Mead

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George Herbert Mead

La socialità del sé A cura di Raffaele Rauty

ARMANDO EDITORE


Sommario

Introduzione di Raffaele Rauty

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LA SOCIALITÀ DEL SÉ

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Il sé sociale di George Herbert Mead

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Il problema della società. Come acquisiamo un sé di George Herbert Mead

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Nota bio-bibliografica

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Introduzione di Raffaele Rauty


1. Tra filosofia pragmatica e psicologia sociale Circondato dalla fama e dall’attenzione rivolta agli autori più famosi della Scuola di Sociologia e alla “tradizione” di Chicago, città nella cui università svolse la sua attività accademica per circa trentasette anni, divenendovi anche protagonista della vita intellettuale e delle iniziative di riforma sociale, George Herbert Mead è stato spesso presentato, o ritenuto nel senso comune, come componente della Scuola di Sociologia. La sua progressiva presenza in tutti i manuali di storia del pensiero sociologico attesta la necessità di prenderlo in considerazione come componente riconosciuto della tradizione sociologica anche se la specificità del suo contributo ha influenzato in modo alterno la sociologia emergente nel Dipartimento di Chicago e i suoi studenti (Fisher, 1936, p. 809; Strauss, 1977, p. xi), ma è sostanzialmente interna alla filosofia pragmatista e alla psicologia sociale. James Carey ricorda (Carey, 1975, p. 50) che Mead, e con lui Dewey, ha svolto un ruolo centrale nella fase di costituzione dell’Università di Chicago, e di questo è stato testimone particolare William James, il quale nel 1902 evidenziò: “l’università di Chicago, nei sei mesi passati, ha maturato il frutto della gestazione di dieci anni realizzata nella gestione di John Dewey. Lo splendido risultato è una scuola reale e una reale corrente di pensiero. Una corrente di pensiero importante. Si sarebbe mai pensato a quella città o a quella università? A volte c’è una cor9


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rente di pensiero ma non una scuola. A Yale una scuola ma non una corrente di pensiero. Chicago ha entrambe” (James, 1926, pp. 201-202). Era la dimostrazione di una grande capacità organizzativa, di una qualità didattica e di acquisizioni emblematiche più generali sul piano dell’insegnamento e della ricerca (Shils, 1991, p. ix). Si trattava, insomma, di una netta vittoria sul piano di quell’impresa che aveva i caratteri, e risultò, come una sfida vincente al dominio della vita accademica in atto nel New England, contesto percepito da molti come più consistente e adatto alle iniziative intellettuali di quanto mai potesse determinarsi nella capitale dell’Illinois (Mead, 1929). Il clima, le contraddizioni dell’emigrazione, le condizioni di vita, il confluire di gruppi etnici, il retroterra completamente estraneo sembravano, tra l’altro, contrastare naturalmente con l’idea di sviluppo di una grande università e con la costruzione di un suo rapporto specifico, conoscitivo e di intervento, con gli affari municipali e i problemi sociali, e, in generale, con la tradizione democratica americana. In realtà, come per altri settori di quell’università, anche la costituzione del Dipartimento di Filosofia ha attraversato positivamente il tempo, a testimonianza e riproposizione di un clima e di una volontà impegnati caparbiamente a promuovere quell’iniziativa nella realtà di Chicago: “One in Spirit, but not in Opinion”, come dichiarò William Rainer Harper, primo giovane e attivissimo presidente dell’Università nel giorno della sua inaugurazione, a tracciare e riconoscere le differenze presenti, le quali avrebbero però dovuto, conservandosi, accompagnare ed esaltare quell’impresa (Goodspeed, 1928; Storr, 1966). Certo l’attività didattica e scientifica di Mead è stata particolarmente significativa per tutti i sociologi (Faris, 1967, p. 99) come per la città 10


