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Rivista semestrale pubblicata da Six Monthly Magazine published by Italcementi Group via Camozzi 124, Bergamo, Italia Direttore responsabile Editor in Chief Sergio Crippa Caporedattore Managing Editor Francesco Galimberti Coordinamento editoriale Editorial Coordinator Ofelia Palma Realizzazione editoriale Publishing House l’Arca Edizioni spa Redazione Editorial Staff Elena Cardani, Carlo Paganelli, Elena Tomei Autorizzazione del Tribunale di Bergamo n° 35 del 2 settembre 1997 Court Order n° 35 of 2nd September 1997, Law Court of Bergamo

Per un pugno di gradi

■ Global ■

Stavros Dimas

■ News ■

Il nuovo clima The New Climate

Interview with Björn Stigson

Un forte impegno strategico all’insegna dell’eco-immaginazione

A strong strategic commitment to ecomagination

Intervista a Giuseppe Recchi

Interview with Giuseppe Recchi

Lester R. Brown

Una strategia energetica per stabilizzare il clima

An Energy Strategy To Stabilize Climate

Harlan L. Watson

Bush vuole una via flessibile

Bush is Seeking a Flexible Approach

Roberto Della Seta

Non solo Kyoto, ma politiche innovative

Not just Kyoto, but more innovative policies

Cinzia Abbate

Sostenibilità: tra intendere e ascoltare

Sustainability: between Hearing and Listening

Testi a cura / Texts by Carlo Paganelli

Tenda metropolitana

Metropolitan Tent

Progetto di Samyn and Partners

Project by Samyn and Partners

Rinascimento sostenibile

Sustainable Renaissance

Progetto di Piero Sartogo, Nathalie Grenon

Project by Piero Sartogo, Nathalie Grenon

Nel flusso della velocità

In the Flow of Speed

Progetto di Makoto Sei Watanabe

Project by Makoto Sei Watanabe

Trasparente, complessa, misteriosa

Transparent, Intricate, Mysterious

Progetto di Kengo Kuma

Project by Kengo Kuma

Nelle sabbie del cosmo

In the Sands of the Cosmos

Progetto di Auer+Weber+Architekten

Project by Auer+Weber+Architekten

Sostenibilità morfogenetica

Morphogenetic Sustainability

Progetto di Paolo Cascone

Project by Paolo Cascone

Il futuro in forma

A Future in Good Form

Progetto di un pool di architetti internazionali

A project by a pool of international architects

Meeting the Climate Change Challenge

All’insegna dello sviluppo sostenibile Under the Banner of Sustainable Development

Copertina, la casa per gli uccelli progettata da William Alsop

www.italcementigroup.com

Intervista a Björn Stigson

aV

La sfida dei cambiamenti climatici

aV

■ Projects

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A Fistful of Degrees

Porte aperte allo sviluppo sostenibile

Open Doors to Sustainable Development

Italcementi Group: ricavi +8,6% nei primi nove mesi

Italcementi Group: revenues up 8.6% in the first three quarters

Arcangelo Sassolino: artista, carpentiere e filosofo

Arcangelo Sassolino: artist, carpenter, and philosopher

Cover, the Birdhouse designed by William Alsop

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Chiuso in tipografia il 15 novembre 2005 Printed November 15, 2005


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Per un pugno di gradi A Fistful of Degrees

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e il clima economico, inteso come complesso di situazioni politiche e sociali che caratterizzano un determinato periodo, è sempre stato uno dei parametri di riferimento per la definizione delle attività di qualsiasi impresa, non meno fondamentale sta diventando in questi anni l’attenzione dell’economia reale per il clima inteso nella sua accezione originaria come insieme delle condizioni meteorologiche. Un elemento – per mutuare un riferimento alla dialettica sindacale di tempi meno recenti – che non si può più ritenere come “variabile indipendente” del valore della produzione e in generale dell’economia. In altre parole il fattore clima non può più essere inteso solo come un semplice costo da cui proteggersi con eventuali paracaduti assicurativi (seppure di significativo valore come sanno bene le compagnie di riassicurazione). La globalizzazione dell’economia da un lato e la maggiore attenzione per garantire uno “sviluppo sostenibile” come condizione necessaria per una crescita duratura dall’altro, hanno imposto al mondo delle imprese e in generale alla politica economica internazionale di affrontare in un quadro sistematico questo problema. Avvenimenti climatici terribili come i recenti uragani negli Usa o le alluvioni che hanno iniziato a colpire frequentemente l’Europa con caratteristiche quasi tropicali, hanno portato molti economisti a lanciare un allarme sull’impatto di questi eventi sulla crescita mondiale. Non saranno solo gli Usa, quindi, a dover pagare il tributo economico a Katrina con una contrazione di circa mezzo punto della crescita del Pil previsto per il 2005, così come non si potrà isolare geograficamente ogni altra conseguenza di un mutamento climatico i cui effetti sono d’altro canto ancora ben lungi dall’essere definitivamente identificati. Ma non per questo possono essere male interpretati o sottovalutati. Il confronto fra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo verso un maggiore equilibrio economico non può quindi prescindere da questo argomento. Un pugno di gradi di calore in più sulla Terra, per le sue potenzialità catastrofiche, non può essere il pegno da pagare per garantire lo sviluppo. D’altra parte la crescita economica, intesa come maggiore benessere globale, non può essere fermata sancendo ancora di più la cesura fra un’area (minoritaria) di benessere e una zona del mondo (che ne rappresenta la maggioranza) che sempre più intensamente sostiene il suo ruolo crescente nel panorama della economia globalizzata. Non può quindi esistere il falso problema “o crescere o inquinare” ma piuttosto si deve trovare una soluzione per “crescere in maniera sostenibile” (e non solo a livello ambientale). L’attenzione in questi ultimi tempi si è quindi spostata sul tema del controllo delle emissioni di carbonio, su una loro programmazione coerente con un impegno alla riduzione pur in un quadro che tenga conto delle necessità di crescita dell’economia. Il Protocollo di Kyoto, entrato in vigore all’inizio del 2005, prevede ad esempio per i paesi della Ue un calo delle emissioni di gas serra in media dell’8% (rispetto al 1990) fra il 2008 e il 2012. La Ue – come sottolinea in questo numero di arcVision il responsabile comunitario per l’ambiente Stavros Dimas – ha già affrontato i primi passi fra cui il Protocollo di Kyoto “che sebbene presenti alcune debolezze, è un passo in avanti nella giusta direzione”, soprattutto grazie al programma ETS che oltre a coniugare meccanismi (finanziari) di mercato con le necessità del settore industriale, incentiverà il trasferimento di tecnologie ecocompatibili verso le nazioni in via di sviluppo. E anche gli Usa, che pure non hanno aderito al protocollo, rimarca Harlan L. Watson del Dipartimento di Stato, sono impegnati su un piano a lungo termine di riduzione delle emissioni. La cooperazione fra i diversi paesi in un’ottica di sviluppo sostenibile – sostiene poi Björn Stigson, presidente del World Business Council for Sustainable Development – è un impegno irrinunciabile anche alla luce degli sviluppi industriali (e conseguentemente della maggior richiesta di energia) già on-going dei principali PVS, Cina e India in primo piano. Ma se Kyoto è uno dei mezzi per raggiungere lo scopo di minori emissioni di gas serra – sottolinea Lester R. Brown, fondatore dell’Earth Policy Institute, nel suo Plan B 2.0: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble – un altro tema fondamentale è quello dell’efficacia dei sistemi di produzione di energia, soprattutto con tecnologie che non utilizzino fonti fossili e non rinnovabili. Un primato, quello dell’efficienza energetica, che fino agli anni 80 – ricorda Roberto Della Seta, presidente di Legambiente – era, fra i paesi europei, appannaggio dell’Italia. Il dibattito è avviato e necessita di continui contributi. Sviluppo sostenibile ed efficienza energetica applicate sul campo sono le linee guida della sezione Projects di questo numero. Se un edificio deve essere “poesia e macchina” i progetti illustrati ne sono un esempio. Le necessarie revisioni delle legislazioni edilizie sono invece lo strumento perché queste dimostrazioni siano il punto di partenza per una applicazione di nuovi standard energetici.


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f the economic climate, taken as that set of political and social conditions that characterize a certain period, has always been one of the main parameters for examining company performance, the last few years have seen increasing importance being given by economists to the climate, taken as a set of meteorological conditions. An element—to borrow a collective bargaining term from slightly less recent times—that can no longer be called an “independent variable” for output and general economic values. In other words, we can no longer think of the climate as an additional cost which requires us to take out extra insurance (although it is this too, as insurance companies know only too well). The global economy on the one hand, and greater interest in guaranteeing “sustainable development” as a way of ensuring long-term growth on the other, have forced the business world (and, on a wider scale, the international political economy) to take a more systematic approach to dealing with this problem. Climatic disasters such as the recent hurricanes in the US or the widespread (almost tropical) flooding in Central Europe had set off alarm signals in the minds of many economists about the impact of such events upon worldwide growth. It will not only be the US who have to pay tributes to the goddess Katrina, after a GNP reduction of approximately half a point in 2005, nor can climatic changes be limited geographically. Indeed, a proper understanding of the effects of climate change is still a long way off. However, this should not represent a sufficient reason to undervalue or misinterpret them. Discussions between industrialized and developing countries about better economic balance will ignore this problem at their peril. A fistful of degrees of worldwide temperature rise, and the catastrophe that such a thing would entail, cannot be the tribute we have to pay to guarantee development. On the other hand, economic growth—taken as a worldwide improvement in living conditions—must not be stopped, endorsing even further the gap between a few rich nations and all the other countries, who are becoming increasingly important for the global economy. The problem of “growth versus pollution” does not exist, but we have to find some solution to provide for "sustainable growth" (and not just in environmental terms). People’s attention has recently been concentrated on reducing carbon emissions and on long-term plans for reduction commitments, without forgetting about economic growth. The Kyoto Protocol, which came into force earlier 2005, ordered an average reduction in greenhouse gases in the EU of 8% (over 1990 figures) between 2008 and 2012. The EU—as the European Commissioner for the Environment Stavros Dimas states in the current issue of arcVision—has already taken its first steps down the Kyoto path which, “in spite of some weaknesses, was a step in the right direction.” It has mainly been with the ETS program, which will not only provide market-based (financial) mechanisms for EU-based industries but it will also create additional incentives for businesses to transfer eco-compatible technology to developing nations. Even the United States, which have not signed up to Kyoto, Harlan L. Watson of the US Department of State says, are committed to long-term emission reductions. Cooperation between countries on sustainable development—stresses Björn Stigson, President of the World Business Council for Sustainable Development—is a vital commitment we must make, especially in view of the ongoing industrial expansion (and therefore greater energy demands) in some major developing countries, with China and India in the front line. However, if Kyoto is the best way of reducing greenhouse gas emissions—as Lester R. Brown, founder of the Earth Policy Institute writes in Plan B 2.0: Rescuing a Planet under Stress and a Civilization in Trouble—another fundamental area is efficiency in energy production, especially the use of technology that does not require fossil and non-renewable fuels. Speaking of energy efficiency, what ever happened to Italy—asks Roberto Della Seta, President of Legambiente— which was once, at least until the 1980’s, the European leader in this area? Discussion is still on-going, and needs further input. Sustainable development and energy efficiency applied to architecture are dealt with in the Projects section of this issue. If a building must be “poetry and machinery,” the projects illustrated are an example. And amendments to current building regulations will be the mean to make those projects the starting point for the application of new energy standards.

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La sfida dei cambiamenti climatici Meeting the Climate Change Challenge di Stavros Dimas* by Stavros Dimas*

Gli strumenti della Ue per contrastare il surriscaldamento terrestre non si fermano ai cancelli dell’Europa The instruments used by the EU to fight global warming do not merely extend as far as the European boundaries

Stavros Dimas

I cambiamenti climatici rappresentano una sfida da affrontare a livello globale e necessitano quindi di una risposta coerente a livello globale. Una sfida che impone nuove politiche ambientali ed energetiche, più efficaci strategie tecnologiche ed economiche e l’imprescindibile riformulazione delle regole della cooperazione per incrementare le sinergie tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. arcVision ha provato a fornire un’analisi dell’attuale scenario attraverso gli interventi di autorevoli esponenti del mondo economico e istituzionale. Climate change is a global challenge requiring global action. A challenge to develop new energy and environmental policies, more effective technological and market-based strategies, and a necessary revision of cooperation rules to enhance synergies between developed and emerging countries. arcVision provides an analysis of the current situation featuring the opinions of prominent personalities from business and public sectors.

L’

impegno sul tema dei cambiamenti climatici è una delle principali sfide con cui il futuro del mondo dovrà confrontarsi. In questo quadro l’operato dell’Unione europea, quello che ha già fatto e che ha intenzione di realizzare nel prossimo futuro, non può certamente essere un programma che si ferma ai confini dell’Unione ma dovrà essere affrontato in cooperazione con gli Stati Uniti e con il resto del mondo. Perché è un problema globale. Basta un esempio concreto per dimostrare cosa comportino oggi i cambiamenti climatici. La scorsa estate, i gestori della famosa località sciistica di Andermatt, in Svizzera, hanno deciso di coprire una parte del ghiacciaio di Gurschen con un enorme telo isolante. Il ghiacciaio si stava sciogliendo e, negli ultimi 15 anni, si è ritirato di ben 20 metri rispetto alla funivia: in assenza di nevicate, gli sciatori non possono più raggiungere il ghiacciaio. Nel 2006 l’intero ghiacciaio sarà avvolto nel telo isolante per tutta l’estate. A quanto mi è dato di sapere, al momento questo disperato tentativo di salvare un ghiacciaio è unico.

Lo scioglimento del ghiacciaio di Gurschen, invece, non è affatto un caso isolato. In tutto il mondo, nove ghiacciai su dieci stanno scomparendo. La Svizzera, famosa per le cime innevate delle sue Alpi, rischia di perdere il 75% dei suoi ghiacciai entro il 2050, e con loro anche un po’ del suo fascino. L’impegno della Ue nella sfida internazionale ai cambiamenti climatici continua. Sappiamo che già esistono le possibilità tecnologiche per diminuire le emissioni e che significative riduzioni e risparmi sono possibili se adotteremo una vasta gamma di soluzioni. Ed è a questo punto che noi, dotati del potere politico per decidere, possiamo intervenire. Tocca a noi prendere la giusta decisione. Le politiche della Ue sui cambiamenti climatici I cambiamenti climatici interessano ogni aspetto della nostra vita quotidiana. Non si tratta di una minaccia solo per l’ambiente, ma anche per le nostre economie e, alla lunga, per la nostra sicurezza. A livello internazionale, la Ue ha sostenuto con forza un programma quadro multilaterale

per affrontare il problema, dato che i cambiamenti climatici sono una minaccia mondiale e nessun paese può ottenere risultati rilevanti da solo. Ecco perché siamo convinti che la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici resti il contesto appropriato per affrontare questo problema e perché crediamo che il Protocollo di Kyoto, sebbene presenti alcune debolezze, sia stato un passo avanti nella giusta direzione. Nell’ambito dei suoi confini, la politica climatica della Ue ha unito le parole ai fatti. Nel 2000 abbiamo lanciato il Programma Europeo per i Cambiamenti Climatici, in cui tutte le parti coinvolte, comprese le aziende, hanno partecipato attivamente per cercare misure efficaci e innovative per ridurre le emissioni di gas serra. Al momento abbiamo identificato – e in buona parte adottato – 42 di queste iniziative che coniugano efficacia e convenienza economica. Richiediamo per esempio che le nuove costruzioni rispettino determinati standard di efficienza energetica dato che un migliore isolamento può ridurre il consumo di energia fino al 90%. Le società automobilistiche che commercializzano vetture passeggeri all’interno della Ue si sono inoltre volontariamente impegnate a ridurre le emissioni di CO2 delle loro auto di circa un quarto entro il 2009 rispetto ai valori del 1995. Stiamo poi sostenendo la produzione congiunta di calore ed energia. Controlliamo i gas serra fluorati impiegati negli impianti di condizionamento e abbiamo imposto dei limiti per le emissioni di metano nei siti di smaltimento dei rifiuti. Il fiore all’occhiello della Ue tuttavia è l’Emissions Trading


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Scheme (ETS – programma per lo scambio commerciale delle emissioni nocive), partito con successo l’1 gennaio 2005. In qualità di primo sistema commerciale internazionale ed essendo il più vasto mai realizzato in termini di copertura economica, si sta facendo largo in molti nuovi settori. I governi della Ue hanno imposto dei limiti alla quantità annua di CO2 che possono emettere 12.000 impianti ad alto consumo energetico. Ciò riguarda circa la metà delle nostre emissioni di CO2. Il valore degli stanziamenti annuali che ricevono le società aderenti ammonta a circa 30 miliardi di euro. I proprietari degli impianti possono scambiarsi tali stanziamenti e quanti riescono a ridurre le emissioni con investimenti contenuti possono vendere gli stanziamenti in eccesso a coloro per cui tale processo risulta più costoso. In questo modo i tagli saranno fatti laddove costa meno. Questo programma darà all’economia europea – e alle società statunitensi con sedi in Europa – i vantaggi derivanti dall’essere i primi in questo settore e dalla fondamentale esperienza acquisita. Grazie al monitoraggio e alla registrazione obbligatoria delle emissioni, le società stabiliranno per la prima volta sistemi di gestione del problema del carbonio. Una delle prime società in Europa a sperimentare questo sistema è stata la raffineria Exxon di Rotterdam. Nella Ue, come risultato della creazione del mercato del carbonio europeo, sta nascendo una vasta gamma di nuove attività: commercianti di carbonio, specialisti nella gestione del carbonio, consulenti e ispettori per il carbonio. Nel mercato, inoltre, stanno entrando nuovi prodotti

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finanziari come i Carbon Funds, fondi per la diminuzione delle emissioni di carbonio. Per le società è inoltre possibile utilizzare crediti derivanti da meccanismi basati sul Protocollo di Kyoto per meglio soddisfare questi obblighi. Ciò significa che il sistema non solo fornirà mezzi efficaci ed economicamente vantaggiosi per le industrie con sede in Europa affinché diminuiscano le emissioni, ma creerà anche ulteriori incentivi perché tali società investano in progetti per la diminuzione delle emissioni all’estero, ad esempio nei paesi in via di sviluppo o in Russia. Tutto ciò incentiverà il trasferimento di efficaci tecnologie eco-compatibili verso altri paesi industriali e nazioni in via di sviluppo, dando loro un sostegno tangibile. Le società europee, inoltre, stanno già valutando progetti per un ammontare da 500 a 600 milioni di tonnellate di CO2 per il periodo 2008-2012. Grazie all’ETS, la Ue ha creato una nuova valuta di scambio basata sulle tonnellate di CO2 e un nuovo mercato degli stanziamenti per la riduzione delle emissioni. Mai prima d’ora la Ue aveva fatto ricorso a un simile strumento di mercato per tutelare l’ambiente. È presto per dirlo, ma il volume di stanziamenti contrattati sta aumentando costantemente e alcune giornate di contrattazione hanno visto più di 2 milioni di tonnellate di anidride carbonica cambiare proprietario. Il programma sarà rinnovato entro la metà del 2006, al fine di poterlo modificare alla luce dell’esperienza acquisita. Considereremo inoltre la possibilità di estenderlo ad altri settori come quello chimico, dell’alluminio e dei trasporti oltre che ad altri gas serra. Il fatto che oggi io possa

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Ghiacciaio di Gurschen/Gurschen glacier - Bildarchiv Andermatt Gotthard Sportbahnen AG

presentare il nostro Emissions Trading Scheme si deve, in parte, all’esperienza positiva maturata dagli Stati Uniti nel commercio delle emissioni per combattere l’inquinamento atmosferico. Quando fu discusso un tale strumento di mercato durante i negoziati del Protocollo di Kyoto – misura che fu proposta dagli Usa – la Ue espresse forti riserve. Entrambi i punti di vista sono diametralmente cambiati. Oggi riconosciamo il valore fondamentale dei meccanismi di mercato per sfruttare la creatività del settore industriale, offrire incentivi economici per diminuire le emissioni e ridurre i costi necessari per adempiere agli obblighi imposti. Il nostro Emissions Trading Scheme ridurrà di circa un terzo i costi per raggiungere gli obiettivi di Kyoto, facendo risparmiare all’industria europea milioni di euro. Siamo persuasi che tali strumenti debbano essere alla base di una risposta ai cambiamenti climatici efficace e duratura. Post-2012 Guardiamo ora alla politica futura sui cambiamenti climatici. Si tratta certo di un argomento scottante all’interno dell’attuale dibattito sul tema. Il Protocollo di Kyoto è stato un primo passo fondamentale, ma è giunto il

momento di iniziare a discutere su dove vogliamo andare o, in altre parole, su cosa fare dopo il 2012, data entro la quale scadranno i termini per gli obiettivi di Kyoto e l’attuale Programma Usa per i Cambiamenti Climatici. Per la Ue l’inattività non è un’opzione valida. Alcune ricerche hanno scoperto che i costi di cambiamenti climatici incontrollati, per quanto concerne danni e sofferenze che potrebbero causare, saranno molto superiori ai costi che comporterebbe una riduzione delle emissioni se scegliessimo il giusto approccio. Anche il mondo industriale aspetta di sapere da noi cosa lo attende per il futuro, in particolare le società che richiedono investimenti a lungo termine. Così, all’inizio del 2005, la Commissione ha pubblicato un documento in cui sottolineava alcuni elementi fondamentali che siamo convinti debbano essere compresi in una futura politica sui cambiamenti climatici. In primo luogo, riteniamo che sia molto importante continuare ad avvalerci di strumenti di mercato. In secondo luogo, crediamo che sia indispensabile una spinta forte verso l’innovazione e le nuove tecnologie. In terzo luogo, siamo convinti


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che vi debba essere una vasta partecipazione allo sforzo per ridurre le emissioni da parte di tutti i principali paesi inquinanti, compresi gli Usa e i paesi in via di sviluppo come Cina, India e altri ancora. La Cina, ad esempio, contribuisce già al 14% delle emissioni di gas serra del pianeta, la stessa percentuale della Ue. Le nostre proiezioni mostrano che le emissioni totali dei paesi in via di sviluppo continueranno ad aumentare, mentre quelle dei paesi già industrializzati resteranno probabilmente stabili. Non riteniamo opportuno che i paesi in via di sviluppo, anche quelli con un’economia in forte espansione, possano o debbano impegnarsi allo stesso livello dei paesi industrializzati. Le loro emissioni e i loro redditi pro-capite non sono ancora minimamente paragonabili ai nostri. Possiamo tuttavia progettare un sistema a partecipazione diversificata. E vi sono delle buone ragioni perché i paesi in via di sviluppo si uniscano al nostro sforzo: essi sono infatti estremamente vulnerabili ai cambiamenti climatici e molti hanno grandi bisogni energetici. È possibile pertanto che adottino politiche atte ad aumentare l’efficienza energetica e a promuovere una tecnologia pulita e nuove fonti di energia che siano contemporaneamente a bassa percentuale di carbonio. Producendo il 20% delle emissioni mondiali, percentuale che li colloca al primo posto fra i paesi inquinanti, gli Usa sono chiamati a riconoscere la necessità e il valore di una strategia internazionale per ridurre le emissioni, in particolare nel caso in cui i principali paesi in via di sviluppo si uniscano a noi in questo sforzo. Mobilitarli è una

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responsabilità comune di Usa e Ue, un’occasione in cui, collaborando, possiamo mostrare la nostra capacità di leadership internazionale. Siamo certi inoltre che la politica futura sui cambiamenti climatici debba occuparsi delle emissioni provenienti anche da altri settori rispetto a quelli previsti dal Protocollo di Kyoto, in particolare l’aviazione, il trasporto marittimo e la selvicoltura. Questo è un altro elemento per il quale si batterà la Ue nei prossimi negoziati. Negoziati futuri Le parti interessate stanno riflettendo in merito alla struttura di una futura politica sui cambiamenti climatici ed è già stato presentato un vasto elenco di idee. È ormai ora di iniziare dei negoziati formali perché non resta più molto tempo. La Conferenza delle Parti della Convenzione delle

Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici in dicembre a Montreal alla presenza di 189 governi è un momento per iniziare questo processo. L’Unione europea è lieta di ascoltare ciò che i suoi partner hanno da dire e quali misure considerano appropriate per gestire i cambiamenti climatici. Non abbiamo idee preconcette in merito a come dovrà essere la futura politica sui cambiamenti climatici; crediamo solo che debba comprendere alcuni elementi fondamentali: flessibilità, vasta partecipazione e ampia portata! La sfida climatica è seria. Il mondo guarda in particolare a due potenze economiche, gli Stati Uniti e l’Unione europea. Negli ultimi quindici anni abbiamo osservato con attenzione e definito in quanti modi e con quante soluzioni possiamo far fronte alla sfida climatica. Abbiamo identificato

i pro e i contro di ogni singola possibilità. Potremmo accontentarci di quanto fatto, ma il tempo scorre veloce. Suggerirei invece di dare il via a una fase più matura. Dobbiamo superare le nostre differenze, rimboccarci le maniche e trovare delle soluzioni. Insieme potremo coinvolgere il resto del mondo e iniziare questo processo in modo che i nostri figli e i nostri nipoti possano avere in futuro condizioni climatiche stabili.

* Stavros Dimas è responsabile per l’Ambiente della Commissione europea. Ha studiato legge ed economia in Grecia e negli Stati Uniti e ha lavorato come avvocato per la Banca mondiale e per Sullivan & Cromwell, uno studio legale di Wall Street. Dal 1977 è stato eletto al parlamento greco per dieci volte consecutive e occupa attualmente una posizione di primo piano all’interno del panorama politico ellenico.


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he issue of global warming, to which the EU is committed, is one of the main challenges that will have to be tackled by the world of the future. In this regard, the activities already or soon to be carried out by the EU cannot be limited to the European territory, but rather will have to be faced in cooperation with the United States and the rest of the world, in so far as global warming is a worldwide phenomenon. A concrete example is enough to demonstrate the impact of climatic changes. Last summer the managers of the popular Andermatt ski resort in Switzerland decided to cover part of the Gurschen glacier with a giant layer of insulating foil. The glacier has been melting and over the last 15 years has dwindled to a distance of 20 meters from the top cable car station. Skiers can no longer reach the glacier when there is no snowfall. In 2006, the whole glacier will be wrapped up during the summer. This desperate measure to save a glacier is unique for now, as far as I know. What is not unique is that the Gurschen glacier is melting. Nine out of ten of all glaciers worldwide are dissolving. Switzerland, renowned for its snow-covered Alps, is likely to lose 75% of its glaciers by 2050—and with them, some of its charm. The EU remains committed to the international fight against climate change. We know that technological options to reduce emissions already exist and that significant reductions and significant savings can be achieved if a broad portfolio of options is used. This is where we—political decision-makers—can act. It is up to us to take the right decision.

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EU climate change policies Climate change affects all aspects of our society. It is a threat not only to the environment, but also to our economies and, ultimately, to our safety. Internationally, the EU has pushed for a multilateral framework to address the issue, since climate change is a global problem and no country can achieve much on its own. This is why we consider that the UN Framework Convention on Climate Change continues to be the appropriate context for dealing with climate change, and why we believe that the Kyoto Protocol, in spite of some weaknesses, was a step in the right direction. Domestically, EU climate policy has matched words with deeds. In 2000, we launched the European Climate Change Program. Under this umbrella, stakeholders, including industry, have actively participated in the search for smart innovative measures to reduce greenhouse gas emissions. So far, we have identified—and by and large put in place—42 such cost-effective measures. For example, we require new buildings to meet energy efficiency standards, since better insulation can reduce energy consumption by up to 90%. Car-makers selling passenger cars in the EU have voluntarily committed themselves to reducing CO2 emissions of their cars by roughly a quarter between 1995 levels and 2009. We are pushing for combined heat and power generation. We are controlling the fluorinated greenhouse gases used in air conditioning. We have set limits on methane emissions from landfills. But our flagship is the EU Emissions Trading Scheme, which successfully kicked off on

January 1, 2005. The scheme breaks significant new ground as the first international trading system and the largest ever in terms of economic coverage. EU governments have set limits to how much CO2 some 12,000 energy-intensive plants are allowed to emit per year. This covers about half of our CO2 emissions. The value of the annual allocations assigned to participating companies amounts to some 30 billion euro. Factory owners can trade their allowances: those who can easily reduce emissions can sell their surplus allowances to companies where reductions would be more expensive. In this way, cuts will be made where they come cheapest. The scheme will give European business—including US companies based in Europe—a first-mover advantage through the invaluable early experience they will gain. Thanks to mandatory emissions monitoring and reporting, companies will establish carbon management systems for the first time. One of the first companies in Europe to do so was the Exxon refinery in Rotterdam. A whole range of new business is emerging in Europe as a result of the EU carbon market: carbon traders, carbon management specialists, carbon auditors and verifiers. New financial products such as Carbon Funds are entering the market. Companies may also use credits from Kyoto project-based mechanisms to help them comply with obligations. This means the system will not only provide a cost-effective means for EU-based industries to cut their emissions, it will also create additional incentives for businesses to invest in emission-reduction projects

abroad, for example in developing countries or in Russia. In turn, this will spur the transfer of environmentally sound technologies to other industrial countries and developing nations, giving tangible support. EU companies are already preparing projects worth some 500 to 600 million metric tons of CO2 for the period 2008 to 2012. With the Emissions Trading Scheme, the EU has created a new currency based on tons of CO2, and a new market, in emission allowances. Never before has the EU used a market-based instrument on such a scale to achieve an environmental goal. It is still early days, but the volume of traded allowances is steadily increasing and we have already seen trading days with allowances totaling more than 2 million metric tons of CO2 changing hands. The scheme will be reviewed around mid 2006 to allow fine-tuning in the light of the experience gained. We shall also consider introducing similar schemes in other sectors such as chemicals, aluminum and transport as well extending the present program to other greenhouse gases. To a certain extent, the fact that I can present our Emissions Trading Scheme today is due to the US positive experience with emissions trading to combat air pollution. When this type of market-based instrument was discussed in the Kyoto Protocol negotiations—and actually proposed by the US—the EU had strong reservations. But our views have evolved. Today, we recognize the crucial importance of market-based mechanisms to harness the creativity of the business sector, to offer economic incentives to

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cut emissions, and to reduce compliance cost. Our Emissions Trading Scheme will reduce the cost of achieving our Kyoto target by about a third, saving EU industry millions of euro. We are convinced that such instruments should be at the core of a successful long-term response to climate change. Post-2012 Now let’s look ahead to the future climate change regime. This is certainly the most critical issue in the current climate change debate. The Kyoto Protocol was a first crucial step, but the time has come to start discussing where we want to go from here, in other words what we want to do when our targets expire in 2012. This is also the date when the current US Climate Change Program ends. For the EU, non-action is not an option. Studies show that the costs of unbridled climate change, in terms of the damage and the suffering it will cause, will be far higher than the cost of reducing emissions if we opt for the right approach. Business too is looking to us for clues about what to expect in the future, given that many companies need to make long-term investments. So, in early 2005, the Commission put out a paper outlining some basic elements we believe a future climate change regime should include. First, we consider the continued use of market-based instruments to be very important. Second, we believe that a determined push for innovation and new technologies is indispensable. Third, we advocate broad participation in the reduction effort—by all major emitters, including the US, but also developing countries such as

China, India and some others. China, for example, already contributes 14% to global greenhouse gas emissions, which is the same proportion as the EU. Our projections show that absolute emissions from the developing world will continue to increase, while emissions from industrialized countries are likely to remain stable. We do not think that developing countries, even the booming economies among them, can or indeed should take on the same commitments as the industrialized nations. Their per-capita emissions and income levels are still a fraction of ours. But we could design a system with different types of participation. And there are good reasons for developing countries to join the effort: they are very vulnerable to climate change, and many have huge energy needs. They are likely to embrace policies that improve energy efficiency and foster clean technology as well as new energy sources that could also be low-carbon. As the world’s largest emitter,

with 20% of global emissions, it is important that the US recognize the need for and the value of an international approach to reducing emissions, especially if major developing countries are to join our efforts. Mobilizing these emerging nations is a common responsibility for the US and the EU—one where we can show international leadership by working together. Finally, we believe the future climate change regime should cover emissions from a greater number of sectors than those covered by Kyoto, notably aviation, maritime transport and forestry. This is another issue that the EU will push for in the new round of negotiations. Upcoming negotiations Stakeholders are reflecting on the architecture of a future climate change regime and a wide range of ideas has been produced. Formal negotiations should begin soon because time is ticking away. The Conference of the Parties to the UN Convention on Climate Change in December in Montreal bringing together 189

governments is an opportunity to initiate the process. The European Union is open to hear what its partners have to say, and the measures they consider appropriate to master the climate challenge. We have no pre-conceived ideas on the form to be taken by the future climate change regime—we simply believe it should be based on the following elements: keep it flexible, broaden participation and widen its scope of application! The climate challenge is considerable. World attention is focused in particular on the two leading economic powers, the US and the EU. In the last 15 years we have identified and carefully looked at many ways and means to address the climate challenge. We have identified pros and cons for every single approach. We can continue this navel gazing, but valuable time will pass by. I would suggest that we enter a more mature stage. We need to resolve our differences, pull up our sleeves and find solutions. Together we can rally the rest of the world behind us and drive the process—so that our children and grandchildren can continue to prosper under stable climate conditions.

* Stavros Dimas is currently serving as the European Commissioner for the Environment. He studied Law and Economics in Greece and the US and has worked as a lawyer for the World Bank and Sullivan & Cromwell, a Wall Street law firm. He has been elected to the Greek Parliament ten consecutive times since 1977 and is a leading Greek politician.


