Millennium - Incontri con l'architettura

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Santiago Calatrava Il territorio della scultura

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antiago Calatrava è in assoluto uno dei protagonisti dell’architettura contemporanea la cui opera sia maggiormente riconosciuta e riconoscibile. Uno stato di “sospensione” permea tanto il suo profilo professionale e teorico quanto le sue opere – sospensione concettuale tra l’architettura e l’ingegneria, tra la natura e l’artificio, tra il passato e il futuro, o pura e semplice “sospensione” fisica dei corpi in lotta contro la legge di gravità – facendo di Calatrava un caso pressoché unico nel panorama dello star system architettonico. Questa condizione sospesa rende anche difficilmente descrivibile l’autore: tanto riconoscibili e spesso desiderate dalle committenze pubbliche e private sono le sue opere, quanto sfuggente e poliedrico è il suo profilo teorico e poetico. Gotico o neo-gotico o neo-neo-gotico se si osservano lo slancio verticale e le suggestioni vegetali delle gallerie coperte in vetro e acciaio, oppure l’attrazione per la plastica osteologica – pari solo a quella di Gaudí (ma gli scheletri di Calatrava si muovono anche!). Rinascimentale se se ne analizza la duplice affinità con le arti e le meccaniche, come un Da Vinci redivivo, o se ci si perde nella contemplazione dei suoi cahiers segreti, densi di schizzi ad acquerello e di appunti per architetture alate e macchine-scultura. Moderno (nel senso di “prima Modernità”) se si guarda alla fascinazione per le figure storiche dell’architettura del Novecento, e alle influenze che personaggi come Le Corbusier, Candela o Nervi hanno esercitato sul suo lavoro; sempre moderno se se ne considera il quasi totale disinteresse per il tema contemporaneo, contemporaneissimo, della “pelle”, a favore invece del moderno, modernissimo, “corpo”. Contemporaneo (o post moderno, o “della Seconda Modernità”, secondo il costrutto teorico sotteso), se si considera la preponderanza della libertà formale ed espressiva rispetto al rigore e all’economia di calcolo e strutturale, per non dire della sopraccennata facilità e leggerezza (de facto) nel trascorrere da un’influenza storico-stilistica a un’altra, anche all’interno di un medesimo progetto. O se ci si focalizza sulla mancanza nelle sue architetture (per non dire del lavoro come scultore) di un materiale d’elezione. Imprendibile, magniloquente, tecnicamente così “ferrato” da apparire folle. Indescrivibile, così come le sue architetture, se non ricorrendo all’artificio rappresentativo dei piani di sezione – “da A ad AI” – tendendo delle invisibili cordicelle tra coppie di concetti, nomi e suggestioni: “dall’Architettura all’Ingegneria”, “dal Movimento alla Materia”, “dall’Edilizia al Monumento”, o forse anche “da Calatrava a Calatrava”.


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