Millennium - Incontri con l'architettura

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Il cantiere, luogo dei saperi Aldo Colonetti

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L’architettura è cantiere e, nello stesso tempo, appartiene al processo educativo, perché tutti noi abitiamo l’architettura, il più delle volte in modo inconsapevole. La storia dell’uomo è parallela alla storia delle abitazioni, ovvero come proteggersi dal mondo esterno, sia per ragioni individuali sia per la difesa della propria identità territoriale. Nonostante questo aspetto antropologico, e direi quasi strutturale, del ruolo dell’architettura all’interno della macrostoria, ma anche nella microstoria, come scrivevano i grandi storici francesi degli Annales, in particolare Fernand Braudel, questa disciplina è sempre stata un po’ ai margini sia dei processi formativi sia sul piano della comunicazione e dell’informazione, come se appartenesse soltanto agli specialisti, e non coinvolgesse direttamente le nostre abitudini. Questo modo di intendere l’architettura è comune a tutte le società contemporanee, ma in modo particolare nel nostro Paese dove, ad esempio, a differenza di altre realtà europee e nordamericane, non c’è alcun quotidiano che ogni settimana affronti l’architettura come accade per il cinema, il teatro, lo sport. Piccole notizie a margine, in prima pagina quando accade un fatto tragico, e quasi mai con il rilievo che meriterebbe quando invece assolve alle sue funzioni, funzioni che interagiscono con la vita quotidiana. Il nostro è un Paese dove la divulgazione è sinonimo di conoscenza non approfondita, per cui l’architettura, come tante altre discipline (basti pensare al design) con le quali abbiamo rapporti tutti i giorni, rimane ai margini delle competenze, dei saperi, facendo anche un cattivo servizio nei riguardi di tutti coloro, dagli architetti alle imprese, che sono coinvolti in questa straordinaria attività progettuale. È necessario considerare l’architettura dal punto di vista del “fare”, partendo dal cantiere per arrivare fino agli aspetti interpretativi, ovvero educare attraverso l’architettura perché, solo così, è possibile migliorare le nostre città e il nostro territorio. È un rovesciamento copernicano, non facile in un Paese come il nostro, ancora di forte tradizione crociana, dove le tecniche, i materiali, il saper fare bene il proprio mestiere, non sono al centro degli interessi delle nostre istituzioni. Per questa ragione ben vengano le iniziative come quella di Italcementi attraverso il progetto Millennium; una iniziativa che ha ospitato, nell’arco di alcuni anni, i migliori architetti a livello internazionale. Ospitati per parlare del “fare architettura”, il tutto rivolto a un pubblico non solo di progettisti. Da qui è necessario partire per fare alcune considerazioni dedicate all’architettura, intesa come disciplina che, attraverso le proprie specializzazioni, configura e quindi condiziona, più di tanti altri fenomeni culturali, la nostra esistenza, sia a livello temporale sia per quanto riguarda la relazione con lo spazio e le specifiche territorialità che costituiscono la trama dei nostri orientamenti. Non vi siete mai chiesti come mai in un Paese, vicino e simile al nostro come la Francia, da sempre l’architettura rappresenta la più immediata e diretta attività culturale, capace più delle parole e delle immagini, a caratterizzare un determinato territorio; la Provenza rispetto alla Normandia, la Bretagna da un lato e la Borgogna dall’altro? Tutto questo, senza impedire alla contemporaneità di esprimersi con progetti innovativi e non prevedibili; basti pensare al Beaubourg di Renzo Piano e Richard Rogers. C’è sempre un Paese, dietro qualsiasi progetto architettonico; proba-


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