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All’insegna dello sviluppo sostenibile Under the Banner of Sustainable Development Intervista a Björn Stigson* Interview with Björn Stigson*

Per un numero crescente di aziende è la nuova frontiera della strategia For a growing number of companies, this is the new frontier of their strategy

Sappiamo per certo che la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera sta aumentando e siamo tutti convinti che non si possa continuare su questa strada senza rischiare pesanti effetti sul clima, ma non sappiamo quale sia il livello di criticità e neppure quali saranno tali effetti. Su tutto questo l’incertezza è ancora immensa.

Björn Stigson

C

ome molti governi, tra cui spiccano gli Stati Uniti, la Cina e l’India, anche molte aziende guardano con sospetto i forti vincoli posti dal Protocollo di Kyoto, perché l’accordo è considerato troppo burocratico e poco dinamico, troppo basato sulle limitazioni e troppo poco sul progresso delle tecnologie. Björn Stigson, da molti anni presidente del World Business Council for Sustainable Development (un’associazione mondiale che raggruppa le aziende più sensibili ai temi dello sviluppo sostenibile) propone – in questa intervista ad arcVision – un approccio diverso che, sulla base della sua esperienza, ritiene più adatto ad affrontare i grandi problemi del futuro, come l’energia e l’ambiente, ma anche come i diritti umani e la biodiversità. Il 2005 verrà ricordato come un anno catastrofico sotto il profilo dei disastri naturali: lo tsunami nel sud-est asiatico, le inondazioni in Europa, in America, per parlare solo degli eventi principali. Tralasciamo lo tsunami, che non ha a che fare con i cambiamenti climatici. Ma gli altri eventi sono da molti ricollegati

al global warming e dunque, alle responsabilità dell’uomo nell’essere causa, o concausa, dell’effetto serra. Che ne pensa? Il fatto è che viviamo in un mondo sempre più dominato dai temi dello sviluppo sostenibile, alla base del quale stanno i problemi delle emissioni di carbonio. Siamo sempre più condizionati dai limiti che dobbiamo porre alle emissioni di carbonio e questo rappresenterà un vincolo sempre più forte all’attività economica. Vi sono altri problemi legati allo sviluppo sostenibile, come la mancanza d’acqua in alcuni paesi o le inondazioni in altri. Ma il rischio è che ci si concentri troppo sulle conseguenze della crescente quantità di carbonio nell’atmosfera e non abbastanza sulle cause. Per quanto è dato sapere, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Comitato internazionale per lo studio del cambiamento del clima) non è ancora riuscito a stabilire un collegamento diretto tra la crescente concentrazione di carbonio e i fenomeni naturali come le tempeste e gli uragani. Occorre perciò una certa cautela nel trattare le questioni.

Molti paesi, e molte aziende, sono contrari al Protocollo di Kyoto perché lo considerano troppo costoso e restrittivo, destinato a produrre conseguenze molto negative sulla crescita economica. Lei è d’accordo? Nei mesi scorsi ci sono stati alcuni sviluppi di grande importanza, come il G8 a Gleneagles e la creazione della Asia-Pacific Partnership on Clean Development cui partecipano gli Stati Uniti e diversi paesi che si affacciano sul Pacifico. Sia il G8 che la nuova Partnership hanno dichiarato che anche i paesi che non aderiscono al Protocollo di Kyoto condividono la convinzione che esista un impatto delle attività umane sul clima. Questa è una importante novità, dato che solo uno o due anni fa non era così e oggi anche l’amministrazione Usa si trova su queste posizioni. A questo punto il problema è però diventato che cosa fare per fronteggiare la questione. Il Protocollo di Kyoto costituisce solo uno dei percorsi possibili, poiché è basato su accordi di limitazione delle emissioni e su impegni per conseguirli. Altri paesi, invece, preferiscono porre l’accento su strade diverse, come il progresso delle tecnologie. Alla fine, però, si tratta di approcci abbastanza simili che includono l’efficienza energetica e le nuove

tecnologie. Nell’ambito del Protocollo di Kyoto si è verificato un apprezzabile processo di apprendimento, che ha consentito di approntare nuovi strumenti e meccanismi per il controllo dei gas serra, per introdurre lo scambio dei permessi di emissione e altro ancora. Ma a mio parere non è probabile che il Protocollo possa continuare anche dopo la sua prima scadenza, che è il 2012. Non credo che paesi che sinora non hanno accettato il principio dei limiti alle emissioni, come Stati Uniti, Cina e India, li accettino in futuro. Dobbiamo perciò trovare una cornice globale per affrontare quello che è un problema globale. Ma dobbiamo anche essere pronti a considerare Kyoto come una tappa, importante e istruttiva, ma non necessariamente destinata a costituire la piattaforma del futuro. C’è però una novità in questa materia perché l’America di Bush, che si è rifiutata di sottoscrivere Kyoto a causa dei costi troppo alti in un contesto di scarsa certezza, di un eccesso burocratico e di un insufficiente ricorso alle tecnologie avanzate, dopo il disastro di New Orleans sembra ripensare la questione del Protocollo, almeno in alcune sue componenti come il partito democratico e la comunità scientifica. Non pensa che dopo New Orleans l’amministrazione americana potrebbe essere spinta a cambiare parere? No, non credo che gli Usa sottoscriveranno Kyoto, ma sono convinto che si determinerà una nuova ondata di riflessioni e discussioni su un approccio globale al

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cambiamento climatico che non sarà però il Protocollo di Kyoto, anche se in parte accoglierà delle posizioni incluse attualmente in esso. Se si pensa ai grandi fenomeni del global warming e dell’effetto serra, ci sono nuovi motivi di preoccupazione determinati dall’industrializzazione e modernizzazione accelerate di paesi come India e Cina, che si avviano a diventare i primi inquinatori del mondo. E qui c’è la solita contraddizione: più rispetto ambientale uguale più costi e minore crescita. Cosa proporre loro per uscire da questa impasse? Se guardiamo alla situazione attuale, sappiamo che gli scenari futuri per l’energia proiettano tra il 2000 e il 2030 un incremento dei consumi energetici pari ai due terzi, e indicano che i due terzi di questo aumento riguarderanno proprio i paesi emergenti, soprattutto Cina e India che sono i giganti. La domanda di energia si concentrerà sull’elettricità ed è per questo

che i grandi investimenti in tutto il mondo nei prossimi vent’anni si dirigeranno in quell’area, per l’impressionante ammontare di 4.800 gigawatt. Che significa un numero così grande? Corrisponde a una capacità di produzione elettrica del 40% superiore a quella del 2000 e la maggior parte di questa nuova capacità produttiva sarà costruita nei paesi emergenti. Purtroppo, ad alimentarla saranno soprattutto i combustibili fossili, innanzitutto carbone e gas, perché è ciò di cui questi paesi dispongono. Dato che per costruire un impianto di

produzione energetica occorrono, a seconda del combustibile usato, dai 5 ai 15 anni, ciò vuol dire che questa nuova capacità produttiva è già stata in gran parte progettata o è in costruzione. Certo, si cerca di utilizzare la miglior tecnologia disponibile, ma questo non cambia di molto le cose. La Cina, ad esempio, sta cercando di costituire un migliore equilibrio tra i diversi combustibili. Sono loro consulente su questo aspetto da ormai otto anni e posso dire che affrontano la questione seriamente. Ad esempio, sapendo che useranno molto

General Electric: ecologia hi-tech

sulle caratteristiche relative all’impatto ambientale sarà il valore aggiunto dei prodotti del futuro. Con ecomagination abbiamo la possibilità di fare qualcosa di positivo per l’ambiente, ottenendo allo stesso tempo profitti e ritorni sugli investimenti.

Un forte impegno strategico all'insegna dell’eco-immaginazione Intervista a Giuseppe Recchi* General Electric ha lanciato recentemente una colossale campagna informativa su scala mondiale, la cui headline è “ecomagination”. Un modo per attirare le simpatie del pubblico, ormai fortemente sensibile alle questioni ambientali, o una dichiarazione di intenzioni per un nuovo modo di concepire il business? Ecomagination è un preciso impegno strategico di GE che mira a coniugare profitti e condotta ecologica. Con ecomagination infatti ci impegniamo a dare un concreto contributo al miglioramento del clima del pianeta e, contemporaneamente, a sviluppare nuove tecnologie che consentiranno ai nostri clienti di gestire meglio il loro business, nel rispetto di vincoli ambientali sempre più stringenti. La differenziazione

carbone stanno studiando la tecnologia di gassificazione, che permette di catturare una parte maggiore di CO2. Inoltre, costruiscono impianti nucleari, energie rinnovabili, insomma tutto ciò che è possibile. Ricordo anche che la Cina ha aderito, con Usa, Giappone, Corea, Australia e India, alla Partnership che menzionavo prima. E con l’Europa la Cina ha recentemente costituito la Eu-China Partnership on Climate Change per promuovere l’avanzamento tecnologico. Tutto questo va nella direzione giusta, che è quella di aumentare l’efficienza

Ecomagination sembra anche un’esortazione a immaginare gli scenari sostenibili di un nuovo domani di fronte al problema dell’esaurimento dei combustibili fossili. Quali scelte impone uno scenario di questo tipo? Dal 1990 ad oggi il consumo mondiale di petrolio è cresciuto del 50% e quello di gas naturale si è pressappoco triplicato. Si stima che le risorse di petrolio e metano attualmente conosciute siano destinate a esaurirsi entro il 2045. Di fronte a questo scenario diventa fondamentale sia la ricerca di fonti energetiche alternative sia l’incremento dell’efficienza di quelle tradizionali. GE è impegnata su entrambi i fronti. Ad esempio, nel settore dell’energia eolica abbiamo introdotto un nuovo tipo di turbina eolica off-shore da 3.6 MW, mentre stiamo sviluppando nuove tecnologie che consentiranno di estrarre il petrolio sempre più in profondità. Il problema energetico è attualmente uno degli snodi fondamentali per il futuro dei paesi industrializzati. Ma nella divisione fra nord e sud della Terra, fra ricchezza e povertà è forse ancora il problema della disponibilità d’acqua a fare la differenza...


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energetica, nella produzione elettrica, nei trasporti, nelle nuove costruzioni e nei processi industriali. C’è poi una seconda direttrice rilevante, che è quella di migliorare il mix di produzione energetica. Non possiamo abbandonare il nucleare, dobbiamo fare più ricorso all’idroelettrico, per il quale c’è un enorme potenziale in Africa, e dobbiamo lavorare per migliorare le metodologie per catturare la CO2 in tutti i processi. Va detto, però, che tutto questo richiede enormi nuovi investimenti e nessun paese da solo li può sostenere.

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Ci vuole dunque più cooperazione, tra paesi, governi e aziende, per creare una nuova infrastruttura energetica nei prossimi cinquant’anni. Lei ha menzionato il nucleare, per il quale sembra esserci un ritorno di interesse in molti paesi, e l’Italia è fra questi. Persino alcuni ambientalisti, dopo decenni di opposizione, stanno riconsiderando l’energia nucleare dato che, a parte le rinnovabili, è l’unica che non produce gas serra. Che prospettive vede per il futuro?

Nonostante il 70% della superficie terrestre sia coperto d’acqua, solo meno dell’1% è utilizzabile e oltretutto non sempre si trova dove ce n’è maggior bisogno. GE è uno dei principali fornitori di impianti di desalinizzazione al mondo. Ogni giorno le piattaforme di desalinizzazione realizzate da GE purificano 7.6 miliardi di litri d’acqua, sufficienti per soddisfare le necessità di 150 milioni di persone. Abbiamo recentemente inaugurato il più grande impianto di desalinizzazione di acqua marina in Africa che fornirà acqua potabile al 25% degli abitanti di Algeri. Il termine ecomagination richiama quello ben noto di eco-compatibilità nel quadro più ampio dello sviluppo sostenibile. Dopo la globalizzazione dei mercati e dell’economia, le grandi multinazionali devono essere protagoniste anche nell’assumere un impegno su questo tema? Certamente. Il nostro è un esempio di azienda globale e le attività di GE hanno un impatto globale. Siamo attivi in più di 100 paesi, nei quali impieghiamo oltre 300.000 persone, quasi la metà del nostro fatturato globale deriva dalle attività al di fuori degli Usa e questo è un trend in crescita. Oggi le turbine GE generano circa un terzo di tutta l’elettricità mondiale. I motori per aerei di GE trasportano ogni anno più di 660 milioni di persone. Ecomagination si traduce in 4 precisi impegni: innanzitutto raddoppieremo gli investimenti nella ricerca sulle tecnologie pulite passando dagli attuali 700 milioni di dollari a 1,5 miliardi nel 2010. In secondo

Sì, penso proprio che il ripensamento sia in atto. Come ho detto, la stessa Cina sta progettando nuovi impianti nucleari, ma se ne progettano anche altrove. Ci sono oggi nel mondo 440 impianti di produzione nucleare che stanno invecchiando e che necessitano di ammodernamento o sostituzione. E certo non lo possiamo fare col carbone, anzi, dobbiamo rafforzare la quota di produzione energetica che non emette anidride carbonica. Anche se in sé non è una fonte energetica primaria, non pensa che sia arrivato

il momento per uno sforzo massiccio da parte di tutti per accelerare la ricerca e l’utilizzo dell’idrogeno come combustibile, e per ridurre in modo significativo l’uso dei combustibili fossili, anche se questo per un certo periodo potrebbe avere dei costi diretti importanti? Il punto è proprio che l’idrogeno non è di per sé una fonte energetica, ma è un mezzo che trasporta energia prodotta in altro modo, come nel caso dell’elettricità. La questione è dunque come produrlo. Se usiamo il nucleare, il processo non emette CO2, ma se usiamo il gas naturale, o il carbone, allora le emissioni restano. Purtroppo questo non è chiaro all’opinione pubblica che pensa all’idrogeno come a una fonte di energia pulita in sé. Ora, una delle aree dove si è studiato di più l’utilizzo dell’idrogeno come combustibile è quella dei trasporti, allo scopo di rimpiazzare la benzina, cioè il petrolio. Questo è un processo di lungo termine e soprattutto, se consideriamo altre alternative come il diesel pulito o le auto

luogo, raddoppieremo il fatturato derivante dai prodotti fondati su ecomagination, passando da 10 miliardi di dollari nel 2004 a 20 miliardi di dollari nel 2010. Terzo, intendiamo ridurre le nostre emissioni di gas serra dell’1% entro il 2012. Senza intraprendere azioni a tal fine, le emissioni aumenterebbero del 40% entro il 2012. Infine ci impegniamo a informare il pubblico dei progressi compiuti. Un impegno di portata globale. Molte grandi imprese americane sostengono la politica di Bush, ostile all’adesione Usa al Protocollo di Kyoto e favorevole a misure meno cogenti, ma più connesse all’innovazione tecnologica e alle libere scelte delle imprese. Qual è, al riguardo, la posizione di GE? Siamo un’azienda globale e non facciamo scelte basate sulle decisioni di questo o quel governo. È il mercato che ci chiede prodotti “ecofriendly” e noi rispondiamo di conseguenza.

* Giuseppe Recchi è presidente General Electric in Italia.

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ibride, il vantaggio di efficienza delle celle a combustibile è alquanto limitato. Perciò non vedo grandi benefici, almeno nel breve periodo, nell’adottare l’idrogeno, perché in ogni caso nel produrlo si hanno gli stessi problemi di impatto ambientale e comunque vi è anche da considerare l’enorme investimento necessario a costruire una rete di distribuzione apposita. Se si tiene conto di tutte queste variabili, l’attrattiva dell’idrogeno risulta ovviamente alquanto ridotta. Va però visto con favore l’avvento di nuovi carburanti, come il biofuel che, nei prossimi anni, assieme al diesel pulito e alle auto ibride, potrà dare un contributo rilevante. Il World Business Council for Sustainable Development, di cui lei è presidente, lavora da molto tempo con le principali aziende mondiali per indurre comportamenti più virtuosi nei confronti dell’ambiente. Come ha visto cambiare nel tempo questi comportamenti? Se risaliamo indietro nel tempo

e ripensiamo all’inizio degli anni Novanta, ricordiamo che allora le aziende si concentravano soprattutto sugli aspetti ambientali dello sviluppo sostenibile. Verso la fine del decennio, sono entrati nel dibattito gli aspetti sociali, come i diritti umani, il lavoro minorile e altri. Oggi, per molte aziende lo sviluppo sostenibile è diventato una questione strategica. L’aspetto ambientale è ormai trattato in modo estensivo ed è delegato dal vertice alle linee operative dell’organizzazione. È ormai scontato che un’azienda non deve inquinare e questo modo di pensare è ormai penetrato a livello delle business unit. Ma l’argomento di frontiera è diventato un altro: come posizionare l’azienda, che immagine dare al marchio e come difendere, o costruire, una buona reputazione. Queste sono le questioni strategiche per il top management e per il board. Inoltre, molte aziende stanno sviluppando un nuovo pensiero. Si rendono infatti conto che viviamo in un mondo con forti vincoli, come le

emissioni di carbonio, la disponibilità d’acqua o la biodiversità. Perciò cercano di attrezzarsi per tenere conto di questi fattori e trasformarli da vincoli in opportunità. Può fare qualche esempio di questo nuovo approccio strategico? L’esempio più chiaro che mi viene in mente è quello della General Electric che ha lanciato una campagna all’insegna della “eco-immaginazione”. La GE ha dichiarato di possedere un gran numero di tecnologie che possono affrontare e risolvere molti dei problemi dello sviluppo sostenibile. Oggi in queste aree sviluppa un fatturato di 10 miliardi di dollari che pensa di potere raddoppiare nei prossimi cinque anni, al 2010. E per sostenere questo sforzo investirà in R&S una cifra pari a 1,5 miliardi di dollari l’anno, per sviluppare nuove tecnologie. A me sembra un ottimo esempio di un’azienda che si pone in modo fattivo di fronte al grande tema dello sviluppo sostenibile, allo scopo di fare business e allo stesso tempo

di aiutare la società. E il numero di aziende che la pensano così sta aumentando ogni giorno. Perciò lo sviluppo sostenibile sta diventando un tema strategico sempre più importante per molte grandi aziende e credo sia un interesse destinato a diffondersi in tutti i paesi e a tutte le aziende.

* Björn Stigson è dal 1995 presidente del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), un gruppo di 150 tra le più grandi aziende del mondo. Da quando il WBCSD è stato fondato, nel 1990, a oggi Stigson si è fortemente impegnato nel costruire la migliore risposta possibile delle aziende alle questioni dello sviluppo sostenibile. Stigson è stato dal 1983 presidente e CEO del Fläkt Group, azienda svedese leader mondiale nelle tecnologie di controllo ambientale. Acquisita la Fläkt dalla ABB nel 1991, Stigson è divenuto vice presidente esecutivo e membro del CdA della ABB (Asea Brown Boveri). Dal 1993 è titolare di una propria società di consulenza.


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s has been the case with many governments (including the US, China, and India) a lot of companies have been looking suspiciously at the limits put in place by the Kyoto Protocol. The agreement has been considered too bureaucratic and not very dynamic, almost too heavily based on limitations and with too little consideration to technological progress. Björn Stigson, for many years President of the World Business Council for Sustainable Development (a global association that brings together those companies which are most amenable to the idea of sustainable development) is now suggesting a different approach, in this interview for arcVision. Based upon his experience, he says that he feels this different approach to be the best way for dealing with problems in the future, such as energy and the environment, but also human rights and biodiversity. The year 2005 will be remembered as a catastrophic year for all the natural disasters which occurred, from the Asian tsunami to the flooding in Europe and America, just to mention the most eye-catching events. Let us leave the tsunami to one side, because it has very little to do with climate change. The other events are very closely connected to global warming, and to humankind’s responsibility as the main cause—or one of the main causes—of the greenhouse effect. What do you have to say about this? The fact is that we are living in a world increasingly dominated by the problems of sustainable development, the root cause of

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which is carbon emissions. We are increasingly conditioned by the limits we must place on carbon emissions, and this is becoming more and more of an obligation upon business. There are other problems related to sustainable development, such as drought in some countries or flooding in others. But the risk is that we concentrate too much on the consequences of rising carbon concentrations in the atmosphere, and not enough on its causes. As far as we know, the Intergovernmental Panel on Climate Change has not yet been able to find a direct connection between increasing carbon concentrations and natural phenomena such as typhoons and hurricanes. It is therefore paramount that we act with great caution when dealing with these questions. It is a well-known fact that carbon dioxide concentrations in the atmosphere are increasing, and we now realize that we cannot continue along this path without risking permanent damage to the climate. However we do not know what the critical levels are, or exactly what the effects might be. Our lack of knowledge about all this is frightening. Many countries—and many companies too—are against the Kyoto Protocol because they consider it too costly and restrictive, and that the only effect it will have is a downturn in the economy. Are you in general agreement with them? Over the past few months there have been several major developments, such as the G8 summit at Gleneagles and the setting up of the Asia-Pacific Partnership on Clean

Development, which has brought together the US and several countries on the Pacific Rim. Both the G8 summit and the new Partnership have stated that the countries which are basically against the Kyoto Protocol are nevertheless aware that humankind’s activity does have an effect on the climate. This is both new and very important, especially if we consider that only a few years ago things were completely different, and now the American Administration agrees on these points. But now the problem is what we must do to deal with the question. The Kyoto Protocol is only one way out of problem, because it is based upon agreements to limit emissions and upon commitments to meeting them. Other countries, however, would like to deal with things in a different way, such as by technological progress. At the end of the day, however, these approaches are fairly similar, and they both deal with energy efficiency and new technology. In the Kyoto Protocol area, we have noticed that people are much more willing to learn. And this has meant that we can prepare new tools and mechanisms for controlling greenhouse gases, for exchanging permits for emission levels, and much more besides. What I think is that the Protocol will not continue after the first stage has been completed, in 2012. I don’t think that the countries which until now have accepted the principle of placing limits on emission levels—such as the US, China, and India—will continue to accept them. Therefore, we will have to find some new global framework to deal with a global problem. We must also be willing to accept Kyoto as a means to an

end, very important and very instructive, but not necessarily the only platform for the future. There is something else in this whole field, however, because the US under George Bush—who has refused to sign up to Kyoto because of its costs and its uncertain outcome, its excessive bureaucracy and insufficient use of advanced technology—almost seems, after the disaster with hurricane Katrina, ready to take the Protocol into consideration, or at least some members of the Democratic Party and the scientific community. Do you not think that after Katrina the US Administration might be forced to change position? No, I don’t think the US will ever sign up to Kyoto. But I do think Katrina will force people to think about and discuss some new global approach to climate change other than the Kyoto Protocol. Even though they may come to accept some of its positions. If we think about some of the phenomena of global warming and greenhouse effect, there are reasons for us to be worried about industrialization and modernization in countries like India and China, which seem set to become major world polluters. And the usual contradiction comes into play here: greater respect for the environment seems to mean higher costs and lower growth levels. What suggestions can be made so that India and China can get around this impasse? If we look at the current situation, we realize that future

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energy scenarios predict a two-thirds increase in energy consumption for the years 2000-2030, and that two-thirds of this increase will be caused by developing countries, mostly by the new giants China and India. Energy demand is mainly for electricity, so worldwide investments in the coming 20 years will be made in this area, to meet a need for 4,800 gigawatts. Why is there such a great demand? This figure represents a 40% increase in electricity over 2000, and most of this new output will be provided by developing countries. Unfortunately, most of the new power stations will use fossil fuels (mainly coal and

But there is also another, very important trend: improving the energy production mix. We cannot get rid of nuclear power. But we have to make greater use of hydroelectricity, for which there is an enormous potential in Africa. And we have to improve our methods for capturing the carbon dioxide produced by all processes. It must, however, be said that this will require a tremendous amount of investment, and no one country should be expected to make it all on its own. What we need is greater corporation between states, governments, and companies, to set up a new energy infrastructure of the coming fifty years.

gas), which are widely available in these countries. Given that, according to the type of fuel to be used, it takes between five and fifteen years to build a new power station, this means that most of this new energy output has already been planned or is currently being built. And yes, everyone is trying to use the best technology available. But this doesn’t change very much. China, for example, is trying to balance the various types of fuel. I have been advising them about this problem for more than eight years now, and I can tell you that they take it very seriously. For example, knowing that they will use a lot of coal, they have been examining gas

treatment plants, which will allow them to capture most of the carbon dioxide to be produced. They have also been building nuclear stations and renewable energy stations, and doing everything they can. I should also like to point out that China, together with the US, Japan, Korea, Australia, and India, has signed up to the Partnership I was talking about before. China recently signed up to the EU-China Partnership on Climate Change to promote technological progress. Things are basically going in the right direction, which is increasing energy efficiency in electricity generation, transport, new building work, and industry.

General Electric: hi-tech ecology

The ability to stand out in terms of reduced environmental impact will be the added value of the products of the future. With ecomagination we have the opportunity to do something positive for the environment, while at the same time obtaining profits and returns on our investments.

A strong strategic commitment to ecomagination Interview with Giuseppe Recchi*

General Electric has recently launched a massive, worldwide information campaign known as “ecomagination�. Is this a way of endearing the public, now highly sensitive to environmental issues, or the declaration of a new way of conceiving business? Ecomagination is a specific GE strategic commitment aimed at correlating profits and ecological behavior. With ecomagination we undertake to make a concrete contribution to improving the planet's climate and, at the same time, to developing new technologies that will allow our customers to improve their business management, in compliance with increasingly strict environmental constraints.

Ecomagination seems an exhortation to imagine the sustainable scenarios of a new tomorrow in light of the problem of depleting fossil fuels. What choices does this kind of scenario impose? Since 1990 world oil consumption has increased by 50% and natural gas consumption has almost tripled. Currently tapped oil and methane resources are expected to become depleted by 2045. Given this scenario, it is essential that alternative energy sources be researched and the efficiency of traditional ones be increased. GE is committed on both fronts. For example, in the wind energy sector we have introduced a new 3.6 MW off-shore wind turbine, and we are also developing new technologies that will allow us to extract oil from greater depths. Energy is currently one of the most important issues for the future of industrialized countries. However, what with the Earth's north-south, rich-poor divide, the problem of water may still be the one that makes the difference...


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You were talking about nuclear power: a lot of countries seem to be increasingly interested in this, including Italy. There are even a lot of environmental campaigners who, after decades of opposition, are changing their opinions of nuclear power given that is the only system—apart from renewable energy sources—which doesn’t produce greenhouse gases. How did you see things developing in the future? Yes, I think our opinions are changing. As I was saying before, even China is planning nuclear stations. But they are being planned in other countries as well. In today’s world, there are 440 nuclear power stations which are growing old and which need to be updated or replaced. This cannot be done with coal-fired power stations. On the contrary, we have to increase the output of energy from stations which do not emit carbon dioxide. Even though it will never be one of the leading energy

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sources, do you not think the time has come for us all to make the effort to increase research into the use of hydrogen as a fuel, and to make significant reductions in fossil fuels? Even though this will surely mean increased energy costs in the short term? The point is that hydrogen will never be a source of energy. It might be used as a way of transporting energy which has been produced in some other way, as happens with electricity. The question remains, how do we produce this energy? If we use nuclear power, no carbon dioxide is produced; but if we use natural gas, or coal, we are left with the problem of emissions. Unfortunately, the general public hasn’t yet understood this, and people tend to think of hydrogen as a clean source of energy. One of the areas where most research has been done into the use of hydrogen as a fuel is transport, with a fuel to replacing petrol, i.e. crude oil. This will be a long-term process, and if we consider the alternatives such as clean diesel and hybrid vehicles,

Even though 70% of the Earth's surface is covered with water, less than 1% may be used, and what's more it is not always found where it is most needed. GE is one of the main suppliers of desalination plants in the world. Every day GE's desalination platforms purify 7.6bn liters of water, enough to meet the needs of 150m people. We have recently inaugurated the biggest seawater desalination plant in Africa, which will provide drinking water to 25% of the inhabitants of Algiers. The term ecomagination is reminiscent of the well-known term eco-compatibility, in the wider context of sustainable development. Following the globalization of markets and economies, will large multinationals have to take an active part also in this new commitment? Yes, certainly. Ours is a global company, and our activities have a global impact. We operate in over 100 countries, where we employ over 300,000 people. Almost half of our global turnover derives from activities outside the US, and this trend is continually on the up. Today, GE turbines generate around a third of the world's electricity. Every year, GE's airplane engines carry over 660m people. Ecomagination translates into 4 specific commitments. Firstly, we will double our investments on research in clean technologies, from the current $700m to $1.5bn in 2010. Secondly, we will double revenue from products founded on ecomagination, from $10bn in 2004 to $20bn in 2010. Thirdly, we intend to

the efficiency of hydrogen cells appears very limited. I see no great benefits—at least in the short term—in using hydrogen, because we are left with the same environmental impact problems as before in producing it. Not to mention the enormous investments that would need to be made in building a lot of hydrogen stations. When we consider all these variables, hydrogen seems a lot less attractive. What we do not yet know is the impact of new fuels—such as biofuel—which, in coming years (and perhaps together with clean diesel and hybrid vehicles) might change things. The World Business Council for Sustainable Development, which you chair, has been working for many years with leading global companies to bring about changes in environmental awareness. What changes have you noticed? If we go back in time to the early 1990s, companies mainly concentrated on the environmental aspects of

sustainable development. Toward the end of the decade, more social aspects came into the discussion, such as human rights, child workers, and so on. Nowadays, sustainable development is a strategic question for many companies. Environmental awareness is much more widespread, and has reached the top rungs of most companies. It is taken for granted that companies must not pollute, and this doctrine has filtered down to all business units. The main problem nowadays is something else: how is a company to be positioned? What image must be given to a company name? How is a company’s environmental reputation to be defended or set up? These are strategic questions for top management and the Board of Directors. There is also a new trend doing the rounds of many companies. People are beginning to realize that we live in a world of many limits, such as those on carbon emissions, water availability, or biodiversity. And so companies are trying to deal with these aspects and turn them to their advantage.

reduce our greenhouse gas emissions by 1% by 2012—if we do not adopt measures to this end, emissions will increase by 40% by 2012. Finally, we undertake to keep the public informed on the progress made. This is a global commitment. Many large American companies support President Bush's stand against the US joining the Kyoto Protocol and in favor of measures that are less binding but rather connected with technological innovation and the freedom of choice of companies. What is GE's position on this matter? We are a global company and we do not make choices based on the decisions of this or that government. The market demands eco-friendly products, and we are acting accordingly.

* Giuseppe Recchi is the President of General Electric in Italy.

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Have you any examples of this new strategic approach? The best example I can think of is with General Electric, which has recently launched a campaign under the banner of “ecomagination.” GE has stated that they are now in possession of a whole raft of technologies which can be used to deal with and solve many of the problems of sustainable development. In these areas, they currently have a turnover of 10 billion dollars, which they expect to double in the five years to 2010. And to maintain these levels, they have forecast an annual investment in R&D of 1.5 billion dollars to develop new technology. To me this seems the ideal example of a company which is taking the question of sustainable development seriously, and at the same time increasing business and helping society in general. And the number of companies that think this way is raising day after day. Therefore, sustainable development is becoming an increasingly important strategy for many companies. I think it is destined to become more widespread through a crescent number of countries and companies.

* Since 1995, Björn Stigson has been President of the World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), an umbrella group of 150 of the world’s biggest companies. Since the foundation of the WBCSD in 1990, Mr. Stigson has been deeply committed to finding the best answers for companies interested in sustainable development. In 1983, Mr. Stigson was the President and CEO of the Fläkt Group, a leading Swedish company in environmental control technology. When Fläkt was taken over by ABB in 1991, Mr. Stigson became Executive Vice President and Member of the Board of Directors at ABB (Asea Brown Boveri). Since 1993, he has run his own consultancy firm.


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Una strategia energetica per stabilizzare il clima An Energy Strategy to Stabilize Climate di Lester R. Brown* by Lester R. Brown*

La transizione è in atto, ma non ovunque alla stessa velocità The transition is under way, although it is not progressing rapidly everywhere

Lester R. Brown

Q

ualche tempo fa ricevetti una telefonata da mio figlio Brian, imbattutosi in una distesa di impianti eolici mentre guidava su una delle autostrade interstatali del Texas occidentale. Mi descrisse le file di turbine a vento che svanivano all’orizzonte. Qua e là si vedevano pozzi petroliferi. Le turbine eoliche giravano e i pozzi petroliferi pompavano. Mio figlio era rimasto affascinato dal contrasto fra vecchio e nuovo, fra passato e futuro. Io gli risposi: “Se ti capitasse di passare fra 30 anni, le turbine eoliche sarebbero ancora attive, ma è improbabile che i pozzi siano ancora in funzione”. In realtà mio figlio stava osservando un esempio di transizione energetica, il passaggio dall’epoca dei combustibili fossili a quella delle risorse rinnovabili. La transizione energetica non procede però ovunque alla stessa velocità. Quando il Protocollo di Kyoto fu negoziato nel 1997, la proposta di riduzione entro il 2012 del 5% delle emissioni di carbonio nei paesi industrializzati rispetto ai livelli del 1990 sembrava un traguardo ambizioso. Oggi è generalmente considerato un obiettivo

obsoleto e grossolanamente inadeguato. I governi nazionali e locali, le grandi multinazionali e i gruppi ambientalisti stanno presentando piani per ridurre drasticamente le emissioni di carbonio rispetto a quanto concordato a Kyoto, grazie all’introduzione di fonti energetiche rinnovabili e a una maggiore efficienza energetica. Cittadini e associazioni stanno addirittura pensando a come ridurre le emissioni di carbonio del 70%, quota che la maggior parte della comunità scientifica ritiene indispensabile raggiungere per stabilizzare il clima. Nel luglio 2005, la Commissione europea propose un nuovo piano per ridurre il consumo di energia del 20% entro il 2020 e per aumentare fino al 12% entro il 2010 l’utilizzo di risorse rinnovabili per la fornitura energetica europea. Insieme, queste due iniziative ridurranno le emissioni di carbonio di circa un terzo. Nel lungo elenco di misure per migliorare l’efficienza energetica in Europa, vi sono la sostituzione di frigoriferi vecchi e inefficienti, l’adozione di lampadine ad alta efficienza e l’isolamento dei soffitti.