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e le sue istituzioni, anche se il riconoscimento avutone dagli studenti è stato comunque alterno e spesso solo implicito, come nel caso di Thomas, pure presente in tre suoi corsi (Lewis, Smith, 1980, p. 229 e ss.). “Virtualmente tutti gli studenti di sociologia seguirono qualche corso con Mead” (Lindsgtrom, Hardert, Johnson, 1995, p. 11), valutazione ridotta dai dati offerti da Smith e Lewis (cit., pp. 196-97), anche se il corso in “Advanced Social Psychology”, che Mead tenne regolarmente dal 1918, era seguito ogni anno da un numero particolarmente alto di studenti. In realtà buona parte del lavoro di Mead trovò eco prima della fase di affermazione e centralità della Scuola di Sociologia, articolatasi in particolare negli anni Venti, mentre il suo successo come teorico centrale nella costruzione dell’interazionismo simbolico, quindi una attenzione rinnovata nei suoi confronti da parte della sociologia, si registrò, di fatto, dopo la sua morte1, quando cominciò ad essere riconosciuto come uno dei più importanti padri fondatori di quell’orientamento. La fase di particolare successo della Scuola, avviata dalla pubblicazione della Introduction to the Science of Sociology (Park e Burgess, 1921), ma identificata con la pubblicazione della ricerca di Nels Anderson (1923), può dirsi quasi conclusa verso la fine del decennio, con i volumi di Zorbaugh (Zorbaugh, 1929) e di Park (Park, 1929), nonostante la pubblicazione di ricerche successive2. In quel periodo, nel quale pure l’elaborazione di Mead prosegue in modo qualificato, è come se, a differenza di quanto avverrà in seguito, la stessa risultasse meno immediatamente percepibile nel Dipartimento di Sociologia3 (e quasi invisibilmente resa più consistente dall’espulsione di Thomas dall’università). L’attenzione alla specificità dei problemi oggetto della riflessione 11


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e dello sviluppo del pensiero di Mead tende anche ad evidenziare la natura americana della sua elaborazione, sostanzialmente distinta dall’approccio europeo in quella sua capacità di “comprendere e indirizzare il comportamento individuale verso modi socialmente compatibili di associazione, premessa per lo sviluppo di una nuova società” (Hamilton, 1992, vol. I, p. 2). George Herbert Mead ha acquisito nel tempo, nella città di Chicago, riconoscimenti progressivi, che ne hanno delineato e documentato partecipazione civile, sensibilità politica, approfondimento scientifico, impegno didattico, capacità di profonda innovazione teorica. Peraltro, come è stato anche per diversi suoi colleghi, per esempio Thomas e Park (Baker, 1973), attraverso l’insediamento, il percorso di studio, l’esperienza delle relazioni e degli interventi lì realizzati, ha distanziato, a più livelli, la realtà originaria circoscritta del piccolo centro di South Hadley, nel Massachusetts, dove era nato, la sua cultura, il suo universo. In particolare gli anni tra l’ultimo decennio del XIX secolo e il Primo conflitto mondiale segnano un periodo di trasformazioni sociali profonde, in una dinamica accentuata delle forze produttive e dell’innovazione tecnologica, che, come e più che nei decenni precedenti, stavano dando luogo a uno sviluppo urbano e metropolitano nel quale i processi migratori hanno contribuito, come a Chicago, a determinare una realtà completamente nuova. Questo processo, con la presenza in alcuni casi inedita delle soggettività professionali che metteva in movimento, non può comunque essere separato da nessun livello della elaborazione teorica e dall’intervento pratico di Mead, come da quella ricerca che aveva consistenti e continue implicazioni per i filosofi del Dipartimento (Diner, 1980, p. 35 e ss.), e che riproponeva un’idea di 12


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sviluppo degli individui sempre connessa con la vita quotidiana e i problemi della città. Peraltro, alla consapevolezza del coinvolgimento individuale di Mead, si aggiungeva quella del ruolo e dell’influenza più generali avuti dal pragmatismo nei confronti delle scienze sociali, anche nella realtà di Chicago, per una promozione della ricerca empirica (Bulmer 1984, p. 29).

