la communication verbale, non-verbale, les processus intersubjectifs en jeu entre les acteurs, identifier les variables d’action. C’est aussi analyser la médiation des dispositifs pédagogiques, l’instrumentation mis en place, la situation choisie pour favoriser l’engagement dans la tâche, la transformation d’informations en savoirs chez l’élève. Les travaux sur les pratiques enseignantes relient les approches sur les actions pédagogiques de l’enseignant en situation, en interaction avec les apprenants, situées dans le temps et les approches didactiques qui analysent les savoirs et les apprentissages en jeu dans la situation étudiée. Les modélisations utilisées, «modèle des processus interactifs situés», «modèle clinique», permettent de comprendre le sens de ces médiations pédagogiques liées à un contrat didactique. Ces travaux de recherche en sciences de l’éducation sur la pédagogie se distinguent de la recherche-action qui cherche d’emblée à modifier les pratiques ou encore de la recherche pédagogique au sens de recherche sur les méthodes pédagogiques, sur les modèles d’enseignement, qui sont des modèles pour l’action, posent a priori des finalités pratiques à atteindre et qui produisent des outils pour l’action. Ils diffèrent aussi de travaux purement didactiques centrés sur la structuration des savoirs ou les processus d’acquisition des savoirs par l’apprenant et les complètent. Ces travaux permettent de dégager la nécessaire convergence entre le didactique et le pédagogique pour que le processus enseignement-apprentissage fonctionne. Elles visent à rendre intelligible le processus enseignement-apprenRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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tissage en identifiant les différentes variables en interaction. Ces recherches fournissent des repères théoriques, des grilles de lecture des pratiques qui peuvent être transposés dans la formation des enseignants. Les recherches de sciences de l’éducation sur les pratiques sont des recherches finalisables et contextualisées qui visent à rendre intelligible le fonctionnement de pratiques singulières et contextualisées. Notre recherche sur les pratiques enseignantes (Altet, 1994) est l’illustration d’une recherche menée de façon pluridisciplinaire en sciences de l’éducation en France. Nous avons pu montrer qu’il existe plusieurs manières de rendre raison des pratiques selon l’approche, selon l’échelle, selon le croisement des entrées choisies La pluralité des approches nous a permis d’articuler des références théoriques, à mobiliser plusieurs angles d’approches, à croiser plusieurs méthodologies et ainsi à parvenir à dépasser les dualismes défendus par la pédagogie.

5. A côté des sciences de l’éducation, la pédagogie du praticien et sa spécificité Mais à côté de la recherche scientifique en sciences de l’éducation, la pédagogiegarde toute sa spécificité. Comme la définissait fort justement Jean Houssaye (1996),«la pédagogie, c’est l’enveloppement mutuel et dialectique de la théorie de la pratique éducative par la même personne, sur la même personne. Le pédagogue est un praticien-théoricien de l’action éducative»; ce sens durkheimien de pédagogie comme théorie-pratique reste totalement d’actualité. Pour tout enseignant la pédagogie est une théorie de l’action éducative mais une théorie non scientifique, une réflexion sur l’actionéducative pour pouvoir l’améliorer. Chez tout praticien, la pédagogie vise à transformer l’action éducative par la réflexion; elle peut être critique mais elle est souvent prescription car elle sert à orienter vers l’amélioration de l’action et décrit ce que les pratiques devraient être. La pédagogie dit Durkheim «vise à fournir à l’activité de l’éducateur les idées qui le dirigent». La pédagogie est donc une réflexion sur le faire et pour faire, voire pour mieux faire; c’est donc une discipline praxéologique. Les recherches en sciences de l’éducation sur les pratiques pédagogiques contribuent certes à formaliser, à valider des savoirs d’action pédagogique. Mais ces savoirs d’action pédagogiques validés par la recherche dans des contextes donnés, avec des publics particuliers, restent à réutiliser de façon adaptéeavec la «phronésis» du pédagogue. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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C’est pourquoi, comme l’écrit Michel Fabre (2001), pour clarifier la distinction entre sciences de l’éducation et pédagogie, «il faudrait distinguer à la manière d’Althusser, vérité et justesse. La science est visée de vérité, la pédagogie, comme la politique, tente de définir une ligne de force, une ligne d’action. Par ce biais on retrouverait vite les idées aristotéliciennes de prudence.» Certes pour Aristote, il y a un abîme entre science action et aucune science ne peut fonder l’action. Ainsi l’homme politique, le médecin ou le pédagogue ne sont ni des savants ni des sages, et pourtant l’homme d’action est capable de jugement, d’intelligence pratique, de «métis». Avec les philosophes de l’éducation Houssaye, Fabre, nous définirons donc la pédagogie comme justesse et prudence, comme une sorte de sagesse pratique et non comme une science, en soulignant par la même, comme le fait Meirieu, «son insoutenable légèreté». Ainsi la pédagogie comme problématique praxéologique est le fait d’un enseignant, praticien-théoricien impliqué dans une action éducative et qui cherche à trouver une ligne juste pour son action propre mais aussi pour les autres, c’est pourquoi il la théorise et produit des savoirs d’action. Dans la problématique scientifique des sciences de l’éducation, le chercheur vise à décrire et à comprendre les processus en jeu dans les pratiques pédagogiques; si ces deux problématiques sont distinctes, chacune a son intérêt propre. Si les savoirs que produisent l’une et l’autre sont de nature différente, les deux modes de connaissance sont nécessaires et se complètent. Dans le monde des sciences humaines, la pédagogie reste la prudence réflexive qui évite la tentative d’aller vers «la» science de l’éducation comme pensée unique.

En conclusion En 45 ans en France, les Sciences de l’Education sont devenues des Sciences humaines légitimes: elles ont inventé un point de vue pluriel, interdisciplinaire; elles travaillent sur des zones frontières spécifiques; elles construisent des savoirs, des concepts propres reconstruits ou des théories réinventées, un corpus de connaissances validées, reconnues; elles ont permis d’analyser des processus éducatifs et de les rendre intelligibles autrementcomme les pratiques pédagogiques; elles travaillent sur les rapports entre savoirs savants et pratiques.Et ce défi reste à poursuivre: il reste encore à cumuler les travaux, à poursuivre l’articulation des références théoriques des différentes disciplines et à produire des théorisations propres RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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en faisant des synthèses des acquis des recherches, mais aussi il demeure essentiel d’articuler les connaissances scientifiques avec d’autres modes de connaissance comme les savoirs pratiques produits par la réflexion ou l’action pédagogique et en développant pédagogie et philosophie de l’éducation comme questionnements critiques, comme réflexivité sur les savoirs scientifiques. Car les pédagogues continuent à fabriquer de la sagesse prudente et peuvent ainsi aider les sciences de l’éducation à ne pas se laisser dériver vers une «neuropédagogie» unique déjà annoncée par les neurosciences! Présentation de l’Auteur: Marguerite Altet est professeure des Universités en Sciences de l’éducation, responsable d’un axe du CREN et du Réseau OPEN; elle a été directrice des IUFM des Pays de la Loire jusqu’en 2007. Elle s’est occupée, pendant plusieurs années, de la formation des enseignants et elle a théorisé le dispositif de l’Analyse de Pratique qui a été applique chez les IUFM français et récemment elle s’est occupée d’analyse plurielle.

Bibliographie Altet, M. (1994), La formation professionnelle des enseignants, Paris, Puf. — (1997), Les pédagogies de l’apprentissage, Paris, Puf. — (2002), «L’analyse plurielle de la pratique enseignante, une démarche de recherche», in revue française de pédagogie, Paris, Inrp, n° 138. Altet, M., Bru, M., Blanchard-Lavikke, Cl. (2012), Observer les pratiques enseignantes, Paris, L’Harmattan. Bru, M., Altet, M., Blanchard-Lavikkel, Cl. (2004), «A la recherche des processus caractéristiques des pratiques enseignantesdans leurs rapports aux apprentissages», Revue française de pédagogie, n° 148, 75-87. Crahay, M., Lafontaine, D. (1986), L’art et la science de l’enseignement, hommage à G. de Landsheere, Bruxelles, Labor Nathan. Fabre, M. (2001), Les pédagogues, Paris, Puf. Gautherin, J. (2002), Une discipline pour la République: la science de l’éducation en France (1882-1914), Berne, Peter Lang. Houssaye J. (1996), La pédagogie: une encyclopédie pour aujourd’hui, Paris, Esf. Mialaret G. (1987), La psychopédagogie, Paris, Puf. — (1967, 2006), Les sciences de l’éducation, Paris, Puf. Perrenoud, P. (2001), Agir dans l’urgence, décider dans l’incertitude, Paris, Esf. Vergnioux, A., Dir (2009), 40 ans des sciences de l’éducation, L’âge de la maturité? Questions vives, Caen, Puc. Vinatier, I., Altet, M. (2008), Analyser et comprendre la pratique enseignante, Rennes, Pur.

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Riassunto: L’autrice ricostruisce il proprio percorso di studiosa di pedagogia, collocandosi nel quadro dell’attuale sviluppo della ricerca pedagogica accademica in Italia. La pedagogia sembra oggi caratterizzata da una diffusa debolezza epistemologica, da una articolata frammentazione in molte piccole scuole accademiche, piuttosto che segnata dal confronto fra grandi scuole contrapposte, nel quadro di un riconosciuto e tollerante pluralismo, entro il quale non si discute più dei fondamenti teorici della ricerca pedagogica. Dietro una falsa contrapposizione fra pedagogia “filosofica” e pedagogia “scientifica”, approdata al paradigma apparentemente vincente delle scienze dell’educazione, l’A. individua piuttosto un difetto epistemologico nella costruzione di una pedagogia come “teoria dell’agire educativo”, priva di una propria teorizzazione intorno all’oggetto indagato, dipendente da altre discipline rispetto alla sua definizione, e messa alla prova solo dai suoi potenziali risultati nella pratica. Tenendo conto che la pedagogia scientifica si applica quasi esclusivamente al mondo delle istituzioni scolastiche, essa viene messa alla prova dalle categoria di efficacia-efficienza, ma esse sono inapplicabili nella pratica e difettose per quanto riguarda il modello teorico. L’A. propone una presa di coscienza (un “ripensare insieme”) che riporti la pedagogia ad un cammino di indagine teorica e di ridefinizione del proprio oggetto formale, in chiave fenomenologica, restituendo alla pedagogia in primo luogo il carattere di disciplina teoretica. Abstract: Theauthorretracesherjourneyas a scholarof pedagogy – placing itselfin the currentacademicdevelopmentof educational researchinItaly.The pedagogyseems nowcharacterizedby a widespreadepistemologicalweakness and by an articulated fragmentation intomany smallacademic schools,rather thanby the confrontationbetweenopposingschools – as partof arecognizedand tolerant pluralism,within whichthe theoretical foundations of pedagogical research are no longer topic for debate. Behinda falseopposition between “philosophical” pedagogy and “scientific”pedagogy – which now seems to be part of the apparently winning paradigm of educational science – the A.rather finds an epistemologicalflawin the constructionof a pedagogyseen as a“theory ofeducational doing” – which is deprived of its owntheorization on the objectof investigation, dependent on otherdisciplineswith respectto its definition,andtestedonly by itspotential practical outcomes. Consideringthat thescientific pedagogyapplies almostexclusively to the worldof educational institutions,itis putto the test by the effectiveness-efficiency categories, but these categories are not applicable in practice andflawed with regards to the theoretical model.

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The A.suggests that awareness is raised (a“re-think together”) so as pedagogy is brought back to a path of theoretical investigation and redefinitionof itsformal object,in a phenomenological perspective,and, to begin with, it is given back its character of theoretical discipline. Parole chiave: Epistemologia pedagogica, Scienze dell’educazione, Pedagogia teoretica, Filosofia dell’educazione, Ricerca pedagogica in Italia.

Rappresentazioni di un “sapere assente e rimpianto” Ri-pensare è sempre un “pensare di nuovo”, che implica un fare memoria di pensieri precedenti e dunque di averne consapevolezza. Perciò “ri-pensare” la pedagogia, per uno studioso che se ne occupa da circa quaranta anni come l’autrice di questo testo, può significare ripensare il proprio percorso di ricerca e quasi di vita, e ripensare molte delle proprie idee. In realtà, l’orientarsi della persona giovane verso un campo di ricerca difficilmente avviene per la spinta di “idee chiare e distinte”: ci sono elementi di casualità, ma soprattutto ci sono grovigli di rappresentazioni che segnano un incontro, in cui possono essere presenti anche molti concetti e idee forti, ma che restano tendenzialmente impliciti molto a lungo. Occorre ricordare che, come ogni studioso, un pedagogista si forma a partire dai suoi maestri: da quelli che incontra direttamente, con cui studia e dibatte, che contesta e prova a superare (in giovinezza lo facciamo tutti) e da quelli che legge, ed elegge, a propri maestri, spesso segnando a matita sui loro libri il proprio entusiasmo, o i propri dubbi. Talvolta il “segno” impresso sulla carta rivela che in realtà è stata la pagina che ti ha “segnato”, proprio mentre veniva “segnata” da te. Anche i libri, del resto, si leggono perché un maestro concreto te li ha proposti (o imposti), e perciò occorre sempre partire dai maestri, per ricostruire il percorso. La mia prima docente di pedagogia è stata Dina Bertoni Iovine, a Catania, quando ero una studentessa di filosofia al terzo anno. Era un esame obbligatorio, annuale, naturalmente, con un carico di lettura di una diecina di libri. Oltre alla sua monumentale Storia della scuola italiana, Dina Bertoni Iovine mi ha fatto studiare Pestalozzi di Madre e figlio, Dewey di Scuola e Società e di Democrazia ed educazione, G. Lombardo Radice di Didattica viva. Non ci furono dialoghi diretti, fra noi, e non sarebbero stati possibili. Nel triennio successivo avrei incontrato prima Piero Bertolini e poi Gino Corallo: Don Gino Corallo è stato il mio Maestro sotto ogni aspetto di formazione (Moscato, 2009, RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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2010), ma è stato importante anche il lungo dialogo, rinnovato nel corso dell’età adulta, con Piero Bertolini, che mi chiamò a Bologna da professore associato nel 1992. Fu probabilmente significativo che John Dewey fosse una importante lettura condivisa, sia da Corallo sia da Bertolini, e restasse quindi come un precedente comune del nostro confronto. Per gli obiettivi di questa riflessione, la notizia biografica evidenzia come io abbia appreso fin dall’inizio del mio “innamoramento” pedagogico che esistono diverse pedagogie, e che possono esserci diversi punti di vista, carichi di una loro verità, che non si escludono necessariamente fra loro. Ho capito invece più tardi che procedere nella ricerca significa, soggettivamente, scegliere continuamente la strada da percorrere, correndo inevitabilmente qualche rischio. Poi, in un cammino pedagogico che si sviluppa, come in un matrimonio, chiarezze e delusioni si alternano, si operano prese di distanza e si rinnovano fedeltà, certe risposte non si cercano più, ma si pongono nuove domande, e si capisce nel tempo come le domande siano sempre più importanti delle risposte. Perciò “ripensare la pedagogia” può diventare di fatto un ripensare la “propria pedagogia” e in primo luogo ricostruirla, sia pure in un ideale dialogo con una comunità scientifica di riferimento, come “pensando ad alta voce”. In realtà è proprio il “ripensare insieme” che potrebbe/ dovrebbe ricostituire e rinnovare continuamente anche la nostra comunità scientifica. Oggi mi è chiaro che la pedagogia accademica italiana si configuri come caratterizzata da “legami deboli”, se non da un certo grado di potenziale “entropia” interna. Si riconosce fra di noi una debolezza epistemologica apparentemente accettata (sia pure con rassegnazione), e si ha la percezione di essere colpiti da un giudizio sociale da sapere “minore” (a ridotta scientificità) sia nel quadro delle scienze umane e sociali, sia in ambito filosofico (ambito frequentato da molti di noi). Questi giudizi in verità potrebbero (e dovrebbero) essere formulati e dimostrati – almeno da noi – sulla base dell’analisi della produzione scientifica apparsa in un arco di tempo definito, dei numeri e delle articolazioni delle presenze accademiche della nostra area, della distribuzione degli insegnamenti e della loro denominazione nei corsi di laurea. Si tratta di studi fin ora compiuti solo in maniera parziale ed iniziale (ad es. Pinelli, Moscato, Caputo 2011), mentre la rappresentazione negativa sopra espressa presenta, apparentemente, i caratteri di una certezza acquisita. Devo dire però che, almeno per i primi due decenni del mio “matrimoEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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nio” con la pedagogia, non erano queste le mie rappresentazioni. E direi che tuttora non sono queste le categorie con cui io penso realmente la pedagogia: per me essa non è un sapere “debole” e non è “minore”, e il suo campo specifico di indagine permane scientificamente affascinante e socialmente e storicamente rilevante. Se non la avvertissi così, non credo che riuscirei ad insegnarla. Per me pedagogia è una disciplina con un proprio substrato filosofico, con un impianto teorico fenomenologico, il cui campo di indagine non è delimitato tanto da confini materiali, ma piuttosto dalle sue stesse categorie (i suoi “oggetti formali”). La sua dimensione empirica e concreta dipende dall’applicazione del suo punto di vista e della sua metodologia ad una serie articolata e ampia di eventi reali. Questo è comunque il suo primo momento, in cui l’obiettivo è comprendere la realtà educativa. La possibilità di derivare dalla comprensione una teoria dell’agire educativo, questa è per me da dimostrare ancora, ma comunque si tratta di un secondo momento del sapere pedagogico, che non può generarsi senza il primo. In questo senso sono soprattutto allieva di Gino Corallo, di cui vorrei riportare un passo, da un inedito del 1975: «La pedagogia nasce solo quando si applichi un determinato metodo per lo studio … dei fatti educativi […] I fatti educativi, certamente sono lì: avvenimenti storici compiuti e irreversibili; ma non si evidenziano da se stessi come “educativi”, come categoria, senza l’intervento della ricerca che tende a rilevarli, appunto, come educativi. È allora chiaro che è possibile confondere i fatti educativi con altri fatti, oggetto di altre scienze (per esempio coi fatti sociali, politici, psicologici): basta applicare alla ricerca quei metodi che tendono a rilevare nella realtà, appunto, gli aspetti sociali, politici e via dicendo […] ma così si gioca con dadi truccati, dato che si oblitera in partenza il punto fondamentale della ricerca, e cioè il rilievo di ciò che specifica e differenzia i fatti educativi – in quanto educativi – da tutti gli altri. L’errore epistemologico che vi sta alla base consiste nella pretesa di impostare un discorso metodologico sul trattamento di alcuni dati esistenziali (i “fatti educativi” in questo caso) senza essersi presa prima la cura di disegnare con distinzione il profilo del loro significato. In altre parole, l’errore sta nella pretesa di occuparsi di pedagogia e di metodologia dell’educazione senza una filosofia dell’educazione, o, se si vuole, senza una teoria generale sul significato e i fini dell’educazione dell’uomo. Questi significati e questi fini vengono assunti da altri saperi, spesso senza ombra di sospetto critico, nell’ingenuo abbandono all’automatismo del “metodo” […]. L’apertura scientifica consiste nel considerare le cose da tutti i possibili aspetti (di qui la necessità della divisione dei compiti RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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tra gli scienziati): la barbarie pseudoscientifica si fa invece presente tutte le volte che essa dichiara finito il mondo quando sono finite le sue particolari idee, e tutte le volte che nega la realtà di ciò che non è rilevabile col suo metodo particolare» (Corallo, 1975). Ho preso coscienza solo in anni relativamente recenti che quanto sopra citato è la cosa più importante che io abbia appreso da Don Corallo, forse condividendola implicitamente, come “respirandola”, durante gli anni della mia formazione, fino essa mi è apparsa “ovvia”. Viceversa, sempre più spesso, dal confronto con studenti universitari e con professionisti della scuola, mi viene restituita un’immagine, per quanto apprezzata, piuttosto di una “anomalia” scientifica: la mia sarebbe, per dirla con garbo, una prospettiva pedagogica “inconsueta”; per i più giovani, poi, essa risulterebbe addirittura “totalmente nuova”. Ciò che mi sconforta, in questa crescente “distanza” generazionale, è che io ritengo che essi si rappresentino come “nuovo” ciò che è tanto “vecchio” da essere stato dimenticato… Ma si sa che nella storia delle culture umane la dinamica del nuovo non è sempre lineare, e molte “novità” sono solo “riscoperte”… C’è un’altra cosa poi, che osservo nelle generazioni sempre più giovani (rispetto a me) dei miei studenti, e cioè che essi indipendentemente dai loro studi secondari, conservano un’aspettativa nei confronti del sapere pedagogico, molto simile a quella che avevo io all’inizio, aspettativa le cui ambiguità mi sembrano riflettere in qualche modo il travaglio culturale degli ultimi quaranta anni: mi riferisco all’analisi delle schede di iscrizione al corso di pedagogia generale, in cui chiediamo allo studente il motivo della scelta di tale insegnamento e la scuola secondaria da lui frequentata. Del resto, l’assunto della nostra frammentazione scientifica, l’insoddisfazione per i nostri prodotti, e insieme il permanere di aspettative “forti” circa un sapere pedagogico, costituiscono da tempo anche una percezione interna della comunità pedagogica accademica: voglio citare un breve editoriale di Cesare Scurati, sul Bollettino della Società Italiana di Pedagogia del luglio 1999 (in quel momento l’amico e collega scomparso ne era il Presidente). Sotto il titolo Forme di pedagogia, Scurati elencava un certo numero di denominazioni/ rappresentazioni significative di pedagogia, con cui riteneva che «ci si trovasse, o ci si fosse trovati, a trattare negli ultimi decenni» e riusciva ad elencarne nove, distinguendole in due categorie, a seconda che si riferissero “alla realtà” o “al mondo del desiderio”. Si deve notare che la definizione «pedagogia come scienza: sapere metodologicamente e EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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contenutisticamente proprio e definito» era una delle due classificate come “riferibili al mondo del desiderio”, piuttosto che della realtà, in cui erano collocate le prime sette “idee di pedagogia”. Le riprendo, perché le espressioni di Scurati testimoniano la presenza di rappresentazioni sociali percepite come tali da un pedagogista accademico di alto profilo e nella piena maturità scientifica nel momento in cui ne scriveva. – Pedagogia come verità: campo di autenticazione valoriale, banco di prova umanistico, dei saperi sull’uomo e la sua formazione. In termini etici: pedagogia come passione. – Pedagogia come campo strutturato: organizzazione progettuale di saperi, enciclopedia regionale finalizzata. – Pedagogia come soggetto sociale: sapere assente, rimpianto ed insieme scarsamente voluto, retroterra di bisogni che non trovano risposta. – Pedagogia come linguaggio: costruzione di grammatiche dell’azione formativa, insieme di lessici dell’esperienza. – Pedagogia come orizzonte di professionalità: costruzione di competenze, consegna di elementi di distinguibile affidabilità operativa. – Pedagogia come deduzione: derivazione etico normativa da premesse universali. – Pedagogia come classificazione: creazione di ordini verbali, allocazioni in campi logici, costruzione di tipologie […] – Pedagogia come scienza: sapere metodologicamente e contenutisticamente proprio e definito senza possibilità di confusioni. – Pedagogia come interlocutore efficace: sapere socialmente rappresentativo e decisionalmente considerato (Scurati, 1999; cfr. Scurati, 1983; 2005). Le due ultime accezioni potrebbero coincidere ed integrarsi fra loro, ma sono quelle che Scurati collocava appunto sul piano del “desiderio”, mentre le prime sette le collocava fra le esistenti. Fra di esse, vorrei richiamare prima di tutto la suggestiva formulazione, collocata al terzo punto, di pedagogia come un «sapere assente, rimpianto ed insieme scarsamente voluto, retroterra di bisogni che non trovano risposta». Io sospetto che questa sia la rappresentazione inconsciamente diffusa nella cultura contemporanea, e forse l’unica che accomuna realmente, con tutta la sua potenza inconsapevole, la comunità scientifica che di pedagogia si occupa. In effetti è una rappresentazione che spiegherebbe insieme sia le forti ed elevate aspettative, RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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sia le critiche e le svalutazioni nei confronti degli studi e della ricerca pedagogica in senso proprio, e perfino certi latenti “sensi di colpa” e/o “complessi di inferiorità” che segnano la nostra esperienza accademica.

La pedagogia come teoria dell’agire educativo Personalmente vorrei sottolineare però che è possibile suddividere l’elenco di Scurati secondo altre due categorie, o accezioni fondamentali, che sono trasversalmente presenti e non evidenziate: vale a dire che per almeno sette volte la definizione richiama una “teoria dell’agire educativo”, un sapere “pratico”, e solo per due volte le parole usate sono compatibili con un sapere teorico scientifico: un “sapere di”, una “conoscenza sistematica intorno a”. Per me questo costituisce il punto discriminante ed insieme l’ostacolo più potente allo sviluppo della pedagogia come sapere scientificamente definito (e quindi condiviso o condivisibile): vale a dire l’assunto che “pedagogia” sia solo un sapere pratico, un sapere il come si fa (eticamente o tecnicamente) relativo ad un quid, chiamato “educazione” nel senso comune, ma questo oggetto non viene mai definito senza possibilità di confusioni. Si ricordi che Corallo, nella citazione del 1975, in cui in realtà contesta il paradigma delle scienze dell’educazione, indicava proprio questo come un errore epistemologico. Tuttavia la pedagogia moderna è nata come una “teoria della prassi” e/o una “teoria per la prassi”, assumendo in partenza che il suo oggetto fosse un’azione o una categoria di azioni umane, rivolte deliberatamente ad altri esseri umani. Ed un secondo assunto conseguente al primo è che l’analisi scientifica di tale supposta categoria di azioni non possa mai avere una pura funzione descrittiva e conoscitiva, ma che il sapere ottenuto debba immediatamente rifluire verso la prassi educativa per modificarla: pure in diverse prospettive a articolazioni, la pedagogia costituisce comunque un sapere e un comprendere “per agire”. Questo impianto epistemologico, soprattutto nella misura in cui esso perdura implicito, determina molte conseguenze; per esempio che il valore di una conoscenza finalizzata immediatamente all’azione possa trovare verifica, valore e riconoscimento sociale solo nella sua efficacia dimostrata. La svalutazione sociale di un sapere a partire dalla sua supposta inefficacia può determinarne così gli sviluppi o i regressi. In verità l’efficacia/ pericolosità EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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di una idea pedagogica va cercata in tempi storici lunghi, e mai nell’immediato (vedi il caso di Rousseau e della sua influenza culturale perdurante) ed esiste sempre una scollatura, in ogni momento storico, fra i processi educativi e la loro efficacia e lo sviluppo delle teorie intorno a tali processi: di fatto appaiono tipicamente “pedagogizzate” le società in totale crisi educativa, o in cui l’idea stessa di educazione si è fatta problematica. John Dewey poteva già spiegare con chiarezza questa dinamica nei suoi studi degli anni Venti (Dewey, 1916; 1933; Corallo, 1961). Per quanto riguarda invece le singole tecniche e le strategie, che riguardano poi quasi esclusivamente la dimensione della didattica, si possono ottenere solo verifiche limitate e parziali di aspetti limitati e parziali del processo educativo, che in genere confluiscono in “ricettari”, vale a dire in altri “vicoli ciechi” per quanto attiene alla possibilità di una ricerca scientifica di ampio respiro. L’impianto di una “teoria dell’agire/ per l’agire” diventa quindi, secondo me, una sorta di “peccato d’origine” del sapere pedagogico, anche sotto un altro aspetto, quest’ultimo molto più nobile del semplice efficientismo (cui approda la logica dell’efficacia). Sul piano etico-politico interviene una rappresentazione dello scopo di una conoscenza (agire sull’uomo o “liberare” l’uomo, a seconda delle prospettive) talmente motivante, in quanto intrisa di sensi valoriali, da interferire in termini condizionanti sulla comprensione della realtà stessa (mentre la comprensione permane sempre lo scopo primario della conoscenza). La volontà di progettare e di agire, ma senza problematizzare mai il proprio oggetto, riduce di fatto la possibilità di modificare la rappresentazione dell’oggetto, in questo caso si rallenta la possibilità di comprensione scientifica dei fenomeni educativi. Per esempio, è solo relativamente recente l’introduzione di termini come “realtà educativa”, “evento educativo” per indicare l’oggetto della ricerca pedagogica: vale a dire che è solo recente (e comunque parziale) la scoperta che l’educazione indagata potrebbe non essere davvero un’azione intenzionale o un complesso di azioni, su cui si possa ottenere il pieno controllo intellettuale. L’esempio appena citato vale comunque per alcune prospettive pedagogiche che usavano solo il termine “educazione”: il positivismo ha sempre parlato di “fatti” educativi, cercando di indagarne la struttura. In verità l’uso/ rifiuto di un termine identifica già una scuola o un movimento pedagogico. Il problema vero è che ciò che chiamiamo “fatto”, o “evento”, o “realtà” educativa potrebbe presentare propri dinamismi evolutivi, trasformazioni storico-antropologiche, pur conservando una permanente struttura fenomenologica (oppure potrebbe non conservarla). Si tratta del primo RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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elemento da comprendere nello sviluppo della conoscenza pedagogica, e il suo primo problema. Ma l’indagine sull’oggetto educazione viene di fatto messa fra parentesi da una disciplina che si rappresenta come una “teoria dell’agire educativo”, e, dal momento che non è possibile agire alcun oggetto della cui possibilità non si abbia certezza, la pedagogia finisce per attingere tale certezza fuori dai propri confini. Ci si rivolge alle altre scienze umane (psicologia, sociologia e antropologia hanno prodotto innumerevoli concetti, più o meno espliciti, di educazione); ci si rivolge ad orizzonti etici, politici, religiosi, che diventano filosofici, quando non “ideologici”, giacché l’ideologia è il rischio costante di una filosofia che, rimanendo implicita, si sottrae ad ogni tipo di analisi, verifica, consenso, dis-conferma. Oggi ci si rivolge perfino alla teorie economiche, derivandone modelli di condotta umana desiderabile e criteri di efficacia-efficienza. Nell’arco di mezzo secolo, si può registrare una tendenza della produzione pedagogica a dipendere sempre di meno da fonti filosofiche e sempre di più da fonti, prima di tutto psicologiche, e poi delle scienze sociali in genere. Anche se questo può significare – di fatto – dipendere dalle filosofie implicite, incorporate dentro le scienze psico-sociali, cui esse conferiscono l’autorità dei loro canoni scientifici. In conclusione, dipendiamo sempre di meno da certi impianti filosofici e sempre di più da altre prospettive filosofiche. E il paradigma delle scienze dell’educazione sottintende anch’esso un impianto filosofico definito. Gli esempi e le osservazioni sviluppate fin qui nascono dalla consapevolezza che nessuna prassi (nel nostro caso una prassi educativa) può mai venire definita razionalmente se prima essa non sia stata definita con chiarezza (almeno come ipotesi) in quanto oggetto, ossia campo di indagine e ricerca di un sapere pedagogico teorico. La definizione iniziale esplicita di un oggetto definito ne rivela la “pensabilità” per la mente dello studioso, lo rende rappresentabile e comunicabile ad altri, permette dunque di dibatterne, e trasforma la definizione (inizialmente sempre ipotetica) in una matrice scientificamente e culturalmente generativa. In un contesto in cui le categorie teoriche che permettono di rappresentare l’oggetto rimangono implicite non si può condividere ed accrescere il sapere sviluppato (ma neppure destrutturarlo criticamente). Naturalmente lo sviluppo della ricerca, nel tempo, avrà anche l’effetto di confermare, dis-confermare, modificare e ampliare la definizione iniziale, in un circolo virtuoso in cui l’esperienza della realtà interviene nel modificare progressivamente le categorie con cui la realtà è stata pensata e rappresentata. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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In concreto, una teoria dell’agire educativo, comunque formulata, che non sia ancorata ad una propria pregressa riflessione sull’oggetto educazione, può semplicemente – come abbiamo già visto – assumere l’oggetto da un altro campo di sapere, che diventa, più o meno esplicitamente, il “luogo” categoriale della sua fondazione teorica. Ma se il “luogo di fondazione” risiede “altrove” rispetto all’oggetto di indagine e di riflessione, di esso non si può discutere consapevolmente. È un dato paradossale, in effetti, ma storicamente verificabile, che i pedagogisti non discutano quasi mai dei loro fondamenti teorici, e quando lo fanno non riescano a trovare un terreno di incontro. In tal modo, proprio ad evitare conflittualità irriducibili, si afferma concordemente il pluralismo di prospettive come valore, si rispettano tutte le posizioni potenzialmente presenti, e non se ne parla mai. Naturalmente, il pluralismo di posizioni teoriche è davvero un valore (etico e scientifico), ma tuttavia, per costituire e consolidare una comunità scientifica, occorre almeno un linguaggio comune nel porre i problemi, nel fare le domande. Il pluralismo può e deve riguardare le soluzioni e le risposte, e perfino i metodi di ricerca, ma questi devono essere e restare almeno concettualmente comparabili. Al di sotto di questa soglia di potenziale comunicazione interna, la supposta comunità accademica si disgrega, e soprattutto perde la possibilità di rigenerarsi e rinnovarsi, perché non ha più la possibilità di avanzare la sua / le sue proposte teoriche alle nuove generazioni, e queste non possono neppure contestare, o ribellarsi, quando la proposta non sia stata neppure formulata. Nel concreto della nostra esperienza accademica, il pluralismo diventa piuttosto frammentazione infinita: all’assenza di grandi ortodossie scientifiche vincolanti, ed eventualmente fra loro in aperto conflitto, corrisponde di fatto una fedeltà ancora più rigida a una molteplicità di piccole scuole (veri e propri “cortili accademici”), fra cui si instaurano relazioni più o meno cordiali (quando questo accade) sulla base di ragioni che non sono scientifico teoretiche, anche quando fossero accademiche; intendo amicizie personali, cordate concorsuali, affinità filosofiche, oppure – queste sono le affinità più nobili – la condivisione di orizzonti ideali più remoti, di tipo etico, politico e religioso. Ma, anche in questo caso, non si sviluppa per questo una pedagogia scientifica comune e neppure comparabile al proprio interno, perché dentro un orizzonte comune e remoto possono collocarsi decine di prospettive pedagogiche prive di un linguaggio comune (o meglio, in cui le stesse parole sono spesso utilizzate con un senso diverso). A dimostrazione/verifica di questa affermazione, si potrebbero analizRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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zare gli Atti degli annuali Convegni di Scholé, un “luogo” fisico e culturale che ha coinvolto per oltre cinquanta anni (dalla sua fondazione nel 1954) tutti i pedagogisti italiani (ordinari e associati) che si fossero riconosciuti nell’orizzonte cristiano, e si vedrebbe come un comune orizzonte culturale e religioso non abbia mai determinato la ria-aggregazione in una o più comunità scientifiche, a partire dall’uso comune di termini e categorie teoretiche decisive, ma che anzi l’uso di alcune categorie e terminologie comuni (come il termine “persona”) sia piuttosto servito a rendere non visibili le differenze (cfr. Vico, 2005a; Scurati, 2005). Unico elemento sicuramente trasversale, anche dentro Scholé – nella mia esperienza diretta – è il riferimento alla pedagogia come “sapere pratico”. Tale riferimento all’identità pratica della pedagogia io lo considero uno dei pochi “dogmi” comuni ai pedagogisti accademici, sia nell’ambito del cristianesimo (orizzonte comune solo nell’immaginario), sia nella variegata galassia della cosiddetta “pedagogia laica” (anch’essa tutt’altro che omogenea ed unitaria) (cfr. Bertagna, 2010; Bertolini, 1995). Storicamente, potrebbe essere più utile una ricostruzione degli esiti scientifici di “scuole” territorialmente identificabili, soprattutto con riferimento ai grandi Atenei (ad es. Roma, Bologna, Padova, Milano). Ma anche in questo caso, insieme all’espansione quantitativa, si osserverebbe una crescita della frammentazione interna delle posizioni teoriche, parallela ad un sempre minore interesse per le grandi questioni (i fondamenti) e ad una concentrazione crescente su temi e problemi operativi, di urgenza sociale e rilevanza professionale.