Raggiungere il traguardo relativo alle risorse rinnovabili significa inoltre un leggero aumento di 15.000 megawatt provenienti dall’energia eolica, un incremento di cinque volte della produzione di etanolo e di tre volte per il biodiesel. Il taglio del 20% nei consumi di energia entro il 2020 proposto dall’Europa contrasta nettamente con la crescita prevista del 10% in uno scenario invariato. Il piano presentato, che dovrebbe ottenere l’approvazione finale entro il 2006, è studiato per risparmiare fino a 60 miliardi di euro entro il 2020. Un altro obiettivo è quello di stimolare la crescita economica, creare nuovi posti di lavoro e, riducendo le spese energetiche, migliorare la competitività europea sui mercati di tutto il mondo. I 25 paesi membri dell’Unione europea infatti sono secondi solo agli Stati Uniti per quanto riguarda il consumo energetico. Nel 2005 il governo giapponese ha annunciato una campagna nazionale per aumentare sensibilmente l’efficienza energetica della propria economia, già una delle migliori al mondo, e ha pertanto incoraggiato i propri cittadini a sostituire apparecchi vecchi e inefficienti e ad acquistare vetture ibride. Il New York Times ha descritto tutto ciò come “parte di uno sforzo patriottico per risparmiare energia e combattere il surriscaldamento terrestre”. Il quotidiano ha inoltre sottolineato che le grandi imprese manifatturiere stanno aderendo alla campagna per il risparmio energetico come strategia per aumentare le vendite dei loro nuovissimi modelli di ultima generazione. Oltre a questo sforzo iniziale, il Giappone si è posto alcuni obiettivi per promuovere

ulteriormente l’efficienza energetica come, per esempio, ridurre il consumo di energia degli apparecchi televisivi del 17%, dei personal computer del 30%, degli impianti di condizionamento del 36% e dei frigoriferi di un impressionante 72%. Gli scienziati stanno inoltre mettendo a punto un frigorifero sottovuoto che utilizzi solo un ottavo dell’elettricità consumata da quelli commercializzati dieci anni fa. A livello non governativo, un piano studiato per il Canada dalla David Suzuki Foundation e dal Climate Action Network dimezzerebbe le emissioni di carbonio entro il 2030 utilizzando solo investimenti vantaggiosi sull’efficienza energetica. All’inizio di aprile 2003, inoltre, il WWF (World Wildlife Fund) ha pubblicato un’analisi certificata da un gruppo di scienziati specialisti del settore che suggerisce la riduzione delle emissioni di carbonio delle centrali elettriche statunitensi del 60% entro il 2020. La proposta si basa sull’adozione di apparecchiature di ultima generazione per la produzione di energia elettrica, sull’uso di elettrodomestici, motori industriali e altre apparecchiature più efficienti dal punto di vista energetico e, in alcuni casi, sul passaggio dal carbone al metano come risorsa energetica. Se adottato, questo piano consentirebbe di risparmiare a livello nazionale circa 20 miliardi di dollari l’anno da adesso al 2020. In Ontario, la più popolosa provincia del Canada, il Ministero dell’Energia sta pensando di eliminare gradualmente entro il 2009 le cinque più grandi centrali elettriche alimentate a carbone. La prima, la Lakeview Generating Station, è stata

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chiusa nell’aprile del 2005; altre tre saranno smantellate entro la fine del 2007, mentre l’ultima dovrà chiudere all’inizio del 2009. I tre principali partiti politici sostengono il piano per la sostituzione del carbone con l’energia eolica, il gas naturale e con il miglioramento dell’efficienza energetica. Jack Gibbons, direttore dell’Ontario Clean Air Alliance, che sostiene il piano ministeriale, ha affermato riferendosi al carbone: “È una fonte di energia del diciannovesimo secolo che non trova spazio nell’Ontario del ventunesimo secolo”. Anche le grandi multinazionali si stanno attivando. Interface, società con sede negli Stati Uniti e principale produttrice al mondo di moquette industriale, negli anni Novanta ha ridotto le emissioni di carbonio di due terzi nella propria filiale canadese. Tale risultato è stato possibile grazie a un’analisi accurata delle proprie attività – dal consumo energetico alle procedure di trasporto. L’amministratore delegato, Ray Anderson, ha affermato: “Interface Canada ha ridotto le emissioni di gas serra del 64% rispetto al proprio picco massimo ed è riuscita a rendere questo processo economicamente vantaggioso, in particolare perché i suoi clienti sono consci della propria responsabilità verso l’ambiente”. Il piano di Suzuki per tagliare le proprie emissioni di carbonio in Canada del 50% entro il 2030 si è ispirato alla redditività dell’iniziativa di Interface. Sebbene la stabilizzazione dei livelli di anidride carbonica sia una sfida difficile, resta però alla nostra portata. Con i progressi fatti nel campo della progettazione di turbine eoliche, l’evoluzione delle auto ibride benzina-elettricità,

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i passi avanti nella produzione di celle solari e i vantaggi derivati dall’efficienza delle apparecchiature domestiche, abbiamo ora a nostra disposizione le tecnologie di base per passare rapidamente da un’economia sostenuta da combustibili fossili a una trainata da fonti energetiche rinnovabili. Dimezzare le emissioni mondiali di carbonio entro il 2015 è un obiettivo perfettamente raggiungibile. Anche se può sembrare un traguardo ambizioso, è commisurato alla minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici. Aumentare la produttività energetica La grande importanza dell’aumentare la produttività energetica diventa chiara se si considerano i consumi di energia nei vari paesi. Alcune nazioni europee hanno essenzialmente lo stesso tenore di vita degli Stati Untiti, ma consumano tuttavia meno della metà dell’energia pro capite. Non dobbiamo dimenticare però che anche i paesi che fanno un uso più efficiente dell’energia sono ben lontani dal raggiungere il loro massimo potenziale. Quando, nell’aprile 2001, l’amministrazione Bush rese noto il nuovo piano energetico in cui si prevedeva la costruzione di 1.300 nuove centrali entro il 2020, Bill Prindle della Alliance to Save Energy, organizzazione con sede a Washington, rispose indicando come il paese avrebbe potuto eliminare la necessità di costruire tali centrali e risparmiare al tempo stesso. Segnalò quindi diverse misure atte a ridurre la domanda di elettricità: il miglioramento degli standard di efficienza per le apparecchiature domestiche

eliminerebbe la necessità di costruire 127 centrali; standard di efficienza più severi per gli impianti di condizionamento privati ne eliminerebbero altre 43; l’aumento degli standard per gli impianti di condizionamento commerciali eliminerebbe la necessità di ulteriori 50 centrali; l’utilizzo di sgravi fiscali e codici energetici per migliorare l’efficienza delle nuove costruzioni eviterebbe la costruzione di altri 170 impianti. Misure simili per incrementare l’efficienza energetica degli edifici già esistenti eliminerebbero poi 210 centrali.

Queste cinque misure, estratte dal lungo elenco suggerito da Prindle, non solo eliminerebbero la necessità di costruire 600 centrali elettriche, ma consentirebbero al contempo un risparmio economico. Sebbene questi calcoli siano stati fatti nel 2001, restano ancora validi semplicemente perché i progressi per aumentare l’efficienza energetica negli Usa sono stati da allora estremamente limitati. Ovviamente ogni paese dovrà introdurre un proprio piano per aumentare l’efficienza


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energetica, tuttavia vi sono alcuni denominatori comuni. Un provvedimento molto semplice per risparmiare energia è quello di sostituire le lampadine a incandescenza ancora in commercio con altre fluorescenti compatte (CFL), che richiedono solo un terzo dell’elettricità rispetto alle prime e durano 10 volte di più. In tutto il mondo la sostituzione di lampadine a incandescenza con CFL nei prossimi tre anni faciliterà la chiusura di centinaia di centrali elettriche a carbone deleterie per l’ambiente. Un secondo settore in cui intervenire per aumentare l’efficienza energetica è ovviamente quello delle auto. Se, nel prossimo decennio, gli Stati Uniti, solo per fare un esempio, passassero da veicoli con motori a benzina ad altri ibridi benzina-elettricità con il rendimento della Toyota Prius, il consumo di carburante sarebbe facilmente dimezzato. Un altro interessante metodo per aumentare l’efficienza energetica è quello di riprogettare i sistemi di trasporto urbani, passando dal sistema attuale basato su automobili con

un unico passeggero a un sistema diversificato che privilegi ciclisti e pedoni e che comprenda una linea di metropolitana leggera ben sviluppata e completata da autobus. Un tale sistema potrebbe aumentare la mobilità, ridurre il consumo di energia e l’inquinamento dell’aria, fornendo più opportunità per fare esercizio fisico: una situazione vantaggiosa sotto ogni punto di vista. Togliere le auto dalle strade faciliterebbe inoltre la riconversione di parcheggi in parchi, creando città a misura d’uomo. Domare il vento La capacità eolica mondiale, che cresce del 29% l’anno, è passata da meno di 5.000 megawatt nel 1995 a più di 47.000 megawatt nel 2004, moltiplicandosi dunque per nove. La crescita annuale dell’energia eolica si confronta con quella del petrolio (1,7%), del gas naturale (2,5%), del carbone (2,3%) e del nucleare (1,9%). Sei sono le motivazioni per cui l’energia eolica è sempre più utilizzata: è abbondante, economica, inesauribile, ampiamente

distribuita, pulita e non danneggia l’ambiente. Nessun’altra fonte energetica presenta tutte queste caratteristiche. Nelle sue proiezioni del 2005, il Global Wind Energy Council ha dimostrato che l’Europa può espandere la sua capacità eolica dai 47.317 megawatt del 2004 a 75.000 megawatt nel 2010, fino a 230.000 megawatt nel 2020. Entro il 2020, fra soli 15 anni, l’elettricità prodotta dal vento dovrebbe poter soddisfare i bisogni domestici di 195 milioni di consumatori, metà della popolazione europea. Dopo aver sviluppato buona parte dei 34.500 megawatt già a disposizione sulla terraferma, l’Europa sta ora puntando sul vento in mare aperto. Una valutazione del 2004 sulla possibilità di sfruttare i venti marini elaborata dal gruppo di consulenza per l’energia eolica Garrad Hassan ha concluso che, se i governi europei si muoveranno con decisione per sviluppare le loro vaste risorse in alto mare, il vento potrebbe fornire elettricità per uso domestico a tutta la regione entro il 2020.

La spinta per sviluppare l’energia eolica in Europa è stimolata dalle preoccupazioni per i cambiamenti climatici. L’ondata di caldo record che ha investito l’Europa nell’agosto 2003, distruggendo i raccolti e causando la morte di 49.000 persone, ha accelerato la sostituzione del carbone, estremamente deleterio per l’ambiente, con risorse energetiche pulite. Anche altri paesi stanno passando all’eolico, e fra questi si contano Canada, Brasile, Argentina, Australia, India e Cina. Negli Stati Uniti è in costruzione una centrale eolica dal potenziale di 3.000 megawatt. Situata in Sud Dakota, vicino al confine con l’Iowa, è stata avviata dalla Clipper Wind sotto la guida di James Dehlsen, pioniere dell’energia eolica in California. Pensato per fornire energia alla zona industriale del Midwest intorno a Chicago, questo progetto non solo è molto più imponente rispetto ai precedenti standard per centrali eoliche, ma è anche uno dei più grandi al mondo. Nella parte orientale degli Stati Uniti, Cape Wind sta progettando


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una centrale eolica per 420 megawatt al largo della costa di Cape Cod, nel Massachusetts. In tutto, circa 24 stati sono ora dotati di centrali eoliche che forniscono energia alla rete di distribuzione statunitense. L’elettricità a basso costo ottenuta dal vento può essere inoltre utilizzata per l’elettrolisi dell’acqua con cui si produce l’idrogeno grazie al quale è possibile immagazzinare e trasportare l’energia eolica. Di notte, quando la domanda di elettricità diminuisce sensibilmente, i generatori a idrogeno possono essere accesi per accrescere le riserve. Una volta immagazzinato, l’idrogeno può essere utilizzato per alimentare le centrali elettriche. L’idrogeno ottenuto con l’energia eolica può, pertanto, fare da riserva per l’energia eolica stessa, mentre l’elettricità proveniente dall’idrogeno potrebbe essere utilizzata quando l’energia del vento diventa insufficiente. L’idrogeno ottenuto mediante il vento può inoltre essere utile come alternativa al gas naturale, in particolare se i prezzi sempre crescenti renderanno quest’ultimo troppo costoso per produrre energia. Il problema non è decidere se il vento sia una fonte potenzialmente vasta di energia eco-compatibile che può essere utilizzata per stabilizzare il clima. Lo è. Saremo però in grado di sviluppare questa potenzialità abbastanza in fretta per battere sul tempo i cambiamenti climatici che stanno avendo effetti deleteri sulle nostre economie? Trasformare la luce solare in elettricità Il vento non è l’unica fonte di energia sottoutilizzata. Quando un gruppo di tre scienziati dei Laboratori Bell di Princeton,

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New Jersey, scoprirono nel 1952 che la luce solare, colpendo una superficie in silicio, poteva generare elettricità, aprirono le porte a un’altra fonte di energia illimitata: le celle fotovoltaiche (o solari). Nessun paese usa tutta l’energia contenuta nella luce solare che ogni giorno raggiunge i suoi edifici, ha scritto Denis Hayes, ex direttore dell’Istituto di Ricerca sull’Energia Solare del governo statunitense. Nel 2004 le vendite di celle solari sono incredibilmente aumentate del 57%, facendo lievitare la produzione energetica mondiale a 1.200 megawatt. Con questo incremento, la capacità globale di produrre energia mediante celle solari, raddoppiata negli ultimi due anni, supera ora i 4.300 megawatt, l’equivalente di circa 13 centrali elettriche alimentate a carbone. Fino a dieci anni fa gli Stati Uniti controllavano circa metà del mercato mondiale, ma questa percentuale è diminuita al 12% da quando Giappone e Germania sono diventati leader del settore. Le celle solari sono utilizzate sia per sistemi isolati sia per strutture più complesse che possono alimentare la rete di distribuzione energetica. Durante i suoi primi anni di vita, l’industria delle celle solari era dominata dall’uso privato per fornire energia ai satelliti per le

comunicazioni e in aree remote come le foreste o i parchi nazionali, fari lontani dalla costa, case di villeggiatura in isolate regioni montane o isole. Negli ultimi dieci anni le installazioni di celle solari che forniscono energia al normale sistema di distribuzione sono cresciute rapidamente grazie agli incentivi offerti dai governi e rappresentano ora più di tre quarti di tutte le nuove installazioni. La chiave della rapida crescita è un contatore a due direzioni che permette ai consumatori di immettere le eccedenze nella rete di distribuzione, ottenendo in cambio una percentuale fissa. La legge statunitense del 2005 sulla politica energetica ha stabilito che siano messi a disposizione contatori bidirezionali a chiunque ne faccia richiesta. Alcuni paesi hanno imposto un compenso fisso che le centrali dovranno versare per l’elettricità immessa nel sistema di distribuzione. In Germania tale compenso è stato fissato ben al di sopra del valore di mercato per rispecchiare l’importanza dell’elettricità pulita e per far decollare definitivamente la giovane industria delle celle solari. In alcuni paesi l’uso domestico delle celle solari è in espansione. In Giappone, dove diverse società hanno

commercializzato un materiale solare per le coperture, l’idea di trasformare il tetto nella centrale elettrica della casa sta prendendo sempre più piede. Tutto ciò, combinato con il progetto partito nel 1994 con cui si fornisce un sussidio per l’installazione di 70.000 tetti solari, ha permesso al paese di accelerare il processo, trasformandosi nella nazione leader per la produzione di elettricità grazie all’energia solare. Nel 1998 la Germania avviò un programma per installare 100.000 tetti solari, fornendo ai consumatori prestiti decennali per pagare i sistemi fotovoltaici a un tasso di interesse agevolato. Il progetto si concluse nel 2003 quando fu raggiunto l’obiettivo di 100.000 tetti. Con questo mercato in rapida crescita, i costi per le celle solari sono ora in netta diminuzione, permettendo ai produttori tedeschi di essere abbastanza competitivi anche a livello internazionale. Negli Stati Uniti, la California sta fornendo incentivi interessanti per l’installazione domestica di celle solari. Con una situazione climatica in cui i picchi di richiesta durante le giornate estive più calde mettono a dura prova la capacità della rete di distribuzione, le celle solari sono considerate un’alternativa alle


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centrali a combustibile fossile, in particolare a gas, che operano solo durante il giorno, nei momenti di maggiore richiesta. Fortunatamente le celle solari producono la maggior parte dell’energia durante i periodi più caldi della giornata, caratteristica che le rende ideali per soddisfare proprio i picchi di richiesta. Le installazioni di celle solari potrebbero essere ancora più vantaggiose per edifici di grandi dimensioni. A Manchester, in Inghilterra, un complesso di uffici di 40 piani in ristrutturazione sarà ricoperto di materiale fotovoltaico. Con tre lati dell’edificio (120 metri) coperti con questo materiale, si otterrà un’enorme superficie in grado di generare energia. Un portavoce del proprietario e occupante dell’edificio, la Co-operative Insurance Society, ha sottolineato con un sorriso che ciò produrrà ogni anno elettricità sufficiente per preparare 9 milioni di tazze di tè. Negli ultimi anni ha preso piede il mercato delle celle solari non legate alla tradizionale rete di distribuzione, in particolare nei paesi in via di sviluppo dove i costi di una centrale elettrica e di una rete di distribuzione che ripartisca a singoli consumatori ridotte quantità di elettricità sono proibitivi. Oggi più di 1 milione di abitazioni nei paesi in via di sviluppo ottengono energia dalle celle solari, ma ciò rappresenta meno dell’1% degli 1,7 miliardi di persone che ancora non hanno accesso all’elettricità. Il principale ostacolo alla diffusione di installazioni di celle solari nei villaggi non sono tanto i costi in sé, quanto la mancanza di programmi di microcredito che li finanzino. Oltre a produrre elettricità grazie alle celle, l’energia solare può essere concentrata per bollire

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acqua e ottenere vapore che metta in funzione una turbina per generare elettricità. Uno dei modi più diffusi per raccogliere l’energia solare è quello di collocare sui tetti collettori termosolari sia per l’acqua sia per il calore. Janet Sawin del Worldwatch Institute afferma che tali installazioni, che in tutto il mondo coprono una superficie di 150 milioni di metri quadrati, da cui occorre escludere il 25% utilizzato per le piscine, forniscono acqua o calore per 32 milioni di abitazioni. Catturano più energia dei sistemi eolici e delle celle solari messi insieme. Per anni sia Israele sia Cipro, paesi dove il sole non manca, hanno incoraggiato l’uso dei riscaldatori solari di acqua come mezzo per ridurre il fabbisogno di combustibili fossili di importazione. La Germania, che ha 5,4 milioni di metri quadrati di pannelli solari riscaldatori di acqua, è al secondo posto per capacità installata. Il totale dell’area installata raggiunge i 540 ettari o 1.300 acri circa. In Cina, leader mondiale del settore, si sta pensando di quadruplicare gli attuali 52 milioni di metri quadrati di collettori entro il 2015, afferma Sawin. La Spagna, uno dei principali produttori di pannelli termosolari, sta cercando di diventare leader indiscussa promuovendo l’installazione sui tetti di tutti i nuovi edifici, residenziali e commerciali, di pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua a partire dal 2005. Un pannello di due metri su un’abitazione monofamigliare può ridurre le bollette annuali per l’acqua calda del 70%. In effetti la Spagna sta utilizzando le sue abbondanti risorse di energia solare al posto del petrolio di importazione. Le tecnologie per trasformare la

luce solare in elettricità o per riscaldare acqua ed edifici sono ormai ben sviluppate. E l’economia se ne sta rendendo conto. Per accelerare questo processo sono però necessari incentivi che, per la società, rispecchino l’importanza di una minore dipendenza dal petrolio e della riduzione delle emissioni di carbonio. Ridurre rapidamente le emissioni di carbonio Il modo di gran lunga più rapido ed economico per ridurre le emissioni di carbonio è quello di aumentare l’efficienza nei consumi di energia. Non solo è il meno caro, ma è spesso anche il modo più vantaggioso. Un’altra opzione possibile è quella di sviluppare fonti rinnovabili di energia. In un mondo che sta affrontando cambiamenti climatici distruttivi, ogni paese dovrà pianificare una propria strategia per ridurre le emissioni di carbonio alla luce delle possibilità uniche offerte dalle fonti energetiche rinnovabili e dal promettente potenziale legato all’aumento dell’efficienza energetica. Nel frattempo, però, numerose tecnologie per ridurre le emissioni di carbonio, come apparecchiature domestiche più efficienti e veicoli ibridi benzina-elettricità, sono già comuni a tutte le società. A differenza degli ultimi cento anni, quando l’economia mondiale era sempre più dipendente da risorse energetiche nelle mani di un pugno di paesi politicamente instabili in Medio Oriente, la nuova economia energetica dipenderà molto dalle risorse locali di energia rinnovabile. In questo secolo, stiamo assistendo alla localizzazione della produzione energetica.

Se nel secolo scorso “uno valeva per tutti”, nel ventunesimo secolo ogni paese dovrà mettere a punto una strategia che possa sfruttare le proprie risorse energetiche e il proprio potenziale di incremento dell’efficienza. Inoltre, a differenza degli investimenti in giacimenti di petrolio, metano e miniere, garanzia di esaurimento e abbandono, le nuove risorse energetiche sono inesauribili. Anche se turbine eoliche, celle e pannelli solari potranno di tanto in tanto avere bisogno di qualche riparazione, l’investimento iniziale resterà inalterato nel tempo. Questo pozzo non si prosciugherà.

* Brano estratto da: Lester R. Brown, Plan B 2.0: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble, New York, W.W. Norton & Co., prossima uscita 2006. Per ulteriori informazioni, consultare il sito www.earth-policy.org. Lester R. Brown, fondatore e presidente dell’Earth Policy Institute, è stato descritto dal Washington Post come “uno dei più influenti pensatori al mondo” e come “il guru del movimento ambientalista mondiale”. È autore di numerose pubblicazioni, fra cui Plan B: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble (Piano B: una strategia di pronto soccorso per la Terra, Edizioni Ambiente, 2004), dove sviluppa una teoria per un’economia eco-sostenibile. Le sue principali aree di ricerca comprendono gli alimenti, la popolazione, l’acqua, i cambiamenti climatici e le fonti di energia rinnovabili. Vincitore di numerosi premi e riconoscimenti universitari, è un oratore di fama. Nel 1974 ha fondato il Worldwatch Institute, del quale è stato presidente per i primi 26 anni. Come presidente ha lanciato i World Watch Papers, i libri Worldwatch/Norton, la relazione annuale State of the World sullo stato di salute del pianeta, la rivista bimestrale World Watch, la pubblicazione annuale Vital Signs, e le News Briefs dell’Istituto.

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ome time ago, I had a call from my son Brian, who had come across a huge new wind farm as he was driving on one of the interstate highways in west Texas. He described the rows of wind turbines receding toward the horizon. Interspersed among them were oil wells. The wind turbines were turning and the oil wells were pumping. My son was fascinated by the juxtaposition of the old and the new, the past and the future. I said, “If you return 30 years from now, the wind turbines will still be turning, but it is unlikely that the oil wells will be pumping.” What he was looking at in a nutshell was the energy transition, the shift from the age of fossil fuels to renewables. The energy transition is not progressing rapidly everywhere. When the Kyoto Protocol was negotiated in 1997, the proposed 5-percent reduction in carbon emissions from 1990 levels in industrial countries by 2012 seemed like an ambitious goal. Now it is widely seen as an outmoded, grossly inadequate goal. National governments, local governments, corporations, and environmental groups are coming up with plans to cut carbon emissions much further than was agreed to in Kyoto by turning to renewables and raising energy efficiency. Some individuals and groups are even beginning to think about how to cut carbon emissions by 70 percent, the amount that most scientists say will be needed to stabilize climate. In July 2005, the European Commission proposed a new plan to cut energy use 20 percent by 2020 and to increase the renewable share of Europe’s energy supply to 12 percent by 2010.

Together, these two initiatives will reduce carbon emissions by nearly one third. Among the long list of measures to boost energy efficiency in these countries are replacing old, inefficient refrigerators, switching to high-efficiency light bulbs, and insulating roofs. Reaching the renewables goal includes a rather conservative addition of 15,000 megawatts of wind power, a fivefold expansion of ethanol production, and a threefold increase in biodiesel production. The Europeans’ proposed 20-percent cut in energy use by 2020 contrasts sharply the projected growth of 10 percent under a business-as-usual scenario. The proposed plan, which is scheduled for final approval in 2006, is designed to save 60 billion euros by 2020. It is also designed to stimulate economic growth, create new jobs, and, by reducing energy outlays, enhance European competitiveness in world markets. The 25-member European Union is second only to the United States in

energy consumption. In 2005 the Japanese government also announced a national campaign to dramatically boost energy efficiency in its economy, already one of the world’s most efficient. It urged its people to replace older, inefficient appliances and to buy hybrid cars. The New York Times described this as “all part of a patriotic effort to save energy and fight global warming.” It noted that the large manufacturing firms were jumping on the energy efficiency bandwagon as a way of increasing sales of their latest high-efficiency models. Beyond this initial effort, Japan has set goals for boosting appliance efficiency even further, cutting energy use of television sets by 17 percent, of personal computers by 30 percent, of air conditioners by 36 percent, and of refrigerators by a staggering 72 percent. Scientists are working on a vacuum-insulated refrigerator that will use only one eighth as much electricity as those marketed a decade ago.

At the nongovernmental level, a plan developed for Canada by the David Suzuki Foundation and the Climate Action Network would halve carbon emissions by 2030 and would do it only with investments in energy efficiency that are profitable. And in early April 2003, the World Wildlife Fund released a peer-reviewed analysis by a team of scientists that proposed reducing carbon emissions from US electric power generation 60 percent by 2020. This proposal centers on a shift to more energy-efficient power generation equipment, the use of more-efficient household appliances and industrial motors and other equipment, and in some situations a shift from coal to natural gas as an energy source. If implemented, it would result in national savings averaging $20 billion a year from now until 2020. In Ontario, Canada’s most populous province, the Ministry of Energy plans to phase out the province’s five large, coal-fired power plants by 2009. The first, Lakeview Generating Station, was closed in April


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2005; three more will close by the end of 2007, and the last will be shut down in early 2009. All three major political parties support the plan to replace coal with wind, natural gas, and efficiency gains. Jack Gibbons, director of the Ontario Clean Air Alliance, which endorses the Ministry’s plan, says of coal burning, “It’s a nineteenth century fuel that has no place in twenty-first century Ontario.” Corporations are also getting involved. US-based Interface, the world’s largest manufacturer of industrial carpeting, cut carbon emissions by two thirds in its Canadian affiliate during the 1990s. It did so by examining every facet of its business—from electricity consumption to trucking procedures. CEO Ray Anderson says, “Interface Canada has reduced greenhouse gas emissions by 64 percent from the peak, and made money in the process, in no small measure because our customers support environmental responsibility.” The Suzuki plan to cut

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Canadian carbon emissions in half by 2030 was inspired by the profitability of the Interface initiative. Although stabilizing atmospheric carbon dioxide levels is a staggering challenge, it is entirely doable. With advances in wind turbine design, the evolution of gas-electric hybrid cars, advances in solar cell manufacturing, and gains in the efficiency of household appliances, we now have the basic technologies needed to shift quickly from a fossil fuel-based to a renewable energy-based economy. Cutting world carbon emissions in half by 2015 is entirely within range. Ambitious though this goal might seem, it is commensurate with the threat that climate change poses. Raising Energy Productivity The enormous potential for raising energy productivity becomes clear in comparisons of energy use among countries. Some nations in Europe have essentially the same living standard as the United States yet use scarcely half as much energy per person. But even the countries that use energy most efficiently are not close to realizing the full potential for doing so. When the Bush Administration released a new energy plan in April 2001 that called for construction of 1,300 new power plants by 2020, Bill Prindle of the Washington-based Alliance to Save Energy responded by pointing out how the country could eliminate the need for those plants and save money in the process. He ticked off several steps that would reduce the demand for electricity. Improving efficiency standards for household appliances would

eliminate the need for 127 power plants. More stringent residential air conditioner efficiency standards would eliminate 43 power plants. Raising commercial air conditioner standards would eliminate the need for 50 plants. Using tax credits and energy codes to improve the efficiency of new buildings would save another 170 plants. Similar steps to raise the energy efficiency of existing buildings would save 210 plants. These five measures from the longer list suggested by Prindle would not only eliminate the need for 600 power plants, they would also save money. Although these calculations were made in 2001, they are still valid simply because there has been so little progress in raising US energy efficiency since then. Of course, each country will have to fashion its own plan for raising energy productivity. Nevertheless, there are a number of common components. One simple energy-saving step is to replace all remaining incandescent light bulbs with compact fluorescent lamps (CFLs), which use only one third as much electricity and last 10 times as long. Worldwide, replacing incandescent light bulbs with CFLs in, say, the next three years would facilitate the closing of hundreds of climate-disrupting coal-fired power plants. A second obvious area for raising energy efficiency is automobiles. If over the next decade the United States, for example, were to shift from the current fleet of cars powered with gasoline engines to gas-electric hybrids with the fuel efficiency of the Toyota Prius, gasoline use could easily be cut in half. Another attractive way to raise energy efficiency is to redesign

urban transport systems, moving from the existing system centered on single-occupant automobiles to a more diverse bicycle- and pedestrian-friendly system that would include well-developed light-rail subway systems complemented with buses. Such a system would increase mobility, reduce energy use and air pollution, and provide more opportunities for exercise, a win-win-win situation. Taking automobiles off the street would facilitate the conversion of parking lots into parks, creating more friendly cities. Harnessing the Wind World wind-generating capacity, growing at 29 percent a year, has jumped from less than 5,000 megawatts in 1995 to more than 47,000 megawatts in 2004, a ninefold increase. Wind’s annual growth rate of 29 percent compares with 1.7 percent for oil, 2.5 percent for natural gas, 2.3 percent for coal, and 1.9 percent for nuclear power. There are six reasons why wind is growing so fast. It is abundant, cheap, inexhaustible, widely distributed, clean, and climate-benign. No other energy source has all these attributes. In its 2005 projections, the Global Wind Energy Council showed Europe’s wind-generating capacity expanding from 47,317 megawatts in 2004 to 75,000 megawatts in 2010 and 230,000 megawatts in 2020. By 2020, just 15 years from now, wind-generated electricity is projected to satisfy the residential needs of 195 million consumers, half of Europe’s population. After developing most of its existing 34,500 megawatts of capacity on land, Europe is now tapping offshore wind as well.