2. Mead a Chicago Mead era giunto a Chicago nel 1893, a trent’anni, con un livello di formazione inferiore a quello in genere proprio dei giovani ricercatori; attratto ad Ann Arbor nel 1891 dalla prospettiva dell’insegnamento nell’Università del Michigan, non ha conseguito il Ph.D. a Berlino durante il soggiorno europeo, e, nonostante la complessa ed eterogenea esperienza formativa realizzata, ha alle spalle solo tre anni di insegnamento e quasi nessuna pubblicazione. In realtà, per ora, è soprattutto il riconoscimento di Dewey che gli facilita l’ingresso nella nuova grande università e che lo introduce in una serie di rapporti, come è il caso del settlement, oggetto anche di sua specifica riflessione teorica (Mead, 2010a), nel quale svolge per molti anni un ruolo preminente (ne fu tra l’altro tesoriere)4. Fa parte di questa esperienza un rapporto di analisi, promosso dal settlement, con l’ipotesi di una survey la quale, nello spirito della ricerca e dei risultati di quanto era stato compiuto a Pittsburgh (Kellogg, 1909), avrebbe dovuto realizzare uno studio che verificasse a tutti i livelli le condizioni di vita del distretto nel quale erano insediati gli stockyards (Cook, cit., p. 102). Si trattava di considerare in particolare l’organizzazione 13


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complessiva di quella comunità, la realtà della scuola, del lavoro e la condizione di vita degli individui (University of Chicago Settlement, 1912-14). Del resto l’attività di Mead a Chicago si consolida ulteriormente, non solo nel Dipartimento di Filosofia (Thomas, 1983), quando Dewey5 nel 1905 lascia polemicamente Chicago. La rottura del filosofo si determina per l’insorgere di una serie di contrasti con il Presidente Harper come anche con la propria facoltà, nella quale venne licenziata anche la moglie, frequente mediatrice dei rapporti accademici. Dewey lascia Chicago (McCaul, 1959) per trasferirsi all’università di Columbia dove insegnerà fino al 1929, anno del suo pensionamento (Tiles, 1992; Cochran, 2010). Per un periodo il direttore del Dipartimento diventa Tufts, e, a distanza di poco, Mead. La presenza nell’Università è sostanziale per Mead, non solo per la centralità dell’attività di insegnamento e ricerca nella sua vita ma anche perché l’idea con la quale lavora nel Dipartimento è premessa di una concezione il cui rigore e la cui prospettiva ne travalicano, oggettivamente e soggettivamente, i confini: “l’università non è un ufficio di esperti ai quali devono essere inviati i problemi della comunità… è una parte della comunità al cui interno i problemi della medesima hanno una propria collocazione. E la comunità è organizzata per individuare quale deve essere la cultura ed estrinsecarla; per determinare qual è la specifica formazione professionale e farne oggetto di formazione; per trovare quello che è giusto e quello che è sbagliato, e insegnarlo; per strutturare e riformulare i problemi della ricerca come anche per risolverli; in generale per cogliere, di momento in momento, il modificarsi del significato della vita e individuare il percorso necessario per ravvicinarlo”, dando così senso anche a quello che è giusto 14


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come a quello che è sbagliato (Mead, 1915, p. 351, citato in Diner, 1980, p. 29). Quindi Mead è ripetutamente presente nell’intervento per la riforma sociale, tema di fatto connesso in modo sostanziale e condizionante alla sua elaborazione (Mead, 1899) e che si estrinseca in un rapporto privilegiato, come per Dewey, anche se con un coinvolgimento diverso, con la Hull House. In essa svolge per diversi anni un ruolo centrale come dirigente e anche come collettore di fondi (Cook, cit., p. 102). È impegnato dunque nel sostegno di attività molteplici, dall’assetto e sviluppo della scuola e dei processi formativi (tema centrale all’interno di tutta la sua riflessione), al lavoro e alla realtà della sua organizzazione e di come essa si riverberava sugli individui, dall’immigrazione, e dai processi di inclusione che le erano connessi, alle condizioni delle abitazioni e dei livelli esistenziali nella realtà dell’assetto urbano. Mead (così come la moglie) e la Addams ebbero un lungo rapporto, personale e professionale, condiviso con Thomas, che rafforzò e consolidò, nel tempo, la stima reciproca (Deegan 1990, in particolare pp. 106-21). Peraltro l’attività di riforma di Mead non si ferma alla presenza nel settlement; già nel 1900 è divenuto Presidente del Comitato di Direzione della Chicago Physiological School, per ragazzi impossibilitati sul piano fisico a utilizzare la scuola pubblica, struttura legata all’Università di Chicago, sostenuta dal Dipartimento di Filosofia e Neurologia. Diviene poi direttore della rivista «Elementary School Teacher», organo della scuola fondata da Dewey nel 1896, mentre nel 1908 viene eletto nel Settlement’s Board of Directors, contribuisce alla fondazione della Immigrant’s Protective League, della quale fu vicepresidente dal 1909 al 1919 (Leonard, 1973; Philpott, 1978)6. Fu inoltre presidente 15