La “passione” e le sue “illusioni” Vorrei ritornare alle denominazioni ricordate da Scurati, registrando che la prima di esse, nel suo ordine di rappresentazioni interne, viene formulata con riferimento alla “passione” etica. Si descrive una “verità” della pedagogia concepita come «banco di prova e campo di autenticazione valoriale dei saperi sull’uomo e la sua formazione». Qui è evidente che il luogo della fondazione di tali saperi sia “altrove” rispetto alla pedagogia: l’altrove può essere religioso, etico, politico, e si tratta di un “altrove” fortemente motivante la volontà, fino al punto di generare una “passione”. In questo caso è il desiderio di trovare strumenti utili per l’azione (che è di per sé motivata e motivante) che genera e motiva la ricerca pedagogica: dobbiamo accettare e riconoscere questo orientamento motivazionale EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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(che caratterizza riformatori e grandi intellettuali, e sicuramente grandi educatori) anche in molti pedagogisti contemporanei. Personalmente l’ho incontrata sicuramente in Don Corallo, salesiano, e l’ho trovata in Piero Bertolini, che era stato per dieci anni a Milano direttore del Beccaria. Le loro prospettive teoretiche si presentano molto diverse, ma non c’è dubbio che, in termini generali, l’esperienza di educatore – quando c’è stata – connoti e condizioni a monte i caratteri della ricerca di un pedagogista. La “passione” accennata da Scurati vibra, in effetti, nelle pagine più belle e più grandi di molti autori, e probabilmente è essa ad attrarre e spingere alla ricerca pedagogica alcune categorie di studenti universitari. Questo era personalmente vero per Cesare Scurati e per me, che ci eravamo confidati – in anni adulti – la fascinazione subita nell’adolescenza dal libro di Maria Montessori La mente del bambino. Cesare ed io avevamo avuto altre letture giovanili in comune; per esempio Pestalozzi, G. Lombardo Radice, e tanti libri di J. Dewey (ma prima ancora le Confessioni di Agostino). Per la verità la “passione” può caratterizzare anche altre prospettive di ricerca, può segnare psicologi e scienziati sociali, e spingere a “pedagogizzarsi” molti filosofi, riformatori politici e religiosi. Presumibilmente aveva avuto ragione Giovanni Gentile ad affermare la tendenziale trasformazione di ogni filosofia in una filosofia dell’educazione, e quindi in “pedagogia”. A maggior motivo non c’è dubbio che il pedagogista corra il rischio di essere travolto dalla propria “passione” per la condizione umana, anche più di altri studiosi e intellettuali, nella misura in cui egli si concentra sull’educazione in senso specifico. In qualche modo la parabola esistenziale del Pestalozzi descrive anche i nostri rischi personali: anima religiosa e appassionata, non esente da innesti nevrotici, Pestalozzi tentò di capire i processi educativi allo scopo di fornire un metodo all’educazione universale. Quella “passione” che lo portò a spendere per la causa dell’educazione dell’infanzia povera e sfortunata anche tutto il suo patrimonio personale, non ne fece mai un teorico rigoroso. La giusta intuizione che il metodo più corretto ed efficace dovesse scaturire dalla natura infantile e dalla osservazione della normale quotidianità della vita familiare, non lo trasformò in pedagogista, nonostante le migliaia di pagine scritte, su cui la critica successiva avrebbe trovato materia di grandi critiche (ma anche di infinite apologie). Pestalozzi per primo, nel suo Canto del cigno, raccomanda al lettore che si continui a percorrere una strada da cui egli non ha saputo ricavare l’esito desiderato, per la propria personale inadeguatezza. Però si deve osservare che una scadente, o assente, teorizzazione non RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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ha impedito al Pestalozzi di “innestare” nella cultura occidentale, a partire dall’area di lingua tedesca, i germogli di un rivoluzionario risveglio educativo e pedagogico, di ispirare Fichte ed Herbart, di spingere verso la pedagogia accademica e le realizzazioni educative diverse giovani generazioni, in Europa e in America: Pestalozzi è una lettura di Horace Mann, di H. Barnard, di F. Parker, e tramite loro un ispiratore di J. Dewey e dell’attivismo progressista (Curti, 1959). Non deve sorprendere che, ancora negli anni Trenta del Novecento, un idealista italiano come G. Lombardo Radice lo chiamasse con affetto “il nostro Pestalozzi”. Pestalozzi sembra dimostrare che non occorra essere scienziati e pedagogisti per essere utili alla causa dell’educazione. Tuttavia non è questo il punto, per quanto ci riguarda. Intendo dire che esiste una tradizione letteraria pedagogica, legata all’esperienza di grandi educatori (che siano o meno anche pedagogisti), che si intreccia (e in parte confluisce) con il costituirsi di una pedagogia accademica (ma che non viene in genere distinta da essa). Questo può spiegare alcuni atteggiamenti che si manifestano anche nei pedagogisti accademici (il tema della “passione”). Le cose dovrebbero in realtà essere distinte: per un verso occorre recuperare la consapevolezza positiva di una tradizione culturale, dentro cui i grandi educatori hanno comunque un posto e una influenza storica rilevante. Ho parlato di Pestalozzi, ma sarebbe facile richiamare Don Lorenzo Milani, molto più vicino a noi nel tempo, un educatore cattolico che ha rivoluzionato la ricerca nelle scienze sociali e pedagogiche a partire dagli anni Settanta. Questa tradizione può essere definita come “pre-scientifica”, nel senso che essa precede (e talvolta affianca) la riflessione scientifica e filosofica, non che ne costituisca un precedente arcaico o un rudimento. Occorre rivalutare, sia che l’esperienza vitale conserva sempre in se stessa la possibilità di pre-comprensioni che precedono la conoscenza scientifica, sia che lo scientismo oggi dominante ci preclude spesso la comprensione di molti reali dinamismi della cultura, e della effettiva rigenerazione delle conoscenze umane. Massimo rispetto, dunque, per educatori e riformatori, anche di scadente rigore teoretico. Per un altro verso però, un’auto-rappresentazione in termini di “passione” e di “profezia” non è comunque funzionale per la ricerca pedagogica accademica, sia di orientamento scientifico, sia di matrice filosofica. Un pedagogista deve studiare semmai i grandi educatori e la loro opera (e non tentare o illudersi di imitarli). Per non dire che l’interesse e lo sforzo della pedagogia accademica si è concentrato sempre di più, nel corso del EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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Novecento, sulla scuola e comunque sulle istituzioni educative, divenute di fatto sia il campo di applicazione, sia il campo di indagine della teoria pedagogica, determinando anche una committenza pubblica (concretamente politico-amministrativa) alla ricerca pedagogica. E anche questo non è senza effetto per lo sviluppo complessivo della ricerca scientifica nella nostra area, sia perché la scelta del campo scolastico, con le sue caratteristiche e le sue esigenze, delimita immediatamente il campo di indagine, sia perché esso rafforza automaticamente l’opzione per la pedagogia come “teoria dell’agire”, e soprattutto perché la scuola esigerebbe risultati di efficacia ed efficienza in termini immediati: non si esige – in altri termini – di comprendere realmente perché si sviluppino fenomeni di insuccesso scolastico, in che rapporto essi stiano con la cultura, con lo sviluppo psicologico degli immaturi, con le dinamiche educative e gli stili di vita della popolazione; ma si esige di ridurre immediatamente i tassi di insuccesso, mettendo alla prova su questo tipo di risultato la qualità della scienza pedagogica e didattica. Inutile dire che su questo tema in particolare si è generata una prassi (politico-amministrativa, e solo in subordine metodologico didattica) che risolve i problemi rendendoli non più visibili. Da ciò certi attacchi generalizzati alla pedagogia accademica non privi di fondamento (ad es. Ferroni, 1997). Queste riflessioni dovrebbero aiutarci a comprendere la particolare configurazione che la pedagogia accademica ha assunto nella sua evoluzione fino a noi, venendo a trovarsi in una constante oscillazione fra rischi del tipo “Scilla e Cariddi”, che prendono solo apparentemente nuove forme. Tenendo ferma l’opzione comune per una “teoria della prassi”, che ho già indicata come un problema irrisolto, e tenendo conto del clima culturale legato alla “passione” (vale a dire anche “spinta utopica” o “tensione profetica”, ma anche retorica dell’esortazione moralistica), che costituiscono un elemento storicamente preesistente, vorrei adesso assumere come punto di svolta il decennio degli anni Settanta. La ricostruzione dell’intero percorso della pedagogia moderna esigerebbe volumi interi, e qui non è neppure accennata. Richiamiamo solo, perché elemento costante, la contrapposizione ideale fra una pedagogia di carattere eminentemente filosofico, collocata accademicamente fra le discipline filosofiche come “sapere minore” (rappresentata come “vecchia”); e una pedagogia dichiaratamente e progettualmente “scientifica” (rappresentata come “nuova”). Questo contrasto ha avuto una materializzazione significativa solo nei decenni dello scontro culturale fra Positivismo e Idealismo, in cui ha determinato approcci e proRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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spettive di lavoro oggettivamente differenti; successivamente, almeno dagli anni Cinquanta, ha perduto progressivamente significatività, trasformandosi in una differenza superficiale, confermata solo dalla rappresentazione di essa interna al mondo pedagogico. Questa affermazione andrebbe – naturalmente – verificata e dimostrata da studi che non esistono ancora. Occorre riconoscere, infatti, che i pedagogisti studiano poco il pensiero dei loro predecessori e (a parte alcuni storici) non sembrano oggi interessati a ricostruire il mondo accademico precedente il 1968. Forse anche questo è un effetto della nostra specializzazione /frantumazione, ma si deve osservare che nella continua rigenerazione di una comunità scientifica, in qualsiasi area disciplinare, la coscienza della propria storia rimane una componente ineliminabile.

Gli anni settanta/novanta Quali che fossero lo sviluppo e la composizione interna delle nostre discipline fino al confine del 1968, gli anni Settanta segnarono una frattura non ricomponibile con la tradizione accademica pregressa, nella misura in cui la contestazione culturale di quegli anni vide nella pedagogia (sia filosofica, sia scientifica), e nell’educazione in genere, piuttosto uno strumento di “riproduzione culturale” e di conservatorismo politico, e pretese di fondare una pedagogia “nuova” e rivoluzionaria, “non ideologica”, per la costruzione del mondo futuro. Si generò così, in realtà, un nuovo clima di “passione” pedagogica, che avrebbe ulteriormente favorito le scelte della ricerca accademica per una pedagogia come teoria dell’azione e scienza metodologica, da utilizzare per finalità (etiche e politiche) di nuovo definite prima e al di fuori dei suoi confini teorici. In alcuni casi, questa cesura ha determinato l’emergere di “nuove” filosofie dell’educazione, prevalentemente rimaste implicite e sottintese, di tipo naturalistico e spontaneistico, con una esplicita vocazione politico rivoluzionaria. Limitandoci agli ultimi trent’anni del secolo scorso, si deve rilevare che il costituirsi e il progressivo prevalere del modello delle “scienze dell’educazione” (scienze pedagogiche, psicologiche, sociologiche e antropologiche) come una costellazione di conoscenze fra loro “pari”, legate solo dal comune interesse pratico per l’oggetto educazione, ha favorito la perdita del primato ideale della pedagogia anche all’interno delle scienze pedagogiche, senza per questo determinarne la ricollocazione positiva dentro il paradigEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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ma delle scienze dell’educazione. L’avvento e il consolidamento accademico del paradigma delle scienze dell’educazione, a partire dai primi anni novanta, sembra quindi avere acuito il progressivo isolamento, esterno ed interno, soprattutto della pedagogia generale. Si osserva infatti, a partire da quel momento, una tendenziale diaspora interna, fra le stesse scienze pedagogiche. Ad esempio si può rilevare la tendenza dei didatti, dei docimologi e degli sperimentalisti a distinguersi dai pedagogisti, in nome di una maggiore o più definita scientificità del loro campo di indagine (l’apprendimento scolastico e la sua misurazione, la comunicazione didattica, la metodologia dell’insegnamento). Una simile presa di distanza si può per altra via riconoscere anche fra gli studiosi della letteratura e della produzione mass-mediatica per l’infanzia, i quali non possono ignorare per il loro campo specifico i criteri e i metodi propri della critica letteraria e cinematografica, e l’elenco potrebbe ancora continuare (per esempio con riferimento agli storici della scuola). In comune, le diverse aree interne delle scienze pedagogico-didattiche, presentano la stessa critica, condivisa dalle restanti scienze umane che si interessano di educazione, verso un sapere pedagogico considerato “poco scientifico”, filosofeggiante e retorico, quando non decisamente e astrattamente “parolaio”. È forse possibile ricollegare a queste dinamiche anche la diaspora e la proliferazione delle società scientifiche dei nostri ambiti (SIPed, SIRD, CIRSE), tutte costituite relativamente tardi, e che in Italia non sono neppure federate fra loro. Non si può neppure ignorare un dato strutturale e normativo: nel 1994 la riorganizzazione dei settori scientifico-disciplinari operata dal CUN riposiziona le scienze pedagogiche su sei settori distinti (successivamente riaggregati in quattro), mentre in precedenza tutte le discipline pedagogico-didattiche confluivano in un unico grande settore. Naturalmente non sono irrilevanti i numeri concreti dei ricercatori, nello sviluppo di un’area disciplinare come nella sua frammentazione interna, e i nostri numeri si sono effettivamente dilatati sotto diversi aspetti, soprattutto dalla fine degli anni novanta (negli stessi anni si sono modificati anche i rapporti interni fra le tre fasce di docenza, ma questo fenomeno interessa tutto il mondo accademico italiano). In sintesi, ad un sostanziale disconoscimento esterno della pedagogia, da parte delle macro-aree umanistiche e psico-sociali, si accompagna oggi una spinta centrifuga interna di discipline (di antica denominazione come la didattica, o di più recente sviluppo come le proliferanti denominazioni presenti nelle tabelle più recenti dei corsi di laurea). Per tali discipliRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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ne la definizione o ri-definizione epistemologica avviene apparentemente “emancipandosi” dalla pedagogia generale, sempre in base ad un giudizio più o meno implicito di una sua latente e residua “filosoficità”. La natura filosofica del sapere pedagogico viene dichiarata quindi “indebita”, e in qualche misura “cattiva” (ideologica, generica, approssimativa?). In realtà la tendenza centrifuga è proprio una delle conseguenze della debole identità scientifica del sapere pedagogico, di cui abbiamo detto, debolezza che dipende dal non avere mai tentato di definire al proprio interno sia l’oggetto specifico, sia gli spazi del proprio campo di indagine, sia le specifiche e conseguenti metodologie di ricerca. È la debolezza epistemologica che appunto favorisce l’attrazione di altre aree e costellazioni disciplinari, rispetto alle quali il ricercatore in campo educativo viene poi appiattito (subendo di fatto una nuova affiliazione scientifica, per quanto non formalizzata).

Il paradigma delle Scienze dell’Educazione Il paradigma delle scienze dell’educazione si sviluppa nel mondo occidentale in parallelo, tuttavia si deve registrare un’influenza della ricerca e della letteratura angloamericana in tutta Europa, dopo la seconda guerra mondiale. Nella nostra tradizione accademica l’influenza americana arriva in realtà in due momenti successivi: l’immediato dopoguerra, in cui si introducono studi e traduzioni di J. Dewey e dell’attivismo progressista, e gli anni Settanta in cui penetrano non solo il primo Bruner e la psicologia cognitivista, ma soprattutto i tardi esiti del comportamentismo e i modelli cibernetici applicati in chiave tecnico-didattica all’apprendimento umano. Si tratta in realtà di componenti qualitativamente diverse, e perfino in contrasto fra loro (non solo si contrappongono Dewey e Bruner, ma anche il cognitivismo e il comportamentismo). Nella pedagogia italiana ne penetra una sintesi composita, che ha come effetto più diretto e concreto una omologazione metodologica (anche se spesso solo superficiale) della nostra ricerca, e soprattutto l’introduzione di termini di derivazione anglo-americana. L’uso dell’inglese come lingua internazionale non può avere solo una funzione mediatrice e strumentale: la lingua rafforza e accredita modelli scientifici generati da scuole accademiche alternativamente prevalenti, che usano linguaggi e termini specifici e caratterizzanti. Anche la ricerca psicopedagogica americana e internazionale, del resto, è fortemente condiEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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zionata dalla sua destinazione a un pubblico di insegnanti, e da un’ampia e generalizzata scolarizzazione obbligatoria. L’affermarsi di un linguaggio internazionale nella nostra letteratura di scuola, tuttavia, ha finito per generare una scollatura fra la lingua tecnico-scientifica, divenuta espressione procedurale e burocratica, e la lingua con cui gli insegnanti pensano e si raccontano la loro attività effettiva. Quest’ultima è una dinamica difficile da dimostrare, sebbene abbiamo forti ragioni di sospettarne (Moscato, 2011c), che certamente ha avuto un’influenza negativa sullo sviluppo della ricerca pedagogico-didattica connessa all’area della scuola e della formazione insegnanti. Le tendenze americane approdate in Italia alla fine degli anni sessanta (il post e l’oltre l’attivismo di Dewey), si presentarono con una serie di autori e di studi tutti orientati all’apprendimento scolastico (e ai suoi fallimenti). Si tratta di una pedagogia prevalentemente fondata su ricerche e su modelli psicologici, sebbene di scuole diverse (ad esempio il comportamentismo di Skinner, caratterizzato dalla ricerca di laboratorio condotta prevalentemente su animali, e il cognitivismo di Bruner), da cui deriva una letteratura per la scuola centrata su modelli didattici procedurali, che in Italia si è affermata e divulgata, anche per impulso dell’Amministrazione, almeno a partire dai Programmi della Scuola Media unificata del 1979. Una parte minore della produzione pedagogica italiana post-sessantotto presenta invece una matrice sociologica (in questo caso la presenza della ricerca francese affianca quella americana in termini più consistenti e decisivi: Bourdieu, Boudon, Millot, Passeron). Sempre a partire dagli anni Settanta, possiamo osservare l’influenza, con alterne vicende, sulla nostra letteratura, sia di matrici marxiane, sia di matrici psicanalitiche, soprattutto ricomposte fra loro come esito degli studi della Scuola di Francoforte. Categorie e modelli psicanalitici sono stati recepiti ed usati molto poco dalla pedagogia italiana (gli studi di Riccardo Massa e di D. Demetrio, a Milano, costituiscono una eccezione). Naturalmente tutto ciò potrebbe/dovrebbe essere puntualmente documentato sul piano storico, con argomentazione e riferimenti necessariamente lunghi e articolati. L’accenno a questi problemi, ai fini dell’obiettivo di questo testo, evidenzia soltanto come si sviluppi accademicamente fra noi una tradizione pedagogica composita, che definisce sempre il proprio oggetto di ricerca a partire da prospettive e materiali di ricerca extra-pedagogici, e sempre lasciando parallelamente impliciti i propri (ed altrui) presupposti filosofici, che rimangono così a monte di ogni singola concreta ricerca o studio pedagogico. Come ho già RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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detto, ritengo che questo sia esattamente il nostro problema epistemologico centrale, che l’accreditarsi del paradigma delle scienze dell’educazione ha ulteriormente aggravato. Un ultimo accenno è doveroso agli sviluppi di una pedagogia di matrice filosofica, divenuta evidentemente “perdente” negli ultimi decenni. L’approccio esclusivamente filosofico al problema pedagogico non costituisce, di per sé, una soluzione epistemologica per la pedagogia: non ogni prospettiva filosofica ci è utile, anzi alcune rendono del tutto astratta la posizione del problema pedagogico. E tuttavia le scarse frequentazioni della letteratura pedagogica tedesca esprimono una scelta epistemologica precisa, così come, non casualmente, alcuni pedagogisti italiani se ne interessano e la utilizzano. È il caso ad esempio di Sergio De Giacinto, che ritengo uno degli studiosi più lucidi nelle ultime generazioni di pedagogisti, al quale si deve una posizione del problema epistemologico tutt’ora da considerare. Per esempio, la distinzione fra una “pedagogia pura” e una “pedagogia applicata” rispondeva, ovviandoli, al problema di una auto-posizione immediata ed esclusiva della pedagogia come “teoria dell’agire (e per l’agire) educativo” (De Giacinto, 1977; 1983; 1986). Si dovrebbero fare poi studi specifici e di dettaglio, per seguire gli esiti pedagogici, diretti e indiretti, della scuola di Antonio Banfi, filosofo con interessi pedagogici evidenti, attraverso due generazioni almeno di studiosi: un nucleo degno di nota è certamente la scuola bolognese di Giovanni Maria Bertin. Ci sarebbe poi da studiare nel dettaglio come la matrice banfiana abbia determinato l’impianto teoretico di Egle Becchi, caratterizzata da uno sviluppo pedagogico poliedrico sempre di alto livello (dalla storia dell’educazione alla pedagogia sperimentale). L’influenza di Banfi connota, attraverso la lezione filosofica di Enzo Paci, anche le posizioni di Piero Bertolini e la sua pedagogia fenomenologica (Bertolini, 2001). Tuttavia a me pare che anche in questi casi, l’opzione immediata per una pedagogia come “teoria dell’agire educativo” abbia mortificato una serie di sviluppi teoretici che a me sarebbero parsi desiderabili, e che di nuovoa la “passione” abbia interferito e direzionato. Per questo, in ultima analisi, tutte le posizioni dei filosofi dell’educazione e di quei pedagogisti più sensibili ad una problematica epistemologica rigorosa mi appaiono oggi piuttosto come “sentieri interrotti”. La Tabella XV del 1992, che riformava e trasformava il corso di laurea in Pedagogia presso le ex Facoltà di Magistero, segna la vittoria di fatto, sul piano epistemologico, del paradigma delle Scienze dell’Educazione, un paradigma EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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anticipato nella produzione pedagogica italiana fin dalla fine degli anni Settanta, con riferimenti diretti ad orientamenti internazionali in cui anche la tradizione francese assumeva un ruolo trainante.

Fare memoria dei “sentieri interrotti”? La posizione che ho esposto in questo testo come esigenza epistemologica, cioè della individuazione di un oggetto formale da parte di una pedagogia scientifica di tipo descrittivo/ interpretativo, non è nuova nella storia della pedagogia accademica italiana, e mi permette di individuare dei “sentieri interrotti”, soprattutto nella stagione antecedente il 1968: ad esempio Giovanni Maria Bertin distingueva la filosofia dell’educazione dalle diverse possibili pedagogie individuabili storicamente o realizzabili. Per Bertin (1968) l’educazione costituisce un’idea limite che permette di riconoscere e classificare i fenomeni educativi come tali. Gino Corallo (1961, 2009) distingueva una pedagogia generale (o pedagogia prima, che per lui coincideva con la filosofia dell’educazione), da una pedagogia seconda (o metodologia dell’educazione), interconnessa, ma distinta dalla prima. Per lui l’educazione andava riconosciuta e definita attraverso l’esame delle sue “costanti storico-empiriche” (di fatto costanti fenomenologiche) e costituiva una “forma” universale al di là delle infinite variazioni dei suoi contenuti. In Bertin le “costanti” sono dichiaratamente fenomenologico-trascendentali e costituiscono l’idea limite di educazione nella coscienza. Pedagogisti di matrice diversa hanno offerto soluzioni teoriche analoghe al problema della fondazione di un sapere pedagogico: Aldo Agazzi (1950) riconosceva all’interno della pedagogia generale una parte teoretico-fondativa senza darle un nome distinto; Piero Bertolini (1988, 1990) ha scritto di una pedagogia come scienza insieme “eidetica, pratica ed empirica”. Gli studi di Gino Dalle Fratte (1986), per un verso, quelli già ricordati di Sergio De Giacinto (1977), per un altro, attestano una continua tensione, nella pedagogia accademica italiana, per una fondazione epistemologica affidabile, cui agganciare poi anche una ricerca empirica, o comunque la lettura dell’esperienza sul campo, e a partire dalla quale ridefinire costantemente i principi metodologici dell’agire educativo e didattico, sia in termini di doverosità etica, sia in termini di efficacia. In tutte le mancate o parziali soluzioni teoriche proposte in passato, sembra prevalere la volontà di conservare un’unità del sapere pedagogico RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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in quanto tale, lasciandone fuori come distinta la filosofia dell’educazione. Questo impedisce ad autori di matrice diversa (per esempio Aldo Agazzi e Piero Bertolini) di individuare e riconoscere una “doppia anima” alla pedagogia, e quindi di distinguere una pedagogia prima, teoretica (o anche un filosofia dell’educazione), da una pedagogia seconda (pratico-metodologica), come sarebbe stato invece necessario, secondo la tesi esplicitamente formulata da Gino Corallo negli anni cinquanta/sessanta. In Piero Bertolini, ad esempio, che amo ricordare in questa riflessione, per il nostro lungo dialogo/ dibattito personale, segnato da una impossibile “conversione reciproca”, il tentativo di fondare la pedagogia fenomenologicamente sarebbe approdato certamente ad un esito scientifico diverso, se anch’egli non si fosse autolimitato all’opzione metodologica anticipata, e non avesse respinto ostinatamente la possibilità delle due pedagogie. Perciò le categorie eidetiche che egli identifica (le sue “regioni ontologiche” dell’esperienza educativa) si trasformano subito in categorie “pratiche”, senza sviluppare tutta la potenza interpretativa che esse avrebbero avuto in ordine alla comprensione del fatto educativo. Secondo il mio giudizio, questa scelta per l’identità pratica della pedagogia, in un pedagogista dall’ampia e remota formazione filosofica, è il vero motivo in cui neppure nella sua riflessione più matura (2001) Bertolini riesca a fissare le caratteristiche di una vera scuola pedagogica, nonostante la ricchezza promozionale delle sue relazioni accademiche con due generazioni successive di pedagogisti, e la ricca e articolata produzione editoriale avviata, fra il 1988 e il 2005, proprio dietro il suo impulso. Se vogliamo “ripensare” la pedagogia, assumendo che essa costituisca (e comunque possa costituire) anche un sapere scientifico, il primo punto essenziale da affrontare è il fatto che l’oggetto educazione non possa essere “descritto”, e/o “definito”, né immediatamente, né univocamente, con un approccio di tipo empirico (Di Bernardo, 1986). Esso esige sempre una interpretazione, e la concettualizzazione che ne deriva, già nel momento della sua definizione iniziale o provvisoria, si trasforma immediatamente in una categoria generativa (descrittiva e interpretativa) che governerà il successivo sviluppo del processo di ricerca scientifica (che si tratti di una ricerca teorica o di una indagine empirica, metodologie che hanno entrambe “diritto di cittadinanza” in campo pedagogico). Perfino la ricerca storica in campo educativo, pur utilizzando metodologie di tipo storico, di fatto oggi presuppone senza definirle le caratteristiche del fenomeno (un oggetto preciso) che essa cerca poi di rintracciare in momenti passati, attraverso fonti materiali dirette e indirette. E ciò accade, EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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sia che si tratti di indagare fatti e processi educativi nell’esperienza storica di passate generazioni (ciò che è specificamente storia dei fatti educativi e delle istituzioni educative), sia che si tratti di indagare intorno alle idee e alle rappresentazioni relative all’educazione, che gli uomini hanno prodotto, e che sono rimaste sedimentate in fonti pedagogiche dirette e/o indirette (ciò che sarebbe più specificamente storia della pedagogia, o comunque storia delle idee pedagogiche). Perciò, nei nostri studi attuali, ci accade che ogni ricerca, comprese quelle di tipo storico, ribadisca concettualmente (oppure rafforzi implicitamente) la rappresentazione/concezione di educazione che presupponeva: vale a dire che ogni ricerca “trova quello che ha cercato”, confermando così i propri presupposti (Bruner, 1992). Ma per conseguenza i nostri studi non riescono di fatto a dialogare fra loro (direi che è difficile anche contrastarsi). In altri termini, per “ripensare” dovremmo in primo luogo riconoscere il fatto che la dimensione specificamente teoretica della pedagogia rimanga di fatto implicita, e subito “sommersa” dall’interesse per la dimensione prassico-tecnica del fenomeno indagato. L’oggetto presupposto, e che rimane solo implicitamente definito (come “educazione”), assume perciò i caratteri del dato di realtà, del “fenomeno” oggettivamente descritto, nascondendo, talvolta agli occhi dello stesso studioso coinvolto, in quali termini (e con quali categorie di lettura) tale oggetto sia stato in realtà “interpretato” e/o “progettato”. Per conseguenza, ogni possibile definizione di educazione richiama e ingloba, nel momento iniziale della costruzione di un sapere pedagogico definito, almeno una serie di premesse filosofiche, talvolta disorganiche, talvolta perfino contraddittorie, premesse che rimangono tutte implicite, in termini che impediscono perfino l’unificazione e la condivisione di linguaggi specifici, proprio perché degli impliciti non si può dibattere. È anche vero che, in termini generali, il problema delle premesse filosofiche implicite riguarda potenzialmente tutte le scienze, e quelle umane in particolare, ma riteniamo che esso interessi la pedagogia più direttamente. Unicamente nella letteratura pedagogica accade che resti implicita la stessa definizione di educazione, dietro l’urgenza di definire subito la dimensione pratica e applicativa del discorso che si sta sviluppando. Ed è possibile che ciò accada anche quando si presenti una ricerca sul campo in cui un determinato (ma implicito) concetto di educazione costituisce anche la categoria di lettura del dato fornito. L’ultima conseguenza di tutta queRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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sta riflessione (ma non la meno pesante per lo sviluppo di una pedagogia scientifica) è la progressiva sparizione della pedagogia come disciplina nella scuola secondaria. Nei programmi scolastici in vigore abbiamo conservato solo una presenza come “storia del pensiero pedagogico” (delimitato e minore). Per il resto, già a partire dai programma Brocca, la pedagogia è presente come disciplina professionalizzante, cioè come un sapere pratico applicativo, con temi e campi di interesse (famiglia, scuola, età evolutiva) che sono gli stessi delle altre scienze psico-sociali (Psicologia, antropologia, sociologia). In pratica, le altre discipline prevalgono, per la loro più netta distinzione teoretico-epistemologica e per il loro prestigio accademico, già nella mente e nel cuore dell’insegnante che deve proporle alle classi. Ed ecco che la pedagogia può configurarsi, già per gli allievi adolescenti, come un «sapere assente, rimpianto ed insieme scarsamente voluto, retroterra di bisogni che non trovano risposta»… E ciò in una socio-cultura che oggi ha cancellato di fatto l’idea di educazione dal suo orizzonte… Io sono assolutamente convinta che il sapere pedagogico potrebbe fornire, attraverso riflessioni di diverso livello, matrici concettuali attive, capaci di interpretare in primo luogo i fenomeni educativi reali (cioè quelli spontanei, e quindi “naturali”, sia pure all’interno di una vita sociale culturale quale è quella umana): la conoscenza pedagogica può agire e/o determinare una prassi educativa, solo se prima esplorerà e comprenderà un oggetto, l’educazione, che è tale da dirci molto sulla natura umana, sulle relazioni e sui legami sociali, sulle trasformazioni esistenziali. La riflessione pedagogica dovrebbe in primo luogo permetterci di comprendere meglio la condizione umana, a partire dalla dinamica dell’educazione. Solo in un secondo momento il sapere pedagogico può accompagnare con la propria riflessione la continua riprogettazione esistenziale delle persone come delle società storiche. Nessun progetto sociale, etico, politico, o educativo, può essere avanzato e condiviso senza un’idea interpretante della realtà che lo preceda. In questo senso il mondo è veramente modificato dalla conoscenza umana di esso. La “pedagogia prima” dovrebbe quindi riconoscere come proprio oggetto formale di indagine la fenomenologia dell’educazione umana, ciò che è anche la condizione per distinguere, ad esempio, se e in che termini si possa parlare di una “educazione” degli adulti (Moscato, 2011a; 2011b). In questa fase potrebbe/ dovrebbe avvenire il confronto con categorie scientifiche interpretative altre, come quelle psicologiche e sociologiche, che non possono non incontrare anche l’educazione fra i propri oggetti di EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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indagine, e ciò con piena e consapevole attenzione alla opzioni filosofiche che rimangono implicite anche in tali categorie. Parlare, con Bertolini, di una “scienza eidetica” significherebbe solo riconoscere l’intrinseca fondazione filosofica del sapere pedagogico (ma ciò vale anche per psicologia e sociologia) prima di assumere i dati empirici ed esperienziali propri di questo campo di indagine. Non si tratta quindi di identificare la pedagogia prima (generale) necessariamente con la filosofia dell’educazione, ma piuttosto di ricomporre nel campo di indagine della pedagogia generale anche il confronto fra diverse filosofie dell’educazione, piuttosto che lasciarle implicite dietro una supposto oggettività della ricerca pedagogica. Mi rendo conto che questo comporti anche una ridefinizione del concetto stesso di “scienza”. Ma anche le scienze, se non trasformate in dogmi, possono sempre essere “ri-pensate”. Presentazione dell’Autore: Maria Teresa Moscato è professore ordinario di Pedagogia generale presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Ha sviluppato inizialmente studi di tipo storico teoretico, particolarmente sulla produzione pedagogica americana; si è successivamente occupata dei processi educativi in emigrazione, in équipes internazionali. Ha poi affrontato temi di pedagogia generale in prospettiva fenomenologica e si è occupata specificamente di formazione insegnanti e di una teoria pedagogica dell’insegnamento. Negli ultimi anni ha condotto ricerche sul campo sulle “educazioni” nella scuola e è impegnata in un programma di ricerca sul senso religioso e i dinamismi della formazione religiosa.

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Maria Teresa Moscato

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La pedagogia del lavoro Questioni emergenti e dimensioni di sviluppo per la ricerca e la formazione

GIUDITTA ALESSANDRINI

Riassunto: Questo saggio, ripercorrendo pur brevemente alcuni processi fondamentali di trasformazione del lavoro nella modernità, intende perimetrare l’ambito della disciplina “pedagogia del lavoro” – attualmente oggetto di interesse crescente da numerosi studiosi – ed accennare alle sue prospettive future. Tra queste, il tema della sostenibilità, e degli “gender study” e della diversità. L’approccio pedagogico enfatizza la dimensione antropologica come elemento fondamentale di ricerca e di dibattito scientifico in materia. Abstract: This paper, briefly recognizing some of the fundamental processes of transformation of work in modernity, would introduce specific approach of pedagogical studies the working’s field – object now of increasing interest by many authors in human sciences –. This paper would design future research’s framework in following thematic priorities: diversity, gender equality, soustenability. The pedagogical view emfhasize the antropological dimension of work as a main issue of research and scientific debate. Parole chiave: pedagogia del lavoro, formazione, diversità, sostenibilità.

Premessa È indubbio che il lavoro faccia parte degli “archetipi collettivi” della storia umana rispetto a cui ogni individuo in quanto membro di una comunità si confronta. Nella memoria della civiltà occidentale, si sono accumulati diversi codici interpretativi del “lavoro” – che hanno generato molte “immagini” del lavoro – talvolta incoerenti ed antinomiche. Nell’attualità il tema delle trasformazioni del lavoro (in quanto scarsità e precarietà nelle società dell’occidente) è diventato un tema cardine della riflessione sviluppatasi in seno alle scienze umane1. Sono convinta che la pedagogia – in quanto disciplina autonoma ed epistemologicamente fondata – dovrà rivendicare nel futuro con chiarezza d’intenti e rigore metodologico uno “spazio” significativo di ricerca e di inEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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tervento nel panorama delle scienze umane sui temi di più scottante interesse come i seguenti: il dialogo tra diversità, la sostenibilità, l’orientamento ai saperi professionali per gli individui e le comunità, l’analisi dei fenomeni di disagio connessi al lavoro (ed alla sua precarizzazione), le trasformazioni identitarie dell’adultità nelle discontinuità lavorative, la formazione all’esperienza professionale come ambito di lifelong guidance e tanti altri. Ancora molto occorre fare per spazzare via stereotipi legati ad visione riduttiva della ricerca pedagogica sul lavoro rispetto alla ricerca sociologica, psicologica e antropologica. Mai come oggi è il momento, quindi, di rivendicare una piena cittadinanza della ricerca in pedagogia del lavoro come orientamento euristico e prassico di possibile grande futuro.

La visione “moderna” del lavoro Quando emerge, almeno nella storia dell’occidente, la visione sostanzialmente moderna del lavoro? Proponendo una visione di estrema sintesi, possiamo ipotizzare alcuni momenti-chiave, generativi di nuove immagini e percezioni del lavoro che accompagnano a partire dal rinascimento tale visione2. Con il pensiero del filosofo polacco Komenski ad esempio (Bellerate, 1984), il lavoro diventa finalmente espressione della dignità dell’adulto e diventa luogo di formazione consapevole per le nuove generazioni; questa idea è connessa ad una visione fortemente connotata in senso umanistico. L’orientamento verso un significato esplicitamente positivo del lavoro, si consolida anche in rapporto al diffondersi in alcuni paesi d’Europa dei principi a cui si era ispirata la riforma di Lutero e Calvino (il principio della salvezza dell’uomo attraverso le opere), e diventa esplicita, con gli illuministi. Nella prima edizione dell’Enciclopedia, appaiono numerose raffigurazioni (le cosiddette “planches”) che rappresentavano la gran parte dei lavori esistenti al mondo. Il secolo XVI, in Inghilterra vede il primo emergere di iniziative volte alla formazione al lavoro per i poveri, mentre in altre parti d’Europa si delinea l’avvio di forme di filantropismo anche sorrette da ordini religiosi (come i calasanziani), volte all’avvio ad alcune forme di lavorazione per i giovani bisognosi. È nel seicento, poi, che con l’emergere della borghesia operosa – soprattutto nei paesi che al tempo erano più ricchi, come i Paesi Bassi e la Francia – il lavoro acquista il suo valore di dignità e di idealità come simRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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bolo dell’affermarsi dei valori di un’umanità che scrive la sua storia anche attraverso i valori terreni della laboriosità del vivere sociale e cittadino. Basti vedere alcuni capolavori della pittura fiamminga del quattro-cinquecento per scorgere la dignità che il pittore conferisce al lavoro quotidiano in famiglia (per la prima volta si conferisce un inedito valore aulico agli spazi della casa operosa della famiglia), all’interno dei laboratori artigiani dell’orafo o del sarto per comprendere la rivoluzione silenziosa operatasi in quelle culture intorno al valore del lavoro. Dal punto di vista della storia delle idee, bisogna attendere in particolare l’opera di Locke (1992), per scorgere come il lavoro possa avere il suo posto nel programma di educazione del gentiluomo. Ma è con Rousseau che il lavoro diventa ambito di educabilità ed area critica di individuazione della vocazione personale (Rousseau, 1965). Un paio di decenni dopo la prima edizione dell’Enciclopedia, nel 1776, Adam Smith porrà attenzione per la prima volta il tema del lavoro dal punto di vista di un approccio di teoria economica3. La divisione del lavoro per Smith è l’anello di congiunzione decisivo tra struttura economica e struttura sociale. Questa riflessione è centrale nella storia delle idee, poiché, aprendo un varco al pensiero prima di Karl Marx, e poi di Max Weber, stabilisce per la prima volta un chiaro collegamento tra gli aspetti politici, economici e morali. Uno dei fattori della ricchezza delle nazioni è identificato con la quota di lavoratori produttivi sul totale della popolazione: basandosi su quest’elemento Adam Smith contribuisce a sottolineare la centralità del lavoro nella società in contrapposizione ai numerosi retaggi della società feudale, che all’epoca erano ancora persistenti anche nella società inglese. Le idee rousseiane e lockiane si diffondono nel centro dell’Europa ed in qualche modo anticipano alcuni valori che poi tenderanno a diventare patrimonio di una parte della borghesia imprenditoriale dei secoli successivi. Nel secolo XVIII nascono le prime scuole professionali orientate alla formazione dei nuovi tecnici in grado di sviluppare quel tipo di lavoro necessario alla nascente società moderna (si veda ad esempio le scuole Lassaliane). Non bisogna dimenticare il contributo dell’idealismo alla costruzione di un approccio positivo al lavoro modernamente inteso come ambito di sviluppo della persona in un contesto sociale ed organizzativo. Ad esempio per Fichte (1909), l’azione sulla natura è una fonte di moraEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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lità; l’azione volta alla trasformazione del mondo è quindi anche espressione dell’autocoscienza4. In altri termini, il principio della moralità deve poggiare sul presupposto che l’Io si renda attivo in libertà. Il lavoro è dovere della condizione morale ed esistenziale della persona fisica: da qui Fichte deduce che lo Stato deve garantire il diritto al lavoro e per assicurarlo, può intervenire regolamentando i rapporti di lavoro. Bisogna attendere l’apparire del socialismo utopistico intorno alla metà del secolo decimo nono, per trovare il “lavoro” come capitolo sostantivo di riflessione, studio ed interpretazione, in quanto attività cosciente, razionale e libera. Il lavoro é dunque letto ed interpretato nel XX secolo all’interno di una vasta gamma di motivi che costituiscono i temi della modernità: il rapporto tra individuo e gruppi sociali, le forme di potere e di autorità nei contesti sociali e culturali. L’importanza che assumerà il lavoro nella società industriale non avrà precedenti nella storia, nel senso di «asse della condotta di vita dei singoli. La società industriale è in tutto e per tutto una società del lavoro retribuito» (Beck, 2000). Il lavoro diventa anche un’area di studio e di analisi specifica nell’ambito dello studio della società nel suo complesso e quindi anche un tema di pedagogia sociale che riguarda dimensioni antropologiche e formative. Il sistema del lavoro,dunque, si è basato, dal diciannovesimo secolo fino a pochi decenni fa, su un alto grado di standardizzazione delle sue dimensioni essenziali: il contratto, il luogo e l’orario di lavoro. Il sistema del “pieno impiego standardizzato” negli ultimi anni – in riferimento ai nuovi drivers delle trasformazioni economiche a livello globale – si fa meno rigido e si sfilaccia provocando una flessibilizzazione di tre pilastri: il diritto del lavoro, il luogo del lavoro e gli orari.