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A 2004 assessment of Europe’s offshore potential by the Garrad Hassan wind energy consulting group concluded that if European governments move aggressively to develop their vast offshore resources, wind could be supplying all the region’s residential electricity by 2020. The push to develop wind in Europe is spurred by concerns about climate change. The record heat wave in Europe in August 2003 that scorched crops and claimed 49,000 lives has accelerated the replacement of climate-disrupting coal with clean energy sources. Other countries that are turning to wind in a major way include Canada, Brazil, Argentina, Australia, India, and China. In the United States, a 3,000-megawatt wind farm is in the early planning stages. Located in South Dakota near the Iowa border, it is being initiated by Clipper Wind, led by James Dehlsen, a wind energy pioneer in California. Designed to feed power into the industrial Midwest around Chicago, this project is not only large by wind power standards, it is one of the largest energy projects of any kind in the world today. In the eastern United States, Cape Wind is planning a 420-megawatt wind farm off the coast of Cape Cod, Massachusetts. In all, some 24 states now have commercial-scale wind farms feeding electricity into the US grid. Low-cost electricity from wind can be used to electrolyze water to produce hydrogen, which provides a way of both storing and transporting wind energy. At night, when the demand for electricity drops, the hydrogen generators can be turned on to build up reserves. Once in storage, hydrogen can be used

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to fuel power plants. Wind-generated hydrogen can thus become a backup for wind power, with hydrogen-powered electricity generation kicking in when wind power ebbs. Wind-generated hydrogen can also serve as an alternative to natural gas, especially if rising prices make gas prohibitively costly for electricity generation. The question is not whether wind is a potentially vast source of climate-benign energy that can be used to stabilize climate. It is. But will we develop it fast enough to head off economically disruptive climate change? Converting Sunlight to Electricity Wind is not the only vast untapped source of energy. When a team of three scientists at Bell Labs in Princeton, New Jersey, discovered in 1952 that sunlight striking a silicon surface could generate electricity, they opened the door to another near limitless source of energy—photovoltaic (or solar) cells. No country uses

as much energy as is contained in the sunlight that strikes its buildings each day, writes Denis Hayes, former Director of the US government’s Solar Energy Research Institute. Sales of solar cells jumped by a phenomenal 57 percent in 2004, pushing the annual installed generating capacity worldwide to 1,200 megawatts. With this addition, world solar-cell generating capacity, which has doubled in the last two years, now exceeds 4,300 megawatts, roughly the equivalent of 13 coal-fired power plants. A decade ago the United States had roughly half of the world market, but this has now dropped to 12 percent as Japan and Germany have taken most of the world market. Solar cells are used either in stand-alone systems or in systems that can feed into the grid. In its early years, the solar cell industry was dominated by non-grid uses to supply electricity to communication satellites and in remote sites such as national forests or

parks, offshore lighthouses, summer homes in isolated mountain regions, or islands. Over the last decade, solar cell installations that feed into the grid have grown rapidly in response to incentives offered by governments, and they now account for more than three fourths of all new installations. Two-way meters that enable utility customers to feed surpluses into the grid for a fixed rate is the key to rapid growth. The US Energy Policy Act of 2005 established two-way metering for any customer requesting it. Some countries have established a fixed price for utilities to pay for electricity fed into the grid. In Germany, this has been set well above the market price to reflect the value of clean electricity and to get the fledgling solar cell industry off the ground. The residential use of solar cells is expanding rapidly in some countries. In Japan, where companies have commercialized a solar roofing material, the idea of making the roof the


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power plant for the home is increasingly popular. This, combined with Japan’s 70,000 Roofs Program launched in 1994 to subsidize the installations, got the country off to a fast start, making it a world leader in solar-generated electricity. In 1998, Germany initiated a 100,000 Roofs Program, which gave consumers 10-year loans for buying photovoltaic systems at reduced interest rates. This ended in 2003 when the goal of 100,000 roofs was reached. With this fast-growing market, solar cell costs now have fallen to where German manufacturers are quite competitive internationally. Within the United States, California is also providing attractive incentives for the residential installation of solar cells. In a climate where peak capacity on hot summer days presses against the limits of the grid, solar cells are seen as an alternative to fossil fuel plants, mostly gas-fired, that operate only during the peak daytime demand. Happily, solar cells generate the most electricity during the hottest times of the day, making them ideal for satisfying peak power demands. Solar cell installations may be even more economical in large buildings. In Manchester, England, a 40-story office building in need of renovation will be covered with photovoltaic material. With three sides of this 400-foot building covered with this material, the building has a huge generating surface. An official of the building owner and occupant, the Co-operative Insurance Society, noted with a smile that it would produce enough electricity each year to make 9 million cups of tea. In recent years, a vast new off-grid solar cell market has opened up in

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developing-country villages, where the cost of building a centralized power plant and a grid to deliver relatively small amounts of electricity to individual consumers is prohibitive. Today more than 1 million homes in villages in the developing world are getting their electricity from solar cells, but this represents less than 1 percent of the 1.7 billion who do not yet have electricity. The principal obstacle to the spread of solar cell installations in villages is not the cost per se, but the lack of small-scale credit programs to finance them. In addition to generating electricity from solar cells, solar energy can also be concentrated to boil water and produce steam, driving a turbine to generate electricity. One of the most popular ways of harnessing solar energy is the use of rooftop solar thermal collectors for both water and space heating. Janet Sawin of Worldwatch Institute reports that the global installations of 150 million square meters, excluding the one fourth that is used for swimming pools, supplies water or space heating for 32 million households. It captures more energy than wind energy and solar cells combined. For years both Israel and Cyprus, countries rich in sunlight, have been encouraging solar water heaters as a way of reducing the need for imported fossil fuels. Germany, which has 5.4 million square meters of solar water for heating panels, ranks second in installed capacity. This panel area totals 540 hectares or roughly 1,300 acres. China, far and away the world leader in this technology, is planning to quadruple its current 52 million square

meters of collectors by 2015, reports Sawin. Spain, a leading manufacturer of solar thermal panels, is making a bid for industry leadership by requiring the inclusion of rooftop solar water heaters on all new buildings, residential and commercial, beginning in 2005. A two-meter panel on a single-family residence can reduce annual water heating bills by 70 percent. In effect, Spain is substituting its abundant sunlight for imported oil. The technologies for converting sunlight into electricity or using it to heat water and building space are now well developed. And the economics are falling into place. What is needed to accelerate this is a set of incentives that reflects the value to society of reducing dependence on oil and of reducing carbon emissions. Cutting Carbon Emissions Fast By far the cheapest and fastest way to cut carbon emissions is to raise the efficiency of energy use. Not only is it cheap, it is often profitable. The other option is to develop renewable sources of energy. In a world facing disruptive climate change, each country will need to fashion its own carbon reduction strategy in light of its unique complement of renewable sources of energy and its most promising potentials for raising energy efficiency. Yet, many technologies for cutting carbon emissions, such as energy-efficient household appliances and gas-electric hybrid vehicles, are common to all societies. In contrast to the last century, when the world energy economy was becoming increasingly dependent on resources in a handful of politically unstable countries in

the Middle East, the new energy economy will depend heavily on local sources of renewable energy. During this century, we are witnessing the localization of energy production. Whereas “one size fit all” in the last century, in the twenty-first century each country will fashion an energy strategy that fits its own renewable energy resources and its potential for raising energy efficiency. Furthermore, in contrast to investments in oil and gas fields and coal mines, where depletion and abandonment were guaranteed, the new energy sources are inexhaustible. While wind turbines, solar cells, and solar panels will all need repair and occasional replacement, the initial investment can last indefinitely. This well will not go dry.

* This article is excerpted from Lester R. Brown, Plan B 2.0: Rescuing a Planet Under Stress and a Civilization in Trouble (New York, W.W. Norton & Co.: forthcoming 2006). For more information see www.earth-policy.org. Lester R. Brown, Founder and President of the Earth Policy Institute, has been described by the Washington Post as “one of the world’s most influential thinkers” and as “the guru of the global environmental movement.” He is the author of numerous books, including Plan B: Rescuing a Planet under Stress and a Civilization in Trouble, where he develops a vision for an environmentally sustainable economy. His principal research areas include food, population, water, climate change, and renewable energy. The recipient of scores of awards and honorary degrees, he is widely sought as a speaker. In 1974, he founded Worldwatch Institute, of which he was President for its first 26 years. As President, he launched the World Watch Papers, the Worldwatch/Norton books, the annual State of the World report, the bimonthly magazine World Watch, the annual Vital Signs, and the Institute’s News Briefs.

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Bush vuole una via flessibile Bush is Seeking a Flexible Approach di Harlan L. Watson* by Harlan L. Watson*

Un impegno che accomunerà molte generazioni, ma il Protocollo di Kyoto non è la soluzione A global commitment over many generations, but the Kyoto Protocol is not the solution

Usa non avrebbero sottoscritto il Protocollo di Kyoto, che sarebbe potuto costare all’economia nazionale fino a 400 miliardi di dollari l’anno e la perdita di 4,9 milioni di posti di lavoro. Affrontare la sfida dei cambiamenti climatici richiederà un impegno costante e globale per molte generazioni. Il presidente ha stabilito una politica per i cambiamenti climatici ben definita, ma flessibile, con quattro punti principali che sfruttano la forza dei mercati e dell’innovazione tecnologica, appoggiano la crescita economica e incoraggiano la partecipazione generale: (1) adozione a breve termine di politiche e misure per rallentare la crescita delle emissioni di gas serra, sia di tipo volontario – basate su incentivi – sia di tipo obbligatorio; (2) progresso della scienza che studia i cambiamenti climatici; (3) accelerazione dello sviluppo della tecnologia legata ai cambiamenti climatici e (4) promozione della collaborazione internazionale.

gli Stati Uniti in una strategia volta a ridurre le emissioni di gas serra dell’industria americana in rapporto al prodotto interno lordo. La flessibilità – caratteristica fondamentale di questo approccio intensivo – è di particolare rilevanza se si considerano le numerose incertezze legate ai cambiamenti climatici che suggeriscono una risposta misurata che si concentri principalmente sul rallentamento della crescita delle emissioni, prima di tentare di bloccarla del tutto o diminuirla. A differenza della strategia adottata a Kyoto, concentrarsi sull’intensità delle emissioni può incoraggiare una loro riduzione senza rischiare conseguenze economiche pericolose che potrebbero compromettere la nostra capacità di investire in soluzioni scientifiche e tecnologiche a lungo termine. Entro il 2012, il nostro obiettivo è di ridurre le emissioni/per unità economica del 18% rispetto ai livelli del 2002; e la meta si fa sempre più vicina. Secondo i National Inventory Reports (gli inventari nazionali delle emissioni di gas serra) dei paesi industrializzati presentati alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, gli Stati Uniti sono ai primi posti per quanto concerne la riduzione delle proprie emissioni di gas serra negli ultimi anni. Dal 2000 al 2003, ultima statistica a nostra disposizione, gli Usa hanno ridotto le proprie emissioni dello 0,8%. Nessun altro grande paese ha superato questo risultato, compresi i firmatari del Protocollo di Kyoto.

Rallentare la crescita delle emissioni di gas serra Per quanto concerne il primo punto, nel febbraio 2002, il presidente Bush ha impegnato

Progresso della scienza che studia i cambiamenti climatici e sviluppo tecnologico Il secondo e terzo punto della strategia del presidente Bush

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el dibattito sui cambiamenti climatici, gli Stati Uniti sono spesso identificati solamente come coloro che non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto. Ma in realtà gli Usa sono attivamente impegnati a livello nazionale e internazionale – in particolare con l’Italia e alcuni altri Stati Membri della Ue e con la stessa Commissione Europea (CE) – in diverse e ben definite collaborazioni multi e bilaterali per affrontare questo importante tema. Ritengo, perciò, opportuna una puntualizzazione attraverso un’analisi della politica per i cambiamenti climatici condotta dall’amministrazione Bush inclusa una descrizione del vasto sforzo internazionale compiuto dagli Usa per portare avanti tale strategia. Nel febbraio 2002, il presidente Bush ha ribadito l’impegno degli Stati Uniti nei confronti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e del suo obiettivo fondamentale: stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a livelli tali da evitare pericolose interferenze dell’uomo nell’equilibrio climatico. Bush ha però anche riaffermato chiaramente che gli

riguardano il progresso della scienza che studia i cambiamenti climatici e un’accelerazione dello sviluppo della tecnologia a essi legata. Sotto l’amministrazione Bush, gli Stati Uniti sono stati i primi al mondo per quanto concerne gli investimenti in questi settori: dal 2001 al 2005 il governo federale statunitense ha speso più di 20 miliardi di dollari per la scienza e la tecnologia legate ai cambiamenti climatici. Il Programma Scientifico degli Stati Uniti sui Cambiamenti Climatici integra le ricerche sul cambiamento globale e sui cambiamenti climatici di tredici diverse agenzie federali. Il Programma, con una richiesta di stanziamenti per il 2006 di circa 1,9 miliardi di dollari, ha come obiettivo lo studio di alcuni fra i temi più complessi che la climatologia deve affrontare. Più dell’80% delle attuali emissioni di gas serra prodotte dall’uomo è legato all’energia e sebbene le proiezioni oscillino considerevolmente, è facilmente prevedibile una triplicazione della richiesta di energia a livello mondiale entro il 2100. Pertanto, per fornire l’energia necessaria a una crescita economica continua, riducendo al tempo stesso le emissioni di gas serra, è necessario sviluppare e adottare tecnologie con un buon rapporto qualità-prezzo che cambino radicalmente il modo in cui produciamo e utilizziamo energia. Il presidente Bush ha istituito per gli Stati Uniti il Programma Tecnologico per i Cambiamenti Climatici al fine di coordinare e ottimizzare le attività del governo federale su ricerca tecnologica, sviluppo, informazione e utilizzo in materia di problemi climatici, per le quali l’amministrazione


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ha richiesto circa 2,9 miliardi di dollari per il solo 2006. Questi investimenti in efficienza energetica ed energie rinnovabili, idrogeno, intercettazione del carbonio prodotto dal processo di combustione, carbone pulito e tecnologie di fissione e fusione nucleare potrebbero consentirci l’accesso a fonti sostenibili di energia pulita, riducendo al contempo sensibilmente le emissioni di gas serra per il lungo periodo. Inoltre, l’adozione di tecnologie energetiche pulite nelle economie in via di sviluppo come Cina e India potrebbe cambiare sostanzialmente il futuro del quadro energetico mondiale. Promuovere la collaborazione internazionale Il quarto punto – promuovere la collaborazione internazionale – è stato ripetutamente sottolineato del presidente Bush per la sua importanza nello sviluppare una risposta globale, efficace ed efficiente alla complessa sfida a lungo termine dei cambiamenti climatici, una risposta che richiede la partecipazione dei paesi in via di sviluppo. Siamo persuasi che il modo più efficace per coinvolgere questi paesi è quello di non concentrarci solo sulle emissioni di gas serra, ma di adottare un programma di sviluppo di più vasto respiro che promuova la crescita economica, riduca la povertà, fornisca accesso a un sistema sanitario moderno, migliori la

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produttività agricola, garantisca sicurezza energetica, riduca l’inquinamento e attenui le emissioni di gas serra. Sotto la guida del presidente Bush, gli Stati Uniti hanno riunito le principali nazioni – firmatarie e non del Protocollo di Kyoto, paesi sviluppati e in via di sviluppo – in collaborazioni multi e bilaterali ben strutturate, concentrate sul raggiungimento di risultati concreti per il conseguimento di questi obiettivi. La tecnologia del carbone pulito, per esempio, sarà fondamentale non solo per gli Stati Uniti, ma anche per Cina, India e gli altri paesi in via di sviluppo dipendenti dal carbone. Il Dipartimento dell’Energia statunitense, in collaborazione col settore energetico privato, costruirà FutureGen, una centrale elettrica dimostrativa a carbone da 1 miliardo di dollari provvista di un sistema di stoccaggio sicuro delle emissioni di carbonio in formazioni geologiche sotterranee, il primo grande impianto a carbone a emissioni zero del mondo. A livello internazionale, stiamo collaborando con l’Italia, la Commissione europea e altri 18 paesi nell’ambito del Carbon Sequestration Leadership Forum (CSLF), un’iniziativa multilaterale lanciata dagli Stati Uniti per accelerare lo sviluppo di questa tecnologia in tutto il mondo. Stiamo inoltre cooperando con la Commissione europea e altri 15 paesi per la International Partnership for a Hydrogen

Economy (Partnership Internazionale per un’Economia all’Idrogeno – IPHE) su un piano di ricerca volto alla produzione di auto a idrogeno, che emettano solo acqua e non esalazioni dannose e che possano essere commercializzate entro i prossimi quindici anni. La Methane to Markets Partnership – istituita a Washington nel novembre 2004 e che comprende Stati Uniti, Italia e altri 14 paesi – si concentra sullo sviluppo nel breve periodo di un sistema di recupero e di utilizzo del metano come fonte energetica pulita, affinché sia economicamente vantaggioso, per migliorare la crescita economica, promuovere la sicurezza energetica, tutelare l’ambiente e ridurre i gas serra. La Partnership ha il potenziale per ottenere entro il 2015 una riduzione annua delle emissioni di metano superiore a 50 milioni di tonnellate di carbonio, o un recupero di 14 milioni di metri cubi di gas naturale, che potrebbe portare a una stabilizzazione o addirittura a una diminuzione dei livelli di concentrazione di metano nell’atmosfera. L’adozione del GEOSS (Global Earth Observation System of Systems), che vede la partecipazione di Stati Uniti, Comunità europea e oltre 50 nazioni, ci consentirà di ottenere una migliore conoscenza del clima per affrontare al meglio le sfide dello sviluppo sostenibile. Stiamo inoltre collaborando

strettamente con l’Italia per lo sviluppo della Partnership Internazionale sulle Bioenergie, iniziativa del governo italiano appoggiata dal recente G8 svoltosi a Gleneagles nel 2005, per un più vasto ed economicamente vantaggioso utilizzo dei biocombustibili e delle biomasse, in particolare nei paesi in via di sviluppo dove l’uso di queste ultime è prevalente. Altri esempi di nostri impegni multilaterali sono il Generation IV International Forum, all’interno del quale gli Stati Uniti stanno lavorando con dieci altri partner (fra cui Francia, Regno Unito ed Euratom) allo scopo di sostenere la ricerca e lo sviluppo della prossima generazione di impianti nucleari avanzati e ITER, un progetto di ricerca multilaterale del valore di svariati miliardi di dollari che mira a sviluppare la produzione di energia da fusione pulita, rinnovabile e commercialmente interessante entro la metà del secolo. Recentemente insieme a Cina, Giappone, India, Corea del Sud e Australia abbiamo lanciato la Asia-Pacific Partnership on Clean Development and Climate, così da aiutare i paesi partecipanti ad adottare a livello nazionale strategie ad hoc per il miglioramento della sicurezza energetica, la riduzione dell’inquinamento e per far fronte alla sfida a lungo termine dei cambiamenti climatici. Per concludere, gli Stati Uniti stanno lavorando a livello nazionale e internazionale per ridurre l’intensità dei gas serra, promuovere tecnologie efficienti dal punto di vista energetico e migliorare la scienza che si occupa di cambiamenti climatici, dando al contempo primaria importanza alla tutela della crescita economica e del benessere. Affrontare questa

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sfida richiederà una trasformazione del modo in cui il mondo produce e consuma energia per la prossima generazione e oltre. Ecco perché guidiamo gli sforzi mondiali per mettere a punto e adottare tecnologie all’avanguardia per il mondo sviluppato e in via di sviluppo.

* Harlan L. Watson è negoziatore capo per il clima e rappresentante speciale presso il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti – Ufficio degli Oceani, degli Affari Ambientali e Scientifici a livello internazionale. In questa veste ha partecipato a numerose sessioni della Conferenza delle Parti nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), degli Organismi Sussidiari della UNFCCC e del Pannello Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC). Watson è entrato a far parte dell’Ufficio degli Oceani, degli Affari Ambientali e Scientifici del Dipartimento di Stato nel settembre 2001. In precedenza ha collaborato per più di 16 anni con il Comitato sulla Scienza della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, di cui più di sei come direttore del personale della Sottocommissione per l’Energia e della Sottocommissione per l’Energia e l’Ambiente.

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n the debate over global climate change, the United States is often dismissed for not ratifying the Kyoto Protocol. In fact, the US is actively engaged domestically and internationally—in particular with Italy and several other EU Member States and the European Commission (EC)—in a number of well-designed multilateral and bilateral collaborations to address this important issue. I welcome the opportunity to set the record straight by discussing the Bush Administration’s overall climate change policy, including a description of our broad

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international engagement in carrying this policy forward. In February 2002, President Bush reaffirmed America’s commitment to the United Nations Framework Convention on Climate Change and its ultimate objective—stabilization of atmospheric greenhouse gas concentrations at a level that prevents dangerous human-induced interference with the climate system—while also making clear that he would not commit the US to the Kyoto Protocol that could have cost the US economy up to $400 billion dollars annually and 4.9 million jobs. Addressing the global climate change challenge will require a sustained, global commitment over many generations. The President has established a robust and flexible climate change policy with four elements that harnesses the power of markets and technological innovation, maintains economic growth, and encourages global participation: (1) implementing near-term voluntary, incentive-based, and mandatory policies and measures to slow greenhouse gas emissions growth; (2) advancing climate change science; (3) accelerating climate change technology development; and (4) promoting international collaboration.

United States to a strategy to reduce the greenhouse gas output of the American economy in relation to our gross domestic product. Flexibility—a hallmark of the intensity approach—is especially important when confronted with the many uncertainties surrounding climate change: uncertainties suggesting a measured response that concentrates first on slowing emissions growth before trying to stop and eventually reverse it. Unlike the Kyoto approach, an emissions intensity goal can encourage reductions without risking adverse economic consequences that could jeopardize our ability to invest in long-run scientific and technological solutions. By 2012, our goal is to reduce emissions per unit of economic activity by 18% from 2002 levels; and we are well on track to meet this goal. According to the 2005 developed country National Inventory Reports to the United Nations Framework Convention on Climate Change, the United States is among the top performers in reducing its greenhouse gas emissions in recent years. From 2000-2003, the latest statistics available, the United States reduced its emissions by 0.8%. No other large country exceeded this performance, including countries in the Kyoto Protocol.

Slowing the Growth in Greenhouse Gas Emissions With respect to the first element, in February 2002, President Bush committed the

Advancing Climate Change Science and Technology Development The second and third elements of President Bush’s climate

change policy are advancing climate change science and accelerating climate change technology development. Under President Bush, the United States has led the world in investments in these areas: from fiscal years 2001 through 2005, the US federal government has spent over $20 billion on climate change science and technology. The US Climate Change Science Program integrates the federal research on global change and climate change across thirteen federal agencies. The Program, with a fiscal year 2006 request of approximately $1.9 billion, has taken on some of the most challenging questions in climate science. Over 80 percent of current global human-produced greenhouse gas emissions are energy related, and although projections vary considerably, a tripling of global energy demand by 2100 is not unimaginable. Therefore, to provide the energy necessary for continued economic growth while we reduce greenhouse gas emissions, we need to develop and deploy cost-effective technologies that alter the way we produce and use energy. President Bush created the US Climate Change Technology Program to coordinate and prioritize the Federal Government’s climate-related technology research, development, demonstration, and deployment activities, for which the Administration has requested nearly $2.9 billion in


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fiscal year 2006. These investments in energy efficiency and renewable energy, hydrogen, carbon capture and sequestration, clean coal, and nuclear fission and fusion technologies could put us on a path to ensuring access to clean, affordable energy supplies while dramatically reducing our greenhouse gas profile over the long term. Moreover, the deployment of cleaner energy technologies in developing economies such as China and India can make a huge difference in altering the future global energy picture. Promoting International Collaboration The fourth element—promoting international collaboration—has been repeatedly emphasized by President Bush because of its importance in developing an effective and efficient global response to the complex and long-term challenge of climate change; a response requiring developing-country participation. We believe the most effective way to engage developing countries is to focus not solely on greenhouse gas emissions, but rather on a broader development agenda that promotes economic growth, reduces poverty, provides access to modern sanitation, enhances agricultural productivity, provides energy security, reduces pollution, and mitigates greenhouse gas emissions. Under President Bush’s leadership, the United States

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has brought together key nations—both Kyoto and non-Kyoto Parties and developed and developing countries—in well-designed multilateral and bilateral collaborations focused on producing practical results to achieve these ends. Clean coal technology, for example, will be very important, not only for the United States but also for China, India, and other developing countries that are dependent on coal. The US Department of Energy, in collaboration with the private energy sector, will build FutureGen, a $1 billion demonstration coal-fired power plant to safely store carbon emissions in deep underground geologic formations, the first large zero-emissions coal plant in the world. Internationally, we are working with Italy, the EC, and 18 other countries within the Carbon Sequestration Leadership Forum (CSLF), a US-launched multilateral initiative to speed the development of this technology globally. We also cooperate with the EC and 15 other countries within the International Partnership for a Hydrogen Economy (IPHE) on research to make hydrogenfueled cars, which emit only water and not fumes, commercially available in the next fifteen years. The Methane to Markets Partnership—launched in Washington in November 2004 and which includes the United States, Italy, and 14 other countries—is focusing on

advancing cost-effective, near-term methane recovery and use as a clean energy source to enhance economic growth, promote energy security, improve the environment, and reduce greenhouse gases. The Partnership has the potential to deliver by 2015 annual reductions in methane emissions of up to 50 million metric tons of carbon equivalent or recovery of 500 billion cubic feet of natural gas, which could lead to stabilized or even declining levels of global atmospheric concentrations of methane. The implementation of the Global Earth Observation System of Systems (GEOSS), which includes the United States, the EC and over 50 nations, will enable us to obtain better knowledge of the climate in order to address sustainable development challenges. And we are working closely with Italy on the development of the Italian International Partnership on Bioenergy initiative endorsed by the recent G8 Gleneagles 2005 Communiqué to support wider, cost effective, biomass and biofuels deployment, particularly in developing countries where biomass use is prevalent. Other examples of our multilateral efforts include the Generation IV International Forum, where the United States is working with ten other partners—including France, the United Kingdom, and Euratom—on the research and development of the next generation of advanced nuclear power plants; and ITER, a multilateral, multi-billion-dollar research project that will advance progress toward producing clean, renewable, commercially-available fusion energy by the middle of the century.

Most recently, we joined China, Japan, India, South Korea and Australia to launch the Asia-Pacific Partnership on Clean Development and Climate, which is designed to help each country meet nationally-designed strategies for improving energy security, reducing pollution, and addressing the long-term challenge of climate change. In summary, the United States is working domestically and internationally to reduce greenhouse gas intensity, promote energy efficient technologies and advance climate science, while also placing primary importance on supporting economic growth and prosperity. Meeting this challenge will require a transformation in the way the world produces and consumes energy over the next generation and beyond. This is why we are leading global efforts to develop and deploy breakthrough technologies for both the developed and developing world.

* Harlan L. Watson is Senior Climate Negotiator and Special Representative at the US Department of State–Bureau of Oceans and International Environmental and Scientific Affairs. In this capacity, he has participated in many sessions of the Conference of the Parties to the United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), the Subsidiary Bodies to the UNFCCC, and the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Dr. Watson joined the Department of State’s Bureau of Oceans and International Environmental and Scientific Affairs in September 2001. He previously served for more than 16 years on the US House of Representatives’ Committee on Science, including over six years as Staff Director of the Committee’s Subcommittee on Energy and the Subcommittee on Energy and Environment.

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Non solo Kyoto, ma politiche innovative Not just Kyoto, but more Innovative Policies di Roberto Della Seta* by Roberto Della Seta*

Malgrado la ratifica del Protocollo, si fa troppo poco per varare misure efficaci Protocols ratified, but too little being done for effective new measures

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Roberto Della Seta

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i mutamenti climatici, del nesso più che probabile tra emissioni di anidride carbonica prodotte dal consumo crescente di energie fossili e global warming, si comincia a parlare, e questa è già una buona notizia. Certo è stato necessario che la rottura della stabilità climatica passasse da rischio potenziale a realtà evidente, come testimoniato dai ritmi sempre più serrati della desertificazione, così come dalle immagini di New Orleans sommersa dall’uragano Katrina, come fosse una qualunque megalopoli del Terzo Mondo. Ma oggi – “finalmente” viene da dire, malgrado il prezzo altissimo della resipiscenza – davvero in pochi possono negare che arrestare i cambiamenti del clima sia per l’umanità la più grande sfida dei prossimi decenni. Anche sul piano delle risposte della politica le cose, sia pure lentamente, migliorano. Dal 16 febbraio 2005 il Protocollo di Kyoto è legge internazionale, vincolando tutti i paesi che l’hanno ratificato a ridurre le loro emissioni entro il 2012. È solo un piccolo passo e un passo insufficiente, per la dimensione degli obiettivi e soprattutto perché dal “conto”

restano fuori gli Stati Uniti, che, con l’avvento di Bush, si sono ritirati dal trattato. E mancano le grandi economie emergenti di Cina e India: quasi tre miliardi di persone, letteralmente “mezzo mondo”, dove i consumi di petrolio e carbone – dunque la CO2 sparata in atmosfera – continuano a crescere. Si tratta, però, di un’inversione di tendenza che può rivelarsi decisiva e che può aprire la strada a una trasformazione epocale dei sistemi di produzione e consumo di energia. E l’Italia? L’Italia ha puntualmente ratificato il trattato giapponese, ma finora non solo non si è avvicinata al proprio obiettivo (-6,5% sulle emissioni totali entro il 2012 rispetto ai livelli del 1990), ma ha camminato nella direzione opposta (+13%). L’immobilismo ha visto accomunati tutti gli ultimi governi, ma non c’è dubbio che negli ultimi tempi la situazione sia ulteriormente peggiorata: solo nel maggio 2005 l’Unione europea ha dato il via libera al piano italiano di tagli alle emissioni, dopo che il governo s’era dovuto impegnare a ridurre di 23 milioni di tonnellate

le emissioni rispetto agli obiettivi iniziali. Del resto, la reticenza italiana a dare seguito agli impegni sottoscritti col Protocollo di Kyoto è l’effetto inevitabile della totale assenza di politiche energetiche innovative: non si è fatto nulla per migliorare l’efficienza energetica (cioè per ridurre i consumi di energia per unità di Pil), nulla per sviluppare le fonti rinnovabili, solare ed eolico, e diminuire così la dipendenza dal petrolio. Fino agli anni 80, l’Italia era leader in Europa quanto a efficienza energetica, vantavamo cioè uno dei più bassi contenuti di energia per unità di Pil: da allora siamo rimasti fermi, scavalcati dalla Germania, dalla Francia e dalla media Ue. Non va molto meglio quanto a sviluppo delle energie rinnovabili: la potenza eolica installata in Italia è pari a meno di un decimo di quella tedesca e a un quarto di quella spagnola, e anche il solare termico e fotovoltaico sono ai minimi termini. Eppure non è solo per proteggere il clima che a noi converrebbe applicare il Protocollo di Kyoto e puntare, soprattutto, a ridurre i consumi di petrolio (e carbone). Ci conviene per ragioni economiche: importiamo gran parte del petrolio che consumiamo, perciò avremmo tutto l’interesse – lo hanno le imprese e le famiglie – ad alleggerire questa che rappresenta la principale voce passiva della nostra bilancia commerciale. Ci conviene perché petrolio e carbone sono, insieme al nucleare, le fonti di energia più inquinanti: la combustione del greggio per produrre elettricità, per usi di riscaldamento, nei trasporti, è la causa maggiore della cappa d’inquinamento che grava

ormai permanentemente sulle nostre città. Ci conviene per ragioni tecnologiche: scommettere sulle alternative al petrolio richiede di promuovere la ricerca, l’innovazione. Insomma, come ricorda spesso il vicepresidente di Confindustria Pasquale Pistorio, per l’Italia “uscire dal petrolio” è al tempo stesso un’urgenza ambientale e una priorità competitiva. Eppure c’è ancora qualcuno che incolpa gli ambientalisti “nemici del petrolio” per i black-out e propone come unica ricetta ai problemi attuali un aumento ulteriore della nostra dipendenza dal greggio o peggio un rilancio del carbone o il ritorno al nucleare. Come dicevano gli antichi cinesi, quando il saggio indica la luna lo sciocco guarda il dito. * Roberto Della Seta è presidente nazionale di Legambiente, istituzione nella quale lavora da oltre dieci anni e dove ha ricoperto, tra l’altro, l’incarico di coordinatore del Comitato Scientifico, e curato il rapporto annuale di Legambiente “Ambiente Italia”. Giornalista, autore di saggi su vari temi di storia contemporanea, Della Seta ha scritto: La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento ecologista (Franco Angeli, 1999), con Piero Della Seta I suoli di Roma (Editori Riuniti, 1988), con Francesco Ferrante la Guida verde del consumatore (adattamento italiano della Green Consumer Guide, Longanesi, 1992). ■ ■ ■ ■ ■ ■

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eople have begun talking about global warming and climate change, which is very probably caused by carbon dioxide emissions from burning fossil fuels, and this is no mean feat. Climatic stability certainly had to be broken, and to become brutal reality rather than just an imminent risk: this is what has been happening with the expansion of deserts, and the pictures on our


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TV screens of New Orleans after hurricane Katrina, where the city looked like some Third-World megalopolis. But now—“at long last,” one is tempted to say, in spite of the enormous price it has cost to make us realize it—very few people can deny that climate change will be the biggest challenge mankind will have to face in the next few decades. Even at a political level, things are improving (however slowly). On 16 February 2005, the Kyoto Protocol passed into International Law, and the countries that ratified it are now bound to reducing emissions by 2012. It is only a little step, and it will not be enough in terms of aims and objectives, especially because the Bush government in the United States has refused to sign up to Kyoto. And the growing economies of China and India are not included either: literally “half of all mankind,” where all oil and coal consumption levels (and therefore CO2 in the atmosphere) continue to rise. The overall trend, however, is now downward. This may be decisive, and may open the road to other, epoch-making transformations to our energy production and use systems.

What about Italy? Italy ratified the Japanese treaty. However, not only has it failed to meet its objectives (total emissions down by 6.5% of 1990 levels by 2012), actual trends rising (up by a whacking 13%). Failure to move has been a common characteristic of all recent governments, but recently the situation has worsened even more: in May 2005, the European Union authorized Italy’s emissions-reducing program, after Rome had to cut emissions by 23 million metric tons over and above the initial target. Furthermore, Italian reticence toward meeting the commitments it signed up to in the Kyoto Protocol is the inevitable consequence of a complete lack of innovative energy policies: nothing has been done to improve energy efficiency (i.e. to reduce energy consumption per unit GNP), nothing to develop renewable energy sources—solar and wind power—and to reduce our reliance on oil. Until the 1980s, Italy was the European leader in energy efficiency terms, i.e. we had the lowest energy costs per unit GNP. Since then, nothing has been done and we have been overtaken by Germany,

France, and the European average. We are not much better at developing renewable energy sources: installed wind power in Italy is one tenth of that in Germany, a quarter of that in Spain, and the use of solar energy for heating and generating electricity is almost non-existent. And yet it is not only for climate protection that we ought to be applying the Kyoto Protocol, especially in terms of reducing all oil and coal consumption. It makes economic sense: most of the energy we consume is from imported crude oil, so it would be in our best interests—in the interests of companies and families—to restructure this item, which is our biggest business cost. It is in our interests because all oil and coal (as well as nuclear power) are the energy sources which cause greatest pollution: burning oil to generate electricity, or for heating, or for transport, is the worst source of the pollution which is suffocating our towns and cities. It is in our interests for technological reasons: investing in alternatives would mean undertaking research and innovation. All things considered, as Pasquale Pistorio, Vice President

of the Italian Industry Confederation Confindustria repeatedly says, “finding a replacement for crude oil” would help save the environment and would give us the competitive edge. And yet there are still people who blame environmentalists, the “enemies of crude oil,” for electricity blackouts. They say that the only way out of the current electricity shortage in Italy is to increase oil consumption or—even worse—to go back to using coal or nuclear power. As the old Chinese saying goes, when a wise man points at the moon, there is always a foolish man who looks at his finger.

* Roberto Della Seta is the President of Legambiente, where he has been working for more than 10 years. During that time, he has been coordinator of the Scientific Committee, and he it was who drew up the annual Legambiente report “Ambiente Italia.” Journalist and contemporary historian, Roberto Della Seta has written La difesa dell’ambiente in Italia. Storia e cultura del movimento ecologista (Protecting the Environment in Italy. The History and Culture of the Environmental Movement, Franco Angeli, 1999), with Piero Della Seta I suoli di Roma (Roman Soil, Editori Riuniti, 1988), with Francesco Ferrante Guida verde del consumatore (Italian adaptation of the Green Consumer Guide, Longanesi, 1992).