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del comitato per l’educazione del City Club, dal 1908 al 1916 (Merriner, 2003), espresse una presenza pubblica diffusa e continua, come nel caso dello sciopero dei lavoratori e delle lavoratrici tessili nel 1910 (Buhle, 1976, pp. 1039-52), e si impegnò, in particolare ma non solo nel periodo prebellico, verso ogni ipotesi di riforma sociale e organizzazione politica coerente.

3. Le opere di Mead Sul piano teorico Mead sembra uno di quegli autori la cui fama e la cui rilevanza crescono esponenzialmente dopo la morte, come di fatto è avvenuto in relazione alla sua elaborazione del behaviorismo come dell’interazionismo (Hamilton, 1992, vol. 1, p. 1). In realtà l’attività di Mead, come ma molto più di quella di Dewey e degli altri pragmatisti attivi nel Dipartimento di Filosofia di Chicago7, era coerente con l’idea che il mondo non rappresentasse una realtà immobile e esterna, e che non ci fosse un movimento verso un obiettivo predeterminato, ma piuttosto che individui e realtà facessero parte di un processo in continuo mutamento, sostenuto dal loro pensiero e dal loro agire. Questa attenzione a una costruzione e ricostruzione di un nesso coerente tra gli ordini costituiti e il processo di rinnovamento è continuamente presente, con una sensibilità costante per il fatto che quel rinnovamento, legato alle trasformazioni della scienza e alle nuove forme della vita sociale, non poteva e non avrebbe mai potuto essere risolto “con qualche punto di vista già determinato” (Dewey, 1936, p. 329). La ritraduzione di questa riflessione deve avere anzitutto come riferimento la valutazione e il riconoscimento sostanziale 16


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delle opere di Mead e della sua elaborazione generale. Nonostante la profonda sottovalutazione della quale spesso è oggetto, legata al senso comune per il quale i suoi lavori principali, corrispondenti alla parte centrale della sua riflessione, sono di fatto postumi, c’è invece una consistente produzione scientifica di Mead pubblicata durante la vita. Si tratta di settantasette articoli, uno o più per ogni anno di attività (Fisher e Strauss, 1979, p. 9) che investono in modo significativo alcuni dei principali temi dell’interesse di Mead. Per esempio alcune idee di psicologia sociale, sviluppo della riflessione elaborata da Dewey (1896), che si ritraducono in articoli pubblicati su rivista entro il 1913 (Cook, cit., p. 68), così come i primi materiali critici favorevoli allo sviluppo di una cultura dell’infanzia e a una critica del sistema scolastico esistente (Mead, 1896), con l’evidenziazione della sua separatezza dalla realtà sociale (Meltzer, Petras, Reynolds, 1980, p. 34). La consapevolezza di questo consente di valutare in modo più compiuto il lavoro svolto dai suoi allievi e amici per portare a pubblicazione il contenuto delle sue lezioni, legate ad argomenti molteplici, espressione della eterogeneità della sua formazione e dei suoi approfondimenti8. È il caso di Mind, Self and Society, organizzato dalle note di lettura stenografiche delle lezioni del corso di Advanced Social Psychology, tenute da Mead nel 1928 al Senior College all’Università di Chicago, alle quali il curatore Charles Morris (1901-1979) ha aggiunto alcuni elementi ricavati anche dalle lezioni del 1930. Tra questi, in particolare, Fragments on Ethic, derivante da una serie di note prese dagli studenti al suo corso. Il testo, evidentemente derivato da una forma orale, per le sue ripetizioni, il carattere a volte prolisso e a volte non sufficientemente stringente del discorso, mostra, a più 17