Verso la fine del lavoro? Delocalizzazione e crisi economica Negli ultimi anni del ventesimo secolo e nei primi del ventunesimo si assiste ad una crescita della varietà dei rapporti di lavoro che di fatto porterà allo scenario attuale caratterizzato da processi di destandardizzazione del lavoro stesso. Negli ultimi anni, non solo nel nostro paese, ma anche negli altri paesi europei una sorta di shock esogeno si è generato nel mondo del lavoro5. Questa tesi – espressa dal Rapporto Supiot uscito in Francia alcuni anni fa e fondamentale nel suo preconizzare tendenze poi diffusesi in tutta RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Europa – consente di evidenziare una serie di complessi mutamenti nella regolazione dei rapporti di lavoro e nella società che riguardano tre ambiti: il progressivo declino di sistemi produttivi standardizzati, l’emergere di sistemi di carattere eterogeneo ed a rete, il consolidarsi di economie centrate sul dominio dell’informazione e della conoscenza. Il punto fondamentale – secondo il Rapporto Supiot (1999) – è che il modello di regolazione socio-economica su cui si è fondato il diritto del lavoro all’inizio del XX secolo – centrato su un quadro regolativo correlato alla subordinazione standardizzata, su uno Stato nazionale e sulla famiglia nucleare – è in crisi. La diagnosi emergente prende atto in sostanza della “pluralizzazione dei modi di produzione che caratterizza il cammino della crescita europea”. Si è già sottolineato come un elemento-chiave dello scenario attuale del lavoro sia la profonda trasformazione della nozione di subordinazione. La ricerca sociologica sul piano dell’analisi organizzativa, evidenzia de facto la tendenza verso il ridimensionamento della pressione gerarchica soprattutto nei contesti della grande impresa e negli apparati del pubblico impiego (Crozier, 1990; Butera, Donati, Cesaria, 2003). È indubbio anche che più lavoro autonomo vuol dire crescita dell’insicurezza delle persone. Si verificano ad esempio sempre più parziali sovrapposizioni tra diverse tipologie di lavoro, da quello precario a quello in cui lavoro dipendente ed indipendente si confondono6. La terziarizzazione delle attività professionali genera anche la rottura di ritmi collettivi e la modifica di processi di integrazione sociale legati a tali ritmi (la pausa per l’alimentazione, le ferie, ecc.). Secondo l’ottica fordista, la schematizzazione del tempo è fondamentalmente di tipo lineare: esiste un tempo di lavoro (contabilizzato e mercificato) ed un tempo disponibile, di non lavoro, ovvero il tempo libero. Se nel passato, coerentemente alla centralità del lavoro subordinato in una società fondamentalmente di tipo fordista, la condizione lavorativa era l’unica via dell’accesso alla cittadinanza sociale, oggi si pongono nuovi elementi che minano alla base questa identificazione, ponendo tale condizione – la cittadinanza – come diritto-dovere della persona in quanto tale e prescindendo dalla condizione lavorativa. La precarietà dei rapporti è un elemento per così dire endemico della società liquida, la temporaneità, incertezza, vulnerabilità caratterizzano molte dimensioni delle interazioni tra individuo e organizzazione (Bauman, 1999, 2000). Questo trasferimento delle responsabilità all’individuo isolato – definiEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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ta “individualizzazione” – è un fattore trasversale a molte fenomenologie della società contemporanea. Il mercato del lavoro italiano, in particolare, appare così frammentato, a tratti disomogeneo, nel complesso attraversato da alcune tendenze che si confermano nel tempo, quale la crescita della disoccupazione di persone qualificate, la crescita dell’occupazione precaria su quella stabile e la spaccatura Nord-Sud, ma per il resto connotato da una forte articolazione territoriale e settoriale7. La diffusione di”pratiche di lavoro” che utilizzano reti telematiche ha contribuito negli ultimi dieci anni a rendere possibile processi di trasformazione organizzativa nel senso della deburocratizzazione: tra questi, l’avanzare di una visione organizzativa di tipo processivo, la semplificazione procedurale, l’avviamento verso il ridisegno di modelli organizzativi del tipo a matrice o per progetto, l’emergere di una maggiore attenzione alle competenze non solo tecnico specialistiche ma anche trasversali del personale. Un altro aspetto che ha determinato la rottura della logica “tayloristica”, e della parcellizzazione del lavoro è il “ridisegno” dei processi lavorativi – reso appunto possibile dall’introduzione delle nuove tecnologie di rete –, l’avvento di processi di integrazione funzionale, di disintermediazione e di ampliamento dei mercati pubblici di riferimento. Fenomeni di tipo macroeconomico come la deregulation e la delocalizzazione del lavoro, la concentrazione di capitali in compagnie multinazionali hanno trasformato nell’ultimo decennio la geografia complessiva che regola la distribuzione del lavoro e quindi inciso profondamente sulla configurazione dei rapporti tra persona ed organizzazione e dei rapporti di potere tra attori sia in campo economico che geopolitico. Tra le grandi trasformazioni del lavoro è centrale la crescente multietnicizzazione delle popolazioni organizzative. Ma per comprendere questo fattore occorre comprendere un altro fenomeno caratterizzante i nuovi equilibri emergenti nel terzo millennio: la deterritorializzazione dell’economia. La conseguenza della globalizzazione economica ha generato per così dire la soppressione dei limiti territoriali, una profonda modifica dei rapporti di potere, e delle condizioni di scambio culturale (Latouche, 1992). La deterritorializzazione è correlata alla delocalizzazione ed al decentramento produttivo in quanto causa ed al tempo stesso effetto delle profonde trasformazioni che investono questo millennio. L’integrazione dei mercati ruota attorno a logiche multipolari domiRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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nate da paesi leader che esercitano potere e controllo sui paesi che offrono mano d’opera o capitale intellettuale a basso costo. L’accesso al mercato del lavoro internazionale è una grande occasione per i paesi poveri per sottrarsi alla povertà ma diventa anche fonte di disuguaglianze e di nuove povertà (Stiglitz, 2006). Gli scenari della delocalizzazione e del primato della finanza rispetto all’economia, di recente hanno generato a livello planetario situazioni di crisi del lavoro (e delle sue forme di tutela) ed il persistere e l’aggravarsi di forme di disuguaglianza che mettono a repentaglio in alcuni paesi la libertà e la democrazia. Si è parlato anche in occidente di “erosione” del capitale sociale con l’aumento della povertà e delle disuguaglianze anche per le classi intermedie e possibilità di rischi per la coesistenza civile. L’enciclica “Caritas in Veritate” ha fatto riferimento a «processi che hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di vantaggi competitivi nel mercato globale con grave pericolo per i diritti dei lavoratori» (CdV. Cap. Sec., 25), e ancora «quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione diviene endemica si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà di costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza». È indubbio che le multinazionali rappresentino emblematicamente la globalizzazione economica con la polivalenza di effetti che tale fattore può determinare: la potenzialità per queste società di farsi arbitro degli investimenti e delle scelte strategiche pertinenti, quasi in un regime monopolistico che travalica anche il potere dei singoli stati, l’apertura di prospettive di occupazione in paesi dove il costo del lavoro è più basso ovvero la chiusura di fabbriche ed impianti con processi di ridimensionamento o “fine” del lavoro nei paesi sviluppati dove i costi sono meno competitivi. Da qui la crisi delle aziende poco competitive, incapaci di attivare processi di innovazione tecnologica e soprattutto di adattarsi ad un processo di “mercatizzazione” globale del mondo. In definitiva uno dei processi fondamentali di trasformazione del lavoro su scala mondiale riguarda gli effetti della globalizzazione economica e l’influenza geopolitica che questo fenomeno genera negli equilibri internazionali (Lizza, 2009). Gli effetti della crisi che stanno vivendo le economie mature con la conseguente caduta dell’occupazione anche qualificata diventa oggi un detonatore degli effetti di processi di trasformazione nel senso prima indicato già in atto da qualche tempo in Europa e nel mondo. I dati relativi ai tassi di disoccupazione nel paese oggi parlano chiaro non EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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solo rispetto alla crescita delle percentuali della disoccupazione ma anche rispetto alle tipologie di lavoro (si vedano le fonti Istat, 2010). Nell’ambito della fascia dei lavoratori di età tra i 15 ed i 24 anni, uno su quattro non trova lavoro. Se si guarda il lavoro al Sud, il tasso di disoccupazione vola al 35% che arriva al 36% per le giovani. Fra gli occupati aumenta la quota dei lavoratori part time di tipo involontario ed è in netta discesa il numero degli occupati a tempo pieno. Ma l’elemento più denso di preoccupazione è la crescita degli “inattivi”, di quella percentuale della popolazione che non trova lavoro ma non lo cerca (il 38% che diventa il 65,4% per le donne del sud) (Istat, 2010). Un elemento del dibattito emergente nei temi più recenti è l’allarme sugli effetti deleteri potenzialmente innescati dalla crisi e sulla necessità di nuove tutele per i lavoratori. È interessante citare ad esempio la voce della CEI, con l’intervento del cardinal Bagnasco in occasione della 59° Conferenza Episcopale. Il monito nella sua efficacia non ha risparmiato i toni duri: «Sbaglia – ha detto Bagnasco – chi pensa che i lavoratori rappresentano un’inutile zavorra da licenziare come se fossimo davanti ad una nave da alleggerire. Quel patrimonio di conoscenze e di esperienze garantito dalle persone che lavorano sarà la base da cui ripartire, passato il peggio» (Marroni, 2009).

Il primato dell’istanza antropologica come focus della pedagogia del lavoro Se nel passato, coerentemente alla centralità del lavoro subordinato in una società fondamentalmente di tipo fordista, la condizione lavorativa era l’unica via dell’accesso alla cittadinanza sociale, oggi si pongono diversi elementi che minano alla base questa identificazione. La continuità lavorativa (il fatto che il lavoro da dipendente durava tutta la vita) diventava continuità dello stato professionale; la discontinuità dei percorsi di formazione e di carriera – oggi frequente – genera una “messa a repentaglio” dei processi di costruzione dell’identità e delle radici etico-sociali della persona. Un problema oggetto di crescente attenzione da parte delle parti sociali è, infatti, l’esigenza di ipotizzare forme di tracciamento della “crescita professionale” del lavoratore attraverso esperienze di lavoro atipico in somministrazione attraverso il libretto formativo o forme di bilancio delle competenze. Bisogna considerare che la nostra Costituzione impegna il sistema norRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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mativo, istituzionale ed economico a garantire l’occupazione come elemento di assicurazione della dignità della persona (Dell’Olio,2002). La dimensione solidaristica implicita in quest’istanza fa riferimento necessariamente al tessuto sociale nel quale vive l’individuo e le comunità di cui è parte. La condivisione e costruzione di una rete sociale è la condizione di base per lo sviluppo del capitale sociale (Donati, 2001). Il disagio oggi avvertito da tante persone e famiglie in Europa rispetto alla perdita di sicurezza generatasi dalla precarietà dei rapporti di lavoro si traduce in emergenza sociale. Da qui il bisogno di una sensibilizzazione ai temi del lavoro, della formazione alla mobilità, e di una nuova cultura del lavoro. Nell’ambito di tale cultura dovrebbe acquisire cittadinanza anche una nuova attenzione agli strumenti istituzionali che potrebbero garantire lo sviluppo nel soggetto di una migliore propensione a percorsi di formazione verso opportunità di inserimento in altri comparti ed ambiti professionali. Questi strumenti (si veda ad esempio il bilancio di competenze, il libretto formativo, ecc.) potrebbero aiutare il soggetto a sviluppare la propria identità professionale anche in un’ottica di lifelong guidance. Se si considerano le linee strategiche per il 2020 con uno specifico sguardo al tema dell’istruzione e formazione, si scorge che i documenti UE parlano chiaro: per scongiurare il cosiddetto scenario del “decennio perso”, caratterizzato da una crescita inadeguata alla creazione di occupazione, la cosa più urgente da fare è “spezzare il circolo vizioso composto da un debito non sostenibile”, e da una debole crescita economica, che si è innescato in alcuni Stati membri. La prima priorità consiste nel ripristinare politiche di bilancio adeguate, tutelando al tempo stesso le politiche favorevoli alla crescita, e nel risanare rapidamente il settore finanziario per avviarsi verso la ripresa (CITI sulla crescita globale, febbraio 2011). La seconda priorità consiste nel ridurre rapidamente la disoccupazione e nel porre in essere riforme efficaci del mercato del lavoro per un’occupazione quantitativamente e qualitativamente migliore. Queste priorità potranno essere affrontate in modo efficace solo se saranno accompagnate da un impegno sostanziale per far ripartire contemporaneamente la crescita. Le previsioni indicano che l’economia europea domanderà il 31,5% di occupati con alti livelli di istruzione e qualificazione, il 50% con livelli intermedi mentre i posti di lavoro per i soggetti con bassi livelli di qualificazione EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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crolleranno dal 33% del 1996 al 18,5%. Occorre dunque portare a meno del 10% la percentuale della popolazione compresa tra i 18 e i 24 anni che ha abbandonato gli studi e far sì che almeno il 40% dei giovani adulti (30-34 anni) dell’UE conseguano la laurea. Diritto al lavoro e diritto di accesso alla conoscenza si identificano come percorso di umanizzazione dell’uomo. «Il lavoro è un bene dell’uomo – si legge nell’Enciclica Laborem Excercens, par. 9 – è un bene della sua umanità, perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso diventa più uomo». In questo senso la dottrina sociale della Chiesa valorizza il lavoro come fondamentale dimensione dell’esistere umano. Coerentemente a queste premesse si evidenziano chiari linee nella stessa enciclica che «il problema chiave dell’etica sociale è quello della giusta remunerazione per il lavoro che viene eseguito» (Ibidem, 19). Le scienze umane affrontano sistematicamente il tema dei significati del lavoro dal punto di vista dell’uomo, quindi in una prospettiva antropologica. Vediamo, dunque, quali sono le diverse angolazioni di questo soffermarsi sugli aspetti dell’humanum nel lavoro. Se l’ottica sociologica si sofferma sullo studio descrittivo delle forme realizzative del lavoro e sull’interpretazione dei fenomeni psicosociali e relazionali, in particolare per ciò che riguarda la fenomenologia delle forme, dei processi e dei risultati, l’ottica psicologica privilegia lo studio descrittivo degli aspetti intrapsichici ed intersoggettivi che caratterizzano l’esperienza umana del lavoro nelle sue diverse forme. In questi due alvei disciplinari, quello psicologico e quello sociologico, si tratta di logiche prevalentemente di taglio descrittivo -interpretativo. Non si può porre tra parentesi l’elemento che, viceversa, è proprio dell’approccio pedagogico: quello per così dire “ideal-normativo”, legato all’impegno realizzativo della persona verso la promozione dello sviluppo integrale della persona (Alessandrini, 2004; 2005; 2005b). Come abbiamo avuto modo di notare in altre opere, nell’ambito del dibattito pedagogico, si delinea attualmente una nuova e proficua attenzione al tema del dialogo tra studi economici, sociologici e pedagogici (Granese, 2008; Margiotta, 2007; Malavasi, 2007). Si fa strada, pertanto, una rappresentazione globale dei processi educativo-formativi in vista e per gli scopi di ciò che vi è di più peculiarmente pedagogico: il “governo dello sviluppo” inteso sia come sviluppo della persona RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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che come sviluppo del sociale ovvero, verso il raggiungimento del “bene comune” (AA.VV., 2011). L’enfasi sulla responsabilità sociale nelle organizzazioni, sui temi dell’etica, dell’approccio umanistico nel management delle risorse umane implicano una focalizzazione sulle possibilità di “auto sviluppo” delle persone. Il confronto con l’altro, nella consapevolezza della propria identità, è rifiuto di impostazioni etnocentriche, è professione di ascolto e di potenziamento del sé attraverso l’altro. Dimensioni come la libertà, la responsabilità, la possibilità di partecipazione, il superamento delle ingiustizie, contribuiscono a definire il senso della dignità di ogni individuo nei contesti di lavoro e quindi attengono alla sfera delle istanze etiche fondamentali. Situazioni di lavoro che violino la dignità della persona umana, sono da condannare in quanto vengono meno al rispetto della natura dell’umano. In questa concezione, il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso. Avviciniamoci, dunque, ad alcune possibili definizioni che in questa sede non possiamo approfondire come vorremmo ma che occorre articolare in modo sintetico ed argomentare brevemente. a) La pedagogia del lavoro è lontana da una visione meramente economicistica ovvero adattivo-funzionalista del rapporto esistente tra l’individuo ed il lavoro. Innanzitutto bisogna considerare che la pedagogia del lavoro non si esaurisce né si identifica con la prassi formativa (orientata al lavoro) ma è sempre riflessione-problematizzazione intorno al rapporto soggetto-lavoro nelle sue diverse coniugazioni sia in chiave storica che di analisi-rilevazione delle dimensioni situazionali osservabili in sede di ricerca empirica. La pedagogia del lavoro non è una disciplina che studia come “adattare” il soggetto adulto alle situazioni di lavoro in cui è impegnato. Questa ottica potrebbe privilegiare un processo formativo “funzionale” ad interessi che lo travalicano e addirittura ne mettono a repentaglio la libertà ed identità. Se così fosse, saremmo di fronte ad attività che tolgono valore e senso al primato pedagogico della centralità dell’istanza antropologica. Spetta viceversa alla ricerca (nelle sue diverse declinazioni, come ricerca empirica, teorica, ecc.) studiare le costellazioni fenomeniche nelle quali l’interazione tra soggetto e lavoro si estrinsecano. Da qui la riflessione sui tanti temi rilevanti di tale diade soggetto-lavoro: i fenomeni di interazione-partecipazione con altri soggetti nelle comunità professionali, la costruzione dei codici EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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identitari connessi alla professionalità, il disagio della perdita del lavoro, il mobbing o lo stress, le condizioni di sviluppo di benessere individuale e collettivo, ecc. b) Lo sviluppo di un concetto pedagogico del lavoro può essere interpretato come promozione della dimensione educativo-formativa propria del lavoro ovvero come riflessione sul valore formativoapprenditivo dell’esperienza professionale nelle sue diverse manifestazioni: la preparazione del soggetto al sociale (intendendo per “sociale” la partecipazione dell’individuo come sfera dell’impegno professionale). Questa seconda dimensione emerge con lo sviluppo di una relazionalità orientata al fare individuale e collettivo fin dall’infanzia-adolescenza e può declinarsi come capacità/impegno dell’individuo verso un processo di sensibilizzazione in ordine ad un’istanza etico deontologica di costruzione del bene collettivo. Riflettiamo dunque – anche a titolo esemplificativo rispetto alle definizioni sopra articolate – su due focus che appaiono particolarmente significativi per la pedagogia del lavoro a fronte dello scenario della contemporaneità sia per le prospettive di ricerca che di progettazione della formazione: il tema dell’integrazione della diversità ed il tema della sostenibilità.

Il tema della diversità L’esigenza di una rilettura pedagogica del tema della gestione della diversità si può coniugare come tema di pedagogia del lavoro. Il valore del lavoro si afferma – dal punto di vista pedagogico infatti – come “ambito” che contribuisce a promuovere la crescita e lo sviluppo della persona, in qualsiasi settore e rispetto a qualsivoglia attività produttiva. Questo principio altro non è se non l’affermazione di un “concetto pedagogico del lavoro”. È anche una declinazione essenziale del principio che vede il lavoro come una parte fondamentale dell’attività umana e che, di conseguenza, coglie come imprescindibile un approccio interpretativo sul piano antropologico del tema del lavoro. Condividere una visione pedagogica del lavoro significa cogliere nella diversità che caratterizza il potenziale umano nei contesti di lavoro una fonte di arricchimento di prospettive e di valori. Il che significa scorgere la diversità come ricchezza. L’homo “faber” esercita la sua capacità d’agire e diventa “costruttore” grazie all’essere nel mondo, cioè all’interazione con gli altri – come direbbe anche Hanna Arendt – ma la condizione essenziale della “vita activa” è la liberta RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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interiore, condizione che solo la formazione dell’anima – pedagogicamente intesa – può garantire attraverso un processo formativo-orientativo profondo e libero (Arendt, 1958). Libertà interiore vuol significare anche libertà dagli stereotipi basati sulla componente etnica e di genere, vuol dire capacità di costruire percorsi collaborativi centrati sulle competenze reali e specifiche che attengono la persona umana in quanto attore della trasformazione del mondo nelle sue diverse connotazioni, tecniche, produttive, culturali. Costruire percorsi collaborativi significa in primis dialogare: «Dialogare non è annullare le differenze e accettare le convergenze ma è far vivere le differenze allo stesso titolo delle convergenze, il dialogo non ha come fine il consenso ma un reciproco progresso, un avanzare insieme. Così nel dialogo avviene la contaminazione dei confini, avvengono le traversate dei territori sconosciuti, si aprono strade inesplorate» (Bianchi, 2009; 2010). La paura della diversità forse nasce dall’intuizione inquietante della perdita di sicurezza che può nascere dal confronto con il diverso che peraltro coesiste da sempre nell’avventura umana. La contemporaneità ha moltiplicato la percezione soggettiva della diversità, generando amplificatori di opportunità di contatto con la diversità. La sfida più grande non solo per la nostra generazione ma per le generazioni future sarà la capacità di integrare e valorizzare la diversità. Questo orizzonte riguarda non solo gli habitat urbani, ma anche gli habitat “professionali” e “lavorativi”. Accanto a questa sfida, se ne delinea un’altra per l’uomo e per la donna, più complessa e problematica, quella della “coltivazione” della propria identità (in quanto individuo ed in quanto gruppo), del diritto di tutelare i propri codici identitari nello stesso momento in cui viene aperta la porta all’ascolto del sistema di valori offerto dall’alterità. L’identità diventa, quindi, un campo attivo di confronto e scambio tra elementi endogeni ed esogeni, tra sistemi di valori ereditati dagli archetipi collettivi culturali e famigliari, verso un “meticciamento” che diventa nuova identità. È giunto il momento di cogliere il valore incrementale intrinseco dell’allargamento di orizzonti correlato alla facilitazione dell’interazione nei contesti di lavoro di individui diversi per cultura, etnia, ecc. Individuare tale valore come opportunità di crescita della società civile e del mondo produttivo è questa una sfida pedagogica strictu sensu. Questa sfida implica non soltanto dichiarazioni “politicamente corrette” ma concrete azioni di sviluppo e progetti formativi. Si tratta di ampliaEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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re le opportunità di sviluppare politiche d’integrazione della diversità e di comprendere attraverso una nuova progettualità formativa per l’adulto il carattere di “emergenza” per la formazione ai fini del presidio di condizioni di lavoro più umane e giuste.

Il tema della sostenibilità Tra le tre priorità indicate dalle strategia 2020, viene menzionata insieme alla crescita intelligente (ovvero l’esigenza dello sviluppo di un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione),la crescita sostenibile, ovvero l’esigenza di promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva. Nuova attenzione viene anche data alla crescita inclusiva, ovvero l’esigenza di promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione che favorisca la coesione sociale e territoriale (EU 2020). È noto come la politica di alcune aziende multinazionali possa mettere a rischio la salvaguardia dell’equilibrio territoriale di paesi che sono utilizzati come fonte di risorse energetiche primarie (si vedano i processi di disboscamento incontrollato, la contaminazione delle falde acquifere, la messa in pericolo delle biodiversità8). Considerando tali fattori, occorre scorgere come settore di possibile sviluppo della pedagogia del lavoro il tema della corporate social responsability ed al dominio di studi più ampio relativo all’idea di sostenibilità e di sviluppo umano (Malavasi, 2007). La recente pubblicazione italiana dell’One Report dimostra il crescente impegno a livello mondiale di alcune aziende sul fronte dello sviluppo e del rispetto di codici etici per strategie sostenibili in un’ottica di trasparenza nei confronti dei cittadini e degli stakeholders (Eccles, Krzus, 2012). Si afferma l’idea che la formazione sulla responsabilità sociale possa di diritto far parte dei piani formativi per la dirigenza in modo trasversale in diversi settori tra cui quello bancario così interrelato con le cronache della crisi economica che dal 2008 ha investito l’Europa (FBA, 2011). Si tratta di lavorare, insomma, rispondendo al bisogno – che appare ai più in tutta la sua urgenza – di contribuite alla formazione nel pubblico come nel privato ad una nuova cultura della responsabilità sociale antropologicamente fondata. Bisogna integrare la visione del bene comune con la visione dell’humanum sviluppando una nuova attenzione al valore dei beni immateriali anche dentro il mondo del lavoro. RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Credo che sia fondamentale che sopratutto in ambito pedagogico si converga sul bisogno di lavorare – sempre in un’ottica interdisciplinare e con il necessario confronto con gli aspetti giuridici, economici e sindacali dello studio del lavoro – intorno ad una nuova etica della responsabilità comunitaria orientata al futuro. Presentazione dell’Autore: Giuditta Alessandrini è professore ordinario di Pedagogia sociale e del lavoro presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi Roma Tre. È coordinatore nazionale della Rete RUPLO (Rete Siped di Pedagogia del lavoro e delle Organizzazioni). È direttore del Centro di Ricerca CEFORC “Formazione Continua & Comunicazione” – che registra al suo attivo la partecipazione a progetti (Leonardo, PRIN) e servizi di consulenza presso Enti pubblici e privati nel settore della formazione e delle risorse umane (Comune di Roma, TERNA, ecc.) –, del Master MOS “Management per le organizzazioni sanitarie” e del Corso PROFOR “Progettazione per la formazione continua”. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Manuale per l’esperto dei processi formativi (Roma 2005, 2011), Comunità di pratica e società della conoscenza (Roma 2007); Formare al management della diversità (Milano 2010); Comunità di pratica e Pedagogia del lavoro (Lecce 2010, 2011).

Note 1A

partire dal 2009 all’interno della Siped si è sviluppata una Rete di pedagogisti del lavoro (RUPLO) coordinata da chi scrive, con l’obiettivo di realizzare un confronto sula piano scientifico e metodologico di ambiti di ricerca, casi di studio e linee di intervento formativo. Per la Ruplo anche alcuni Seminari specifici dai quali sono emerse alcune opere miscellanee pubblicate dalla Pensa editrice (cfr. la bibliografia qui indicata). 2 Tralasciamo in questo saggio una riflessione complessiva sul tema del lavoro nell’età classica per evidenti motivi di spazio. Rimandiamo il lettore al volume (2004) Pedagogia delle risorse umane e delle organizzazioni, Milano, Guerini e Associati Editore ed ai numerosi contributi di autorevoli colleghi e studiosi della materia. 3 Una teoria economica per Adam Smith ha il compito di studiare il funzionamento di una società basata sulla divisione del lavoro ed in cui ciascun lavoratore coopera al fine di ottenere un prodotto di cui può non aver bisogno mentre deve preoccuparsi di avere mezzi di sussistenza da altri. 4 Per quanto riguarda l’opera di Fichte, cfr Bibliografie, a cura di Baugmartner, Jacobs, Fromman, Stuttgart del 1968. 5 Il “Rapporto Supiot” ha studiato per la prima volta a livello di sistema europeo il tema dell’analisi dei processi di lavoro e delle trasformazioni in atto nell’econo-

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mia della rete. Cfr: Il futuro del lavoro, Trasformazioni dell’occupazione e prospettive della regolazione del lavoro in Italia ed in Europa, 1999. 6 Un altro fattore tende ad incidere significativamente nel delineare lo scenario che oggi abbiamo di fronte. La presenza di reti di imprese appaltatrici e subfornitrici configura ambiti di responsabilità e di tutela del lavoratore in qualche modo condivisi, e, quindi, rispetto ai quali è difficile poter individuare traiettorie ben definite, entro le quali identificare elementi di diritto in modo univoco (cfr in proposito anche i lavori di E. Rullani). 7 Ammontano a 212 mila i posti di lavoro persi nei primi mesi del 2009. La disoccupazione al concludersi del percorso accademico riguarda il 12,9% mentre la disoccupazione negli anni successivi alla laurea per quanto riguarda i laureati di 30/34 anni riguarda il 6,9% del totale (Fonte Rapporto Istat 2010). 8 La deterritorializzazione di recente ha colpito anche i paesi del centro Europa, dove si registrano fenomeni di crisi dell’occupabilità mai come nel passato (si veda ad esempio l’Irlanda).

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Giuditta Alessandrini

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FLAVIA STARA

Abstract: The purpose of this paper is to argue the necessity of rethinking our current approach to pedagogy outlining the social need both for critical and creative use of communication as well as for a cosmopolitan engagement through education. The dimension in which we operate – global and local at the same time – requires the overcoming of the mere competences and leads towards the need to promote citizens and consciences which are not short-sighted: it is necessary to refer to a polyhedric idea of political formation portending collaborative future strategies, involving persons from multiple culture or diversely situated within cultures, giving rise to triangular relations. To pursue quality, to make responsible, to anticipate these are some of the mechanisms through which education could be a social accelerator for its capacity to resist processes that tend to compress the inner life, for its ability to spread awareness, to fertilize crosswise politics, economics, information. Pedagogy and pedagogical can reveal their indispensability as hard work of relational thinking in the perspective of a farsighted socio-historical vision – that today is dramatically lacking to our politics – as activation of a “system” of intelligence[…]. Riassunto: Le riflessioni affidate a questo scritto tematizzano la necessità di ripensare l’approccio attuale alla pedagogia delineando il bisogno sociale di un uso critico e creativo della comunicazione, nonché di un impegno cosmopolita perseguito attraverso l’educazione. La dimensione in cui operiamo – globale e locale allo stesso tempo, richiede il superamento delle semplici competenze e conduce alla formazione di cittadini e di coscienze che non siano miopi: è necessario fare riferimento a un concetto poliedrico di formazione politica foriera di future strategie collaborative, coinvolgendo persone di molteplici culture o diversamente situate all’interno delle culture. Perseguire la qualità, rendere responsabili, anticipare questi sono alcuni dei meccanismi attraverso i quali l’istruzione potrebbe essere un acceleratore sociale per la sua capacità di resistere a processi che tendono a comprimere la vita interiore, per la sua capacità di diffondere la consapevolezza, per fertilizzare politiche trasversali, economia e informazione. La ricerca pedagogia è in grado di rivelare la sua indispensabilità come rigoroso lavoro del pensiero relazionale nella prospettiva di una lungimirante visione storico-sociale – che oggi manca alla nostra politica – come attivazione di un “sistema” di intelligenze[…] Keywords: Pedagogical thought, Education, Communication, Commitment.

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«For unto everyone that hath shall be given, and he shall have abundance. But from him that hath not shall be taken away even that which he hath» Mattew 25:29

1. Ethics of Education and the New World Order We often question ourselves on what does society actually wish to achieve through education: this inquiry demands evaluation of the major goal of educational experiences and activities. The aim of education and formation is to help individuals to discover their special gifts and to praise the diversity of life by developing their skills and satisfy their own needs, but also by ensuring the most efficient differentiation of society into professional commitments. The purpose of this paper is to argue the necessity of rethinking our current approach to pedagogy outlining the social need both for critical and creative use of communication as well as for a cosmopolitan engagement through education. In contemporary society, within an healthy environment, the values of education should be based both on a philosophical ground and on a teleological factor: the autonomy of judgement as well as the process of knowledge make the subject able of correlation, solidarity, capable to recognize her/his competence as a valid resource to compete in the configuration of a policy of social protection. Inquiry into such moral and social matters is a revaluation or trans-valuation of what is considered valuable in education, in light of its capacity for response to current circumstances and future problems. The dimension in which we operate – global and local at the same time – requires the overcoming of the mere competences and leads towards the need to promote citizens and consciences which are not shortsighted: it is necessary to refer to a polyhedric idea of political formation portending collaborative future strategies, involving persons from multiple culture or diversely situated within cultures, giving rise to triangular relations. To contribute to the challenge in the making of a cosmopolitan world order we have to relate to some fundamental issues: the objectivity of human possibilities; the diversity of cultural identities and the universality of belief – whether religious or lay –; the prevalence of poverty in the midst of a globalized trade; the spirit of trade itself and the paradoxes of the markets (Appiah, 2006). RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Today our environment is not only nature, but also technological cohesion and conjuncture and human culture: the structure of these three elements in their mutual influence on each other constitutes the cubic construction of acting. In the domain of culture, we must keep a balance between globalization and individualization or localization: in the technological cohesion or conjuncture the globalization of languages means unification under one dominant language, while suppressing other languages. Too often younger generations are regarded as guards for rich and powerful structures that only look after their own interests: the lack of moral legacies in the productive systems becomes the cause of frustration of the youth whose future is manipulated by the bustle of the markets. Hence the critical pedagogical question whether the diffusion, or rather the economic hegemony, denoted exclusively by money, may be the only form of thought and language to educate the whole humanity. Contemporary upbringing and training are constantly affected by the dogmatism of a single system of thought, whose criteria are productivity, efficiency, calculation: a system of thought caught in usability of the medium that often reduces the alternative thoughts to marginal thoughts (Bataille, 1976; Levinas, 1993). When economics becomes the expression of the world, it determines a quality of thought, a kind of rationality (the word “reason” was born in the economic sphere, being the “ratio” the compensation within an exchange: redde rationem) which is limited to calculate: Heidegger spoke of “calculative thinking” (Denken als Rechnen), able to operate only through numbers, to look at the advantages and disadvantages, profits and losses, configuring itself only as utility. We must remember that mind is calculating, but in the mind the thought is not calculating: thinking while continuing to live in the natural functioning of the calculation transcends it, because as a human act, thought is existence, is the self being outside of itself. Life operations are calculation, but life organized as mere calculation would be just survival. If life lives, that is renews itself, grows, evolves, it is so for least miscalculations, abnormalities, projections of what currently it is not. In other words, thinking is living without clashing one’s own living: it means to be immersed in life but not overwhelmed by it, always preserving the possibility of exits and stops. The opportunity to keep “educating” our thinking can be strengthened by ethics as a resource, in a way that ethics becomes highly important for the whole society – individuals, institutions, companies – and can be identified through the production of new experiences, a practice where each change EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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is perceived as an interior act, as an act of individual will that can be transformed in collective responsibility. In this perspective, the opportunity is not a challenge to engage in actions against the technique: which would be like denying ourselves, denying the enterprise of knowledge and practice, through which we built our own humanity and introduced unprecedented differences into the world. The opportunity is quite a passionate challenge to master ourselves, because we ourselves are the technique, it is our third kind of nature (after the first genetic-physiological and the second cultural historical). This implies a serious commitment concerning the time it takes for quality thinking: time is the essence of our life and this awareness is not just a psychological or philosophical matter but also a pedagogical one. The aim is to focus on human activities in all their aspects in relation both to persons and things, as to technology and environment. Access to a right relationship with technology is acquired at the price of an intellectual effort. But the lack of serious efforts on the part of the “humanities” has resulted in a “pedagogical” disregard for our technological societies, while, both industry and economy have grown so autonomous that they have liberated themselves from the constraints of moral conviction, becoming symbols of prosperity (Etzioni, 1988). The pedagogical thought should face the role of science and technology in their continuous interactions both with economics and the difficult human challenges in the contexts of labour-market. Our modern habitat refers to a world of technological goods whose complexity grows every day and makes us desire more information pertaining to the diffusion of such objects. The role of “technicians”, in a social community, brings a new and irreplaceable element, that of direct dialogue with certain goods, as long as their codes stay hidden or inaccessible to most people in a community. As the practice of classical texts, so the practice of technological codes is necessary to ensure our existence a proper orientation. Socioscientific issues are important to citizenship and the ability to engage with the social consequences of science and to make reasoned and informed decisions is vital for citizens. The capacity to make considered choices is an important aspect of active citizenship and everyone should possess sufficient scientific literacy to engage with national and global debates, for instance on which sorts of power stations should supply our energy needs as well as more local issues such as where to site electricity pylons. Citizens should be sufficiently informed to voice opinions about stem-cell research, genetically modified foods, in-vitro fertilization treatment and genetic enRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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gineering. A finer perception of ethical, medical, environmental, financial and social implications of techno-scientific developments is required as well as should be considered the checks and balances that society has in place to monitor and regulate ‘advances’. Ignorance entails personal risk but also risks to society (Simondon, 2007; Chardel, Schmitt, 2009). The pedagogical challenge, within a new world order, not only is to extend the ethics of a new responsibility to the instructive domain, but to corroborate the social processes promoted by means of it. In relation to normative ideas and ideals, the educational-philosophical discussion contributes to the public discourse by problematically analyzing and interpreting social practices that eventually constitutes educational normativity. In this respect, philosophy of education is an experimental thinking to carry out moral evaluations beyond mere individual or cultural preference into a realm of existing conditions and effects. Everything is more complicate than it seems to be: what is presented to us has behind it something hidden that makes it possible. In our world, full of myths, slogans, simplifications, the task of the pedagogical is to remove these myths and show what’s behind the simplifications, making things more complex, because if we can see what is behind the appearance of things, we improve our being in the world in a more real, aware and critical way. We ought to educate to distrust superficiality, not for a taste of complication’s sake, but because vagueness is often misleading, deceptive, ideological. It is a question of meaningful action what makes pedagogy a “political” issue. If we extend this spirit of deconstruction to the “living world” the problem of education stands out in its entirety, at the center of a rich reflection, and thus assume main importance the concepts of Bildung as selfengagement. We can certainly say, that education is complete only when every person has, in proportion to his/her capacity, an equal responsibility in shaping the goals and policies of social groups to which he/she belongs: this determines the true meaning of democracy.