Projects

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Architetture sostenibili per un nuovo rapporto con l’ambiente: le tecnologie più avanzate, le soluzioni formali più ardite, le proposte strutturali più aggiornate in una intensa ricerca di valori etici, estetici, economici. Sustainable architecture for a new relationship with the environment: cutting edge technology, bold stylistic solutions, and the most up-to-date structural designs as part of intensive research into ethical, aesthetic and economic values.

Sostenibilità: tra intendere e ascoltare Sustainability: between Hearing and Listening Cinzia Abbate*

“S

e ‘intendere’ è comprendere un senso (sia nella declinazione figurata, sia in quella letterale: intendere una sirena, un uccello o un tamburo significa già, ogni volta, comprendere quantomeno l’abbozzo di una situazione, un contesto se non un testo), ‘ascoltare’ è essere tesi verso un senso possibile, e dunque non immediatamente accessibile … Si ascolta colui di cui si vuole comprendere il discorso che tiene, oppure si ascolta qualcosa che può sorgere dal silenzio e fornire un segnale o un segno …”1 . Da pochi anni la parola sostenibilità è divenuta un termine molto ricorrente, spesso banalizzato per pennellare con quello che potremmo definire un “aggettivo politicamente corretto” molte delle nostre riflessioni quotidiane inerenti non solo i problemi ambientali, ma anche le questioni politiche, i conflitti culturali e religiosi, gli aspetti economici e scientifici, e certamente per identificare una particolare qualità di alcuni edifici esemplari. Sebbene le scelte democratiche ed equilibrate siano azioni implicite dell’aggettivo “sostenibile” e siano assolutamente congruenti alle tematiche appena citate, anzi dovrebbero ritenersi obiettivi prioritari nelle strategie politiche ed economiche per il nostro futuro, l’uso smodato del termine “sostenibilità”, sta rischiando di svuotare di peso e d’importanza il significato stesso della parola, in sé per sé invece così ampio, ricco e complesso. Volendo tentare di approfondire e spiegare cosa si possa intendere per architettura sostenibile, e proprio per descrivere la grande varietà di sfaccettature compatibili con il tema della sostenibilità degli edifici, abbiamo cercato di raccogliere in questo numero di arcVision un variegato panorama di casi studio e di approcci metodologici alla progettazione. Sarebbe stato infatti limitativo tentare di descrivere l’ampiezza degli obiettivi di questa ricerca progettuale, attenendosi solo a una verifica scientifica e razionale dei risultati energetici e dell’impatto ambientale di questi edifici. È piuttosto l’intreccio complessivo dei risultati singolarmente raggiunti da tutti questi progetti che ci interessa sottolineare, come la traccia, o meglio il percorso trasversale di tutti quegli aspetti che un vero edificio sostenibile dovrebbe racchiudere ed esprimere. Una delle qualità comuni ai progetti selezionati è sicuramente l’appartenenza al luogo, interpretata sia come approccio filosofico, per il legame ideale o l’ispirazione poetica tratta dal sito, sia per la configurazione morfologica che da esso deriva. Il progetto della villa d’acqua e vetro di Shizuoka, malgrado il grande livello di astrazione della scato-

la di vetro, con tutte le ripercussioni energetiche che sicuramente rappresenta, è senz’altro uno dei progetti che più si lega al luogo per relazione estetica e meditativa. Come scrive Stefano Pavarini: “Kengo Kuma ci invita ad ascoltare e a guardare, a utilizzare i nostri sensi nella pienezza e nel controllo riscoprendo radici profonde … La costruzione di una casa come strumento per capire la natura … non per dominarla ma per servirla”.2 Il complesso aziendale per la vinificazione della cantina Badia a Coltibuono di Piero Sartogo e Nathalie Grenon, nei pressi di Siena, rivela invece una particolare sensibilità e conoscenza dei riferimenti culturali locali. Forme e materiali tradizionali per ricreare atmosfere regionali come le architetture militari di Francesco di Giorgio Martini, o le astrazioni architettoniche e paesaggistiche delle pitture di Giotto e Piero della Francesca. Il progetto dimostra anche una grande efficienza distributiva e funzionale, necessaria ad agevolare l’attività viticola e di imbottigliamento. Nelle cantine le finestrature sono dimensionate secondo il grado di illuminamento e la temperatura necessari al corretto invecchiamento del vino, oltre che all’esposizione solare. L’edificio è quasi interamente addossato alla collina per beneficiare del raffrescamento passivo del terreno. Come emerge dai progetti selezionati, l’analisi del luogo può essere condotta con strumenti intuitivi, basati sull’esperienza, o con strumenti informativi computerizzati, scientifici e probabilmente più affidabili, ma anche qui entra in gioco la capacità interpretativa del progettista. Gli interventi architettonici derivati dalle simulazioni ambientali proposte dal progetto Eco_logical design, malgrado si pongano degli obiettivi di sostenibilità sia dal punto di vista energetico che sociale, possono risultare efficaci solo se valutati come sperimentazioni per installazioni architettoniche temporanee e come soluzioni astratte per nuove geometrie tridimensionali da utilizzare nel settore dell’auto-costruzione. In questo panorama di progetti, il tema del concorso per le “Birdhouses”, ha la sua validità come speculazione e provocazione formale su una “tipologia abitativa”. I risultati indicano soluzioni leggere, talvolta realizzate con materiali di risulta, interessanti anche per la loro fragilità e senso di transitorietà. Indifferenti al luogo, se non per i materiali da costruzione probabilmente autoctoni. Ad analizzarli attentamente, sotto la lente di un sistematico approccio progettuale eco-compatibile, nessuno di questi progetti potrebbe essere defi-


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nito rigorosamente sostenibile. Come scrive David Lloyd Jones: “L’architettura … dipende dalla soddisfacente riconciliazione dell’intuizione con il razionale. Un edificio deve essere sia poesia che macchina … La sfida è riuscire a raggiungere il punto dove l’Architettura Verde è inscindibile dalla buona architettura”.3 Entrando nel merito di una nuova interpretazione della “buona architettura contemporanea”, o meglio dell’assimilazione di questa all’architettura sostenibile, mi sembra doveroso soffermarmi sulla definizione delle qualità e potenzialità che l’architettura in genere dovrebbe incorporare. L’architettura non può più essere valutata solo sul valore estetico e sull’innovazione formale e linguistica dell’opera, ma piuttosto sull’impronta ecologica dell’edificio: la sua efficienza energetica, l’innovazione tecnologica, il ciclo di vita dei suoi materiali, l’impulso economico locale, il benessere privato e sociale che questa può innescare. La fascinazione estetica per il grande gesto architettonico da ormai troppi anni sta facendo dimenticare agli architetti e ai loro committenti quali siano le significative priorità di una disciplina sociale come quella dell’architettura e quali le responsabilità dei suoi protagonisti. Cosa intendiamo quindi per architettura sostenibile o Architettura Verde? A mio parere si tratta di quelle realizzazioni che per importanza dell’iniziativa, impatto culturale, equilibrio delle soluzioni proposte, risvolti sociali, responsabilità glo-

bali assunte, possono davvero segnare una nuova rivoluzione della ricerca architettonica. Si tratta perciò di innovazione, non solo tecnologica ma di pensiero. Ottenere questi risultati è possibile, ma è spesso necessario un processo di coinvolgimento multidisciplinare che includa le politiche governative, le amministrazioni locali, le industrie, i committenti, i professionisti e non per ultimi i suoi fruitori. Se, come le statistiche dimostrano, gli edifici utilizzano circa il 40% dell’energia globale e sono responsabili per quasi la stessa percentuale di emissioni di gas serra, occorre che il giudizio sull’architettura contemporanea tenga conto della priorità etica e civile per fronteggiare questa emergenza. Per far sì che le tendenze progettuali in atto diventino sostenibili e che questo modo di concepire e realizzare l’architettura sia inscindibile da qualsiasi altro modo di costruire, è necessario rivedere la disciplina architettonica nelle modalità in cui questa è insegnata, praticata e divulgata. Bisogna rivedere le legislazioni edilizie nazionali riducendo gli standard di consumo energetico ammissibili per le costruzioni, imporre la qualità dei materiali e delle coibentazioni, sostenere l’integrazione delle tecnologie solari attive e passive nell’involucro degli edifici per ridurre al massimo il ricorso ai combustibili fossili. È auspicabile l’adozione di materiali atossici e riciclabili che non producano inquinamento durante il loro ciclo di vita ed è necessario coinvolgere l’industria per svilup-

Progetto di Alessandro Mendini da: Birdhouse Project 2004/2005 (l’Arca 203). Project designed by Alessandro Mendini from: Birdhouse Project 2004/2005 (l’Arca 203).


Dall’alto, progetti di Richard Gluckman e di Odile Decq. From top, projects designed by Richard Gluckman and Odile Decq.

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pare e sperimentare nuovi componenti edilizi attivi. Le potenzialità di sviluppo economico di tutte le industrie coinvolte nel processo di costruzione degli edifici sostenibili e dei loro componenti sono enormi. È dimostrato dalle esperienze in corso nel Nord Europa, specie in Olanda e Germania, ma anche in Giappone con il successo ottenuto, per esempio, nell’integrazione del fotovoltaico nelle coperture. Le richieste del mercato immobiliare stanno infatti lentamente spingendo verso un miglioramento qualitativo misurato sugli aspetti del benessere individuale e ambientale, destinate a incrementare il valore dell’immobile e quindi dell’architettura

in generale, in maniera esponenziale. In uno scenario globale di incertezza degli investimenti e di sviluppo economico e tecnologico molto debole, quella delle costruzioni sembra essere per molti paesi un’isola felice. Questi fatti dovrebbero quindi indurci a riflettere sulle grandi potenzialità dell’architettura per sostenere la ripresa economica, la ricerca tecnologica e per promuovere sistematiche operazioni dirette alla salvaguardia dell’ambiente e la realizzazione di un futuro patrimonio edilizio energeticamente autosufficiente, vivo, che respiri, che produca benessere economico e sociale. A questo punto ci rendiamo conto che per fare architettura sostenibile è irrilevante la scala dell’edificio o lo stereotipo della grande firma, ma è importante piuttosto la caratterizzazione ambientale e culturale dell’opera e soprattutto il suo messaggio. Sostenibilità significa aprirsi per riuscire a captare tutte queste implicazioni e per metterle a frutto, traducendole in forme eco-compatibili. Significa sapersi mettere all’ascolto. * Cinzia Abbate è partner dello Studio AeV Architetti Abbate e Vigevano, uno studio professionale con sede a Roma che opera dal 1992 nel settore dell’integrazione architettonica delle energie rinnovabili, della pianificazione urbanistica ambientale, il riuso e il restauro, sia in Italia sia all’estero. È anche Professore al Rensselaer Polytechnic Institute di Troy (New York) e rappresentante per l’Italia dell’International Energy Agency (IEA) per l’integrazione architettonica della tecnologia fotovoltaica. Negli anni Ottanta ha vissuto a New York dove lavorava per IM Pei and Partners. Note 1. Jean–Luc Nancy, All’ascolto, Raffaello Cortina Editore, 2004. 2. Stefano Pavarini, L’orizzonte d’acqua, l’Arca Edizioni, n. 138, 1999. 3. David Lloyd Jones, Architecture and the Environment, England, Laurence King Publishing, 1998.


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f ‘hearing’ means understanding—both figuratively and literally: hearing a siren, bird or drum already means understanding at least roughly what the situation is, grasping a context if not a text—, then ‘listening’ is directed toward a possible meaning, and hence not immediately accessible ... You listen to somebody if you want to understand what they are saying, or you listen to something that might emerge from the silence and send out a signal or sign ....”1 Over the last few years the word sustainability has come to be a very frequently used term, often rather blandly employed to dress up in what might be described as a “politically correct adjective” lots of our everyday thoughts regarding not just environmental issues, but also political affairs, cultural or religious conflicts, economic and scientific matters, and of course to point out some quality of certain exemplary buildings. Although democratic and balanced decisions are implicit actions in the adjective “sustainable” and absolutely fitting for the matters just referred to—indeed they ought to be priority objectives in political-economic strategies for our future—excessive use of the term “sustainability” is likely to deprive the very meaning of the word (in itself so extensive, rich and complicated) of any real weight and importance. In an attempt to analyze and explain just what sustainable architecture might mean, and hence to describe the great range of shades of meaning compatible with the issue of the sustainability of buildings, this issue of arcVision will outline a wide variety of study cases and methodological approaches to design. Merely describing the scope of the goals involved in this kind of research, by scientifically and rationally checking the energy results and environment impact of these buildings, would have been rather limiting and restrictive. It is rather the overall combination of results individually attained by these projects which we are interested in pointing out, as a trace or rather cross-the-board presentation of all the aspects a genuinely sustainable building ought to have and express. One of the qualities all the selected projects certainly share is the belonging to a place, interpreted as both a philosophical approach (for its ideal bonds or the poetic inspiration it draws from the site) and in terms of the morphological configuration deriving from the place in question. Despite the considerable degree of abstraction of the glass box with all the repercussions in terms of energy it certainly entails, Shizuoka’s project for a water and glass house is undoubtedly one of the projects most closely connected to its setting through its aesthetic and meditative relations. As Stefano Pavarini writes:

“Kengo Kuma invites us to look and listen, to use our senses to the full and with careful control in order to rediscover deep roots ... The construction of a house as a means of understanding nature … not to dominate it but to serve it.” 2 The Badia Winery in Coltibuono, not far from Siena, designed by Piero Sartogo and Nathalie Grenon shows a special awareness and knowledge of local culture. Traditional forms and materials to recreate regional atmospheres like Francesco di Giorgio Martini’s military architecture or the architectural/landscape abstractions in Giotto’s and Piero della Francesca’s paintings. The project is also set out with great distributional-functional efficiency to make the wine-making and bottling process easier. The windows of the winery building are sized according to the amount of light, sunshine and temperature level required for the wine to age properly. The complex is almost entirely built into the hillside to exploit passive cooling through the ground. As can be seen from the chosen projects, places may be analyzed either intuitively based on experience or using computerized scientific systems, which are probably more reliable, but here again the designer’s ability to read the situation comes into play. Although the architectural designs based on environmental simulations put forward in the Eco_logical design project set sustainability targets from both an energy and social point of view, they are only effective if viewed as experiments for temporary architectural installations and abstract solutions for new three-dimensional geometric forms to be used in the self-construction sector. In relation to this general overview of projects, the competition to design “Birdhouses” is valid as a speculativestylistically provocative investigation into a certain “type of housing”. The results point toward light designs, sometimes actually made from leftover materials, interesting in terms of their fragility and sense of transience. They are indifferent to location, except as regards the construction materials, which are generally local in origin. Taking a careful look at them under the magnifying glass of a systematic eco-compatible approach to design, none of these projects may really be classed as sustainable. As David Lloyd Jones writes: “Architecture ... depends on successfully reconciling intuition with reasoning. A building must be both poetry and machinery … The challenge is to reach the point where Green Architecture is inseparable from good architecture.”3 Broaching the issue of a new interpretation of “fine modern-day architecture”, or rather how sustainable architecture may be assimilated, I think a few words need to be said about the qualities and potential that ought to be associated with architecture in general.

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Architecture may no longer be assessed in terms of a work’s aesthetic value and stylistic-linguistic innovation, but rather in terms of the building’s ecological design: its energy efficiency, technological innovation, the lifecycle of its materials, the way it boosts the local economy, and the private-social well-being it might bring about. For too long now, the aesthetic appeal of great architectural gestures has been causing both architects and their clients to lose track of the most important priorities of a social profession like architecture, and the responsibilities its key players must take on. So what do we mean by sustainable or green architecture? In my opinion these are buildings whose design importance, cultural impact, balance of solutions involved, social implications, and global responsibilities taken on, may result in a real revolution in architectural research. This is innovation in thinking and not just technology. These results can be attained but they often call for a multi-disciplinary approach involving government policies, local councils, industry, clients, architects and, last

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Progetto di Axel Schultes. Project designed by Axel Schultes.

but not least, the users themselves. If, as statistics show, buildings use about 40% of global energy and are responsible for almost the same percentage of emissions of greenhouse gases, then any assessment of modernday architecture must take into account ethical-civil priorities in handling this emergency. To ensure that current trends in design turn out to be sustainable, and that this way of envisaging and constructing architecture is an integral part of any form of building, we need to take a fresh look at how architecture is taught, practiced and publicized. We need to review national building laws, lowering the levels of energy consumption allowed for buildings, enforce quality standards for materials and insulation, and support the introduction of passive and active solar technology in building shells, so as to reduce the amount of fossil fuels consumed to a minimum. It is also to be hoped that we will start using non-toxic, recyclable materials that do not cause any pollution during their lifecycles, and industry must be encouraged to develop and experiment on new active building components.


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There is enormous potential for economic growth in all the industries involved in the process of constructing sustainable buildings and the components used in them. This is shown by experiments under way in northern Europe—notably the Netherlands and Germany—and in Japan, such as, for instance, the integration of photovoltaic technology in roof design. Demands in the real estate sector are, in fact, slowly bringing about a rise in standards gauged in terms of individual and collective well-being, which will increase the value of property, and hence architecture in general, at an exponential rate. At a time of global uncertainty about investments and extremely weak economic-technological growth, the building industry seems to be a little haven for lots of countries. These facts ought to make us reflect on architecture’s great potential to support economic recovery, technological research, and the promoting of systematic operations aimed at safeguarding the environment and generating a wealth of energy self-sufficient, lively architecture that literally breathes and generates socio-economic wellbeing. At this point it is obvious that the size of a building or the stereotyped idea of star names are irrelevant in designing sustainable architecture, what really counts is the environmental-cultural blueprint of the work and, above all, the message it sends out. Sustainability means opening up to embrace all these implications and putting them to effective use by turning them into eco-compatible forms. It means knowing how to listen.

* Cinzia Abbate is partner of Studio AeV Architetti Abbate e Vigevano, a professional studio based in Rome and operating in the field of architectural integration of renewable energies since 1992, as well as in environmental urban planning, adaptive re-use and restoration both in Italy and abroad. She is also Professor at Rensselaer Polytechnic Institute of Troy, N.Y., and the Italian representative for the Building Integration of Photovoltaics at the International Energy Agency (IEA). During the eighties, she lived in New York City and worked for IM Pei and Partners.

Notes 1. Jean–Luc Nancy, A l’écoute, Paris, Galilée, 2002. 2. Stefano Pavarini, L’orizzonte d’acqua, l’Arca Edizioni, no. 138, 1999. 3. David Lloyd Jones, Architecture and the Environment, England, Laurence King Publishing, 1998.

Dall’alto, progetti di Cesare M. Casati e di William Alsop. From top, projects designed by Cesare M. Casati and William Alsop.


IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Tenda metropolitana Metropolitan Tent Bruxelles, stazione della metropolitana Erasme Brussels, Erasme Subway Station Progetto di Samyn and Partners Project by Samyn and Partners

A

rchitettura sostenibile non significa solo riduzione dei consumi energetici, per esempio quelli legati ai sistemi di climatizzazione, ma anche scelta di tecniche costruttive e materiali prodotti con minimo impiego di risorse. I sistemi tensostrutturali, oltre ad avere tali requisiti, rappresentano una valida alternativa a costruzioni con sistemi e materiali tradizionali. La copertura della stazione Erasme dimostra che le infrastrutture urbane possono essere anche luoghi in cui sperimentare soluzioni alternative fra ingegneria e architettura. Ravvivare attraverso un segno forte un luogo senza particolari attributi era tra gli obiettivi principali. Dotata di una struttura leggera e trasparente, la nuova stazione non è più solo un pubblico passaggio, bensì un intervento linguisticamente significativo a scala urbana, un segno di distinzione rispetto al consueto immaginario che vede le parti accessorie delle infrastrutture come costruzioni prettamente funzionali. Posta nei pressi dell’ospedale Erasme, la stazione si pone come segno certo di orientamento attraverso la sua particolare configurazione, in grado di farsi notare senza opporsi a un contesto che, proprio grazie all’originalità dell’intervento, emerge con maggiore identità. La leggerezza della tensostruttura rimanda al linguaggio dell’installazione, all’oggetto che va oltre la sua specificità funzionale puntando sulla comunicazione di valori che rientrano nella sfera artistica, in questo caso posta a definire un luogo con una forte identità, e introducendo la poetica dell’effimero, della struttura in

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Il sistema strutturale all’interno della stazione. Pagina a fianco, particolare dei cavi in tensione. The structural system inside the station. Opposite page, detail of the tensile cables.

grado di mutare nel tempo la sua immagine. Una qualità che prende forma anche solo nell’alternanza fra la notte e il giorno, quando la lunga infilata di arcate metalliche si riempie di luce, trasformando un riparo in un fantastico tepee delle meraviglie, in grado di cambiare una stazione in un paesaggio della memoria. Già in altre occasioni, come per esempio nel Centro Ricerche M&G a Venafro, Samyn aveva dato prova di grande capacità progettuale nel configurare ampi spazi attraverso tensostrutture non convenzionali. Ed è proprio grazie all’originalità dell’insolito schema strutturale che la stazione Erasme acquisisce una propria specificità architettonica. In fondo si tratta della ragion d’essere dell’architettura: essa, infatti, è autonoma da qualsiasi influenza estranea, quale ad esempio l’identità associata a un luogo geografico o un sistema di classificazione antiquato di origine arcaica che punta su criteri di esclusività, antagonismi e opposizioni. Se mai vi fossero da ricercare relazioni con alcuni archetipi, l’intervento in questione ha non poche similitudini con la tenda, in origine un ricovero leggero e nomadico, trasformatosi nel tempo in strutture stabili come il tempio e il palazzo. Composta da campate in tubolari d’acciaio che sorreggono una membrana in tessuto di fibra di vetro impregnata con PTFE, la tensostruttura protegge le banchine d’arrivo e partenza dei convogli, permettendo la percezione della luce esterna e riducendo al minimo il senso di claustrofobia presente negli ambienti ipogei.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Tenda metropolitana Metropolitan Tent Bruxelles, stazione della metropolitana Erasme Brussels, Erasme Subway Station Progetto di Samyn and Partners Project by Samyn and Partners

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rchitettura sostenibile non significa solo riduzione dei consumi energetici, per esempio quelli legati ai sistemi di climatizzazione, ma anche scelta di tecniche costruttive e materiali prodotti con minimo impiego di risorse. I sistemi tensostrutturali, oltre ad avere tali requisiti, rappresentano una valida alternativa a costruzioni con sistemi e materiali tradizionali. La copertura della stazione Erasme dimostra che le infrastrutture urbane possono essere anche luoghi in cui sperimentare soluzioni alternative fra ingegneria e architettura. Ravvivare attraverso un segno forte un luogo senza particolari attributi era tra gli obiettivi principali. Dotata di una struttura leggera e trasparente, la nuova stazione non è più solo un pubblico passaggio, bensì un intervento linguisticamente significativo a scala urbana, un segno di distinzione rispetto al consueto immaginario che vede le parti accessorie delle infrastrutture come costruzioni prettamente funzionali. Posta nei pressi dell’ospedale Erasme, la stazione si pone come segno certo di orientamento attraverso la sua particolare configurazione, in grado di farsi notare senza opporsi a un contesto che, proprio grazie all’originalità dell’intervento, emerge con maggiore identità. La leggerezza della tensostruttura rimanda al linguaggio dell’installazione, all’oggetto che va oltre la sua specificità funzionale puntando sulla comunicazione di valori che rientrano nella sfera artistica, in questo caso posta a definire un luogo con una forte identità, e introducendo la poetica dell’effimero, della struttura in

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Il sistema strutturale all’interno della stazione. Pagina a fianco, particolare dei cavi in tensione. The structural system inside the station. Opposite page, detail of the tensile cables.

grado di mutare nel tempo la sua immagine. Una qualità che prende forma anche solo nell’alternanza fra la notte e il giorno, quando la lunga infilata di arcate metalliche si riempie di luce, trasformando un riparo in un fantastico tepee delle meraviglie, in grado di cambiare una stazione in un paesaggio della memoria. Già in altre occasioni, come per esempio nel Centro Ricerche M&G a Venafro, Samyn aveva dato prova di grande capacità progettuale nel configurare ampi spazi attraverso tensostrutture non convenzionali. Ed è proprio grazie all’originalità dell’insolito schema strutturale che la stazione Erasme acquisisce una propria specificità architettonica. In fondo si tratta della ragion d’essere dell’architettura: essa, infatti, è autonoma da qualsiasi influenza estranea, quale ad esempio l’identità associata a un luogo geografico o un sistema di classificazione antiquato di origine arcaica che punta su criteri di esclusività, antagonismi e opposizioni. Se mai vi fossero da ricercare relazioni con alcuni archetipi, l’intervento in questione ha non poche similitudini con la tenda, in origine un ricovero leggero e nomadico, trasformatosi nel tempo in strutture stabili come il tempio e il palazzo. Composta da campate in tubolari d’acciaio che sorreggono una membrana in tessuto di fibra di vetro impregnata con PTFE, la tensostruttura protegge le banchine d’arrivo e partenza dei convogli, permettendo la percezione della luce esterna e riducendo al minimo il senso di claustrofobia presente negli ambienti ipogei.

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S

ustainable architecture does not just mean reducing energy consumption, for instance in air-conditioning systems, but also the decision to use construction methods and materials exploiting as few resources as possible. In addition to possessing these requisites, tensile structures are also a valid alternative to constructions using conventional systems and materials. The roof over Erasme Station shows that urban infrastructures may also be places for experimenting with alternative solutions, somewhere between engineering and architecture. Rejuvenating a place with no distinctive features by means of a landscape design was one of the main objectives. Furbished with a light and transparent structure, the new station is no longer just a public passageway, but a stylistically significant urban-scale project, a distinctive design compared to the usual idea of accessory parts of infrastructures being mainly functional constructions. Situated near Erasme Hospital, the station is an authentic landmark thanks to its special design, capable of standing out without clashing with a setting which, thanks mainly to the originality of the project, actually has its own identity enhanced. The lightness of the tensile structure refers back to its installation idiom, to an object that goes beyond its own specific function to focus on communicating values belonging to the realms of art, in this instance designed to mark a place with a powerful identity and also introducing the poetics of the transient and a structure capa-

40

Modelli del sistema strutturale costituito da arcate metalliche che ricopiano il profilo della copertura tensotesa in tessuto di fibra di vetro. Models of the structural system composed of metal arcades copying the tensile pattern of the roof made of a fiberglass fabric.

ble of changing its image over time. A feature that even takes shape in the mere alternation of night and day, when the long row of metal arches fills with light, turning a shelter into a fantastic tepee of wonders, capable of converting a station into a landscape commemorating the past. Samyn has already shown great design expertise in setting out wide spaces through unconventional tensile structures on other occasions, such as for example the M&G Research Center in Venafro, Italy. It is actually the highly original structural design that makes Erasme Station such a distinctive work of architecture. After all this really is architecture’s reason for being: it is free from all outside influence, such as, for instance, the identity associated with a given geographical place or an antiquated classification system from way back in the past, that focuses on criteria of exclusiveness, antagonisms and oppositions. If relations needed to be found with certain archetypes, then the project in question is not unlike a tent, which was originally a light, nomadic shelter gradually transformed down the ages into permanent structures like temples and palaces. Composed of tubular steel bays holding up a membrane made of a fiberglass fabric impregnated with PTFE, the tensile structure shelters the platforms where the trains arrive and depart, making outside light filtering in and reducing the feeling of claustrophobia in underground premises to a minimum.

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ustainable architecture does not just mean reducing energy consumption, for instance in air-conditioning systems, but also the decision to use construction methods and materials exploiting as few resources as possible. In addition to possessing these requisites, tensile structures are also a valid alternative to constructions using conventional systems and materials. The roof over Erasme Station shows that urban infrastructures may also be places for experimenting with alternative solutions, somewhere between engineering and architecture. Rejuvenating a place with no distinctive features by means of a landscape design was one of the main objectives. Furbished with a light and transparent structure, the new station is no longer just a public passageway, but a stylistically significant urban-scale project, a distinctive design compared to the usual idea of accessory parts of infrastructures being mainly functional constructions. Situated near Erasme Hospital, the station is an authentic landmark thanks to its special design, capable of standing out without clashing with a setting which, thanks mainly to the originality of the project, actually has its own identity enhanced. The lightness of the tensile structure refers back to its installation idiom, to an object that goes beyond its own specific function to focus on communicating values belonging to the realms of art, in this instance designed to mark a place with a powerful identity and also introducing the poetics of the transient and a structure capa-

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Modelli del sistema strutturale costituito da arcate metalliche che ricopiano il profilo della copertura tensotesa in tessuto di fibra di vetro. Models of the structural system composed of metal arcades copying the tensile pattern of the roof made of a fiberglass fabric.

ble of changing its image over time. A feature that even takes shape in the mere alternation of night and day, when the long row of metal arches fills with light, turning a shelter into a fantastic tepee of wonders, capable of converting a station into a landscape commemorating the past. Samyn has already shown great design expertise in setting out wide spaces through unconventional tensile structures on other occasions, such as for example the M&G Research Center in Venafro, Italy. It is actually the highly original structural design that makes Erasme Station such a distinctive work of architecture. After all this really is architecture’s reason for being: it is free from all outside influence, such as, for instance, the identity associated with a given geographical place or an antiquated classification system from way back in the past, that focuses on criteria of exclusiveness, antagonisms and oppositions. If relations needed to be found with certain archetypes, then the project in question is not unlike a tent, which was originally a light, nomadic shelter gradually transformed down the ages into permanent structures like temples and palaces. Composed of tubular steel bays holding up a membrane made of a fiberglass fabric impregnated with PTFE, the tensile structure shelters the platforms where the trains arrive and depart, making outside light filtering in and reducing the feeling of claustrophobia in underground premises to a minimum.

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Minimo valore di impatto sull’intorno grazie alla tensostruttura e al materiale traslucido dell’involucro. Dettaglio delle connessioni della struttura. Detail of the structural connections.

Minimal environmental impact on the surroundings thanks to the tensile structure and translucent fabric of the shell.


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Minimo valore di impatto sull’intorno grazie alla tensostruttura e al materiale traslucido dell’involucro. Dettaglio delle connessioni della struttura. Detail of the structural connections.

Minimal environmental impact on the surroundings thanks to the tensile structure and translucent fabric of the shell.


IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Rinascimento sostenibile Sustainable Renaissance Monti in Chianti (Siena), centro vinificazione Badia a Coltibuono Monti in Chianti (Siena), Badia Winery in Coltibuono Progetto di Piero Sartogo, Nathalie Grenon Project by Piero Sartogo, Nathalie Grenon

46

Dettaglio dei tamponamenti dei corpi di fabbrica attraversati dai setti di zinco delle superfici vetrate. Detail of the curtain walls of the facilities pierced through by the zinc stanchions of the glass surfaces.

A

volte il luogo, la storia e la cultura di un territorio compiono il miracolo di far convivere armoniosamente tradizione e modernità. Il complesso per la vinificazione a Monti, nel territorio del Chianti, ne è un esempio illuminante, sia per la configurazione architettonica sia per l’osservanza di alcuni criteri di sostenibilità, volti a ridurre i consumi energetici. I due corpi cilindrici con la copertura sostenuta da esili colonne e le sottili feritoie ricordano inequivocabilmente lo straordinario immaginario delle architetture senesi dipinte da Simone Martini; i bastioni e i contrafforti sono un’interessante rilettura delle architetture militari progettate da Francesco di Giorgio Martini. Il tutto interpretato attraverso una sapiente distribuzione di forme e volumi in un ambiente dove natura e costruito convivono in perfetta simbiosi. Obiettivo del progetto era di inserire la costruzione in un contesto estrema-

mente delicato; l’idea vincente è stata di intervenire rivoluzionando radicalmente la tipologia delle strutture per la produzione vinicola, ovvero suddividere in tante unità i volumi destinati ad accogliere le fasi di produzione del vino, dalla vendemmia alla fase di pigiatura dell’uva, dalla fermentazione all’invecchiamento nelle botti. La distribuzione delle funzioni è articolata attraverso l’inserimento, alla base della collina boscosa, del corpo di fabbrica più ampio, ottenendo così un processo di vinificazione a caduta per gravità – in linea con le più avanzate teorie enologiche – con conseguente risparmio energetico. Un risparmio riscontrabile soprattutto nella configurazione generale del complesso, caratterizzato da feritoie in grado di fornire luce e ventilazione naturali agli interni. L’osmosi fra paesaggio e architettura trova riscontro in tutta una serie di percorsi e terrazzamenti integrati con il territorio collinare, ma anche nella configurazione altimetrica dei livelli interni. Realizzare una struttura produttiva in cui forma e funzione fossero paritetiche, anche sul piano estetico, è stata occasione per Piero Sartogo e Nathalie Grenon di misurarsi con una tematica progettuale inusuale attraverso la rivisitazione in chiave rinascimentale di un luogo di forte valenza simbolica, dove il Rinascimento, nelle sue prime manifestazioni, si caratterizzava per una grande apertura all’innovazione e una rilettura colta del passato. Il recupero non “archeologico” del primo Rinascimento è stato, infatti, il percorso intrapreso in questo intervento per non cadere nella trappola storicistica, in uno sterile post-modernismo davvero fuori luogo. Si tratta di un’operazione non isolata, pur se attualmente in fase germinale, che pare infatti trovare seguito anche in realtà diverse dove il contesto naturale non è più quello delle straordinarie colline del Chianti bensì le pianure bagnate dal Po. Insomma, anche il prefabbricato industriale sta cambiando, per il momento attraverso semplici maquillage, timidi tatuaggi in forma di discrete decorazioni e pastellate cromie, ma tutto fa presagire ulteriori sviluppi.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Rinascimento sostenibile Sustainable Renaissance Monti in Chianti (Siena), centro vinificazione Badia a Coltibuono Monti in Chianti (Siena), Badia Winery in Coltibuono Progetto di Piero Sartogo, Nathalie Grenon Project by Piero Sartogo, Nathalie Grenon

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Dettaglio dei tamponamenti dei corpi di fabbrica attraversati dai setti di zinco delle superfici vetrate. Detail of the curtain walls of the facilities pierced through by the zinc stanchions of the glass surfaces.