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livelli, limiti consistenti, ripetizioni, circonvoluzioni che forse gli stessi allievi di Mead non hanno voluto evitare (Morrow, 1935, pp. 587-88; Burke, 1939; Lee, 1945), con il risultato di far trapelare anche qualche contraddizione all’interno del testo (Lewis, Smith, 1989, p. 121)9. D’altro canto i curatori, gli studenti, ma soprattutto Morris, al di là della meritorietà del lavoro svolto, non ne hanno mai chiarito i principi ispiratori, così che a volte sembra difficile, “valutare se una affermazione è di Mead o di Morris” (Joas, 1997, p. 267), situazione non migliorata ma caso mai, anche se positivamente, accentuata dalle edizioni curate da Miller e Reck10, tanto che sembrerebbe desiderabile, ma non facile da realizzare, una edizione critica delle opere di Mead, in grado di restituire la certezza del testo (Joas, cit.)11. A questo c’è da aggiungere che Mead non aveva la fama di conferenziere comunicativo (Carter, 1972, citato in Harper, 1987, p. 156), né di persona che gradisse molto la discussione sulle proprie esposizioni (Carey, cit.). Il riferimento all’attività per la riforma sociale svolta da Mead non è legato solo alla documentazione di un percorso, ma anche e soprattutto alla percezione del rapporto che unisce la sua elaborazione alla presenza (ed alla trasformazione) sociale, così da tenere fermi i processi centrali dello svolgimento del suo pensiero ma comprendere il nesso tra quella riflessione e l’intervento sociale svolto. Deegan e Burger ricordano il rapporto tra Mead e la riforma sociale (1978), sottolineato peraltro dallo stesso autore nei suoi caratteri e nel suo significato: “Noi facciamo questo: risolviamo i problemi, e quei problemi possono manifestarsi solo nell’esperienza dell’individuo. È quello che conferisce importanza all’individuo, che gli dà un valore indefinibile” (Mead, 1936, p. 411), anche 18


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perché la scienza è “Lo strumento attraverso il quale il genere umano, la comunità, conquistano il controllo del proprio ambiente” (Mead, cit., p. 360). In questo senso il rapporto tra l’uomo di scienza e la disciplina non è dogmatico, è in movimento all’interno della sua teoria, consapevole che quanto può trovare non è destinato a mantenersi in forma perenne, ma piuttosto a poter diventare rapidamente eccezione rispetto a quanto dato e quindi principio di ulteriore trasformazione (Mead, 1936, p. 265). Infatti le procedure e il metodo dello scienziato presuppongono una ricostruzione continua, a fronte di una realtà che si modifica in modo incessante e ininterrotto. In rapporto a queste premesse si deve riconoscere che nell’elaborazione di Mead il fondamento della solidarietà umana è al centro della teoria del sé: “la conoscenza del ruolo dell’altro, condizione necessaria ma non sufficiente, rappresenta il punto di vista della solidarietà etica” (Feffer, 1990, p. 252), premessa, e nello stesso tempo contenuto, del rapporto legato al tipo di coscienza umana, capace di rendere possibile, nel suo sorgere dall’esperienza, quel progresso (Fisher, Strauss, 1979, p. 11).

4. Il sé sociale Mead evidenzia fin dalle prime pagine di Mind, Self and Society che la psicologia sociale è behavioristica nel senso che muove dall’attività che può essere osservata, nel processo dell’azione, e degli atti sociali che la compongono, ma non lo è completamente perché non accetta di ignorare l’esperienza interiore dell’individuo, anzi è particolarmente interessata alla genesi di quel processo 19


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nel suo complesso. Quindi a un nesso che sembra in prima istanza riprodurre o riecheggiare quel behaviorismo si somma una netta differenziazione teorica. Si muove dunque dall’esterno all’interno per determinare come quelle esperienze sorgano all’interno del processo lungo il cui percorso emerge il significato. È una critica del behaviorismo che muove dalle stesse ipotesi di Watson, ma che nella accezione di behaviorismo sociale, a differenza dell’altro, inserisce un approccio che ricomprende l’attività nascosta, interna. Viene così superata la meccanicità di come Watson vede quel comportamento, per cui l’individuo non risponde meccanicamente a stimoli esterni, ma il suo comportamento è sociale, interno alle relazioni sociali, così come sociali sono le azioni umane, degli individui. Del resto tutta la società umana è sostanziata, per Mead, da un comportamento cooperativo che non ha radice fisiologica e che non può essere rapportato alle dinamiche presenti nel mondo animale. La mente umana è infatti il prodotto del progressivo adattamento dell’umanità al suo ambiente, un ambiente che si modifica nel corso dell’adattamento secondo i bisogni, in un processo che non è comunque specifico solo della dimensione umana. Esso prevede che le azioni dell’individuo comprendano le intenzioni degli altri e su quella base, quasi in modo indiretto, diano la loro risposta. In questo modo i gesti, in una dimensione non umana e non linguistica, non sono portatori di un significato o di una volontà consapevole, non hanno la mediazione del significato, in un adattamento che ha quasi carattere istintivo. Perché ci sia risposta sulla base delle intenzioni e dei significati il gesto deve divenire simbolico, deve essere interpretato, ricomprendere, a quel livello, l’intero atto. In questo senso il soggetto si dà indicazioni attraverso un 20