2. Cultivating communication The recognition of community as a place of any unavoidable human planning and at the same time as an exercise of freedom of communication, inspired by the democratic nature of scientific research – fallibly built through always reviewable solutions – raises both the political issue of imEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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plementation of its model in other contexts of human life, and especially the problem of the role of invention within ethics. The invention of responsibility – a major shift in ethical thinking, in the sense that the aesthetic becomes a complement to the moral – is intimately connected to the notion of “feeling”, as the root of the whole cognitive process. The feeling can establish a different opening to reality which above all is “believed” sooner than “known”, in fact it discloses a reality which establishes itself in the act of being primarily known as felt ( James, 1890). The strength of conviction that arises from this act, from such empathic understanding of reality, escapes the canons of ordinary logic, since it is the typical strength of conviction conveyed and transmitted in general by the dynamics of emotions, and succeeds in giving us access to the “inter-relatedness”. The invention of responsibility, ought to be the task of a real education, undertook to ensure that human beings, with the strengthening of their intellectual faculties, will not exhibit the hypertrophy of thought and the anesthesia of feeling (sentiment). Furthermore, it would be functional to the recovery of a concreteness of duties, since over and beyond any discourse of responsibility, one’s own duties vary as one’s own circumstances vary, and they are also contingent on the opportunities that present themselves. The philosophers Husserl and Habermas agreed on pointing out a specific difficulty of modern society. Diverging from the positivistic thought, that considered modern society to be the highest achievement of mankind, they declared that European culture and humanity suffered a total crisis. According to Husserl the crisis originated in the crisis of philosophy. Habermas considered the European “pathology” related to “the colonization of the life world” by what he called system. (Husserl, 1970; Habermas, 1984) They both thought that the possibility to overcome the crisis of modern culture was a different exploitation of reason or rationality. This implies that the concept of rationality pursued by them was different from the positivistic concept of instrumental rationality, which was too narrow to overcome the crisis of modern society. They pursued a new form of critical rationality: Husserl’s theory of a communicative action was a theory of critical rationality, as well as Habermas’ theory of communicative action was mostly critical towards contemporary social sciences that, limited in the interpretation of the “pathology” of modern society, were unable to solve various problems confronting it. According to Habermas, the sufferance of modern society – rooted in the distortion of the system of communication RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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that is peculiar to life-world – could be overcome by recovering a new form of communicative rationality that should have the power to comprehend the complexity of society in its wholeness. Communication considered as a creative act that generates certain attitudinal, intellectual, emotional and behavioral responses, can literally shape our social world and future. In light of these reflections we can place confidence in the individual initiative to use the principle of communication: the gap between intention and human action, between programs and results, warns us in the presence of any reasonable course of danger, naturally forcing us to dialogue, and this obstinate will of dialogue is full of ethical research that specifically translates itself into an ethical invention. Today ethics is often claimed to be purely private, doomed to remain confined to the private life of the feeling subject, but any speaking subject is posited together with the other subjects, acknowledged as virtual partners in her/his discourse, as stated by KarlOtto Apel’s idea of a “transcendental synthesis of communication”. Since human action is the cause that triggers new risks and poses new problems to society, any choice of possible solutions and decisions to be taken – in addition to scientists with their data, politicians and their ideologies, business with their interests – has to involve the social subjects that suffer the consequences of these choices in their material concreteness, which connects itself to needs, living conditions and expectations for the future. Every human being is not in the world as a content in a container. S/he is not inactive in one place, or in her/his objective identity: while remaining in it s/he comes out of it, breaks it, leans out, comprehends the reality where s/he is located and in relation to her/himself gives it a meaning. S/ he not only, like all other living beings, re-acts to external stimuli and to those of her/his own body, but suffers, imagines, invents original answers, acts in the strongest sense, becomes culture, pattern of institutions, in short, becomes communication, weaving passions and actions. The fact that mankind lives within a “web” of connections is also the fundamental idea of pedagogy. The conception of pedagogy and educational practices could not fulfill its requirements if there wasn’t a intergenerational community of communication: if it was not worth to pass on “something” from somebody to somebody else, the notion of pedagogy would not be possible at all. Since education is an activity engaged to bring about change, its fundamental idea implies that educators and scholars have the possibility to effect change in those at whom their educational efforts are directed. To give up the idea that educators can effect change is to give up EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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the idea of education itself. Yet educators do not generally conceive of their efforts in terms of creation or production, that is, in terms of engaged influence (Kemp, 1973). Teachers do not assume that they create their students; they rather start from the assumption that their students are self-active and (potentially) independent human beings. This implies that the activity of education does not create or produce its own object but intervening into autonomous processes, such as growth or development, that are already occurring, ties a free person to his/her freedom. Within this framework Immanuel Kant’s philosophy influenced most the field of education, particularly his ideas about individual human consciousness as the transcendental condition of thinking and acting. Kant’s philosophy led to a subject-centered analysis of the reality of education in the perspective of the educative process as social phenomenon. According to Kant education contains an element of universal care and constitutes a reality sui generis, which can and should be analyzed in its own terms: in terms of communication and social interaction (Kant, 2003). If we ask the question how can education convey its meaning, the answer is: through participation in the social practices in which this meaning is formed and transformed. What is or is not possible when education takes place as communication? It is a question that can be specified in many regards, by taking into account the specific characteristics of the situations in which each subject takes part. The conditions of the possibility of education are not a-historical, transcendental conditions, they always depend upon the situations in which the younger and older generations structure their own environment – which structures how communication and cooperation can be established among the participants. The questions therefore are how educational meaning can influence social or communicative situations, how different historical conditions can share the ways educational interaction puts into practice. The action of sharing has its own origin and point of semantic departure in the expression taking part. It deals with an expression that represents, in the perspective of citizenship, a right to share and to contribute to the management of life in community, in the social structures in general as well as in a particularly constituted collectivity. In short, education is not a matter of the subordination of natural impulses to absolute values, including those of social engineering, but rather of socializing natural impulses in ways that reconstruct them as constructive and expansive rather than reductive, and far-ranging and comprehensive rather RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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than exclusive. And the test, that can be suggested, is whether such socialization encourages the expansion of the learner’s intellectual, emotional, and aesthetic horizons, and whether the learner and the group of which he/ she is a member becomes more comprehensive in terms of their connections and interrelations with other socializing forces. One of the most important dimensions of a true participatory view of communication is that it moves meaning from the intentions of individual subjects towards the social practices which are constituted by cooperative and coordinate actions. The participatory approach of communication holds that meaning exists both in social practices and in the minds of individuals. In education and other complex interaction situations, two kinds of worlds play a role, namely the ‘inner world’ of the different participants and the ‘social world’ of the interaction itself. The common idea that education is in essence a relationship between teacher and student, or parent and child, makes this fact invisible: it masks the many commitments of educational practices. The mechanistic separation between the subject and world, with the isolation of human beings from their own history, offers only the possibility to relate to history from a distance, of looking at history: the subject who does not live his/her history, looks at how a society implements itself, and from time to time, perhaps, writes his/her own word. If the dynamic of belonging weakens, individuals feel orphans, forgiven the rules, mortify the intelligence, tend to crumble the collective and family ties. In this perspective it results a contrast – or even a paradox – that freedom is not an attribute of an isolated individual, but a means of relationships between individuals: freedom is individuated but its individuation results from the process of interaction. So the educational praxis becomes the cultural segment more effective to ensure a place of the spirit, a space of the relation in which the individual knows he/she finds him/herself and can also find the intentional unity in act, in its multiple ways of being and acting. Within the educational relationship is essential what flows above and below the system of knowledge, in a path of meta-messages where is shown the rush of desires, where motivations and prohibitions multiply, consonances and convictions asserted, logic and affectivity involved, in order to resolve otherwise the elements of a picture that envelops the geometries of acting and knowing. The positive value of a responsible growth, individual and collective, strengthens the sustainability of the social role of education and learning, and enhances the horizontal dimension of acting – compared to EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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the vertical dimension, which rises to the super-concepts and the superfacts- horizontal dimension – along which the contingent weavings of signs and mental sounds that are the human beings, find meeting points of agreement. People’s wellness is a matter of deliberate effort: meaning by deliberate effort, those things in people that they become capable of through learning and through working at them. The growth paths that education and research activate are the elements that can fertilize a country and its productive capacity. The machine of wealth is an invisible machine, contained in the brains of individuals, it projects its knowledge and ability into society. Everything we see around us is the projection of our education: is the projection of our culture, creativity, entrepreneurial skills, knowledge and organization of our values. The techno-energy-economiccultural-educational development is the distributed software on which is based the ecosystem of a developed society as well as of a different balance between citizens and power (Envine, 2008; Sobel, Wall, 2009).

3. Commitment as orientation Essential to this task of engaging and transforming social structures is the ability to critically voice one’s own dissent as well as align actions accordingly. Dissent is fundamentally a creative process because it recognizes that existing ways of conceptualizing or stratifying society are themselves construction that can and should be reinvented. Dissent is a vehicle through which is possible to challenge the status quo, especially when a particular situation is oppressive, discriminatory, corrupted and requires solution that better meet the needs of both individuals and communities. This understanding of criticism calls to be engaged as scholars, as teachers, as students, as citizens. When individuals comprehend the ways in which communication works, they are better able to empower themselves as change agents. ( Jenlink, 2009; Lacey, 2008). Today on the possibility of a common European social policy, many might be the pedagogical questions about how to act rightly, about innovative action, both at the individual and at the communal level, in particular in several newly complex ethical situations within a cosmopolitan frame. One central consideration in ethical reflections today – both in Europe and elsewhere – is the specific nature of social factors such as: ignorance of the law and procedure, apathy or social tolerance (“everybody is doing it RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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anyway”), bureaucratic red tape, discretionary powers, lack of information available to the public. To tackle such a subject can contribute the proposal of a fresh educational commitment able to allow every human being to understand both the perils and the opportunities connected to globalization, this emerging “international” reality which claims a profoundly deep public conscience (and firstly a moral one), together with the respect of both personal and collective rights. The prospect of a more and more multiethnic society, the development of newer and newer information tools, the need of a constant orientation, an ever changing man-environment relationship and the need to regulate such relationship through education and training require a redefinition of the concept of future, with a view to the new cultural models as well as to the crucial issues of economic needs, marginality, disability, deviation. Such educative trend cannot be placed anywhere but in a planetary dimension of sustainability, since it can be solved only through the richness of a common work of intelligences. According to this perspective, to embody citizenship and not subjection of a more and more internationalized society, everyone must be endowed with capabilities to negotiate and attitudes to relate not only to one’s own country but to the entire world, and consequently even to the cultures a society might come to get in contact with. Therefore, the necessity to direct a renewed and specific attention to the cultural debate on education so to give to the younger generation the possibility of “getting excited” over their future. The philosopher Charles Taylor observes that one of the most pressing task today – a sort of “modern predicament” – is coming to a renewed understanding of modernity, of what are the “momentous transformations of our culture and society over the last three or four centuries” (Taylor, 1989, ix). He also underlines that one central way of shouldering this task is to describe the elements and the history of what he calls the modern identity, that is the «ensemble of complex understandings of what it is to be a human agent: the senses of inwardness, freedom, individuality, and being embedded in nature which are at home in the modern West» (Ibidem). This statement reaffirms the importance of identity that each individual assumes: not only the capacity to shape what one does in life, but also to shape how and to what extent one can understand the own and other physical environment. Hence the importance that Dewey’s thought attributed to education –the whole philosophy can be interpreted as a general theory of education – seen as a social function to affirm the identity, that on the ground of human history and its expectations, can be conceived and EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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designed in socio-political programs that extend from totalitarianism to democracy. Following Dewey’s analysis, the relationship maintained with the own environment, especially the social environment, shows or hides the benefit or lack of what is controlled by increasing or re-examining one’s own priorities as complete individual (Hickman, 2009). In the globalized world, competition is not just about products but, above all, about knowledge, which implies to maximize the human resources, i.e. to enhance their thinking and therefore their merits. This is not just an ethical issue towards individuals, but a political action towards the community, because when the notion of merit moves from the individual level to the collective level, it inflects its value also on the economical level. To pursue quality, to make responsible, to anticipate these are some of the mechanisms through which education could be a social accelerator for its capacity to resist processes that tend to compress the inner life, for its ability to spread awareness, to fertilize crosswise politics, economics, information. Pedagogy and pedagogical can reveal their indispensability as hard work of relational thinking in the perspective of a farsighted socio-historical vision – that today is dramatically lacking to our politics – as activation of a “system” of intelligence that preserves the extraordinary achievement of the human species: the discriminating thinking. Author’s Presentation: Flavia Stara is full professor of General Pedagogy at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism of University of Macerata. Her main research fields are about pedagogical and educational philosophy issues, especially about American pragmatist thought context. Furthermore, she deepens human values theme facing the challenge of current radical changes in the world, the globalization process that involve the same mental and ethical structure of man and the related democratic conception of social life and educational practice.

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Algunas consideraciones sobre la tecnología, la innovación y la educación en un escenario de crisis

JUAN DE PABLOS PONS

Resumen: Los cambios que se están produciendo en el mundo actual y los factores que lo propician exigen una mirada reflexiva y atenta, sobre el papel jugado por la tecnología. Se trata de cambios producidos rápidamente y apoyados con frecuencia por la tecnología. Su vinculación con la innovación y la educación es analizada en este trabajo en algunos de sus aspectos.. Esta realidad, influida por procesos enmarcados en la globalización, está sumida en una profunda y compleja crisis, que nos sitúa en una delicada situación. Para superarla es importarte contar con la educación y la innovación. Las tecnologías han desempeñado un papel fundamental en la configuración de nuestras sociedades avanzadas y nuestra cultura. La importancia de ese rol de la tecnología se ha acentuado en los últimos periodos históricos. En este trabajo se analizan algunos hitos en la evolución de la tecnología y su impacto en la educación, la cual se reivindica como un potente factor de influencia para salvaguardar la coherencia de los procesos que determinan el devenir de la sociedad actual. Abstract: Changes in today’s world and the factors influencing them require a reflective and thoughtful consideration about the role played by technology. These changes are taking place very quickly and in many cases are consequences of the technology. Their association with innovation and education are discussed here in some aspects. This fact influenced by globalization processes is framed in a deep and complex crisis which places us in a delicate situation. Education and innovation are very important to overcome this situation. The new technologies have played a key role in shaping our advanced societies and culture. The importance of the role of technology has increased in recent historical periods. In this work, some landmarks aspects in the evolution of technology and their impact on education are discussed. They are claimed as effective factors of influence to safeguard the coherence of the processes that determine the future of the society. Palabras clave: Tecnología, Educación, Innovación, Sociedad del Conocimiento. Globalización.

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Introducción La expresión “Sociedad de la Información” se relaciona con el impacto de la tecnología en la vida cotidiana, mientras que hablar de ‘Sociedad del Conocimiento’ supone reconocer la trascendencia del saber generado, como consecuencia de la transformación de la información en conocimiento. La consecuencia más relevante de este proceso para la persona es potenciar su capacidad para aprender y adquirir nuevos saberes. Hay además, otro componente, que toma forma de compromiso moral con el individuo por parte de la propia sociedad, ya que el saber individual contribuye al saber social. Este planteamiento implica que la generación de riqueza, bienestar, y empleo dependen del aprendizaje continuo de los ciudadanos y su capacidad para transformar el aprendizaje en una fuente de innovación (Manson y Coello, 2003). En consecuencia, la educación y la formación continua se convierten en piezas clave para la construcción de la Sociedad del Conocimiento. En este nuevo escenario el papel del enseñante se redefine: además de ser la fuente primaria de conocimiento, se acentúa su función como orientador y guía de los alumnos para aumentar su capacidad de aprender a aprender. En función de la formulación anterior, la tecnología y su papel actual en la sociedad nos exigen una mirada reflexiva sobre las maneras en que aquella se está haciendo presente en el mundo de hoy. Su integración mediante la incorporación a la cotidianidad, plantea un debate en el que deben contemplarse interacciones o influencias mutuas entre factores como el diseño tecnológico, la sostenibilidad de la tecnología o su impacto en la identidad cultural. La interacción que desarrollamos con la tecnología tiene que ver con factores como el diseño de las formas que toman los utensilios, las cuales se relacionan con funciones específicas, el usuario es el que en último término dota de sentido a un artefacto tecnológico – adquiriendo un significado específico –; y finalmente, en esta caracterización de la tecnología, interviene el contexto que habitualmente es el que justifica el uso tecnológico, ese contexto en muchas ocasiones tiene carácter global; este último aspecto, el de la globalización, es un componente característico de la sociedad actual. Estas nuevas realidades exigen un cambio de mentalidad, en el ámbito social y lógicamente en el educativo, un nuevo marco de referencia, siendo conscientes de que en la sociedad, en sus distintas manifestaciones, se están dando unas determinadas condiciones históricas. Así, como señalan RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Lankshear y Knobel (2008, 45) frente a la concepción clásica del espacio físico, hoy manejamos la referencia del ciberespacio, un espacio virtual que coexiste con el espacio físico. Para las nuevas generaciones de jóvenes el ciberespacio forma parte de su experiencia vital desde sus primeros años. Las tecnologías han desempeñado un papel fundamental en la configuración de nuestras sociedades avanzadas y nuestra cultura. La importancia de ese rol de la tecnología se ha acentuado en los últimos periodos históricos. Pensemos en lo que han significado para la historia de la comunicación humana la escritura, la imprenta, el teléfono, la radio, el cine, la televisión, el vídeo o Internet. Las tecnologías ya asentadas a lo largo del tiempo, las que utilizamos habitualmente están tan perfectamente integradas en nuestras vidas que se han vuelto transparentes. Las utilizamos sin que seamos muchas veces conscientes de que han contribuido en buena medida a cambiar la realidad de manera muy significativa y en muchas ocasiones en términos de mejoras en la calidad de vida. El profesor Simone (2001) al hablar de las formas de creación del conocimiento presenta tres fases o hitos culturales: la escritura, la imprenta y la comunicación electrónica. A partir de una visión evolutiva este autor plantea que la alfabetización ha supuesto un adiestramiento de la mirada muy productivo para intercambiar y recuperar conocimientos. Y advierte que la tercera fase puede dar pie a plantear algunas dudas sobre los hábitos cognitivos, o al menos parece necesario reflexionar sobre los cambios que esta evolución está propiciando en nuestras estructuras mentales. Según el planteamiento de Simone, cabe identificar varios fenómenos intervinientes: a) Técnico – la tecnología como herramienta para el conocimiento y, por tanto, para la inteligencia y la cultura –; b) Mental – evolución de la oralidad a la escritura, de la lectura a la visión no alfabética y a la escucha –; c) Modos de trabajo de nuestra mente con la información – su recepción, elaboración y transformación – y sus consecuencias en la formación del conocimiento. Nuestro mundo actual se caracteriza por sus complejas interrelaciones y dependencias en multitud de ámbitos, generadas y establecidas a escala global. Hablamos de un “mundo interconectado”, donde todo se puede localizar, exponer, intercambiar, transferir, recibir, vender o comprar en cualquier lugar del planeta y en tiempo real. Esta realidad tiene como una de sus consecuencias más trascendentes que los procesos de cambio y evolución en los usuarios de estas tecnologías se hacen necesarios y además se producen con una gran rapidez y a todos los niveles. Esto se concreta en la EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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mayoría de los campos más importantes como la economía, la política, los modelos sociales, la cultura y la educación. Estos cambios acelerados en los ámbitos indicados son básicamente consecuencia de la aplicación de una serie de procesos de innovación. Innovar es fundamentalmente una actitud, un modelo de comportamiento. Esto nos lleva a manejar la idea de que la innovación debe ser asumida como un compromiso social, que tiene consecuencias tanto a nivel personal como en relación a nuestro entorno. Por tanto, afecta fundamentalmente a las personas y a las organizaciones en las que aquellas trabajan. Esto supone que para poner en marcha procesos de innovación es necesario contar con personas abiertas, flexibles, creativas, capaces de adaptarse a los cambios. La incorporación de las nuevas tecnologías de la información y la comunicación facilitan, mejoran y amplían las posibilidades de los procesos de innovación y por tanto de cambios, en los diferentes sistemas organizativos e institucionales. Desde esta perspectiva es como cabe entender el interés y la trascendencia de la utilización de las nuevas tecnologías en el campo de la educación (De Pablos, 2009, 38). La intersección entre la innovación educativa y la tecnología representa un importante punto de debate. Es necesario señalar que las tecnologías y la evolución de los avances que generan son desarrolladas en el marco de las instituciones sociales; de hecho pasamos nuestra vida relacionándonos con instituciones como la familia, la escuela, el gobierno, la iglesia, el ejército o la empresa. Consecuentemente, debemos aprender las habilidades adecuadas para desempeñarnos en estas instituciones que constituyen los andamios de una sociedad. Otro aspecto interesante a la hora de valorar las aportaciones de la tecnología consiste en otorgarles un componente de disfrute, de dimensión lúdica, en función de las mejoras o ventajas que aportan, lo que facilita su aceptación. Según el psicólogo Mihaly Csikszentmihalyi (2008, 360) existen tres maneras en las que el progreso tecnológico se vincula con el disfrute. La primera tiene que ver con la idea de lograr cambios que facilitan situaciones, en segundo lugar, el éxito de tecnologías como el coche o el ordenador personal abrieron la puerta a la posibilidad de nuevas experiencias satisfactorias; finalmente, la tecnología es aceptada porque libera tiempo que antes se invertía en labores pesadas promete mejorar la calidad de las experiencias como ocurre con muchos electrodomésticos, lo que supone que nos libera para hacer otras cosas con las que disfrutamos más.

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Evolución de la tecnología Desde la década de los sesenta del siglo pasado diferentes autores han defendido la tesis de que los cambios tecnológicos han sido la causa de cambios fundamentales en la gestión del conocimiento, en las nuevas formas de organización social y en la propia cognición humana. El papel jugado por la tecnología debe ser estudiado en clave histórica para entender su propia evolución y sentido de utilidad. Este último rasgo es precisamente su componente más identificativo. La tecnología es fundamentalmente una aplicación práctica del conocimiento científico. El concepto de herramienta tiene una relación directa con la tecnología ya que la herramienta es un instrumento que tiene la capacidad de transformar algo, por ejemplo los aperos de labranza permiten convertir un terreno baldío en un campo agrícola. La técnica es necesaria para fabricar y utilizar herramientas con diferentes propósitos. La capacidad para fabricar herramientas constituye un hito fundamental para explicar la evolución humana. Es una cuestión clave para entender nuestros orígenes como especie ya que la fabricación de utensilios implica una serie de aspectos como aprender a tomar decisiones, utilizar estrategias, resolver problemas, utilizar la inteligencia en suma. A su vez, la inteligencia es la que nos ha permitido una rápida adaptación cultural, que nos ha llevado a evolucionar como especie hasta lo que somos hoy. Para los paleo-antropólogos el uso controlado del fuego es uno de los primeros logros de nuestros antepasados lejanos en el uso de la tecnología. Sin embargo, el concepto de herramienta puede ampliarse a otros ámbitos. Así, el psicólogo bielorruso Lev S. Vigotsky (1995) desarrolló el concepto de herramienta cognitiva, como un elemento cultural (no heredado) que nos permite desarrollar nuestro pensamiento. En este sentido, el lenguaje humano, como herramienta cultural, ha sido un instrumento clave para la evolución de nuestra especie, lo que le ha permitido ser dominante en el conjunto del planeta. Se trata de una herramienta “moderna”, incorporada al bagaje de nuestros antecesores en la evolución humana hace únicamente 60.000 años, cuando comienza a utilizarse el lenguaje sintáctico moderno. El lenguaje oral, es decir la codificación del pensamiento mediante la utilización de sonidos producidos por las cuerdas bucales y la laringe con una finalidad simbólica supuso sin duda, una gran revolución en la historia de la Humanidad. Permitía la referencia a objetos no presentes y expresar los estados internos de la conciencia. El habla «proporcionó una nueEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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va dimensión a la interacción humana. El habla convirtió el pensamiento en una mercancía social. Con el habla se hizo posible compartir la cognición humana» (Ong, 2004). En todo caso, fue un proceso que duró miles de años. Las investigaciones paleontológicas realizadas en laSierra de Atapuerca(España) evidencian que elHomo antecessor, hace unos 800.000 años, ya tenía la capacidad, al menos morfológicamente, para producir un lenguaje oral lo suficientemente articulado como para ser considerado simbólico. La segunda gran revolución fue la escritura, es decir la creación de signos gráficos para registrar el habla. Levinson (1990) afirma que la fluidez y abstracción del habla creó la presión evolutiva necesaria para la comunicación más allá de los límites biológicos: la escritura. La escritura estabilizó y objetivó el conocimiento (Ong, 2004), reestructuró nuestra conciencia y creó el discurso autónomo, libre de un contexto concreto, independiente del hablante/autor. La literatura y, sobre todo, la ciencia se beneficiaron de la fiabilidad y sistematización que la escritura confirió al conocimiento y al pensamiento. La posibilidad de acumular el conocimiento, de transferirlo a la posteridad o de asociarlo a un objeto móvil que podía ser reproducido y transportado, hicieron de la escritura un desarrollo estratégico. La importancia de la permanencia del mensaje en el texto escrito se evidencia, por ejemplo, en las tradiciones religiosas de numerosos pueblos. La difusión de la escritura no fue rápida ni generalizada (Gaur, 1990). De hecho, la escuela como institución es una consecuencia de la alfabetización. «El desarrollo de las escuelas como lugares alejados de los procesos productivos primarios de la sociedad está estrechamente conectado con el desarrollo de la escritura» (Bosco, 1995, 31). Las primeras escuelas conocidas datan de 2.000 años a.c., en Sumeria. Su objetivo era enseñar la escritura cuneiforme a una clase social privilegiada, a unos «especialistas»: los escribas. Un uso político-económico del lenguaje escrito que también puede hallarse en China o Egipto. En las culturas orales, el aprendizaje era fruto de la experiencia en las actividades de la vida cotidiana. La aparición de la escritura impone la descontextualización o disociación entre las actividades de enseñanza/aprendizaje y las actividades de la vida diaria. La tercera revolución se debió a la aparición de la imprenta. La posibilidad de reproducir textos en grandes cantidades tuvo una influencia decisiva en el conjunto de transformaciones políticas, económicas y sociales que han configurado la modernidad y el mundo tal como es ahora. La imprenta significó la posibilidad de producir y distribuir textos en masa, restaurando en RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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parte la interactividad del habla, perdida en el texto manuscrito (Harnad, 1991). El mundo tal como lo conocemos es producto de la imprenta si exceptuamos la influencia de los medios de comunicación de masas y el desarrollo del ciberespacio en periodos más recientes. Según Bosco (1995), la estructura del libro (lineal, dividido en capítulos, cada uno de los cuales contiene un segmento coherente y unificado de la totalidad, su “presencia física” y permanencia, etc.) se reproduce en la estructura de nuestro conocimiento (dividido en disciplinas cohesionadas, permanentes, acumulativas, ordenadas lógicamente, etc.). La cuarta revolución, en la que están inmersas las actuales generaciones, es la de los medios electrónicos y la digitalización, apoyada en un nuevo código más abstracto y artificial (necesitamos aparatos para producirlo y descifrarlo) basado en la representación de la información como una poderosa herramienta para la difusión del conocimiento, cuyas consecuencias ya hemos experimentado. La tecnología ha posibilitado la recomposición (y descomposición) de tareas haciendo cada parte del trabajo más granular y especializada (Kallinikos, 2006). A medida que las organizaciones se vuelven más complejas y globales, crece el interés en analizar la estructura de la organización para convertirla en más dinámica, de modo que pueda responder más eficazmente a las necesidades y los cambios. No obstante, en muchas ocasiones estos esfuerzos no suelen tener en cuenta las dinámicas sociales que subyacen en los grupos humanos de las organizaciones. La generación de prácticas sociales en estos entornos profesionales que exigen conocimientos especializados, propician procesos cognitivos bajo pautas que autores como Hutchins (1995) denominan “cognición distribuida”. Sin embargo, sobre la evolución de las tecnologías de la información suele aplicarse un fuerte determinismo tecnológico. Es decir, con frecuencia olvidamos que una tecnología es producto de las condiciones sociales y, sobre todo económicas de una época. El contexto histórico es un factor fundamental para explicar su éxito o fracaso. La sociedad actúa como propulsor decisivo no sólo de la innovación sino de la difusión y generalización de la tecnología (Breton y Proulx, 1990). Como afirma Manuel Castells, «el cambio tecnológico tan sólo puede ser comprendido en el contexto de la estructura social dentro de la cual ocurre» (Castells, 1995).

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El papel de las nuevas tecnologías en el mundo actual Planteado en clave filosófica, el siglo XX manejó en sus inicios una visión utópica del futuro y concluyó con una visión distópica del mismo, es decir como una utopía negativa donde la realidad transcurre en términos opuestos al ideal promulgado (Molinuevo, 2006); y todo ello ha sucedido en un contexto donde el desencanto sufrido por el desgaste de las ideologías ha derivado en una crisis de valores que ha generado confusión y un desarme ideológico que ha dado pie a una crisis global, apoyada por malas prácticas provenientes de comportamientos inmorales y delictivos de instituciones y personas. También ha propiciado nuevas visiones como el posmodernismo, en la segunda parte del siglo XX. Histórica, ideológica y metodológicamente diversas, sus diferentes corrientes comparten la ideafuerza de que la renovación radical de las formas tradicionales en el arte, la cultura, el pensamiento y la vida social han fracasado en su intento de lograr la emancipación de la humanidad, de manera que un proyecto semejante es imposible o inalcanzable en las condiciones actuales. El posmodernismo defiende la hibridación de las ideas, la cultura popular, el descentramiento en definitiva, de la autoridad intelectual y científica. Esta crisis de ideologías debe hacernos reflexionar sobre el final, tanto del excesivo optimismo de las utopías digitales extremas en todas sus variantes, como de las más pesimistas distopías. Molinuevo señala esa crisis como causa de la actual transformación de todos los sistemas de transmisión de la información, por lo que propone como clave interpretativa un humanismo capaz de integrar las dos culturas: la de lo virtual y la de lo real, proclive a la mesura y consciente de que el ser humano es – lejos de todo determinismo y todo reduccionismo – un ser tecnológico. En función de las consideraciones anteriores, se trata de asumir la importancia de las tecnologías en el mundo actual, pero haciéndolo con un criterio equidistante entre lo utópico y lo reaccionario. En ese proceso de cambio de visión las llamadas nuevas tecnologías asumieron un protagonismo como elementos de ruptura y cambio. De hecho, hay autores que analizan las tecnologías como un factor transformador (Shallis, 1984; Sancho, 2006). Si algo caracteriza al desarrollo tecnológico es que remite permanentemente hacia el futuro. Sin embargo, en los comienzos del siglo XXI las nuevas tecnologías ya no se contemplan como un factor revolucionario, sino que vienen contribuyendo a una serie de cambios vinculados a la evolución de una serie de realidades. De hecho, ha deRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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jado de utilizarse el término revolución, en relación con las tecnologías y el sentido actual más aceptado ha derivado hacia una expresión posiblemente más precisa: la metáfora. Se trata, por tanto, de expresar la incorporación de cambios producidos en diferentes órdenes de la vida a través del impacto de las tecnologías. Esto supone considerarlas como componentes inicialmente ajenos, que han pasado a formar parte significativa de algunas de nuestras realidades y actividades cotidianas. El término impacto es otra de las metáforas tomadas del mundo físico para explicar la presencia significativa de los nuevos medios en cada vez más ámbitos sociales, económicos, culturales o de ocio (Molinuevo, 2006, 97). En todo caso, la vieja dicotomía entre reaccionarios temerosos del cambio y defensores de la utopía tecnológica sigue presente, sin embargo resulta útil para disponer de una visión más objetiva, basada en una visión analítica y crítica. La tecnología condiciona hoy, en buena medida, el actual horizonte social, cultural, político e incluso antropológico, como ya anticiparon los futuristas con el entusiasmo de quien cree que progreso social y progreso tecnológico van de la mano, y lo lamentaron los filósofos de la existencia, proclives a denunciar la deshumanización y el desarraigo causados por la universalización de la técnica y la reducción de todo conocimiento a mera información. La tecnología en la que se basan los nuevos medios hace evidente la separación entre la representación simbólica y sus significados semánticos y contextualizados (Kallinikos, 2001). En consecuencia, la información simbólica (identificada simplemente como “data”) actualmente se almacena en bases de datos, de manera similar a como la gente registraba la información codificada con el alfabeto (Flusser, 2002). A partir de la generalización de los libros se hizo necesario organizar el mundo de la información. Frente a las formas de codificación habituales que relacionaban el significado con el símbolo por medio de una representación contextual, en la actualidad Internet ha creado un conjunto de relaciones que dan valor y sentido a la interconexión de series de datos diferenciados (Bowker, Star, 1999; Dreyfus, 2001). Estos símbolos interconectados cobran sentido a través de la programación algorítmica, de manera que al dotar a los usuarios de las herramientas apropiadas, el significado de los contenidos se establece a partir de su uso. La formación es una construcción social que se configura a través de los diferentes periodos educativos por los que pasa una persona. En el mundo actual los estudiantes se encuentran con una sociedad cada vez más “tecnoEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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logizada”. Un enfoque elemental al tratar la relación entre las nuevas tecnologías y la educación consiste en reducirla exclusivamente a sus aspectos instrumentales, es decir, considerarlas tan sólo un medio más en el bagaje de recursos del docente, sin asumir en realidad las dimensiones más trascendentes de las nuevas tecnologías. Por lo tanto, debemos valorar que tal vez sea necesario redefinir nuestras prioridades como educadores. La cultura de las nuevas tecnologías está cambiando. Dichos cambios vienen dados por la rapidez con que aparecen nuevos aparatos en el mercado, y que obligan a un reciclaje continuo y acelerado de los simples usuarios y también de los expertos. El aprendizaje no acaba nunca. Esta dinámica, sin duda inducida por factores económicos vinculados al consumo, nos sobrepasa. Y como dice el profesor Molinuevo, nos convierte en sujetos pasivos, dependientes de este avance sin parar de las tecnologías. Se trata, por tanto, de no ser únicamente usuarios, sino que dejar de ser pasivos tecnológicamente hablando, implica que debemos reflexionar sobre los usos y los objetivos de las nuevas tecnologías. Una importante consecuencia de los procesos de globalización antes mencionados es el aumento de la comunicación y el intercambio cultural. El estudio de la cultura ha sido planteado desde diferentes enfoques y bases teóricas muy diversas. Una perspectiva de gran interés es la que plantea el enfoque histórico-cultural. Dentro del conjunto de teorías que se agrupan bajo el enfoque citado, la teoría de la Actividad (Leontiev, 1978; Engeström, 1990) define la cultura como un sistema de personas y artefactos que se relacionan entre sí desde una perspectiva histórica y evolutiva. De tal manera que, conceptos tales como las normas sociales o la división del trabajo están relacionados con un sistema social determinado.

La educación apoyada por la tecnología Desde un punto de vista educativo podemos hablar de diferentes culturas en la educación; en cada una de ellas el rol a desempeñar por las tecnologías es diferente. Así, desde la perspectiva de la “ingeniería educativa” el aprendizaje es concebido como un proceso cerrado, manipulable y evaluable. En este modelo el profesorado asume toda la autoridad y responsabilidad de la enseñanza. En cambio, desde una cultura educativa diferente como el “constructivismo” el aprendizaje se plantea como un proceso de generación de conocimiento, en el que la iniciativa y la autoridad están más RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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compartidas entre docentes y estudiantes. Es evidente que los dos modelos anteriormente aludidos son incompatibles en la práctica y en consecuencia son dos referencias científicas que exigen usos distintos y diferenciados de las tecnologías. Con la lógica evolución de estos enfoques ya hay autores que en el ámbito educativo hablan de post-constructivismo (Lesh y Doerr, 2003; Rossi, 2012). En las mismas claves, la cultura de las organizaciones, dentro de las cuales se llevan a cabo los desarrollos educativos, es igualmente sensible a los modelos organizativos que se apliquen, y a su vez éstos determinan los tipos de usos a dar a las tecnologías. En el ámbito de la educación superior, y en coherencia con la reflexión anterior, por mor de las tecnologías la universidad tradicional no ha sufrido una revolución, no han desaparecido sus estructuras tradicionales, pero sí que se han producido cambios significativos, apoyados por las tecnologías, además de manera constante en los últimos años. Así ha sido en cuanto a sus objetivos, sus modelos de gestión y en sus prioridades docentes e investigadoras. La estandarización ha hecho posible que el uso de la tecnología sea más generalizado y menos complejo (Pittinsky, 2006). Los psicólogos y educadores militares que en la década de los cuarenta del siglo XX asumieron la responsabilidad de diseñar y gestionar programas formativos en Estados Unidos, aplicaron modelos instruccionales de base conductista, a partir de la especificación de objetivos de aprendizaje y su secuenciación en tareas concretas, aplicando así los métodos y procesos de producción industrial basados en el modelo taylorista1, vigente en la industria americana de la época. Se trataba de diseños racionalizados que primaban la obtención de resultados positivos (la formación de especialistas) primando el ahorro de tiempo sin menoscabo de la eficacia. Para ellos se incorporó de manera sistemática el uso de recursos audiovisuales. Este planteamiento supuso un cambio relevante frente a una concepción tradicional de la enseñanza basada en una visión artesanal, sustituyendo a ésta por un modelo racionalizado y tecnológico de la actividad formativa (Area, 2004). Se puede rastrear a lo largo de la historia una relación muy estrecha entre las formas y contenidos de la enseñanza con los sistemas sociales de producción de bienes y servicios. Durante la revolución industrial las escuelas eran verdaderas “fábricas de enseñar” puesto que la educación tomó el modelo del sistema productivo en los más variados aspectos. Las mejores escuelas eran las de mayor tamaño, a semejanza de aquellas empresas que descubrían el valor de una producción a gran escala. La incorporación de EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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grandes masas de obreros, analfabetos en su mayoría, al sistema productivo debió ser potenciada con campañas gigantescas de alfabetización. El diseño arquitectónico de los espacios de aprendizaje no difería demasiado del que era habitual en las fábricas y almacenes. Los exteriores eran muy semejantes y en el interior las aulas amplias y frías que recibían a decenas de alumnos, sentados en filas, parecían reproducir las cadenas de montaje de la época. Un maestro al “frente de la clase”, como el capataz a cargo del taller, uniformes o delantales para todos, timbres y sirenas para marcar el ingreso, la salida y los tiempos libres (Battro, 1997). Los cambios sociales y conceptuales eran lentos, la producción estaba asegurada por decenios en el ambiente educativo y en el fabril. Aquel mundo ha concluido. El nuevo milenio se aborda con otras pautas productivas. Las nuevas empresas funcionan con más flexibilidad y multiplican sus servicios por todo el planeta. Entramos de lleno en la era del conocimiento. Aparecen pujantes industrias sin chimeneas, como el turismo, las comunicaciones, la informática, la biotecnología o los servicios de salud, que mueven ingentes recursos financieros y humanos. Necesariamente la educación ha de variar también en consecuencia con las nuevas realidades. Los reclamos por un cambio profundo en la educación de las nuevas generaciones son imperiosos pero la inercia del sistema educativo es enorme.

Conclusión En definitiva, la tarea educativa en la sociedad actual supone asumir una responsabilidad compleja, por tanto, debe ser contemplada como un reto para sus responsables. Su importancia y trascendencia se acrecienta y refuerza en periodos de crisis como los actuales. No es posible superar una gran crisis prescindiendo de la educación como palanca para la innovación y el progreso. Para la conquista del conocimiento, estudiantes, profesores y gestores tienen una herramienta poderosa en las tecnologías de la información y la comunicación, pero estas tecnologías digitales para que resulten eficientes, deben ser aplicadas en un contexto educativo flexible, apoyado por soportes conceptuales y metodológicos que garanticen una enseñanza activa, dinámica y eficaz.

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Presentación del autor: Juan de Pablos Pons es Catedrático de Tecnología Educativa en la Universidad de Sevilla. Actualmente es el Decano de la Facultad de Ciencias de la Educación. Profesor de Didáctica General y Tecnología Educativa desde el año 1977. Es el creador y director del ‘Grupo de Investigación, Evaluación y Tecnología Educativa’, adscrito a la Universidad de Sevilla y perteneciente al Plan Andaluz de Investigación. Ha intervenido en diferentes proyectos de investigación sobre diseño de materiales educativos y aplicaciones de las nuevas tecnologías de la información, financiados con fondos públicos nacionales y de la Comunidad Europea. Colabora con la Agencia Nacional de Evaluación de la Calidad y la Acreditación (ANECA). Ha publicado en revistas científicas de diferentes países y es editor científico de publicaciones, entre las que cabe destacar en los últimos años: Análisis estratégico para la Convergencia Europea (2008). Tecnología Educativa. La formación del profesorado en la era de Internet (2009). Políticas educativas y buenas prácticas con TIC (2010).