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volte il luogo, la storia e la cultura di un territorio compiono il miracolo di far convivere armoniosamente tradizione e modernità. Il complesso per la vinificazione a Monti, nel territorio del Chianti, ne è un esempio illuminante, sia per la configurazione architettonica sia per l’osservanza di alcuni criteri di sostenibilità, volti a ridurre i consumi energetici. I due corpi cilindrici con la copertura sostenuta da esili colonne e le sottili feritoie ricordano inequivocabilmente lo straordinario immaginario delle architetture senesi dipinte da Simone Martini; i bastioni e i contrafforti sono un’interessante rilettura delle architetture militari progettate da Francesco di Giorgio Martini. Il tutto interpretato attraverso una sapiente distribuzione di forme e volumi in un ambiente dove natura e costruito convivono in perfetta simbiosi. Obiettivo del progetto era di inserire la costruzione in un contesto estrema-

mente delicato; l’idea vincente è stata di intervenire rivoluzionando radicalmente la tipologia delle strutture per la produzione vinicola, ovvero suddividere in tante unità i volumi destinati ad accogliere le fasi di produzione del vino, dalla vendemmia alla fase di pigiatura dell’uva, dalla fermentazione all’invecchiamento nelle botti. La distribuzione delle funzioni è articolata attraverso l’inserimento, alla base della collina boscosa, del corpo di fabbrica più ampio, ottenendo così un processo di vinificazione a caduta per gravità – in linea con le più avanzate teorie enologiche – con conseguente risparmio energetico. Un risparmio riscontrabile soprattutto nella configurazione generale del complesso, caratterizzato da feritoie in grado di fornire luce e ventilazione naturali agli interni. L’osmosi fra paesaggio e architettura trova riscontro in tutta una serie di percorsi e terrazzamenti integrati con il territorio collinare, ma anche nella configurazione altimetrica dei livelli interni. Realizzare una struttura produttiva in cui forma e funzione fossero paritetiche, anche sul piano estetico, è stata occasione per Piero Sartogo e Nathalie Grenon di misurarsi con una tematica progettuale inusuale attraverso la rivisitazione in chiave rinascimentale di un luogo di forte valenza simbolica, dove il Rinascimento, nelle sue prime manifestazioni, si caratterizzava per una grande apertura all’innovazione e una rilettura colta del passato. Il recupero non “archeologico” del primo Rinascimento è stato, infatti, il percorso intrapreso in questo intervento per non cadere nella trappola storicistica, in uno sterile post-modernismo davvero fuori luogo. Si tratta di un’operazione non isolata, pur se attualmente in fase germinale, che pare infatti trovare seguito anche in realtà diverse dove il contesto naturale non è più quello delle straordinarie colline del Chianti bensì le pianure bagnate dal Po. Insomma, anche il prefabbricato industriale sta cambiando, per il momento attraverso semplici maquillage, timidi tatuaggi in forma di discrete decorazioni e pastellate cromie, ma tutto fa presagire ulteriori sviluppi.

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L’ubicazione del complesso per la vinificazione in rapporto con il sovrastante borgo abitato. Location of the wine making complex in relation to the little village above.

S

ometimes the place, history and culture of a territory can miraculously allow tradition and modernity to co-exist in harmony. The wine making complex in Monti in the Chianti region is an enlightening example, due to both its architectural design and the compliance with certain sustainability guidelines aimed at reducing energy consumption. The two cylindrical sections with a roof held up by thin columns and tiny slits irresistibly evoke the incredible vision of Siena architecture in the paintings by Simone Martini; the ramparts and buttresses are an interesting re-reading of the military architecture designed by Francesco di Giorgio Martini. All interpreted through a clever layout of forms and structures in a setting where nature and the builtscape co-exist in perfect symbiosis. The aim of the project was to set the construction in a highly delicate context; the winning idea was to revolutionize radically the design of the wine making processing facilities, from harvesting to crushing and from fermentation to aging. The facilities have been functionally set out by locating the largest building at the foot of a woody hill, to take advantage of the natural gravity flow within the wine making process—in line with the latest theories on vinification—and the energy savings it entails. Savings which can also be noted in

the general layout of the complex, whose slits let natural ventilation and lighting inside. The osmosis between the landscape and architecture is matched by a whole series of paths and terraces knit into the hillside, as well as the altimetric layout of the inner levels. Designing a production facility in which form and function are on a par, even on an aesthetic level, provided Piero Sartogo and Nathalie Grenon the chance to measure up to an unusual project by re-visiting in a Renaissance key a highly symbolic place. A place where the Renaissance—at its prime—was characterized by great openness to innovation and an enlightened re-reading of the past. The non-“archaeological” retrieval of the early Renaissance was, in fact, the path this project took to avoid failing into the trap of historicism or a sterile form of postmodernism that is really out of place. This is not a one-off operation, even though it is still only at the very early stages, and it is likely to be repeated also in places without the extraordinary natural setting of the Chianti hills, such as the flatland plains where the River Po flows. In other words, industry is currently going through a simple makeover, little tattoos in the form of discrete decorations and pastel shades, but everything points toward more major developments.

49 In senso orario, sezione trasversale, pianta del piano terra e planimetria generale. Clockwise, cross section, ground floor plan and site plan.


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L’ubicazione del complesso per la vinificazione in rapporto con il sovrastante borgo abitato. Location of the wine making complex in relation to the little village above.

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ometimes the place, history and culture of a territory can miraculously allow tradition and modernity to co-exist in harmony. The wine making complex in Monti in the Chianti region is an enlightening example, due to both its architectural design and the compliance with certain sustainability guidelines aimed at reducing energy consumption. The two cylindrical sections with a roof held up by thin columns and tiny slits irresistibly evoke the incredible vision of Siena architecture in the paintings by Simone Martini; the ramparts and buttresses are an interesting re-reading of the military architecture designed by Francesco di Giorgio Martini. All interpreted through a clever layout of forms and structures in a setting where nature and the builtscape co-exist in perfect symbiosis. The aim of the project was to set the construction in a highly delicate context; the winning idea was to revolutionize radically the design of the wine making processing facilities, from harvesting to crushing and from fermentation to aging. The facilities have been functionally set out by locating the largest building at the foot of a woody hill, to take advantage of the natural gravity flow within the wine making process—in line with the latest theories on vinification—and the energy savings it entails. Savings which can also be noted in

the general layout of the complex, whose slits let natural ventilation and lighting inside. The osmosis between the landscape and architecture is matched by a whole series of paths and terraces knit into the hillside, as well as the altimetric layout of the inner levels. Designing a production facility in which form and function are on a par, even on an aesthetic level, provided Piero Sartogo and Nathalie Grenon the chance to measure up to an unusual project by re-visiting in a Renaissance key a highly symbolic place. A place where the Renaissance—at its prime—was characterized by great openness to innovation and an enlightened re-reading of the past. The non-“archaeological” retrieval of the early Renaissance was, in fact, the path this project took to avoid failing into the trap of historicism or a sterile form of postmodernism that is really out of place. This is not a one-off operation, even though it is still only at the very early stages, and it is likely to be repeated also in places without the extraordinary natural setting of the Chianti hills, such as the flatland plains where the River Po flows. In other words, industry is currently going through a simple makeover, little tattoos in the form of discrete decorations and pastel shades, but everything points toward more major developments.

49 In senso orario, sezione trasversale, pianta del piano terra e planimetria generale. Clockwise, cross section, ground floor plan and site plan.


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Pagina a fianco, dettaglio delle due torri, una circolare, l’altra ellittica. In alto, particolare che evidenzia l’eterogeneità delle superfici murarie esterne. Opposite page, detail of the two towers, one circular and the other elliptical. Top, detail highlighting the variety of the exterior masonry surfaces.


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Pagina a fianco, dettaglio delle due torri, una circolare, l’altra ellittica. In alto, particolare che evidenzia l’eterogeneità delle superfici murarie esterne. Opposite page, detail of the two towers, one circular and the other elliptical. Top, detail highlighting the variety of the exterior masonry surfaces.


IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Nel flusso della velocità In the Flow of Speed Tokyo, Fluid City Tokyo, Fluid City Progetto di Makoto Sei Watanabe Project by Makoto Sei Watanabe

C

hi, per una questione generazionale, pensa a Le Corbusier come a un mostro sacro ma anche come a un personaggio da archiviare quale maestro di architettura contemporanea, dovrebbe dare uno sguardo al luogo della modernità più avanzata, il Giappone, per accorgersi di quanto alcune intuizioni progettuali siano ancora debitrici al grande Corbu. Sistemi infrastrutturali per la mobilità sono tuttora pensati, con i dovuti aggiornamenti del caso, con la stessa sensibilità con cui Le Corbusier vedeva il mondo nei primi anni del XX secolo. Il concetto d’infinito applicato all’architettura deriva dall’osservazione dei primi grattacieli di Manhattan, percepiti dal grande architetto come singoli elementi di un tutto: la loro forma segmentale – ovvero senza un inizio e una fine – intesa come un sistema aperto e teoricamente senza limiti. Il complesso Campus Station dello Tsukuba Express fa parte di una nuova linea ferroviaria, lunga 58 km, che collega la nuova comunità di Tsukuba con Tokyo. La forma dell’edificio si configura attraverso due schermi esterni indipendenti dalla struttura, realizzati in cemento rinforzato con fibra di vetro, che per taglio e forma dei diversi pannelli che li compongono, appaiono come un elemento fluido espandibile all’infinito. Il sistema di stazioni progettato da Makoto Sei Watanabe è l’attuazione concreta delle teorie sulla generazione di Fluid City. Una teoria di quarta generazione rispetto a quella ben più ampia denominata Induction City, attraverso cui, a partire dagli anni

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La Stazione Tanaka sul percorso dello Tsukuba Express. Pagina a fianco, particolare delle sedute dell’area passeggeri. Tanaka Station along the route of the Tsukuba Express. Opposite page, detail of the seats in the passengers area.

Novanta, l’architetto giapponese sta elaborando processi e soluzioni progettuali per affrontare sistematicamente problemi legati alla complessità delle metropoli contemporanee (www.makoto-architect.com). Anche nel progetto del Tsukuba Express/KashiwaTanaka Station appare evidente la ricerca di trasferire la fluidità del processo ideativo nella forma finale dell’edificio, che sorge lungo il fiume Tonegawa. La stazione presenta tre livelli: uno pedonale immediatamente sopra la strada, un’area servizi e le piattaforme. Anche in questo progetto l’idea base è suggerire il concetto di flusso continuo, che, nel caso specifico, riprende quello delle acque del fiume sottostante. Dal punto di vista strutturale, la Stazione Tanaka è formata da una base in cemento armato su cui poggia l’involucro in acciaio composto da vari anelli. La forma dell’edificio varia lungo l’asse longitudinale in modo che non vi siano punti aventi la medesima sezione. Per quanto concerne la Stazione ShinMinamata nell’isola meridionale di Kyushu, parte terminale della linea ad alta velocità che collega Tokyo a Osaka, il complesso è appena stato terminato. La stazione, caratterizzata da linee di accentuato dinamismo, è configurata da un guscio/copertura realizzato con segmenti metallici di diverse lunghezze disposti con angolature differenziate che creano continui giochi di luci e riflessi, sia al loro interno sia all’esterno. La struttura appare come un momento “congelato” di una traiettoria in espansione ed è infatti pensata per poter essere ampliata in una fase successiva.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Nel flusso della velocità In the Flow of Speed Tokyo, Fluid City Tokyo, Fluid City Progetto di Makoto Sei Watanabe Project by Makoto Sei Watanabe

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hi, per una questione generazionale, pensa a Le Corbusier come a un mostro sacro ma anche come a un personaggio da archiviare quale maestro di architettura contemporanea, dovrebbe dare uno sguardo al luogo della modernità più avanzata, il Giappone, per accorgersi di quanto alcune intuizioni progettuali siano ancora debitrici al grande Corbu. Sistemi infrastrutturali per la mobilità sono tuttora pensati, con i dovuti aggiornamenti del caso, con la stessa sensibilità con cui Le Corbusier vedeva il mondo nei primi anni del XX secolo. Il concetto d’infinito applicato all’architettura deriva dall’osservazione dei primi grattacieli di Manhattan, percepiti dal grande architetto come singoli elementi di un tutto: la loro forma segmentale – ovvero senza un inizio e una fine – intesa come un sistema aperto e teoricamente senza limiti. Il complesso Campus Station dello Tsukuba Express fa parte di una nuova linea ferroviaria, lunga 58 km, che collega la nuova comunità di Tsukuba con Tokyo. La forma dell’edificio si configura attraverso due schermi esterni indipendenti dalla struttura, realizzati in cemento rinforzato con fibra di vetro, che per taglio e forma dei diversi pannelli che li compongono, appaiono come un elemento fluido espandibile all’infinito. Il sistema di stazioni progettato da Makoto Sei Watanabe è l’attuazione concreta delle teorie sulla generazione di Fluid City. Una teoria di quarta generazione rispetto a quella ben più ampia denominata Induction City, attraverso cui, a partire dagli anni

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La Stazione Tanaka sul percorso dello Tsukuba Express. Pagina a fianco, particolare delle sedute dell’area passeggeri. Tanaka Station along the route of the Tsukuba Express. Opposite page, detail of the seats in the passengers area.

Novanta, l’architetto giapponese sta elaborando processi e soluzioni progettuali per affrontare sistematicamente problemi legati alla complessità delle metropoli contemporanee (www.makoto-architect.com). Anche nel progetto del Tsukuba Express/KashiwaTanaka Station appare evidente la ricerca di trasferire la fluidità del processo ideativo nella forma finale dell’edificio, che sorge lungo il fiume Tonegawa. La stazione presenta tre livelli: uno pedonale immediatamente sopra la strada, un’area servizi e le piattaforme. Anche in questo progetto l’idea base è suggerire il concetto di flusso continuo, che, nel caso specifico, riprende quello delle acque del fiume sottostante. Dal punto di vista strutturale, la Stazione Tanaka è formata da una base in cemento armato su cui poggia l’involucro in acciaio composto da vari anelli. La forma dell’edificio varia lungo l’asse longitudinale in modo che non vi siano punti aventi la medesima sezione. Per quanto concerne la Stazione ShinMinamata nell’isola meridionale di Kyushu, parte terminale della linea ad alta velocità che collega Tokyo a Osaka, il complesso è appena stato terminato. La stazione, caratterizzata da linee di accentuato dinamismo, è configurata da un guscio/copertura realizzato con segmenti metallici di diverse lunghezze disposti con angolature differenziate che creano continui giochi di luci e riflessi, sia al loro interno sia all’esterno. La struttura appare come un momento “congelato” di una traiettoria in espansione ed è infatti pensata per poter essere ampliata in una fase successiva.

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Dettaglio (da rendering) dell’involucro della Campus Station. Detail (from a rendering) of the shell of Campus Station.

hose who, due to their age, think of Le Corbusier as both a superstar and a figure to be filed away as a past master of modern-day architecture ought to take a look at the place where modernity has reached its high point: Japan. They would see that certain new design ideas are still clearly indebted to the great Corbu. Transport infrastructural systems are still designed, with the odd new touch here and there, showing the same awareness of the world Le Corbusier had in the early-20th century. The concept of infinity applied to architecture comes from studying the first Manhattan skyscrapers, which the great architect viewed as individual parts of a whole: their segmental form—i.e. without a start or finish—as an open and theoretically boundless system. The Campus Station complex for the Tsukuba Express is part of a new 58 km long railway line connecting the new community of Tsukuba to Tokyo. The building form is designed around two outside screens detached from the structure. Made of cement reinforced with fiberglass, they look like some sort of fluid feature that, due to the cut and form of their various component panels, can expand to infinity. The system of stations designed by Makoto Sei Watanabe is the concrete embodiment of theories about the generating of a Fluid City. A fourth-generation theory developing upon the much more extensive Induction City project, based on which this Japanese architect

has been devising design processes and solutions for systematically tackling issues related to the complexity of modern-day metropolises ever since the 1990s (www.makoto-architect.com). The Tsukuba Express/Kashiwa-Tanaka Station project also shows the same research into transferring the fluidity of the design process into the final building design. The station, located along the River Tonegawa, is built over three levels: a pedestrian level right above the road, a service lounge and the platforms. Once again, the basic idea behind the project is to suggest the concept of a seamless flow, which, in this specific instance, is inspired by the river flowing below. Structurally speaking, Tanaka Station is composed of a reinforced concrete base supporting a steel shell made of several rings. The building form varies along the longitudinal axis so that there are no points with the same section. As regards ShinMinamata Station on the southern island of Kyushu, the terminal of the high-speed line connecting Tokyo to Osaka, the complex has just been completed. The station features highly dynamic lines and a shell/roof made of metal segments of varying length set at different angles to create constant lighting effects and reflections, both on the inside and outside. The structure looks like a “frozen” instant in an expanding trajectory and is actually designed to be later extended if required.

La stazione vista dall’alto. The station seen from above.

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Dettaglio (da rendering) dell’involucro della Campus Station. Detail (from a rendering) of the shell of Campus Station.

hose who, due to their age, think of Le Corbusier as both a superstar and a figure to be filed away as a past master of modern-day architecture ought to take a look at the place where modernity has reached its high point: Japan. They would see that certain new design ideas are still clearly indebted to the great Corbu. Transport infrastructural systems are still designed, with the odd new touch here and there, showing the same awareness of the world Le Corbusier had in the early-20th century. The concept of infinity applied to architecture comes from studying the first Manhattan skyscrapers, which the great architect viewed as individual parts of a whole: their segmental form—i.e. without a start or finish—as an open and theoretically boundless system. The Campus Station complex for the Tsukuba Express is part of a new 58 km long railway line connecting the new community of Tsukuba to Tokyo. The building form is designed around two outside screens detached from the structure. Made of cement reinforced with fiberglass, they look like some sort of fluid feature that, due to the cut and form of their various component panels, can expand to infinity. The system of stations designed by Makoto Sei Watanabe is the concrete embodiment of theories about the generating of a Fluid City. A fourth-generation theory developing upon the much more extensive Induction City project, based on which this Japanese architect

has been devising design processes and solutions for systematically tackling issues related to the complexity of modern-day metropolises ever since the 1990s (www.makoto-architect.com). The Tsukuba Express/Kashiwa-Tanaka Station project also shows the same research into transferring the fluidity of the design process into the final building design. The station, located along the River Tonegawa, is built over three levels: a pedestrian level right above the road, a service lounge and the platforms. Once again, the basic idea behind the project is to suggest the concept of a seamless flow, which, in this specific instance, is inspired by the river flowing below. Structurally speaking, Tanaka Station is composed of a reinforced concrete base supporting a steel shell made of several rings. The building form varies along the longitudinal axis so that there are no points with the same section. As regards ShinMinamata Station on the southern island of Kyushu, the terminal of the high-speed line connecting Tokyo to Osaka, the complex has just been completed. The station features highly dynamic lines and a shell/roof made of metal segments of varying length set at different angles to create constant lighting effects and reflections, both on the inside and outside. The structure looks like a “frozen” instant in an expanding trajectory and is actually designed to be later extended if required.

La stazione vista dall’alto. The station seen from above.

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In queste pagine, la stazione realizzata. These pages, the completed station.

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In queste pagine, la stazione realizzata. These pages, the completed station.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Trasparente, complessa, misteriosa Transparent, Intricate, Mysterious Shizuoka, villa sull’Oceano Pacifico Shizuoka, House on the Pacific Ocean Progetto di Kengo Kuma Project by Kengo Kuma

L

ontani anni luce l’uno dall’altro per cultura e storia, Movimento Moderno e architettura tradizionale giapponese sono invece accomunati per affinità elettiva nella concezione della residenza, della grande casa lontana dallo spazio urbano e immersa nella natura. Luce, trasparenza, assenza di qualsiasi decoro superfluo e spazi aperti fanno parte di un linguaggio che unisce due culture diverse ma ugualmente in sintonia con il luogo di accoglienza, ovvero: quando Natura e Artificio si compenetrano senza che l’una contrasti l’altro. Nella villa sull’Oceano Pacifico, Kengo Kuma non poteva non cogliere l’occasione di mettersi in gioco attraverso l’uso di due materiali – l’acqua e il vetro – simili nella trasparenza ma diversi in quanto l’una elemento primario insieme alla terra, al fuoco e all’aria, e l’altro sua metafora tecnologica capace di imitarne la trasparenza, con il vantaggio di essere allo stato solido e quindi governabile per poter costruire un’architettura immateriale e poetica. In un viaggio a ritroso nel tempo, Kuma ripercorre l’esperienza di Bruno Taut – architetto importante per il Movimento Moderno, raffinatissimo compositore di forme, purtroppo trascurato in questi anni di esasperata ricerca su tecnologie sempre più lontane dai materiali naturali dell’architettura – quando negli anni Trenta scopre il valore dell’architettura tradizionale giapponese attraverso studi e progetti ibridati con le forme arcaiche ed esotiche dei templi e delle residenze del Sol Levante, costruite impiegando pannelli mobili di carta di riso racchiusi in esili telai in legno. Come Taut, anche Kuma trova nella Natura una fonte inesauribile per i suoi progetti, per conciliare bellezza e funzionalità, integrazione con il luogo e, nello stesso tempo, occasione per creare il genius loci attraverso l’armonia della diversità. Come Taut, Kuma guarda con grande attenzione alla Villa Imperiale di Katsura – realizzata a Kyoto nel XVII

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In senso orario, pianta del primo piano, sezione del terzo piano e schema costruttivo della scala interna. Clockwise, first floor plan, third floor section and construction diagram of the inner staircase.

secolo – quale insuperabile icona del rapporto fra esterno e interno, creando una forte suggestione e unendo idealmente lo specchio d’acqua della sua villa con l’immensità dell’Oceano Pacifico, ottenendo così una forte sinergia fra l’infinito e la cellula abitativa quale dettaglio colto, narrazione visiva fra illusione e realtà. Ma per Kuma non si tratta di riprendere temi e suggestioni dal passato per ricreare un’opera senza difetti, una soluzione rassicurante poiché già sedimentata nel catalogo dei grandi capolavori dell’architettura. La sua modernità sta nella grande capacità di manipolare la storia e la contemporaneità attraverso il dato tecnologico. In questo caso percepibile nella soluzione della veranda, realizzata costruendo una struttura a griglia composta di lame di acciaio inossidabile che filtra la luce, mediando il rapporto fra cielo e spazi interni. Trasparente come un cristallo complesso e misterioso, la villa è una sorta di Wunderkammer orientale dove va in scena lo spettacolo delle infinite rifrazioni in uno straordinario giardino immateriale composto di piante e fiori di luce.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Trasparente, complessa, misteriosa Transparent, Intricate, Mysterious Shizuoka, villa sull’Oceano Pacifico Shizuoka, House on the Pacific Ocean Progetto di Kengo Kuma Project by Kengo Kuma

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ontani anni luce l’uno dall’altro per cultura e storia, Movimento Moderno e architettura tradizionale giapponese sono invece accomunati per affinità elettiva nella concezione della residenza, della grande casa lontana dallo spazio urbano e immersa nella natura. Luce, trasparenza, assenza di qualsiasi decoro superfluo e spazi aperti fanno parte di un linguaggio che unisce due culture diverse ma ugualmente in sintonia con il luogo di accoglienza, ovvero: quando Natura e Artificio si compenetrano senza che l’una contrasti l’altro. Nella villa sull’Oceano Pacifico, Kengo Kuma non poteva non cogliere l’occasione di mettersi in gioco attraverso l’uso di due materiali – l’acqua e il vetro – simili nella trasparenza ma diversi in quanto l’una elemento primario insieme alla terra, al fuoco e all’aria, e l’altro sua metafora tecnologica capace di imitarne la trasparenza, con il vantaggio di essere allo stato solido e quindi governabile per poter costruire un’architettura immateriale e poetica. In un viaggio a ritroso nel tempo, Kuma ripercorre l’esperienza di Bruno Taut – architetto importante per il Movimento Moderno, raffinatissimo compositore di forme, purtroppo trascurato in questi anni di esasperata ricerca su tecnologie sempre più lontane dai materiali naturali dell’architettura – quando negli anni Trenta scopre il valore dell’architettura tradizionale giapponese attraverso studi e progetti ibridati con le forme arcaiche ed esotiche dei templi e delle residenze del Sol Levante, costruite impiegando pannelli mobili di carta di riso racchiusi in esili telai in legno. Come Taut, anche Kuma trova nella Natura una fonte inesauribile per i suoi progetti, per conciliare bellezza e funzionalità, integrazione con il luogo e, nello stesso tempo, occasione per creare il genius loci attraverso l’armonia della diversità. Come Taut, Kuma guarda con grande attenzione alla Villa Imperiale di Katsura – realizzata a Kyoto nel XVII

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In senso orario, pianta del primo piano, sezione del terzo piano e schema costruttivo della scala interna. Clockwise, first floor plan, third floor section and construction diagram of the inner staircase.

secolo – quale insuperabile icona del rapporto fra esterno e interno, creando una forte suggestione e unendo idealmente lo specchio d’acqua della sua villa con l’immensità dell’Oceano Pacifico, ottenendo così una forte sinergia fra l’infinito e la cellula abitativa quale dettaglio colto, narrazione visiva fra illusione e realtà. Ma per Kuma non si tratta di riprendere temi e suggestioni dal passato per ricreare un’opera senza difetti, una soluzione rassicurante poiché già sedimentata nel catalogo dei grandi capolavori dell’architettura. La sua modernità sta nella grande capacità di manipolare la storia e la contemporaneità attraverso il dato tecnologico. In questo caso percepibile nella soluzione della veranda, realizzata costruendo una struttura a griglia composta di lame di acciaio inossidabile che filtra la luce, mediando il rapporto fra cielo e spazi interni. Trasparente come un cristallo complesso e misterioso, la villa è una sorta di Wunderkammer orientale dove va in scena lo spettacolo delle infinite rifrazioni in uno straordinario giardino immateriale composto di piante e fiori di luce.

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espite being poles apart in terms of their history and culture, the Modern Movement and traditional Japanese architecture share the same elective affinities in housing design: big houses well away from the city and buried in nature. Light, transparency, the lack of any superfluous decoration and open spaces are part of an architectural idiom that brings together two quite different cultures but equally in harmony with the place accommodating them: i.e. when Nature and Artifice compete without conflicting with each other. In the house on the Pacific Ocean, Kengo Kuma could not miss the chance to put himself in play through the use of two materials—water and glass—similar in terms of their transparency but different in that water is a primary element along with earth, fire and air, while glass is its technological metaphor capable of copying its transparency, with the advantage of being in a solid state and hence handy to build immaterial, poetic architecture. Traveling back in time, Kuma is retracing the experience of Bruno Taut, an important architect from the Modern Movement, a highly elegant designer of forms, who has not been given the attention he deserves over this recent period of excessive experimentation into technology, gradually drifting further and further from the natural materials of architecture. Back in the 1930s Taut discovered the importance of traditional Japanese architecture through studies and projects hybridized with the age-old exotic forms of temples and houses in the Land of the Rising Sun, built out of moving rice paper panels enclosed within wooden frames. Just like Taut, Kuma also finds an endless source of inspiration for his projects in Nature, as a way of reconciling beauty and functionality, fitting into the setting and, at the same time, providing the chance to create the genius loci through harmony with diversity. Just like Taut, Kuma has taken a careful look at the Katsura Imperial Villa—built in Kyoto in 17th century— as an unsurpassable icon of relations between interior and exterior, creating striking effects and ideally uniting the villa’s pool with the Pacific Ocean in all its immensity, thereby creating a powerful synergy between the infinite and the living premises as a witty learned detail, visual narration somewhere between illusion and reality. But for Kuma it is not a matter of taking themes and ideas from the past in order to recreate an unblemished work, a reassuring approach since it is already filed away in the catalogue of great architectural masterpieces. Its modernity lies in the skilful way it handles history and the modern-day scene on a technological level. In this case it can be seen in the veranda design made by constructing a sort of grid composed of stainless steel blades that filter light, mediating relations between the skies and interior spaces. As clear as an intricate, mysterious crystal, the house is a sort of oriental Wunderkammer, where the spectacle of endless refractions is on show in an incredible immaterial garden composed of plant and flowers of light.

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espite being poles apart in terms of their history and culture, the Modern Movement and traditional Japanese architecture share the same elective affinities in housing design: big houses well away from the city and buried in nature. Light, transparency, the lack of any superfluous decoration and open spaces are part of an architectural idiom that brings together two quite different cultures but equally in harmony with the place accommodating them: i.e. when Nature and Artifice compete without conflicting with each other. In the house on the Pacific Ocean, Kengo Kuma could not miss the chance to put himself in play through the use of two materials—water and glass—similar in terms of their transparency but different in that water is a primary element along with earth, fire and air, while glass is its technological metaphor capable of copying its transparency, with the advantage of being in a solid state and hence handy to build immaterial, poetic architecture. Traveling back in time, Kuma is retracing the experience of Bruno Taut, an important architect from the Modern Movement, a highly elegant designer of forms, who has not been given the attention he deserves over this recent period of excessive experimentation into technology, gradually drifting further and further from the natural materials of architecture. Back in the 1930s Taut discovered the importance of traditional Japanese architecture through studies and projects hybridized with the age-old exotic forms of temples and houses in the Land of the Rising Sun, built out of moving rice paper panels enclosed within wooden frames. Just like Taut, Kuma also finds an endless source of inspiration for his projects in Nature, as a way of reconciling beauty and functionality, fitting into the setting and, at the same time, providing the chance to create the genius loci through harmony with diversity. Just like Taut, Kuma has taken a careful look at the Katsura Imperial Villa—built in Kyoto in 17th century— as an unsurpassable icon of relations between interior and exterior, creating striking effects and ideally uniting the villa’s pool with the Pacific Ocean in all its immensity, thereby creating a powerful synergy between the infinite and the living premises as a witty learned detail, visual narration somewhere between illusion and reality. But for Kuma it is not a matter of taking themes and ideas from the past in order to recreate an unblemished work, a reassuring approach since it is already filed away in the catalogue of great architectural masterpieces. Its modernity lies in the skilful way it handles history and the modern-day scene on a technological level. In this case it can be seen in the veranda design made by constructing a sort of grid composed of stainless steel blades that filter light, mediating relations between the skies and interior spaces. As clear as an intricate, mysterious crystal, the house is a sort of oriental Wunderkammer, where the spectacle of endless refractions is on show in an incredible immaterial garden composed of plant and flowers of light.

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Dall’alto, pianta del secondo piano, pianta del terzo piano e dettaglio costruttivo della scala. From top, plans of the second and third floors and construction detail of the stairs.

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Dall’alto, pianta del secondo piano, pianta del terzo piano e dettaglio costruttivo della scala. From top, plans of the second and third floors and construction detail of the stairs.

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Particolari che evidenziano l’altissimo grado di trasparenza dell’edificio. Details highlighting the building’s high degree of transparency.


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Particolari che evidenziano l’altissimo grado di trasparenza dell’edificio. Details highlighting the building’s high degree of transparency.


IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Nelle sabbie del cosmo In the Sands of the Cosmos Cerro Paranal, Eso Hotel Cerro Paranal, Eso Hotel Progetto di Auer+Weber+Architekten Project by Auer+Weber+Architekten

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er come sta evolvendosi il dibattito sul mondo del Progetto, discettare sulla natura dell’architettura aiuta a capire le ragioni del suo progressivo mutamento: da arte del costruire ad arte del comunicare. Le cause? Per esempio, la tendenza verso la superspecializzazione dell’architetto come figura in grado di dare valore all’opera attraverso un atto creativo, con la conseguenza che l’ingegnere, traduttore tecnologico del progetto architettonico, acquisisce sempre più spazio come figura autonoma nel percorso di realizzazione dell’opera. L’architettura diviene bene collettivo in quanto struttura urbana ed evento culturale come performance progettuale. Deserto cileno di Atacama: sulla cima del Cerro Paranal l’Osservatorio Paranal, sede del VLT (Very Large Telescope) e dell’ESO (European Southern Observatory), forma una straordinaria cattedrale scientifica in uno dei deserti più inospitali della Terra. Il deserto è una metropoli invisibile dove l’architettura perde peso specifico, diventa quasi miraggio, architettura virtuale in quanto non relazionabile con la complessità della città. Dunque, una “macchina celibe” al posto di un’architettura? In un certo senso, sì, poiché risulta una struttura afasica, priva di un suo linguaggio autonomo, un luogo tecnico che non aggiunge nulla al nulla, se non la propria assenza architettonica. Straordinaria invece la dotazione tecnico-scientifica: con quattro telescopi da 8,2 m e vari altri più piccoli, tutti comprendenti strumentazioni di ultima generazione, come l’in-

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Sezione, dettaglio della facciata e pianta di una delle 108 stanze dell’hotel. Section, detail of the facade and plan of one of the 108 hotel rooms.

terferometro inaugurato nel 2001. L’osservatorio è tra i più potenti al mondo e tra i luoghi di ricerca più apprezzati dagli astronomi: ogni anno, l’ESO riceve oltre 1.300 proposte di ricerca per il VLT. La realizzazione dell’intero progetto ha richiesto dieci anni durante i quali il gruppo scientifico e le maestranze di cantiere hanno dovuto alloggiare in container posti 200 metri più a valle, sulla sola strada che percorre il deserto. Per una migliore sistemazione dei circa cento tra ricercatori tecnici e visitatori soggiornanti sul Paranal venne indetto un concorso internazionale per la costruzione di un complesso residenziale vinto dagli architetti tedeschi Auer e Weber (www.auer-weber.de), autori del progetto per l’edificio, e dall’architetto cileno Paula Gutierrez (www.paulagutierrez.com), progettista della sistemazione degli interni. Auer+Weber+Architekten, sfruttando un’ampia depressione del terreno, realizzano una struttura ipogea con una singola facciata fuori terra caratterizzata da una superficie dello stesso colore del deserto e orientata verso l’Oceano Pacifico, distante circa 12 chilometri. L’unica altra emergenza è rappresentata dall’ampia cupola vetrata di 35 metri di diametro che consente, insieme alle aperture di alcune corti sistemate a verde, l’entrata della luce naturale, illuminando così gli spazi interrati e mettendoli in comunicazione con l’esterno. Il luogo è indubbiamente fuori dagli schemi, ma è anche una vera oasi di benessere in grado di opporsi alle difficili condizioni ambientali di questa sperduta terra ai confini del mondo.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Nelle sabbie del cosmo In the Sands of the Cosmos Cerro Paranal, Eso Hotel Cerro Paranal, Eso Hotel Progetto di Auer+Weber+Architekten Project by Auer+Weber+Architekten

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er come sta evolvendosi il dibattito sul mondo del Progetto, discettare sulla natura dell’architettura aiuta a capire le ragioni del suo progressivo mutamento: da arte del costruire ad arte del comunicare. Le cause? Per esempio, la tendenza verso la superspecializzazione dell’architetto come figura in grado di dare valore all’opera attraverso un atto creativo, con la conseguenza che l’ingegnere, traduttore tecnologico del progetto architettonico, acquisisce sempre più spazio come figura autonoma nel percorso di realizzazione dell’opera. L’architettura diviene bene collettivo in quanto struttura urbana ed evento culturale come performance progettuale. Deserto cileno di Atacama: sulla cima del Cerro Paranal l’Osservatorio Paranal, sede del VLT (Very Large Telescope) e dell’ESO (European Southern Observatory), forma una straordinaria cattedrale scientifica in uno dei deserti più inospitali della Terra. Il deserto è una metropoli invisibile dove l’architettura perde peso specifico, diventa quasi miraggio, architettura virtuale in quanto non relazionabile con la complessità della città. Dunque, una “macchina celibe” al posto di un’architettura? In un certo senso, sì, poiché risulta una struttura afasica, priva di un suo linguaggio autonomo, un luogo tecnico che non aggiunge nulla al nulla, se non la propria assenza architettonica. Straordinaria invece la dotazione tecnico-scientifica: con quattro telescopi da 8,2 m e vari altri più piccoli, tutti comprendenti strumentazioni di ultima generazione, come l’in-

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Sezione, dettaglio della facciata e pianta di una delle 108 stanze dell’hotel. Section, detail of the facade and plan of one of the 108 hotel rooms.

terferometro inaugurato nel 2001. L’osservatorio è tra i più potenti al mondo e tra i luoghi di ricerca più apprezzati dagli astronomi: ogni anno, l’ESO riceve oltre 1.300 proposte di ricerca per il VLT. La realizzazione dell’intero progetto ha richiesto dieci anni durante i quali il gruppo scientifico e le maestranze di cantiere hanno dovuto alloggiare in container posti 200 metri più a valle, sulla sola strada che percorre il deserto. Per una migliore sistemazione dei circa cento tra ricercatori tecnici e visitatori soggiornanti sul Paranal venne indetto un concorso internazionale per la costruzione di un complesso residenziale vinto dagli architetti tedeschi Auer e Weber (www.auer-weber.de), autori del progetto per l’edificio, e dall’architetto cileno Paula Gutierrez (www.paulagutierrez.com), progettista della sistemazione degli interni. Auer+Weber+Architekten, sfruttando un’ampia depressione del terreno, realizzano una struttura ipogea con una singola facciata fuori terra caratterizzata da una superficie dello stesso colore del deserto e orientata verso l’Oceano Pacifico, distante circa 12 chilometri. L’unica altra emergenza è rappresentata dall’ampia cupola vetrata di 35 metri di diametro che consente, insieme alle aperture di alcune corti sistemate a verde, l’entrata della luce naturale, illuminando così gli spazi interrati e mettendoli in comunicazione con l’esterno. Il luogo è indubbiamente fuori dagli schemi, ma è anche una vera oasi di benessere in grado di opporsi alle difficili condizioni ambientali di questa sperduta terra ai confini del mondo.

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udging by the way debate in the world of Design is progressing, dissertating about the nature of architecture is useful for understanding the reasons for the progressive change it is undergoing: from the art of building to the art of communicating. So what are the reasons for this? For instance, a tendency toward the super-specialization of the architect as somebody capable of enhancing a design through his creative artistry, which means that the engineer, responsible for technologically translating the architectural design, is gaining more room as an independent player in the building process. Architecture is turning into a collective asset, an urban structure and cultural event in which design plays the leading role. The Atacama desert in Chile: up on top of the Cerro Paranal, the Paranal Observatory, home of the VLT (Very Large Telescope) and ESO (European Southern Observatory), is an incredible scientific cathedral in one of the most inhospitable deserts on Earth. The desert is an invisible metropolis in which architecture loses its specific weight, turns into a mirage or virtual architecture in that it cannot be related to the complexity of the city. So do we have a “celibate machine� instead of architecture? In a certain sense, yes, because it turns out to be an aphasic structure with no language of its own, a technical place that adds nothing to nothing, except its own architectural absence. Its technical-scientific furbishing its quite extraordinary though: featuring four 8.2 m telescopes and various other smaller ones, all fitted with the latest generation of

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Sezione e plastico del progetto. Section and model of the project.

equipment, such as an interferometer that officially came into operation in 2001. This is one of the most important observatories in the world and one of the most highly rated research places by astronomers: the ESO receives over 1,300 research proposals for the VLT every year. It took ten years to carry out the entire project, during which time the scientific team and expert builders had to take accommodation in containers situated 200 meters down the valley, along the only road through the desert. An international competition to build a residential complex to provide the approximately one hundred technical researchers and visitors staying on the Paranal with better accommodation was won by the German architects Auer and Weber (www.auer-weber.de) and the Chilean architect Paula Gutierrez (www.paulagutierrez.com), who designed the interior layout. Auer+Weber+Architekten took advantage of wide dip in the ground to design an underground structure with one single facade above ground level featuring a surface the same color as the desert and facing the Pacific Ocean about 12 kilometers away. The only other above-ground feature is the big glass dome measuring 35 meters in diameter, which, together with the openings formed by courtyards landscaped in greenery, lets in natural light to illuminate the underground spaces and bring them into interaction with the outside. This place is certainly unorthodox, but it is also a real oasis of well-being contrasting with the harsh surrounding conditions in this lost area of land at the very edge of the world.

Pianta dei livelli 2 e 4 e, in basso, l’osservatorio sulla cima del Cerro Paranal. Plan of levels 2 and 4 and, bottom, the observatory on the summit of Cerro Paranal.

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udging by the way debate in the world of Design is progressing, dissertating about the nature of architecture is useful for understanding the reasons for the progressive change it is undergoing: from the art of building to the art of communicating. So what are the reasons for this? For instance, a tendency toward the super-specialization of the architect as somebody capable of enhancing a design through his creative artistry, which means that the engineer, responsible for technologically translating the architectural design, is gaining more room as an independent player in the building process. Architecture is turning into a collective asset, an urban structure and cultural event in which design plays the leading role. The Atacama desert in Chile: up on top of the Cerro Paranal, the Paranal Observatory, home of the VLT (Very Large Telescope) and ESO (European Southern Observatory), is an incredible scientific cathedral in one of the most inhospitable deserts on Earth. The desert is an invisible metropolis in which architecture loses its specific weight, turns into a mirage or virtual architecture in that it cannot be related to the complexity of the city. So do we have a “celibate machine� instead of architecture? In a certain sense, yes, because it turns out to be an aphasic structure with no language of its own, a technical place that adds nothing to nothing, except its own architectural absence. Its technical-scientific furbishing its quite extraordinary though: featuring four 8.2 m telescopes and various other smaller ones, all fitted with the latest generation of

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Sezione e plastico del progetto. Section and model of the project.

equipment, such as an interferometer that officially came into operation in 2001. This is one of the most important observatories in the world and one of the most highly rated research places by astronomers: the ESO receives over 1,300 research proposals for the VLT every year. It took ten years to carry out the entire project, during which time the scientific team and expert builders had to take accommodation in containers situated 200 meters down the valley, along the only road through the desert. An international competition to build a residential complex to provide the approximately one hundred technical researchers and visitors staying on the Paranal with better accommodation was won by the German architects Auer and Weber (www.auer-weber.de) and the Chilean architect Paula Gutierrez (www.paulagutierrez.com), who designed the interior layout. Auer+Weber+Architekten took advantage of wide dip in the ground to design an underground structure with one single facade above ground level featuring a surface the same color as the desert and facing the Pacific Ocean about 12 kilometers away. The only other above-ground feature is the big glass dome measuring 35 meters in diameter, which, together with the openings formed by courtyards landscaped in greenery, lets in natural light to illuminate the underground spaces and bring them into interaction with the outside. This place is certainly unorthodox, but it is also a real oasis of well-being contrasting with the harsh surrounding conditions in this lost area of land at the very edge of the world.

Pianta dei livelli 2 e 4 e, in basso, l’osservatorio sulla cima del Cerro Paranal. Plan of levels 2 and 4 and, bottom, the observatory on the summit of Cerro Paranal.

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Percorso verso l’ingresso dell’hotel. Path toward the hotel entrance.

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Vedute dell’hotel. Views of the hotel.

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Percorso verso l’ingresso dell’hotel. Path toward the hotel entrance.

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Vedute dell’hotel. Views of the hotel.

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Pagina a fianco e qui a sinistra, il percorso di collegamento interno. In basso uno spazio ambientato con piante tropicali. Opposite page and left, the inner connection path. Bottom, a space landscaped with tropical plants.

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Pagina a fianco e qui a sinistra, il percorso di collegamento interno. In basso uno spazio ambientato con piante tropicali. Opposite page and left, the inner connection path. Bottom, a space landscaped with tropical plants.

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Sostenibilità morfogenetica Morphogenetic Sustainability Eco_logical design Eco_logical design Progetto di Paolo Cascone Project by Paolo Cascone

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a complessità metodologica per lavorare sulla sostenibilità richiede una gestione interdisciplinare del progetto. Eco_logical design prevede, infatti, oltre agli aspetti energetici anche una sostenibilità sociale cui dare soluzione attraverso uno studio destinato a formulare un habitat relazionato alle esigenze spaziali dell’utenza. L’osservazione dei processi generativi presenti in natura si è dimostrata il percorso in grado di produrre i migliori risultati. Si tratta di applicare criteri morfogenetici a una disciplina che, per sua natura, tratta problematiche avulse da fenomenologie di tipo dinamico. Il percorso proposto da Eco_logical design è trasposizione formale di una procedura di ingegnerizzazione capace di gestire dinamicamente la complessità dell’intorno. Dal punto di vista operativo si tratta di suddividere il tutto in più fasi interconnesse in modo non lineare. Si inizia con Design Strategy, una sorta di momento pre-architettonico che prevede un sistema di relazioni desunte dall’analisi del contesto in cui avvengono fenomenologie legate alle dinamiche ambientali (microclima, topografia, flussi di persone e cose, ecc.). Data la complessità della ricerca, si prevede l’impiego di supporti informatici in grado di intercorrelare fra loro tutti i dati della ricerca. Form Finding è una procedura risalente a studi svolti in passato dagli architetti Buckminster Fuller e Frei Otto, che avevano teorizzato la capacità dei materiali di autoorganizzarsi in base a particolari influenze esterne. In architettura tale procedura è impiegata per generare configurazioni strutturali per particolari applicazioni. Tale approccio prevede totale interconnessione tra forma e struttura: ciò si ottiene con il supporto di sofisticati software che gestiscono complesse tecniche di modellazione parametrica. Finalità del Form Finding è l’individuazione di una specie di manuale per suggerire al progettista una serie di possibili configurazioni definite, sia nella forma sia nella struttura, le cui caratteristiche prestazionali saranno analizzate secondo i parametri dell’utenza finale. Performative Simulation è la fase in cui si cerca di sperimentare in modo innovativo alcune simulazioni ambientali attuate con software specifici che rilevano condizioni ambientali artificialmente prodotte: ventilazione, illuminazione, irraggiamento solare, ecc. La ricerca avanzata di Eco_logical design è improntata a un percorso olistico applicato alla progettazione architettonica e cerca di raggiungere obiettivi proiettati in un futuro lontano, allorquando le tecnologie saranno in grado di fornire materiali “intelligenti”, con una memoria su cui far leva per impostare programmi auto-generativi inseribili in processi industriali, creando

così un mondo in cui il progetto architettonico per grandi strutture abitative si configura in una procedura meta-progettuale composta di parametri legati alle effettive esigenze abitative. Ogni forma sarà diversa non perché frutto di formalismi, ma in quanto relazionata ai diagrammi spaziali degli utenti.

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he methodological complexity involved in working on sustainability calls for an interdisciplinary approach to projects. Alongside energy factors, Eco_logical design calls for social sustainability catered for by carrying out a study into creating a habitat geared to the user’s spatial requirements. Observing the generative processes occurring in nature has proven to be the way to achieve the best possible results. This involves applying morphogenetic criteria to a discipline, which, by its very nature, deals with problems quite detached from dynamic phenomena. The approach proposed by Eco_logical design is a formal transposition of an engineering project capable of handling the complexity of the surroundings in a dynamic way. From a practical viewpoint, this means dividing everything into several stages interconnected on a non-linear basis. The first step is the Design Strategy, a sort of architectural moment involving a system of relations worked out from an analysis of the context in which phenomena related to environmental dynamics (micro-climate, topography, flow of people and things, etc.) occur. Given the complexity of the research involved, this calls for comput-

er aids capable of correlating together all the different data connected with the research. Form Finding is a procedure dating back to studies carried out in the past by the architects Buckminster Fuller and Frei Otto, who set down the theory that materials are actually capable of organizing themselves based on certain external influences. In architecture this procedure is used to generate structural configurations designed for special applications. This approach involves total interconnection between form and structure. This is achieved with the aid of sophisticated software handling complex parametric modeling techniques. The ultimate goal of Form Finding is to devise a sort of handbook for providing designers with a range of possible configurations, carefully defined in terms of both form and structure, whose performance ratings will be analyzed based on parameters set down by end users. Performative Simulation is the stage during which innovative experiments are carried out on environment simulations implemented using special software recording artificially designed environmental conditions: ventilation, lighting, sunlight, etc. The research proposed by Eco_logical design is based on a holistic approach to architectural design and is supposed to achieve goals projected into the distant future, when technology will indeed be able to provide “smart” materials with memories capable of handling self-generative programs to be incorporated in industrial processes. This will create a world in which the architectural design of large living structures is configured through a meta-design procedure composed from parameters linked to actual living requirements. All forms will be different, not due to just stylistic formalisms, but because they are actually geared to users’ spatial diagrams.

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Prototipazione rapida della superficie Eco_logical. Rapid prototyping of the Eco_logical surface.


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Sostenibilità morfogenetica Morphogenetic Sustainability Eco_logical design Eco_logical design Progetto di Paolo Cascone Project by Paolo Cascone

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a complessità metodologica per lavorare sulla sostenibilità richiede una gestione interdisciplinare del progetto. Eco_logical design prevede, infatti, oltre agli aspetti energetici anche una sostenibilità sociale cui dare soluzione attraverso uno studio destinato a formulare un habitat relazionato alle esigenze spaziali dell’utenza. L’osservazione dei processi generativi presenti in natura si è dimostrata il percorso in grado di produrre i migliori risultati. Si tratta di applicare criteri morfogenetici a una disciplina che, per sua natura, tratta problematiche avulse da fenomenologie di tipo dinamico. Il percorso proposto da Eco_logical design è trasposizione formale di una procedura di ingegnerizzazione capace di gestire dinamicamente la complessità dell’intorno. Dal punto di vista operativo si tratta di suddividere il tutto in più fasi interconnesse in modo non lineare. Si inizia con Design Strategy, una sorta di momento pre-architettonico che prevede un sistema di relazioni desunte dall’analisi del contesto in cui avvengono fenomenologie legate alle dinamiche ambientali (microclima, topografia, flussi di persone e cose, ecc.). Data la complessità della ricerca, si prevede l’impiego di supporti informatici in grado di intercorrelare fra loro tutti i dati della ricerca. Form Finding è una procedura risalente a studi svolti in passato dagli architetti Buckminster Fuller e Frei Otto, che avevano teorizzato la capacità dei materiali di autoorganizzarsi in base a particolari influenze esterne. In architettura tale procedura è impiegata per generare configurazioni strutturali per particolari applicazioni. Tale approccio prevede totale interconnessione tra forma e struttura: ciò si ottiene con il supporto di sofisticati software che gestiscono complesse tecniche di modellazione parametrica. Finalità del Form Finding è l’individuazione di una specie di manuale per suggerire al progettista una serie di possibili configurazioni definite, sia nella forma sia nella struttura, le cui caratteristiche prestazionali saranno analizzate secondo i parametri dell’utenza finale. Performative Simulation è la fase in cui si cerca di sperimentare in modo innovativo alcune simulazioni ambientali attuate con software specifici che rilevano condizioni ambientali artificialmente prodotte: ventilazione, illuminazione, irraggiamento solare, ecc. La ricerca avanzata di Eco_logical design è improntata a un percorso olistico applicato alla progettazione architettonica e cerca di raggiungere obiettivi proiettati in un futuro lontano, allorquando le tecnologie saranno in grado di fornire materiali “intelligenti”, con una memoria su cui far leva per impostare programmi auto-generativi inseribili in processi industriali, creando

così un mondo in cui il progetto architettonico per grandi strutture abitative si configura in una procedura meta-progettuale composta di parametri legati alle effettive esigenze abitative. Ogni forma sarà diversa non perché frutto di formalismi, ma in quanto relazionata ai diagrammi spaziali degli utenti.

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he methodological complexity involved in working on sustainability calls for an interdisciplinary approach to projects. Alongside energy factors, Eco_logical design calls for social sustainability catered for by carrying out a study into creating a habitat geared to the user’s spatial requirements. Observing the generative processes occurring in nature has proven to be the way to achieve the best possible results. This involves applying morphogenetic criteria to a discipline, which, by its very nature, deals with problems quite detached from dynamic phenomena. The approach proposed by Eco_logical design is a formal transposition of an engineering project capable of handling the complexity of the surroundings in a dynamic way. From a practical viewpoint, this means dividing everything into several stages interconnected on a non-linear basis. The first step is the Design Strategy, a sort of architectural moment involving a system of relations worked out from an analysis of the context in which phenomena related to environmental dynamics (micro-climate, topography, flow of people and things, etc.) occur. Given the complexity of the research involved, this calls for comput-

er aids capable of correlating together all the different data connected with the research. Form Finding is a procedure dating back to studies carried out in the past by the architects Buckminster Fuller and Frei Otto, who set down the theory that materials are actually capable of organizing themselves based on certain external influences. In architecture this procedure is used to generate structural configurations designed for special applications. This approach involves total interconnection between form and structure. This is achieved with the aid of sophisticated software handling complex parametric modeling techniques. The ultimate goal of Form Finding is to devise a sort of handbook for providing designers with a range of possible configurations, carefully defined in terms of both form and structure, whose performance ratings will be analyzed based on parameters set down by end users. Performative Simulation is the stage during which innovative experiments are carried out on environment simulations implemented using special software recording artificially designed environmental conditions: ventilation, lighting, sunlight, etc. The research proposed by Eco_logical design is based on a holistic approach to architectural design and is supposed to achieve goals projected into the distant future, when technology will indeed be able to provide “smart” materials with memories capable of handling self-generative programs to be incorporated in industrial processes. This will create a world in which the architectural design of large living structures is configured through a meta-design procedure composed from parameters linked to actual living requirements. All forms will be different, not due to just stylistic formalisms, but because they are actually geared to users’ spatial diagrams.

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Prototipazione rapida della superficie Eco_logical. Rapid prototyping of the Eco_logical surface.


Analisi ambientale. Environmental analysis.

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Analisi topografica. Topographic analysis.


Analisi ambientale. Environmental analysis.

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Analisi topografica. Topographic analysis.


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Pagina a fianco, processo progettuale di un prototipo di casa. In alto, esperimento di auto-costruzione del padiglione Pankese School. Opposite page, design process for a house prototype. Top, experiment in self-construction of the Pankese School pavilion.


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Pagina a fianco, processo progettuale di un prototipo di casa. In alto, esperimento di auto-costruzione del padiglione Pankese School. Opposite page, design process for a house prototype. Top, experiment in self-construction of the Pankese School pavilion.


Esperimento di auto-costruzione del padiglione Pankese School. Experiment in selfconstruction of the Pankese School pavilion.

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Fasi di contestualizzazione di un prototipo. Contextualization of a prototype.

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Esperimento di auto-costruzione del padiglione Pankese School. Experiment in selfconstruction of the Pankese School pavilion.

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Fasi di contestualizzazione di un prototipo. Contextualization of a prototype.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Il futuro in forma A Future in Good Form Aichi (Nagoya), Expo 2005 Aichi (Nagoya), Expo 2005 Progetto di un pool di architetti internazionali A project by a pool of international architects

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In questa pagina e nella pagina a fianco (in alto a destra) particolari del Padiglione Spagna, progettato da Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects e Inypsa. Pagina a fianco, in basso Padiglione Hitachi. This page and opposite page (top right), details of the Spanish Pavilion designed by Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects and Inypsa. Opposite page, bottom Hitachi Pavilion.

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a saggezza della natura” è il tema dell’Expo di Aichi (25 marzo – 25 settembre). Un tema complesso e affascinante, che coinvolge il rapporto che da sempre l’uomo ha con il suo intorno naturale, di cui ha saputo cogliere gli insegnamenti per progredire nella scienza e nell’arte. Le grandi manifestazioni espositive sono pietre miliari che segnano l’evoluzione culturale dell’Occidente. Un’evoluzione che ogni volta fa il punto anche sulla cultura del costruire attraverso architetture prefiguratrici di un futuro anche lontano. Come era prevedibile, il Giappone ha saputo esporre nel migliore dei modi una serie di innovazioni, sia tecnologiche sia spettacolari attraverso grandi scenografie in cui mettere in luce, per esempio, la jazz band composta di androidi e sofisticati sistemi informatici in grado di ridisegnare la geografia del lavoro online. Nel padiglione italiano, progettato da Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, è andata in scena la qualità della vita secondo il modello mediterraneo, comprendente la filosofia del cibo e la qualità ambientale delle città italiane, dove è ancora possibile assaporare atmosfere rinascimentali uniche. Naturalmente, lo spettacolo più atteso è stato quello dei padiglioni nazionali, a cominciare da quello giapponese: una cupola ellittica irregolare rivestita di bambù (Sadao Watanabe è stato il coordinatore e direttore generale dei progetti legati a questo padiglione) e la Torre della Terra (una torre a base trapezoidale alta 47 m, concepita dall’artista Fumiya Fujii). Il Padiglione Toyota è stato realiz-

zato con materiali riciclabili alla fine dell’Expo e con un metodo di giunti forati che limitano al minimo l’uso di saldature. Il padiglione è inoltre a emissione zero, utilizzando un sistema eolico che produce tutta l’energia necessaria al funzionamento dell’edificio. Il Padiglione Italia è dedicato all’“Italian Lifestyle” e si articola su tre grandi sale in cui sono presentate la bellezza, l’arte e la cultura del made in Italy. Si accede al padiglione attraverso una grande sala in cui una passerella attraversa una vasca d’acqua che riflette un gioco di luci dai toni caldi e una serie di oggetti di design e opere d’arte. Da qui si giunge a una grande sfera (9 metri di diametro) che ospita la statua del Fauno Danzante. Germania e Francia partecipano all’Expo con un padiglione comune, progettato da Sylvain Dubuisson. È il più grande tra quelli dei paesi partecipanti ed è proprio al centro dell’area espositiva. Il complesso è diviso in due parti, che attestano le diverse identità delle due nazioni, con una parte centrale comune in cui si trovano la ricezione, negozi, ristoranti e uffici. Il Padiglione della Spagna, progettato da Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects e Inypsa, è centrato sul tema “Condividere l’arte della vita”. Il padiglione è organizzato intorno a un grande spazio centrale che allude alla verticalità degli edifici gotici e romanici che raggiungono la loro monumentalità grazie alla “sproporzione” tra navata centrale e cappelle laterali. All’esterno, la facciata è caratterizzata dalla tipica griglia legata alla tradizione arabo-spagnola.

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IL NUOVO CLIMA THE NEW CLIMATE

Il futuro in forma A Future in Good Form Aichi (Nagoya), Expo 2005 Aichi (Nagoya), Expo 2005 Progetto di un pool di architetti internazionali A project by a pool of international architects

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In questa pagina e nella pagina a fianco (in alto a destra) particolari del Padiglione Spagna, progettato da Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects e Inypsa. Pagina a fianco, in basso Padiglione Hitachi. This page and opposite page (top right), details of the Spanish Pavilion designed by Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects and Inypsa. Opposite page, bottom Hitachi Pavilion.

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a saggezza della natura” è il tema dell’Expo di Aichi (25 marzo – 25 settembre). Un tema complesso e affascinante, che coinvolge il rapporto che da sempre l’uomo ha con il suo intorno naturale, di cui ha saputo cogliere gli insegnamenti per progredire nella scienza e nell’arte. Le grandi manifestazioni espositive sono pietre miliari che segnano l’evoluzione culturale dell’Occidente. Un’evoluzione che ogni volta fa il punto anche sulla cultura del costruire attraverso architetture prefiguratrici di un futuro anche lontano. Come era prevedibile, il Giappone ha saputo esporre nel migliore dei modi una serie di innovazioni, sia tecnologiche sia spettacolari attraverso grandi scenografie in cui mettere in luce, per esempio, la jazz band composta di androidi e sofisticati sistemi informatici in grado di ridisegnare la geografia del lavoro online. Nel padiglione italiano, progettato da Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, è andata in scena la qualità della vita secondo il modello mediterraneo, comprendente la filosofia del cibo e la qualità ambientale delle città italiane, dove è ancora possibile assaporare atmosfere rinascimentali uniche. Naturalmente, lo spettacolo più atteso è stato quello dei padiglioni nazionali, a cominciare da quello giapponese: una cupola ellittica irregolare rivestita di bambù (Sadao Watanabe è stato il coordinatore e direttore generale dei progetti legati a questo padiglione) e la Torre della Terra (una torre a base trapezoidale alta 47 m, concepita dall’artista Fumiya Fujii). Il Padiglione Toyota è stato realiz-

zato con materiali riciclabili alla fine dell’Expo e con un metodo di giunti forati che limitano al minimo l’uso di saldature. Il padiglione è inoltre a emissione zero, utilizzando un sistema eolico che produce tutta l’energia necessaria al funzionamento dell’edificio. Il Padiglione Italia è dedicato all’“Italian Lifestyle” e si articola su tre grandi sale in cui sono presentate la bellezza, l’arte e la cultura del made in Italy. Si accede al padiglione attraverso una grande sala in cui una passerella attraversa una vasca d’acqua che riflette un gioco di luci dai toni caldi e una serie di oggetti di design e opere d’arte. Da qui si giunge a una grande sfera (9 metri di diametro) che ospita la statua del Fauno Danzante. Germania e Francia partecipano all’Expo con un padiglione comune, progettato da Sylvain Dubuisson. È il più grande tra quelli dei paesi partecipanti ed è proprio al centro dell’area espositiva. Il complesso è diviso in due parti, che attestano le diverse identità delle due nazioni, con una parte centrale comune in cui si trovano la ricezione, negozi, ristoranti e uffici. Il Padiglione della Spagna, progettato da Alejandro Zaera-Polo/Foreign Office Architects e Inypsa, è centrato sul tema “Condividere l’arte della vita”. Il padiglione è organizzato intorno a un grande spazio centrale che allude alla verticalità degli edifici gotici e romanici che raggiungono la loro monumentalità grazie alla “sproporzione” tra navata centrale e cappelle laterali. All’esterno, la facciata è caratterizzata dalla tipica griglia legata alla tradizione arabo-spagnola.

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Vedute generali di Aichi Expo 2005. General views of Aichi Expo 2005.

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he Wisdom of Nature” is the theme of the Aichi Expo (25th March – 25th September). A complex and intriguing issue concerning man’s age-old relations to the natural surroundings, from which he has learnt what was required to make progress in science and art. Major exhibition events are milestones marking the cultural evolution of the West. An evolutionary process which always takes stock of the art of building in the form of works of architecture pointing toward a still distant future. As expected, Japan has managed to present a whole series of technological-spectacular innovations in the best way possible, drawing on big stages displaying, for instance, a jazz band of androids and sophisticated computer systems capable of re-designing the geography of online work. The Italian pavilion, designed by Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, presented the Mediterranean model of quality of life, including the philosophy of food and high environmental standards of Italian cities, where it is still possible to enjoy Renaissance settings unique of their kind. Of course, the most eagerly awaited spectacle were the national pavilions, Japan’s in particular: an irregular elliptical dome covered in bamboo (Sadao Watanabe was the coordinator and director general of the projects connected with this pavilion) and Earth Tower (a 47-meter-tall tower with a trapezoid-shaped base designed by the artist Fumiya Fujii). The Toyota Pavilion was built out of recyclable materials at the end of the Expo, using a perforated joints method limiting welding to a minimum. This is also a zero-emissions pavilion drawing on an air-powered system generating all the energy required for the smooth-running of the building. The Italian Pavilion is devoted to the “Italian Lifestyle” and is spread over three large halls devoted to beauty, art and culture in the Italian way of life. The pavilion may be entered through a large hall in which a walkway crosses a tank of water reflecting an interplay of warm lights and a set of design objects and works of art. This leads through to a large sphere (9 meters in diameter) holding a statue of a Dancing Faun. Germany and France have set up a joint pavilion for the Expo designed by Sylvain Dubuisson. It is the biggest of all the national pavilions and situated right in the middle of the exhibition area. The complex is divided into two parts, testifying to the different identities of the two nations, with a shared central part where the reception area, shops, restaurants and offices are located. The Spanish Pavilion, designed by Alejandro ZaeraPolo/Foreign Office Architects and Inypsa, is focused on the theme “Sharing the Art of Living”. The pavilion is set around a large central space evoking the vertical design of Gothic and Romanesque buildings, whose monumental forms are the result of a “lack of proportion” between the central aisle and chapels along the sides. On the outside, the facade features a typical Spanish-Arabic style grille.

Padiglione comune di Germania e Francia, progettato da Sylvain Dubuisson. Joint French and German Pavilion designed by Sylvain Dubuisson.

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Vedute generali di Aichi Expo 2005. General views of Aichi Expo 2005.

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he Wisdom of Nature” is the theme of the Aichi Expo (25th March – 25th September). A complex and intriguing issue concerning man’s age-old relations to the natural surroundings, from which he has learnt what was required to make progress in science and art. Major exhibition events are milestones marking the cultural evolution of the West. An evolutionary process which always takes stock of the art of building in the form of works of architecture pointing toward a still distant future. As expected, Japan has managed to present a whole series of technological-spectacular innovations in the best way possible, drawing on big stages displaying, for instance, a jazz band of androids and sophisticated computer systems capable of re-designing the geography of online work. The Italian pavilion, designed by Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, presented the Mediterranean model of quality of life, including the philosophy of food and high environmental standards of Italian cities, where it is still possible to enjoy Renaissance settings unique of their kind. Of course, the most eagerly awaited spectacle were the national pavilions, Japan’s in particular: an irregular elliptical dome covered in bamboo (Sadao Watanabe was the coordinator and director general of the projects connected with this pavilion) and Earth Tower (a 47-meter-tall tower with a trapezoid-shaped base designed by the artist Fumiya Fujii). The Toyota Pavilion was built out of recyclable materials at the end of the Expo, using a perforated joints method limiting welding to a minimum. This is also a zero-emissions pavilion drawing on an air-powered system generating all the energy required for the smooth-running of the building. The Italian Pavilion is devoted to the “Italian Lifestyle” and is spread over three large halls devoted to beauty, art and culture in the Italian way of life. The pavilion may be entered through a large hall in which a walkway crosses a tank of water reflecting an interplay of warm lights and a set of design objects and works of art. This leads through to a large sphere (9 meters in diameter) holding a statue of a Dancing Faun. Germany and France have set up a joint pavilion for the Expo designed by Sylvain Dubuisson. It is the biggest of all the national pavilions and situated right in the middle of the exhibition area. The complex is divided into two parts, testifying to the different identities of the two nations, with a shared central part where the reception area, shops, restaurants and offices are located. The Spanish Pavilion, designed by Alejandro ZaeraPolo/Foreign Office Architects and Inypsa, is focused on the theme “Sharing the Art of Living”. The pavilion is set around a large central space evoking the vertical design of Gothic and Romanesque buildings, whose monumental forms are the result of a “lack of proportion” between the central aisle and chapels along the sides. On the outside, the facade features a typical Spanish-Arabic style grille.

Padiglione comune di Germania e Francia, progettato da Sylvain Dubuisson. Joint French and German Pavilion designed by Sylvain Dubuisson.

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Padiglione Italia progettato da Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, e dedicato all’“Italian Lifestyle”. Italian Pavilion designed by Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, and devoted to the “Italian Lifestyle”.