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processo che matura all’interno della assunzione di ruolo (role-taking) o anche a un rapporto con l’atteggiamento degli altri. Per Mead il fatto che un essere umano risponda ai propri gesti presuppone il possesso di un sé, prodotto di un rapporto sociale, cioè che la sua azione, nata e situata all’interno della società, non è rivolta solo verso gli altri ma anche verso se stesso: “il sé agisce in rapporto agli altri ed è immediatamente consapevole degli oggetti circostanti” (Mead, cfr. nel testo)12. È un processo specifico degli individui umani, che si danno indicazioni e agiscono nei propri confronti nei modi più eterogenei, utilizzando il linguaggio e il processo comunicativo nelle sue varie forme, e in questo interpretano sempre il comportamento degli altri, attenti ai simboli significanti (significati di quei gesti che sono comunque la prima forma di comunicazione) espressi che ne ritraducono le volontà, più o meno esplicite o latenti. Reagiscono a questa dimensione esprimendo, a loro volta, una serie di comportamenti (atti sociali) come risposte: “È il meccanismo del gesto che rende possibili le risposte reciproche appropriate fra i comportamenti dei differenti organismi nel processo sociale. Nell’ambito di ciascun atto sociale si verifica, per mezzo dei gesti, un aggiustamento dell’azione di un organismo, implicato verso l’azione di un altro” (Mead, 2010, p. 53). I simboli consentono all’individuo di ritardare la sua risposta, di riconoscere caratteristiche particolari degli oggetti presenti nella situazione così da poterli considerare come mezzi per i fini, impegnandosi in una conversazione interna attraverso la quale la situazione può essere ricostruita sul piano immaginario: “il sé si forma …attraverso le definizioni date dagli altri” (Meltzer, 1967, p. 10). Quei simboli consentono inoltre 21


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l’identificazione di alternative, la loro organizzazione, verifica, selezione (o scelta), per costruire una strategia d’azione prima della risposta diretta: “Il pensiero simbolico diventa così il fondamento della ragione umana, della riflessione, della scelta razionale (o deliberativa) e della risposta ritardata. Il simbolo occupa una posizione strategica nella capacità umana di agire” (Hinkle, 1980, p. 319). Quei simboli consentono la transizione dalla conversazione dei gesti al rapporto esplicito con i ruoli degli altri. Per Mead dunque il significato sorge solo dalla comunicazione, per cui il rapporto individuo-società, e l’ordine, regolazione determinata da un controllo sociale, che ne consegue, deriva dalla consapevolezza di una dipendenza reciproca, così come la realizzazione dell’azione sociale indica il processo che rende la società umana possibile. La questione della comunicazione nella società era stata in modo ripetuto al centro della riflessione teorica; già Cooley, nell’indicare i tre aspetti della coscienza (coscienza, coscienza sociale, opinione pubblica) tutti sostanziati nella loro esistenza dalla comunicazione, aveva evidenziato il rapporto inscindibile di questa con l’esistenza e lo sviluppo delle relazioni umane, ricomprendendo nella stessa tutti i meccanismi dello spirito come anche le strumentazioni tecnologiche che “li trasmettono nello spazio e li preservano nel tempo” (Cooley, 2010, p. 69). E Dewey aveva ricordato in particolare la connessione, molto più che verbale, esistente tra i termini comune, comunità e comunicazione: “Gli uomini vivono in una comunità in virtù delle cose che hanno in comune, e la comunicazione è il modo nel quale vengono in possesso di cose in comune. Quello che devono avere in comune sono obiettivi, credenze, aspirazioni, conoscenza – una 22