Notas 1 Frederic W. Taylor (1856-1915) ingeniero y economista norteamericano que elaboró un sistema de organización racional del trabajo, ampliamente expuesto en su obra “Principles of Scientific Management” (1912) y que fue conocido como “taylorismo”. Se basa en la aplicación de métodos científicos de orientación positivista y mecanicista a la producción industrial, con el fin de maximizar la eficiencia mediante la división sistemática de las tareas, y la organización racional del trabajo en secuencias y procesos. Este modelo fue aplicado posteriormente a la educación, aportando la base conceptual de la denominada pedagogía por objetivos.

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Pedagogical Sciences, Economics of Education and Economic Pedagogy

LUCA REFRIGERI

Abstract: In the Italian educational system, economic education is rarely taught, and when it is, the content coverage is quite limited despite the most recent educational reforms. However, this desultoriness is not simply due to myopic educational policies, nor is it merely the consequence of the government’s lack of goodwill. It is primarily the result of an inadequate identification of an economic pedagogy that is a mature theoretical framework whose focus is the promotion of the economic and financial literacy to all students, from primary school to higher education and not only to specialized education which is traditionally included in second cycle of education and specific university courses. Pedagogical research must be devoted to the formulation of a new and emerging knowledge which in the last decades has already developed into informal settings and can be the initial step for action. To fill the gap of pedagogical sciences research area it is necessary to start by creating a science that besides the managerial, legal and administrative aspects, it should also include economic and financial components. Riassunto: Nell’offerta formativa del nostro sistema scolastico la presenza di una formazione economica si presenta rapsodica, poco consistente, pur dopo le ultime riforme apportate. Questa saltuarietà, però, non va annoverata, come di solito avviene, a politiche formative non lungimiranti o, ancor meno, a cattive volontà di classi politiche al governo, ma piuttosto alla mancata identificazione di una pedagogia economica, ossia di una teoresi matura, che ponga nel suo campo di indagine la formazione economica e finanziaria di base, per tutti, a partire dal primo ciclo del percorso, oltre alla formazione specialistica, da tempo presente nei corsi di studi secondari e accademici specifici di lunga tradizione. La ricerca e riflessione pedagogica deve mirare alla definizione di un sapere in buona parte nuovo, ma da decenni già in parte emergente nel non formale, il quale può costituire la base di partenza per questa operazione. Per colmare questo vuoto è necessario partire dal riempire il vuoto nel paniere delle scienze pedagogiche collocandovi una scienza che comprenda il versante economico, finanziario, oltre che gestionale e giuridico-amministrativo. Keywords: Pedagogical sciences, economics of education, cultural economics, economic formation

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1. The weak relationship between pedagogical sciences and the economics of education Despite the fact that already in the seventies of the last century economics of education (also inappropriately called economics of “instruction”) was associated with pedagogical sciences or with the sciences of education (Mialaret, 1970, 58; Visalberghi, 1978, 26) as a proof of the fact that since then the relationship between pedagogy and economics was already quite mature, but at present it is impossible to say that it has consolidated and constantly developed since then. The pedagogical research community has rarely devoted its attention to the economic knowledge and skills. Conversely, it has focused on other sciences that are included in the field of pedagogical sciences. Traditionally it aims at explaining and justifying the fundamental aspects of the educational system and course work in Italy. As a consequence, to a lesser degree, the same kind of approach has been adopted by the institutions that more often employ the economic knowledge and skills to solve administrative, organizational and bookkeeping matters. This improper consideration has brought negative consequences which have had an impact at social level: firstly, it has contributed to define economics as an irrelevant subject from an educational point of view with the result of not been included in the Italian school system as a widespread and transversal curriculum subject as it would have instead been useful to. Rather only vocational and technical schools offer it as specialized subject. Secondly, it has deprived the national concept and the whole educational system from that practical, down-to-earth dimension which generally informs both private and public life and which increasingly requires this range of knowledge and skills and not only for specific purposes. The manifold analysis conducted at national level within the Italian school system may only prove the truthfulness of this simple observation. The formal educational system does not contemplate horizontal learning aims of this kind, in other words the teaching of economics is not included in different subjects more or less consistently so that it may be considered in a cultural sense and not only from a vocational and technical point of view.

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2. The discontinuous presence of the economic knowledge in the Italian reformed school system By carrying out a more precise analysis on the presence of economic sciences or better of an economic culture within the Italian educational and training system, it is possible to see that they, similarly to business and legal studies, take a subordinate role. However, by depriving them of cultural value and by retaining their conventional marginal position, consequently nowadays cultural education of the Italian young generations is commonly considered as partial and inadequate because it shows a lack of learning objectives, of economic, legal and social knowledge as well as of skills and competences of this kind (Castrovillari, 2008, 11). By analyzing the results of surveys, what clearly emerges is that in primary and lower secondary school, economic issues of culture and social life, which are becoming increasingly prevalent in today’s world and absolutely necessary for contemporary life, are not included in the learning objectives. When they are present, however, they are only a simple outline referring to social studies and/or as examples for learning mathematics (i.e. business case studies, primary needs, exchange problems). Moreover, they have been indirectly included in history and geography textbooks as general aspects of life in different historical and social contexts. At the end of lower secondary school, this kind of knowledge is transformed into learning aims for the development of competences in order to raise awareness of the economic, environmental, and health problems associated with different forms and modes of production. In other words, they are not attributed with an identity of their own (MIUR, 2007, 111). Particularly, in lower secondary school, the learning aims that introduce the elective subjects do not include any specific reference to economics and/or to the knowledge of the socialeconomic system (Ibidem, 41-46), not even during extended school hours, where social and civic ethics should be emphasized, considering also the fact that some students will not further continue with their studies. In the second cycle of education major attention is devoted to the educational role of economics. The acquisition of economic, legal and business knowledge and skills is considered a necessary tool for the understanding of contemporary complex social phenomena. However, even at this level, the teaching of economics is not introduced transversally within all subjects more or less significantly so that the economic culture in a general sense, and not only from a vocational and technical point of view, might provide the EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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student with the opportunity to start an educational process that will lead him/her to gain an insight of the modes of the globalized social life. In the diverse secondary school specializations (art, humanities, sciences etc.), however, economic subjects and in particular other topics such as profit, job market, business strategies, exchanges, budget, competition, international and European law are not included at all, not even indirectly in other subjects. In 2005 the former Minister of education Moratti attempted to introduce a new field of specialization in second cycle of education allowing students to major in economic subjects and this seemed to finally give recognition to not only the importance of acquiring an economic culture but also a technical and professional one; however the subsequent Ministers Fioroni and Gelmini did not follow up on the reform of the second cycle of education and this brought to a step back without however enriching the curricula of general upper secondary schools which specialize in the humanities with the possibility of offering elective socio-economic courses. Even though secondary schools specializing in the humanities nowadays offer “law and economics” in the first and second year of high school, and in all the five years of secondary school when majoring in the economic-social subjects, unfortunately none of the other types of general upper secondary schools are offering any sort of economic related subjects. New vocational and professional schools strongly recognize the necessity of an economic culture, nonetheless they have a vision of the economy as a technical field of specialization which is different from a cultural vision of the economy. It is important to point out how things nowadays are getting better even though it cannot be considered as a cultural transition towards a new training project. Since the 2008 second cycle of education reform, which has been briefly outlined, and with the institution of the general upper secondary school specializing in the humanities with the option of majoring in socioeconomic subjects, economy is considered an independent subject whereas in vocational and professional schools, economy along with law are considered professional subjects yet there has been no increase in the number of teaching hours for these subjects neither in the two year or five year course. Actually, even this last description of the second cycle of education reform shows a certain will in wanting to propagate an economic culture among young students but still there is a lack of recognition of the general value of economic-legal culture in young people’s formation. As a matter of fact, for students who attend the secondary school with a specialization RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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in scientific subjects and choose the economic-social major, “it is possible (sic!) to take within the regional curricula […] the socio-economic option which supplies them with particularly advanced competences regarding legal, economic and social sciences” (MIUR, 2010, art. 9, 2), but actually this course of study does not have a general cultural value. The aim, aside from the most common ones, for those who choose this option is the achievement of the learning objectives which are: to know the meanings, the methods and the interpretative categories at the disposal of the economic, juridical and sociological sciences; to understand the traits of economy considered as the science of responsible choices of the resources which man is provided with (physical, temporal, territorial, financial) and the traits of law considered as a science of juridical rules which regulates social living; to differentiate the anthropological and social categories which are useful for the understanding and classification of cultural phenomena; to develop the ability to measure with the aid of appropriate mathematical, statistical and computing tools the economic and social phenomena required to verify empirically theoretical principles; to use philosophical, historical, geographical and scientific perspectives for the study of the interdependences among international, national, local and personal phenomena; to identify the existing relationship between cultural, economic and social phenomena and political institutions both in terms of national and European dimensions and also of global dimensions; to have acquired in a second language structures and communicative competences at a B1 level according to the European Framework of References for Languages. In conclusion, if on one hand there is satisfaction for the establishment of the socio-economic option, which has been mentioned above, on the other hand there is regret for the fact that the learning aims in other secondary schools do not mention anything in regards to economic culture. This is in contrast with the importance of the cultural, educational and professional profile of second cycle of education schools emphasized in the regulations “the revision of the organization, instruction and rules of second cycle of education schools according to the article 64, sub-section 4, decree law 25th June 2008, n. 112, converted into official law 6th August 2008, n.133” has the aim to supply the “student with the cultural and methodological instruments necessary for a deep understanding of reality so that he/she may have a rational, creative, critical attitude when facing situations, phenomena and problems and to acquire knowledge, abilities and competences adequate both to continue his/her studies at a higher level and to EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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be part of a social and professional community, in accordance with his/her own abilities and personal choices (art.2, sub-section 2). There also is no mention of the knowledge, the skills and the competences of economic, juridical and social nature in all the other areas of learning which have been identified namely in the methodological, in the logical-deductive, in the linguistic and communicative, in the historical-humanistic, in the scientific, mathematical and technological. Young students encounter lots of difficulties when they decide to continue their studies at university level especially when majoring in economics, which is one of the most chosen courses, because of their limited general economic culture and scarce basic knowledge. Even more remarkable, although totally different, is the problem that all the other students who do not major in economics face because their course of study does not require economic culture and therefore only an informal and non formal education will supplement to this. Moreover, not only schools but also universities are responsible for a total absence in Italy of an economic culture among young graduates who have not majored in economics. When reviewing the different undergraduate courses in all bachelor degrees, according to the enclosure of the Ministerial Decree n. 270/2004, it is easy to find courses focussing on economic knowledge in all its scientific fields from economic history and theory to business economics and applied business economics. The reason for this contrast between the central body’s will for change and the militant school seems to be attributed to cultural perspective, thus meaning there still is a neoidealistic vision according to which formative incidence is based on classical literary knowledge. If one considers what happens in other European countries it really seems that the absence of an economic culture and the scarce attention to its instruction is due to cultural reasons here intended in an ideological and anthropological sense. Thus meaning it is a characteristic of our country to have an approach to economic knowledge and to the labor market which is separated from education policies and training. As a matter of fact in some other countries in particularly in France and in the United Kingdom, but also in Germany and in Spain, there is a high consideration of the importance that the economy plays in individuals’ professional training that has lead to the implementation of an educational concept different from ours. Consequently this knowledge is more widely spread in the curricula (Pedrizzi, Catrovilli, 2008, 139-186). What can be found there and lacking in our system instead, as already mentioned, is the sort of culture required RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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to conduct a daily and realistic life, a vision of life associated with being with others, which can be considered as a truly comprehensive value, a set of phenomena which characterize human condition, or which can be considered as being sensitive to reality namely the condition of individuals who participate in the life of their human group and are its expression.

3. Examples of non formal economic culture formation Although there is a lot of perplexity and uncertainty in the complex educational system, a series of important initiatives contrary to this situation can be taken into account in order to identify a proposal of economic culture to be introduced in the curricula of Italian school system. These initiatives have been taken by individuals from different institutions that do not necessarily belong to the schooling system, even if they are coherent with the concepts of the central and local educational system, but nonetheless these educational actions are considered non formal, which once again underlines the little importance which is given to the formal teaching of economic education in our country. What often happens is that innovations come from below, from observing the actual reality of social life, and it is important not to underestimate them and if possible to take them into account with the appropriate modifications in order to introduce them in a formal context. One of the most important initiatives have been conducted by the Consortium PattiChiari and the Bank of Italy, which have developed important pilot projects in economic and financial education and training. PattiChiari is a Consortium of Italian banks promoted by the Italian Bankers’ Association which aims at developing and organizing programs of financial education for different population categories, even if they remain open to the academic world and associations. An important example that proves what has just been stated is the educational city tours “PattiChiari in città 2008” which has reached in the past years 250 different municipalities throughout Italy, involving directly 400,000 citizens. The Consortium PattiChiari and the Union of the Chambers of Commerce have agreed on developing and promoting a series of initiatives among the small and medium size industries in the area of credit and services and although these actions are scattered here and there in the country, they represent admirable and exemplifying pilot projects for other environments including schools. The great effort which is required, along with the different individuals EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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involved in the projects and the inevitable long time demanded in order to have a certain impact on a crucial mass of people clearly demonstrates the need for a strong commitment not only of private individuals, but also of the government, of the media and the same consumers (Ambrosetti, 2010, 70). In the last few years, the Consortium’s purpose is to reach young people through the development and the dispatch of projects geared towards all type and level of schools. They have developed didactic programs with the precise intention to foster a financial culture among young people so that they may have a better knowledge of the financial world and consequently a more responsible behavior not only towards their own financial management but also towards the country. Just to give a few examples, the program Our Community is for students in primary schools and is promoted in cooperation with the nonprofit organization Junior Achievement Italia which shows the basic economic dynamics and the responsible behavior which guarantees the good functioning of a community. Another successful project called “Io e l’economia” (The economy and me) started in 2004 in cooperation with Junior Achievemt Italia is instead for lower secondary school students and wants them to learn about economics. Instead, PattiChiari con l’economia is for secondary school students and aims at preparing them economically and financially so that they may have an active role in the economic, social and professional reality that surrounds them. EconomiaAscuola is an internet website about financial education started in 2009 for teachers who can find teaching and promotional material (general information about financial education and economy) so that they may acquire a useful methodology for classroom instruction. The analysis of the results of these pilot projects can be a useful incentive for new projects to be promoted in a broader area and for this reason a possible institutional cooperation with local school boards (Uffici Scolastici Regionali) would better guarantee the promotion of courses within schools on one hand and on the other, it would give teachers and principals a better understanding of these issues and consequently there would be more participation and visibility. At the same time, special programs on financial education should consequently develop into more non academic courses in financial training which have demonstrated to be, through analysis which have been carried out, more effective in increasing, in a substantial way, the level of financial culture (Ambrosetti, 2010, 73). Another remarkable project following a proposal of the Bank of Italy in cooperation with the Ministry of Education, University and Research RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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is the pilot project of financial education. What can be deduced from the Memorandum of agreement of November 2007 is that there is the precise intention to offer young generations the fundamental principles for a correct economic, financial and monetary culture. Students in primary, lower secondary school and second cycle of education took part in this pilot project which started in the 2007-2008 school year. Through the development of the topics and the teaching methodology the project managed to promote a correct economic culture among young people and to develop basic cognitive skills which allow students to make responsible economic and financial choices. The real goal through this initiative, which is yet to be achieved, was to introduce the subject in the school curricula giving it a formal training recognition. What is important for the educational world and in particular for pedagogic researchers, aside from the numbers involved in these projects, is not only the usefulness of all those aspects regarding the economy for individuals’ training nowadays, but most of all the aims and the contents of the economic education which does not mean acquiring a specialized knowledge, but acquiring a culture which is actually capable of allowing the individual to live consciously in today’s society. Thus, culture does not only mean “the level of knowledge acquired and assimilated by an individual or a social group, but also behaviors that have become part of the individuals” (Bertolini, 1996, 121). This means the acquisition of “a cultural attitude in the various fields of knowledge” (Mialaret, 1970, 66), is useful “to develop and to use certain instruments and skills not only after due consideration, but also in an original way in order to penetrate, understand and think about the world in a better way” (Ibidem, 67). As a result, this type of culture is considered the key that individuals require when approaching life, when understanding social phenomena, when solving problems and which is implied when studying economic subjects (Zamagni, 1991, 2528). According to this idea, educational aspects concerning the economy are just as important as those which regard more traditional aspects like literary, historical, scientific, artistic, social and political. Without these, the individual will not possess a suitable cultural background enabling him/her to live a life fully conscious of his/her responsibilities as part of a society, which not only introduces economic facts and issues for specialists but also for the ordinary person, which will however manage to have a responsible attitude in life if he/she has gained economic knowledge. The economist Stefano Zamagni has been talking about this concept of economy referred to as “economia ingenua” (naïve economy) for twenty years (Ibidem, 24). EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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The cultural background which it refers to is substantially considered as the logical ability of empiric-experimental type, common in economic sciences and which can be acquired indirectly with the acquisition of a basic and general economic culture. It is generally agreed that an adequate general economic culture allows the development of those “reasoning” and decisional skills useful in contemporary life. In this sense the meaning of economics is “the science of decision making of rational individuals who live in a society and suggests guidelines to improve well-being” (Idem, 2008, 22) and not a science which refers to the efficient investment of poor resources, as commonly referred to, paying attention therefore to man’s behavior when making decisions and choices which are independent from the more or the less availability of resources which are necessary to gain a specific end (Ibidem, 24).

4. Benefits of the foundation of an economic culture If on one side little importance has been given to the possession of an economic culture, on the other noticeable benefits for both individuals and the whole society have been outlined when there is economic culture. This proves even more how our educational system is inadequate which not only lacks in taking into account the benefits of such a culture, but on top of that there also is a gap in pedagogical research, which rightfully so, does not seem to grasp the latest changes as it should. What stands out in particular is, firstly that when a young individual has knowledge of the economic system and its functioning he/she is well aware that economic issues are directly connected to him/her because they often are the consequence and motivation of his/her or other peoples’ behavior. Therefore being aware of this means consequently that when changing one’s or other’s behavior the socio economic situation can be modified and corrected. It is possible to acquire this type of conscience only through the knowledge of economic facts, of the interactive nature of economic decision making and their intrinsic political nature. For this reason, it is significant to cite Zamagni’s opinion of the development of a naïve economy which means the representation of facts and economic issues of an ordinary person and not of an expert (Zamagni, 1991, 124). As a matter of fact, according to the economist naïve economy is socially important because the ability of the individual to assume certain behaviors and to make certain RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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decisions can bring to a modification of socio economic phenomena and problems because of his/her knowledge of the situation. The Italian economist states in fact that what has been declared theoretically regarding the ability of an economic conscience to explain phenomena and solve problems also allows the modification of the phenomenon and problem, or at least in part (Ibidem, 108). Secondly, one of the main characteristics when having a knowledge of economy is that it gives mental advantages and a methodological attitude when tackling problems that concern life. A knowledge of economy develops individual’s skills to investigate the many and complex factors of social phenomena, to express an opinion and to make rational and conscious decisions. For this reason, economy is considered by many as a “science of decisions” rather than a science of rational and efficient resource allocation. When interpreted in this way, human behavior is at the center of attention of economy which is considered an empirical-scientific science and allows the individual to acquire the ability of making decisions and choices independently from more or less available resources. In this way the economic dimension of human action and responsible behavior is defined as the ability of making choices of the possible aims and not of the possible alternative means. Thirdly, another consistent point of this type of culture equally presaging determining consequences is the position of the job market and what it offers and expects from young people’s education. In order to enter the labor market more easily and productively, individuals must possess economic, juridical, and business skills not only in a professional way, but also acquired through general culture because what is required from the individual is the possession of global and practical skills aside from knowledge. The labor market and the business world as a matter of fact believe that the possession of a general economic culture can be considered a strategic element for the economic development of a country. In particular, in Italy in order to guarantee the survival of small and medium businesses in today’s global market more attention should be paid on young people’s economic training for this would not only allow young generations to have the necessary cultural background to be adequately part of the society, but they would also have the professional skills to choose the right profession (Castrovilli, 2008, 15). The Confindustria (Italian Manufacturer’s Association) in particular and the business world in general are also convinced of this and they have been asking even more greatly that schools should include business culture in their training (Confindustria, 2004, 234). Besides, even at EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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European level within the Lisbon Strategy what has been pointed out is that socioeconomic knowledge of the socioeconomic dimension, of the aspects of socioeconomic development and the general functioning of the economy is the key to economic development, to social cohesion and civil living (European Parliament, 2006; Castrovillari, 2008, 11). Lastly, another reason why the possession of an economic culture is fundamental regards social justice. Social justice gives everyone the opportunity to live within society with awareness, which means the elimination of the informative asymmetry between the citizen’s demand and economic agent’s offer. This is the true reason why an economic training should not be left up to informal or non formal education settings because only certain categories of people would benefit from this type of instruction instead it should be a characteristic of a formal system of education in order to avoid the sort of social injustice towards that part of the population which would not have the basic knowledge required to understand mechanisms and socioeconomic processes and would be influenced by the situation without being aware of it (Zamagni, 1991, 23-25). Granting that what stands out are the benefits for the individual, there are also social ones, which are however dependant on the individual benefits because they are the result of each individual’s behavior. Individuals contribute to a more efficient, effective, impartial society and they become more attentive towards not only the economic but also the social development of society (European Commission, 2007; OECD, 2011).

5. The contribution of pedagogical sciences to the formation of economic culture Following the considerations which have been mentioned above, economic education is rarely taught in our educational system. However, this discontinuity is not simply due to myopic educational policies, nor is it merely the consequence of the government’s lack of goodwill. It is primarily the result of an inadequate identification of an economic pedagogy or a mature theoretical framework whose focus is the promotion of the economic and financial literacy to all students, from primary school to higher education, and which is traditionally included in second cycle of education schools and specific university courses. Pedagogical research must aim at defining a new and emerging knowledge which in the last decades has RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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already developed in informal settings which must however fill in the existing gap among both pedagogical sciences and all those educational sciences which include besides the managerial, legal and administrative aspects, also economic and financial components. The purpose is to build and support a type of knowledge which allows to combine more systematically the relationship between cultural literacy, social organization, and economic processes in a given historical period. This will support the acquisition of those skills required by each person which will allow him/her to identify the most efficient dynamics in order that he/ she can attain individual and social satisfaction, he/she can also understand and improve the genesis and the nature of socioeconomic phenomena, he/ she can acquire analytical skills and formulate hypothesis which will bring to possible solutions to problems with their relevant effects. If this can be considered a feasible heuristic undertaking then consequently everyone: scholars, researchers, teachers and professors at all levels and schools, and policy makers most of all, should be aware of the necessity not only to redesign the curricula but also reformulate methodology courses for teachers based on all those cultural and scientific elements that an economic and pedagogical reflection has been able to produce. With regard to this, it may be appropriate to emphasize what has already been pointed out by Karl Abraham during the Sixties of the last century in order, at least, to start new pedagogical research in this area. Abraham was among the few to state that there is a lack of research and reflection concerning the cultural problems of the economy. He recognized then that “under a pedagogical point of view the study of economy as a domain of civilization and culture … is only at the beginning; so it is urgent to devote time to this with real commitment” he was convinced that “one of the most important tasks in today’s world is to deal with the problem of what is actually intended by economy as being part of civilization and culture” (Abraham, 1967, 48). Hence, if in the past it was one of the tasks that pedagogical knowledge had to deal with, it is even more so nowadays especially when considering the complexification of social life and the lack of attention of pedagogical research. The German economic pedagogist’s beliefs should be the starting point for Italian researchers in education, and eventually also scholars from other countries which are in the same condition, to reconsider in an epistemological way pedagogic and education sciences, by inserting with more conviction and consistency those types of knowledge which, in the meanwhile, have emerged like for instance education of economy. By defining the new EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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types of knowledge epistemically, an acceptable amount of scientific credibility will be given to economics of education and more practicability to economic education. If, as has emerged up to now, the general cultural training of young generations cannot ignore economic, financial, organizational aspects aside from the more traditional humanistic and scientific features upon which is still grounded traditional education, pedagogy is expected to assume a more open role towards innovations and to refer to wider knowledge and skills in order to fulfill its binding role of theoretical pioneer. First of all, as already pointed out, pedagogy must increase its field of research including not only economics but also finance, which have caused lots of problems to the entire world and also to many individuals who are unprepared because they do not have an economic culture. Secondly, pedagogic theory cannot ignore the innovation of other elements included in the epistemic configuration of economics of education since it has a totally inductive heuristic logic which is useful in developing the ability of reasoning and analytical reflection. Finally, another point which must not be overlooked at are all the innovative methods and experimental research along with the aid of statistics, metric and evaluation tools, and quality evaluation which have become part of education sciences. Karl Abraham states that “pedagogy will accomplish its task only when it will supply man with the ability to reflect even about his relationship with economy� (Ibidem, 279) and perhaps this is the starting point from which to begin new pedagogic reasoning. When looking at the current situation and in order to conduct more relevant research, pedagogists should consider analyzing the situation in European and non-European countries, especially those which have a stronger tradition of economic education, aside from organizations like OECD, without however neglecting the more traditional fields of research. It is also the case to mention the Chicago School of Economics, which aside from the first technical and metrological interpretations, has somewhat influenced many countries since the fifties of the last century on the concept of training. Also the theory of human capital should be strongly considered because especially lately it has received lots of attention and has provided the basis for real and true assumptions. It may be worthwhile also to consider the theoretical position expressed by the European Union government and the RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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OECD, in which not only economic education, but also financial education have gained new educational and training consideration. As a matter of fact Europe with its set of theories can be considered a point of reference for the development of an economic pedagogy. In particular the OECD represents the main and most important Organization which considers economical literacy and financial culture the new insights for economic development (OECD, 2011). Lastly, it is important to consider the situation in Italy, where proposals rather than coming from schools of thought in pedagogy, are instead advanced by economic and financial organizations within the country (Italian Manufacturers’ Association, Italian Banking Association) and this is evidence of the need of a strong training that springs up from society and real life. It is also important to stress the fact that if the pedagogic mission wants to be renewed, considering the fact that by definition it is the heterogeneous science of education intended as general knowledge of training, not only economics of education has to reach a distinctive scientific identity, but also other pedagogical and education sciences have to reformulate it, by looking at the scientific innovations which have developed in the latest years. The most important ones to mention are educational psychology and cultural anthropology. Within psychology, as a matter of fact, the study of human behavior while dealing with aspects of daily life in particular related to work, to shopping, to saving, to food, to free time, to personal care, in other words to all those aspects of life that guarantee a certain quality of living have become object of scientific research as they express individual need-satisfaction. These studies have brought to a definition of economic psychology which underlines the fact that human behavior is founded on economic education, being actually part of it. Without the appropriate knowledge of economic systems, at least, it is impossible for the individual to make appreciable decisions related to daily life and work, but also to have a mental and emotional balance for a broader concept of well-being (Bombi, 1991, 9ss.). Also cultural anthropology, as a pedagogic science, has to reconsider its nature, especially when considering all the changes which have been brought about by globalization in the last decades, namely unpredictable and overwhelming phenomena which regard different cultures, ethnic groups and religions. Probably for this type of knowledge, the task is even more difficult more than other sciences because it has to carefully analyze the cultural aspects by devoting particular attention to how economy has EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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had an impact on them in the last decades. It is not that up to now anthropology has been insensitive to this type of phenomenon, but because of the important role that economy plays and its strength to modify the same interpretation of culture in an anthropological sense. If one is convinced that “every culture has its own economy and formally every human being is committed in maintaining a sort of economic behavior and thought in different places and times” (Wilk, 2007, 54), therefore in these days, they have become even more crucial in practical life and culture. Author’s Presentation: Luca Refrigeri is Associate Professor of General and Social Pedagogy at Department of Human, Social and Educational Sciences, University of Molise. His main interest in research are about economics of education and economic pedagogy.

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Quality of life of disabled people: prospects for lifelong learning pedagogy GABRIELLA ALEANDRI*, GIACONI CATIA*

Abstract: This article faces a current topic in the National and International scene, rich in complexity and endowed of wide spaces of epistemological and professional reflection: the quality of life of disabled people and their inclusion in the world of education. The authors, who have worked as researchers in the domain of lifelong learning and of disability for several years, are now deepening this issue first by penetrating the wide semantic and conceptual spectrum of life quality and lifelong learning, passing then to outline some important passages of the Italian legislative process of inclusion of disabled people in the Universities. The attention is always polarised on the development of a new conception of lifelong and life-wide learning that includes among its aims the one of improving the quality of life of people with any condition of disadvantage, discomfort or disability. Riassunto: L’articolo affronta un argomento attuale nello scenario nazionale ed internazionale, ricco di complessità e di ampi spazi di riflessione epistemologica e professionale: la qualità della vita dei disabili e la loro inclusione nel mondo dell’istruzione. Le autrici, da anni ricercatrici nel settore del lifelong learning e della disabilità, approfondiscono la questione addentrandosi prima nell’ampio spettro semantico e concettuale relativo alla qualità della vita e al lefelong learning per passare poi a delineare vie di inclusione dei disabili nelle Università e nell’Alta Formazione. L’attenzione è sempre polarizzata su una nuova concezione di lifelong e lifewide lerning che comprenda tra le sue finalità quella di migliorare la qualità della vita delle persone con qualsiasi condizione di svantaggio, disagio o disabilità. Keywords: Lifelong e life-wide learning, inclusion, epistemology, disability, life plan, quality of life.

* Il presente lavoro, pur essendo frutto di comune elaborazione e di condivisione di impostazione e contenuti può essere così attribuito: Catia Giaconi è autrice delle pagine da 119 a 129; Gabriella Aleandri è autrice da pagina 129 in poi.

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A complex horizon: quality of life The National and International research lays the groundwork for a careful epistemological reflection on the issues of quality of life, of inclusion of disabled people in the world of higher education and in the perspective of lifelong and life-wide learning. Inevitably these dimensions synergistically contribute to the achievement of a major contemporary challenge that is expressed in the enhancement of interventions and of policies aiming at the real inclusion of disabled people in the knowledge society and in the learning society. Hence talking of quality of life and, in a specific way, quality of life of disabled people, necessarily involves a review of both a series of changes in our society and the scientific acquisitions and studies that can provide the sense of the importance of the issue. First, advances in medical and social areas have marked a significant increase in the average life expectancy of people with sensory disabilities, but also with mental disabilities (Ferris, Bramston, 1994). Secondly, the attention is focused on the scientific and clinical-rehabilitative field on one hand, and on functional abilities, on everyday life, on the adaptation to the environment (Gurland, Katz, 1992) on the other; on the necessary educational interventions, complemented with the medical ones, in order to extend the possibilities of social inclusion and of well-being in old age for people with disabilities (Cottini, 2008; Crispiani, Giaconi, 2009). Finally, we must consider the documented validity, since the Nineties, of the training dimension and of the practical-professional one to improve the quality of life of people experiencing a situation of disadvantage or disability (Rowland, Perkins, 1988; Nehring et al., 1993; Giaconi, 2012). In the background of these three conceptual focal points remain the established theories within psychology and the field of special pedagogy, which over time have noted down and proved “(…) the pedagogical assumption of educability [possibility to educate] at every stage of life, adulthood (and beyond) included” (Aleandri, 2011, 73) and in any “(… physical, personal and social condition” (Giaconi, 2012, 137). Always at the basis of the thought we are developing also stays the importance of a systematic reading of the concepts of lifelong learning, of quality of life, of social inclusion for personal growth and for the opportunities of development (Microsystem); for programs and techniques RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Quality of life of disabled people: prospects for lifelong learning pedagogy

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of environmental improvement (Mesosystem) and for the efficiency and effectiveness of social policies (Macrosystem) (Schalock, Verdugo Alonso, 2006). Starting from the above reflections, we go into the wide conceptual domain of “quality of life”. The extensive literature unfolds a plurality of definitions of QoL, as an exercise of identification and lexical clarification which closely interests the promotion of health, training, the conduct of social services, in order to seize its meaning, to evaluate or measure its expressions, to report its factors and its indicators, to deliberate its standards, to promote its implementation strategies. Despite the opinion of the impossibility, or high relativity, of the production of Quality of Life definitions avoiding both the risk of simplification, or reduction of the variables at stake, and the excessive extension of the intervening factors, the QoL definitions considered by Schalock and Verdugo Alonso are many and frequent (Felce, Perry 1995; Schalock, Alonso, Cummins 1992; Hughes et al. 1995, ecc.). And we are talking of rather homogeneous formulations as for the most part they are oriented to some basic convictions which can be recognised in the focus on the person’s state of being, on the inextricable correlation with life quality of the family he/she belongs to, and, more generally, in the systemic view, or ecological view, that brings the vital condition of the individual to his/her next life contexts (Microsystem) or extended ones (Macrosystem). No less important is the implementation of complexity brought by some studies, such as the accurate one by L. Cottini (2008), that connects quality of life with the temporal perspective of age advancement. Always in this direction, the construct of health, or state of well-being of an individual, appears to be a central and decisive reference for any conceptual exploration about the QoL, because of their manifest interconnections. Quality and state of health, though not in total overlap, yet results to be in extreme reciprocity since if good health constitutes a factor of existential quality, by contrast, a quality life promotes and maintains with more probabilities the condition of biological and psychic health. Even the state of well-being, as indicated in the definition of 1948 by the World Health Organization, is a concept that evolved over the decades towards a more and more inclusive form of components, and that was restated in Quality of Life Research of 1993 as a “state of complete physical, EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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mental and social well-being and not merely the absence of disease or infirmity”, exhibits a multidimensional nature as a condition of balance and wellness on the following three dimensions: biological, psychological and social one. We therefore refer to the full functional efficiency and in relation to the different and possible contexts of life, then the well-being is not an achieved or permanent status, but a condition of balance, as a consequence it lies along the continuum between pathology/illness and health/wellness; it is a well-being that can always be implemented, and that finds every person along the way more or less close or distant from one of the poles. The perspective tends to widen towards the psychological components related to the self-realization and to the self-satisfaction, in other authors (Cowen, Manis, Mayman, Scheider, etc.) for which we refer to the organized review and discussion of Schalock and Verdugo Alonso and to the one of Cottini (2008). Therefore, in the presence of pathological states, both the investigation of the quality factors and the exploration of the indicators of their relevance get more and more complicated because of the increase of factors at stake and, not less, because of the biological, psychological and behaviour condition of the sick or disabled person that can easily modify or evolve. This has opened up the scenario of health related quality of life (HRQOL) and of quality of life in disables individuals and, to a lesser degree, of researches dedicated to childhood of individuals suffering from diseases and disabilities. Along this perspective we have seen the development of a further version of the critical aspects, of researches and of tools for evaluating the quality of life which underlines significant aspects such as physical efficiency, pain, emotional situation, satisfaction with the treatment, concern for the future, somatic experience, assessment of one’s skills, etc. as Schalock and Verdugo Alonso have summarized (Schalock,Verdugo Alonso, 2006) referring to the international researches on this matter. In the direction of childhood studies, we can find many multidimensional studies and measurement tools such as the KINDL Questionnaires (1998), the AUQUEI Questionnaire (1996) or the Peds QL Pediatric Quality of Life Inventory (1999), nevertheless – as Schalock and Verdugo Alonso (2006,105) report – there are still very few studies that take into account children point of view, and the assessment of QOL is often made, only in an indirect way (by outside observers, by parents, by people in charge for RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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the children, etc.), moreover the employed tools are mostly derived from those used in studies of adults. We can find the same elaboration of concepts and tools, through indicators and questionnaires when dealing with QoL of older people, about which we can refer to the review of L. Cottini (2008), and also when dealing with quality of life and school integration (Crispiani, Giaconi, 2009). Equally rich in complexity is the literature directed to review the variety of models of QoL. In this direction, R.A. Cummins (1997) noted down seven factors of QoL that include the objective and subjective perspectives, the public and private aspects of a person: life conditions, health status, productivity, intimacy, safety, integration in the community, emotional status. Felce and Perry (1995) privilege five categories: physical well-being, material well-being, social well-being, emotional well-being, significant activities. Then we have the multifactorial model, as a development of the SF36 model by Health Survey and Gandek (1993), the model with eleven dimensions of Ruddick and Olivier (2005): general health status, physical pain, physical functioning, sensory functioning, memory functioning, vitality, mental status, physical role functioning, social role functioning, emotional role functioning, transitions in role status. According to the view of a multidimensional approach to the phenomenon, which refers to multiple determinant factors, Schalock and Verdugo Alonso (2006, 45) individuate six focus areas, “key-factors of the existential status of a person�: 1. regular and special education; 2. physical health; 3. mental health; 4. mental retardation and intellectual disabilities; 5. aging; 6. family. Schalock himself is the author, together with others, of a multidimensional classification of factors of QoL that reduces the system to three categories and on these he builds up an individual survey questionnaire, the Quality of Life Questionnaire (1993): a. personal characteristics; b. objective conditions of life; c. perception by others. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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The combination of these factors and dimensions generated a number of QoL models, some of which are particularly related to the condition of disabled persons: by summarizing these models and also referring to Bateson’s classification of microsystem, mesosystem and macrosystem, Schalock and Verdugo Alonso (2006, 48), elaborate a division in eight fundamental dimensions: – emotional well-being; – interpersonal relationships; – material well-being; – personal development; – physical well-being; – self-determination; – social inclusion; – rights. Cross-sectional studies reported by S. Soresi (2006) recognize the return – more frequently in the International studies – of the following dimensions: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.

psychological well-being and personal satisfaction; experienced social relations; employment; physical and material well-being; self-determination, autonomy and possibility of choice; personal competence, adjustment in the community and the capability to live independently; Community integration; social acceptance, social status and adaptation; personal development and fulfilment; quality of residential environment; free time; standardization; some demographic, social and individual aspects; responsibility; support received by services.

Cottini and Fedeli (2007) elaborated the 3C Model, which is particularly sensitive to the aspect of the advancement of age of mental disabled RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Quality of life of disabled people: prospects for lifelong learning pedagogy

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people, and they organize their model on three existential “dimensions”: centrality, control and continuity. Not without contradictions and unresolved problems is the question of the determinability of the value of quality of life and its means of investigation, although in fact, different authors tend to credit measurement modes of psychometric type, oriented towards the myth of objectivity and of measurability of human behaviour, the analysis of the procedures in place do not seem to detect this type of procedure, except very partially. S. Soresi (2006, 32) confirms that several authors have tried both an objective and a subjective perspective for the appreciation of QoL, as Edgerton, Alpern, Cummins, Emerson, French, or as the Lifestyle Satisfaction Scale of Heal and Chadsey-Rusch (1985), the Quality of Life Questionnaire, or other means such as the Client Quality of Life Questionnaire and the Sponsor Questionnaire by Brown et al. of 1989 on the macro and micro contexts of life of disabled people, etc.., but that nevertheless still remain serious problems in currently available assessment procedures. Moreover “the possibility of accomplishing surveys that can be sufficiently correct from a methodological point of view is in fact prevented, on the one hand, by the considerable amount of variables that contribute to specify the quality of life and, on the other hand, by the need to apply to multidimensional measures that cannot be easily recordable with people with mental retardation” (Soresi, 2006,34). The assessment procedure in 14 items designed by S. Soresi and L. Nota (2002) The assessment of quality of life of adult people with mental retardation - QoL-RM, is partly a measuring model, and it is a psychometric tool of hetero-assessment not for individuals with mental retardation staying in specific institutes and rehabilitation centres. It is structured in three sections: – Quality of the service received; – Possibility to benefit from opportunities of social integration; – Characteristics of the environments. As shown, because of the critical and potential elements emerged from the analysis of National and International literature, we feel the need to establish new epistemological perspectives aimed at the full implementation of a respectful “life plan” (Pavone, 2009). The new concept of lifelong learning that we are going to outline surely allows a privileged way to achieve a better quality of life of all people over a lifetime, by adapting itself within EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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the multiple interpersonal relationships and contexts with which it comes into contact and laying the groundwork for a possible inclusion.