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Padiglione Italia progettato da Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, e dedicato all’“Italian Lifestyle”. Italian Pavilion designed by Sturchio Architects & Designers, Studio Schiattarella, Studio Calosso, and devoted to the “Italian Lifestyle”.

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Ingresso, pianta e sezione del padiglione e due interni caratterizzati da giochi d’acqua e immagini che richiamano la cultura italiana. Entrance, plan and section of the pavilion and two interiors with water features and images evoking the Italian culture.


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Ingresso, pianta e sezione del padiglione e due interni caratterizzati da giochi d’acqua e immagini che richiamano la cultura italiana. Entrance, plan and section of the pavilion and two interiors with water features and images evoking the Italian culture.


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News

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Porte aperte allo sviluppo sostenibile Open Doors to Sustainable Development

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Porte aperte allo sviluppo sostenibile Open Doors to Sustainable Development Italcementi Group: ricavi +8,6% nei primi nove mesi Italcementi Group: revenues up 8.6% in the first three quarters Arcangelo Sassolino: artista, carpentiere e filosofo Arcangelo Sassolino: artist, carpenter, and philosopher

o sviluppo sostenibile, inteso come corretto equilibrio fra creazione di valore economico, tutela ambientale e responsabilità sociale è la base imprescindibile per dare prospettive di crescita future a ogni realtà imprenditoriale. Una strategia che Italcementi Group, ancora più alla luce della sua presenza internazionale in 19 paesi del mondo, ha fatto parte integrante dei propri piani di sviluppo, impegnandosi a garantire – attraverso una politica culturale e di formazione aziendale – comportamenti socialmente responsabili da parte delle proprie filiali e dei propri dipendenti. La realizzazione del Rapporto Sviluppo Sostenibile 2004 costituisce un ulteriore passo avanti nel percorso intrapreso da Italcementi Group nel perseguimento dei propri obiettivi di sostenibilità. Attraverso la sua pubblicazione, il Gruppo intende rafforzare il dialogo e il coinvolgimento dei propri stakeholders anche grazie a una maggiore trasparenza e comprensione delle informazioni fornite. Infatti, rispetto al Rapporto 2003, questo documento ha beneficiato di una migliore definizione di indicatori chiave di performance e di finalità e obiettivi di Gruppo. Già da diversi anni Italcementi Group integra le tre dimensioni della sostenibilità nelle proprie strategie e prassi aziendali. Nel 2000 il Gruppo è diventato membro del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) e nel luglio 2002 ha sottoscritto l’Agenda for Action della Cement Sustainability Initiative, il primo impegno formale

che vincola alcune tra le maggiori imprese cementiere al mondo a un piano d’azione quinquennale finalizzato allo sviluppo sostenibile. Per promuovere i progetti, gli interventi, i codici di condotta e i programmi di formazione e di comunicazione che rientrano in questo piano d’azione, Italcementi Group ha costituito nel 2002 il Sustainable Development Steering Committee. Inoltre, per agevolare l’incorporazione dei principi e dei valori di sviluppo sostenibile all’interno delle pratiche aziendali, il Gruppo ha lanciato nel 2004 uno specifico Sustainable Development Awareness Program, che prevede, per le filiali del Gruppo, la formazione e la sensibilizzazione sui temi dello sviluppo sostenibile. Il Rapporto Sviluppo Sostenibile 2004 di Italcementi Group è costituito da tre sezioni – Sviluppo Economico, Tutela Ambientale e Sviluppo Sociale – in cui sono descritte le performance e le principali sfide affrontate dal Gruppo nelle tre dimensioni della sostenibilità. SVILUPPO ECONOMICO Nel biennio 2003-2004, la politica industriale del Gruppo è stata caratterizzata da investimenti per il trasferimento tecnologico ai paesi emergenti e l’uso delle migliori tecnologie disponibili nei paesi maturi. Un’attenzione particolare è stata rivolta al miglioramento delle prestazioni ambientali e sociali delle attività produttive: 328 milioni di euro (il 22% circa degli investimenti industriali) sono stati investiti per la tutela dell’ambiente, la sicurezza e il miglioramento delle condizioni di lavoro.

EMISSIONI DI POLVERI, NOx e SO2 – 2003/2004 DUST, NOx AND SO2 EMISSIONS – 2003/2004 2003 GRUPPO1 GROUP 1

Copertura del reporting2 Reporting coverage2 Fattore di emissione Emission factor

2004

Polveri Dust

NOx

SO2

Polveri Dust

NOx

SO2

%

97.7

84.1

74.7

93.0

77.9

74.4

g/t clinker

177

2315

1197

146

2493

1296

(1) Controllate, con l’esclusione di Cipro, Egitto e Quebec – Controlled, excluded are: Cyprus, Egypt and Quebec. (2) In % rispetto alla produzione totale di clinker – As a % of total clinker production.

Il personale di Italcementi Group al 31 dicembre 2004 era di 17.377 unità, in aumento di 275 rispetto al 2003. Il costo del lavoro è ammontato a 711 milioni di euro, 9 milioni in più rispetto al 2003. TUTELA AMBIENTALE Italcementi Group ha individuato le seguenti priorità ambientali nella propria strategia di sostenibilità: • protezione del clima mediante un’appropriata strategia di monitoraggio e controllo delle emissioni di biossido di carbonio (CO2). Il Gruppo ha sviluppato un sistema di monitoraggio e reporting delle sue emissioni di CO2 esteso a tutte le filiali nel mondo, utilizzando la metodologia di inventario del Greenhouse Gas Protocol introdotta dal WBCSD e destinata all’industria del cemento. L’obiettivo di Italcementi Group è la riduzione del fattore di emissione lordo per tonnellata di prodotto cementizio a 711 kg di CO2 entro il 2008-2012 attraverso l’incremento dell’efficienza energetica e di prodotto e il recupero di energia termica tramite l’utilizzo di fonti alternative. • uso responsabile di materie prime e combustibili alternativi. L’obiettivo del Gruppo è di incrementare l’impiego di rifiuti, in particolare biomasse, come combustibili alternativi, e di loppa d’altoforno, ceneri volanti e altri materiali come materie prime alternative, con notevoli benefici per l’ambiente. • controllo e riduzione delle emissioni atmosferiche. Italcementi Group destina una percentuale significativa dei propri investimenti industriali a programmi, sia volontari sia obbligatori, di riduzione delle emissioni di polveri, NOx e SO2. L’obiettivo principale del Gruppo è quello di dotare entro la fine del 2007 l’80% dei propri forni con sistemi di monitoraggio in continuo (CEM) al camino per SO2, NOx e polveri. • minimizzazione dell’impatto sull’ambiente e sul paesaggio, in particolare attraverso


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un’attenta gestione delle attività estrattive e il ripristino delle cave. Entro il 2007 saranno predisposti piani di recupero ambientale per il 70% delle cave del Gruppo che forniscono materie prime alle cementerie. Il Gruppo ha inoltre sostenuto la diffusione di programmi di certificazione ambientale ISO 14001: a fine 2004, 28 cementerie di Italcementi Group avevano ottenuto la certificazione ISO 14001 e per il 2006 è prevista la certificazione di 2/3 degli impianti a ciclo completo. SVILUPPO SOCIALE Italcementi Group pone particolare attenzione a: • tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. La sicurezza è sempre stata una priorità per Italcementi Group. Alla fine del 2000, il Gruppo ha formalizzato una propria Politica di Sicurezza che comprende le linee guida e i principi del Progetto “Zero Infortuni”, un piano di interventi da attuare in ogni paese in base agli standard di sicurezza del Gruppo. Dopo il lancio del Progetto si è assistito a una notevole riduzione dell’indice di frequenza degli infortuni: nel periodo 2000-2004 questo indice si è ridotto di oltre il 61% in tutte le attività del Gruppo e più del 66% nel settore cemento. • addestramento e formazione. Nel corso del 2004, i programmi di formazione hanno coinvolto 22.143 persone, per un totale di 277.105 ore lavorative. • interazioni con le comunità locali. A seconda delle caratteristiche e delle necessità delle diverse realtà in cui i siti produttivi operano, sono svolte iniziative di vario tipo come le giornate “Porte Aperte”, le sponsorizzazioni culturali e sportive, il supporto a programmi formativi e a programmi di tutela della salute, ecc. Le iniziative “Porte Aperte” danno agli stakeholders l’opportunità di confrontare le proprie aspettative con le azioni concrete intraprese presso ogni impianto. L’obiettivo è quello di rafforzare il legame con la comunità locale facendo conoscere in maniera approfondita e diretta la realtà aziendale e l’impegno di Italcementi a tutela dell’ambiente, della sicurezza, della qualità dei prodotti e del territorio in cui opera.

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ustainable development, understood as the proper balance between the creation of business, environmental protection, and responsibility toward society, is the indispensable basis for providing future growth potential in any business environment. A strategy which Italcementi Group—especially in view of its location in 19 countries around the world—has made an integral part of its development plans, with its commitment to guaranteeing (as part of a corporate training program and outlook) responsible social behavior by its subsidiaries and staff. The publication of the 2004 Sustainable Development Report is another step along the path toward the sustainability objectives undertaken at Italcementi Group. By publishing this document, the Group intends to improve dialogue and involvement of its stakeholders, thanks also to greater transparency and a better understanding of the information supplied. Indeed, compared with the 2003 Report, this latest document includes a more precise list of key performance, purpose, and Group aims indicators. For many years now, Italcementi Group has been integrating the three dimensions of sustainability with company strategy and policy. In 2000, the Group became a member of the World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), and in July 2002 signed up to the Agenda for Action of the Cement Sustainability Initiative, the first formal commitment to bind some of the largest cement companies in the world to a five-year action plan aimed at sustainable development. In 2002 Italcementi Group set up its own Sustainable Development Steering Committee to promote the projects, actions, behavioral codes, and training and communications programs contained in this action plan. Furthermore, to facilitate the incorporation of sustainable development values and ideals into company policy, in 2004 the Group launched a specific Sustainable Development Awareness Program for its subsidiaries, which involves training and consciousness-raising on sustainable development. Italcementi Group’s 2004 Sustainable Development Report can be broken down into three sections—Economic Development, Environmental Protection, and Social Development—which layout the main performance parameters

and challenges faced by the Group along the three axes of sustainability. ECONOMIC DEVELOPMENT In 2003-2004, the Group’s industrial policy was noteworthy for the investments made in transferring technology to emerging countries and the use of the best technology available in mature countries. Special attention was given to improving the environmental and social performance of industry: 328 million euros (approximately 22% of all investments in industry) were invested in environmental protection, safety, and improving workplace conditions. As at 31 December 2004, Italcementi Group personnel amounted to 17,377, an increase of 275 over 2003. Labor costs amounted to 711 million euros, 9 million more than in 2003. ENVIRONMENTAL PROTECTION Italcementi Group has identified the following environmental priorities as part of its sustainability strategy: • protecting against climate change by means of an appropriate strategy for monitoring and limiting carbon dioxide (CO2) emissions. The Group has developed a system for monitoring and reporting its CO2 emissions, and this has been extended to all its subsidiaries. The Greenhouse Gas Protocol method, introduced by the WBCSD and destined for use in the cement industry, is used. Italcementi Group’s objective is to reduce gross emission factors per metric ton of cement manufactured to 711 kg of CO2 by 2008-2012, by increasing energy and product efficiency and recuperating heat by using alternative energy sources. • the responsible use of raw materials and alternative fuel sources. The Group’s aim is to increase waste recycling, in particular biomass, as alternative fuel sources, and blast furnace slag and fly ash and other materials as alternatives, with all the benefits this entails for the environment. • controlling and reducing atmospheric emissions. Italcementi Group has destined a significant percentage of its industrial investments to voluntary and compulsory programs for the reduction of dust, NOx, and SO2. The Group’s final objective for the end of 2007 is to have 80% of its kilns equipped with Continuous Emission Monitoring (CEM)

systems for SO2, NOx, and dust emissions at kiln stacks. • minimizing the impact on the landscape and the environment, mainly through careful management of quarry operations and quarry restoration. By 2007, environmental recovery plans will be implemented in 70% of the Group’s quarries supplying raw materials to cement plants. The Group has also implemented environmental management systems such as ISO 14001 certification in its plants: by late 2004, 28 Italcementi Group cement plants had been certified under ISO 14001, and certification for two thirds of all full-cycle production facilities is expected to be obtained by 2006. SOCIAL DEVELOPMENT Italcementi Group takes particular care with: • workplace health & safety. Safety has always been a priority for Italcementi Group. By late 2000, the Group formalized its own Safety Policy, which included the guidelines and principles laid out in the “Zero Accidents” Project, an intervention plan for implementation in all countries in accordance with the Group’s general safety standards. After implementation of the Project, the accident frequency index was seen to decline drastically: during 2000-2004, it fell by as much as 61% throughout the Group, and by 66% in the cement production working environment. • training. During 2004 the training programs involved 22,143 staff, to a total of 277,105 working hours. • dealings with local communities. Depending upon the characteristics and needs of the various places where production facilities are situated, various types of initiatives have been implemented. These include the “Open Doors” days, sponsorship for the arts and sport, and support in developing training programs, health protection schemes, etc. The “Open Doors” initiatives give stakeholders the opportunity to compare their expectations with the actions undertaken at each plant. The aim is to encourage positive relationships with local communities, share information on the Group’s industrial activities and its commitment to environmental protection, safety, and product quality in the areas where it operates.

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Italcementi Group: ricavi +8,6% nei primi nove mesi Italcementi Group: revenues up 8.6% in the first three quarters

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atturato in deciso aumento, l’utile netto di competenza del utile netto totale Gruppo è stato pari a 265,3 milioni sostanzialmente stabile, (-2,5%). Italia, Thailandia e Grecia investimenti in crescita e previsioni sono stati gli unici paesi in cui il per l’intero 2005 di tenuta del Gruppo ha registrato un margine operativo. Sono questi rallentamento dei risultati. In alcuni tra gli elementi più particolare in Italia, il contesto significativi dei risultati fortemente competitivo non ha dei primi nove mesi dell’anno consentito un recupero del Gruppo Italcementi. dell’incremento dei costi di I risultati del periodo produzione anche se la dinamica luglio-settembre dell’esercizio 2005 dei prezzi ha mostrato qualche hanno manifestato segnali di leggero segnale di ripresa. miglioramento rispetto Al 30 settembre scorso all’andamento della prima parte l’indebitamento finanziario netto dell’anno grazie al positivo ammontava a 2.556,3 milioni contributo di Suez Cement rispetto ai 2.103,2 milioni del consolidata integralmente dal 30 giugno, per i significativi 1° aprile scorso e di Asec Cement investimenti industriali e le nuove consolidata dal 1° agosto. acquisizioni effettuate in Egitto e in La situazione progressiva al Italia. Il gearing (indebitamento 30 settembre segna un finanziario netto/patrimonio netto) complessivo miglioramento rispetto è salito al 65,2% contro il 55,8% all’evoluzione che ha caratterizzato al 30 giugno e il 54,6% al il primo semestre dell’anno, 1° gennaio 2005. con un fatturato nei 9 mesi di Per quanto riguarda le previsioni 3.720,8 milioni (+8,6% sull’intero esercizio, nell’ultimo sull’analogo periodo 2004): trimestre non sono previsti incremento imputabile per il 3,9% cambiamenti nelle tendenze che al mix volume-prezzi, per il 4,1% finora hanno caratterizzato all’ampliamento dell’area di l’anno in corso. È attesa pertanto consolidamento e per lo 0,6% la conferma dell’evoluzione all’effetto cambi. Il miglioramento globalmente positiva della del terzo trimestre, sostenuto in domanda, grazie in particolare al particolare dall’evoluzione contributo dei mercati emergenti. favorevole dei risultati in Francia, Tuttavia la persistente crescita Belgio, paesi emergenti dell’Asia generalizzata dei costi operativi e del bacino del Mediterraneo, potrebbe non essere integralmente e dalla stabilità del contributo del recuperata, almeno in alcuni paesi, Nord America, ha permesso anche con i prezzi di vendita. sull’intero periodo dei nove mesi il Navigare nel bilancio di Italcementi Group? Da maggio 2005 è possibile: da quando cioè il bilancio consolidamento della interattivo del Gruppo è stato pubblicato sul sito ripresa sui margini www.italcementigroup.com. Questa iniziativa apre la porta a una comunicazione gestionali: il margine altamente innovativa, che si affianca al tradizionale operativo lordo ha documento contabile cartaceo, testimoniando l’ulteriore impegno del Gruppo a migliorare e rafforzare i legami recuperato, rispetto ai con la comunità finanziaria degli investitori e, più in primi 9 mesi del 2004, generale, con tutti gli stakeholders. Il nuovo bilancio lo 0,7% a 848,3 milioni, interattivo consente a chi naviga, grazie alla tecnologia messa a disposizione dal Web e realizzata in mentre il risultato collaborazione con LSV Multimedia, di navigare nel mondo di Italcementi Group. Si può così accedere via operativo è stato di Internet a informazioni sulla presenza del Gruppo in 19 581,2 milioni paesi, visualizzata attraverso grafici relativi ai maggiori dati economici e finanziari, oltre che alla performance (-5,6% ma in sensibile borsistica del titolo. Conto economico e stato miglioramento rispetto patrimoniale, con le rispettive note integrative, sono le voci immediatamente collegate nel bilancio interattivo e alla tendenza di metà questo accresce l’impegno di trasparenza del Gruppo. La esercizio, quando la ricerca delle informazioni e un agevole orientamento risultano facilitati dall’inserimento in ogni pagina del flessione aveva segnato documento di un menù di navigazione. In particolare la un -11,8%). L’utile netto struttura di navigazione, a 3 livelli principali cui totale, che ha beneficiato corrispondono successive sottocategorie, parte dalla presentazione generale del Gruppo per passare poi alle di una riduzione degli sezioni dedicate al bilancio consolidato e civilistico. Il nuovo bilancio interattivo è poi collegato a link che oneri finanziari e fiscali, rimandano ad aree di particolare impegno della società, è cresciuto del 2% come il “Rapporto Sviluppo Sostenibile” e il Progetto “Zero Infortuni”. a 369,9 milioni, mentre

attributable to the volume-price mix, 4.1% to expansion of the scope of consolidation, and 0.6% to the currency exchange effect. The improvement in the third quarter, sustained especially by stronger results in France, Belgium, the emerging countries of Asia and the Mediterranean rim, and a stable contribution from North America, extended the recovery of L’apporto delle società egiziane operating margins to the entire neo-consolidate, che avrà un peso nine-month period: gross operating ancor più rilevante nell’ultima parte profit was 848.3 million dell’anno, consentirà, a meno (+0.7% versus the first nine di eventi non prevedibili, months of 2004), while operating di raggiungere a fine 2005 un income was 581.2 million (-5.6% margine operativo lordo consolidato but with a marked improvement moderatamente superiore a quello over the first six months, when the dell’esercizio precedente. A livello decline was -11.8%). Global net di risultato operativo dovrebbe income, which benefited from a ulteriormente ridursi lo scostamento reduction in financial charges and negativo rispetto al 2004 registrato tax expense, grew by 2% to 369.9 a fine settembre. million, while Group net income was equal to 265.3 million (-2.5%). ■ ■ ■ ■ ■ ■ Italy, Thailand and Greece were the only countries where the Group trong revenue growth, stable reported a decline in results. global net income, higher Particularly in Italy, the highly investments and a steady competitive environment prevented full-year operating profit projection. the company from absorbing These are some of the highlights increased production costs, even of Italcementi Group’s 2005 though prices showed some sign first nine months results. of recovery. At 30 September net The results of the July-September debt amounted to 2,556.3 million period of 2005 showed signs euro, compared to 2,103.2 million of improvement compared at 30 June, due to significant to performance in the early part industrial investments and the new of the year, due to the positive acquisitions in Egypt and Italy. contribution of Suez Cement, Gearing (net debt/equity) rose to consolidated by the line-by-line 65.2%, versus 55.8% at 30 June method since 1 April, and and 54.6% a0t 1 January 2005. Asec Cement (from 1 August). Regarding 12-month projections, The year-to-date situation to no changes in current year trends 30 September showed overall are foreseen for the last quarter. improvement compared to the first Projections therefore call for a six months of the year, with generally positive trend in demand, nine-month sales of 3,720.8 million due chiefly to the contribution of euro (+8.6% versus Q3 2004): emerging markets. The persistent 3.9% of this increase was general increase in operating costs might not be totally absorbed by selling Want to surf the Italcementi Group financial report? prices, at least in Now you can, since the publication of the certain countries. The Group interactive financial statements on the www.italcementigroup.com website in May 2005. contribution from the A highly innovative form of communication that newly consolidated enhances the traditional paper-based report, this new Egyptian companies, development is part of the Group’s on-going efforts to strengthen its ties with the financial investor community which will have an and with its stakeholders in general. even more significant The new interactive financial statements implement Web technology and the system developed in co-operation impact in the closing with LSV Multimedia, to allow visitors to browse the months of the year, Italcementi Group world. Via the Internet, information will enable the can be obtained about Group operations in 19 countries, presented with charts illustrating key business company to achieve and financial indicators, as well as share price gross operating profit performance. The income statement and balance sheet are directly linked to the relevant disclosures, confirming for 2005 moderately the Group’s commitment to transparency. Information higher than that for searches and browsing are made easy by the navigation 2004, barring menu provided on every page. The site is organized into three main levels, each with its own sub-categories; it unforeseen events. begins with a general presentation of the Group and The negative trend in then moves to the sections containing the consolidated and parent company financial statements. The new operating income in interactive financial report also provides links to areas the first nine months that are special priorities for the Group, such as the “Sustainable Development Report” and the “Zero versus 2004 should Accidents” Project. improve significantly.

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Arcangelo Sassolino: artista, carpentiere e filosofo Arcangelo Sassolino: artist, carpenter, and philosopher

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da sempre il sogno di tutti i bambini. Almeno di quelli curiosi e con un po’ di fantasia: sollevare il pavimento dove camminano per scoprire cosa c’è sotto. Magari solo per un attimo, quando non li vede nessuno. E ognuno si immagina, con quel pizzico di paura che infonde l’ignoto, un mondo fantastico, popolato da piccoli gnomi e insetti dalle forme strane. E chissà quale tesoro nascosto. Arcangelo Sassolino c’è riuscito da grande, alle soglie dei 40 anni. Ha sollevato il pavimento di una galleria e ha trasformato il sogno infantile in una emozionante opera d’arte. Ma gli artisti si sa, quando lo sono davvero, restano sempre un po’ bambini. Conservano la curiosità, la fantasia, l’entusiasmo, lo stupore, la passione per le scoperte. Che si uniscono virtuosamente all’esperienza, alla ricerca, alla sperimentazione, alle convinzioni della maturità.

Per realizzare Rimozioni, questo il titolo dell’opera, alla Galleria Arte e Ricambi di Verona, Sassolino ha letteralmente “strappato” un pezzo di pavimento dal suolo: una lastra di 20 metri quadrati, 130 quintali di piastrelle, calcestruzzo, armatura interna, terriccio e pietre e lo ha sospeso per aria con dei cavi d’acciaio. A parte la metafora del sogno – che apparentemente poco si addice alla sua figura di rigoroso artigiano-carpentiere da un lato e di raffinato pensatore, capace di coinvolgerti nel labirinto delle sue analisi e dei suoi concetti radicati e profondi dall’altro – la produzione artistica di Arcangelo Sassolino viaggia costantemente a cavallo tra l’arte e l’architettura: “Mi interessa intaccare i piani spaziali, non solo usarli come piedistalli. Per questo – spiega – taglio l’architettura, la rimuovo dalla propria sede. La galleria diventa essa stessa oggetto artistico, il contenente si fa contenuto”. E il “gesto” del

sollevamento Sassolino lo ripete a Visioni, la grande mostra curata da Anna Maria Maggi e sponsorizzata da Italcementi nella ex chiesa di Sant’Agostino a Bergamo, in compagnia dei più grandi nomi dell’arte contemporanea italiana e internazionale. Per l’occasione, ha realizzato un’enorme scultura che ricalca il pavimento della chiesa, sollevata da terra di un metro e settanta centimetri, spingendo il visitatore ad attraversare la stanza sotto l’incombenza di 120 quintali di cemento. Per le sue opere, quasi sempre di grandi dimensioni, l’artista usa materiali standard da costruzione. Le sue creazioni sono lastre e parallelepipedi grandi come pareti, color grigio opaco come il più comune cemento da cantieri. “Il mio lavoro ha spesso a che fare con l’architettura e i conti col cemento li devo fare per forza. Ma del cemento – sottolinea – mi interessa soprattutto il fatto di essere incolore, ovunque, annullante, potente, ottuso, cinico e poco romantico: lo trovo adatto a trasmettere alcuni toni del nostro tempo. Tecnicamente la lavorabilità a freddo, i costi relativamente bassi, la resistenza delle strutture armate, la possibilità di colare direttamente dentro al ‘contenitore-teatro architettonico’ come fosse un cassero, fa sì che questa materia assecondi delle questioni artistiche e filosofiche che a me interessano. La scelta del calcestruzzo parte dal fatto che questo materiale incarna già un umore sociale a cui ti senti più vicino prima ancora di iniziare a lavorarlo”. Ed è proprio l’aspetto sociale del mondo che lo circonda che cattura il suo genio creativo e ispira il lavoro dell’artista. “Quando, guardando da un finestrino, viaggio attraverso sobborghi di città americane, certe periferie europee o la provincia italiana in cui vivo, spesso, una stessa sensazione mi pervade. Un senso di desolazione, annullamento, caducità delle cose. Ecco, in quei momenti lì – rivela –

mi riapproprio dell’importanza dell’arte. Penso a come sia così incarnata nel tempo, nella realtà delle cose”.

funebre, un angoscioso, tentacolare, accanito monumento all’obsolescenza. Le mie sculture sono le emittenti di un tempo fisicamente compresso, di una memoria continua, di un equilibrio pericoloso. Nessuna immagine, uno stato delle cose teso. Tento di costruirlo attraverso la pressione, il peso, il suono prodotto per attrito di masse”. Delle immagini e di chi le crea, dei cosiddetti “creativi”, che affollano la scena artistica italiana e internazionale, Sassolino diffida e dà sfogo alla sua ironia: “Oggi si 95

E Sassolino non può resistere alla tentazione di rendere visibile questa realtà, senza peraltro avere la pretesa di modificarla. “Si vive tra muri, pavimenti e soffitti. Questi piani spaziali in se stessi sono primari e imprescindibili. A me – spiega – interessa intaccarli direttamente, non usarli solo come piedistalli. Così, per esempio, taglio parti dell’architettura e le muovo momentaneamente fuori dalla propria sede o demolisco e poi ricostruisco lo spazio fisico di un muro con un altro muro nella stessa posizione, lasciando le tracce del nuovo intervento. Ho bisogno di non dissociare la scultura dallo spazio che la contiene. Intendo condensare verso lo zero gli elementi e l’immaginario che uso – spremere ulteriormente una questione che apparentemente è già di per sé arida, appunto un muro – inasprire la visione per il fruitore”. Quando non lavora sull’architettura ma su un oggetto, Sassolino vuole con tutte le sue forze che quell’oggetto diventi “un fatto”. Non lo interessa creare un’immagine “simbolica o rappresentativa o espressionista, o ironica, come va molto di moda oggi”. “Io – confessa – lavoro contro l’immagine, la trovo un congegno

confonde la creatività con l’arte, invece non sono la stessa cosa. L’arte impiega venti, a volte trent’anni a compiersi e quando ciò accade fa terra bruciata di tutta questa abbondanza di creativi”. E per essere più chiaro va giù di netto: “Nell’arte bisogna avere pensieri radicali, bisogna aver coraggio o sei fregato in partenza. Per fare arte bisogna avere un forte senso del proprio tempo e della propria cultura. Si devono fare i conti con ciò che ci ha preceduto e fare scelte precise. Fare arte – conclude Sassolino – è il tentativo di conciliare la coscienza di esistere con il resto della realtà”. Arcangelo Sassolino, nato a Vicenza nel 1967, studia alla School of Visual Art (SVA) di New York. Durante sei anni di permanenza negli Stati Uniti, si mantiene lavorando come designer di giocattoli per una filiale della Casio. Tornato in Italia nel 1996 si ristabilisce a Vicenza e inizia la sua carriera artistica con la Galleria Grossetti di Milano dove allestisce tre mostre personali. Contemporaneamente partecipa ad alcune mostre di gruppo fra cui Materia-Niente alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia nel 2001 (curata da Luca Massimo Barbero). Giuliano Papalini


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t has always been a dream for all children. At least for the curious ones with a bit of an imagination: to lift up the floorboards you are walking on to see what lies underneath. Perhaps for just a moment, when no one is looking. And each of them imagines, with that fleeting apprehension that accompanies the unknown, an imaginary world, populated by little gnomes and insects with strange shapes. And who knows what hidden treasures. Arcangelo Sassolino has accomplished this as an adult, at almost 40 years of age. He lifted the floor of a gallery and transformed his childhood dream into an exciting work of art. But everyone knows that artists, when they are truly artists, never really grow up entirely. They always hold onto the curiosity, imagination, enthusiasm, wonder, and passion for discovery, which are virtuously united with experience, research, experimentation, and the convictions that come with maturity. In order to create Rimozioni (Removals), as the work is entitled, at the Arte e Ricambi Gallery in Verona, Italy, Sassolino has literally “torn” a piece of flooring from below—a slab that measures 20 square meters and encompasses 130 quintals of tiles, concrete, reinforcement rods, earth and stones—and has suspended it in the air with steel cables. Besides the metaphor of the dream—which apparently poorly befits his image of meticulous artisan-carpenter on one hand and refined thinker capable of involving us in the labyrinth of his analyses and his deeply rooted concepts on the other—the artistic production of Arcangelo Sassolino sits on the fence between art and architecture. “I am interested in decomposing spatial planes, not only in using them as pedestals. For this reason,” he explains, “I cut the architecture, I remove it from its housing. The gallery itself becomes an objet d’art, the container becomes contained.” And Sassolino repeats the “gesture” of lifting in Visioni (Visions), the major exhibition of the greatest names of contemporary Italian and international art, in the ex-church of Sant’Agostino in Bergamo (Anna Maria Maggi, curator—Italcementi, sponsor).

For this occasion Sassolino created an enormous sculpture from an impression taken of the church floor, lifted one meter and seventy centimeters from the ground, obliging visitors to cross the room underneath 12,000 kilos of suspended cement. For his works, which are always of extraordinary dimensions, the artist uses standard construction materials. His creations are slabs and parallelepipeds as big as walls, opaque grey in color like the cement most commonly found in building sites. “My work often has something to do with architecture and so I am obliged to deal with cement. But cement,” he emphasizes, “interests me above all because it is colorless, omnipresent, annulling, powerful, obtuse, cynical, and unromantic. For this reason, I find it suitable for transmitting the tenor of our times. From a technical point of view, the fact that cement can be worked cold, costs relatively little, offers durability to reinforced structures and can be poured directly into the ‘architectural container-theater’ as if it were a casing, makes this material the perfect medium for the artistic and philosophical issues that interest me. The choice of concrete is born of the fact that this material already incarnates

a social attitude, to which you feel closer before you even begin working with it.” And it is precisely the social aspect of the world that surrounds him that captures his creative genius and inspires the artist’s work. “When I gaze out of the window while I travel across the suburbs of American cities, some of the European peripheries, or Italian provinces where I live, the same sensation often fills me. A sense of desolation, annulment, and the frailty of things. And then, in those moments,” he reveals, “I am reminded of the significance of art. I think about how it is so embodied in time, in the reality of things.” And Sassolino cannot resist the temptation to make this reality visible, without however, having the presumption to modify it. “We live between walls, floors and ceilings. These spatial planes in themselves are primary and unavoidable. I am interested—he explains—in decomposing them directly, not in using them as pedestals. So, for example, I cut parts of the architecture and I move them momentarily out of their surrounding structure, or demolish and then reconstruct the physical space of a wall with another wall in the same position, leaving the evident traces of the intervention. I need to not

dissociate the sculpture from the space that contains it. I intend to condense the elements and the imagery that I use toward zero— further squeezing a question that apparently is already in itself arid, a wall to be precise—to sharpen the vision for the observer.” When not working on architecture but on an object, Sassolino wants the object to become “a fact” at all costs. He is not interested in creating an image that is “symbolic or representative or expressionist, or ironic, as is so fashionable today.” He confesses, “I work against the image, I find it to be a funeral device—an agonizing, gripping, relentless monument to obsolescence. My sculptures are the transmitters of a physically compressed time, of a continuous memory, of a perilous balance. No image, a tense state of things. I try to construct it through pressure, weight, and the sound produced by a friction of masses.” As for the images and those who create them, the so-called “creatives” that crowd the Italian and international artistic scene, Sassolino views them with suspicion and vents his irony: “Today creativity is confused with art, but they are not the same thing. Art needs twenty, sometimes thirty, years to achieve its end, and when this happens it wreaks desolation among this crowd of creatives.” And to clarify his position, he comes down even harder: “In art you must have radical thoughts, you need to be courageous, or you are screwed from the beginning. To make art you must have a strong sense of your own times and your own culture. You must face what has already been and take certain decisions. Making art,” concludes Sassolino, “is the attempt to reconcile the consciousness of the fact you exist with the rest of reality.” Arcangelo Sassolino was born in Vicenza, Italy, in 1967 and studied at the School of Visual Art (SVA) in New York. During his six years in the United States, he worked as a toy designer for a branch of Casio. He returned to Italy in 1996 and settled again in Vicenza, beginning his artistic career with the Grossetti Gallery in Milan, where he has held three personal shows. He has also participated in various group shows, including Materia-Niente at the Bevilacqua La Masa Foundation of Venice in 2001 (curator, Luca Massimo Barbero). Giuliano Papalini




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