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comprensione comune” (Dewey, 1916, pp. 5-6). Ovviamente in questo processo assume un ruolo determinante il linguaggio, forma comunicativa generalizzata e approfondita, base dei significati condivisi che attraversano la società e gli individui che ne fanno parte. Del resto l’individuo al quale fa riferimento Mead è riflessivo, consapevole, creativo e sociale e dunque non subisce un’influenza biologica sovradimensionata. Di conseguenza quel sé è anche strettamente connesso alla comunità e alla società umana, dovendosi presupporre che solo una opportunità diffusa di comunicazione e significato per tutti i membri della società possa provocare, in un processo che si costruisce e si determina sin dall’infanzia, un corretto sviluppo e rapporto tra l’individuo e gli altri (Deegan, cit., p. 108). E nonostante il rapporto teorico e di frequentazione con le lezioni di Wundt, da questo consegue e si rafforza un ideale di democrazia come anche un impegno sociale, per la realizzazione di quella democrazia alla quale è essenziale la consapevolezza della natura dell’esperienza. Allo stesso modo la società alla quale pensa Mead è una società in trasformazione, intrisa “di ottimismo, di pensiero progressista, di liberalismo, e pragmatismo” (Deegan, 1990, p. 106). Il rapporto con l’atteggiamento degli altri, abbiamo detto, è un percorso al quale Mead ha dedicato parte consistente della sua riflessione e che presuppone dunque un’azione connessa con loro, perché dare indicazioni a un’altra persona presuppone la necessità di assumerne il ruolo, azione nella quale è centrale il processo comunicativo (che si realizza quando il gesto si traduce in indicazione). Ciascuno dei due partecipanti al processo deve assumere il ruolo dell’altro per cogliere il significato del gesto o dell’indicazione: “L’interazione tra gli 23


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esseri umani a livello simbolico è rappresentata da una sequenza successiva di indicazione, interpretazione, decisione di risposta, e realizzazione di quella risposta, nella quale la risposta manifesta serve come indicazione della possibilità di iniziare una nuova sequenza in direzione opposta, e così via” (Morrione, 2004, p. 29). Peraltro il fatto che i soggetti possano rispondere ad un altro presuppone che abbiano un sé e questo sé sviluppa l’azione verso se stesso, il quale, nella sua conversazione interna, deve vedersi dal punto di considerazione dell’altro generalizzato (consapevolezza, all’interno dell’individuo, degli altri e della società nel suo complesso). In rapporto a questo la mente, che non ha una consistenza predeterminata e immobile, è in rapporto con l’attività simbolica, con il pensiero e con l’attività di relazione dell’individuo, con i significati che di volta in volta, in quell’attività processuale, si determinano e, a loro volta, determinano gli oggetti. Quindi quella società, centrale nella riflessione di Mead, alla quale viene attribuita l’interazione simbolica, nello stesso tempo precede la nascita dei sé e delle menti individuali, ma è anche sostenuta (riprodotta) dai sé e dalle menti: “Questo significa che l’interazione simbolica è il mezzo tanto per lo sviluppo degli esseri umani quanto del processo attraverso il quale gli esseri umani si associano in quanto esseri umani” (Meltzer, 1967, p. 19). Tutto questo contribuisce a ribadire, anche se semplicemente e parzialmente qui delineate, una ricchezza, fecondità e interdisciplinarietà del pensiero di Mead che con il passare degli anni ne sviluppano il senso del retroterra formativo, la dimensione teorica e l’influenza sugli altri pensatori oltre che il contributo diretto all’analisi della società americana. 24