The quality of life of disabled people through the processes of inclusion at university The Italian approach is for inclusion of students with disabilities in a regular school with the assistance of a specialized teacher and psycho pedagogical services (Law No. 517/1977). This approach has materialized thanks to a precise legislative process, and has been gradually extended to every school (from primary school to university). This intervention provides an overview of inclusion legislation in Italy with a focus on Inclusion of students with disabilities at University. You can see in this slide the timeline of the Italian legislation on inclusion of students with disabilities at University. – Law No.104/1992- Framework law for the assistance, the social inclusion and the rights of the disabled – Law No.17/1999 – Review Act 104/92 for University. Since 1992, when the law 104 was issued (Framework Law for the assistance, social integration and rights of persons with disabilities), the situation has slowly begun to improve, and the number of students with disabilities, over the years, has greatly increased, thanks to the affirmation of new technologies and specific regulations regarding school placement (especially the law 17/1999, integration and modification of the framework law of February 5th, 1992, n. 104 for assistance, social integration and rights of disabled and the DPCM 9 of April 2001, provisions for uniform treatment regarding the right to higher education (university education), in accordance with art. 4 of the Law of December 2nd, 1991, n. 390). The purpose of these legislative measures is not, of course, the “simplification” of the course of studies, but rather the removal of any obstacles which hinder the proper integration of the disabled student in the school system and in the university system. Let us see now specifically the most significant parts of these regulations which cover the inclusion of disabled students in universities. Act no. 104/1992 has made a significant contribution to a culture of inclusion. Law concerning the assistance, the social integration and the rights of disabled persons. Article 1 prescribes the ‘full respect of the huRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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man dignity, freedom and autonomy of disabled people and promotion of their inclusion within the family, school, employment and society’. Law 104/1992 retains with priority that the instruction of disabled persons is accomplished through their insertion “in the common classes of the scholastic instruction of every order and grade…” (Art 12, paragraph 2). The attendance of common classes establishes, in fact, a fundamental tool for the achievement of the “development of the potential of the handicapped person in learning, communication, relations, and socialization” (Art 12, paragraph 3). The law covers primary to university education (art. 12, paragraph 2). The inclusion of students with disabilities at school and at University is realized through: – “Technical equipment and teaching aids as well as any form of technical support, notwithstanding the individual’s functional aids and promoting at the effective exercise of the right to education, also through agreements with specialized centers, having a function of pedagogical consulting, of production and adaptation of specific teaching materials “(article 13, paragraph 1, letter b). – The programs of the universities of “appropriate intervention either for the need of the person or for the peculiarities of individual educational program” (Article 13 “School integration” paragraph 1 letter c). – Assignments of professional interpreters to facilitate the frequency and the learning of deaf students (Article 13, paragraph 1, letter d). – Specific appropriate technical and educational subsidies and support services of specialized tutoring (Article 13, paragraph 6-a). – The possibility, for disabled students, to take exams, even university exams, using the necessary aids (Article 16 “Evaluating the Performance and exams”, paragraph 4), in agreement with the teacher of the subject and with the support of the Tutoring service. – An academic syllabus agreed with teacher in order to guarantee “individualized” tests and supported by specific aids (Article 16). The law 17/99, which amended and supplemented the law 104/92, has provided funding and specific guidelines to the Italian universities regarding the activities to be implemented in favor of the disabled students. In particular, this law established that each university should appoint a Delegate for Disabilities:”With coordinating, monitoring and supporting EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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functions of all the initiatives for inclusion as part of the University” (Law no. 17/99, Article 1, addition of a 5-paragraph 5 of Article 16 of Law of 5th February 1992, n. 104). At the same time it dictated that each university delivers services for the integration of disabled students with specific reference to: – Specific technical and educational subsidies (Law no. 17/99, Article 1, integration of Article 13, 6-bis); – Support of appropriate specialized tutoring services (Law no. 17/99, Article 1, integration of Article 13, 6-bis); – Individualized treatment for passing examination and use of specific technical means in relation to the type, or the possibility of equivalent tests (Law no. 17/99, Article 1, replacement of paragraph 5 of Article 16 of Law of 5th February 1992, n. 104). The text of this law has thus specified and defined a number of important rights for students, not only in terms of services but also in terms, for example, of equivalence of university courses and in terms of specificity of each student’s path. The “tutors” may be companions who are more advanced in their studies (including disabled), or boys and girls employed in the civil service helping disabled students to overcome the organizational difficulties and sometimes the content of university courses. It must also be guaranteed, even in universities, the removal of architectural barriers and the presence of assistants for the displacements of students in wheelchairs. As for the delegates from the rector for disability, since 2001 was constituted the CNUDD – University National Conference of Delegates for Disability – an organism capable of representing the policy and activities of the Italian universities regarding students with disabilities and the issues related to disability. The main purpose of CNUDD is in fact to enable the exchange of information and experiences among universities and to share some guidelines for the activities of all universities activating all the services necessary to give effect to the rules laid down by Law 17/99 and trying to respond more adequately to the needs of disabled students in their university courses. For the implementation of these laws, Program of Action of the Government for political Handicap (2000-2003) included: – annual survey of the appointment of delegates – recognition of the needs and problems of disabled students, to solve RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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the problems of guidance, to participate in lessons, access to textbooks, etc. – identification of supports for the autonomy, or transcription of texts in Braille, in large print, recordings, equipped computer stations (magnifying aids, speech synthesis, Braille, etc..), etc. According to a Censis survey, made before the passing of the of law 17/1999, these were the reasons why people with disabilities abandoned their studies (Table 1)

Table 1. The reasons why people with disabilities abandoned their studies Total

Male

Female

Economic reasons

42,7

41,6

45,7

Did not wish to study anymore

19,7

23,0

10,0

Difficulties with studies

15,8

17,7

10,0

Health reasons

12,5

13,4

10,0

Failure in school support

10,4

9,6

12,9

The achieved degree was enough

10,0

9,6

11,4

They found a job

8,2

10,5

1,4

Distance of school from home

5,7

2,9

14,3

Inscription to a professional training course

5,4

7,2

-

Presence of architectural barriers

1,1

1,0

1,4

Lack of accompaniement services

0,7

-

2,9

Teachers’ board

0,4

0,5

-

Other reasons

2,5

1,4

5,7

Source: Censis survey, 1997

Data on students with disabilities enrolled at the State University show a rising trend. For the academic year 2000-01 academic year 2007-08, students with disabilities increased from 4,813 to 12,403 members. (MURCINECA, 2008). The distribution by type of disability shows that students with disabilities constitute the largest percentage (27.5%) of registered disabled people in the academic year 2006-07, while smaller percentages are found in cases EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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of students with mental difficulties (3, 5%) and dyslexia (0.9%) (MURCINECA, 2007).

A strategic way for the quality of life: lifelong learning After years of theorization and of practices which were mainly concerned with management and training, that followed a direction from above (wealthier classes) to bottom (middle classes), and aimed at a pervasive social control; some authoritative International scholars (such as Lengrand, Suchodolski, Schwartz) and Italian ones (Mencarelli, Lorenzetto), laid the foundations for new concepts of Lifelong learning and education (Aleandri, 2011). Far from linear and simplistic readings, the current scientific literature offers a multidimensional and complex vision of lifelong learning as the way that “(…) allows people to implement the subjective but also universal value of the person and of his/her life plan, which express the dignity of the person in an original process of continuous development and growth” (Ibidem, 97). First of all the education for adults includes both the dimension of the formal and informal lifelong learning and the dimension of the casual learning which is proper to a multicultural society. Referring to that division, the current International debate tends to organize and study the educational processes in relation to formal education, to non-formal education and to informal education. Similarly, the multidimensional nature of the construct allows us to look at sites (places) for a global and permanent education with a particular attention to the process of lifelong learning as a focal point, a networking connection with earlier grades of schools, workplaces, other social institutions, National and International politics (policies); as well as a real chance of social inclusion, equality of opportunities, social justice and so on. The multi-systemic evolution of this concept is easy to rebuild through the International debate, promoted by various supranational organizations, which arose starting from the second post-war period, aimed at promoting studies, reflections and programs related to adult education and to lifelong learning. We start from ‘the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization (UNESCO), where you can find, among its objectives and RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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projects, literacy programs, quality education and lifelong learning for all, training of teachers, conservation of cultural and natural heritage of the planet, of sustainable and intercultural development just through information and education. Specifically, it is possible to find a series of significant steps by reconstructing the various international conferences on adult education fostered by UNESCO, which over time have seen an attempt, on one side, to point out an international mission related to the responsibility of education and to the education towards responsibility, continuity and universality of adult education, and on the other side, to involve the delegates of the States in the developing world. The General Conference of UNESCO of 2007 is exemplificative of what we have just stated. This conference in fact led to the approval of the Medium-term Strategy for 2008-2013, expressed through five global objectives, covering (Aleandri, 2011, 125): 1. implementation of a quality education and lifelong learning; 2. the relationship between scientific research and sustainable development; 3. research on emerging issues of ethical and social nature; 4. intercultural dialogue with a view to a culture of peace; 5. promotion of an “inclusive” model of knowledge society to be build up through information and communication. With regard to the aims of lifelong learning, it seems appropriate to recall the objectives of lifelong learning strategy by G20 Meeting in March 2010 (Table 2), drawn to overcome the current global financial, economic and job crisis. They concern the following issues: – access to quality education and vocational training for all; – matching education and training to the needs of the labour market with a systemic capacity to respond to change; – employability and flexibility during life; – continuous improvement and system renewal.

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Source: Lifelong Learning Strategy - G20 Meeting. March 2010.

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On the way we are conducting, worthy of note are the studies conducted by the Organization for Economic Co-operation and Development (OECD), which systematically publishes reports about international indicators of education systems since 1973. Education at a Glance, indeed, provides interesting data for comparative analysis among countries, which is useful for politics (policies) and for all stake-holders. In this regard, it is interesting to quote the survey published in 2010 regarding some chapters which bring together the different indicators for the interesting discussion that we are developing. First of all, in the following Table “Graduation rates at tertiary level” it is possible to observe the “students who complete tertiary education” (tertiarytype A education, tertiary-type B education and advanced research programmes, by age-specific graduation rates and by gender) (Table A3.1). About Rates for tertiary-type B programme (first-time graduates), comparing to total OECD average (11 %) and to EU21 average (8 %), data show that Italy reached a very low percentage: only 1 %, like Mexico Poland and Slovak Republic, while Canada got 29 % in total, Japan, New Zealand and Slovenia 26 %.

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Source: OECD, EAG 2012

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About Rates for tertiary-type A programme (first-time graduates), total OECD average and EU21 average are nearly 40 %, instead Mexico reached only 20 %, Turkey 23 %, Italy 32 % (however lower than OECD and EU averages), while Iceland got the highest percentage (60 %), Poland 55 %, United Kingdom 51 %, and Australia and Denmark 50 %. With regard to Rates for advanced research programmes, total OECD average is 1,6 % and EU21 average is a little higher than it, 1,7 %, Czech Republic and Mexico reached only 0.2 %, instead Switzerland obtained 3,6 %, Slovak Republic 3,2 % and Germany 2,6 %, while data are missing for Italy and Luxembourg. Table A3.2 below shows trends in tertiary graduation rates from 1995 to 2010: in general, we can observe that OECD countries, in average, have doubled the percentage of graduation rates for tertiary-type 5A (first-time graduates), from 20% in 1995 to 39-40% in 2010, with a progressive increase. EU21 average had the same trend too: from 18 % in 1995 to 40 % in 2008 and 2010. Iceland obtained the highest growth, even tripling the percentage, from 20 % in 1995 to 56 % in 2005, 57 % in 2008, a slight decline in 2009 (51 %), but another significant rising, 60 %, in 2010. Poland achieved an high percentage too, from 34 % in 2000 to 55 % in 2010, with a progressive increase. For Italy, instead, we can observe a particular way: first available data were for 2000, with a percentage of 19 %, doubled, to 41 %, in 2005, but with a decrease, about 33-32 % in 2008, 2009 and 2010. About tertiary-type 5B (first-time graduates), OECD average had almost the same way, with a percentage of nearly 10 % from 1995 to 2010, so as EU21, with a percentage of 8 % from 1995 to 2010. New Zealand got the highest development, form 12 % in 1995 to 26 % in 2010. First available data for Italy were in 2005, with a percentage of 1 %, the same for 2010 too.

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Source: OECD, EAG 2012

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Besides in Table A7.1 a, we wish to point out the data of the indicator “Employment rates, by educational attainment and gender (2010) (Number of 25-64 year-olds in employment as a percentage of the population aged 2564)� and in a particular way the positive relation between education and employment. Data showed below are very interesting because they overall confirm that employment rates increase with increasing educational level attainment, both men and women, although women rates are generally lower than men.

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Source: OECD, EAG 2012

Another interesting and innovative indicator is about “Additional years of life expectancy at age 30, by level of educational attainment and gender (2010)�, as shown in Table A11.1. We can observe that data, overall, confirm additional years of life expectancy at age 30 progressively rising with higher level of educational attainEDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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ment. Higher additional years are expected for women than men. Italy, at least for this indicator, reached a placement above the OECD average and European Union 21 average.

Source: OECD, EAG 2012

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From the data shown above, we can briefly note that Italy, in many indicators, ranked far below the OECD average and European Union average. So, pedagogists, policy makers, all stakeholders will be confronted a lot to do, many challenges in order to improve both processes and outcomes. In conclusion, these authoritative contributions and studies have allowed us to establish and to re-launch the right to the prospect of lifelong learning as essential to the quality of life of people and in order to legitimize stable groundwork for a pedagogy of lifelong learning and education and to develop it. A way that combines the different places and times of the path of human growth and education and that looks at the person and at his/her realization that always hides behind any disadvantage, discomfort or disability. Certainly one of the places to be re-evaluated are definitely the Universities, which can and must become an important and strategic site for lifelong education for all, so even (or, perhaps, especially) for people with disabilities. Authors’ Presentations: Gabriella Aleandri is Associate Professor at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata, Italy. Her main fields of interest and research are: lifelong and lifewide learning and education, adult education, educational policies, social education. Catia Giaconi is Assistant Professor at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata, Italy. His main fields of interest and research are special need and education, special need and adult education.

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The disappearance of childhood and the lack of desire. Rethinking intergenerational education between pedagogy and psychoanalysis

STEFANIA ULIVIERI STIOZZI Abstract: How can education and the transmission of meaning and values from one generation to another be rethought in the face of the lack of desire to educate? From a pedagogical/ critical point of view, some symptoms of this loss in terms of education means facing widespread hardening of desire which effects bonds. They become rarer and utilitarian in nature. With a dwindling educational plan, adults demonstrate difficulty in guiding the younger generations towards other possible worlds, and more generally to deal with an atmosphere of resignation and cultural conservatism that blocks the impulse to transcend the existing and engage first person in identifying new educational goals, stemming from the elaboration of the relationship with the legacy that comes from the past. Childhood seems like a representational universe where it is possible to see the effects of the educational decline discussed in the article, calling on pedagogical and psychological knowledge, two visions able to fruitfully dialogue in the attempt to revise dominant educational models in the search for educational and care possibilities that are able to go beyond the educational drifting of our contemporary society. Riassunto: Com’è possibile ripensare l’educazione e la trasmissione di significati e valori da una generazione all’altra a fronte della caduta del desiderio di educare? Leggere da una prospettiva pedagogico/critica alcuni sintomi di questa perdita dell’orizzonte formativo significa confrontarsi con un inaridimento diffuso del desiderio che tocca la sfera dei legami, sempre più rarefatti e soggetti a forme di scambio utilitaristico, con il venir meno di un orizzonte progettuale da parte di una generazione adulta che mostra difficoltà a se-durre le nuove generazioni verso prospettive di mondi possibili altri. Più in generale significa fare i conti con un clima di rassegnazione e di conservatorismo culturale che impedisce una spinta a trascendere l’esistente e a impegnarsi in prima persona a individuare nuove mete educative, nate da un’elaborazione del proprio rapporto con le eredità che ci provengono dal passato. L’infanzia appare come un universo rappresentazionale in cui è possibile leggere alcune tracce di questo declino dell’educativo che il testo prova a delineare, convocando il sapere pedagogico e quello psicoanalitico come due sguardi in grado di dialogare proficuamente per operare una revisione critica dei modelli educativi dominanti e di ricercare e tracciare percorsi di formazione e di cura in grado di oltrepassare le derive educative della nostra società contemporanea. Keywords: education, care, desire, childhood, parenthood.

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Lightness or levity? To begin, let us consider a phrase by P. Valery: “il faut etre leger comme l’oiseau e non comme la plume” (Valéry cit.in Calvino, 1993, 20). This poetic expression of sublime beauty which Calvino used to introduce the first of his Lezioni Americane, is a dense analogy for reading a few distintive characteristics of our “hypermodern” era (Recalcati, 2011) where the “lightness of frivolity” seems to have surpassed the “lightness of thoughtfulness”(Calvino, 1993, 20). The lightness of a feather is an evocative metaphor to express the evident rarefaction of social bonds in our time, the lack of taking responsibility for a world project on the part of a generation of adults whose behavior alternates between casual or ruthless cynicism and narcissism characterized by ostentation and the donning of a social mask which does not correspond to inner experience, fluid, superficial personalities with almost no depth, with such uncertain and poor identities in terms of self-awareness that they seem impermeable to change, refractory when they make contact or in relationships, devoid of projects and investments. Men and women “without the unconscious” (Recalcati, 2011) who reflect the opacity of a saturated world overrun by merchandise, where objects are consumed and reign supreme over the imagination, where we see the multiplication of induced needs which govern and make ancestral fears mute. This market economy manipulates more and more the drives of individuals, expert answers that enhance, rather than overpower, the leak of needs (Phillips, 2003). It is the oral economy of compulsive hunger, the spasmodic need and the alienating euphoric dizziness: “the world is a huge object for our appetites, a giant apple, a huge bottle, an enormous breast; we are new-born infants who wait eternally, full of hope and never satisfied” (Fromm, 2011,31). For some time, psychoanalysis has denounced the emergence of childishness, as the distinctive characteristic of a generation of adults unable to take the reins of their lives. They have abdicated their task of educating and investing in the project for a “different” world, complaining of feeling disoriented and resigned. Pedagogy and its authoritative role in outlining hypotheses to get through this current moment of political, cultural and ethical crisis has undergone radical soul-searching. The lightness of a bird is what we’re looking for, to weave this text together, wondering what are the reasons for this fall from desire and to intercept other, educationally feasible alternatives. Calvino had a plan for “treatment” which could be of RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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great interest to those in the field of education, represented by the desire to construct a poietic and poetic vision aimed at going beyond the evils of the world. The levity of flight seems to be an effective counter-measure against this wide-spread rarefaction of desire, since this metaphor concentrates its motivational, relational and planning power. The disappearance of desire can be interpreted as a multi-faceted crisis which expresses the difficulty of living in the horizon of desire and emptiness, of hearing the call to exercise one’s creative and transformational power, experiencing emptiness and absence as creative conditions necessary for planning a different future and recognizing the need for bonds with other people.

Children of families, children of desire We consider childhood and desire to be important indicators for analyzing the crisis of educational models in Western society. In contrast to an apparent transparency that makes our world hyper-visible, the critical eye of a pedagogy is aimed at singling out new educational aims, showing us unknown spaces. Childhood, deformed and made perverse by the media, unnatural and subjected to late-capitalist economics, bends the needs of the adult generation who are increasingly more unaware of their educational responsibility. This is one of the great pedagogical questions of our time. It is obvious that the death of the child is the other face of the death of the father, seen in the disappearance and decline of this cultural regulator. It is a matrix of a symbolic bond full of tradition. If, from the point of view of modern education, it was the father who made the son and who formed his child’s profile based on his own world of values and rules, today since this vertical line of education has fallen away. Reconsidering childhood means creating a new identity for the father and rediscovering symbolic meaning in our culture through the reviving of the creative relationship between “desire and law” (Recalcati, 2011). We start from the hypothesis that nowadays the educational models and care given by parents to their children are not aimed at constructing the basis for their children’s identities to be emancipated from the parents’. Rather, parents offer tools for conforming and adaptating thanks to acritical standardization regarding the cultures and the values upheld by our society. This in turn causes difficulty in adults not so much to desire having children as to desire having a relationship with their children that EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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is exposed to the risk and the perturbing adventure of recognition, never fully introduced, but always to recreate and re-establish. Desire is one of the most complicated issues for humans, to the extent that the drive to escape from it is stronger than the one to face it. Avoiding thinking about desire is like fleeing from generosity (Phillips- Taylor, 2009, 52) and from the task of identification with the other which seems, in our time, more and more disturbing. But what is this combination of the fear of desire and the fear of generosity? Contemporary psychoanalysis offers a viewpoint full of pedagogical implications. It holds that the relationship between adult and child is not between two, but between three, where the third subject is the ghost-child of the adult which returns with its impelling need in the relationship and to which the adult has a hard time saying goodbye (Villa, 2008). Thus the family relationship is always a scenario in which there is a confrontation, a struggle, a power game that at times is difficult and dangerous, between the real child and the ghost child who is evoked in the educational encounter. The death of the family child (the ghost of the child subjected to the unconscious desire of the parents, weighed down by a blood bond) has to happen in the adult so that the child of desire can take form, able to mourn for one’s own imaginary childhood, an orphan of the pre-knowing, able to distill the heredity of one’s own origins in a new, personal way. Perhaps only this symbolic betrayal is could open up the horizon of education so that it is no longer conservative, but able to contemplate the space of alterity and for desire and for the amount of difference that substantiates it. The loss of the illusion of mutual belonging is what permits authentic acknowledgement between parents and children, as can be seen in stories: Pinocchio at the start is a puppet whose death is accompanied by many mishaps which touch the father and son in the same way until the final rediscovery and birth of the flesh-and-blood child. Father and son lose each other and do not acknowledge each other over and over again, they are disappointed, they flee, and wander and stay far from one another in ways which seem overwhelming. Stories turn this passing of ghosts into metaphors, like myths do. There is the serious, heavy child who is burdened by the blood legacy and there is the light, air-borne child, able to reinterpret tradition with joy and creativity; this is the light child in the Calvinian sense, who transformed the quality of his own history and created a precious fabric to imprint the traces of his desire, beyond the desire of others, which also brings him to recognize his desire for the other. RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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This is the thin line dividing the economy of need from that of desire, an area where we can see many invisible pathologies which constellate the relationships between parents and children in our society. The fear of not being loved by one’s children or the magic expectation that our children will realize the ideals of a good world are only two among many symptoms that allude to this mirrored relationship between generations and the difficulty in removing the emphasis from compelling “need”.

The child in the register of “the double” To develop this hypothesis we needed to investigate today’s adult ideas about childhood. From a critical and clinical pedagogical point of view (Massa 1992; Rezzara, 2004), we will consider a few recursive educational models aimed at analyzing generalized malaise in order to better understand the effects and possible relapses on the formation of tomorrow’s adults. The difficulty of talking about childhood stems from its etymological root: “’infans is he who does not know how or cannot speak”. This ex-negativo definition of the child is interesting, defined starting from a structural lack, an emptiness. It is clear how childhood is a social construct which has been modified over the centuries and responds to the need of the adult to fill up a word with an experience incapable of expressing itself in an autonomous way. In this sense, childhood has always been a “hidden” experience (Becchi, 1979-1981; Covato - Ulivieri 2006), but in our society it seems to have been submerged, despite the past 70 years of specialized culture which has produced a vast body of literature. Postman wrote: «I want to begin by calling attention to the fact that children have virtually disappeared from mass-media, especially television (…). Obviously, I don’t mean that they can’t be seen physically, but they are portrayed as miniature adults like in the 14th or 14th centuries» (Postman,1984, 51). Childhood was not recognized in the Middle Ages, the image of the innocent and pure child or the child marked by the original sin, a creature to be redeemed through education, were the two faces of the cultural imagery which did not give dignity to the “real” child, only relating to its simulacrum (Aries, 2002). Something similar happens in our era when “adulterated” childhood (Villa, 2008) corresponds to an idealization of children, idolized as alter egos which are receptacles for the narcissistic projections of adults (Korff Sausse, 2007). Acclaimed, but at what price? In fact violence is always the EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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dark side of idealization; today childhood seems to be the result of the lack of desire to educate and adults’ difficulty in recognizing children as other then the self. Instead of creative conflict and relational recognition, movements active in children from their earliest years, the desire for autonomy and independence, we see forms of contiguity that are more disturbing and violent between the world of adults and that of children, a worrisome oscillation between borders, where “parentalized” children (Ibidem) correspond to adults who manifest their parental incompetence, revealing evident personal fragilities and a worrisome amnesia regarding their own childhood experiences. Education as an intentional device is in crisis (Massa, 1987; Cambi, 2006). Its mandate and statute of experience able to make the future part of the present through incisive action on the child in crisis today. The dimension of rupture, discard, of fecund influence which every educational project creates, radically transforming the legacy of the past, is in crisis. The maxim from Émile: «Émile knows but few things, but what he knows is truly his» (Rousseau, 1966) today can be easily paraphrased as Émile knows too much but the things he knows are not really his, they are induced, his knowledge not matured in an original, self-directed relationship with the environment, but constructed based on the relationship with a social, cultural and affective context which operates strong pressure to develop adapted forms of identity. In Emile, if Rousseau constructs a vision of childhood to reason “ex negativo” on the conditions for remedying the evils of modern progress, today liquidating childhood autonomy is at the root of the pedagogical crisis. Making the face of the child disappear is accepting the death of desire as a structure able to create radical generational change. Desire, in fact, is an infant in relation to how pre-subjective it is, in desire the form of action of the subject it is always in the future, in desire the subject is constantly brought to the limit of his identity, torn from his name, pushed towards his dissolution. Rousseau’s thought is no longer current, since Emile is a meditation on the conditions through which desire in childhood is at the root of a u-topic philosophy aimed at prefiguring other forms of possible worlds. His pedagogical project is more in the method than in the content, and today it is still necessary to question the method. He shows a world as if (Antonacci, Cappa, 2001) to reason about the extreme conditions which oversee an educational action. Today adults have a hard time personifying this fictional dimension when they exercise their educational role, their ability to play the game, mindful of the acted scripts RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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in their own lives. Without the necessary symbolic mediations, the filter of this vision is upset and we see the sweetened image of the child-trinket, or the demonized child-demon (Hillman, 1997,114). Today the existential dimension of “authentic” care (Heidegger,1976; Fadda,1997; Palmieri, 2000) is in crisis, because originally it lived in the shadow of care as striving for an authentic existence, elaborating the experience of mortality blanketing life in a desirous planning. Today care, which has lost its desirous planning tension, seems like a remedy or a consolatory strategy for the widespread malaise in a society which has lost its fundamental reference points. If the death of the law of the father has made Western society an orphan of the strong orientational criteria and the logic of “entitlement” has become the criterion that governs the collective imagination (Recalcati, 2009; Fiumanò, 2010), care models have also bent to the need to protect this drifting of “childishness” in adults which saves then from the job of elaborating the legacy of their own history and finding possible ways to overcome it.

Childishness and the disappearance of childhood Psychoanalytical literature has denounced the drifting of “childishness” (Guignard, 1996) as a worrisome characteristic of the modern-day world of adults and which pedagogical effects in crucial ways. Having lost the role of guaranteeing passing down the legacy of the past and ferrying the younger generations towards other possible worlds, the adults of today seem to use the younger generation for satisfying their own search for hedonistic pleasure. This is radical when considering the difference between childhood and childishness. If childhood is the fundamental, prehistoric phase of life, when the basis is placed for an education able to promote generational interchanging through the exercise of desire and relational exchange between adults, adult memory also contains the origins of its formation. Childishness is that which in adults has not taken shape, it is a need which pushes in the absence of a symbolization1. Examples of childishness are experiences without limits, striving for eternal youth, the mother who goes to the plastic surgeon and gives him photos of her adolescent daughter so that she can be “touched up” just so. If a child at play is a child involved in a serious creative experience where invention and industriousness unite to create the foundation for EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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that transitional area which will later be the source, as an adult, of an unending supply of thoughts and affections marked by autonomy and originality, how can we interpret this affirmation (Winnicott, 1974) in light of the abundance of the toys which fill up children’s rooms today? It is evident that this reparatory dimension is intended to fill up the emptiness of adult desire through uncontrolled buying. Numerous articles have been published about how European parents have lost the ability to play and engage in authentic contact with the origins of their childhoods. Childishness as an unconscious way to express the social dimension, to mask the poverty of the adults’ childhood experiences which makes them psychologically fragile. Playing is not fiddling around with more and more sophisticated objects or using identity crutches to reach artificial and externalized youthfulness; playing is a “serious” experience which gives life to something unique, it is an original creation. What lack of virtuous experience does a child have if the privileged channel for exchange and affective exchange with his parents is to be surrounded by toys which are meant to mute his authentic desire? Submerged by an abundance of goods, which saturate every experience of frustration, being limited in his desire for contact, relationships, discovery, he is impeded in that vital suffering which develops through learning to accept the experience of missing and waiting. This is not only a serious risk for newly-forming personalities, and the problem of modulating needs and satisfaction which inhibits the structuring of a healthy desire, but it is a more complex risk which touches the generational bond, parent-child communication, more and more allied to ward off any extreme experience, separation, loss of the identifying illusion. Care, under these conditions, is the practice of looking after and satisfying needs, but above all it is an unconscious attempt to preserve the adult’s dream of his own childhood, through the overprotection of their children. This has nothing to do with making contact with one’s own historical roots, rather it is a way to deny them. This mask avoids and hides what really happened, only in its truth is it possible to leave a legacy behind. It is as if parents today allow themselves the luxury of returning to being children through their children, but they load them with the weight of exercising this extreme function by themselves which in the past was guaranteed by rules which sanctified the generational differences and passages. This is visible in the clear and often dramatic way that symbolic bonds are lost which once made the family an allied of the school and its educational RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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mandate. Today parents are busy defending their children, and through their children, themselves, from a school which is experienced as censorial and normative, and they denounce the loss of any relationship with the symbolic horizon of education.

“Savoured” children Talking about care today in intergenerational relationships, means coming to terms with a fading generational boundary that makes parents and children united by similar imaginary constellations. Children are the receptacles of the projections of happiness, desire, future parents do not know how to invest elsewhere. Once again, Guignard indicates the forms that this educational drifting takes on where the primitive mind is in power. Primitive mentality alludes to that level of archaic thinking in the collective unconscious of a group and society in historical moments dealing with a state of severe threat. Today the threat is pervasive because the future seems more than ever clouded and burdened with considerable anxiety. The idealization of a mythical past and the tendency to focus on survival rather than to create a life plan seems the most obvious symptoms of an epochal collective malaise. The emblem of this serious decline is: “the father who arrives at a supermarket checkout accompanied by an excited child of four, arms and cart full of toys topped with a pizza for two people, and asks his son complacently: «Is this ok? Did you choose everything you wanted?»” (Guignard, 2010, 906). The scene seems like a scary Altman movie, taking us into an atmosphere of anonymity and shows us, from another angle, the fall of the generational divide, the symbolic boundary which delimited, up to few years ago, the growth processes of children. The abundance of goods engulfs the two partners in a virtual satisfaction which only apparently saturates their relationship, so cluttered that there are no points for either escape or desire. The parent treats the child as his alter ego, attributing an experience full of pleasure. The crucial question «did you choose everything you wanted?» is the apex of this generational malaise. Who is this parent speaking to? Certainly not to his flesh-and-blood son who cannot exhaust his desirous tension in buying so much. The child may ask his father, as all children have the right to do, to teach him, through his own life stories, what criteria to use to make choices. The father is speaking to himself as a child, creating EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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an experience of full satisfaction and abdicating the symbolic function that would require inner work of distinguishing between his own desires and failings. The scene shows father and son immersed in the same sensory experience of dizziness, of virtual satisfaction that makes it impossible to focus on the limit, on the space between what would make their relationship rich, joyous, transformative. This lack of symbolic boundaries can be seen on many levels: many parents in family planning clinics admitted to sleeping with their children well past their young age, talking about the pleasure of closeness but actually confessing their atrophy of desire, including sexual desire, which often found an easy excuse due to the presence of the child. In this claustrophobic closeness it is easy to wonder: who is taking care of whom? What authentic care can exist in the absence of a symbolic limit that structures the relationship between generations? Birth planning is also part of this loss of the future which signs our era. We are not referring to artificial insemination techniques, but to the desire to control births, to insert them into a life plan where they fill up a defined space which is circumscribed, like work or other planned activities. Often children become identity crutches meant to fill up a structural void, taking the place of a desire unable to be excited. A child made not as an ambivalent expression of the desire for freedom, but to avoid it, the maximum expression of fear of the future that characterizes this era of “sad passions” (Bensayag-Schmit, 2004). The evident reference is to the clonic society (Baudrillard,1976), centered on the double. If the philosopher Arendt in the 60s interpreted the radical crisis of education in the USA as a political attempt to eliminate the difference between the generations (Arendt,1991), Renaut denounced the risks of a regime of equality that while appearing to be one of the main goals of modern society, (children and adults enjoying the same rights), he revealed also thick shadows that are projected onto our time. He wondered: «how can we conceive of the educational relationship in a society and culture crossed by an unreal dynamic of equality which makes the other seem like another me, as an equal?». (Renaut, 2003,77). What does childhood in a double register mean, from a pedagogical point of view? It means educating a child charged with the weight of being the direction-pointer for adult desire, on an imaginary level. The film “Caro Diario” by Nanni Moretti (1993), talks about the standardization of roles, this educational displacement on the part of the parents and the loss of the symbolic horizon. The most emblematic scene is when the children control RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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the telephone and enslave the adults by directing the conversation entirely. The child, who apparently is in charge, in reality exercises a false power of the one who is excluded from the relational game, he simply simulates it and has a dominant relationship with mere objects (the telephone). The adult is complacent in taking on the role of the child, as if to protect his own insecurity as a parent and accepts the grotesque, immature aping, unable to stop the game and limit the solipsistic and repetitive monologue. In this sense the drifting of the omnipotence of thought seems to pass from parent to child and from child to parent in a repetitive and circular way, with high risk for the child who needs to be torn from absolute omnipotence in order to develop a creative and productive relationship with the world. What can we say about this idealization of childhood? Phillips and Taylor suggest that children are the elected ones, chosen by adults, to talk about a world that does not exist, mythologized children who respond to a drop in tension and are considered to represent a mixture of moral virtues while regarding public action, adults act out a script of vices, accomplices of a relational barbarianism that sometimes seems like contempt, sometimes indifference, and more generally a serious lack of respect towards others. The authors add: “Today it is as if parents were more dependent on their children than children are on their parents, as though what remains of the past two centuries of researching children is nothing but a world where parents are afraid of children, their vulnerability, dependency, frustration, anger, a world where parents watch their children as they pursue so-called self-esteem, to give their lives a purpose and a point of reference� (Phillips-Taylor, 2009, 56). It seems that childhood today, so revered and at the same time so misunderstood, shows all signs of adulthood that exhibits great weakness and a worrisome lack of personal, ethical and social and identity. Only thanks to reasonable loving, benevolent care, relieved of that passionate element (the myth of the child) that seems to be one of the main traits in the relationship between the generations of today, can a good, respectful patient and farsighted link be generated over time, where it is possible to grow together thanks to the recognition of differences and tolerance of each other’s disillusionment. When Winnicott talked about the good enough mother (Winnicott, 2002), he alluded to this threshold, which is rather wide, of maternal behaviors that go beyond the exercise of traumatic and excessively traumatic behaviors. Today the risk seems to be reformulated in terms of the parents (also fathers) who are excessively good, inspired by the myth of perfection, a really traumatic risk for the new generations. It EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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is no longer the Millerian talented child (Miller, 1996-Riva,1993) but the child king (Korff Sausse, 2007), the result of adult imagination, who wants a more and more competent, skilled adapted child, one who becomes an adult early on but is protected at all costs, who enables parents to nurture the dream of a perfect childhood and the negation of their own weaknesses and missed expectations. This drop in the tension towards self-training in adults, generalized by their dried up behavioral, communicative and planning repertoire, their frequent comments of how the family is the place main place where suffering linked to the lack of a culture of listening to the self and the other emerges. Pedagogy as well as therapy should be held responsible for offering responses and making interventions. It is necessary, now more than ever, to plan for training in «the knowledge of feelings» (Iori, 2005) for parents, through testimonies (Corsi, 2003) which enables parent’s personal histories to find creative connections with their own pasts and their children’s histories, to deny the words of a colleague, working with parents in a school, who wondered: «why with parents is it impossible to talk about their childhoods apart from feeling like it is almost too brusque, painful, unbearable?». Author’s Presentation: Stefania Ulivieri Stiozzi is a researcher at the Università di Milano-Bicocca where she teaches Teorie e modelli della consulenza pedagogica. Her research focuses on issues relating to the relationship between pedagogy and psychoanalysis, the relationship and teacher training, and self-training and educational processes in adulthood, as well as the esthetic dimensions of the pedagogical setting.

Note 1

«A strange mix the historical and unhistorical, a crucible of primal fantasies and experience the sense-drive stored in the form of memory traces, the child can be regarded as the place of psychological emergencies and early, unrepresentable drives».

Bibliography Antonacci, F., Cappa, F. (a cura di) (2001), Riccardo Massa. Lezioni su la peste, il teatro,l’educazione, Milano, Angeli.

