da = C (Δk ) m (1), dN dove: • a è la lunghezza dell’avanzamento della cricca di fatica; • N è il numero di cicli applicato per ottenere un avanzamento a; • m e C sono constanti; • ΔK = Kmax - Kmin è la differenza tra il massimo e minimo fattore d’intensificazione di sforzo per ogni ciclo di carico, detto anche intervallo d’intensità della sollecitazione. Il fattore d’intensificazione di sforzo, K, è un parametro della meccanica della frattura che esprime la condizione di sollecitazione nel materiale adiacente all’apice di una cricca ed è una funzione del carico applicato e del fattore di forma della cricca, che, per una data larghezza, dipende dalla profondità e lunghezza della cricca. Un valore elevato di K rappresenta un severo stato di sollecitazione e viceversa. Nel fenomeno di fatica, ΔK rappresenta la variazione del fattore d’intensificazione di sforzo ciclico. Quando una striatura di fatica è generata ad ogni ciclo di carico, da/dN rappresenta la spaziatura delle striature. La relazione (1) non descrive adeguatamente la velocità di crescita della cricca di fatica nel primo e terzo stadio; tende a sovrastimare la velocità di propagazione nel primo e spesso a sottostimare quella del terzo stadio. Il terzo stadio corrisponde alla fase finale della propagazione della frattura di fatica in cui il meccanismo di formazione delle striature è progressivamente sostituito dai meccanismi di frattura statica, come la coalescenza dei microvuoti o il clivaggio. La velocità di crescita della cricca aumenta durante il terzo stadio finché la cricca di fatica diventa instabile e le due parti del pezzo si separano di schianto. Poiché la propagazione della cricca è progressivamente dominata da meccanismi di frattura statica, il terzo stadio della fatica è sensibile alla microstruttura e all’intensità della sollecitazione media. Caratteristiche delle fratture con striature di fatica Durante il secondo stadio della fatica, la cricca spesso si propaga su molti altopiani che si trovano a diversa altezza relativa (figura 1.282).
Figura 1.282. Schema delle striature sugli altopiani della frattura di fatica.
Un altopiano che possiede una superficie curva concava ha come riscontro un contorno convesso sulla faccia speculare della frattura. Gli altopiani sono uniti da crinali o pareti di lacerazione che contengono striature di fatica (figure 1.275 e 1.276). Le striature di fatica spesso s’inarcano nella direzione di propagazione della cricca e generalmente tendono
ad allinearsi perpendicolarmente alla direzione principale di propagazione o direzione macroscopica della cricca. Tuttavia, le variazioni locali delle sollecitazioni e della microstruttura possono cambiare l’orientamento del piano di frattura e alterare la direzione d’allineamento delle striature (figura 1.283).
Figura 1.283. Superficie di frattura di una provetta in lega d’alluminio 6061-T6. Fronti indipendenti della cricca di fatica con striature che s’incrociano. Le frecce indicano la direzione locale di propagazione della cricca. Replica TEM p-c, 3300 x circa.
In una lega, le grosse particelle di seconde fasi e le inclusioni non metalliche possono far cambiare la velocità locale di propagazione della cricca e modificare la spaziatura delle striature. Quando una cricca di fatica s’avvicina a una di queste particelle è leggermente ritardata se la particella resta intatta, o è accelerata se la particella si rompe per clivaggio (figura 1.273b). In entrambi i casi, comunque, la velocità di propagazione della cricca cambia solo nell’immediata vicinanza della particella e non influenza significativamente la velocità totale di propagazione. Tuttavia, per la fatica oligociclica ad alta intensità di sollecitazione, la zona elasticizzata all’apice della cricca relativamente estesa può generare clivaggio della particella e/o la separazione della matrice dalla particella quando la cricca è ancora significativamente lontana. Il clivaggio o la separazione della particella dalla matrice si comporta come una cricca, o vuoto, che promuove una lacerazione o frattura di taglio tra la particella e la cricca, tale da favorire l’avanzamento del fronte della cricca. Le particelle isolate e relativamente piccole non hanno significativa influenza sulla spaziatura delle striature (figura 1.273b). Alcuni chiari, periodici e caratteristici segni, talvolta osservati sulle superfici di frattura a fatica, sono definiti impronte di pneumatico, perché sembrano proprio le impronte di un pneumatico su terreno plasmabile (figura 1.284).
Figura 1.284. Impronte di pneumatico sulla superficie di frattura di fatica di una provetta d’acciaio 40CrMo4 bonificato sottoposta a prova di fatica in condizioni di trazione e compressione assiale. Replica TEM. 1800 x circa.
Questi segni formati da linee parallele sono il risultato della compressione ripetuta di una particella o di una protuberanza di una superficie della frattura di fatica sull’altra
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