Raffaele Rauty NOTE 1 Probabilmente, ma non solo, a partire dal saggio di Blumer (1937) che coniava il termine di interazionismo simbolico. Già nel 1920, comunque, la sua centralità era divenuta così evidente da poter essere definito il “cosmologo” di quel gruppo (Morris, 1970, p. 189). 2 Nel 1930 viene pubblicato il lavoro di Shaw (1930), poi quello di Frazier (1931), nel 1932 contemporaneamente ai lavori di Cressey (1932), viene pubblicato il primo lavoro di Mead postumo, seguito nel 1933 dal volume di Reckless e nel 1936 dall’altro di Hayner; poi sono pubblicati lavori di Sutherland (1937). È del resto emblematica la citazione quasi marginale che Park e Burgess fanno, nel loro manuale, della elaborazione di Mead (Park, Burgess, cit., pp. 424 e 426). 3 Per esempio Mead non fece mai parte della Society for Social Research, delle cui riunioni fu oratore una sola volta, nel 1929 (Harper, 1987, p. 156). 4 Dewey fu membro del Board of Trustees dal 1897 al 1903 e Mead vi iniziò a tenere conferenze nel 1897 (Cook, cit., pp. 100 e 206). A partire dal 1907 Mead ne divenne oratore ufficiale alla cerimonia della domenica. 5 Dewey, molto attivo nella politica sociale a Chicago, dove aveva rapporti con la Civic Federation, il Chicago Women’s Club, la Cook County Normal School; nel 1899 era divenuto presidente dell’American Psychological Association e nel 1905 presidente dell’American Philosophical Association. 6 L’organismo aveva il compito di tutelare dallo sfruttamento gli immigranti arrivati da poco e di favorirne il processo di inclusione attraverso il reperimento di un lavoro e di un’abitazione, l’acquisizione della lingua, il rapporto positivo con i modelli culturali statunitensi. All’impresa oltre a Mead parteciparono Grace Abbott come direttore esecutivo, Sophonisba Breckinridge come segretario, Ernst Freund che ne fu presidente.

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Oltre a Mead lavoravano con Dewey nel 1894, Charles A. Strong, docente di psicologia (che nel 1895 lasciò Chicago per l’Università Columbia), Julia E. Bulkley, docente di pedagogia, James H. Tufts, che lo aveva preceduto a Chicago, segnalandolo al Presidente Harper ed era editore di «School Review» e di «International Journal of Ethics», e che diresse il Dipartimento al momento della partenza di Dewey; inoltre, Edward Scribner Ames, e Addison W. Moore, i quali divennero professori associati rispettivamente nel 1895 e nel 1900. (Cook, cit., p. 201; Rucker, 1969). 8 Tra i temi trattati: Hume, Leibniz, Henri Bergson, la metafisica di Aristotele, la fenomenologia di Hegel, il problema della coscienza, razionalismo e empiricismo, la logica delle scienze sociali, elementi di etica, la filosofia della scienza, la filosofia dell’educazione (Mead Papers, citato in Renger, 1980, p. 115). 9 Tra questi orientamenti critici rispetto alla forma finale della trascrizione di queste lezioni vanno ricordate le osservazioni contenute nell’articolo di Fine e Kleinman (1986, p. 130 e ss.) con i riferimenti alla complessità ed anche all’ambiguità comunque oggettivamente presente non solo nella forma orale del discorso ma anche nella sua ritraduzione scritta, che entra peraltro in rapporto con un “uditorio-lettore” invisibile (Parker, Lenertz, 1978, citato in Fine, Kleinman, cit.). 10 Le opere di Mead sono raccolte in più volumi, uno è quello interno alla serie più classica della Chicago University Press, la The Heritage of Sociology, curata da Anselm Strauss (1977), l’altro è il volume curato da Andrew Reck (1964), composto da venticinque articoli pubblicati in vita da Mead, tutti tranne tre dei quali riprodotti integralmente. 11 Analogamente Movements of Thought in the Nineteenth Century deriva soprattutto dagli appunti presi dagli studenti ai suoi corsi nella primavera del 1928, più alcune note derivanti dalle lezioni del corso su Bergson tenuto da Mead nello stesso periodo (Cook, 1993, p. xvii).

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Il passaggio è contenuto nel testo pubblicato attestante la conferenza alla Western Philosophical Society. La società , fondata a New York il 2 luglio del 1901, della quale era stato primo presidente Tilly, aveva contribuito, insieme alla prestigiosa American Psychological Association, al processo di istituzionalizzazione della sociologia ed alla successiva fondazione della American Philosophical Association; la sede di rilievo ha probabilmente contribuito alla forma del testo di Mead, contenuta nella sua estensione, ma soprattutto estremamente densa, quasi troppo sintetica in alcuni passaggi.

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Introduzione

Riferimenti bibliografici

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