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Stefania Ulivieri Stiozzi

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Interdisciplinary perspectives for pedagogical research: from selection to education of new teacher1

GABRIELLA ALEANDRI, LUCA GIROTTI, GIUSEPPE LANEVE

Abstract: In Italy, as in any occidental “advanced” country, the theme/problem of the selection and training of teachers is one of the focus of political and pedagogical debate. It is also one of the most popular and interesting “strands” of pedagogical and educational research. The aim of this paper is to reflect on issues and problems related to the selection and the education of future teachers from the perspective of their university training, starting from consideration of legislative and regulatory aspects and providing some analyses moving from, even considering the early stage of data collection, empirical evidence from the admission test. So, the following reflections are to address – although, in summary – legislative aspects, critical analysis, pedagogical perspectives of admission test for primary teacher degree. We are pursuing a research, that will be illustrated in the following pages – at the present time, we warn again, in the initial phase –, which takes place starting to focus on University of Macerata and it is part of at least a five-year survey project, which plans, as its object of study, the selection of future teachers of kindergarten and primary, put in relation to school curriculum, development of university training, access/entrance to/in the teaching profession, with attention to both legislative developments and pedagogical perspectives. The objective is proposing to experience evaluations for college students – and future teachers – in line with the Dublin descriptors and in a clear and stable legal framework. At the same time, we consider it is necessary to study the relevant legislation – and its interpretation and evolution – because university education and training cannot avoid, first of all, the issue of rules of access to the teaching profession. These issues were presented and discussed at an international conference. The positive results of the admission tests and the excellent outcomes of examinations of the first year of graduation course at University of Macerata led to reflect about pedagogical and educational aspects of the teacher-student relationship and university teaching. So, in the last part, the paper draws attention to the need to think/discuss – in pedagogical perspective – about the failure in studies, to avoid problems during the studies and provide adequate guidance and tutoring. 1

This paper is the result of a shared plan and analysis work; nevertheless, paragraphs 1, 2, 3, 7 are to be attributed to G. Aleandri, paragraph 4 to G. Laneve, paragraphs 5, 6 to L. Girotti.

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Gabriella Aleandri, Luca Girotti, Giuseppe Laneve

Riassunto: In Italia, come in ogni altro paese occidentale “avanzato”, il tema / problema della selezione e della formazione degli insegnanti è uno dei focus più rilevanti nel dibattito politico e pedagogico. È anche uno dei più popolari e interessanti “filoni” della ricerca pedagogica ed educativa. Uno degli obiettivi di questo lavoro è quello di riflettere su temi e problemi legati alla selezione e alla formazione dei futuri insegnanti dal punto di vista della loro formazione universitaria, muovendoci dalla considerazione degli aspetti legislativi e normativi e fornendo alcune analisi a partire, anche in considerazione del fatto che ci troviamo nella fase iniziale della raccolta dei dati, dall’evidenza empirica dalla prova di ammissione. Così, le riflessioni che seguiranno riguarderanno – anche se, in sintesi – gli aspetti legislativi, l’analisi critica del nuovo percorso universitario per la formazione dei nuovi insegnanti di scuola primaria, a partire proprio dai di test di ammissione, nonché alcune prospettive pedagogiche. Nelle pagine seguenti illustreremo una ricerca che stiamo conducendo – al momento attuale, ripetiamo, nella fase iniziale –, che si snoda iniziando a concentrarsi sull’Università di Macerata e fa parte di un progetto che durerà almeno cinque anni, che prevede, come oggetto di studio, la selezione dei futuri docenti di scuola dell’infanzia e primaria, messi in relazione al curriculum formativo, allo svolgersi della formazione universitaria, all’accesso / ingresso / nella professione docente, con attenzione sia agli sviluppi legislativi sia a possibili prospettive pedagogiche. L’obiettivo si propone di sperimentare le valutazioni e i risultati didattico-formativi degli studenti universitari – e futuri insegnanti –, in linea con i descrittori di Dublino e in un chiaro e stabile quadro giuridico. Allo stesso tempo, riteniamo sia necessario studiare la normativa pertinente – e la sua interpretazione e l’evoluzione – perché l’istruzione e la formazione universitaria non possono evitare, in primo luogo, la questione delle norme di accesso alla professione di insegnante. Per inciso, precisiamo che l’impostazione generale del progetto e i primissimi dati della ricerca sono stati accolti, presentati e discussi in una conferenza internazionale. I risultati decisamente positivi dei test di ingresso e gli esiti eccellenti negli esami del primo anno di corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università di Macerata hanno portato a riflettere su alcuni aspetti pedagogici ed educativi della relazione insegnante-studente e dell’insegnamento universitario. Così, nella parte finale, si richiama l’attenzione sulla necessità di pensare / discutere – in prospettiva pedagogica – circa i fallimenti/abbandoni degli studi, per evitare problemi, cercando di prevenirli, nel corso degli studi e per prospettare e fornire forme di orientamento e tutoraggio adeguate e efficaci. Keywords: Pedagogical research, Admission test, Teacher education, Regulation on teaching, Failure in studies.

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1. Introduction Education, training, growth and development of new generations represent, nowadays more than ever, one of the most considerable, complex and strategic aims which each civilized country should achieve, especially at a time like the present, characterized, worldwide, by globalized and interconnected economies, advanced technology, rapid changes. For this purpose, even by analyzing recent evidences provided by surveys conducted nationally and internationally, which show the need to increase at all levels both the spread of qualifications obtained and the quality of the outcomes of learning, it is considered crucial to point out and invest in the teaching profession. Jacques Delors himself, in his final report written about education for UNESCO (from 1993, UNESCO set up an independent International Commission on Education for the 21st century) in 1996, had already asserted: «It is the teacher’s responsibility to impart to the pupil the knowledge that humankind has acquired about itself and about nature, and the essence of human creativity and inventiveness. Education should therefore constantly be adapting to changes in society, and also pass on the attainments, foundations and benefits of human experience. […] The importance of the teacher’s role as promoter of change, comprehension and mutual tolerance, has never been so evident as today. It is probably destined to become even more crucial in the 21st century» (Delors, 1996a). The quality of teaching, moreover, involves two issues that are very important for European Union and its member States: achieving high schooling degrees and equity. It is basic for the Union’s objectives to adopt a Europe-wide approach and improve the quality of Teacher Education so that faster progress can be achieved towards meeting common goals. Both International Academy of Education’s (IEA) (IEA-UNESCO, 2008) and OECD’s Teaching and Learning International Survey (TALIS) (EU, 2010) data, indeed, showed that teachers effective professional learning, education and training – initial and continuing in a lifelong perspective – are positively related and have positive implications and influences on reported students outcomes. Four key evidence-based understandings and issues are: EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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«1. Notwithstanding the influence of factors such as socio-economic status, home, and community, student learning is strongly influenced by what and how teachers teach. 2. Teaching is a complex activity. Teachers’ moment-by-moment decisions about lessons content and process are shaped by multiple factors, not just the agendas of those looking for changes in practice. Such factors include teachers’ knowledge and their beliefs about what is important to teach, how students learn, and how to manage student behaviour and meet external demands. 3. It is important to set up conditions that are responsive to the ways in which teachers learn. A recent overview of the research identified the following as important for encouraging learning: engaging learners’ prior conceptions about how the world works; developing deep factual and conceptual knowledge, organized into frameworks that facilitate retrieval and application; and promoting metacognitive and self-regulatory processes that help learners define goals and then monitor their progress towards them. 4. Professional learning is strongly shaped by the context in which the teacher practices. This is usually the classroom, which, in turn, is strongly influenced by the wider school culture and the community and society in which the school is situated. Teachers’ daily experiences in their practice context shape their understandings, and their understandings shape their experiences» (IEA-UNESCO, 2008, 6). As illustrated above, professional teaching is both a very responsible and an actual complex job engagement, with social and economical implications too. Despite this, in many European countries (in Italy too) there is a widespread perception that the reputation of teaching as an aspire and respectable profession has declined over time. In the following pages, we will consider the most relevant innovations introduced by the recent reform of initial training of teacher of kindergarten and primary (Decree of Italian Ministry of Education, University and Research April 4th, 2011, n. 139, and Decree of Italian Ministry of Education, University and Research September 10th 2010, n. 249, Regolamento concernente: “formazione iniziale degli insegnanti”). Furthermore, we will present some initial considerations concerning a research we are pursuing, according to currently available data about the first admission test to new five-year single cycle degree course in Primary RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Education, held at all Italian universities on October 10th, 2011 and on October 15th, 2012. We will also present some first outcomes in some curricular exams achieved by students who have passed the admission test and who have currently attended the first year of degree course at University of Macerata, in an attempt to draw some considerations about. One of the aims is to propose to experience evaluations for college students – and future teachers – according to the Dublin descriptors and in a clear and stable legal framework. At the same time, it is necessary to study the relevant legislation – and its interpretation and evolution – because university training cannot avoid the issue of rules of access to the teaching profession.

2. The European context and recent instances The European Council held at Lisbon in March 2000 underlined that citizens are the greatest asset of Europe and that investment in human resources will be crucial both for Europe’s place and role in the knowledgebased economy and to avoid that this emerging new economy does not compound existing social problems. The Barcelona Council in March 2002 adopted the “Education and Training 2010” work programme (ET 2010), which set specific goals for improvement in Member States’ education and training systems. Among all, it point out that teachers are strategic to the process of renewing education and training systems. So, it suggested to identify which skills, competences and qualifications teachers and trainers should have; to provide the conditions to adequately support them, including through initial and continuing professional development; and to address recruitment issues about attractiveness into the profession careers. The Council in March 2006 focused on that Education and training are important factors “to develop the EU’s long-term potential for competitiveness as well as for social cohesion”; it added that “Reforms must also be stepped up to ensure high quality education systems which are both efficient and equitable”. Nevertheless, the past efforts have been inadequate to reduce drop-out, to increase the number of young people who completed upper-secondary school level or to decrease the number of 15-year-olds with low reading skills. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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EU member States agree that the quality of teaching is a key factor to increase their competitiveness in the globalized and Knowledge-based economies. Moreover, several surveys show that the quality of teaching is positively correlated to students performances. Therefore, one of the most relevant aim for each EU member State is to improve the quality of initial and continuing teacher education and training, in the perspective of Education and Training 2010 Programme. Professional teachers will be able to equip their students with skills in self-directed learning, in lifelong and lifewide learning, in an effective use of new technologies, in cooperation, tolerance, social cohesion and in positive relationships in many different cultural and linguistic backgrounds or with disadvantaged people. Teacher education policies, moreover, are strictly related to other EU key-matter policies, such as: – Social policy – Innovation policy – Research policy – Enterprise policy – The Commission’s New Framework Strategy for Multilingualism – Directive 2005/36/EC on the recognition of professional qualifications (which provides the legal framework to improve the professional mobility of teachers). In 2006, teachers (full-time equivalent) were over 6 million people in Europe. As we argued previously, professional teachers are raising an expanding important role within today’s societies, also because they are called to encourage and support students in their process of developing their capacity and potential for growth and welfare both private and social as active, participatory and effective democratic citizens and workers. In today’s complex knowledge societies, in continuous and increasingly sudden changes, in fact, teachers have the task of training young people so they know how to cope and manage with new economic, cultural and social processes and facilitates the learning of disciplinary knowledge; teachers should also encourage processes for personal autonomy and internalization of a habit towards lifelong and lifewide learning, collaboration, cohesion and mutual solidarity. Teachers themselves, on the other hand, are called to experience their professionalism by practicing effectively a culture of reflection, through research and systematic personal efforts to improve professional developRI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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ment throughout their working life: to achieve these objectives, education systems for teachers education and training are the key institutions to provide such opportunities for achievement. Nevertheless, many recent collected data, such as in OECD surveys about teachers highlight gaps in teaching competences and in continuing updating learning process. Each EU member State is responsible for organization and content of its education systems, while the European Union plays a supporting role (i.e. Comenius and Erasmus Programs, Leonardo da Vinci and Lifelong Learning Program 2007-2013, or European Social Fund). Furthermore:

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Gabriella Aleandri, Luca Girotti, Giuseppe Laneve

EN

C 302/6

Official Journal of the European Union

12.12.2009

Council conclusions of 26 November 2009 on the professional development of teachers and school leaders (2009/C 302/04) THE COUNCIL OF THE EUROPEAN UNION,

HAVING REGARD to:

1. The Lisbon European Council conclusions of 23 and 24 March 2000, which emphasised that investing in people was crucial to Europe’s place in the knowledge economy, and which called upon Member States to take steps to remove obstacles to teachers’ mobility and to attract high-quality teachers (1).

2. Objective 1.1 of the ‘Education & Training 2010’ work programme, which highlights the importance of attracting to the teaching profession, and retaining, well-qualified and motivated people, of identifying the skills that teachers require to meet the changing needs of society, of providing conditions to support teachers through initial and in-service training, and of attracting recruits to teaching and training who have professional experience in other fields (2).

3. The Council Resolution of 27 June 2002 on lifelong learning, which invited the Member States to improve the education and training of teachers involved in lifelong learning so that they acquire the necessary skills for the knowledge society (3).

4. The joint interim report of the Council and the Commission of 26 February 2004 on progress towards the Lisbon objectives in the fields of education and training (4), which gave priority to the development of common European principles for the competences and qualifications needed by teachers in order to fulfil their changing role in the knowledge society (5).

5. The joint interim report of the Council and the Commission of 23 February 2006 on the implementation of the ‘Education & Training 2010’ work programme, which emphasised that investment in the training of teachers and trainers and the strengthening of leadership for education and training institutions are crucial to improving the efficiency of education and training systems (6). (1) Improving education and training for teachers and trainers — SN 100/1/00 REV 1. (2) OJ C 142, 14.6.2002. (3) OJ C 163, 9.7.2002. (4) Doc. 6905/04. (5) Annexes I and II to doc. 12414/07 ADD 1. (6) OJ C 79, 1.4.2006.

6. The conclusions of the Council and the Representatives of the Governments of the Member States, meeting within the Council, of 14 November 2006 on efficiency and equity in education and training, which stated that the motivation, skills and competences of teachers, trainers, other teaching staff and guidance and welfare services, as well as the quality of school leadership, are key factors in achieving high quality learning outcomes, and that the efforts of teaching staff should be supported by continuous profes­ sional development.

7. The conclusions of the Council and the Representatives of the Governments of the Member States, meeting within the Council, of 14 November 2006 on the future priorities for enhanced European cooperation on vocational education and training, which emphasised the need for highly qualified teachers who undertake continuous professional development (7).

8. Decision No 1720/2006/EC of the European Parliament and of the Council of 15 November 2006 establishing an action programme in the field of lifelong learning, which includes the specific objective of enhancing the quality and European dimension of teacher education, and which supports mobility for teachers and other educational staff (8).

9. The Recommendation of the European Parliament and of the Council of 18 December 2006 on key competences for lifelong learning (9), which sets out the knowledge, skills and attitudes which individuals need for personal fulfilment and development, active citizenship, social inclusion and employment, and which, given their transversal nature, imply a greater degree of collaboration and teamwork between teachers, as well as an approach to teaching that goes beyond traditional subject boundaries.

10. The Council conclusions of 25 May 2007 on a coherent framework of indicators and benchmarks for monitoring progress towards the Lisbon objectives in education and training, which called for work to be pursued on developing an indicator on the professional development of teachers and trainers (10).

11. The conclusions of the Council and of the Representatives of the Governments of the Member States, meeting within the Council, of 21 November 2008 on youth mobility, (7 ) (8 ) (9 ) (10)

OJ OJ OJ OJ

C 298, 8.12.2006. L 327, 24.11.2006. L 394, 30.12.2006. C 311, 21.12.2007.

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which invited the Member States to work towards the objective of increasing the mobility of teachers, trainers and other educational staff (1).

12. The Council conclusions of 12 May 2009 on a strategic framework for European cooperation in education and training (2), which recommend the gradual expansion of mobility for teachers and trainers with a view to making periods of learning abroad the rule rather than the exception, which define as one of the priorities during the first work cycle the need to focus on the quality of initial education and early career support for new teachers, as well as on raising the quality of continuing professional development opportunities for teachers, trainers and those involved in leadership or guidance activities, and which invite the Commission to study the possibility of including teacher mobility in any future proposal for a benchmark on mobility,

and RECALLING IN PARTICULAR:

1. The conclusions of the Council and the Representatives of the Governments of the Member States, meeting within the Council, of 15 November 2007 on improving the quality of teacher education (3), in which it was agreed to endeavour to ensure that teachers are encouraged and supported throughout their careers to continue updating their knowledge, skills and competence as required, as well as to ensure that teachers with leadership functions have access to high quality training in school management and leadership.

2. The conclusions of the Council and the Representatives of the Governments of the Member States, meeting within the Council, of 21 November 2008 on preparing young people for the 21st century (4), which invited Member States — when following up the aforementioned conclusions on improving the quality of teacher education — to focus coop­ eration on enabling all beginning teachers to benefit from structured early career support programmes, on improving the supply, quality and take-up of teachers’ continuous professional development programmes and on improving the recruitment and training of school leaders,

REAFFIRMS that:

while responsibility for the organisation and content of education and training systems rests with individual Member States, cooperation at European level via the open method of coordination, together with the efficient use of Community programmes, can contribute to the development of quality education and training by supporting and complementing measures taken at national level and helping Member States to address common challenges, (1 ) (2 ) (3 ) (4 )

OJ OJ OJ OJ

C C C C

320, 119, 300, 319,

16.12.2008. 28.5.2009. 12.12.2007. 13.12.2008.

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C 302/7

RECOGNISES that:

1. The knowledge, skills and commitment of teachers (5), as well as the quality of school leadership, are the most important factors in achieving high quality educational outcomes. Good teaching and the ability to inspire all pupils to achieve their very best can have a lasting positive impact on young people’s futures. For this reason, it is essential not only to ensure that those recruited to teaching and school leadership posts are of the highest calibre and well-suited to the tasks they have to fulfil, but also to provide the highest standard of initial education and continuing professional development for teaching staff at all levels. This in turn will contribute to enhancing both the status and attractiveness of the profession.

2. Teacher education programmes, which are key factors both in preparing teachers and school leaders to carry out their responsibilities and in ensuring teachers’ and school leaders’ continuing professional development, need to be of high quality, relevant to needs and based on a well-balanced combination of solid academic research and extensive practical experience. It is essential that initial teacher education, early career support (‘induction’ (6)) and continuous professional education are treated as a coherent whole.

3. A new teacher’s first post after the completion of initial teacher education is a particularly important time in terms of his/her motivation, performance and professional devel­ opment. Newly qualified teachers can have difficulty in adjusting to real school situations and applying what they have learned during initial teacher education. Indeed, a substantial number of them ultimately abandon their teaching careers, at a high cost both to themselves and to society. There is considerable national and international research evidence to show, however, that structured programmes of support for all new teachers can reduce this phenomenon. These may also be beneficial for teachers re-entering the profession.

4. No course of initial teacher education, however excellent, can equip teachers with all the competences they will require during their careers. Demands on the teaching profession are evolving rapidly, imposing the need for new approaches. To be fully effective in teaching, and capable of adjusting to the evolving needs of learners in a world of rapid social, cultural, economic and technological change, teachers (5) For the purpose of these conclusions, the term ‘teacher’ is used to denote a person who is acknowledged as having the status of a teacher (or equivalent) according to the legislation and practice of a Member State. It covers the specific situation of teachers and trainers in vocational education and training, but does not include persons employed outside the formal systems of education and training because of the different nature and context of the tasks they undertake. 6 ( ) The term ‘induction’ is used in this text to refer to any structured programme of support that is provided to new teachers after they finish their formal programme of initial teacher education and at the outset of their first contract as a teacher in a school.

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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C 302/8

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themselves need to reflect on their own learning requirements in the context of their particular school environment, and to take greater responsibility for their own lifelong learning as a means of updating and developing their own knowledge and skills. However, there is evidence that some teachers still have too few opportunities to participate in continuous professional development programmes, while a significant number of those who do have such opportunities feel that these programmes are not always sufficiently relevant to their individual needs and the challenges they face.

5. Effective school leadership is a major factor in shaping the overall teaching and learning environment, raising aspirations and providing support for pupils, parents and staff, and thus in fostering higher achievement levels. It is therefore of key importance to ensure that school leaders have, or are able to develop, the capacities and qualities needed to assume the increasing number of tasks with which they are confronted. Equally important is ensuring that school leaders are not overburdened with administrative tasks and concentrate on essential matters, such as the quality of learning, the curriculum, pedagogical issues and staff performance, moti­ vation and development.

6. Teaching staff at all levels, including school leaders, could draw greater benefit from increased learning mobility and networking, given the important role these have played in enhancing the quality of education and training systems and institutions, as well as in making such systems and insti­ tutions more open, more outward-looking, more accessible and more efficient,

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4. In a rapidly changing world, and in keeping with the concept of lifelong learning, the education and development of teachers should be a coherent continuum spanning initial teacher education (with a strong practical component), induction and continuing professional development. In particular, efforts should be made to ensure that:

(a) all newly qualified teachers receive sufficient and effective support and guidance during the first few years of their careers;

(b) a reflective approach is promoted, whereby both newly qualified and more experienced teachers are encouraged continuously to review their work individually and collectively;

(c) all teachers receive regular feedback on their performance, together with help in identifying their professional development needs and establishing a plan to meet these;

(d) in the light of such feedback, sufficient opportunities are made available for practising teachers to update, develop and extend their competences throughout their careers, and that they are encouraged and enabled to do so;

(e) professional development programmes for teachers are relevant, tailored to needs, firmly rooted in practice and quality assured;

AGREES that:

1. While Europe’s education systems differ in many respects, they share a common need to attract and retain teaching staff and school leaders of the highest calibre in order to ensure high quality educational outcomes. Great care and attention should therefore be devoted to defining the required profile of prospective teachers and school leaders, to selecting them and preparing them to fulfil their tasks.

2. Teacher education programmes should be of high quality, evidence-based and relevant to needs. Those responsible for training teachers — and indeed for training teacher educators — should themselves have attained a high academic standard and possess solid practical experience of teaching, as well as the competences which good teaching requires. Efforts should also be made to ensure that teacher education insti­ tutions cooperate effectively, on the one hand with those conducting pedagogical research in other higher education institutions, and on the other with school leaders.

3. In view of the increasing demands placed upon them and the growing complexity of their roles, teachers need access to effective personal and professional support throughout their careers, and particularly during the time they first enter the profession.

(f) teachers and school leaders are encouraged and enabled to take advantage of the opportunities offered by exchange and mobility schemes, and networks, at both national and international level;

(g) teachers and school leaders are encouraged and enabled to participate in advanced professional training and development, to engage in pedagogical research and to take advantage of opportunities to develop their knowledge of other professional sectors.

5. Given the considerable impact which school leaders have on the overall learning environment, including staff motivation, morale and performance, teaching practices and the attitudes and aspirations of pupils and parents alike, there is a need to ensure that school leaders have sufficient opportunities to develop and maintain effective leadership skills. And since the challenges involved in leading learning communities are similar throughout Europe, school leaders could also benefit from collaborative learning with their counterparts in other Member States, notably by sharing experience and examples of good practice, and through cross-border opportunities for professional development,

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C 302/9

INVITES THE MEMBER STATES TO:

INVITES THE COMMISSION TO:

1. Take further steps to ensure that the teaching profession attracts and retains candidates of the highest calibre, and that teachers receive sufficient preparation and support to enable them to carry out their responsibilities effectively.

1. Enhance and support European policy cooperation in the areas of initial teacher education, continuous professional development and school leadership, notably by establishing platforms and peer-learning activities for the exchange of knowledge, experience and expertise among policymakers and teaching professionals.

2. Make appropriate provision for all new teachers to participate in a programme of induction offering both professional and personal support during their first years in a teaching post. 3. Provide for regular reviews of teachers’ individual profes­ sional development needs as defined on the basis of selfand/or external evaluation, and make available sufficient opportunities for continuous professional development aimed at meeting those needs and in turn ensuring a positive impact on pupils’ learning outcomes. 4. Actively promote the opportunities offered by exchange and mobility schemes at both national and international level, and support participation in such schemes, with a view to substantially increasing the numbers of teachers and school leaders who take advantage of these. 5. Review the responsibilities of — and the provision of support for — school leaders, notably with a view to lightening their administrative workload so that they focus their attention on shaping the overall teaching and learning environment and on fostering higher achievement levels. 6. Ensure that high quality provision exists to develop the knowledge, skills and attitudes required by both prospective and practising teachers, as well as to develop — for instance, by means of special programmes — the knowledge, skills and attitudes required to provide effective school leadership,

2. Present practical information for policymakers on developing structured induction programmes for all new teachers, together with examples of measures that can be taken to implement or improve such programmes. 3. Promote and support greater participation by teachers, school leaders and teacher educators in transnational mobility schemes, partnerships and projects established under Community programmes, in particular the Lifelong Learning Programme. 4. Prepare a study of the existing arrangements in Member States for selecting, recruiting and training teacher educators. 5. Provide a compendium of teacher competences in the Member States, accompanied by peer-learning activities in this field. 6. Support the further development of an evidence base on the teaching and school leadership professions, including through cooperation with international organisations. 7. Inform the Council, using existing reporting mechanisms and at the earliest suitable opportunity, about measures taken by the Member States and in the context of European coop­ eration as a follow-up to the Council conclusions of November 2007 on improving the quality of teacher education and those of November 2008 on an agenda for European cooperation on schools with regard to the profes­ sional development of teachers and school leaders.

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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Many EU member states, therefore − having become aware of their crucial role for growth and innovation of European society −, have seriously worked to revise and reform teachers education and training. «There is a need to manage increasing university enrolment in tandem with reform of secondary education. Universities would contribute to this process by diversifying what they offer: as scientific establishments and centres of learning leading to theoretical or applied research or teaching; as establishments offering professional qualifications, with courses and content tailored to the needs of the economy; as one of the main crossroads for learning throughout life; as leading partners in a form of international co-operation favouring exchanges of teachers and students and promoting the wider availability of first-class teaching through international professorships» (Delors, 1996b).

3. The research: issues and purposes Ongoing research aims to provide academic decision-makers with a useful set of informations and understandings to promote effective educational governance of the university education and training of teachers of kindergarten and primary schools, so as to transform the regulatory and institutional change in an improvement of the Italian model of teacher education and training. In this perspective, the aim is to recursively analyze closely the careers of those students who are attending new five-years single cycle of graduation courses (starting form University of Macerata) and preparing to teach in kindergarten and primary school, so that – one way – to identify and to prevent situations of failure and – on the other hand – to bring out aspects and resources to benefit the curriculum. To get those purposes, we have started to collect data on previous career of students, the performances of the screening admission test, the outcomes of examinations and evaluation of teaching by students to get a first step (and stock) of data on the reference first year of the new degree program. The data that will be presented on the following pages are still of nature and the initial state, because they are the results of the first surveys and extractions that must be necessarily followed by further investigations and insights. Nevertheless they provide some first useful indications, which confirm, for the case under consideration (University of Macerata), that was a substantial positive experience, both in terms of the performances of RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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the students and concerning the evaluation of the teaching by the students themselves. The “positive environment and mood” found in the last spent first year can not be considered as granted or acquired, and above all it urges to remember that in terms of pedagogical and educational profile – even for the historical “ills” of Italian university system (drop-out and off-course) – the pitfalls and problems are always “around the corner” and we have to try to intercept them as early as possible to find immediate and effective solutions and, ultimately and finally, to prevent them.

4. Some constitutional and legislative aspects in Italy The personalist principle is the main trait of the Italian Constitution. According to the anthropocentric conception of the Social Doctrine of the Catholic Church, the Italian Constitution is inspired by the supreme value of human being which exists before “the State”. Human being, to be fullness, expresses himself on two different – and integrated – levels: individual as well as the social one. This implies that Constitution must promote the full development of whole human being as an individual and in social groups where he can express and develop his personality. Indeed, Article 2 of Italian Constitution statues: “The Republic recognises and guarantees the inviolable rights of the person, both as an individual and in the social groups where human personality is expressed. The Republic expects that the fundamental duties of political, economic and social solidarity be fulfilled”; Article 3, after the principle of equality in formal sense, statues: “It is the duty of the Republic to remove those obstacles of an economic or social nature which constrain the freedom and equality of citizens, thereby impeding the full development of the human person and the effective participation of all workers in the political, economic and social organization of the country”. A fully formed human being is essential first of all to himself, but also for the endurance of the democratic system statued by Article 1 of Constitution. The citizen, indeed, must be able to choose to be able to perform all rights ensured by the Constitution (i.e., the right to vote). To choose freely, you must have your own opinion and you must know. To know, you must study, learn, educate and train yourself. Therefore, education is the essential EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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foundation of good citizenship. It is necessary in the performance of our most basic public responsibilities. The task of the school is to spread fundamental values that are essential to the maintenance of a democratic political system. Ever higher degrees of education are necessary to enable citizens to participate effectively and intelligently in our open political system if we are to preserve freedom and independence. The Italian Constitution favor to achieve a full education and training, expressed by Articles 33 and 34 of the Constitution, which establish the freedom of teaching, the freedom of school and the right to education, is based even before on the Articles 1, 2, 3, and 9, par. 1 (that statues “The Republic promotes the development of culture and of scientific and technical research) of the Constitution, i.e. on those fundamental principles considered unchangeable in their core (Constitutional Court, Sent. n. 1146, 1988). Therefore, the education and training of the person are undoubted Constitutional values. The attention of political system must be focused on school. It is essential that Constitution has to be studied since primary school. Constitution is not only a text with legal value, the most important legal text, the Grundnorm. It is also a cultural fact. Peter Haberle said that Constitution is also an expression of an evolutionary cultural stage of the people, the mirror of a cultural heritage and foundation of its hopes. The primary value of Constitution is to imagine and then help to realize a shared collective existence. The history of a community, the history of a nation are condensed in Constitution, which expresses the cultural identity in which the community recognizes itself. Valerio Onida, President Emeritus of Italian Constitutional Court, discussing on the opportunity to insert the teaching of “Citizenship and Constitution” at primary school in Italian education system, said that the contents of Constitution are the history of the people, their values, their ideals, their travails. The task of the school is teaching all these elements to promote the awareness of them. The Italian Constitutional Court has recently created a close connection between education system and our cultural identity. The concept of cultural identity is hard to define: it is a broad concept. Cultural identity is something different from culture. Culture generally refers to objectives RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Interdisciplinary perspectives for pedagogical research

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aspects, like language, history, cultural heritage etc., while cultural identity refers to the subjective projection of these aspects. In other words, cultural identity expresses the feeling of individuals and communities in the sense of how they experience the aspects that are constitutive of culture. This is the field of the school. The school must to promote the values of respect of human person, the otherness, the dialogue, solidarity, autonomy which are constitutive of our identity. Only the deep awareness of these values strengthens our being together. Especially at time when the multiculturalism requires openness and dialogue with other cultures that must be considered of same value of our one. School is the first place where different cultures have to meet each others. So, it is necessary to promote an effective relationships among them within the educational community, toward a perspective of actual integration. In such way, school could be a place of training for democracy. This essential function of school must be emphasized at a time when it is no more a component of the State hierarchic system. In 1997, with law 59, an important process of reform has based on a new concept of school. It is focused on values of autonomy and subsidiarity. School is no longer an executive branch of centralized power and it has became an exponential subject of the reference area and it is required to express the educational needs of its community. This process has continued and it reached one more important step on 2001, when a Constitutional Reform has statued that education is a matter no longer part of exclusive State legislative power, but it has been included within “concurring legislation�, that is a legislative power shared between State (as central power) and Regions (as decentralized powers). At the same time, the autonomy of educational institutions has been a constitutionalized concept. School is no longer a State issue, but it is an educational place where different subjects are deeply involved: among these, it is undoubted that teachers play a fundamental role. It is essential to encourage the sense of responsibility of professional teachers. A Constitutional State must take accurate care and attention to education and training of teachers who perform a role of great Constitutional significance. This means that Constitutional Law should be a fundamental and compulsory teaching, not just an optional one, in graduation curriculum degree. EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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Constitutional values and principles as well as constitutional rules on democratic system have to be within educational and training processes of teachers. In Italy, a recent reform of initial teacher training was introduced by the Decree of the Ministry of Education, University and Research September 10th, 2010, n. 249. There is no doubt that the (re)qualification of teachers education and training constitutes an essential element for improving the quality of the school. The training of trainers is an essential aspect because it involves three requirements to make them fully compatible: development and competitiveness of Italy-system related to cultural improvement of the population; good performance of the administrative organization in education, public finance objectives. This is “to reconcile, on the one hand, basic requirements to make uniform the discipline of the subject across the national territory and, on the other hand, demands for autonomy that at local territorial level can find satisfaction through the exercise of policy choices and management relevant within each region” (Constitutional Court, sent. n. 200, 2009). Such legislation has examined primarily the issues of teacher education and training and not even that, closely related, of their recruitment. The issue has been addressed − as recognized by the State Council in an advisory opinion − keeping in mind a goal and two fundamental premises. The goal was to achieve a real change through limited legislative actions, to avoid heavy distortions to the university system, already subject to regulatory action to complete reorganization as established by the law n. 240/2010 that is realizing right now its first implementation. The first premise has been linked to the consideration for which there can be no re-qualification of teachers, and thus raising of the level of school quality, without a marked strengthening of disciplinary skills. The second premise is that teachers education and training should promote pedagogical reflections and develop teaching, organizational and relational skills that should become characteristic aspects of the educational and professional profile of teacher. The regulation clearly states that the university system is the natural institution for education and training of teachers of primary and secondary schools. This is organized into two phases, a degree (single cycle degree/ combined Bachelor and Master, or second cycle degree/two years master) RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Interdisciplinary perspectives for pedagogical research

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and an internship, which vary depending on the grade of school to which they relate. For the kindergarten and primary, in the light of experience analyzed, the path 3 + 2 years was refused in favor of a enabler single cycle of 5 years, including training to be started from the second year, with programmed access following the pronouncements settled by the Ministry. The new five-year single cycle degree consists in a curriculum which aims to reconcile a balanced disciplinary and pedagogical-teaching courses, reinforcing also the literary-language, math and science teachings, at least according to the intentions of the legislator.

5. Some first evidences about incoming new teachers On October 10th, 2011, there were tests for admission to “Primary Teacher Program” − new five-year single cycle degree −, qualifying for the kindergarten and primary school. Settled by Decree of the Ministry of the Education, University and Research, Italian universities have offered a total of 5151 available number of enrollments, with an increase than last year (+313, around 6%) unlike what it happened in previous years (Chart 1). Chart 1. National framework of available number of enrollments for “Primary Teacher Degree” (source: Ministerial Decrees)

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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Indeed, it may be interesting to observe regional level, so you can note the differences in the national framework (Table 1). In Marches, the graduate cited courses were turned on at the University of Macerata and the University “Carlo Bo” of Urbino, with 240 available number of enrollments in total for 2011/12 academic year. Both universities have small increased their available number of enrollments for the new single cycle degree: University of Macerata from 120 to 130, University “Carlo Bo” of Urbino from 100 to 110. Date, method, content, score, program of admission test are determined by Decree of the Ministry of Education, University and Research. In academic year 2011/2012, the admission test had the following characteristics: – 80 questions, divided into three cultural areas: a) language/linguistics and logical reasoning, 40 questions; b) literature, history, geography and social culture, 20 questions; c) sciences and mathematics, 20 questions; - 1 point for correct answer and 0 for wrong or none answer, with a minimum total score that must be overcome to access the “admitted students’ list” equal to 60/80; - integrative points for “Language Certification” in English, in particular 3 pts. for B1, 5 pts. for B2, 7 pts. for C1, 10 pts. for C2. The implementation, correction and evaluation of the test was pursued by a specialized company (Selexi s.r.l.) for ten universities2, including Macerata, equal to almost 50% of national available number of enrollments. We’ll be now able to report a first set of data about students’ performance at UNIMC admission test 2011/2012 and some comparisons with other universities which have chosen the same “Selexi test”. For these universities (see Table 2), it is interesting to know that there were two surpluses: the number of those who had to do the test and those who actually attended it, as well as to be aware about eligible candidates. This situation could not be unnoticed: of course, it is important to focus on, anyway, that the number of eligible students is almost everywhere higher than 95%: the test performances were very positive and satisfying. 2

The Ministerial Decree established that each university must set up – independently – eighty questions for the admissions test.

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Table 1. Available number of enrollments by region (Annex to the Ministerial Decree)

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400

230

350

350

145

130

290

287

110

2292

UNISA

UNIFI

UNITO

UNIMORE

UNIMC

UNIBO

UNIPA

UNIURB

TOTAL

Enrollments

UNIMIB

UNIV

5403

202

690

475

387

328

733

727

1093

768

Booked

3111

92

403

185

257

183

383

377

863

368

Surplus enrollments/ booked

4052

176

603

435

285

237

558

496

667

595

Attendants

75%

87%

87%

92%

74%

72%

76%

68%

61%

77%

%

3750

171

475

429

276

228

543

476

583

569

eligibles

93%

97%

79%

99%

97%

96%

97%

96%

87%

96%

%

302

5

128

6

9

9

15

20

84

26

not eligibles

1458

61

188

139

146

83

193

126

353

195

surplus enrollments/ elegibles

Table 2. Available number of enrollments, booked, attendants, eligibles, not eligibles by university (source: Selexi)

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Interdisciplinary perspectives for pedagogical research

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With regard to candidates of UNIMC, focus of this paper, summary data here are below presented relative to gender, age, high school grades. About gender, it was confirmed that teaching is a feminine profession, in fact male candidates were very, very few. As below shown: Females were 97 %, while Males were 3 %. All throughout Europe, indeed, most teachers, both in primary and in secondary institutes, are females (Eurydice 2005, Data on Education in Europe 2005): in 2002, in all countries except one, more than 70% of teachers in primary schools were females. About the candidates’ age, data show the following particular situation: 45% were born from 1990, 33% in the decade from 1981-1989 and 20% before 1980. The “candidates’ population” cover a period of time exceeding thirty years. About final score of high school, the average is around 80/100 with a limited number of excellence (100/100, around 7%) and a unobtrusive number of students with low final score (vote >70, around 20%); also, it is interesting to note that 30% of candidates have a score equal or more than 85/100. In all universities – with the same Selexi test – students have had excellent performances: a high percentage of right answers in all three cultural areas; in particular the average percentage of correct answers is more than 80% for “language/linguistics and logical reasoning” (40 q.), more than 75% for “literature, history, geography and social culture” (20 q.), around 75% for “science and mathematics” (20 q.). In this – absolutely – positive situation, however, the worst performance is achieved relatively at– once again – “science and mathematics” area and “literature, history, geography and social culture” can’t be considered satisfactory. About UNIMC, the average score was around 72, than the maximum score equal to 80 – all right answers (1 pt. for each right answer). Regarding three specific areas: 37/40 for “language/linguistics and logical reasoning”, 18/20 for “literature, history, geography and social culture”, 17/20 for “science and mathematics”. One last note: in Macerata, students with language certification were around 20%. Nowadays, we are able to offer – for the University of Macerata – a first preview of the candidates’ performances at the admission test for the 2012/2013 academic year. The average score was around 68 (-4 pts. respect the past year), than the maximum score equal to 80 – all right answers (1 pt. for each right answer). Regarding three specific areas’ average scores: EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


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– 36/40 (-1 pt. respect the past year) for “language/linguistics and logical reasoning”, – 16/20 (-2 pts. respect past year) for “literature, history, geography and social culture”, – 16/20 (-1 pt. respect the past year) for “science and mathematics”. Therefore, the test was a bit worse than last year both in general and in each of all three areas, in particular the area concerning “literature, history, geography and social culture”.

6. First conclusions and further perspectives of research We have to add that in the admission tests of last two years, for the first time, there weren’t questions about pedagogical area and issues, but, however, we can ‒ by now ‒ note that the very good performances achieved by the students who took the admission tests may currently be confirmed because of their good performances at the tests of the courses in the first and second semester of the first year too. At first glance, the outcomes of the exams performed by the students, enrolled at the first year degree course, were generally positive. However, it should be noted that it is not possible to make a proper assessment of these data, because many students have already attained a degree, particularly in education and human sciences, so they have been granted a “reduction” in the number of examinations: around 60 % of students have not to attend all tests of the courses at the first year or following. This percentage partly explains the broad range of student ages. However, most of the students who took the tests achieved very good outcomes (from ESSE3 data, at July 2012). About average of compulsory courses at the first semester: 27/30 for General Pedagogy (8 CFU), 26/30 for General Teaching (8 CFU), 27/30 for History of Education, (8 CFU); 28/30 for Neuropsychiatry (8 CFU). About average of compulsory courses at the second semester: 28/30 for Contemporary History (8 CFU); 28/30 for Developmental Psychology (8 CFU); 28/30 for Music Education (8 CFU). We notice that in the studies’ plan, there was also only a one choice: between Institutions of Public Law and Hygiene (4 CFU). The teaching evaluation by students’ opinions offers a unique perspective of analysis of the situation of the degree course. In every teaching of the course is distributed / completed - including online - a questionnaire with RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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a series of questions (21), for different areas: organization of the Degree (1-2), course organization (3-6), teaching and learning (7-16), infrastructure (17-18), interest and satisfaction (19-21). These are the questions, in the original language for timely and relevant information: D1

Il carico di lavoro complessivo degli insegnamenti ufficialmente previsti nel periodo di riferimento (bimestre, trimestre, semestre, ecc.) è accettabile?

D2

L’organizzazione complessiva (orario, esami, intermedi e finali) degli insegnamenti ufficialmente previsti nel periodo di riferimento (bimestre, trimestre, semestre, ecc.) è accettabile?

D3

Le modalità di esame sono state definite in modo chiaro?

D4

Gli orari di svolgimento dell’attività didattica sono rispettati?

D5

Il personale docente è effettivamente reperibile per chiarimenti e spiegazioni?

D6

L’insegnamento è coordinato con gli altri corsi in modo appropriato?

D7

Le conoscenze preliminari possedute sono risultate sufficienti per la comprensione degli argomenti trattati?

D8

Il docente stimola / motiva l’interesse verso la disciplina?

D9

Il docente espone gli argomenti in modo chiaro?

D10

Il carico di studio di questo insegnamento è proporzionato ai crediti assegnati?

D11

Il materiale didattico (indicato o fornito) è adeguato per lo studio della materia?

D12

Le attività didattiche integrative (esercitazioni, laboratori, seminari, ecc.) risultano utili ai fini dell’apprendimento? (se non sono previste attività didattiche integrative, rispondete non previste)

D13

La quantità di argomenti spiegati rispetto alle ore di lezione è proporzionata?

D14

“I mezzi prescelti dal personale docente di questo insegnamento (lavagna, proiettore, computer, ecc.) agevolano la comprensione? (se non si fa uso di mezzi, rispondete “”non previsti””)”

D15

“Il livello di difficoltà delle esercitazioni, laboratori, seminari, ecc. è adeguato? (se non sono previste attività didattiche integrative, rispondete “”non previste””)”

D16

Il personale docente di questo insegnamento è disponibile a favorire scambi (domande e risposte) con gli studenti durante la lezione?

D17

Le aule in cui si svolgono le lezioni sono adeguate (si vede, si sente, si trova posto)?

D18

I locali e le attrezzature per le attività didattiche integrative (esercitazioni, laboratori, seminari, ecc.) sono adeguati? (se non sono previste attività didattiche integrative, rispondete non previste)

D19

Sei interessato agli argomenti dell’insegnamento?

D20

Sei complessivamente soddisfatto dell’insegnamento?

D21

Ritiene che il presente questionario può risultare utile ai fini del miglioramento della didattica?

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Gabriella Aleandri, Luca Girotti, Giuseppe Laneve

Analyzing quickly the data (source: Progetto SISValDidat - Sistema Informativo Statistico per la Valutazione della Didattica - 2011/2012), the results seem to be satisfactory both in relation to the performance of the Faculty of Education within the university system of Macerata (Table 3) both with respect to student satisfaction in relation to other degree courses of the Faculty of Education (Table 4).

Table 3. Questions: Descriptive Statistics - Faculty of Education - University of Macerata QUESTION

N. ANSWERS

AVERAGE FACULTY

AVERAGE UNIVERSITY

D1

3989

6,74

6,82

D2

3979

6,65

6,75

D3

3988

7,55

7,33

D4

3984

8,00

8,04

D5

3908

7,96

7,98

D6

3959

7,34

7,31

D7

3990

6,84

6,98

D8

3992

7,56

7,55

D9

3972

7,71

7,73

D10

3900

7,23

7,20

D11

3958

7,54

7,50

D12

1786

7,55

7,47

D13

3963

7,22

7,15

D14

3125

7,83

7,72

D15

1762

7,23

7,18

D16

3937

8,45

8,44

D17

3983

7,35

7,28

D18

1950

7,24

7,06

D19

3976

7,72

7,90

D20

3986

7,53

7,55

D21

3952

6,86

6,65

RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


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Interdisciplinary perspectives for pedagogical research

Table 4. Questions: Descriptive Statistics - Faculty of Education - “Primary Teacher Program” QUESTION

N. ANSWERS

AVERAGE PROGRAM

AVERAGE FACULTY

D1

233

6,64

6,74

D2

233

6,00

6,65

D3

233

8,51

7,55

D4

231

8,13

8,00

D5

230

8,08

7,96

D6

231

7,31

7,34

D7

232

7,19

6,84

D8

233

8,08

7,56

D9

233

7,94

7,71

D10

233

7,78

7,23

D11

231

7,90

7,54

D12

80

7,71

7,55

D13

232

7,54

7,22

D14

196

8,27

7,83

D15

81

7,32

7,23

D16

229

8,75

8,45

D17

232

7,14

7,35

D18

89

7,57

7,24

D19

232

8,07

7,72

D20

233

7,92

7,53

D21

227

7,57

6,86

In summary, the data indicate “suffering” for area organization of the Degree (1-2); positive satisfaction for areas course organization (3-6), infrastructure (17-18), interest and satisfaction (19-21); good performance for (important!) area concerning teaching and learning (7-16). At first glance, it appears that students having well exceeded the admission test, they achieve good results for exams and express a positive opinion about the course they are attending... but we have to be careful to generalize.

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Gabriella Aleandri, Luca Girotti, Giuseppe Laneve

Of course, these initial assessments will shortly a further review, update and integrate in the following sessions, especially for special cases − though content (10%) – of students who have achieved results below what was expected compared to the general and individual outcomes of admission tests. The exam is also a time of evaluation guidance for the student and for the teacher, too. In this perspective, we will have to relate the results of tests/exams with evaluation of the teaching.

7. Some considerations about pedagogical and educational aspects The very positive results of the admission tests and examinations of the first year suggest and solicit some thoughts and reflections about pedagogical and educational aspects of the teacher-student relationship and university teaching, so as to avoid problems during the studies and provide adequate guidance and tutoring. All teachers are aware that it is possible and likely fail, although right ways and timely manner, to reap the benefits of their educational activity. The students also know that there may be experiences of failure and suffering for exams not exceeded or with a lower result (compared to the other or to their desires). From a pedagogical failure or crisis is unique aspects of personality development of the individual, which are not always negative: a failed test, a test gone wrong, a low grade can be an opportunity to verify the own method of study. This may seem counterintuitive, almost a preposterous statement. In fact, it is necessary to remember that the education offered is the meeting of two freedoms, that of the teacher and the student: the first one must be prepared to continually respond to the educational needs of young and/or adult people, the second one has primarily to engage in a constant work of personal growth. The university system itself could be the “source” of the failure if teachers won’t be prepared to deal with the complexity of the educational relationship with their students. In a complex society, indeed, the teacher is required to teach the student not only the knowledge and the professional/ scientific skills but also the ethical knowledge about job (according also to the more famous four educational pillars by Delors: learning to know, learning to do, learning to be, learning to live together, in a whole perspective of learning and education throughout life). RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Interdisciplinary perspectives for pedagogical research

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The reasons for the failure deserve to be addressed in depth in order to offer adequate answers methodologically, while in this paper we can highlight some key issues to be verified subsequently. The most obvious possible reason for the failure is the inadequacy of teacher, which highlights the need for training of trainers: what and how to teach cannot be separated in teacher education. In this regard, in this paper, we can only briefly mention the “active training internship” program, recently set up and about to start in Italian universities. However, the above mentioned inadequacy can be connected to three aspects: first, the cultural and educational background; secondly, the difficulties of the teacher to establish a good educational relationship with the students; third, the inability of the teacher to witness to the values which it presents to young. The failure of education can also be determined by the refusal of the young: he doesn’t want to establish a positive relationship with the teacher and/or is not willing to engage in the study. The reasons for this attitude can be different: negative personal experiences, confidence in the future, low self-esteem. In these situations, it is important to redirect the young but also the university must always be informed about the “academic health” of his students to prevent drop-out. In fact, even the environment – i.e. the university – can be one of the causes of failure. The reference is to all obstacles to structural or organizational changes that do not favour the possibility of a real and significant relationship between student, teacher and knowledge. Just taking into account the above considerations, then, we are carrying out other related experimental projects to follow all students, especially the weaker or less active, so to support and encourage them in their studies and guide them towards the profession working. Some further possible developments of the current research are connected with: – the analyses of the curriculum career of each student enrolled, – the possibility of planning progress testing according to the Dublin descriptors and – the possibility to propose some guidelines for an applicable and shared European core curriculum for teacher education and training degree courses.

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Gabriella Aleandri, Luca Girotti, Giuseppe Laneve

Authors’ Presentations: Gabriella Aleandri is Associate Professor of General and Social Pedagogy at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata, Italy. Her main fields of interest and research are: lifelong and lifewide learning and education, adult education, educational policies, social education. Giuseppe Laneve is Associate Professor of Constitutional Law at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata, Italy. His main fields of interest and research are: constitutional laws and theory of government, university/school laws, regulation on teaching. Luca Girotti is Assistant Professor at Department of Education, Cultural Heritage and Tourism, University of Macerata, Italy. His main fields of interest and research are: educational research and school policies, teacher selection/education/guidance, educational management/assessment of school/university system.

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Lessico pedagogico

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a cura di FLAVIA STARA

Nell’uso italiano del termine pedagogia esiste una doppia valenza che implica sia una ‘riflessione teorica sull’educativo’, sia il riferimento a fatti, procedimenti educativi, al di fuori della riflessione teorica. Analoga condizione semantica si ritrova, in inglese, non nel termine Pedagogy, ormai praticamente scomparso, ma in Education, che significa sia educazione, formazione, istruzione, sia riflessione più o meno sistematica sui fenomeni inerenti a tali attività. L’uso francese del termine pédagogie definisce la pedagogia come una “teoria pratica” che orienta e guida l’attività di chi ha il compito di educare traendo tali orientamenti da una riflessione sui fenomeni educativi, senza peraltro costituire una “scienza dell’educazione” e senza potersi neppure confondere con l’educazione stessa. Durante questo secolo il termine pédagogie assume in francese anche un significato assai vicino a quello che ha in italiano il termine ‘didattica’ (ad esempio pédagogie de la lecture, didattica della lettura). Analogo invece all’ambito denotativo del termine italiano ‘pedagogia’ appare quello tedesco Pädagogik, sempre più caratterizzato da una maggiore accentuazione dell’aspetto ‘riflessione teorica’ e da una minore confusione con il termine Erziehung.(voce Pedagogia, in Enciclopedia Treccani del 900, 1980). Il momento centrale della riflessione pedagogica riguarda l’analisi dei processi formativi che complessivamente delineano, nel tempo e nello spazio, il farsi della persona tra natura e cultura, tra evento ed intenzionalità, tra sviluppo, apprendimento, coltivazione e cura di sé (Granese, 1993). Questi complessi e articolati processi della formazione umana costituiscono l’oggetto specifico di indagine della pedagogia, un oggetto regolativo e costitutivo che orienta la disciplina verso un’analisi riflessiva destinata così a misurarsi con la realtà dell’educativo, considerato in riferimento alla persona e alle persone implicate, colte nella contingenza storico-sociale e, dunque anche, nella profondità della relazione comunicativa ed intersoggettiva. Dal punto di vista educativo, la relazione intersoggettiva si configura espressamente come l’unico possibile “nesso dotato di potere causante, il solo ambiente idoneo per il contagio vitale, e lo specifico agente per una osmosi di esistenza” (Ducci,1979). Il processo educativo, nel corso del lavoro critico-costruttivo della pedagogia, si è offerto a molti territori di indagine, delineando un’ampia fenomenologia di studi sull’interpretazione del rapporto educativo con la significativa questione della trasmissione culturale che si invera attraverso peculiari mediatori linguistici e specifici codici.

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Quello che accomuna gli studi in materia è la consapevolezza che gli uomini, nelle loro attività pratiche e poietiche, non si scambiano semplicemente informazioni, ma entrano in un rapporto dialogico di prospettiva, conferendo senso a tale interazione anche in termini teleologici (Macchietti, 1998), perché la relazione educare-formare-istruire è finalizzata alla co-implicazione e al con-senso sociali (Habermas, 1986; Apel, 1985)). L’idea di “comunità dialogante”, si connette all’intenzione pedagogica di sottrarre le soggettività in campo al loro carattere astratto e irrelato e, quindi, di configurare la comunità stessa come un centro di produzione di ethos, come un patrimonio ideale e culturale, dentro il quale ogni volta prende avvio e si svolge il percorso educativo delle singole coscienze. Misurarsi con la formazione della persona rimanda ad un lavoro di analisi che guarda al soggetto e ai contesti antropologici, etici e linguistici in cui il soggetto sviluppa, forma e matura le proprie consapevolezze. La riflessione sull’educazione oggi, infatti, si interroga su questioni di rilievo che riguardano il complesso dei processi sociali, politici, scientifici ed economici della contemporaneità che, come è noto, è contraddistinto dai caratteri della complessità e della globalizzazione (Morin, 2001; Bauman, 2001). In questo lavoro di analisi, al pedagogico non sfugge che gli scenari della contemporaneità esprimono la condizione fortemente contraddittoria di essere, per un verso, radicalmente innovatori, per altro verso, estremamente drammatici e conflittuali. Di fronte all’imperio della razionalità economico-strumentale, alla radicale esteriorizzazione mediatica del sé, lo scopo pratico del sapere pedagogico, nel senso più ampio e profondo, è riscoprire la sua vitalità e la fiducia nel suo futuro, misurandosi sul terreno dei problemi di una filosofia pubblica, sollecitando il suo carattere concreto che si rivela come aderenza all’esperienza e allo stesso tempo come effettiva protesta dell’empiria contro l’empirismo. In tale aggiustamento dello sguardo educativo che, rifiutandosi di ridursi all’empirico, regredisce dietro ogni esperienza per sorprendere in essa il movimento della vita storica che l’attraversa e la riempie, la pedagogia si autocomprende come concreta prassi storica. Lo scenario socio-politico-istituzionale chiama in causa la responsabilità del pensiero pedagogico, come strumento di decostruzione e problematizzazione di quei contenuti che stanno trasformando radicalmente le dinamiche della formazione e della condotta dell’uomo. Infatti, la rivoluzione multimediale, in tutte le sue ramificazioni, sta producendo un mutamento epocale che va ben oltre la novità dei diversi strumenti di comunicazione: essa è portatrice di una Weltanschauung che genera un nuovo tipo di uomo e di società. La pervasività delle tecnologie sta producendo nuovi brainframes e nuovi ideali regolativi la cui incidenza deve essere ponderata dalla ricerca e dalla prassi educative. L’analisi pedagogica non si riconosce più come una scienza che regola dall’esterno la prassi comportamentale dell’uomo, ma come sapere che ne rivela il senso immanente, l’unità intenzionale in atto nei molteplici modi di essere e di agire. L’analisi degli snodi problematici dei fenomeni educativi evidenzia come al termi-

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ne pedagogia se ne sostituiscano spesso (e non è naturalmente un puro fatto terminologico) altri. Oggi si parla di “scienze dell’educazione”, ma non come semplice plurale di “scienza dell’educazione” (A. Bain, Education as a science, 1879) largamente usato nella seconda metà dell’Ottocento, e neppure come sostitutivo del termine pedagogia, poiché con scienze dell’educazione si intende un complesso di scienze che non si identificano immediatamente con la pedagogia e spesso hanno un loro autonomo campo di indagine e un loro autonomo, se pur in fieri, statuto epistemologico. Nella configurazione di questa prospettiva interpretativa, fondamentale è stato il contributo offerto da John Dewey che, nel testo The Sources of a Science of Education(1929), formula una lunga e approfondita elaborazione concettuale sulla tematica della scientificità dell’educazione. Il testo deweyano sulle “fonti di una scienza dell’educazione” ha avuto un ruolo centrale nel tentativo teorico della pedagogia italiana, dall’immediato secondo dopoguerra fino ai nostri giorni, di fondare scientificamente la pedagogia e di proporre una accurata riflessione epistemologica e filosofica ancora in svolgimento. Le prospettive interpretative che, direttamente o indirettamente, si sono ispirate a questa trattazione deweyana hanno avuto il merito di proporre alla cultura pedagogica italiana, di ispirazione prevalentemente laica, un complessivo sforzo di emancipazione rispetto all’egemonia della filosofia idealistica, attraverso il concetto di scienze dell’educazione. Per scienza Dewey intende un insieme di “metodi sistematici di indagine” che, una volta impegnati a determinare una serie di fatti, possono permettere di “comprenderli meglio e controllarli più intelligentemente”. Il filosofo americano ritiene che la questione della scientificità dell’educazione sia connessa alla funzione fondamentale della scienza di “liberare gli individui”, di permettere di “vedere nuovi problemi”, e, soprattutto, di costruire la “diversità piuttosto che porre l’uniformità”. Ma l’educazione è stata da sempre considerata un’arte e l’arte non può essere analizzata in opposizione, ma deve essere concepita in modo distinto dalla scienza. È, quindi, l’impegno dinamico e creativo dell’insegnante qualificato, che riesce a potenziare nell’atto educativo la connessione vitale tra il mondo della ricerca pedagogica e quello dell’attività professionale: l’insegnante rappresenta una figura a metà tra l’elaboratore della teoria pedagogica e lo sperimentatore della prassi scolastica. La riflessione deweyana avendo riconosciuto che la scienza trova la sua giustificazione nel rapporto teoria-pratica – in quanto è la pratica nella sua complessità che realizza l’ipotesi scientifica e, nello stesso tempo, migliora la qualità della condotta umana – e avendo sostenuto la difficoltà della scienza dell’educazione di far uso delle tecniche di misurazione delle altre scienze, giunge ad affermare che il vero problema di una scienza dell’educazione è la chiara distinzione tra le “fonti di una scienza dell’educazione e il suo contenuto scientifico”. In altri termini, è necessario comprendere che i risultati scientifici dell’attività educativa derivano da “fonti” diverse che si realizzano tramite il “medium della mente dell’educatore per rendere le funzioni educative più intelligenti”.

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A partire dagli anni Settanta, del secolo scorso, la pedagogia si è sempre più articolata in “scienze dell’educazione”. Il problema è stato, dunque, quello di dimostrare la necessità dell’esistenza e della specificità della pedagogia, nonché del suo rapporto con le scienze dell’educazione. Particolarmente significativa è stata la proposta di Aldo Visalberghi, divulgata nel testo Pedagogia e scienze dell’educazione pubblicato nel 1978. In tale testo si propongono quattro settori intorno ai quali si sono sviluppate le scienze dell’educazione: – il settore psicologico, che riguarda la conoscenza dell’allievo e dei processi di apprendimento (psicologia dell’educazione, evolutiva, sociale, ecc.). – il settore sociologico, che riguarda lo studio del rapporto scuola-società (sociologia generale, dell’educazione, della conoscenza, ecc.) – il settore metodologico-didattico, che riguarda lo studio dei mezzi, metodi e strumenti dell’educazione (tecnologie educative, teorie sulla programmazione e sulla valutazione scolastica, ecc.) – il settore dei contenuti, che riguarda invece l’analisi delle discipline di insegnamento e della conoscenza in generale (storia della materia specifica, epistemologia generale e genetica). In questo schema la pedagogia, intesa come pedagogia generale, occupa una posizione regolativa, poiché rappresenta lo spazio di aggregazione critica dell’insieme delle scienze dell’educazione. La proposta di Visalberghi favorisce gli studi di epistemologia pedagogica di tutti gli anni Ottanta e Novanta. Le cifre che formalizzano tale dibattito sono quelle della Criticità e della Formazione. La prima propone la pedagogia come riflessione teorico-sistematica che disvela i significati impliciti e latenti di ogni atto educativo; la seconda affida alla pedagogia le indicazioni di senso nel processo storico-esistenziale della formazione. Particolarmente significativo, in questo ambito di ricerca, risulta essere il pensiero di Franco Cambi, che nel Manuale di filosofia dell’educazione (Laterza, 2000), propone uno schema in cui i saperi pedagogici sono strutturati in tre settori: – le scienze dell’educazione, che si occupano in modo empirico dell’apprendimento e della formazione; – la pedagogia generale che riflette sulle scienze dell’educazione coordinandole sugli aspetti generali e trasversali della formazione: la pedagogia interculturale; la pedagogia di genere, – la pedagogia della marginalità, ecc. – la filosofia dell’educazione che si occupa degli aspetti epistemologici e axiologici della formazione. Negli studi di Cambi viene affermata la fecondità della presenza dell’angolazione filosofica nell’elaborazione e nello sviluppo della pedagogia, presentando e definendo un ulteriore livello disciplinare, quello della filosofia dell’educazione. Mentre la pedagogia generale si confronta, all’insegna della riflessività, e in un processo di analisi

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e sintesi, con lo specifico apporto delle varie scienze dell’educazione, che sintetizza e armonizza, la filosofia dell’educazione, è caratterizzata dalla meta-riflessività, in continuità e scambio con la “riflessività”. La filosofia dell’educazione è un po’ il sigillo formale del discorso pedagogico e il modello discorsivo della sua “problematizzazione radicale”, anche alla luce della rarefazione postmoderna delle grandi narrazioni della modernità. “Le istanze anche più avanzate riflessive tendono dunque a permeare l’intero campo del sapere educativo, come i contenuti concreti di questo si propongono alla sua indagine, in partenza, nella loro esigenza di rigore e criticità. Infatti l’essenziale è mantenere tanto il pluralismo quanto l’interazione reciproca dei momenti”. Gli elementi problematici emersi dal contrastato tentativo di fondazione scientifica del pedagogico ne hanno fatto emergere la particolare struttura di archi-scienza, una scienza originaria, in quanto campo totale dei rapporti con l’umano, dentro cui si situano, senza perdita della loro autonomia, sia i sistemi intenzionali delle singole scienze sia l’attività intenzionante propria dell’educativo. L’approfondimento che il sapere pedagogico oggi si propone, considerate queste premesse, è quindi la ricognizione della varietà di scienze in grado di interpretare e promuovere il bisogno di crescita umana nel XXI secolo. In altri termini, la scientificità dell’educazione è approfondita non tanto definendo specifici criteri epistemologici interni – che risultano essere estremamente controversi – ma soprattutto analizzando quali fonti specifiche entrano in gioco quando deve essere compreso il significato dei molteplici fattori che sussistono in ogni esperienza educativo-formativa. Nella sua continua ricerca di strutturazione e orientamento, l’educativo, che per tradizione tutela una circolarità dinamica tra i suoi principi immanenti e quelli pronunciati soprattutto dalle scienze umane, si apre progressivamente ad una visione che si esprime attraverso working ideas, idee all’opera, che permettono di dinamizzare e fluidificare la sostanza della ricerca tecnologico-scientifica. Al centro dell’interesse educativo viene posto, quindi “il significato dell’esperienza”, prodotto di una permanente negoziazione culturale tesa ad organizzare anche la conoscenza elaborata dalle nuove tecnologie e strategie di comunicazione, e, quindi, a realizzare nuove metodologie e sistemi di formazione, progettando attività di détournement, re-invenzione e ridefinizione dei linguaggi dei saperi, che, attraverso pratiche di ricerca fondate proprio nei valori pedagogici, possono stimolare la pianificazione e lo sviluppo di processi ermeneutici che diano vita a modelli, generi e interazioni di comunicazione e prassi efficaci e multidirezionali.

Bibliografia Appel, K.O.,(1985), La comunicazione umana, Milano, Angeli. Bauman, Z., (2001), Dentro la globalizzazione: le conseguenze sulle persone, Roma Laterza.

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Approfondimento bibliograямБco

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Pedagogia e Scienze dell’educazione

a cura di FLAVIA STARA

Un approfondimento bibliografico riferito alla vastità e complessità della produzione scientifica sul tema di ricerca affrontato in questo numero della rivista, si traduce necessariamente, in una ridotta selezione di contributi di studio che caratterizzano l’ampio panorama delle attuali interpretazioni dell’educativo. Partendo dalle riflessioni esposte nel “Lessico pedagogico”, si è pensato di offrire ulteriori spunti dialettici e sollecitazioni di indagine, riferendoci ad alcuni percorsi di ricerca che hanno recentemente caratterizzato il lavoro critico sull’identità “post-moderna” della pedagogia generale, soprattutto in direzione della sua definizione e come “spazio” di una riflessione complessiva nell’ambito dei saperi educativi, e come “progetto” per una osservazione responsabile dell’evoluzione sociale. In questa prospettiva, il testo di Cambi, Giosi, Mariani, Sarsini, Pedagogia generale. Identità, percorsi, funzione, (Carocci Editore, 2012) pone l’accento su come la pedagogia continui, pur tra polemiche, a svolgere un ruolo centrale tra i saperi educativi, muovendosi in un dominio sempre più interdisciplinare, scientifico e, al tempo stesso, filosofico, riflessivo e meta-riflessivo. Il volume espone il volto teorico del pedagogico e il suo modello di discorso filosofico e saggistico, declinandone anche il rapporto stretto e complesso con le molteplici “realtà dell’educazione”, con l’articolazione interna delle “pedagogie” specifiche che ne fissano le frontiere settoriali più evidenti e attuali. Gli autori si interrogano criticamente sull’identità e funzione del pedagogico che – a partire dagli anni sessanta – ha reso sempre più problematico, più complesso e più esteso il “fare-pedagogia-generale”. Una riflessione organica sull’identità e la funzione del canone pedagogico è stata presentata da Cambi in Sul canone della pedagogia occidentale (Carocci, 2009), dove viene riconfermato il ruolo essenziale e il compito regolativocostruttivo e ri-costruttivo che tale canone svolge. Sul ruolo e sulla funzione che oggi la pedagogia riveste all’interno della rete di ricerca delle Scienze dell’educazione, si interroga Genovesi che, in Pedagogia e oltre. Discorso sulla Pedagogia e sulla Scienza dell’Educazione, (Editori Riuniti, 2008), assumendo la prospettiva epistemologica e tenendo ben presenti alcuni riferimenti storici, intende andare oltre la pedagogia cercando di capire in che modo essa abbia preparato l’avvento della scienza dell’educazione e come quest’ultima coinvolga necessariamente il fare educazione. In Scienza dell’educazione: oggetto e metodo, (Franco Angeli, 2009), Genovesi mette a fuoco le direttrici del dibattito da anni presente in Italia sulla persi-

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stente confusione tra Educazione e Pedagogia. Nel testo vengono analizzate le diverse teorie sulla pedagogia come scienza pratica, la continua oscillazione tra la dizione “scienza” e la dizione “scienze” dell’educazione, le difficoltà ad enucleare un’autentica qualità scientifica del sapere sull’educazione. Il sapere sull’educazione sembra poter definire in forma astratta e logicamente coerente il suo oggetto d’indagine, e il metodo con cui tale indagine può essere giustificata e progredita, mettendo in parentesi il suo pur necessario coinvolgimento con la dimensione pratico-applicativa. Il testo, attraverso i contributi di Baldacci, Bellatalla, Frabboni, Magnanini, Marescotti, Martini affronta la problematica in modo rigoroso e teoreticamente solido, avvalendosi di approfondimenti nei settori della Didattica e della Storia dell’educazione che, tradizionalmente considerati incommensurabili con la dimensione scientifica, trovano qui un argomentato riscatto. Nel volume di Chiosso I significati dell’educazione. Teorie pedagogiche e della formazione contemporanee, (Mondadori Università, 2009), si prendono in esame le teorie educative e formative, con particolare attenzione anche a quelle teorie pedagogiche considerate tali non in senso stretto. Partendo dalla constatazione che, nella cultura contemporanea, la mappa del sapere educativo si presenta con orizzonti assai più ampi rispetto al solo dominio pedagogico, il quale costituisce, ovviamente, un primario e ineludibile sfondo di riferimento, il volume ricostruisce il complesso e variegato campo della cultura educativa contemporanea sia attraverso la presentazione delle principali teorie pedagogiche e della formazione, sia rilevando i molteplici scenari che segnano il mondo scolastico e giovanile, la realtà dell’educazione adulta, l’ambito delle professioni e della formazione e i dibattiti sui rapporti tra politica, etica ed educazione. La sezione antologica, curata da Fedeli, presenta testi dei maggiori studiosi di questioni pedagogiche e formative: da Skinner, Bruner, Gardner, Meirieu agli animatori delle esperienze di Cooperative Learning, da sociologi e filosofi come Arendt, Mac Intyre, Morin, Von Glaserfled ai più autorevoli esperti del mondo degli adulti (Knowles, Schön, Schwartz), agli esponenti e testimoni della cultura personalista (Maritain, Buber, Guardini, Freire, don Milani, Giussani). Il volume curato da Corsi e Sarracino, Ricerca pedagogica e politiche della formazione, (Tecnodid Editore, 2011), entra nel merito del discussione sulla ricerca pedagogica e delle scienze dell’educazione analizzandone le ricadute o le mancate ricadute a livello socio-politico e interrogandosi, quindi, sul rapporto fra pedagogia e collettività. La tematiche sono analizzate secondo una pluralità di approcci e di visioni che restituiscono la ricchezza del dibattito culturale corrente. Corsi riflette sulla conciliazione tra i percorsi filosofici e le procedure scientifiche della pedagogia, formulando una nuova definizione della scienza pedagogica: una scienza caratterizzata dalla provvisorietà, che decodifica le informazioni provenienti dalle altre scienze, che per questo accetta gli equivoci che, naturalmente, si generano nelle azioni di traduzione e codifica e che mantiene un forte nesso ermeneutico con la filosofia. Sarracino analizza il ruolo della pedagogia sociale che si pone come sapere politico, sapere scientifico e sapere

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utopistico, disciplina della contemporaneità e dell’attualità. Da qui la valenza politica della pedagogia che oggi può tentare la via dell’universalizzazione della socialità, di una socialità che si traduca nei termini di un’economia che sia più equa per tutti, di una scienza e una tecnica che siano utili e umane, di un’etica che sia solidale, e di uno sviluppo che possa dirsi sostenibile. I contributi di Baldacci, Normand, Frauenfelder, Viganò, Pagano, Auriemma, Ferrraro, Stramaglia ricostruiscono un ampio panorama di indagine che si configura come problematizzazione tematica e disciplinare e come progettualità educativa rispetto alle sfide politiche ed epistemologiche che provengono dalle diverse realtà sociali, dai contesti politici e dagli ambiti della ricerca. La scienza della formazione, nel suo essere sapere che riflette sui processi di trasformazione permanente (tanto a livello di singola persona quanto a livello di specie umana) appare, da sempre, contrassegnata da forti valenze profetiche. Ogni processo intenzionalmente formativo e tras-formativo, infatti, implica che vi sia la “prefigurazione” di un futuro possibile per il soggetto in formazione, rispetto al quale il soggetto possa comprendere come gestire il cambiamento personale all’interno del più generale e complesso cambiamento scientifico e tecnologico, culturale e sociale. È in questo orizzonte di senso che si inscrive lo studio di Pinto Minerva e Galleli, Pedagogia e post-umano. Ibridazioni identitarie e frontiere del possibile (Carocci, 2004) che evidenzia come i prodotti dell’evoluzione bio-tecnologica, i congegni complessi che possono dirsi “viventi” e “artificiali”, caratterizzino sempre più gli ambienti di vita influendo sui modi che di stare al mondo: dai modi di nutrirsi e di mantenersi in salute, alle procedure della nascita e dell’invecchiamento, alle forme del lavoro e del tempo libero. Si tratta di veri e propri processi di ibridazione fra dimensioni biologiche e dimensioni macchinali che trasformano radicalmente l’identità dei soggetti della formazione e i contesti in cui i soggetti hanno modo di costruire conoscenze e competenze. Le autrici sollecitano i saperi pedagogici ad interrogarsi su tali trasformazioni per corroborare l’autentico obiettivo del processo educativo, orientando consapevolmente ogni soggetto in formazione, assicurandogli la possibilità concreta di aprire la propria singolare avventura di crescita al mutamento, alla scelta, all’autodeterminazione.

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Recensioni

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206 M. Baldacci, Trattato di pedagogia generale, Roma, Carocci, 2012, pp. 390. Questo ponderoso volume di Massimo Baldacci, soprattutto sul piano del rigore e della documentazione scientifici, né nuovi, né inusuali, nella sua vasta ed eccellente produzione di ricerca, merita davvero, come poche monografie “in pedagogia” di questi ultimi decenni, il “titolo” di Trattato di pedagogia generale. Dedicato a “Giovanni Maria Bertin, padre del problematicismo, nel centenario della nascita”, Maestro del Maestro di Baldacci: Franco Frabboni, il cui pensiero (mi riferisco a Frabboni) si è dipanato e reso manifesto pure attraverso una saggistica abbondante e di qualità, in collaborazione metaideologica e culturale con i più accreditati esponenti della riflessione pedagogica e didattica, nazionale e internazionale, si inserisce, anche su questo versante, e a pieno titolo, in un orizzonte tematico e investigativo che, della sistematicità e della “manualistica” di altissimo profilo, ha sempre fatto un suo peculiare “punto di onore”, perseguendolo, insieme ad altri filoni di rappresentazione letteraria e accademica, quale una delle sue cifre essenziali e di maggior prestigio. Ne è un’ulteriore riprova, ancorché inutile e sovrabbondante, per chi conosce e stima Baldacci e la Scuola da cui proviene, di cui è ormai magistralmente un “portavoce” autorevolissimo, la sterminata, documentatissima, “preziosa”, bibliografia finale, costruita con rigore,

Recensioni lungimiranza e fedeltà alla pedagogia in quanto tale (e non al Maestro e/o ai referenti di turno, come purtroppo, non di rado, capita di rilevare), nella quale le opere pedagogiche più recenti, accanto a quelle di altri ambiti e saperi, unitamente ai “classici” della ricerca e dell’epistemologia (perché antecedenti al 1960), si mescolano sapientemente, poiché autenticamente letti, meditati e approfonditi (così da confluire in un’architettura di contesto a monte, organica e coerente), con le opere più significative della “storia” della nostra disciplina. Senza, peraltro, indulgere mai ad appartenenze di parte o scivolare in nicchie altrettanto partigiane: da Adorno ad Agazzi, da Agostino d’Ippona ad Althusser, da Apel ad Aristotele, da Banfi a Bauman, da Becchi, Bertin, Bertolini e Bordieu a Brezinka, Bruner, Frabboni e De Giacinto, da Lambruschini (per seguire l’ordine alfabetico) a don Milani, Russell, Santoni Rugiu, Scheffler, Scurati, Spinoza, Thom, Trisciuzzi, Vygotskij e Wallon, e numerosissimi altri. Un’opera, quindi, totalmente colta e intelligente, da dover leggere e chiosare, e di cui ringraziare sentitamente l’Autore. Così da consigliare, quale lettura imperdibile, a colleghi e studiosi anche di altre “regioni” scientifiche, e nondimeno agli studenti e agli operatori più accorti e interessati all’indagine pedagogica e alle pratiche educative, accuratamente fondate. Suddiviso in tre parti, il volume si apre con un’introduzione titolata, non casualmente: “L’abito della ragione”; mentre la prima, “La metapedagogia,

RI-PENSARE LA PEDAGOGIA, RI-PENSARE L’EDUCAZIONE


Recensioni ossia la natura del sapere pedagogico”, si compone di due capitoli: “Il sapere pedagogico” e “I fondamenti della pedagogia come scienza”; la seconda, dedicata a “L’epistemologia pedagogica, ossia la struttura del sapere pedagogico”, consta di quattro capitoli: “L’esperienza educativa e il concetto ordinario di educazione”, “La regione pedagogica e il concetto formale di educazione”, “Le categorie regionali della pedagogia” e “La filosofia critica dell’educazione”; e la terza, “intestata” a “La pedagogia normativa, ossia la logica pragmatica del sapere pedagogico”, si sviluppa in altri quattro, e ultimativi, capitoli: “Dal momento teoretico al momento pragmatico della pedagogia”, “Finalità e direzioni educative”, “Dalle finalità alle metodologie educative” e “La comunicazione e le direzioni educative”. Per chiudere, anzi “senza chiudere”, com’è stile di una prassi, sistemica e sistematica, autenticamente scientifica, con “In luogo di una conclusione. L’utopia dell’educazione permanente”. È impossibile, a questo punto, non rimarcare, doviziosamente, l’eleganza e l’assoluta pertinenza della terminologia impiegata, in un procedere tematico o indice, comprovato nel volume, di rara fattura argomentativa, per cadenze successive di scavo e di fondazione analitica, nondimeno circolari e “catastrofali” nella prospettiva di Dewey e di Thom: dalla pedagogia (natura, struttura, normatività e logica pragmatica) all’educazione (forma, dimensioni, empiria, progettazione, metodi e finalità), e viceversa.

207 Ugualmente, il complesso delle “parole” adoperate, coinvolte nell’ossatura formale e sostanziale del testo, evidenzia apertamente, e non già in filigrana, e nemmeno per “sospetti” o allusioni, l’intera, e migliore, storia dell’epistemologia pedagogica degli ultimi cento anni: teorie, Autori e Scuole, dove ogni singolo “titolo” e ciascuna frase scritta rinviano ulteriormente a una quantità, tutta di “valore”, di prodotti e monografie, noti ed eccellenti, che rimandano parimenti ai più grandi “Nomi” della pedagogia mondiale. Un’ultima “segnalazione”, per concludere, e “dall’interno” (a me particolarmente cara, così come era consona al mio Maestro: De Giacinto): il riferimento al termine “regione” in pedagogia, dalla sua “ontologia regionale” alle “categorie regionali” della stessa. Il ristretto spazio a disposizione di una recensione non mi consente però, a questo punto, di dire o scrivere di più, se non di ribadire la mia gratitudine, che non è soltanto personale, ma collettiva e societaria, a Massimo Baldacci, per il grande “dono” di questa sua ennesima e straordinaria impresa intellettuale, mentre auguro il miglior successo possibile, editoriale e di lettori, a questa “pietra miliare” della ricerca pedagogica, in una prospettiva che può essere definita, senz’ombra di dubbio, quale assolutamente internazionale. Michele Corsi

EDUCATION SCIENCES & SOCIETY


Finito di stampare nel mese di ottobre 2012 dalla Tipolitografia CSR Via di Pietralata, 157 - 00158 Roma - Tel. 064182113 (r.a.) - Fax 064506671


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